Facolt di Architettura Lectio Magistralis per linaugurazione dellA.A. 2008/2009 Giovanni Carbonara Il restauro non conservazione
3 Collana di Lectiones Magistrales a cura di Donatella Scatena Il restauro non conservazione Giovanni Carbonara La lezione stata organizzata in occasione dellinaugurazione dellanno accademico 2008-2009. La Lectio Magistralis si tenuta il 16/05/2008 nellAula Magna della Facolt di Architettura di Roma, sede di via Gramsci. Production Editor Mary Joan Crowley Graphics Nicola De Sol CC BY-NC-ND 4.0 Facolt di Architettura, Sapienza Universit di Roma (2013) ISBN 978-1-291-67624-2
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6 INDICE Prefazione .............................................................................................................. 7 Renato Masiani Progetto e Restauro .............................................................................................. 9 Benedetto Todaro Il restauro non conservazione ........................................................................ 15 Giovanni Carbonara Sintesi ................................................................................................................... 15 1. Conservazione, architettura e restauro ............................................................. 16 2. Linnesto del nuovo sullantico: un quadro di riferimento ................................... 33 3. Modernit e restauro ....................................................................................... 37 4. Le ragioni dun rapporto difficile ........................................................................ 43 5. Restauro e citt ................................................................................................. 50 6. Conclusioni ........................................................................................................ 68 Postfazione .......................................................................................................... 72 Donatella Scatena Bibliografia .......................................................................................................... 75 Immagini .............................................................................................................. 79
7 Prefazione Renato Masiani, Preside della Facolt di Architettura Con luscita di questo terzo volume, dopo quello di Franco Purini Percorsi nellArchitettura e di Paolo Desideri La forma come risorsa, si consolida e si conferma la positivit della scelta di proseguire nella tradizione di pubblicare, nella nuova veste di libro elettronico, i testi delle conferenze tenute presso la Facolt di Architettura di Sapienza. La pur breve esperienza maturata sin qui ha confermato i vantaggi di una formula snella e veloce, ma anche economica e di qualit, per documentare e diffondere i contenuti di eventi sempre di grande rilevanza di cui altrimenti si perderebbe memoria con il tempo. Una formula che tiene conto anche dei mutati orientamenti dei nostri allievi, oggi pi abituati a maneggiare computer o lettori digitali piuttosto che carta e libri.
Nello specifico, il presente volume espone la lezione tenuta da Giovanni Carbonara per lapertura dellAnno Accademico 2008/2009 della allora Facolt di Architettura di Valle Giulia che, per vari motivi, non era stato possibile pubblicare a suo tempo. Per questo motivo il testo riporta anche la prefazione scritta nel 2008 dal Prof. Benedetto Todaro, allora Preside della Facolt. Valutata limportanza e lattualit del tema, che riguarda il rapporto tra conservazione e restauro, sembrato ancora oggi opportuno pubblicare quellintervento sicuramente di grande interesse e non solo per i nostri studenti.
Sono certo di interpretare il pensiero di tutta la comunit accademica, Docenti e Studenti, della Scuola di Architettura nel considerare questo volume anche come un omaggio e un sentito ringraziamento a Giovanni Carbonara che, nel corso della sua lunga carriera accademica, ha saputo
8 fornire contributi fondamentali alla disciplina del Restauro dellArchitettura tali da costituire uneccellenza della Scuola romana riconosciuta in Italia e nel mondo.
Renato Masiani
9 Progetto e Restauro Benedetto Todaro, Preside della Facolt di Architettura Valle Giulia (2006-2009) Quando chiesi a Giovanni Carbonara di tenere la prolusione in occasione dellapertura dellAnno Accademico della Facolt di Architettura Valle Giulia ero mosso, oltre che dalla stima per la figura dello studioso, dallinteresse per quella frontiera ineffabile che separa ed al tempo stesso unisce il progetto di architettura (senza ulteriori aggettivazioni) con quella sua particolare declinazione che definiamo progetto di restauro. Largomento non era certo nuovo nelle nostre discussioni: limpegno che tanto ha occupato in questi ultimi anni lUniversit nel definire e calibrare i nuovi corsi di studio induceva a pi attente riflessioni e richiedeva una particolare intenzione definitoria che precisasse gli ambiti, che riconoscesse le specificit e al contempo ricomponesse quella malintesa divisione culturale tra conservazione e produzione del nuovo che non ha motivo di essere e tuttavia permea il sentire diffuso. Se vero infatti che il valore delle definizioni sempre relativo, tuttavia importante ascoltare con attenzione quelle che i protagonisti pi autorevoli privilegiano perch da esse si pu comprendere la direzione verso cui intendono orientare e muovere la disciplina. Tali questioni acquistano rilievo del tutto particolare data la tradizione della scuola di Roma che fin dalle sue origini si mossa su di un peculiare registro di interesse al confronto con la storia e le sue testimonianze materiali. Un singolare doppio registro sembra caratterizzare oggi il comune sentire dei non addetti ai lavori in fatto di architettura: una sorta di divaricazione contraddittoria, che riguarda il senso del tempo e dei valori a questo connessi. Una piena e responsabile coscienza del presente e dei suoi compiti appare compromessa e schiacciata nella morsa costituita da un lato dallattrazione fatale per ogni promessa di anticipazione, ogni speranza di
10 progresso, ogni novit annunciata che preluda al superamento della condizione attuale per un approdo istantaneo al futuro. Daltro lato una sorta di acritica fascinazione riguarda tutto ci che sa dantico, che ci stato tramandato, che esiste da prima di noi, che ricorda culture e condizioni non pi disponibili. In particolare questultima forma di apparente considerazione e rispetto per le superstiti testimonianze del passato, anzich tradursi in garanzia di tutela, proprio per la sua superficiale genericit, pone a rischio i valori che pretenderebbe esaltare schematizzando e radicalizzando lalterit, quando non addirittura la competizione, tra le valutazioni di passato, presente e futuro, impedendo in tal modo che si affermi la percezione di un fluire continuo e coeso nel passaggio del testimone tra le generazioni. Data la difficolt ad abitare un presente problematico e in larga misura disorientato, il progetto di architettura, ogni nuovo progetto, richiede oggi un preventivo posizionamento critico, una scelta di campo da rinnovare di volta in volta, sul filo di una sana e laica indipendenza intellettuale da teorie precostituite. Queste ultime infatti con lesaurimento delle proprie energie propositive hanno lasciato il progetto in precario equilibrio sulla soglia sottile di una contemporaneit negata, troppo debole forse per resistere allattrazione di una delle due opposte frecce temporali e divisa tra il guardare indietro come lAngelus Novus di Benjamin oppure evocare con impazienza un futuro che per non si in grado di scegliere n di propiziare. Giovanni Carbonara, nella sua Lectio riafferma pi volte lidentit tra restauro e progetto, e con forza tale da scegliere, per lo stesso titolo introduttivo, unaffermazione perentoriamente negativa a porre da subito in chiaro cosa il restauro non sia: con cosa non debba essere confuso, a cosa non debba essere limitato. Il mondo dellarchitettura non pu che accettare con favore questa posizione che anche una dichiarazione dintenti per future linee di sviluppo. Si pone per subito una questione di grande rilevanza: se il restauro abbia o meno una identit propria (distinta da quella del progetto tout court); in caso affermativo esso propenderebbe maggiormente verso il dominio indiscutibile della scienza mutuando da
11 questa strumenti esatti e verificabili; se, al contrario, rivendica la propria appartenenza piena allambito del progetto di architettura, sar nella condizione di condividere con questo i rischi, le esposizioni, la discutibilit ed il carattere (cautamente) artistico (cio arbitrario) che lo distinguono. Sembra che ad oggi il mondo del restauro mantenga per lo pi una posizione a cavallo tra queste due realt nel comprensibilissimo intento di assumerne da ciascuna la forza, ma non le intrinseche e collegate debolezze. Riconoscere il carattere progettuale del restauro chiarisce molti equivoci ad esempio e tanto per citarne uno comporta la necessit che ad occuparsene siano architetti (e non magari storici, archeologi o altri esperti di settore non dotati dello specifico magistero culturale e tecnico- scientifico che proprio dellarchitetto). Ovviamente ogni medaglia ha il suo rovescio e questa non fa eccezione: chiariti i rapporti su di un versante, si apre un nuovo fronte problematico dovendosi comunque distinguere e caratterizzare lintervento di restauro da quello che restauro non . Ben venga il restauro nella grande famiglia della progettazione architettonica, ma nel far questo ne assumer i rischi conseguenti contraendo alcune delle affezioni tipiche della progettazione contemporanea e condividendone la perenne problematicit. Perder forse qualcosa dellaura di scientificit che lo caratterizza entrando nel novero delle scelte di responsabilit sulle quali c sempre da discutere. Nella discesa dallOlimpo delle certezze e della teoria consolidata al mondo terreno delle pratiche discutibili da un lato si pu guadagnare in incisivit, dallaltro si perde quella sorta di immunit che il possesso di una teoria di riferimento potrebbe, in teoria appunto garantire. Avvertito di questo Carbonara afferma che allinterno del progetto di architettura: Il restauro architettonico si colloca[...] in una classe alta di rischio che comporta lobbligo di scelte caute, misurate e molto ragionate. E in effetti nella Lezione alcune severe critiche sono avanzate alle varie correnti stilistiche della contemporaneit, ed in particolare al solipsismo del progettista privo di adeguate motivazioni e metodo, ma anche apprezzamento espresso nei casi in cui larbitrio dautore appare rivolto ad un consapevole dialogo, pur se improntato a forte autonomia linguistica: Carlo Scarpa, Franco Minissi, Guido Canali, Andrea Bruno, Jos Ignacio
12 Linazasoro, Rafael Moneo, David Chipperfield ed altri sono segnalati per lapprezzabile qualit delle loro realizzazioni. Si tratta perlopi di autori il cui curriculum non specifico del restauratore, ma che Carbonara segnala proprio nellapprezzabile intento di colmare la lacuna tra le due culture. Credo che questa mano tesa dal restauro ai compositivi vada stretta. Nella disamina, autenticamente magistrale, di Giovanni Carbonara, pur nella dimensione contenuta, nessun risvolto della problematica di confine trascurato, nessuno dei malesseri non solo del restauro ma dellintero arco della progettazione contemporanea disatteso. Il testo esprime grande capacit di comprensione e assunzione di responsabilit; ne deriva una sistemazione sintetica ed esaustiva di questioni e di protagonisti che doveroso cogliere da parte degli studenti ma non solo da loro, nellauspicio che sia prossimo il tempo in cui tutti gli specialismi in cui il progetto di architettura si articola trovino una unica koin centrata sulla cura consapevole e responsabile delleredit ricevuta e insieme del contributo della contemporaneit da consegnare a chi seguir. Benedetto Todaro
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15 Il restauro non conservazione Giovanni Carbonara, Direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio Sintesi Il restauro risponde, in primo luogo, ad esigenze di conservazione e trasmissione al futuro delle antiche testimonianze di storia e darte ma il suo ruolo tanto conservativo quanto rivelativo o, secondo la Carta del restauro del 1972, di facilitazione della lettura dellopera. Esso, in altre parole, come una edizione critica del testo; anche un atto di filologia quanto mai arduo perch condotto non su copie o trascrizioni, come nel caso della poesia o della musica, ma sempre su originali. Azione critica e filologica svolta, inoltre, non parlando dellopera ma utilizzando il suo stesso linguaggio. , insomma, ipotesi critica non esercitata verbalmente ma tradotta in atto, destinata perci ad avvalersi proprio del linguaggio dellopera da restaurare, pi precisamente duno specifico metalinguaggio ricco di strumenti, segni e codici diacritici, vale a dire atti a distinguere testo e integrazioni. Si restaura quindi facendo pittura nel restauro pittorico, scultura in quello scultorio e architettura nel restauro architettonico. Il restauro architettonico si colloca, dunque, in una classe alta di rischio che comporta lobbligo di scelte caute e ragionate. Esso richiede un fare ed un pensare organicamente connessi; un analizzare, progettare, costruire, demolire quando necessario, mantenere nel tempo le architetture nella loro concreta, sofferta e irripetibile autenticit materiale, primancora che simbolica, spirituale o figurale. Che il restauro sia pura conservazione o che esso rappresenti un atteggiamento erudito e retrivo, cieco alle istanze della modernit, quindi alla stessa architettura contemporanea, un luogo comune privo di fondamento; ma anche una convinzione alimentata da comportamenti ottusi e spesso di comodo della burocrazia.
16 1. Conservazione, architettura e restauro Il restauro non conservazione o, almeno, non soltanto conservazione. Risponde, s, ad esigenze di conservazione e trasmissione al futuro ma il suo ruolo, come vuole la Carta internazionale del restauro di Venezia, del 1964, tanto conservativo quanto rivelativo o, secondo la Carta del restauro italiana del 1972, detta del M.P.I., di facilitazione della lettura dellopera (figg. 1-5). Il restauro, in altre parole, come una edizione critica del testo; anche un atto di filologia quanto mai arduo e rischioso perch condotto non su copie (come i famosi gessi nel museo della Facolt di Lettere della nostra universit) ma sempre, necessariamente, sugli originali. Azione critica e filologica esercitata, inoltre, non parlando dellopera ma utilizzando il suo stesso linguaggio (fig. 6). , insomma, come ha detto un illustre studioso belga, Paul Philippot (1998), ipotesi critica non esercitata verbalmente ma tradotta in atto. critica in atto; infatti si avvale dun suo particolare metalinguaggio (anchesso storicamente determinato e mutevole) e, pi propriamente, di strumenti, segni e codici diacritici, vale a dire atti a distinguere testo e integrazioni, come le famose forme semplificate di Camillo Boito e Gustavo Giovannoni o come il rigatino proposto da Cesare Brandi presso lIstituto Centrale del Restauro in Roma, o anche come lastrazione e la selezione cromatica di Umberto Baldini presso lOpificio delle Pietre Dure di Firenze (figg. 7-11). Si restaura quindi facendo, in certo modo, pittura nel restauro pittorico, scultura in quello scultorio e architettura nel restauro architettonico o, come si diceva una volta, dei monumenti. Ma lo stesso vale per la musica (la Lul di Alban Berg, completata, con grande attenzione filologica, da un colto musicologo come Friedrich Cerha, la Turandot di Giacomo Puccini ecc.), il cinema (La corazzata Potmkin di Sergei M. Eisenstein, Miracolo a Milano di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini ecc.), la stessa letteratura (I giganti della montagna di Luigi Pirandello, in una messa in scena di qualche anno fa, i frammenti dei lirici greci, molti passi della stessa Iliade e dellOdissea ecc.): ma qui, a differenza del restauro concernente le arti del disegno,
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esiste la possibilit di lavorare su copie e trascrizioni, senza toccare gli originali. Il restauro architettonico si colloca, dunque, in una classe alta di rischio che comporta lobbligo di scelte caute, misurate e molto ragionate. Esso richiede un fare ed un pensare strettamente interconnessi; un analizzare, progettare, costruire, demolire quando necessario, mantenere nel tempo le architetture (e non larchitettura idealmente intesa, come fa giustamente notare Gianfranco Spagnesi, 2007) nella loro concreta, sofferta e perlopi stratificata, irripetibile autenticit materiale, primancora che simbolica, semantica, spirituale, figurale ecc. Risuona qui la nota definizione di beni culturali come testimonianze materiali aventi valore di civilt. Questattenzione al dato essenzialmente materiale e non iconico, di pura immagine, di contenuto, di significato, una peculiarit del restauro modernamente inteso, frutto dun lungo travaglio, che si estende con alterne vicende dal V-VI secolo al XVIII, in ambito propriamente europeo e occidentale, per maturare nel corso dellOttocento, dal restauro dello sperone orientale del Colosseo (architetto Raffaele Stern, 1806-07) in poi (fig. 12).
