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Canto XIX

Dal ponte sulla terza bolgia Dante osserva il fondo, tutto disseminato di fori nella pietra tondi e
larghi quanto i bacili battesimali di San Giovanni a Firenze: nei fori sono infilati a testa in gi gli
ecclesiastici che fecero commercio dei beni sacri, i simoniaci, di cui spuntano solo le gambe, che
guizzano e scalciano a causa del fuoco appiccato alle piante dei piedi. Per poter parlare con un
dannato Dante e Virgilio scendono nella bolgia, e si accostano al foro dove conficcato papa Niccol
III, che spiega un iniziale equivoco con il fatto che in attesa dell'arrivo di papa Bonifacio VIII
prima, e poi di Clemente V, che prenderanno il suo posto spingendolo in profondit fra le fessure
della roccia. Dante replica con una dura condanna della degenerazione della chiesa, che per avarizia
ha abbandonato gli insegnamenti evangelici e si dedicata alla cupida venerazione del denaro. Quindi,
per risalire la riva del fossato, Virgilio prende Dante in braccio e lo porta sull'argine della quarta
bolgia.
Canto XX
Nella quarta bolgia il contrappasso punisce la presunzione umana di divinare il futuro: gli indovini
hanno la testa e il collo girati al contrario, cos che, non potendo guardare avanti, sono costretti a
camminare all'indietro procedendo lentamente e bagnando di lacrime il dorso. Anche Dante non
trattiene il pianto alla vista della figura umana cos deturpata, ma aspramente rimproverato della
sua immotivata compassione di fronte alla giustizia divina; quindi Virgilio gli mostra i maghi e gli
indovini dell'antichit, Tiresia, Arunte, e Manto che gli offre il modo di narrare l'origine della citt
di Mantova. Su richiesta di Dante, la guida indica altri indovini, Euripilo, Michele Scotto, Guido
Bonatti e Asdente, solo accennando a maghe e fattucchiere. Infine, Virgilio esorta l'allievo a
riprendere il cammino, perch la luna sta per tramontare sotto Siviglia e quindi sulla terra sono
circa le sei del mattino.
Canto XXI
Dante e Virgilio sono sul ponte che attraversa la quinta bolgia, colma di pece bollente entro la
quale sono immersi, invisibili, i barattieri. Improvvisamente appare sul ponte un diavolo che porta
sulla spalla un dannato: gettandolo nella pece, fa sapere ai suoi compagni e ai due spettatori che si
tratta di uno degli Anziani di Lucca, citt ricca di pubblici amministratori che si arricchiscono
vendendo per denaro le prerogative concesse ai loro uffici. Il lucchese cerca di liberarsi dalla pece,
emergendo alla superficie, ma i diavoli preposti alla custodia dei dannati minacciano di straziarlo con
i loro uncini se non si terr ben nascosto entro la pece. Dopo aver fatto nascondere Dante, Virgilio
arriva sul sesto argine per trattare con i diavoli che nel frattempo sono sbucati dalla loro tana
sotto il ponte: dal capo Malacoda ottiene l'assicurazione all'incolumit sua e del suo allievo, che
quindi richiama dal nascondiglio. Malacoda offre ai due una scorta di dieci diavoli fino al prossimo
passaggio per la bolgia successiva, dato che il sesto ponte crollato a seguito del terremoto
concomitante alla morte di Cristo. Il diavolo mescola verit e menzogna, perch il terremoto ha
fatto crollare tutti i ponti e non esiste nessun passaggio praticabile sulla sesta bolgia. Costretti a
malincuore ad accettare l'offerta, Dante e Virgilio si incamminano sull'argine in compagnia della
minacciosa e tragicomica scorta.
Canto XXII
Con la scorta dei dieci diavoli Virgilio e Dante procedono lungo l'argine cercando di riconoscere
qualche barattiere. Il diavolo Graffiacane afferra con l'uncino un peccatore emerso per cercare
ristoro dalla pece e lo tira su, nero come una lontra: mentre i diavoli se lo contendono, Ciampolo
di Navarra cerca di prendere tempo parlando di s a Dante e indicandogli altri due compagni di
pena, frate Gomita di Gallura e Michele Zanche di Logudoro. Infine, messo alle strette dai suoi
aguzzini, Ciampolo propone un patto: se si allontaneranno un po', lui far emergere sette dei suoi
compagni richiamandoli con un fischio convenzionale e i diavoli potranno esercitare i loro uncini anche
su di loro. Dopo qualche esitazione e minaccia, il navarrese lasciato libero e ne approfitta per
rituffarsi e scomparire nella pece: i diavoli Alichino e Calcabrina, non riuscendo ad afferrarlo, si
azzuffano fra di loro e finiscono anch'essi nella pece. Mentre Barbariccia e altri diavoli cercano di
ripescare i loro compagni, Dante e Virgilio si allontanano.
