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SAGGIO SUI COSTUMI

E LO SPIRITO DELLE NAZIONI


(ESSAI SUR LES MCEURS ET UESPRIT
DES NATIONS ET SUR LES
PRINCIPAUX FAITS DE UHISTOIRE
DEPUIS CHARLEMAGNE JUSQUA LOUIS XI II)
CAPITOLI DA XXXII A XCIII
Edizioni per il Club del Libro; 1966
Questa pubblicazione stata curata dalla sezione
letteraria del Club del Libro.
Traduzione, sul testo menzionato nella Prefazione,
di
Ma r c o Mi n e r e i
Prefazione di
Ma s s i mi l i a n o Pa v a n
PROPRIET. LETTERARIA RISERVATA
STAMPATO IN ITALIA - PRINTED IN ITALY
CONDIZIONE DELLIMPERO DOCCIDENTE ALLA FINE
DEL IX SECOLO
L impero dOccidente continu a esistere soltanto di nome.
(888) Arnaldo, Arnolfo o Arnoldo, bastardo di Carlomanno,
si rese padrone della Germania; ma lItalia era divisa tra
due signori, ambedue del sangue di Carlomagno in linea
femminile; luno era un duca di Spoleto, di nome Guido;
laltro Berengario, duca di Friuli, entrambi investiti di que
sti ducati da Carlo il Calvo, entrambi pretendenti tanto al
limpero quanto al regno di Francia. Arnaldo, come impera
tore, stimava che anche la Francia gli appartenesse di dirit
to, mentre la Francia, staccata dallimpero, era divisa tra
Carlo il Semplice, che la rovinava, e U re Bude, prozio di
Ugo Capeto, che lusurpava.
Anche un tal Bozone, re di Arles, contendeva per limpero.
Il papa Formoso, vescovo di scarso credito dellinfelice Ro
ma, altro non poteva fare se non dare la sacra unzione al
pi forte. Incoron quel Guido di Spoleto. (894) Lanno se
guente, incoron Berengario vincitore; e alla fine fu costret
to a consacrare quellArnaldo-, che and ad assediare Roma
e la prese dassalto. Lambiguo giuramento che Arnaldo ri
cevette dai Romani prova che i papi avanzavano gi pretese
alla sovranit di Roma. Cos sonava quel giuramento; Giu-
ro per i santi misteri che, salvo il mio onore, la mia legge
e la mia fedelt a monsignore Formoso, papa, sar fedele
allimperatore Arnaldo.
I papi erano allora in certo qual modo simili ai califfi
di Bagdad i quali, riveriti in tutti gH Stati musulmani come
CAPITOLO XXXII
capi della religione, possedevano ormai lunico diritto di
conferire le investiture dei regni a coloro che le domanda
vano armi alla mano; ma tra i califfi e i papi correva la dif
ferenza che i califiB, erano caduti dal primo trono della terra e
che i papi sinnalzavano impercettibilmente.
In realt limpero non esisteva pi, n di diritto n di
fatto. I Romani, che si erano dati a Carlomagno per accla
mazione, non volevano pi riconoscere dei bastardi, degli
stranieri, appena padroni di una parte della Germania.
Il popolo romano, pur nel suo svilirsi, nel suo mesco^
larsi a tanti stranieri, conservava ancora, come oggi, il se
greto orgoglio che la grandezza passata conferisce. Giudicava
insopportabile che dei Brutteri, dei Catti, dei Marcomanni
si dicessero i successori dei Cesari, e che le rive del Meno e
la selva Ercinia fossero il centro dellimpero di Tito e di
Traiano.
A Roma si fremeva dindignazione e al tempo stesso si
rideva di conmiiserazione, quando si veniva a sapere che
dopo la morte di Arnaldo, suo figlio Hiludovic, che noi
chiamiamo Ludovico, era stato designato imperatore dei Ro^
mani allet di tre o quattro anni, in un villaggio barbaro
chiamato Forcheim, da qualche leude* e qualche vescovo
tedesco. Questo fanciullo non fu mai annoverato tra gli im
peratori; ma in Germania si guardava a lui come a chi do
veva succedere a Carlomagno e ai Cesari. Era davvero uno
strano irnpero romano quel governo che non possedeva al
lora n i paesi tra il Reno e la Mosa, n la Francia, n la
Borgogna, n la Spagna, nulla neanche in ItaUa, e nemme
no una casa a Roma di cui si fosse potuto dire che appar
teneva allimperatore.
Al tempo di quel Ludovico, ultimo principe tedesco del
sangue di Carlomagno in linea bastarda, morto nel 912, la
Germania fu ci che era la Francia, una regione devastata
dalle guerre civili e straniere, sotto un principe tumultuo
samente eletto e malamente ubbidito.
Nei governi tutto rivoluzione: ne ima notevole quel-
* Vedi, nel I volume, la nota a pag. 348.