Differente la sensibilit, per esempio, asiatica e anche quella africana, volte - e qui sono ben consapevole di generalizzare - al mantenimento dei valori immateriali, simbolici, rituali, religiosi o altri, come ben dimostra il 4 5
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20 caso del tempio scintoista di Ise in Giappone. Da qui ricorrenti contrasti e diversit di opinioni in sede internazionale, in primo luogo nellUNESCO. Tutto discende da un diverso concetto del tempo (lineare in un caso, circolare nellaltro), dellautenticit (materiale in un caso, simbolica e spirituale nellaltro), della storia, dei suoi mezzi e dei suoi fini. Alla rituale completa demolizione e ricostruzione ogni venti anni, in Giappone, del tempio di Ise detto Jingu, tuttora attuata, si contrappone non a caso in Roma il divieto di papa Innocenzo X Pamphilj (1646) severamente imposto a Francesco Borromini di demolire, in San Giovanni in Laterano, i pur cadenti muri costantiniani, tanto che larchitetto dovette sudare sangue, ricorda padre Virgilio Spada, per portare a compimento un lavoro, in gran parte di consolidamento, che non lo soddisfece, perch Sua Santit gli aveva legato le mani e non aveva consentito che si dispiegasse tutta la potenza del suo ingegno. Ugualmente non per caso qualche anno prima un umanista come il Ciaconio (Alfonso Chacn), sempre a proposito di San Giovanni, aveva chiesto che il previsto restauro fosse impostato ut simul, et vetustas servaretur, et venustas adderetur. Questa gi unintelligentissima anticipazione della moderna dialettica (chiaramente illustrata da Cesare Brandi, nella sua Teoria del restauro, 1963) fra le due istanze del restauro, quella estetica e quella della storicit. Sottolinea inoltre che il restauro non solo conservazione e che esso, soprattutto, non figurativamente neutro, come gi negli scorsi anni Quaranta avevano ben spiegato studiosi, tutti storici dellarchitettura, quali Roberto Pane e Renato Bonelli, proponendo la loro rigorosa visione critica e creativa del restauro. A questo proposito, credo che sbagli Francesco Dal 12
21 Co (2007) quando afferma che il restauro non abbia una sua teoria di riferimento e sia, in sostanza, qualcosa di arbitrario come anche lo sarebbero i vincoli e le stesse prescrizioni forniti dallamministrazione statale di tutela, vale a dire dalle soprintendenze. Che il restauro sia pura conservazione, quale attivit tecnico-scientifica scevra da qualsiasi intento artistico (Varagnoli 2006, p. 223) o che esso rappresenti un atteggiamento erudito e retrivo, cieco alle istanze della modernit, quindi alla stessa architettura contemporanea, un luogo comune, privo di fondamento, diffuso ad arte da chi, architetto militante, ingegnere di spensierata inventiva, avrebbe detto Friedrich Nietzsche, o amministratore preso dal fuoco di unattiva ignoranza, non vuole sentir parlare di limiti imposti alle proprie idee e convinzioni, al proprio ego sovente spropositato; ma anche una convinzione alimentata da comportamenti ottusi e spesso di comodo dellamministrazione pubblica. ricorrente lingeneroso e ridicolo refrain di Roma come duna citt che soffre sul piano del confronto internazionale perch afflitta da troppa conservazione; Roma e con essa lItalia intera hanno ben altre ragioni alla base dei loro problemi e del loro declino. Sentir parlare un candidato alle elezioni comunali della nostra citt in questi termini: votatemi e far diventare Roma come Barcellona, grottesco ed indica un provincialismo e una confusione mentale gravissimi. Devo ad Ascensin Hernndez Martnez (2008, p. 16), dellUniversit di Saragozza, la segnalazione del pensiero di Horacio Capel (2007), dellUniversit di Barcellona, su questa citt ormai modelada por el capital y organizada para el consumo, e di Juan Jos Lahuerta (2005, p. 15), della Scuola Tecnica Superiore di Architettura di Barcellona, sulla destruccin planificada y comercializada de la ciudad, y la ruina y desaparicin de la vida que habita en ella. Ricordo, tra parentesi, unacuta riflessione di Leonardo Benevolo secondo il quale la parte realmente pi moderna delle nostre citt sono i loro centri storici, anche perch sembrano fatti apposta (sono fatti apposta!) per facilitare e favorire gli scambi interpersonali, la qualit sociale del vivere (per tutti e non solo per frange privilegiate), grazie anche ad un tessuto denso
22 ma, al tempo stesso, ricco di qualit. Ci che manca a tante nuove realt urbane. La disciplina del restauro, se correttamente intesa, si proietta spontaneamente verso il futuro, si colloca (e non potrebbe essere altrimenti) nella contemporaneit (in quel terzo tempo di cui parla Cesare Brandi nella sua Teoria), ha valore formativo ed educativo, non meramente erudito, e si rivolge in primo luogo alle giovani generazioni, per lasciare loro un patrimonio unico e irripetibile, come s detto, non su memoria digitale ma nella flagranza della sua materia autentica. Non a caso, fino agli anni di Giovanni Spadolini e dellistituzione del MBCA la tutela dipendeva dal Ministero della Pubblica Istruzione che laveva sottratta con fatica, nei decenni dellItalia post-risorgimentale e liberale, a quelli, ben pi solidi e potenti, dellInterno e dei Lavori Pubblici. Il restauro, infatti, pertinente alla cultura, alla memoria, se vogliamo allidentit di un popolo, non alle ragioni spurie dellinteressato benculturalismo oggi tanto di moda; ricordiamo le critiche di Giulio Carlo Argan alla dizione stessa di beni culturali, cui egli contrapponeva quella di oggetti di una ricerca scientifica, di oggetti darte e storia, ed oggi, ancor pi, contrapporrebbe a quella di patrimonio, che tanto piace alla burocrazia dellUnione Europea e, non a caso, agli organismi internazionali, UNESCO in primo luogo. Quanto prima affermato, che il restauro architettonico sia architettura a tutti gli effetti (ma nel rispetto di condizioni aggiuntive che non dovrebbero affatto spaventare un architetto ben preparato e degno di tal nome) vero in termini di principio ma anche una realt sperimentata e vissuta proprio a Valle Giulia, sin dalle sue origini come prima facolt di architettura costituita in Italia. Una facolt nella quale la linea del restauro e della storia dellarchitettura si sempre sviluppata accanto a quella dellinvenzione e produzione architettonica del nuovo: non per caso storici di vaglia come Leonardo Benevolo o Sandro Benedetti sono stati e sono ancora oggi gelosi del loro essere, in primo luogo, architetti operanti (ma cos anche Arnaldo Bruschi, Gaetano Miarelli Mariani, Gianfranco Spagnesi e, pi indietro, lo stesso
23 Guglielmo De Angelis dOssat, nei suoi anni giovanili progettista, ad esempio, della sede del centro di studi leopardiani a Recanati, o Roberto Pane, vincitore, negli anni trenta, del concorso per la nuova facolt di economia in via Partenope, a Napoli, opera ricca dinteressanti suggestioni foschiniane ed, ancora pi in l, Vincenzo Fasolo, Gustavo Giovannoni e Camillo Boito, primo ispiratore, nel tardo Ottocento, della facolt). La scuola universitaria di storia e restauro di Roma stata sempre attenta alla realt dellarchitettura, espressione cara a De Angelis dOssat, e si tenuta costantemente da presso alla fabbrica, senza derive astratte o letterarie. Le sue letture critiche e architettoniche, come quelle, ad esempio, di Arnaldo Bruschi, sono proprie di chi ha personalmente sperimentato larchitettura nel suo farsi spazio, struttura, ritmo, corpo vivo e funzionale. Da qui il concetto di architettura come organismo, le conseguenti analisi formali, linguistiche e insieme strutturali di Vincenzo Fasolo, la peculiare attenzione al disegno e cos via. Analisi che, afferma Spagnesi, poco hanno a che fare con la storia dellarte e che non sono neanche, a ben vedere, storia dellarchitettura, ma storia delle (singole) architetture, quindi gi spontaneamente predisposta allinnesto sul restauro dei (singoli) monumenti. Sul latente contrasto fra antiquari (oggi storici dellarte e archeologi) e architetti valga per tutti rammentare lo sprezzante giudizio di Carlo Fea nei confronti di Giuseppe Valadier (persona che con le sue callose mani doveva tenersi lontano dai monumenti e chiedere aiuto, semmai, ai sapienti in materia: considerazione che anticipa singolarmente il teorema tafuriano della scissione fra storico, conservatore e architetto, fra artista e philosophus additus artifici, per dirla con Benedetto Croce, scissione quanto mai equivoca e dannosa) oppure di Stendhal sempre verso Valadier 13
24 (sciagurato che ha distrutto, e non restaurato, lArco di Tito) o sempre di Fea nei confronti dellarchitetto settecentesco Paolo Posi reo di aver manomesso, nel Pantheon in Roma, con barbarie lantico per surrogarvi una buffoneria architettonica (fig. 13). Ripetiamo invece: il restauro architettonico architettura e compete, in primo luogo, agli architetti, cos come anche le altre forme di architettura sulle preesistenze. Ma quale architettura si addice al restauro ed ai monumenti, considerati nel senso lato ma etimologicamente corretto di memorie materiali, estese dal singolo manufatto al territorio antropizzato? Unarchitettura che derivi da una progettazione colta, consapevole del tema e del vincolo aggiuntivo ma qualificante che il rispetto storico comporta, le cui istanze debbono essere accolte e risolte, senza residuo avrebbe detto Brandi, come e pi di tante altre che gravano normalmente sulle spalle dellarchitetto (utilitas, firmitas, venustas ed oggi una pletora di normative, limiti di legge, economici, organizzativi e procedurali ecc.). Si potrebbe anche dire, seguendo Cicerone, unarchitettura rispondente al criterio della scientia et prudentia o della cognitio (o conscientia) o anche, volgarmente, al dovere della conoscenza. Alla triade vitruviana va per aggiunto, in questo caso, un quarto elemento, quello che Leon Battista Alberti nel suo trattato sullarchitettura ha definito della concinnitas (concordanza, armonica rispondenza, convenienza: da cum cano, canto insieme, allunisono). Progettazione libera di procedere quanto si vuole, purch, s detto, su rigorosi binari storico-critici. Non quindi un problema di predefinizione linguistica o dun tipo di architettura (modernista, modernista temperata, high tech, storicista- imitativa, muratoriana o caniggiana, antimoderna, postmoderna ecc.) ma dun metodo inteso, in senso proprio, come un cammino-guida da percorrere per arrivare a giuste conclusioni. Un metodo che devessere personalmente assimilato e fatto proprio da ogni architetto che voglia operare sulla realt storica (o, se si preferisce, semplicemente antica) dei monumenti e delle nostre citt.
25 un problema che non riguarda il restauro, il quale sinteressa del metodo, ma proprio gli architetti, ogni architetto, perch essi, a norma di legge, sono tutti abilitati ad esercitare il restauro. un problema di acculturazione che simpone deontologicamente ma che perlopi viene respinto con fastidio, con tutte le drammatiche conseguenze che si possono quotidianamente verificare (basti riflettere su come stato affrontato, in questi ultimi decenni, il tema delle antiche superfici intonacate e quello del colore di Roma, in gran parte ridotta, per pura insipienza e non per cattiva volont, ad una scenografia di cattivo gusto). Ed proprio quel cammino o metodo ci che le discipline del restauro intendono chiarire e comunicare negli appositi corsi entro le facolt di architettura (e con particolare convinzione in quella di Valle Giulia), assumendo lo studente del quarto o quinto anno con tutte le sue competenze di giovane architetto in formazione e maturazione, in primis quelle compositive e progettuali (quindi anche tecnologiche, strutturali, impiantistiche e, naturalmente, urbanistico-territoriali), educandolo a un sano rapporto con le preesistenze (richiamando, a questo fine, il prezioso contributo delle discipline storiche) non solo mentale e intellettuale ma anche di compromissione materiale e concreta (con riferimento ad una materia spesso degradata e segnata dal tempo) per poi restituirlo, fornito di pi matura consapevolezza e capacit dascolto, al suo alveo naturale della progettazione architettonica. Per questo Valle Giulia non ha attivato, come invece altre facolt, pur vicine, corsi di laurea in conservazione ma, per restare nellambito del nostro tema odierno, solo in architettura e architettura-restauro. Per questo la Scuola di specializzazione in beni architettonici e del paesaggio di Roma rivolta agli architetti e agli ingegneri edili-architetti primancora che ad operatori magari gi esclusivamente orientati al restauro fin dal primo anno di studi universitari, circostanza nel nostro caso quanto mai inutile. Utili sono invece tutte le materie proprie dellarchitettura, a partire dalla storia e dalle esperienze vissute di formativit architettonica, per usare la felice espressione coniata da Luigi Pareyson (1974) il quale intende con quel termine un fare che, mentre fa, inventa il modo di fare.
26 Senza capacit formative non si avr mai un buon restauratore, mentre vale il contrario: si potr educare ad essere un valido restauratore larchitetto pi iper-creativo, rivoluzionario, antistorico che si possa immaginare, purch sia realmente tale. Si tenga presente, in ultimo, che in un ambiente fortemente antropizzato ogni progetto di architettura gi restauro, perch modifica le relazioni esistenti tra gli oggetti ed instaura fra essi una nuova legge. Misurarsi con lesistente gi restauro.