Canto XXIII
Per paura che i dieci diavoli, beffati da Ciampolo e umiliati dal tuffo nella pece, possano inseguirli e
attentare alla loro incolumit, Virgilio corre precipitosamente verso la sesta bolgia portando Dante
in braccio come fa una madre con il figlio: non appena in salvo, i due vedono comparire sull'argine i
diavoli, ormai inoffensivi perch incapaci di allontanarsi dal fossato a cui li ha ordinati la giustizia
divina. La nuova bolgia affollata dagli ipocriti, che camminano lentamente sotto il peso di cappe
di piombo, esternamente dorate. Mentre i due procedono camminando sul fondo della bolgia, un
dannato riconosce Dante dalla sua parlata toscana e lo invita a fermarsi con lui e il suo compagno
di pena: i due ipocriti sono i bolognesi Catalano dei Malavolti e Loderingo degli Andal, fondatori
dell'ordine dei Cavalieri di Maria (detti popolarmente frati Godenti), che insieme furono podest a
Firenze. Crocifisso al suolo della bolgia c' Caifas, che sconta cos, insieme agli altri membri del
Sinedrio, la condanna a morte di Cristo. Infine Virgilio domanda a Catalano di indicargli la via per la
risalita: scopre cos che tutti i ponti sulla bolgia sono franati, e che il diavolo Malacoda gli ha
mentito.

Canto XXIV
Dante e Virgilio giungono alla rovina del ponte crollato, tanto erta da essere impraticabile al vivo;
dopo l'iniziale turbamento della guida e di riflesso anche dell'allievo per la difficolt della risalita,
Virgilio esorta Dante e lo aiuta nell'impresa che infine, dopo molta fatica e qualche rischio, li
conduce sull'argine della settima bolgia. Dal nuovo fossato si leva una voce incomprensibile: dato che
l'oscurit non permette di vedere dal ponte quello che succede sul fondo, i due scendono nella
bolgia. Il luogo infestato da ogni tipo di serpenti, con i quali sono legate dietro la schiena le mani
dei peccatori, i ladri. Uno di questi, trafitto fra il collo e le spalle da una serpe, viene incenerito
all'istante, ma, subito dopo, riprende sembianze umane risorgendo dalle sue ceneri come l'araba
fenice. A compiere la metamorfosi il pistoiese Vanni Fucci, ladro sacrilego, che, per vendicarsi della
curiosit di Dante, gli profetizza l'ascesa dei guelfi neri a Firenze e la rovinosa sconfitta della parte
bianca a Pistoia.
Canto XXV
Terminata la profezia, Vanni Fucci rivolge a Dio un gesto osceno di sfida, ma la sua superbia viene
immediatamente punita dai serpenti che lo avvolgono fino a bloccarne i movimenti e le parole.
Dante commenta l'intero episodio rivolgendo una dura invettiva contro Pistoia. Quindi compare
Caco, il centauro colpevole del furto degli armenti di Ercole, con il dorso ricoperto di bisce. Lo
seguono tre ladri, due dei quali subiscono metamorfosi: il primo si fonde con un serpente a sei piedi
che lo ha avvinghiato come edera all'albero, formando una sola mostruosa creatura, il secondo si
trasforma in serpe dopo essere stato trafitto da un serpentello che, contemporaneamente, diventa
uomo. Nell'unico ladro che ha mantenuto il suo aspetto umano Dante riconosce Puccio Sciancato e
nel serpente trasformato in uomo Francesco dei Cavalcanti, fiorentini come tutti gli altri
protagonisti di queste metamorfosi.