4 SAGGIO SUI COSTUMI
la di vedere una parte di quei Sassoni selvaggi, trattati da
Carlomagno come gli iloti dai Lacedemoni, dare o prendere,
in capo a centododici anni quella stessa dignit che non esi
steva pi nella casata del loro vincitore. (912) Ottone, duca
di Sassonia, dopo la morte di Ludovico, pone, si dice, grazie
al proprio credito-, la corona di Germania sulla testa di Cor
rado, duca di Franconia; e dopo la morte di Corrado, viene
eletto il figlio del duca Ottone di Sassonia, Enrico l Uccella-
tore (919). Tutti coloro che si erano resi principi ereditari
in Germania, uniti ai vescovi, facevano queste elezioni e
vi convocavano allora i principali cittadini delle borgate.
CAPITOLO TRENTADUESIMO 5
CAPITOLO XXXIII
DEI FEUDI E DELLIMPERO
L a forza, che ha fatto* tutto a questo mondo, aveva dato
ritalia e le Gallie ai Romani; i barbari usurparono le loro
conquiste; il padre di Carlomagno usurp le Gallie ai re
franchi; sotto la stirpe di Carlomagno, i governatori usurpa
rono tutto quello che poterono. I re longobardi avevano^ gi
instaurato dei feudi in Italia; su quel modello si regolarono
i duchi e i conti sin dal tempo di Carlo il Calvo. A poco a
poco le loro amministrazioni si trasformarono^ in patrimoni*.
I vescovi di parecchie grandi sedi, gi potenti per la loro
dignit, dovevano fare soltanto un passo per essere principi;
e quel passo fu ben presto fatto. Di qui deriva il potere se
colare dei vescovi di Magonza, di Colonia, di Treviri, di
Wiirtzburg e di tanti altri in Germania e in Francia. Gli ar
civescovi di Reims, di Lione, di Beauvais, di Langres, di
Laon si arrogarono i diritti sovrani**. Questo potere degli
ecclesiastici non dur in Francia; ma in Germania si con
solidato per lungo tempo. Alla fine, i monaci stessi diven
nero principi: gli abati di Fulda, di San Gallo, di Kempten,
di Corbia, ecc., erano piccoli re nei paesi in cui, ottantanni
prima, dissodavano con le proprie mani quel tanto di terra
che alcuni proprietari caritatevoli avevano donato loro. Tut-
* Nel testo: "leurs gouvernements devnrent des patrmones._ Gou-
vernement in questo caso ha l accezione di governatorato o di reggimento;
"diventarono patrimoni significa che tanto il territorio affidato ai singoli
govermanti quanto la carica di governatore diventano ereditari.
** "Drots rgaUens . significa sia i diritti regi in senso proprio, sia i
diritti di sovranit esercitati da un signore suUe sue terre.
ti quei signori, duchi, conti, marchesi, vescovi, abati rende
vano omaggio al sovrano. Si a lungo ricercata lorigine di
questo regime feudale. da credere che altra non ve ne sia
se non lantica usanza di tutte le nazioni dimporre un omag
gio e un tributo al pi debole. Si sa che successivamente gli
imperatori romani diedero terre a perpetuit, a determinate
condizioni: se ne trovano* esempi nelle vite di Alessandro
Severo e di Probo. I Longobardi furono i primi a erigere du
cati che dipendevano come feudi dal loro regno. Sotto i re
longobardi, Spoleto e Benevento furono ducati ereditari.
Prima di Carlomagno, Tassilione possedeva il ducato di
Baviera, a condizione di prestare omaggio; e questo ducato sa
rebbe appartenuto ai suoi discendenti se Carlomagno, vinto
quel principe, non avesse spossessato il padre e i figli.
Ben presto, niente citt libere in Germania, perci nien
te commercio, niente grandi ricchezze; le citt di l dal
Reno non avevano neanche mura. Questo Stato, che poteva
essere tanto potente, era diventato cos debole per via del
numero e della discordia dei suoi padroni, che limperatore
Corrado fu costretto a promettere un tributo annuo agli
Ungati, Unni o Pannoni, cos ben tenuti a bada da Carlo
magno e pi tardi sottomessi dagli imperatori della casa
dAustria. Ma allora sembrava che fossero ci che erano
stati sotto Attila: devastavano la Germania, le frontiere del
la Francia; calavano in Italia attraverso il Tirolo, dopo
aver saccheggiato la Baviera, e se ne tornavano poi con le
spoglie di tante nazioni.
Il caos della Germania si sbrogli un po sotto il regno
di Enrico lUccellatore. I suoi confini erano allora il fiume
Oder, la Boemia, la Moravia, lUngheria, le rive del Reno,
della Schelda, della MoseUa, della Mosa; e verso settentrio
ne, la Pomerania e lHolstein erano le sue barriere.