Sandro Benedetti (1995) si sofferma sul tema del linguaggio architettonico da impiegare nei nuovi inserimenti entro le preesistenze, linguaggio ovviamente della contemporaneit, intesa nella sua accezione pi vasta: cio della complessa stratificazione formale che larchitettura della modernit ha prodotto fino ad oggi. Ne deriva una presa di distanza da forme desunte esclusivamente da modalit compositive dimpianto astrattizzante, quali per esempio quelle del razionalismo funzionalistico o del recente decostruttivismo. Tale approccio orienta invece lattenzione verso un linguaggio che, senza rinunciare ad un sentire contemporaneo, si proponga di trovare riverberi e consonanze con i contesti ambientali, urbani o edilizi nei quali viene impiegato. Per Benedetti, una tendenza di architettura che punti ad unattiva contestualizzazione quella che meglio di ogni altra pu risolvere il problema dinserire linnovazione nel restauro: ci, naturalmente, fermi restando i limiti di rispetto della preesistenza in tutti i suoi valori. Occorre esplicitamente chiarire che questa tendenza non mira a nascondere con forme e figure architettoniche neutre il nuovo nella preesistenza, cos come stata la regola del cosiddetto moderno ambientato divulgato nei decenni passati. Essa aspira invece a presentarsi nei contesti storici con il volto e la suggestione di oggi ma, al tempo stesso, non vuole con le sue figure contrastare o sconvolgere lequilibrio figurativo dellinsieme entro cui sinserisce. Compito del nostro tempo infatti non di copiare o rifare il verso a modalit stilistiche del passato, ma di coglierne le impronte, reinterpretarne i caratteri nella chiave del linguaggio delloggi ed,
27 infine, condurre a sintesi nuove le suggestioni suscitate dalla struttura figurativa della preesistenza. In sostanza si tratta di proporre forme atte a rispondere sia alle moderne esigenze duso che a quelle di ascolto dei valori del contesto evocato. Antn Capitel (1988) muovendo, come anche Paolo Marconi (2004), dallinterno della cultura del restauro sviluppa il concetto di analogia formale, utilizzabile nei lavori dintegrazione e aggiunta, da non intendersi come imitazione stilistica, storicistica ma come aggiunta critica che si fonda sullavvicinamento e sullascolto dellopera lacunosa e del suo intorno. Essa moderna ma non indiscriminatamente creativa (p. 154), sa esprimere a vista la distinzione di antico e nuovo ma, insieme, mira a dare o conservare unit architettonica al manufatto. Si basa sulla realt stessa dellarchitettura da restaurare che la fonte conoscitiva e dispirazione di tutto il processo. Fra gli esempi portati sono molto significativi gli interventi dellarchitetto Dionisio Hernndez Gil, a Mrida, per la sistemazione (avviata nel 1985) del Tempio di Diana, det romana e, in Alcntara, per il restauro (iniziato nel 1962) del convento di San Benedetto, con linteressante scala a pi rampe e lintegrazione della volta della sala gotica, oppure il completamento della chiesa di Santa Croce a Medina de Rioseco, in provincia di Valladolid (architetto Jos Ignacio Linazasoro, 1985-88) (fig. 14). Il suo concetto si avvicina, in sostanza, a quello di attiva contestualizzazione richiamato da Sandro Benedetti. Ignasi de Sol Morales (1985) nellopera di restauro di Gunnar Asplund (Municipio di Gteborg, 1913, 1934-37), Carlo Scarpa (Museo di Castelvecchio a Verona, 1953-76) e Giorgio Grassi (Castello di Abbiategrasso, 1970) riconosce, pur nelle personali declinazioni, un comune procedimento analogico, espressione duna nuova sensibilit 14
28 verso le preesistenze, risolta tramite un controllato dosaggio dei rapporti fra somiglianza e diversit e linterpretazione dei tratti dominanti nelledificio antico allo scopo di farsene eco nelle moderne aggiunte (p. 40). Analogia da non spingere tuttavia, come ha fatto, in un primo momento, Rafael Moneo nel suo progetto di ampliamento del Banco de Espaa a Madrid (1978-80), entro il solco ristretto stabilito dalle leggi dello stesso edificio, dalla sua logica compositiva e dallorganizzazione costruttiva e spaziale esistente senza alcun tipo di distanziamento che delimiti le caratteristiche proprie di ogni operazione estetica, lasciando cos che la fabbrica sia condotta fino allestremo dalle esigenze delledificio preesistente, con la conseguenza che lanalogia si fa cos tenue e impercettibile da diventare mera tautologia (p. 42). La vera analogia, invece, cosa diversa e tende a superare la precedente pratica del contrasto, quale categoria formale tipica di buona parte della modernit novecentesca. interessante, a questo punto, osservare come Eduardo Souto de Moura (2007), tornando pi di recente sullargomento, rilevi gli affinamenti progettuali apportati dallarchitetto, a partire dal 2002, fino alla soluzione poi realizzata nel 2006, nella quale le preoccupazioni sopra accennate sono positivamente risolte. Stante la premessa di adottare i medesimi criteri compositivi dellopera preesistente, i 15 15 16
29 materiali, la pietra, al fine di conservare il senso, Moneo ha ricercato una nuova coerenza fra interno ed esterno, ha rinunciato a proporre le intelaiature e la grande vetrata in forma di replica, ha adottato una decorazione pi stilizzata, con elementi la cui volumetria pu essere letta quasi soltanto dal rilievo e dalle ombre, ha reso le sculture della facciata non pi realistiche ove la postura della figura, quasi come nei ritratti cubisti, la si percepisce appena. Ha in sostanza completato ma con lintento di mantenere a lungo termine latmosfera dellisolato tramite limpiego di un linguaggio autonomo, distintivo, con unidentit tutta sua, attuale, contemporanea. Conclude Souto de Moura che durante i diciotto anni trascorsi dal concorso il Banco de Espaa di Rafael Moneo si trasformato in un manifesto involontario riguardante la conservazione del patrimonio storico (pp. 16-17) (figg. 15-16). Gi da un primo sommario approccio al tema del linguaggio architettonico da adottare in contesti antichi, architettonici o urbani, emergono tre vie, una modernista, incarnata emblematicamente da ripetute affermazioni di Jean Nouvel (Baudrillard, Nouvel 2003), una storicamente regressiva e, in sostanza, ripristinatoria ed una terza via, invocata dai molti autori che si sono espressi tanto contro la dissonanza e il contrasto quanto contro limitazione storicistica, ma delineata con maggiore precisione da Sandro Benedetti, in termini di ascolto e reale attenzione al passato. A tale riguardo, per esemplificare in concreto, credo che una valida terza via sia quella tenacemente perseguita da Guido Canali nellultimo ventennio, con esiti di grande qualit e rigore, confermati dalla capacit di dialogare, da architetto operante e creativo qual , con i responsabili istituzionali della tutela, colleghi di soprintendenza, storici dellarte, archeologi. La sua concezione di restauro leggero, oggi accompagnata da quella, altrettanto interessante, di restauro timido proposta dallarchitetto Marco Ermentini (2002, 2007) e tutta la sua produzione dedicata a questo genere di temi lo dimostrano (fig. 17). N si creda che il delicatissimo trattamento di tracce e materiali proprio di Canali, ad esempio nel restauro dellantico ospedale di Santa Maria della Scala a Siena, vada attribuito ad una sua predilezione iperconservativa; non affatto cos, perch egli aderisce espressamente ad
30 una visione critica del restauro che sa spontaneamente tro- vare il punto di equilibrio fra conservazione, rimo- zione, reintegrazio-ne, innovazione ed ha la sensibilit di sapersi fermare in tempo e di tradurre in stimolo poetico tutti i materiali coi quali si trova a lavorare. Tale opzione critico - conservativa sembra proporsi oggi come la pi aggiornata e rispondente ad una concezione culturalmente matura e sensibile alle molteplici questioni che la disciplina, per sua natura, suscita (Carbonara 1990, 1996). In ultimo vale la pena ricordare che un ottimo esempio di sperimentazione del metodo critico, negli stessi anni della sua formulazione di principio, dato dal restauro post-bellico dellOspedale Maggiore di Milano, avviato da Ambrogio Annoni e completato da Liliana Grassi. Molto efficace la sistemazione del chiostro della Ghiacciaia, in parte ricostruito e in parte no; in ambito pittorico, dal restauro dellAula Magna dellUniversit di Genova, attuato rinnovando modernamente, ad opera di Francesco Menzio, il dipinto della volta distrutto nel corso della Seconda Guerra Mondiale (figg. 18-19). La possibile compatibilit di antico e nuovo era anche la speranza di Renato Bonelli (1963, ora anche 1995, pp. 27-34, da cui si cita) il quale vedeva larchitettura di restauro (cio, sviluppata e progettata in stretta relazione con la preesistenza e sostenuta da un forte sentire storico-critico) come progettazione alta, unica espressione autentica dellodierna sensibilit culturale ed, in sostanza, della modernit: Il restauro costituisce dunque unattivit nella quale lodierna cultura attua pienamente se stessa e che risulta pi rappresentativa della stessa architettura contemporanea, poich dimostra una cosciente continuit col passato ed una consapevolezza del 17 17 17
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momento storico che ledilizia moderna non possiede (p. 31). Modernit non parzializzata n mutilata, come certa storiografia militante ha preteso in questultimo mezzo secolo, ma accolta in tutta la sua ricchezza di riferimenti e prospettive, che non si riducono soltanto a quelle del Movimento Moderno o del Razionalismo architettonico ma che contemplano anche un vitale rapporto con la storia e con la lezione del passato (quando solo si pensi, per esempio, oltre a Louis I. Kahn, a certi architetti costruttori di chiese nella Germania di Weimar, come Otto Bartning e Dominikus Bhm, al restauratore-innovatore del Castello di Praga, Joe Plenik o al nostro Carlo Scarpa). Sembra quindi che, sotto il profilo del linguaggio, sussistano modalit compatibili con lantico senza, per questo, essere imitative. Sono quelle su cui ci si prima soffermati, fondate su linee alternative e, fino ad oggi, considerate minoritarie della modernit, non aderenti ai principi del Movimento Moderno propagandato, ad esempio, da Nikolaus Pevsner ma da esso autonome, pur nella loro piena attualit. Esistono ugualmente, per, valide proposte giocate sul contrasto dialettico. Non vale unopzione linguistica preordinata e, in s, preferibile; la questione di metodo e di sensibilit. La giusta strada va ricercata, ogni volta, con fatica e determinazione. Metodo, i cui contenuti sono stati di recente lucidamente riepilogati e discussi da Donatella Fiorani (2011) per cui: larchitettura storica costituisce un fine, e non un mezzo della progettazione; loggetto del restauro lopera architettonica nella sua interezza, senza indebite parzializzazioni; il progetto di restauro non pu evitare di assumere la dimensione temporale 18 19
32 quale componente significativa delle proprie scelte, ragione per cui esso inevitabilmente, si confronta con la storia, ad essa deve consegnare il proprio operato e la testimonianza dei propri criteri e in relazione ad essa assume una precisa responsabilit etica; nel restauro sussiste la necessit di effettuare una sintesi valida fra unattivit di natura analitica, dal forte contenuto filologico e scientifico, e unoperazione pi apertamente propositiva, soggetta a valutazioni critiche diverse. Entrambe tali componenti, per risultare efficaci, devono essere pienamente assorbite allinterno dellattivit di progetto: da qui la continuit e muta alimentazione fra indagine e progetto; il processo induttivo, sicuramente propedeutico alla fase preliminare del progetto, non pu mai effettivamente considerarsi concluso e prosegue nelle elaborazioni definitiva ed esecutiva dellopera, nel corso del cantiere e, a volte, anche con monitoraggi successivi allintervento; la natura differenziata delle informazioni pone precisi problemi di gestione e confronto dei dati, da sottoporre essi stessi ad una speciale attivit di progettazione per definire sistemi di archiviazione, tempi di raccolta, confronti e verifiche multidisciplinari Ne consegue che il progetto di restauro si definisce metodologicamente quale processo di natura eminentemente architettonica, fondato sulla gestione sistematica e coordinata di dati scientificamente e filologicamente verificabili e strutturato sul confronto costante fra spessore diacronico dellesistente e attualit. Sul tema del confronto con la dimensione temporale si era gi soffermato Claudio Varagnoli (2006) rilevando che la disciplina del restauro pu configurarsi come una sorta di critica del progetto alla luce della permanenza nel tempo proiettando le scelte del presente in una dimensione temporale pi vasta, che prescinda dal solipsismo del progettista realizzatore. In questo modo, il restauro potrebbe riprendere la sua funzione di critica del presente, mettendo a nudo i contrasti con le ideologie ottimistiche e falsamente progressiste della post-modernit (p. 239).
33 2. Linnesto del nuovo sullantico: un quadro di riferimento Siamo convinti che laccostamento e, in certi casi, la saldatura di antico e nuovo siano una realt positiva da non negare n rifiutare a priori; che tale modernit debba essere attentamente motivata e vagliata nelle sue modalit espressive (escludendosi, per esempio, gli atteggiamenti di voluto diniego o azzeramento della storia e delle sue testimonianze, a meno che tali affermazioni non rappresentino che semplici dichiarazioni di poetica, capaci dindurre, per esempio, a scelte non di eliminazione ma di ben studiato contrasto con lantico, sovente preferibili alla pi rassicurante via dellimitazione e della replica linguistica); che loperatore architetto debba essere colto, paziente nellascoltare la preesistenza e sensibile, soprattutto consapevole dintervenire su preziose testimonianze materiali di civilt, per definizione uniche e irripetibili. Fra una modernit avanguardistica e rivoluzionaria, oggi declinata in chiave high-tech e globalizzante, atopica e astorica, da una parte, ed una postmodernit imitativa, regressiva, in certi casi falsificante fino al ricalco stilistico dottocentesca memoria o allimpossibile replica comera e dovera, esiste anche quella terza via, dun rapporto vivo e rispettoso con la memoria e duna sua attiva contestualizzazione, studiata e approfondita da storici dellarchitettura che sono al tempo stesso architetti militanti. Ma la questione, ripetiamo, non tanto di scelta di linguaggio quanto di capacit e cultura personale, di senso della misura, di attitudine a comprendere la natura, il luogo e i significati del monumento o del tessuto storico in esame, rimanendo piuttosto libera lopzione figurativa: alcune esperienze si pongono su una linea di assoluta e, per cos dire, dirompente modernit; altre su quella duna solidit costruttiva e dun rigore geometrico ed etico che risente della tradizione, meno moderna ma non meno attuale, per esempio, dun maestro come Mario Ridolfi; altre ancora su quella duna maggiore assonanza alla preesistenza, nelle forme duna modernit pi sussurrata, mediata e filtrata. Analogo pu risultare il discorso del consolidamento e delle sue inevitabili ricadute figurative, soprattutto quando non le si voglia occultare entro lalveo accogliente degli antichi muri ma,