Canto XXVI
Dante trasforma il suo sdegno per i tanti fiorentini incontrati all'Inferno in un'aspra invettiva
contro la sua citt, per la quale pronostica le sciagure che le augurano tutti i comuni toscani
sottomessi al suo dominio. Quindi Dante e Virgilio risalgono il dirupo, fino a raggiungere l'argine da
dove visibile l'ottava bolgia. Il fossato disseminato di fiamme in movimento, simili a lucciole in
una sera d'estate, e ciascuna di esse custodisce un peccatore, colpevole di un aver suggerito e
consigliato una frode. Restando sulla sommit del ponte, Dante nota una fiamma biforcuta ed
esprime il desiderio di sapere chi cela; dopo aver saputo che vi sono puniti insieme Ulisse e
Diomede, corresponsabili sia dell'inganno del cavallo che permise ai greci di espugnare Troia sia del
furto fraudolento della statua di Pallade, prega la sua guida di far avvicinare la fiamma. Virgilio
acconsente al desiderio, ma riserva a s il compito di interrogarla: dalla lingua di fuoco Ulisse gli
parla della sua sete di conoscenza del mondo e degli uomini, che lo condusse a lasciare la patria per
intrapprendere un viaggio oltre le Colonne d'Ercole. Sfidando i divieti divini, Ulisse con un ristretto
gruppo di compagni giunse in mare aperto: ma, ormai in vista della montagna del Purgatorio, un
turbine inabiss la loro nave prima che potessero raggiungere la meta del loro desiderio di sapere.
Canto XXVII
Non appena la fiamma che nasconde Ulisse smette di crepitare, da un'altra esce una voce dapprima
confusa ma poi distinta e comprensibile quando si rivolge a Virgilio, che ha riconosciuto essere
lombardo, per chiedere notizie della situazione politica in Romagna. Di fronte al nuovo peccatore,
questa volta italiano,Virgilio cede la risposta a Dante, che descrive la condizione romagnola come un
continuo susseguirsi di guerre fra i tiranni che dominano la regione, e illustra la geografia delle varie
signorie cittadine all'anno 1300. Il dannato, credendo di parlare con un dannato che mai torner nel
mondo a divulgare ci che sente e vede, racconta di essere Guido da Montefeltro, da conte
divenuto frate francescano per fare ammenda delle sue azioni di frode e d'inganno: ma neppure gli
ordini riuscirono a proteggerlo, dato che il papa Bonifacio VIII lo indusse a peccare nuovamente
promettendogli un'impossibile assoluzione anticipata in cambio di un consiglio fraudolento. Terminata
la sua confessione, Dante e Virgilio si rimettono in cammino fino a giungere sul ponte della nona
bolgia, nella quale sono puniti i seminatori di discordie.
Canto XXVIII
Nella nona bolgia il contrappasso punisce chi semin discordie e provoc scismi, con squartamenti,
mutilazioni e ferite ancor pi sanguinose di quelle provocate dalle guerre pi cruente della storia.
Un diavolo preposto alla punizione, che tanto pi spettacolare e orribile quanto pi grave fu la
colpa del dannato: fra questi Dante incontra Maometto con le interiora e l'intestino che gli
penzolano da uno squarcio fra il mento e l'inguine, e suo genero Al con il volto spaccato dal mento
alla fronte. Dopo aver saputo da Virgilio che Dante vivo, il profeta dell'islamismo gli raccomanda
di avvertire lo scismatico fra Dolcino dell'assedio in cui lo stringer il vescovo di Novara, affinch
possa prepararsi e ritardare il proprio arrivo nella nona bolgia. Anche il romagnolo Pier da Medicina,
con la gola squarciata e privo del naso e di un orecchio, affida a Dante un messaggio per due
eminenti cittadini di Fano, preannunciando un prossimo tradimento del signore di Rimini, citt che
cost cara a un altro dannato, il tribuno Curione che spinse Cesare contro Pompeo e ora porta la
lingua mozzata in gola. Quindi il fiorentino Mosca dei Lamberti con le mani mozzate chiede di
essere ricordato come colui che diede inizio alle faide fra guelfi e ghibellini. Infine si presenta il
trovatore Bertran de Born che, per aver istigato il re Enrico III a ribellarsi al padre, ora
smembrato egli stesso e porta in mano la propria testa come fosse un lume.