Enrico rUccellatore deve essere stato davvero uno dei
re pi degni di regnare. Sotto di lui i signori della Germa
nia, tanto divisi, sono riuniti. (920) Il primo frutto di
questa riunione laffrancamento dal tributo che veniva pa
gato agli Ungati e ima grande vittoria riportata su questa
CAPITOLO TRENTATREESIMO 7
nazione terribile. Fece circondare di mura la maggior parte
delle citt di Germania; istitu delle milizie: gli u anche
attribuita l invenzione di alcuni giuochi militari che ricor
davano in certo modo i tornei. Finalmente la Germania re
spirava; ma non pare che pretendesse dessere limpero ro
mano. Larcivescovo di Magonza aveva consacrato Enrico
rUcceUatore; nessun legato del papa, nessun inviato dei
Romani vi era stato presente. Durante tutto quel regno,
la Germania sembr dimenticare lItalia.
Non avvenne cos sotto Ottone il Grande, che i principi
tedeschi, i vescovi e gli abati elessero unanimemente dopo
la morte di Enrico, suo padre. Lerede riconosciuto di un
principe potente, che ha fondato o festaurato uno Stato,
sempre pi potente del padre, se non manca di coraggio;
perch entra in una carriera gi aperta, comincia l dove
il suo predecessore ha finito. Cos Alessandro era andato
pi lontano di suo padre Filippo, Carlomagno pi lontano
di Pipino, e Ottone il Grande sorpass di molto Enrico
lUcceUatore.
8 SAGGIO SUI COSTUMI
DI OTTONE IL GRANDE NEL X SECOLO
O tto n e , che restaur una parte dellimpero di Carloma-
gno, come lui estese la religione cristiana in Germania con
delle vittorie. (948) Armi alla mano costrinse i Danesi a pa
gare im tributo, e a ricevere il battesimo che era stato pre
dicato loro un secolo prima e che era quasi completamente
soppresso.
Questi Danesi, o Normanni, che avevano conquistato la
Neustria e lInghilterra, devastato la Francia e la Germania,
ricevettero leggi da Ottone. Egli insedi dei vescovi in Da
nimarca, che furono allora soggetti allarcivescovo di Am
burgo, metropolita delle chiese barbare, fondate da poco
nello Holstein, in Svezia, in Danimarca. Tutto questo cri
stianesimo consisteva nel farsi U segno della croce. Egli sotto-
mise la Boemia dopo una guerra ostinata. Da lui in poi,
la Boemia, e anche la Danimarca, furono reputate pr-
vince dellimpero; ma i Danesi scossero ben presto il giogo.
Ottone perci si era reso luomo pi considerevole del-
l Occidente e larbitro dei principi. La sua autorit era tal
mente grande, e la condizione della Francia allora talmente
miseranda, che Luigi dOltremare, figlio di Carlo il Sem
plice, discendente di Carlomagno, era andato nel 948 a un
concilio di vescovi che Ottone teneva presso Magonza; quel
re di Francia disse queste precise parole redatte negli at
ti: Sono stato riconosciuto re, e consacrato dai suffragi di
tutti i signori e di tutta la nobilt di Francia. Ugo tuttavia
mi ha scacciato, mi ha preso con la frode, e mi ha tenuto
CAPITOLO XXXIV
prigioniero un anno intero; ho potuto ottenere la libert
solo cedendogli la citt di Laon, lunica che restasse alla
regina Gerberga per tenervi la sua corte con i miei servitori.
Se si sostiene che io abbia commesso qualche delitto che
meriti un tale trattamento, sono pronto a discolparmene, a
giudizio dun concilio, e secondo Torditie del re Ottone, o a
singoiar tenzone.
Questo discorso importante prova molte cose insieme: le
pretese degli imperatori di giudicare i re, la potenza di Otto
ne, la debolezza della Francia, la costumanza dei combatti
menti singolari, e infine lusanza che andava aflEermandosi di
conferire le corone, non per diritto di sangue, ma per i
suffragi dei signori, usanza ben presto abolita in Francia.
Tale era il potere di Ottone il Grande, quando fu invi
tato a passare le Alpi dagli Italiani stessi,' i quali, sempre
faziosi e deboli, non potevano* n ubbidire ai loro compa-
triotti, n essere liberi, n difendersi contemporaneamente
contro i Saraceni e gli Ungari, le cui incursioni infestavano
ancora il loro paese.
LItalia, che tra le sue rovine continuava a essere la
pi ricca e la pi fiorente regione dellOccidente, era di con
tinuo dilaniata da tiranni. Ma Roma, in quelle discordie,
dava ancora limpulso alle altre citt dItalia. Se si pensa a
ci che era Parigi al tempo della Fronda e pi ancora sotto
Carlo linsensato, ed a ci che era Londra sotto lo sventura
to Carlo I o durante le guerre civili degli York e dei Lan-
caster, si avr unidea della condizione di Roma nel X se
colo. La cattedra pontificia era oppressa, disonorata e in
sanguinata. Lelezione dei papi avveniva in un modo che
non trova esempi n prima, n dopo.