34 lasciandole bene in vista, le si faccia dialogare con essi, nel rispetto dei fondamentali principi del restauro (distinguibilit, autenticit espressiva, compatibilit, minimo intervento, reversibilit): basti pensare al lavoro di Antonino Gallo Curcio o di Lorenzo Jurina. Analogo ancora quello dellintervento impiantistico. Paolo Portoghesi (2006) si sofferma sullargomento negando che il tema del rapporto tra antico e nuovo possa essere risolto con apodittiche proibizioni o licenze stabilite in assoluto. Per questa via ci si perde in interminabili discussioni senza approdo sicuro (p. 20), mentre lunica regola generale la riconoscibilit. Egli osserva che lItalia, negli anni Cinquanta del secolo scorso, per opera di Albini, dei B.B.P.R., di Scarpa, di Gardella, di Michelucci ha dimostrato non solo la compatibilit nel restauro del nuovo e dellantico ma la possibilit che dallaccostamento coraggioso nasca un plusvalore che dipende dalla natura dialogica dellintervento moderno. Detto questo sarebbe fazioso considerare il dialogo lunico metodo valido. Anche il contrasto e la frattura possono avere un senso quando lo giustifichi loccasione e quando nascano da una scelta meditata e sofferta. La nostra riflessione potrebbe generare per lequivoco che il caso per caso finisca per ammettere qualunque metodo e qualunque soluzione. vero il contrario perch questo indirizzo non ammette giustificazioni generiche ma presuppone ragioni strettamente legate al problema specifico affrontato. Comunque, a prescindere dalle tendenze e dai metodi esiste oggi in Italia una sindrome della conservazione ad ogni costo che tende ad aggravarsi con ritmi preoccupanti (p. 21). Ad essa si deve, secondo Portoghesi, se lItalia rimasta indietro rispetto ad altri paesi europei, come la Spagna, lInghilterra, la Germania, lOlanda, la Francia nei quali le citt hanno vissuto, negli ultimi ventanni, un periodo di vitale rinnovamento, attraverso la sostituzione radicale di parti considerate obsolete e tali comunque da ostacolare senza adeguate contropartite anche se si trattava di squallidi esempi della pi anonima routine ottocentesca (p. 22). Sulla natura di tale rinnovamento Portoghesi (2005) si era per gi espresso ed in maniera tuttaltro che favorevole ad un modernismo
35 indiscriminato, tanto meno a quello internazionalistico delle archistar. Egli notava che oggi, allinizio del terzo millennio, la cultura architettonica sembra totalmente assorbita dalla ricezione passiva delle novit tecnologiche, dalla celebrazione dello sviluppo economico e della globalizzazione. Perduta la fiducia nella propria missione sociale larchitettura celebra stancamente i riti solipsistici della espressione personale e dellautoreferenzialit dei suoi prodotti e si crogiola negli effimeri splendori delle grandi opere spesso pensate non per dare coesione e organicit al tessuto delle citt ma per riempire i vuoti creati dalla obsolescenza delle strutture produttive. Per restituirle una ragion dessere, una dignit, un respiro corale si deve combattere la tentazione di ridefinire il suo statuto come pura attivit artistica senza altri obiettivi che lespressione della individualit dellautore e la celebrazione pubblicitaria del committente (pp. 7-8). Va quindi sostenuta una tendenza che veda il progetto come il tentativo coraggioso di conciliare le ragioni dello sviluppo con quelle che oggi chiameremmo della sostenibilit, di rifiutare quindi che larchitettura continui ad operare con violenza sullambiente ignorando quei processi di continua armoniosa evoluzione che caratterizzano la natura e le sue forme viventi (p. 12). Torna qui utile il parallelo fra lambiente naturale e quello urbano, propriamente quello costituito dal delicato tessuto dei centri antichi, armoniosamente evolutosi, nei confronti del quale analogo dovr essere un atteggiamento che voglia presentarsi come virtuoso e non distruttivo. Sempre Portoghesi (2006) richiama la natura dialogica dellintervento moderno in ambiente antico, non dando affatto per necessaria lopzione del contrasto. Sar poi necessario definire e cogliere la misura di questo dialogo per non cadere nellimitazione pedissequa: in ogni caso si tratta, come ci ricorda Luca Scalvedi (2009), recensendo la rivista Abitare la Terra, diretta proprio da Paolo Portoghesi, di ridare spazio alla tradizione intesa come stimolo allinnovazione nella continuit. Secondo Sandro Benedetti (1991) tre sono, in architettura, oggi le principali linee di ricerca: a) quella convinta della vitalit ancora piena dei contenuti e dei portati del Moderno (a sua volta articolata secondo possibilit
36 espressive latenti, da P. Rudoph a V. Gregotti; secondo orientamenti critici di quella stessa lezione, dai Five Architects ai Decostruttivisti; secondo la radicalizzazione modernistica concentrata nellaccentuazione della mitologia macchinistica e tecnologica, la cosiddetta high-tech, da R. Rogers a N. Foster); b) quella di coloro che, pur distaccandosi dallenfasi modernistica, mantengono declinazioni formative essenzializzate di quella stagione, arricchite da procedure compositive di complessificazione, variamente desunte dalla lezione della tradizione culta o popolare del pre-moderno, da I. Gardella a R. Gabetti e A. Isola, da G. De Carlo a M. Botta; c) quella di coloro che puntano a un convinto allontanamento, oltre che dalle convinzioni, anche dalla figurativit del Moderno, attraverso i pi diversi recuperi della grande tradizione storica pre-moderna: M. Ridolfi, S. Muratori, Ph. Johnson, R. Venturi, A. Rossi, P. Portoghesi il G.R.A.U., M. Culot fino ad arrivare a esercizi eclettici, con le realizzazioni francesi di Bofill o a perseguire un cosciente recupero archeologico dellarchitettura antica come clamorosamente propone L. Krier. Si pu osservare, da un lato, levidente esaurimento degli stimoli progressivi, che il tardo modernismo accusa, dallaltro la allegra dissipazione linguistica, o di moda stilistica con cui alcuni attori del Post- Moderno ne riducono la diversit e la carica rinnovatrice; il tutto, sovente, in un giuoco di esasperato individualismo, che tende a ridurre gli spunti storici recuperati a oggetti manipolabili ad libitum, pi che a presenze vive da cui far partire la nuova sintesi. Dimenticando quel necessario rapporto di attivo scambio, che sempre nelle epoche pre-moderne lesercizio di memoria ha avuto dentro lo spessore della tradizione. Questa, infatti, non ripetizione stanca di formule o di sintesi gi consolidate, ma riassunzione e riproposizione creativa. Cos conclude Benedetti: Entro questa modalit formativa, che atta a consentire un positivo assorbimento di quanto la modernit ha depositato di valido insieme al superamento post-moderno della sua mitologia, pu indicarsi una possibile linea di percorso positiva per let di transizione, entro cui sembra
37 essersi incamminato il tempo del nostro agire (p. 205). Con il che si definito un primo quadro di riferimento entro il quale ricercare i nessi con i temi del restauro e del dialogo con le preesistenze. 3. Modernit e restauro Non sembra condivisibile laffermazione secondo cui lItalia avrebbe sviluppato una chiusura alla modernit a causa duna strenua volont di tutela dellantico: il contrasto esiste ma, di certo, ha provocato danni sul fronte pi debole, proprio quello dellantico, mentre di architettura o, se si vuole, di edilizia moderna ne abbiamo anche troppa e in prevalenza di bassa qualit. Semmai si pu dire che non si nota quasi nessun rigoroso impegno nello sperimentare modalit, che abbiamo visto essere possibili, di buona convivenza; nel ricercare un dialogo fra le ragioni liberamente creative del progetto di architettura e quelle storico - scientifiche della conservazione architettonica o, meglio, del progetto di restauro (anchesso pertinente, a pieno titolo, al territorio dellarchitettura); o anche nellindividuare una terza via, fra i due estremi dellimitazione stilistica e dellopposizione linguistica dirompente, delleclettismo privo di metodo e della presunta libert assoluta. Forse proprio quella del rapporto creativo con la tradizione tratteggiata da Benedetti e sostenuta da Portoghesi, Miarelli Mariani, Strappa (figg. 20-26). Le difficolt e la menzionata chiusura non dipendono da pretese assurde della cultura della conservazione bens da una pi generale incapacit progettuale e inadeguatezza culturale degli stessi progettisti, perlopi insensibili al problema e privi duna solida preparazione storico-critica; a ci si aggiungano il carattere spesso soffocante duna prassi di tutela anchessa culturalmente carente ed arretrata, lassenza duna committenza, prima di tutto pubblica, illuminata e capace, il sistema dei concorsi e delle gare di progettazione, che tende a premiare la quantit invece della qualit, le molte altre ossessive incombenze, non ultima la patologica proliferazione di
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norme e leggi, che in Italia oggi rendono difficile il mestiere dellarchitetto. In ogni modo si tratta di questioni pratiche e non di principio, assolutamente risolvibili in termini di volont politica e amministrativa. In effetti, oggi, una seria e diffusa attenzione al rapporto antico-nuovo ancora da costruire e non certo che davvero interessi; manca inoltre un dialogo fra cultura e operativit professionale, manca unautentica coscienza sociale del problema, sostituita, com facile osservare, da un benculturalismo acritico, alle volte istericamente conservativo altre regressivo in termini approssimativamente storicistici. In questo panorama, inoltre, i meccanismi economici, le norme e le procedure non aiutano, tanto meno quelle formulate in sede di Unione Europea, largamente insensibili al tema. Oltretutto la verifica, per cos dire, sperimentale delle modalit dinserimento urbano del nuovo nellantico andrebbe prima condotta con riguardo alla citt novecentesca e alle periferie, solo dopo a quella antica, ma cos purtroppo non , anche per la volont degli architetti di confrontarsi con presenze storicamente e qualitativamente forti e pregiate. Eppure ci confortano le pacate considerazioni di Gaetano Miarelli Mariani (2002) sulla necessit e possibilit duna progettazione colta, dotata di consapevolezza storica e di senso critico; esse lasciano ben sperare sulla futura convivenza, da perseguire con determinazione, di antico e nuovo tanto a servizio delle nostre citt antiche quanto delle singole operazioni di restauro sul patrimonio monumentale. Sul tema del rapporto fra storia e restauro, da noi pi volte richiamato, ma spesso frainteso, valgono alcune 20 21 22
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recenti e illuminanti affermazioni di Claudio Varagnoli (2006): Lesito di tale storia non consiste nellemettere un verdetto. Porre in luce il valore della stratificazione, con esiti conservativi, significa che lobiettivo non fare storia, inverandone ingenuamente gli esiti nella prassi; ma farsi storia, cio storicizzare il proprio punto di vista (p. 232), che proprio il cuore di quanto Renato Bonelli proponeva nellaffermare la sua visione del restauro critico e creativo. Aggiunge a questo proposito ancora Varagnoli che il ruolo della progettazione, e in generale della creativit, quindi fondamentale nel percorso dellarchitetto-restauratore. importante saper dosare questultima, piegandola a un uso dialogico con la preesistenza (p. 237). Per Benedetti (1995) meritano di essere valorizzate, nella dimensione della ricerca storica, le ragioni della lunga durata - delle costanti, della tradizione, della stabilit tipologica, della normativit procedurale, della ragionevolezza - rispetto a quelle evenemenziali della caratterizzazione stilistica. Tutte quelle modalit del formare architettonico esterne a quellossessione del nuovo, che cadenza i modi del Moderno (p. 8) e la sua povera pretesa di totale autonomia artistica (p. 9) e di deciso taglio operato verso la 23 24 25 26
40 tradizione architettonica precedente (p. 13) comportante, fra laltro, la riduzione delle ragioni formative alla funzione, con susseguente abolizione di quelle ulteriori componenti, presenti da sempre nel manufatto architettonico: simboliche, mitologiche, di connessione o derivazione dalla fabbrilit artigiana locale emergente dal genius loci, depositate nella memoria individuale e collettiva, di legame con la vita delle comunit e con le tradizioni costruttive. Dimensioni che hanno da sempre costituito lo spesso strato significativo dellarchitettura. Il tutto per sfociare nelladozione di un altro repertorio figurativo: quello elaborato dallavanguardia dellastrattismo, che porta a maturazione la faccia artistica fredda del Moderno, quella del tempo del razionalismo (p. 15). Eppure altre linee di modernit architettonica si sono sviluppate nel corso del Novecento, basti pensare alla lezione di Louis I. Kahn ed alla necessit perseguita di riscoprire lo spessore ontologico del costruire, di fondare sulla conoscenza poetica, e non su una falsa razionalit, larchitettura stessa, di stimolare lapprofondimento tra funzione e istituzione umana, inverata nei singoli edifici (p. 194). la linea di unaltra modernit (Benedetti 2004), declinata in termini di ascolto e reale attenzione al passato, invocata dai molti autori che si sono espressi tanto contro la dissonanza e il contrasto quanto contro limitazione storicistica. Si tratta qui daffermazioni molto lontane dalla piena libert e dalla voluta presa di distanza fra nuovo e antico invocate, ad esempio, da Marco Dezzi Bardeschi (2004a) la cui tesi di fondo che, pur identificandosi il restauro con la assoluta conservazione dellesistente, il solo progetto di conservazione della stratificata materia esistente comunque non bastail nuovo che di necessit si aggiunge deve avere carattere di piena autonomia e di chiara leggibilit nel contesto, come prodotto figurativo e materiale innovativo. Egli considera, dunque, il restauro come la sommatoria di due distinti ordini di operazioni: restauro = progetto di conservazione dellesistente (come valore ereditato) + progetto del nuovo (come valore aggiunto) (pp. 4-5). In altra sede Dezzi (2004b, pp. 83-84) indica le sue predilezioni sulla natura e sul linguaggio propri di questo nuovo, aderenti
41 non a una linea purista o raffinatamente high-tech, partecipe di una Tradizione del Nuovo troppo algida e rarefatta, ma ad una linea eretica libertaria allegramente sognante, di straordinaria forza comunicativa, capace di creare oggetti colorati, festosi e curiosi, che insegue il piacere intrigante e sottile della contaminazione; una via colta, libera, gioiosa antiretorica, non mimetica e fortemente concettuale. Ma questa, come si pu verificare considerando lintera produzione di Dezzi Bardeschi, pi unaffermazione di poetica personale, valida quindi tanto nellarchitettura del nuovo quanto in quella di restauro, che un argomentato contributo di metodo. Eppure la voluta assenza, nelle sue opere, di richiami allantico ed alle sue possibili suggestioni ripropone, coerentemente, lasserita scissione fra progetto di conservazione e progetto del nuovo. Va tuttavia, a questo punto, sottolineato senza lasciarsi impressionare dalla scissione appena menzionata che il nostro ragionamento si allarga, volutamente, a tutto campo senza separare il tema dellinserimento del nuovo nella citt antica da quello dellinserimento del nuovo, quale atto di restauro, nel singolo monumento, da reintegrare, consolidare o ampliare per ragioni imprescindibili. I due temi in effetti si riducono ad uno, il primo affrontato a scala urbanistica (il nuovo edificato come reintegrazione di una lacuna urbana), il secondo a scala edilizia, ma non c differenza concettuale. Riguardo al fronte opposto, neo-stilistico, ri-produttivo e regressivo, sostanzialmente inteso a costruire una citt ormai superata e ad aggrapparsi alla citt del XIX secolo continuando a voler fare strade e piazze come prima ma oggi prive di senso, si esprime nuovamente Jean Nouvel, giudicandolo proprio di quegli architetti che si attaccano sempre alle forme del passato e si disperano se vedono la citt evolversi in condizioni diverse da quelle che hanno adorato (Baudrillard, Nouvel 2003, p. 49). Circa il medesimo tema della ri-produzione e della replica, che nel restauro si spinge fino al notissimo principio del comera e dovera, utile riflettere su quanto, presentando il suo progetto per il restauro-ricostruzione della Fenice a Venezia, giustamente notava Aldo Rossi: che si pu certamente pensare di riedificare il monumento dovera ma non certamente