Canto XXIX
Dante sconvolto dallo spettacolo cruento della nona bolgia, e solo al rimprovero di Virgilio e
all'esortazione a riprendere il viaggio dichiara la ragione del suo indugio: egli crede di aver
riconosciuto un suo parente fra i seminatori di discordia, il fiorentino Geri del Bello, disdegnoso
verso di lui a causa della morte violenta non ancora vendicata dai congiunti. Quindi Dante e Virgilio
raggiungono il ponte sulla decima e ultima bolgia dove, per l'oscurit, possono solo sentire il puzzo
e i lamenti dei dannati; una volta scesi nel fossato lo vedono occupato dai falsari che giacciono
stipati come in un ospedale, colpiti dalle pi ripugnanti malattie. Fra i dannati i due incontrano
Griffolino d'Arezzo e Capocchio da Siena, appoggiati l'uno alle spalle dell'altro e intenti a grattarsi
le croste della scabbia che li punisce per aver falsificato i metalli praticando l'alchimia. Dante
commenta l'episodio lamentando la vanit dei senesi, confermata anche da Capocchio che elenca
ironicamente alcuni suoi concittadini famosi per la loro vita dissipata.
Canto XXX
Improvvisamente compaiono due anime, pazze di furore: l'una si avventa su Capocchio da Siena, e
azzannandolo al collo lo trascina, l'altra su Griffolino. Ma prima di essere sbranato, l'aretino rivela a
Dante l'identit e il peccato dei due: sono il fiorentino Gianni Schicchi e Mirra, che si finsero
un'altra persona per ottenere favori da un testamento l'uno, l'altra per commettere adulterio con
il padre. Quindi a Dante appare un dannato, con il ventre rigonfio per l'idropisia, che confessa di
essere maestro Adamo, e di aver falsificato il fiorino di Firenze su incarico dei conti Guidi da
Romena, nel Casentino. Su invito di Dante, maestro Adamo denuncia l'identit di due suoi compagni
di pena che sembrano fumare per la febbre: l'una la moglie di Putifarre che accus ingiustamente
Giuseppe, l'altro falsario di parola il greco Sinone che, fingendosi amico, convinse i troiani a far
entrare il cavallo dell'inganno in citt. Sinone reagisce alla denuncia di maestro Adamo, e i due
danno vita a una rissa fatta di tragicomici colpi e di reciproche accuse. Dante rimane intento a
seguire la lite fino a che non lo distolgono i rimproveri di Virgilio per aver dimostrato tanto volgare
interesse.
Canto XXXI
Dante e Virgilio lasciano Malebolge, e, superato l'ultimo argine roccioso, si ritrovano immersi nel
crepuscolo e odono un suono di corno pi terribile di quello lanciato da Orlando a Roncisvalle. Per la
scarsa luce Dante crede di vedere le torri di una citt che sono invece, gli spiega Virgilio, giganti
conficcati attorno al pozzo dalla vita in gi: via via che si avvicinano diminuisce l'errore e aumenta
la paura di Dante. Giunti ai margini del pozzo Virgilio mostra al suo allievo Nembrot, il gigante
responsabile della costruzione della torre di Babele, reso ora incapace di parlare una lingua
comprensibile, poi Fialte che sfid Giove tentando di scalare l'Olimpo e ora incatenato in modo da
non potersi muovere, mentre Briareo, di cui Dante ha chiesto notizie, immobilizzato pi lontano
e non visibile. Accanto a Nembrot conficcato Anteo, il gigante ucciso da Ercole, libero da
catene perch non prese parte alla rivolta contro Giove: dopo averlo blandito, Virgilio gli chiede di
trasportarlo sul fondo del pozzo. Anteo non pu opporsi alla richiesta, quindi distende la mano e
afferra Virgilio, che a sua volta stringe a s Dante; infine depone i due sulla distesa ghiacciata di
Cocito.
Canto XXXII
Dante e Virgilio sono deposti dal gigante Anteo nel nono cerchio, sulla distesa ghiacciata del fiume
Cocito, nella quale sono conficcati i traditori, lividi e tremanti per il freddo. Nella prima zona,
detta Caina, sono puniti i traditori dei congiunti, conficcati nel ghiaccio fino alla cintola e con i visi
rivolti a terra: fra questi peccatori Dante vede uniti insieme dal gelo i fratelli Napoleone e
Alessandro dei conti Alberti, che ancora si dimostrano ira reciproca; quindi Camicione dei Pazzi gli
indica altri traditori di parenti, Mordret che attent alla vita di re Art, il pistoiese Focaccia dei
Cancellieri e il fiorentino Sassolo Mascheroni. Dante e Virgilio si spostano nella seconda regione di
Cocito, Antenora, dove sono puniti i traditori della patria, infissi nel ghiaccio fino al volto: Dante
inavvertitamente colpisce con il piede un peccatore che, nonostante le minacce del vivo, si rifiuta di
dichiarare la sua identit. Viene per smascherato da un compagno di pena: il guelfo Bocca degli
Abati, che durante la battaglia di Montaperti trad la sua parte e ne caus la sconfitta, per poi
goderne i vantaggi passando ai ghibellini. Per vendicarsi Bocca rivela l'identit di chi lo ha appena
denunciato, il cremonese Buoso da Duera che trad Manfredi per il denaro degli Angi, e fa il nome
di altri suoi compagni di pena, il pavese Tesauro dei Beccaria, il fiorentino Gianni dei Sodanieri,
Gano di Maganza e Tebaldello Zambrasi, ricordando il tradimento di ognuno. Infine due peccatori
conficcati insieme nel ghiaccio attirano l'attenzione di Dante, che domanda la ragione per cui l'uno
intento a rodere il cranio dell'altro.