10 SAGGIO SUI COSTUMI
DEL PAPATO NEL X SECOLO, PRIMA CHE OTTONE IL
GRANDE SI RENDESSE PADRONE DI ROMA
G l i scandali e i torbidi intestini che afflissero Roma e la
sua Chiesa nel X secolo, e che continuarono per molto tem
po dopo, non erano accaduti n sotto gli imperatori greci e
latini, n sotto i re goti, n sotto i re longobardi, n sotto
Carlomagno; sono evidentemente la conseguenza dellanar
chia; e questa anarchia scatur da ci che i papi avevano fatto
per impedirla, dalla politica che avevano^ seguito chiamando
i Franchi in Italia. Se avessero realmente posseduto tutte
le terre che si vuole che Carlomagno abbia donato loro, sa
rebbero stati sovrani pi grandi di quanto lo sono oggi. Lor
dine e la regola avrebbero regnato nelle elezioni e nel gover
no, cos come le vediamo oggi. Ma u loro conteso tutto ci
che vollero avere; l Italia fu sempre l oggetto dellambizio
ne degli stranieri; la sorte di Roma fu sempre incerta. Non
bisogna mai perdere di vista il fatto che il grande scopo
dei Romani era la restaurazione dellantica repubblica, che
alcuni tiranni andavano sorgendo in Italia e a Roma, che le
elezioni dei vescovi non furono quasi mai libere, e che tutto
era in preda alle fazioni.
Formoso, figlio del prete Leone, mentre era vescovo di
Porto, aveva capeggiato una fazione contro Giovanni V ili
ed era stato scomunicato due volte da questo papa; ma que
ste scomuniche, che subito dopo furono tanto terribili per
le teste coronate, loi furono tanto poco per Formoso che egli
si fece eleggere papa neU890.
Stefano VI o VII, anchegli figHo di un prete, successore
di Formoso, uomo che un lo spirito di fanatismo a quello di
fazione, essendo sempre stato nemico di Formoso, ne fece
esumare il corpo che era imbalsamato e, rivestitolo degli
CAPITOLO XXXV
abiti pontificali, lo fece comparire davanti a un concilio riu
nito per giudicare la sua memoria. Al morto fu assegnato
un avvocato; gli fu fatto un processo formale, il cadavere
fu dichiarato colpevole di avere cambiato vescovato e davere
abbandonato quello di Porto per quello di Roma; e a ripa
razione di questo delitto gli fu mozzata la testa per mano
del boia, gli furono t a r a t e tre dita e fu gettato nel Tevere.
Il papa Stefano VI si rese cosf odioso con questa farsa
tanto orribile quanto foUe, che gli amici di Formoso, inci
tati alla rivolta i cittadini, lo caricarono di catene e lo stran
golarono in prigione.
La fazione nemica di questo Stefano fece ripescare il
corpo di Formoso e lo fece seppellire una seconda volta
con onori pontificali.
Questa contesa accendeva gli animi. Sergio III, che
riempiva Roma delle sue mene per farsi papa, (907) fu esi
liato dal suo rivale Giovanni IX, amico di Formoso; ma,
riconosciuto papa dopo la morte di Giovanni IX, condann
di nuovo Formoso. In mezzo a questi torbidi, Teodora, ma
dre di Marozia, cheUa pi tardi marit al marchese di To
scana, e di unaltra Teodora, tutte e tre celebri per la loro
vita galante, godeva della principale autorit a Roma. Sergio
era stato eletto soltanto grazie agli intrighi di Teodora madre.
Mentre era papa, ebbe da Marozia un figlio che allev pub
blicamente nel suo palazzo. Non sembra che fosse odiato dai
Romani, i quali, voluttuosi per natura, pi che biasimarlo ne
seguivano gli esempi.
Dopo la sua morte, le due sorelle Marozia e Teodora
procurarono il soglio di Roma a un loro favorito di nome
Landone (912); ma, essendo morto questo Landone, la gio
vane Teodora fece eleggere papa il suo amante Giovanni
X, vescovo di Bologna, poi Ravenna e infine di Roma.
Non gli fu rimproverato affatto, come a Formoso, di avere
cambiato vescovato. Questi papi, condannati dalla posterit
come vescovi poco religiosi, non erano principi indegni, tut-
t altro. Quel Giovanni X, che lamore fece papa, era un
uomo geniale e coraggioso; fece ci che tutti i papi suoi pre-
12 SAGGIO SUI COSTUMI
decessod non erano riusciti a fare: scacci i Saraceni da
quella parte dellItalia chiamata Garigliano.
Per riuscire in quella spedizione, egli ebbe labilit di
ottenere truppe dallimperatore di Costantinopoli, bench
questimperatore avesse da lamentarsi tanto dei Romani ri
belli quanto dei Saraceni. Fece armare il conte di Capua; ot
tenne milizie dalla Toscana, e marci egli stesso alla testa di
quellesercito, conducendo con s un giovane figlio di Ma-
rozia e del marchese Adelberto. Cacciati i maomettani dalle
vicinanze di Roma, voleva anche liberare lItalia dai Tedeschi
e. dagli altri stranieri.