42 comera. Troppe e incolmabili sono ormai le differenze col passato, anche solo di due secoli fa: economiche e dorganizzazione del lavoro, costruttive, di materiali e di tecniche, normative, di gusto, di sensibilit per lo spazio, desigenze funzionali e di comfort, soprattutto legate allirruzione dellimpiantistica nellarchitettura. Volendo si pu tentare di fare un ricalco esteriore e formale, ma basterebbe guardare non i prospetti bens la sola sezione grafica di quanto si ricostruito per cogliere linnegabile diversit di nuovo e antico. Esattamente come accaduto alla Fenice, pur nella parte sopravvissuta e trattata nel modo filologicamente pi scrupoloso. Si pu rifare una scenografia, una scatola vuota, non unarchitettura completa e strutturata in organismo; la scenografia cosa ben diversa anche dalla semplice copia scientificamente e rigorosamente intesa. Per questa via ci si avvicina, nuovamente, pi alle costruzioni fantastiche di Disneyland che allantico. A proposito della recente sistemazione del Neues Museum nellIsola dei Musei, a Berlino, opera degli architetti neoclassici Friedrich A. Stler e Johan H. Strack, restaurata da David Chipperfield negli anni 1997-2007, Beatrice Vivio (2009, p.13) osserva come larchitetto abbia preferito, invece, operare in maniera mirata alla salvaguardia della complessa storia delledificio, sia del periodo precedente alla distruzione della guerra che di quello successivo individuando due opposte possibilit di sostituire le mancanze con copie analogiche o con forme distinguibili secondo un rigoroso metodo di valutazione critica caso per caso. Lobiettivo, in sintesi, stato quello di restituire una vita funzionale alledificio, completando lesistente senza imitazioni n intenti scenografici e trasformandone il degrado in caratteristica acquisita, quindi accogliendo sia il nuovo che i segni di danneggiamento come ulteriori testimonianze stratigrafiche, in un arrangiamento finale che come una parafrasi delle antiche partiture architettoniche. Analogamente al caso gi considerato di R. Moneo, anche qui si nota come un improvviso avvicinamento ai principi operativi del restauro critico, dimpronta italiana, favorito certamente da una lunga gestazione progettuale e da una personale riflessione poetica. Involontario
43 scrive Souto de Moura a proposito di Moneo, frutto probabilmente dormai lunghe e ripetute frequentazioni italiane per Chipperfield (figg. 27-30). 4. Le ragioni dun rapporto difficile Ci si trova in sostanza, ragionando sul rapporto antico-nuovo in architettura, di fronte a un tema in fermento e da reimpostare profondamente, forse ripartendo dalle conclusioni dellincontro veneziano del 1965 (Gli architetti
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44 moderni e lincontro tra antico e nuovo, Venezia 23-25 aprile 1965) e cercando di superarle. Allora Bruno Zevi si espresse perentoriamente contro ogni teoria dellambientamento, presentando lincontro antico-nuovo in termini di necessarie sofferenze, strappi, squilibri. Renato De Fusco studi laspetto della nuova architettura come uno dei volti propri dei mass- media, invitando alluso di un linguaggio architettonico capace di recuperare significati e determinare comportamenti. Giancarlo De Carlo, Italo Insolera, Cesare Valle ed altri rimandarono a un discorso generale urbanistico. Roberto Pane si dichiar a favore delledilizia di sostituzione che consentiva, nella citt antica, di rinnovare conservando volumi e allineamenti. Il documento finale rilevava, nella situazione italiana, la contemporanea rovina dei centri storici senza che si permettesse lesecuzione di architetture moderne autentiche; si esprimeva contro gli edifici ambientati e i falsi storici; auspicava la conservazione integrale dellantico e, insieme, la piena espressione del nuovo; rifiutava quindi ledilizia di sostituzione; reclamava una comprensione globale dei problemi e dei fenomeni della citt moderna. Molto diverse, in quegli stessi anni, le parole di Cesare Brandi proprio sul tema della sostanziale incompatibilit di antico e nuovo, da lui argomentate in termini di avvenuta rottura della spazialit prospettica che aveva retto e unificato larchitettura fino ai primi del Novecento; o le precedenti espressioni di Renato Bonelli (1963, ora 1995), molto avanzate e quasi profetiche, che proponevano, come detto, larchitettura di restauro come espressione della massima consapevolezza storica: architettura moderna proprio per tale precipuo, fondativo carattere e non per ladesione alle mode pi attuali e peregrine. Per quanto concerne il pensiero di Brandi richiamiamo, qui di seguito, altre sue interessanti argomentazioni, legate alla natura intrinseca dellopera darte ed agli sviluppi della coscienza storica attuale, traendole dallo scritto del 1964 Il nuovo sul vecchio (ripubblicato in Brandi 1994, pp. 35-42). Egli sostiene esplicitamente la tesi che non si possano inserire nuove espressioni artistiche in un contesto antico, anche se lo stesso contesto risulti da stratificazioni di epoche diverse e conseguentemente di
45 espressioni a differente tenore formale (p. 35). La ragione di tale divieto sta, pur se in parte, nella filologia, intesa s ad appurare il testo genuino di unopera (o, se si preferisce, a restituire un testo alla sua edizione critica) ma tassativamente senza intervenire sullo strumento che tramanda il monumento letterario o scientifico che si vuole ricondurre alla lezione pi pura. Nelle arti figurative invece noi ci troviamo di fronte allopera che anche il medium attraverso cui si trasmette alla percezione, onde qualsiasi intervento sullopera anche intervento sul modo di trasmettersi dellopera stessa nel tempo. Si tratta di una differenza sostanziale fra la critica letteraria e la critica del testo monumentale, che vieta la manipolazione di questultimo, sia nel togliere sia (tornando ai canoni della filologia) nellammettere nuove inserzioni (p. 36). A questo proposito, richiamando la sua Teoria del restauro (1963), Brandi rammenta tuttavia che essa, pur marginalmente, non vietava la eventualit di nuove inserzioni, se non ed in quanto erano necessarie per la statica dellopera o per una continuit di lettura del testo figurativo. La questione verte, al contrario, proprio su quelle aggiunte che vorrebbero rappresentare una nuova espressione artistica inserita in un antico contesto. Non dunque il punto di vista del filologo, a cui in parte ci siamo ricollegati, ma il punto di vista opposto, quello che potremmo chiamare, con una parola che ingiustamente alquanto screditata, del creatore. Da un lato il critico intima di non manomettere lopera, dallaltro lartista pretende di riprenderla, interpolarla, continuarla; ne consegue che il modo di porsi in situazione verso lopera darte nei due casi completamente diverso. Nel primo, accogliamo lopera darte come opera darte cos come ce lha trasmessa il tempo, e interrogandola nelle sue strutture cerchiamo di desumere le sue diverse fasi; nel secondo, facciamo ridiscendere lopera ad oggetto a cui, in tutto o in parte, intendiamo dare una nuova formulazione. Nel primo modo, consideriamo lopera darte, oltre che come unit o complesso artistico, storicamente; nel secondo, la consideriamo in tutto o in parte, come cosa in fieri, che noi possiamo continuare, aumentare,svolgere. In questo caso non consideriamo lopera storicamente, ma come cosa su
46 cui intendiamo fare storia, darle un nuovo corso storico oltre che artistico. La diversit radicale di questi due punti di stazione dunque irriducibile (pp. 37-38). Con quale diritto e su quali basi si inserir qualcosa di nuovo in unopera darte del passato, non gi per ragioni statiche o di conservazione, ma per renderla pi bella? Gi la parola cos equivoca, da dovere essere messa fra virgolette. Ma se questi dubbi si elevano per il momento attuale, come non estenderli al passato? La risposta a questultima domanda sta nel fatto che la considerazione storica del monumento in s e per s conquista abbastanza recente, ed conquista che si deve al grande storicismo ottocentesco. Ecco perch da due secoli a questa parte noi non possiamo comportarci, di fronte al passato, con la stessa spontaneit e libert degli artisti antichi ed ancora di quelli fino alla tarda et barocca; si infatti, nel frattempo, determinato un cambiamento radicale nel modo di porsi in situazione verso un monumento (p. 39). Questa coscienza storica del monumento, una volta acquisita alla nostra civilt, non pu pi essere invalidata. Proprio perch non un apprezzamento transeunte, ma un modo di porsi scientifico della nostra civiltNon dunque una minore fiducia negli artisti di oggi, ma il necessario riconoscimento di uno status irreversibile della coscienza storica attuale ci impedisce di intervenire sui monumenti del passato altrimenti che con atti di consolidamento e di salvaguardia per la trasmissione al futuro (p. 41). Il punto che qui, dunque, interessa di definire, riconosciute le differenze fra filologia testuale e filologia delle espressioni figurative, la vera natura degli interventi per volont di consolidamento, conservazione, salvaguardia e continuit di lettura del testo figurativo, a fini di buona trasmissione al futuro dei monumenti del passato, distinguendola da quella che mira a rappresentare una nuova espressione artistica, a manomettere lopera riprenderla, interpolarla, continuarla, per attualizzarla e renderla pi bella (pp. 37-38). Il fatto che, a maggior ragione proprio sui testi figurativi, come ci ha insegnato la riflessione sul restauro critico, i diversi atti di consolidamento, conservazione, restituzione della continuit di lettura e via dicendo (vale a dire tutte quelle inserzioni
47 legittime cui accennava Brandi) non potranno mai essere neutri n figurativamente ininfluenti; per essi andr ricercata una soluzione figurativa facendo architettura sullarchitettura. Come ha affermato Paul Philippot, gi ricordato in apertura, qui non si tratta di sola critica verbale ma di critica in atto - o pi precisamente, secondo Paolo Fancelli (2006, p. 279), di ermeneutica in atto - esercitata sulla materialit dellopera, pur se a servizio dellopera stessa. Ogni atto di conservazione e di restauro, pur se condotto con le migliori intenzioni, altera e modifica. Inducono modifiche, spesso molto consistenti, anche quelle provvidenze inizialmente immateriali che riguardano, per un antico edifico, lattribuzione di funzioni (anche le pi blande e compatibili), il rispetto delle normative di sicurezza, impiantistica e strutturale (si pensi ai soli problemi di miglioramento sismico), di quelle per laccessibilit (quindi, nuovamente, per la piena godibilit e fruibilit del monumento) e via dicendo. In una realt complessa come larchitettura, la risposta a queste esigenze passa attraverso un momento consapevole di progettazione, per quanto intesa a fini conservativi e restaurativi, non astrattamente manipolativi o riconfigurativi. Progettazione misurata, fondata sullapprofondita conoscenza anche materica del manufatto, fortemente critica e autocritica, attenta alle ragioni della storia e della tutela, ma pur sempre imprescindibilmente atto di progettazione destinato a tradursi tanto in realt materiale quanto espressiva e figurale, n pi n meno. Forse proprio con qualcosa in pi che deriva dalla responsabilit aggiuntiva legata alla circostanza di lavorare su beni per definizione unici e irripetibili. Si tratta duna progettazione non di routine ma impegnata, difficile e davvero specialistica, eppure con le sue radici ben piantate nel campo dellarchitettura pi generalmente intesa, non suddivisibile in plurime competenze professionali n riducibile alla loro semplice sommatoria. Tale progettazione, al contrario, devessere fortemente unitaria e guidata da un medesimo spirito critico e creativo, vale a dire da una capacit di prefigurare, valutare e perseguire, pur se con i necessari aggiustamenti, anche in corso dopera, un risultato carico dinnegabili implicazioni estetiche.
48 Nelle nostre affermazioni ed esemplificazioni a riguardo, dunque, nessuna volont e neppure necessit di contrastare o superare il limpido teorema brandiano ma solo il giusto chiarimento dei limiti (molto pi estesi e impegnativi di quanto possa sembrare a prima vista) di quanto e come in architettura (ma, a ben vedere, anche in scultura e pittura) si deve comunque fare, sia pure volendo soddisfare esclusive ragioni conservative, di salvaguardia o di semplice consolidamento. Credo, quindi, che oggi i tempi siano maturi per riavviare un dialogo che si interrotto, quasi contemporaneamente per larchitettura e per lurbanistica, pi di mezzo secolo fa, inducendo a distinguere artificiosamente due culture (quella del progetto e quella storica del restauro) da sempre spontaneamente unite (cfr. Zander 1993, pp. 33-38). ovvio che si dovranno rimuovere, con una certa fatica ma anche con fiducia e determinazione, i detriti e le scorie che ingombrano un percorso da troppi anni abbandonato (consuetudini inveterate, diffidenze reciproche, assenza di spirito critico e pigrizia mentale, pressione ricorrente daggressivi microspecialismi, scarsa frequentazione storica, bieco professionismo ecc.) ma la strada percorribile e sembra prefigurare lusinghieri risultati, soprattutto in un Paese con le nostre tradizioni e bellezze. Loscillazione antico/nuovo, inoltre, fa parte delle componenti proprie del restauro; la dialettica che la riguarda rammenta, in qualche modo, lescur- sione, durante la messa a fuoco, dellobiettivo duna macchina fotografica, che sfoca limmagine quando ci si allontani troppo (la modernit distaccata dalloggetto, dalla sua storia e dal suo contesto) ma anche quando ci si avvicini troppo (limitazione pedissequa, tanto pi se della sua sola immagine o icona come, ad esempio, tende a fare certa impropria riflessione sul restauro del moderno). La messa a fuoco nitida intermedia fra allontanamento futurista (high-tech o altro, come si preferisce) e replica o ricalco, o anche progettazione in stile e ripristino. Non respinge la modernit (la storia sempre come storia presente, secondo il dettato di Benedetto Croce, n la fusione di orizzonti, secondo quello di Martin Heidegger e Hans Georg Gadamer) ma incorpora presente e passato in vista del futuro; non rifiuta la memoria n lo scorrere
49 del tempo, ma li reinvera nellattualit. Si tratta, dunque, di intervenire, sovrapponendo il presente al passato, nello sforzo di fondere in una vera unit lantico e il nuovo (Bonelli 1995, p. 31). Volendo esemplificare su atteggiamenti simili in architettura, si potrebbe pensare allopera di restauro e reintegrazione dellAlte Pinakothek di Monaco, di Leo von Klenze, progettata e condotta da Hans Dllgast nel dopoguerra (1948-57), allaccurato e qualificato lavoro di Giovanni Bulian nella Sala Ottagona delle Terme di Diocleziano in Roma o, diversamente, a quello di Francesco Scoppola in Palazzo Altemps e in Villa Poniatowski, sempre a Roma, oppure alla suggestiva sistemazione del Cassero di Prato, curata da Riccardo Dalla Negra e Pietro Ruschi. O anche al raffinato lavoro, di cui s detto, concepito da David Chipperfield per il Neues Museum (figg. 31-33). In conclusione, fra un neo-positivismo acritico e riduzionistico (che vede lantico come un mondo chiuso e compiuto, la storia come qualcosa di oggettivo e scientifico, quindi la sola conservazione quale imperativo conseguente) e una visione estetizzante e additiva (forse ancora un po romantica ma comunque vitale, pur se tendente al ripristino) quale strada intraprendere nel restauro? Non si 31 32 33 33