Canto XXXIII
Il peccatore intento a rodere il cranio del compagno narra la sua storia e illustra i motivi del suo
gesto bestiale: il conte Ugolino della Gherardesca, podest di Pisa dopo la sconfitta della Meloria
(1284), accusato di essersi accordato con la parte guelfa e di aver ceduto dei castelli di propriet
comunale ai rivali lucchesi, per questo imprigionato insieme ai suoi quattro figli nella torre della
fame dall'arcivescovo ghibellino Ruggieri degli Ubaldini, di cui ora si ciba per l'eternit. Il racconto di
Ugolino dettagliato solo riguardo alla prigionia e alla morte per fame dei suoi figli, preceduta
dall'offerta al padre di cibarsi di loro. Dante commenta il racconto con una dura invettiva contro
Pisa, novella Tebe, carnefice anche dei figli innocenti. Quindi con Virgilio entra in Tolomea, la terza
regione di Cocito, dove giacciono supini i traditori degli ospiti, le cui lacrime ghiacciate formano una
visiera sugli occhi. Dante avverte la presenza di un vento di cui chiede ragione a Virgilio, ma la
guida rimanda la risposta a quando la causa sar visibile. Con una promessa che poi non mantiene,
Dante induce a parlare il frate godente Alberigo dei Manfredi, che spiega come le anime dei
traditori degli ospiti vengano mandate in Tolomea ancor prima della morte dei corpi, nei quali
vengono sostituite da un demonio: l'esempio fornito dal suo compagno di dannazione, il genovese
Branca Doria assassino del suocero Michele Zanche, che al momento della finzione narrativa era
ancora vivo. Il canto si chiude con una dura invettiva contro i genovesi.
Canto XXXIV
Dante e Virgilio arrivano nell'ultima regione di Cocito e dell'intero Inferno, nella Giudecca dove sono
puniti i traditori dei benefattori, che giacciono in quattro posizioni diverse ma sono tutti
irriconoscibili perch completamente inglobati nel ghiaccio. Al centro della distesa conficcato fino
alla cintola Lucifero, imperatore infernale, tanto bello prima del tradimento quanto mostruoso ora:
ha tre facce, una giallognola, una rossa e una nera, e sei ali di pipistrello che sbattendo danno
origine ai tre venti infernali che gelano Cocito e che avevano in precedenza suscitato la curiosit di
Dante. Nelle tre bocche di Lucifero sono martoriati i tre maggiori traditori, di Dio e dell'impero:
Giuda Iscariota al centro, visibile solo per le gambe che dimena, ai lati Bruto e Cassio che penzolano
all'esterno con la testa. Quindi Dante si stringe a Virgilio che al momento oppurtuno si aggrappa al
corpo peloso di Lucifero e inizia la discesa; arrivati alle anche del re infernale i due si capovolgono, e
continuano l'arrampicata questa volta risalendo, tanto che Dante crede di ritornare all'Inferno.
Invece i due si ritrovano a percorrere un passaggio nella roccia: Dante chiede spiegazioni, e scopre
cos di aver passato il centro della terra al momento del cambio di posizione durante la discesa e di
stare ora risalendo verso l'emisfero occupato dalle acque, dove giorno quando sull'altro notte, e
dove si trova la montagna del Purgatorio. Da questa parte cadde Lucifero, fino a conficcarsi al
centro del globo, a testa in gi rispetto all'eden. Infine Virgilio e Dante, guidati dal suono di un
ruscello, escono all'aria aperta.

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