LItalia era invasa quasi allo stesso tempo dai Beren-
gari, da un re di Borgogna, da un re di Arles. Imped a tutti
loro di dominare a Roma. Ma dopo alcuni anni, poich Gui
do, fratello uterino di Ugo, re di Arles, tiranno dellItalia,
aveva sposato Marozia onnipotente a Roma'j. questa stessa
Marozia cospir contro il papa, per tanto tempo amante di
;sua sorella. Questi fu colto di sorpresa, incatenato e soffo
cato tra due materassi.
(929) Padrona di Roma, Marozia fece eleggere papa un
crto Leone, che dopo qualche mese fece morire in pri
gione. Dopo aver dato la sede di Roma a un uomo oscu
ro, che visse poi soltanto due anni, pose alla fine sulla cat
tedra pontificia U proprio figlio Giovanni XI, che le era nato
daUadidterio con Sergio III.
Giovanni XI aveva appena ventiquattro' anni quando
sua madre lo fece papa; ella gli confer questa dignit solo
a condizione che si sarebbe unicamente attenuto alle funzio
ni di vescovo e che sarebbe stato soltanto il cappellano di
sua madre.
Si sostiene che Marozia abbia avvelenato allora suo mari
to Guido, marchese di Toscana. Si sa di certo cheUa spos
H fratello di suo marito, Ugo, re di Lombardia, e che lo mise
in possesso di Roma, lusingandosi dessere imperatrice con
lui; ma un figlio di primo letto di Marozia si mise allora alla
testa dei Romani contro sua madre, scacci Ugo da Roma,
rinchiuse Marozia e il papa suo figlio nella Mole Adriana,
CAPITOLO TRENTACINQUESIMO 13
che oggi si chiama Castel SantAngelo. Si aflEerma che Gio
vanni XI vi mor avvelenato.
Uno Stefano V ili, tedesco di nascita, eletto nel 939, uni
camente per questa nascita fu tanto inviso ai Romani che, in
una sedizione, il popolo gli sfregi il volto in maniera tale
che non pot mai pi comparire in pubblico.
(956) Qualche tempo dopo, un nipote di Marozia, di no
me Ottaviano Sporco, fu eletto papa allet di diciotto anni
grazie al credito della famiglia. Assunse il nome di Giovanni
XII, in memoria di Giovanni XI, suo zio. H primo papa
che abbia cambiato nome ascendendo al pontificato. Non ap
parteneva agli ordini quando la sua famiglia lo fece pon
tefice. Questo Giovanni era patrizio di Roma e, avendo la
stessa dignit che aveva avuto Carlomagno, con la cattedra
pontificia univa i diritti dei due poteri e la pi legittima delle
autorit; ma era giovane, dedito alla dissolutezza, e daltra
parte non era un principe autorevole.
Ci si meraviglia che sotto tanti papi cos licenziosi e
cos poco autorevoli, la Chiesa Romana non perdesse n le
sue prerogative, n le sue pretese; ma allora quasi tutte le
altre Chiese erano rette in tal modo. Il clero dItalia po
teva disprezzare simili papi, ma rispettava il papato, tanto
pi che vi aspirava; insomma, nellopinione degli uomini,
la sede era sacra, quandanche la persona fosse invisa.
Mentre Roma e la Chiesa erano cos dilaniate, Berenga
rio, che chiamato H Giovane, contendeva l Italia a Ugo
dArles. Gli Italiani, come dice il contemporaneo Liutpran-
do*, volevano sempre avere due padroni per non averne in
realt nessuno: fallace e infausta politica, che faceva s che
cambiassero tiranni e sciagure. Tale era la deplorevole con
dizione di quel bel paese, allorch Ottone il Grande vi fu
chiamato dalle doglianze di quasi tutte le citt, e persino
da quel giovane papa Giovanni XII, ridotto a fax venire
i Tedeschi, che non poteva sofirire.
* Vedi, nel I volume, a pag. 446. Come scrittore di storia, redasse una
cronaca degli avvenimenti europei dall887 al 950 {Antapodosis) e il Liber
de rebus gestis Othonis imperatoris.
14 SAGGIO SUI COSTUMI
SEGUITO DELLIMPERO DI OTTONE E DELLA
CONDIZIONE DELLITALIA
(961, 962) Ottone entr in Italia e vi si comport
come Carlomagno: vinse Berengario, che ne millantava la
sovranit. Si fece consacrare e incoronare imperatore dei
Romani per mano del papa, prese il nome di Cesare e dAu-
gusto, e obblig il papa a prestargli giuramento di fedelt
suUa tomba in cui si dice che riposi il corpo di san
Pietro. Fu steso uno strumento autentico di questatto. Il
clero e la nobilt romana si assoggettano a non eleggere
mai un papa se non in presenza dei commissari dellimpera
tore. In fluestatto Ottone conferma le donazioni di Pipino,
di Carlomagno, di Ludovico il Pio, senza specificare quali
siano queste donazioni tanto contestate; "salva in tutto la
potenza nostra, egli dice, e quella di nostro figlio e
dei nostri discendenti. Questo strumento, scritto in lette
re doro, sottoscritto da sette vescovi di Germania, cinque
conti, due abati e parecchi prelati italiani, ancora conser
vato in Castel SantAngelo, a quanto dice Baronio*. La data
del 13 febbraio 962.