50 tratta di apprezzare, per amor di compromesso, la verit che sta nel mezzo ma di considerare che proprio la vicenda stessa del restauro, per sua natura, oscilla fra i due estremi, variamente esplicitati, nella riflessione teorica, come dialettica fra le due istanze, la storica e lestetica, fra conservazione e innovazione. Ma qui, davvero, la verit (se di verit si pu parlare) sta nel mezzo, pur oscillando e avvicinandosi, caso per caso, ora ad un punto ora allaltro (in ragione del contesto, dellestensione e del tipo di danno, dellintenzionalit sulla base della quale sinterviene ecc.). Il restauro problema di equilibrio e di misura: pi ascolto che esternazione o proposizione. 5. Restauro e citt lecito domandarsi come la citt moderna possa crescere guardando al patrimonio che lha preceduta e, allo stesso tempo, il centro storico aprirsi agli interventi contemporanei per cercare di rispondere alla realt odierna, cos differente da quella sua dorigine. Circa il primo quesito, sulla citt nuova che nasce guardando allantico, ferme restando tutte le premesse legate ai problemi funzionali e pratici moderni, si potrebbe dire che il suo disegno dovrebbe essere frutto dun serrato dialogo con la preesistenza. Si tratta di comprendere la morfologia del sito, i percorsi, la natura e lorigine delle presenze architettoniche e del contesto urbanistico, il processo tipomorfologico attraverso cui esso si formato; ci non certo a scopo di ricalco formale o di replica ma di riflessione sulle radici conformative, da assumere come validi spunti pre-progettuali utili ad impostare ogni seria proposta innovativa. Parallelamente la premessa ad unautentica e duratura conservazione dellantico sta nellatteggiamento che si ha verso il nuovo. Esiste certamente unaccesa discussione fra i conservatori e gli architetti innovatori. Fra chi considera il centro antico come un unico Monumento da tutelare e chi
51 vorrebbe costruirvi nuove architetture anche per modernizzare i centri storici con nuovi edifici, nuove funzioni, ampie strade e capienti parcheggi (Bettinelli 2006, p. 3). Non la pensa cos un protagonista del recupero dei centri storici italiani come Pierluigi Cervellati, il quale, intervistato da Giovanni De Pascalis (2006, p. 16) afferma che il centro storico non una parte della citt, una citt che dobbiamo salvaguardare e restaurare. Poi c la periferia che dobbiamo far diventare citt, mentre adesso solo un non luogo. Inoltre nei centri antichi vanno assolutamente proibiti, drasticamente proibiti ulteriori inserimenti. Lo studioso inglese Ivor Samuels (2006, p. 24) si domanda se in questo campo gli Italiani debbano davvero imparare dallesempio delle grandi capitali europee; egli fa, preoccupato, il caso di Londra e afferma di aver avuto spesso la sensazione che gli Italiani non apprezzino realmente la qualit delle loro citt. Esse oggi sono minacciate da due aspetti della globalizzazione: da una parte soffrono dun grave sconvolgimento che investe i tradizionali modi di vita economica e sociale, complice una fiorente industria del turismo che ha trasformato il centro in una Disney World; dallaltra, le citt italiane sono state trasformate in terreno di caccia per le star dellarchitettura internazionale. Sembra sufficiente per un sindaco o un urbanista affiancare un progetto al nome di una di queste star per permettere il perpetuarsi di una minore progettualit legata al contesto, in nome del progresso. Egli apre cos un altro settore di riflessione, quello delle archistar e del loro osannatissimo ruolo, sul quale si avr modo di tornare in seguito. Ancora pi decisamente si esprime Vittorio Emiliani (2004): Per favore, finiamola con larchitetto di oggi che vuole lasciare il suo segno, la sua impronta nei centri storici. Leonardo Benevolo (2006), argomentando pi a fondo, spiega che la citt storica europea, quella formatasi fra il basso medioevo e let moderna, contiene un segreto essenziale per noi, cio lunico modello qualitativo ancora alla portata della nostra civilt democratica (p. 4). Oltre ad amministrarla e difenderla, possiamo abitarla, sperare di impararla e forse tentar di riprodurla. Siamo disposti a far qualche sconto sulla conservazione
52 assoluta per ottenere che la citt sia ancora abitata Le modifiche, se contenute entro certi limiti, possono guidarci a individuare il segreto della sua formazioneQui nasce lesigenza della conservazione, introdotta con parole un po ingenue cinquantanni fa. Bisogna organizzare la citt moderna articolandola in una costellazione di centri in maniera che offra alla citt antica un ruolo non del tutto in contraddizione con quello di prima, in particolare per quanto riguarda gli spazi liberi (p. 5). Una certa logica multipolare di questo tipo si pu gi vedere a Venezia, in rapporto agli altri insediamenti nella laguna; interessante anche Lucca, con il suo giro di mura, lannesso spazio di rispetto e la conseguente articolazione urbanistica non monocentrica ma sviluppata per linee a partire dalle vecchie porte. In sostanza, per Benevolo, la salvaguardia delle citt antiche finisce per confondersi perfettamente col problema dellorganizzazione moderna delle citt. Non c niente di pi moderno delleredit antica delle citt italiane. Le citt contemporanee sono se mai troppo poco moderne per accettare e prolungare una lezione cos impegnativa (pp. 6-7). Si apre qui uno spiraglio alla modernit, intesa prima di tutto in una dimensione urbanistica da declinarsi poi sul piano edilizio. Si addentra con sicurezza nellargomento Giuseppe Strappa (2006) osservando subito come la introduzione dellarchitettura contemporanea nei tessuti storicamente consolidati, meglio se legittimata da una grande firma, sembra divenuta unesigenza non pi rinunciabile senza che se ne dimostri il reale bisogno. Che la citt, anche nella sua parte storica, si debba necessariamente rinnovare, non una considerazione nuova, purch si tratti di una trasformazione continua, graduale, congruente, necessaria. Nel passato le modificazioni, tanto del tessuto urbano quanto dei tipi edilizi, erano continue nel tempo, protraendosi a volte per secoli e permettendo la correzione degli errori, la riflessione sulle scelte pi opportune (p. 26) mentre oggi larchitettura contemporanea, quella ufficiale dello star system soprattutto, sembra non aver capito come la bellezza delle nostre citt sia il prodotto di un processo organico di successivi adeguamenti o aggiornamenti. E, infatti, gli interventi recenti nei centri storici sono improvvisi, costituiscono, spesso in modo narcisisticamente esibito, rotture
53 con le preesistenze, non vogliono e non possono stabilire alcun rapporto di proporzione con la citt storica, essendo la proporzione non una semplice scelta estetica, ma il portato di un processo formativo. Ora avvenuto che la compagine urbana delle nostre antiche citt abbia acquisito, nel tempo, una tale perfezione da poter essere difficilmente alterata se non attraverso caute, necessarie, congruenti, limitate trasformazioni. Trasformazioni alle quali si richiede, inoltre, di non essere mere imitazioni del passato, ma autenticamente nuove, quindi difficilissime da progettare. La coscienza di questo dato, lidea di una tutela attiva che non riguardi solo il monumento ma si estenda anche ai tessuti, alle abitazioni fino a ieri considerate di scarsa importanza architettonica, ai percorsi ed agli spazi pubblici, un fenomeno assolutamente nuovo, sconosciuto prima della guerra. questa la vera modernit che irrompe nelle citt antiche. Una coscienza, si badi, non circoscritta allinterno di un manipolo di intellettuali nostalgici ma intuitivamente, spontaneamente condivisa dalla maggior parte degli abitanti della citt (p. 27). Gi prima Gaetano Miarelli Mariani (2003) aveva criticato ledilizia di sostituzione, pur se giudicata dalta qualit, come la casa progettata da Ignazio Gardella alle Zattere (Venezia, 1954-57) o il Masieri Memorial di Frank Lloyd Wright (Venezia, 1953), notando quanto tali proposte differissero dal tema, distinto ma prossimo, dellimpiego dellarchitettura contemporanea nel restauro, per la reintegrazione e per altre operazioni aventi finalit conservative. A ben vedere, egli notava, la tendenza modernista sposta lattenzione sul problema architettonico; si parla di nuovo nellantico in termini di qualit ed diffusa la convinzione che basti saperci fare; viceversa, non vengono adeguatamente considerati i temi di connessione fra nuovi edifici e struttura urbana antica (p. 27). Proprio sotto il profilo urbanistico, lindirizzo operativo che si rif allinsegnamento di Saverio Muratori, e nel quale si riconoscono fruttuosamente tanto Miarelli quanto Strappa, mira a rimarginare i tessuti attraverso azioni di riammagliamento che sottintendono il mantenimento della rete viaria e della trama lottizzativa ricomposta secondo il passo che deriva dalladozione del tipo, proprio di ogni luogo, nonch riproposta nei suoi caratteri essenziali e
54 distintivi; tutto ci rifiutando meccaniche relazioni di luogo fra il prima e il dopo, perch la riproposizione dei tipi, specifici di ogni sito, non postula, anzi esclude, le identit formali del nuovo prodotto con il precedente (p. 35). Orientamento ben diverso dal restauro tipologico applicato a Bologna, negli scorsi decenni, con cedimenti imitativi e neo-stilistici che ne hanno in gran parte inficiato la validit e lesemplarit. Un altro tema da non trascurare quello della durabilit delle opere moderne, di quanto lasceremo in eredit al futuro. Non si pu sapere quanto dellattuale costruito si sar disfatto, fra centanni, come una scenografia esposta alle intemperie e quanto sar invece rimasto come architettura. Ad esempio, larchitettura del ventennio fascista stata costruita con tecniche sperimentate e, perdurando, pi tempo passa pi attrae il nostro interesse. Per tante altre pi recenti e meno monumentali architetture, invece, non facile immaginare come potranno presentarsi in futuro. La recente esperienza del restauro del grattacielo Pirelli, a Milano, stata molto interessante e dimostra come questo edificio, apparentemente ispirato a modelli americani, in realt sia una costruzione fortemente artigianale, realizzata studiando e aggiustando in cantiere la definizione dei pezzi, nellintento di garantire loro buone prestazioni, facilit di montaggio e smontaggio e una capacit di resistenza soddisfacente. Nonostante il danno subito, per il disastroso impatto di un aeroplano nel 2002, un edificio ancora in grado di sfidare il tempo (figg. 34-35). In ogni modo, buona parte di quanto si realizza entrer progressiva- mente nella storia e diventer oggetto di studio, com stato per larchitettura del razio- nalismo, pur concepita ideologicamente per durare solo un breve lasso di tempo. Questo sincaricher 34 35
55 di selezionare le opere pi durevoli come, in fondo, stato anche per quelle del passato. Non tutti gli edifici dellantichit classica erano espressioni di buona tecnica, anzi prevalevano le costruzioni povere e scadenti. Agiranno i fattori di degrado naturali, accentuati da quelli dorigine antropica, come linquinamento, ed anche unazione dovuta allobsolescenza funzionale ed alle pressioni economiche di recupero del terreno di sedime. Non si sa, quindi, se sar possibile conservare interi tessuti urbani o sole emergenze monumentali . Molto dipende da come si costruisce e sembra che, in questi ultimi anni, si edifichi meglio e con maggior attenzione di trenta o quarantanni fa. Si pensi al caso di San Michele in Borgo a Pisa: una ricostruzione e reintegrazione, curata dallarchitetto Massimo Carmassi, duna porzione di citt bombardata, concepita attraverso una ripresa di stimoli della citt medioevale, restituita per in forma moderna. Questo un esempio di realt attuale che riuscir probabilmente a monumentalizzarsi. La differenza riguarda proprio, oltre la qualit del progetto e la funzionalit dellopera, la buona scelta dei materiali e delle tecniche. Credo comunque che larchitetto, a differenza dello scenografo o del grafico pubblicitario, costruisca le cose perch durino. In passato egli era ben consapevole del fatto che la propria opera fosse destinata ad invecchiare nobilmente, tanto che prevedeva, come risulta da numerose testimonianze, gli effetti di tale invecchiamento. Altrove, in un contesto economico che forse non quello italiano, larchitettura concepita come un grande allestimento, unestroversa vetrina commerciale, per cui opere anche di grande qualit dopo dieci- quindici anni vengono demolite per ricostruirne di nuove e pi aggiornate. un caso piuttosto ricorrente negli Stati Uniti ma non solo. Da noi ancora non vige la pratica della distruzione programmata, forse per debolezza economica o forse per il condizionamento storicistico che abbiamo sviluppato ed in ragione del quale tendiamo a conservare. Il tema, in grande sviluppo, del restauro del nuovo fa pensare che la volont di conservare oggi esista (v. Il progetto 2007). Ad esempio molta architettura del Movimento Moderno, degli scorsi anni Venti-Trenta, era stata concepita,
56 come detto, per unobsolescenza programmata, quindi per essere ad un certo momento demolita e riciclata. Oggi invece la si giudica come una realt da non perdere, n rappresenta un ostacolo lidea originaria duna durata limitata. Ci normalissimo nel campo del restauro, perch noi vediamo le testimonianze del passato, anche di quello recente, attraverso un filtro storico e un giudizio critico, che non pi quello dellartista e non neanche il giudizio pragmatico-economico del committente. Si pensi, a questo riguardo, alle scritte elettorali di Pompei. Nate per durare alcune settimane, sono state conservate dalleruzione del Vesuvio e le abbiamo ritrovate intatte. Sono quanto di pi reversibile e provvisorio si possa immaginare eppure, oggi, rappresentano una testimonianza preziosa, da conservare il pi a lungo possibile. Fatte le debite differenze ci riguarda anche larchitettura contemporanea. Una conservazione integrale, tuttavia, potrebbe paralizzare ogni sviluppo futuro. In effetti, com stato da tempo rilevato in ambito letterario e filosofico, un peso eccessivo della storia diventa una remora, qualcosa di paralizzante. Si consideri, per esempio, che cosa poteva essere Roma nel 1950 e che cosa oggi; allora aveva poco pi dun milione di abitanti, oggi ne ha tre. Quindi ben due milioni di abitanti aggiuntivi vivono e lavorano in architetture che si collocano cronologicamente negli ultimi cinquantanni. La Roma ottocentesca, poi, aveva circa 150.000 abitanti. Queste cifre dimostrano che gli spazi per la vita attuale non vanno ricercati in quel nucleo iniziale, ante 1870, a meno, forse, di casi molto singolari, sostenuti da esigenze simboliche e rappresentative specifiche. C, al di fuori della citt antica, tanta edilizia disponibile per la demolizione, la ricostruzione e, se si vuole, il recupero, che cosa ben diversa dal restauro. N, di certo, i quartieri di speculazione fondiaria degli anni sessanta, settanta e ottanta sono da considerarsi tutti storici. Credo nella possibilit della riqualificazione, della ristrutturazione e della riconfigurazione architettonica di buona parte della citt moderna. Il vero nucleo storico della citt, invece, poco significativo, in termini quantitativi ovviamente, per lo sviluppo della citt contemporanea o per il rilancio della sua economia attraverso lindustria edilizia; lo , forse, per un rilancio fondato sui servizi,
57 relativamente ai quali il patrimonio storico e culturale rappresenta una risorsa fondamentale.