Ma come poteva limperatore Ottone donare per mezzo di
questatto, che confermava quello di Carlomagno, la stessa cit
t di Roma, che Carlomagno non aveva donato mai? Come
poteva far dono del ducato di Benevento, che non possedeva
e che apparteneva ancora ai suoi duchi? Come poteva dare
la Corsica e la Sicilia, che erano occupate dai Saraceni? O fu
* Il cardinale Cesare Barone (1538-1607) era confessore di Clemente
V i l i e bibliotecario in Vaticano.
CAPITOLO XXXVI
ingannato Ottone o questatto falso, bisogna ammetterlo.
Si dice, e Mzeray* lo dice dopo altri, che Lotario, re
di Francia, e Ugo Capeto, che fu poi re, assistessero a quel
lincoronazione. Effettivamente i re di Francia erano allora
tanto deboli, che potevano servire dornamento aUa consa
crazione di un imperatore; ma i nomi di Lotario e di Ugo
Capeto non si trovano tra le firme vere o false di queUatto.
Comunque sia, l imprudenza di Giovanni XII di chia
mare i Tedeschi a Roma fu lorigine di tutte le calamit di
cui Roma e l ItaKa furono afflitte per tanti secoli.
Il papa, che si era cos dato un padrone mentre voleva
soltanto un protettore, gli fu subito* infedele. Si alle contro
limperatore con lo stesso Berengario, rifugiato presso i mao
mettani, che si erano da poco insediati sulle coste della Pro
venza. Fece venire il figlio di Berengario a Roma mentre
Ottone era a Pavia. Mand unambasceria agli Ungheresi
per sollecitarli a rientrare in Germania; ma non era abba
stanza potente da sostenere quellazione ardimentosa, e lim
peratore lo era abbastanza da punirlo.
Ottone torn dunque da Pavia a Roma; e, resosi sicuro
della dtt, tenne un concilio in cui fece giuridicamente il
processo al papa. Vennero radunati i signori tedeschi e ro
mani, quaranta vescovi e diciassette cardinali nella chiesa
di San Pietro; e col, alla presenza di tutto il popolo, si ac
cus il santo padre di avere goduto di parecchie donne, e
soprattutto di una certa Stefanina, concubina di suo padre,
che era morta di parto. Gli altri capi daccusa consistevano
nellaver fatto vescovo di Lodi un fanciullo di dieci anni,
nellaver venduto le ordinazioni e i benefici, neUaver acceca
to il suo padrino, nellaver castrato e poi fatto morire un
cardinale; e infine nel non credere in Ges Cristo e avere
invocato il diavolo, due cose che sembrano contraddirsi. Ve
nivano dunque mescolate, come succede quasi sempre, accuse
false e vere; ma non si parl affatto della vera ragione per
cui il concilio era riunito. Limperatore temeva probaHlmen-
* Franeois Eudes de Mzeray (1610-1683), accademico di Francia, sto
rico e saggista, autore tra l altco duna Histoire de Trance.
16 SAGGIO SUI COSTUMI
te di risvegliare quella rivolta e quella congiura alla quale
gli stessi accusatori del papa avevano avuto parte. Questo
giovane pontefice, die aveva allora ventisette anni, parve
deposto per i suoi incesti e i suoi scandali, e lo fu in realt
perch aveva voluto, come tutti i Romani, distruggere la
potenza tedesca a Roma.
Ottone non pot impadronirsi della sua persona; o se
pot, commise un errore lasciandolo libero. Aveva appena
fatto eleggere H papa Leone V ili, il quale, a dar retta alle
parole di Arnaldo, vescovo di Orlans, non era ecclesiastico e
neppure cristiano; ne aveva appena ricevuto lomaggio e
aveva appena lasciato Roma, da cui probabilmente non do
veva allontanarsi, quando Giovanni XII ebbe il coraggio di
far sollevare i Romani; e, opponendo allora concilio a con
cilio, si depose Leone V ili; si ordin che l inferiore non
poteva mai togliere il grado al superiore.
Con questa decisione, il papa non soltanto intendeva che i
vescovi e i cardinali non avrebbero mai potuto deporre il pa
pa; ma veniva designato anche limperatore, che i vescovi
di Roma consideravano sempre come un secolare che era
debitore v^rso la Chiesa dellomaggio e dei giuramenti che
egli esigeva da lei. Il cardinale, di nome Giovanni, che aveva
scritto e letto le accuse contro il papa, ebbe mozzata la
mano destra. Fu strappata la lingua, furono tagliati il naso
e due dita a colui che aveva esercitato le funzioni di can
celliere al concilio di deposizione.
Daltronde, in tutti quei concili in cui la fazione e la
vendetta predominavano, si citavano sempre il Vangelo e i
padri, si imploravano i lumi dello Spirito Santo, si parlava
in suo nome, si facevano persino inutili regolamenti; e chi
leggesse quegli atti senza conoscere la storia, crederebbe di
leggere gli atti dei santi. Se Ges Cristo fosse tornato al
mondo allora, che cosa avrebbe detto vedendo tanta ipocri
sia e tanta abominazione nella sua Chiesa?
Tutto questo avveniva quasi sotto gli occhi dellimpe
ratore; e chi sa fin dove il corag^o e il risentimento del
giovane pontefice, la ribellione dei Romani in suo favore,^
2/CII
CAPITOLO TRENTASEESIMO 17
lodio delle altre citt dItalia cotitro i Tedeschi avrebbero
potuto portare questa rivoluzione? (964) Ma il papa Gio
vanni XII fu assassinato tre mesi dopo, tra l braccia duna
donna sposata, per mano del marito che vendicava la pro
pria onta. Mor per le ferite dopo otto giorni. stato scrit
to che, non credendo egli alla religione di cui era ponte
fice, morendo non volle ricevere H viatico.
Questo papa, o meglio questo patrizio, aveva animato
i Romani a tal punto, che, anche dopo la sua morte, essi
ebbero lardir di sostenere un assedio e si arresero soltan
to ridotti allestremo. Due volte vincitore di Roma, Ottone
fu il padrone tanto dellItalia quanto della Germania.
Il papa Leone, creato da lui, il senato, i maggiorenti
del popo o, il clero di Roma, solennemente riuniti in San
Giovanni in Laterano, confermarono allimperatore il di
ritto di scegliersi un successore al regno dItalia, dinsediare
il papa e di conferire linvestitura ai vescovi. Dopo tanti
trattati e tanti giuramenti dettati dal timore, occorrevano
degli imperatori che abitassero a Roma per farli osservare.
Non appena limperatore Ottone fa ritornato in Ger
mania, i Romani vollero essere liberi. Imprigionarono il loro
nuovo papa, creatura dellimperatore. Il prefetto di Roma, i
tribuni, il senato vollero far rivivere le antiche leggi; ma
ci che in un certo momento unimpresa da eroi, in altri
diventa una rivolta di sediziosi. Ottone vola nuovamente in
Italia, fa impiccare una parte del senato; (966) e il prefetto
di Roma, che aveva voluto essere un Bruto, fu frustato nei
crocicchi, condotto in giro nudo su un asino, e gettato in una
segreta, dove mor di fame.
18 SAGGIO SUI COSTUMI
DEGLI IMPERATORI OTTONE II E III, E DI ROMA
T a le fu pressa poco la situazione di Roma sotto Ottone il
Grande, Ottone II e Ottone III. I Tedeschi tenevano sog
giogati i Romani, e i Romani spezzavano le catene non
appena potevano.
Un papa eletto per ordine dellimperatore, o nominato da
lui, diventava oggetto di esecrazione per i Romani. Lidea di
restaurare la repubblica viveva sempre nei loro cuori; ma
questa nobils ambizione produceva soltanto umilianti e
atroci miserie.
Ottone II si reca a Roma, come suo padre. Quale go
verno! quale impero! e quale pontificato! Un console di
nome Crescenzio, figlio del papa Giovanni X e della famosa
Marozia, prendendo, insieme con quel titolo di console,
lodio per la regalit, fece insorgere Roma contro Ottone IL
Fece morire in prigione Benedetto VI, creatura dellimpera
tore; e siccome, in quelle torbide circostanze, lautorit di
Ottone, bench egli fosse lontano, aveva attribuito, prima
di giungere, la cattedra romana al cancelliere dellimpero in
Italia, che fu papa sotto il nome di Giovarmi XIV, questo
infelice papa fu una nuova vittima che il partito romano im
mol. Il papa Bonifacio VII, creatura del console Crescen
zio, gi macchiato del sangue di Benedetto VI, fece inoltre
perire Giovanni XIV. I tempi di Caligola, di Nerone, di
ViteUio non produssero n sciagure pi deplorevoli, n mag
giori barbarie; ma i delitti e le sventure di quei papi sono
oscuri quanto loro. Queste tragedie sanguinose si recitavano
CAPITOLO XXXVII
nel teatro di Roma, ma piccolo e ia rovina, mentre quelle
dei Cesari avevano per teatro l intero mondo conosciuto.
Intanto Ottone I I giunge a Roma nel 981. I papi in altri
tempi avevano fatto venite i Franchi in Italia e si erano sot
tratti allautorit degli imperatori dOriente. Che cosa fan
no ora? Cercano di far vista di ritornare ai loro antichi pa
droni; e, dopo avere imiprudentemente chiamato gli impera
tori sassoni, vogliono scacciarli. Lo stesso Bonifacio VII
sera recato a Costantinopoli per sollecitare gli imperatori Ba
silio e Costantino ad andare a restaurare il trono dei Cesari.
Roma non sapeva n che cosa essa era, n a chi apparteneva.