Circa il secondo quesito, riguardante lapertura del centro storico agli interventi contemporanei, non mancano alcuni buoni esempi. Un caso positivo, anche se malauguratamente rimasto incompiuto, rappresentato dalla sistemazione della piazza antistante il Portico di Ottavia, dove convivevano, in un grande scavo informe, i resti del monumento di fondazione augustea, le preesistenze medievali e quelle successive, fino al Novecento. Il progetto, redatto dagli architetti Guido Batocchioni e Laura Romagnoli, con lausilio, per il Comune, dellarchitetto Guido Ingrao, diventato loccasione di una vera e propria riorganizzazione urbana, della creazione di percorsi con valenza insieme di visita archeologica e di libero attraversamento, di connessione fra settori della citt storica, di ottimale presentazione dei monumenti interessati, di piena accessibilit, anche ai disabili. I migliori esempi si riconoscono in genere nellopera di chi lavora, con spirito e organizzazione artigianale, a stretto contatto con lantico, muovendosi con delicatezza fra architettura moderna, restauro e museografia (penso, volendo esemplificare, a Giovanni Bulian e Francesco Scoppola, da una parte, quella dei soprintendenti architetti, a Gabriella Colucci, Anna Di Noto e Francesco Montuori, Paolo Martellotti dallaltra, quella della professione di qualit) ma nellattivit corrente dellarchitetto questa condizione piuttosto rara. In ogni modo, a mio personale avviso, ci porta ad escludere, non a priori ma sulla base di quanto si pu verificare nei fatti, gli esponenti dello star system architettonico nazionale e internazionale, spesso improvvidamente invocati dalle pubbliche amministrazioni. Pochi anni fa s svolto un concorso internazionale per la sistemazione del tempio-duomo di Pozzuoli. Si tratta di un importante tempio romano, trasformato gi in antico in cattedrale, imbarocchito nel corso del Seicento, andato a fuoco negli scorsi anni sessanta, in parte liberato e restaurato dallarchitetto Ezio Bruno De Felice e poi lasciato come cantiere interrotto. Limmagine era quella di mezzo tempio romano che fuoriusciva da un frammento residuo di
58 chiesa cristiana, in un tessuto storico, quello del rione Terra, tanto importante quanto degradato. Nel concorso si rilevato, da parte di tutti i concorrenti, il valido sforzo di risolvere, partendo dal dato storico e di restauro, un tema darchitettura sacra tutto articolato sul rapporto antico-nuovo da istituirsi, nei termini di una riconquistata unit, fra cattedrale, tempio antico e ambiente circostante. Un tema di progetto quanto mai arduo e raffinato, quasi impossibile. Ma oggi i lavori sono pressoch compiuti, secondo il progetto vincitore, quello del gruppo coordinato da Marco Dezzi Bardeschi, ed i risultati appaiono di straordinario interesse (figg. 36-38). Si pu rammentare, poi, il caso di piazza Santo Stefano a Bologna, esempio piuttosto recente e molto valido di sistemazione urbana, curato dagli architetti Roberto Scannavini e Luigi Caccia Dominioni. Non vi si nota nessuna rinuncia al nuovo, anche se esso si esprime con materiali tradizionali, n alcuna rinuncia funzionale, quando si pensi alla predisposizione di percorsi pienamente accessibili, anche ai disabili o, diversamente, al sistema delle caditoie per la raccolta e il convogliamento dellacqua piovana, collocate secondo un sapiente e delicato disegno. Mi sembra un esempio di architettura molto raffinata che, partendo dalla memoria di alcuni tracciati storici, viene tradotta in un disegno unitario e, ad un osservatore esterno, si presenta, accanto ai grandi portici in legno, come un manufatto che, idealmente, l c sempre stato. una novit, assolutamente attuale, che ha il modo di porsi di qualcosa che gode della stabilit necessaria per durare, non solo materialmente ma anche figurativamente. Un moderno tanto coerente e poetico da sembrare, secondo la nota espressione di Plutarco, per la sua bellezza subito antico. 36
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Oppure si consideri la piazza di Montecitorio in Roma (la quale deve il suo nome al fatto di elevarsi su un piccolo monte) recuperata dallarchitetto Franco Zagari con unoperazione forse ardita in termini di restauro, dato che sono stati rimossi alcuni gradini daccesso al palazzo del Parlamento per ricreare la modesta pendice dellantico monte. La soluzione realizzata di grande finezza, lavorata su una delicata modulazione del terreno, sulluso di pochi, solidi e sperimentati materiali, sullaggiunta, a pavimento, di alcune stelle in metallo che rappresentano il valore pubblico e nazionale di quella piazza. In Roma abbiamo anche il caso di piazza di Pietra, caratterizzata dalla presenza del grande tempio dellimperatore Adriano, ove lavvenuta pedonalizzazione ed una sistemazione minimalista della pavimentazione hanno contribuito a creare uno spazio accogliente, in modo non effimero ma durevole. Fra gli altri esempi positivi si pu pensare al lavoro di Boris Podrecca nella sistemazione dun importante percorso nel cuore di Verona, al lavoro di Paolo Portoghesi in piazza della Scala a Milano, a quello di Giuseppe Strappa in piazza Mastai a Roma e via dicendo. N mancano, naturalmente, gli esempi negativi, per povert o casualit di disegno o per gravi difetti di realizzazione. 37 38
60 Non un problema di progettazione specia- listica ma di sensibilit e di metodo; forse anche un problema di ricerca e scambio fra competenze diverse, ma sempre sulla base di solide capacit progettuali. Fra gli esempi pi riusciti la sistemazione della piccola Piazza del Lavatoio a Sutri, nellalto Lazio; un caso dintelligente reintegrazione duna lacuna urbana e di raffinata addizione di unarchitettura moderna in un ambiente antico (architetti Luigi Franciosini e Riccardo DAquino). Architettura davvero sensibile al sito, costruita con materiali tradizionali ma rivisitati e reinterpretati in modo assolutamente attuale (figg. 39-40). Un caso diverso ma molto interessante, questa volta spagnolo, la ricostruzione, ad opera dellarchitetto Antonio Jimnez Torrecillas, fra il 2000 e il 2006, duna porzione di circa quaranta metri, crollata nellOttocento, della cinquecentesca muralla nazar nellAlbaicn Alto di Granada. Il progetto ha contemplato la restituzione della trama perduta della muraglia e ladeguamento paesaggistico di tutto il complesso. Rispettati i percorsi e le loro pavimentazioni, la muraglia stata completata con unopera nuova trattata como si fuera la reintegracin de una laguna pictrica (Hernndez 2008, p. 10), separando strutturalmente la nuova costruzione dallantica, usando materali differenti e rispettando i consueti criteri della reversibilit, compatibilit, riconoscibilit e autenticit espressiva gi adottati, molti decenni orsono, da Leopoldo Torres Balbs nel restauro del portico settentrionale della vicina Alhambra. Ne risultato uno spazio suggestivo ed evocativo, di grande qualit, premiato o segnalato in occasione di vari premi, fra cui il Premio Mies van der Rohe 2007 (figg. 41- 42). Sono necessarie, quindi, attenzione, pazienza, capacit di ascolto del 39 40
61 sito e chiarezza metodologica; qua- lit tuttaltro che diffuse, sovente surrogate da ap- procci gestuali ed emotivi, superficiali o giocati su banali effetti di contrasto, perlopi legati a mode caduche. Sul fronte dei progettisti, ma primancora delle scuole darchitettura, si rileva in effetti una formazione troppo incerta e frettolosa riguardo ai temi della progettazione in presenza dellantico: non sinsegna e quasi si rigetta con fastidio quellesercizio alla pazienza nellascolto e nella comprensione delle testimonianze storico-artistiche del passato cui prima si faceva riferimento. Si sconta, quindi, un approccio culturalmente poco consapevole, tanto pi dannoso quanto pi ci si trovi ad operare, ed precisamente il caso dellItalia, in contesti storicamente densi. Si notano dunque, in primo luogo, carenze culturali di base, con negative ricadute sullapproccio progettuale. Ma anche da parte delle soprintendenze si osserva spesso una chiusura, per incapacit e, molte volte, rifiuto distituire un dialogo coi professionisti durante le fasi di progettazione; si trova, da parte di molti (anche se, da qualche anno, con crescenti eccezioni) pi comodo aspettare che il progetto arrivi a conclusione per poi respingerlo o modificarlo, fino a stravolgerlo, con una serie di prescrizioni sovente incentrate su punti inessenziali o su semplici questioni di gusto. Manca, in sostanza, una diffusa e operante riflessione sul tema del rapporto antico-nuovo. Lo stesso credo che avvenga in campo propriamente urbanistico, dove la scala pi opportuna, quella del town design, implicante il controllo delle volumetrie, dei pieni e dei vuoti, della terza dimensione, tutto ai fini di unattenta predisposizione dei successivi sviluppi progettuali architettonici, 41 42
62 sacrificata a scelte pianificatorie pi generali e, in qualche modo, astratte, erroneamente considerate in s risolutive. Inoltre lopinione pubblica assume sovente posizioni antimoderne: identifica larchitettura contemporanea e la stessa esperienza dellarte odierna con la pura speculazione edilizia e con il brutto. Affermazione di grande effetto, per alcuni versi comprensibile, considerato il grande divario fra ricerca e prassi professionale (Fiorani 2011), ma non vera. Eppure molte persone, fra cui Vittorio Sgarbi e la maggior parte degli attuali esponenti dellassociazione Italia Nostra, sostengono che nei centri storici sia meglio costruire allantica mentre il moderno va riservato alle periferie: Il rapporto tra antico e moderno nella citt si pone non gi al livello edilizio per incompatibili accostamenti e velleitari confronti, ma nella dimensione urbanistica, perch il risanamento dei centri storici e la costruzione della citt moderna sono operazioni diverse nel metodo, ma complementari, essendo la vitalit dellinsediamento storico direttamente condizionata dalla corretta organizzazione della citt nuova e dallequilibrio delle rispettive funzioni e agli architetti di oggi affidato il compito arduo, che ancora attende di essere adempiuto, di riscattare i pi recenti insediamenti urbani dalla mortificante condizione di periferia della citt storica, per restituirli alla dignit di autentica citt moderna (Losavio 2009, pp. 13-14). Tutto il nostro ragionamento tende a dimostrare che, al di l di incompatibili accostamenti e velleitari confronti, esiste una produzione architettonica di restauro e anche solo di sapiente dialogo con lantico che non si pu liquidare sommariamente. La questione pi complessa e va affrontata meno schematicamente pur se ben comprensibile appare latteggiamento difensivo e caustico di Giovanni Losavio, gi presidente di Italia Nostra, a fronte dello scempio, accentuatosi di recente, di citt e paesaggi. Costruire in stile, alla maniera del principe Carlo dInghilterra, vorrebbe dire, per, elevare scenografie e non architetture, oppure, pi seriamente e
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filologicamente, costruire davvero, in tutto e per tutto, come se fossimo nel Cinque o nel Seicento, il che antistorico, oltre che improponibile (anche per la stessa cosiddetta archeologia sperimentale) a motivo dei vuoti di conoscenza impossibili da colmare e perch diversi sono i materiali, le maestranze, le tecniche, le condizioni sociali ed economiche, le responsabilit, le normative edilizie ecc. Questa tendenza alla costruzione di scenografie rassicuranti, di maschere architettoniche in cartapesta dietro le quali vivono faticosamente strutture e impianti moderni, ricorrente, soprattutto nel caso della perdita repentina di edifici-simbolo. Piace al grande pubblico ed propagandata dai mass media, sovente disinformati; non crea problemi di scelta agli amministratori e cos via. una soluzione vincente e gradita ma ci non toglie che sia rinunciataria e sbagliata. Quanto ai mass media ed in specie al pi potente di essi, la televisione, va detto con franchezza che la divulgazione scientifica in Italia profondamente carente ed in mano ad orecchianti. Escluse pochissime eccezioni, come, per esempio, Giuseppe Breveglieri, un ottimo giornalista prematuramente scomparso, che usava documentarsi seriamente e che, di conseguenza, esprimeva unalta professionalit, il panorama desolatamente vuoto. Il richiamo oggi al comera e dovera un modo di esprimersi letterario, proprio di chi non ha esperienza di progetto n idea di 43
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che cosa significhi realmente costruire in stile. Vuol dire presumere di comprendere e restituire tutta la realt storica di un antico manufatto? Ricopiare una costruzione esistente? Ispirarsi ad una famiglia di edifici e trarre da ognuno ci che pi interessa? Estendere lespressione stilistica solo ad alcune parti del nuovo edificio, come si vorrebbe fare per il Berliner Schloss, oppure essere coerenti fino in fondo? Chiunque sinteressi di storia dellarchitettura sa che non si tratta di unoperazione scientifica n realmente filologica ma, sempre, duna personale interpretazione, di progettazione inesorabilmente moderna pur se retrospettiva, carica dincertezze, dinterpolazioni, di rischi. Primo fra tutti quello di far passare per vera la propria, contingente e soggettiva ricostruzione dei fatti. Tuttavia, osserva C. Varagnoli (2006, pp. 235-236), oggi lo sguardo retrospettivo cela un disagio del presenteGli italiani guardano al patrimonio architettonico della tradizione perch il linguaggio della contemporaneit non offre loro luoghi e forme nelle quali identificarsi. evidente che questa situazione nuoce allo stesso restauro, a cui viene affidato un ruolo nostalgico e consolatorio. Ma questo atteggiamento retrospettivo anche, molte volte, un modo di tacitare la propria coscienza dopo i danni inflitti al patrimonio. Proprio a Berlino il novanta per cento della citt risultato devastato non tanto dalla guerra o dalla successiva ruderizzazione ma dagli interventi attuati nei decenni successivi. In effetti il Berliner Schloss, edificato nel XV secolo e 44
65 cuore identitario della citt, stato demolito solo nel 1950, perch simbolo del nazionalismo prussiano e sostituito, nel 1976, dal nuovo Palazzo della Repubblica: quello che oggi si sta demolendo per ricostruire, secondo il progetto dellarchitetto Bernd Niebuhr, tre dei quattro prospetti esterni delloriginario castello insieme ad una delle due corti interne, con il resto del lotto occupato da forme contemporanee (Vivio 2009, pp. 10-12). Si parlato prima di tacitazione della coscienza ma giustamente Beatrice Vivio osserva che la ricostruzione storica decisa allinterno del fenomeno promozionale della citt berlinese assume le sembianze di uno strumento scenografico di attrazione per scopi commerciali (figg. 43-45). Penso invece che un centro storico vada possibilmente lasciato in pace e conservato nella sua complessa e ricca storicit. Tale richiesta non significa affatto dimenticarlo ma, al contrario, lavorarci dentro, coi criteri del restauro architettonico e urbano. La premessa dovr essere, sempre, di tipo urbanistico, al fine di creare le auspicabili condizioni dun suo possibile uso senza consumo; in altre parole un uso commisurato alla natura del centro antico stesso. Se ogni aspettativa viene riversata sul centro storico esso scoppier per eccesso di funzioni; viceversa soffrir per abbandono e svuotamento sociale e funzionale. Pericolosa anche la monofunzionalit, pur solamente turistica, produttrice di citt false. Dovrebbe realizzarsi un equilibrio nella distribuzione delle funzioni e delledificato sul territorio, magari tornando un po alle idee dinizio Novecento che prevedevano una sapiente articolazione fra centro storico, parchi e giardini, citt moderna, nuclei decentrati in forma di citt giardino, natura, campagna.Una preliminare riflessione sulla citt il cuore di tutti i problemi di cui abbiamo finora discusso, non solo quelli 45 45
66 relativi ai percorsi, alle strade e alla mobilit ma anche alleconomia della citt, ai fenomeni sociali, al modo di viverla. Eppure il nostro Paese e le sue citt sembrano destinate ad una spirale di degrado senza fine. Non vedo n volont, n idee o iniziative, da qualsiasi parte politica, che mostrino di contrapporsi a questa tendenza. Il tema del patrimonio culturale e quello del recupero sono tanto conclamati quanto sostanzialmente ignorati o mistificati; ci nonostante le forti e positive implicazioni economiche, per il futuro, sempre meno industriale e manifatturiero della nostra nazione, e sempre pi da giocarsi sullofferta di servizi qualificati, fra cui, in primo luogo, quelli del turismo culturale. Citt e territorio, in sostanza, richiedono uno sforzo di vera ed estesa riqualificazione: estetica, formale, funzionale, ambientale ed anche di qualit della vita. In questa prospettiva si consideri il singolare restauro, in buona parte ricostruttivo, pur sempre nel rispetto della distinguibilit, delle mura tardoromane di Gijn nelle Asturie, in Spagna, accompagnato dalla creazione di un parco archeologico (1989-90), dalla musealizzazione sotterranea delle terme della citt romana e dalla ricostruzione di una vecchia torre di guardia demolita nel 1911. Tutto lintervento pu sembrare a prima vista eccessivo ma, spiega nuovamente A. Hernndez (2008, pp. 2- 4), esso fa parte dun pi ampio piano strategico, predisposto dallarchitetto Francisco Pol, di recupero del centro urbano, che si trovava in condizioni di grave degrado strutturale, economico e sociale. Esso, quindi, mira ad integrarsi con i problemi del contesto entro il quale si colloca, secondo una precisa volont di riqualificazione degli spazi pubblici, sostenuta anche da una politica dattribuzione di nuove funzioni agli edifici storici. Ormai a distanza di molti anni si pu affermare che i risultati siano stati positivi, anche perch sulliniziativa pubblica si poi innescata quella privata, fino a 46 46
67 giungere al recupero dello stesso vecchio porto marinaro, convertito in un moderno porto sportivo. Secondo lesplicita raccomandazione della Carta europea del patrimonio architettonico e della Dichiarazione di Amsterdam, ambedue risalenti al 1975, ogni proposta di restauro dovr essere integrata ai temi fondamentali dellurbanistica e dellattribuzione di funzioni duso compatibili. Su tali basi di principio sar poi necessario sviluppare programmi e proposte di progetto avvalendosi di gruppi di studio e professionali realmente multidisciplinari (urbanisti, sociologi, architetti, restauratori, strutturisti, impiantisti, esperti deconomia e di gestione ecc.) guidati dalla volont di conservare bens la citt antica, come insieme unitario di valore storico ed estetico, ma introducendovi elementi di vita nuovi. Ci anche lavorando con calibrati innesti moderni, indispensabili a rendere, pur con tutte le cautele, il complesso rispondente alle odierne esigenze. Meritano di essere ricordate, a questo proposito, le affermazioni di Franco Purini sulla possibilit di produrre, col restauro, un nuovo ordine di valori architettonici (De Fazio 2006, p. 5).
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6. Conclusioni Tanto nella pratica del riuso quanto in quella dun intervento prevaricante sulle preesistenze il nuovo, e non lantico, a dettare le regole e a dare senso alla preesistenza, con il che ci si colloca subito fuori del restauro, per il quale la preesistenza costituisce gi in s e per s un valore. Anzi un valore compiuto, ricco di significato, unico e irripetibile. Claudio Varagnoli (2002, p. 4), che ha studiato largomento con grande attenzione, ha osservato lattitudine a trattare la preesistenza come un interlocutore muto; da qui la rinuncia, per incapacit o per convinzione da parte del progettista, a rileggere il passato come sistema di segni. Invece, nelle realizzazioni pi riuscite si propone una rilettura di sensi e di evocazioni, un tentativo di suggerire pi che di raccontare. ci che egli afferma riguardo al singolare restauro del teatro greco di Eraclea Minoa, opera di Franco Minissi che esprime la fiducia nelle capacit didattiche del 48 49
69 progetto accetta il rudere e ne agevola la rilettura utilizzando mate- riali moderni, secondo il principio della reversibilit dellintervento. Per converso egli legge lintervento di Giorgio Grassi sul teatro romano di Sagunto come un edificio che si sovrappone allantico e quasi vi si sostituisce nella sua perentoria irreversibilit, cogliendo dal manufatto antico ogni indicazione per ricostruire innanzitutto lidea di teatro. Se lopera di Grassi si pone a margine, se non, esplicitamente, contro le ragioni della preservazione dei materiali indispensabili alla ricerca storico- archeologica (sostituendovi una propria ipostasi interpretativa e restitutiva), il lavoro di Minissi - espressione di un altro momento non solo del restauro ma dellarchitettura italiana in s - muove da presupposti totalmente diversi e, nonostante quanto possa sembrare in base alle date, molto pi aggiornati (figg. 46-51). Si anche visto come la risposta che, in termini architettonici, si cerca al problema delleventuale innesto del nuovo sullantico non debba necessariamente prediligere linee linguistiche, analogiche, di contrasto o dindifferenza, dun tipo o dellaltro: la scelta va commisurata e inverata caso per caso, come dimostrano la flessibilit in materia di molti architetti e lormai ampio e variegato panorama degli esiti di qualit (da quelli dimpronta analogica, alla maniera spagnola, a quelli sapientemente giocati in termini di rispettoso contrasto e con una vena organica di Giovanni Bulian e Andrea Bruno, insieme con Guido Canali due delle figure in assoluto pi interessanti; ma anche dalcuni pi giovani architetti, tutti capaci di coniugare intelligente - mente raffinata invenzione, riguardo storico e senso della misura, traducendoli in una solida costruttivit). una questione, in primo luogo, di sensibilit, metodo e capacit, autenticamente critica, di 50 50 50
70 sapersi sempre rimettere in discussione, di cambiare, di reagire agli stimoli delle preesistenze e del sito; esiste, semmai, il problema, ricadente tutto sulle spalle dellarchitetto e non delegabile ad altri, di saper controllare lintero processo capace di condurre a buon esito il progetto e la successiva realizzazione. In tale processo risulta determinante limpegno conservativo, escludendo il quale ci si pone automaticamente al di fuori del restauro per ricadere nel pi generico ambito del rapporto con le preesistenze (recupero, ristrutturazione, riqualificazione, recycling ecc.): esso nasce dal dovere di trasmettere al futuro le testimonianze materiali di storia e di bellezza che provengono dal passato e di cui siamo semplicemente custodi, alterandole il meno possibile sia in termini di rimozione sia, anche, daggiunte. Tutto ci secondo il criterio del minimo intervento, sul quale ci si pi volte soffermati osservando come esso non costituisca unoffesa alla creativit ma solo, se affidato a buone mani, uno stimolo ulteriore allaffinamento progettuale come, in fondo, lo sono tutti gli altri vincoli esterni, propri dellarchitettura. Ma la questione del metodo rientra anche in tematiche che, pur prossime, propriamente di restauro non sono. interessante quanto scrive Andrea Sciascia (Il progetto 2007, p. 61), riprendendo alcune osservazioni critiche di Michael Sorkin (1992), sui progetti per lampliamento, poi non rea- lizzato, del Kimbell Art Museum di Fort Worth, e del Guggenheim Museum di New York, portato a termine, i quali forse trovano fondamento nelle reali originarie intenzioni di Louis I. Kahn e di Frank Lloyd Wright ma sembrano aver totalmente smarrito la strada del metodo. Nel concludere ribadiamo il punto che, di tutta questa riflessione, pi ci sta a cuore: premesso che, a nostro avviso, non esiste nessuna incompatibilit a priori circa la convivenza di antico e nuovo, a tale riguardo non si pone un 51
71 problema di definizione linguistica ma una richiesta di metodo (conoscere, capire, apprezzare e rispettare, poi progettare) e di un atteggiamento dascolto. Tutto il resto viene di conseguenza. Si ricordi poi il rischio dellerrore, nel quale a nostro avviso caduto Manfredo Tafuri, di scindere il processo metodologico di cui s appena detto, separando lo studio storico e lanalisi tecnica (materiali, degrado ecc.) dal progetto. Il processo unitario e attiene ad una figura propria e matura di architetto, non ad una sommatoria di specialismi. Daltra parte stato giustamente detto che misurarsi con lesistente gi restauro: ad ogni scala, delloggetto, dellarchitettura, del territorio e del paesaggio. Ci vale sempre ma ancor pi in un Paese fortemente segnato dallazione delluomo come il nostro.
72 Postfazione Donatella Scatena Il dibattito a distanza sulla centralit del progetto, aperto da questa serie di lezioni magistrali della Facolt di Architettura di Roma si arricchisce, con la lecture del professor Carbonara, della visione della disciplina del restauro. Giovanni Carbonara nel suo saggio ci offre una sintetica ma allo stesso tempo puntuale definizione del restauro, cercando di svelare il carattere operativo della materia disciplinare e il suo essere tematica attuale, libera oramai da tutte quelle teorie che hanno dato vita al luogo comune del restauro come pura conservazione o, al contrario, come puro ripristino. La lectio in questione inoltre ben rispetta il carattere didattico della collana: essa mette a disposizione dello studente, dell'esperto in materia o di chiunque voglia riflettervi, una esaustiva visione delle vitali questioni che oggi orbitano intorno al restauro. E molti sono i nomi che hanno dato validi apporti alla teoria del restauro nonch progetti di restauro che sono citati e commentati allinterno dello scritto. La tematica qui presentata dal professor Carbonara tanto pi importante se inquadrata dentro la realt del territorio romano caratterizzato da un paesaggio storico deccellenza. Parlare di restauro oggi significa estendere il campo della riflessione allintero organismo citt e capire come poter operare allinterno dello stesso, evitando nostalgici rifacimenti e azioni pericolose (ricordo, a riguardo, lesempio citato nel testo del tema delle antiche superfici intonacate e quello del colore di Roma) che stanno seriamente compromettendo il paesaggio della nostra citt. Daltra parte il dibattito intorno alla materia non un problema circoscritto ai soli studiosi ma riguarda gli architetti tutti, in quanto per legge abilitati ad esercitare il restauro. Alla luce di tali considerazioni notevole appare il
73 lavoro compiuto del professore Carbonara, di delineare nello spazio di una lezione unica, un quadro esauriente della situazione legata alla realt italiana e allo stesso tempo di fornire unaccurata bibliografia che predispone largomento ad ulteriori approfondimenti. Il contenuto della lectio, sottolineo, volto in particolare a rintracciare i contenuti di questa disciplina che scardinano uno storico luogo comune infondato e frutto di un approccio superficiale alla materia che vedrebbe in questa solo conservazione, mummificazione, e anzi un limite ad un approccio contemporaneo alla citt. Il restauro non conservazione significa che progetto di architettura, ha quindi un carattere operativo, ma poich unazione che si inserisce e si sovrappone a preziosi manufatti necessita di un particolare tipo di approccio, che deve essere innanzitutto colto e critico, e che comporta lobbligo di scelte caute, misurate e molto ragionate . Come ogni progetto, il restauro produce segni, e questi al di l del linguaggio fanno parte della nostra contemporaneit, sono segni che rappresentano un ulteriore stratificazione della nostra citt, e che devono nascere dopo un attento e profondo studio della storia. Ascoltare la storia cos come ascoltare il luogo non rappresentano pratiche avulse dal presente, ma si inseriscono in questo come valori anzi, oserei dire, plus-valori, che se attentamente considerati possono rappresentare il carattere distintivo dellarchitettura romana, nonch italiana. Lungi dallessere uno sguardo rassegnato rivolto al passato, il restauro si proietta spontaneamente verso il futuro, si colloca (e non potrebbe essere altrimenti) nella contemporaneit (in quel terzo tempo di cui parla Cesare Brandi nella sua Teoria) e ancora ha valore formativo ed educativo, non meramente erudito, e si rivolge in primo luogo alle giovani generazioni, per lasciare loro un patrimonio unico e irripetibile, come s detto, non su memoria digitale ma nella flagranza della sua materia autentica. Ripartire dallantico non significa sostare allinterno di una dimensione che esime da qualsiasi tipo di rapporto con la contemporaneit o che addirittura si pone in contrasto con essa divenendo causa di unimmagine di Roma
74 poco contemporanea e che poco si avvicina a quelle di altre capitali europee. Carbonara a riguardo ci ricorda come questo pensiero, utilizzato spesso come slogan elettorale, sia poco veritiero rispetto a quelli che sono i reali problemi della citt. E inoltre, lungi dal far nascere posizioni risolutive rispetto ai conflitti della citt contemporanea, crea immagini mistificate intorno ai concetti dellantico e della storia nella cultura romana identificando questi non come importante risorsa per il nostro territorio bens come freno alla progettazione di una non ben identificata citt del futuro. Donatella Scatena
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79 Immagini 1. Roma, Palatino, Casa di Ottaviano (42-36 a.C.), dettaglio del quadriportico, restituzione grafica di D. Bruno. 2. Roma, Foro di Traiano, Basilica Ulpia (inizi II sec. d.C.), proposta di anastilosi, arch. P. Martellotti. 3. Cartoceto (Ancona), gruppo equestre (50-30 a.C.), frammenti dopo lintervento di pulitura e conservazione dei bronzi. 4. Ancona, Museo Archeologico, gruppo equestre, restauro e allestimento espositivo curato dallarch. F. Minissi. 5. Ancona, Museo Archeologico, gruppo equestre da Cartoceto, copia reintegrata di uno dei due cavalieri. 6. Baia, Museo Archeologico dei Campi Flegrei, monumento equestre a Domiziano-Nerva da Capo Miseno (I sec. d.C.), restauro e presentazione museale, arch. P. Martellotti; struttura in legno di tiglio, F. Santilli. 7. Viterbo, S. Marco, Annunciazione di Maestro ignoto, esempio di reintegrazione a tratteggio o rigatino, restauro dei danni, provocati dal terremoto del 1971, condotto dallIstituto Centrale del Restauro. 0 8. Firenze, Museo dellOpera di S. Croce, Crocifisso di Cimabue (XIII sec.), restauro dei danni, provocati dallalluvione del 1966, condotto dallOpificio delle Pietre Dure. 9. Roma, Parco di Veio, tempio di Apollo (VI-V sec. a.C.), ricostruzione indicativa (1992), arch. F. Ceschi. 10, 11. Castelnuovo di Farfa (Rieti), Museo dellOlio, chiesa di S. Donato (IX sec.), vista interna ed esterna, reintegrazione moderna della parte absidale (2000- 01), archh. M. Benedetti e S. Di Martino. 12. Roma, Colosseo (I sec. d.C.), sperone occidentale di consolidamento (1806- 07), arch. R. Stern. 13. Roma, Arco di Tito (I sec. d. C.), restauro (1818-24), archh. R. Stern e G. Valadier. 14. Medina de Rioseco (Spagna), chiesa di S. Croce, reintegrazione (1985-88), arch. J.I. Linazasoro. 15,16. Madrid, Banco de Espaa (XIX-XX sec.), architettura di completamento (1978- 80, 2002-06), vista dinsieme e di dettaglio, arch. R. Moneo.
80 17. Siena, Spedale di S. Maria della Scala, restauro e sistemazione museale (1998-2006), arch. G. Canali. 18, 19. Milano, Ospedale Maggiore alla Ca Granda, Chiostro della Ghiacciaia, restauro (1948-85), archh .A.Annoni, P. Portaluppi, L. Grassi, e situazione attuale, con aggiunte e modificazioni improprie. 20. Bologna, Oratorio di S. Filippo Neri (XVIII sec.), stato successivo ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. 21, 22. Bologna, Oratorio di S. Filippo Neri, restauro (1998-99), vista dinsieme e dettaglio delle volte, arch. P.L. Cervellati. 23, 24. Koldinghus (Danimarca), Castello, vista dinsieme e di dettaglio, restauro (1972-91), archh. I. e J. Exner. 25, 26. Visegrd (Ungheria), Torre Salomon (XII-XIII sec.), vista esterna e dinterno, restauro (1963-66), arch. J. Sedlmayr. 27, 28. Berlino, Neues Museum (XIX sec.), prospetti esterni, restauro (1997-2009), arch. D. Chipperfield. 29, 30. Berlino, Neues Museum, scalone, situazione prima e dopo il restauro. 31. Monaco (Germania), Alte Pinakothek, restauro (1948-57), arch. H. Dllgast. 32. Roma, Museo Archeologico Nazionale nelle Terme di Diocleziano, Sala Ottagona, restauro e sistemazione museale, arch. G. Bulian. 33. Prato, Cassero dei Fiorentini (XIV sec.), restauro (1999-2000), archh. R. Dalla Negra e P. Ruschi. 34, 35. Milano, Grattacielo Pirelli, arch. G. Ponti, stato prima e dopo il restauro. 36, 37, 38. Pozzuoli (Napoli), Tempio-Duomo, restauro, viste esterne e dinterno, ing. arch. M. Dezzi Bardeschi. 39, 40. Sutri (Viterbo), Piazza del Lavatoio, sistemazione urbana e di dettaglio, archh. L. Franciosini e R. DAquino. 41, 42. Granada, muralla nazar (XVI sec.), vista esterna ed interna, reintegrazione (2000-06), arch. A. Jimnez Torrecillas. 43. Berlino, Schloss (XV sec.), prima dei bombardamenti e della demolizione avvenuta nel 1950. 44. Berlino, Palazzo della Repubblica (1976), costruito in luogo del castello ed ora in fase di demolizione. 45. Berlino, ipotesi di ricostruzione dello Schloss, simulazione al vero. 46, 47. Eraclea Minoa (Agrigento), Teatro greco, la cavea e un dettaglio della protezione delle gradinate, oggi rimossa, dopo il restauro (1960-63), arch. F. Minissi.
81 48. Eraclea Minoa, Teatro greco, lattuale protezione della cavea. 49,50,51. Piazza Armerina (Enna),Villa romana del Casale, protezione e sistemazione museale (1958-67), vedute esterne ed interna, arch. F. Minissi.