Il console Crescenzio e il senato volevano restaurare la re
pubblica; il papa non voleva in realt n repubblica n pa
drone; Ottone II voleva regnare. Entra dunque a Roma;
invita a un pranzo i principali senatori e i seguaci del con
sole e, a prestar fede a Goffredo di Viterbo*, li fece sgoz
zare tutti a met dun pranzo. Cos il papa liberato dei se
natori repubblicani grazie al suo nemico; ma bisogna libe
rarsi di questo tiranno. Non bastano le truppe dellimpera
tore dOriente che giungono in Puglia, U papa vi aggiunge
i Saraceni. Se il massacro dei senatori in quel pranzo di
sangue, riferito da Goffredo, risponde a verit, era certo me
glio avere i maomettani per protettori che non quel Sassone
sanguinario per padrone. vinto dai Greci; lo anche dai
musulmani; cade prigiotuero in mano loro, ma fugge; e, ap
profittando della ^scordia dei nemici, entra di nuovo a Ro
ma, dove muore del 983.
Dopo la sua morte, il console Crescenzio manteime per
qualche tempo il simulacro della repubblica romana. Scacci
dalla sede pontificia Gregorio V, nipote dellimperatore Ot
tone III. Ma alla fine Roma fu di nuovo assediata e presa.
Crescenzio, attirato fuori di Castel SantAngelo con la spe
ranza di un accordo e suUa fede dei giuramenti dellimpera
tore, ebbe la testa mozzata. Il suo corpo fu appeso per i pie
* Gottfried Tineosus (1120 drca-1191), cappellano degli imperatori di
Germania Corrado III, Federico I e Enrico IV; fu vescovo di Viterbo nel
1184. La sua opera Memoria seculorum una cronaca dallinizio del mondo
al 1186.
2 0 SAGGIO SUI COSTUMI
di; e il nuovo papa, eletto dai Romani col nome di Giovanni
XVI, fu accecato e mutilato del naso. In questo stato
venne gettato nella piazza dallalto di Castel SantAngelo.
I Romani rinnovarono allora a Ottone III i giuramenti
prestati a Ottone I e a Catlomagno; ed egli assegn ai papi
le terre della Marca dAncona per corroborarne la dignit.
Dopo i tre Ottoni, questa lotta tra la dominazione te
desca e la libert italica rimase a lungo negli stessi termini.
Sotto gli imperatori Enrico I I di Baviera e Corrado II il
Salico, non appena un imperatore era impegnato in Germa
nia, sorgeva un partito in ItaHa. Enrico II, come gli Ottoni,
vi and a disperdere alcune fazioni, a confermare ai papi
le donazioni degli imperatori e a ricevere gli stessi omaggi.
Tuttavia il papato era messo allincanto, al pari di quasi
tutti gli altri vescovati.
Benedetto V ili e Giovanni XIX lo comprarono pubbli
camente luno dopo laltro; erano fratelli, della casa dei mar
chesi di Tuscolo, sempre potente a Roma dal tempo delle
Marozie e delle Teodore.
Dopo la loro morte, a fine di perpetuare il pontificato
nella loro casa, furono ancora comprati i suffragi per un fan
ciullo di dodici anni. (1034) Questi era Benedetto IX, che
ebbe il vescovato di Roma nello stesso modo in cui ancora
oggi vediamo tante famiglie acquistare, ma in segreto, be-
n^c per dei fanciulli.
II disordine non ebbe pi limiti. Sotto il pontificato di
questo Benedetto IX, si videro altri due papi eletti a prezzo
di denaro, e tre papi scomunicarsi reciprocamente a Roma;
ma con una felice conciliazione che soffoc una guerra ci
vile, quei tre papi convennero di spartire le rendite della
Chiesa e di vivere in pace ciascuno con la propria amante.
Questo triumvirato pacifico e singolare dur solo fin
tanto che essi ebbero denaro; e infine, quando non ne eb
bero pi, ciascuno vendette la propria parte di papato al
diacono Graziano, uomo di qualit, molto ricco. Ma, poich
il giovane Benedetto IX era stato eletto molto tempo prima
degli altri due, gli fu lasciato, con un solenne accordo il go
CAPITOLO TRENTASETTESIMO 21
dimento del tributo che lInghilterra pagava allora a Roma,
che veniva chiamato Vobolo di san Pietro, e al quale un
re danese dInghilterra, di nome Etelvolfo, Edelvolfo o Ete-
lulfo, si era sottomesso nell852.
Questo Graziano, che prese il nome di Gregorio VI, go
deva pacificamente del pontificato, allorch limperatore En
rico III, figlio di Corrado II il Salico, and a Roma.
Mai imperatore vi esercit maggiore autorit. Esili Gre
gorio VI e nomin papa Suidger, suo cancelliere, vescovo di
Bamberga, senza che nessuno osasse mormorare.
(1048) Dopo la morte di questo Tedesco, che come
papa chiamato Clemente II, limperatore, che era in Ger
mania, vi cre papa un Bavarese, di nome Poppone: si trat
ta di Damaso II, il quale, con la patente deUimperatore, an
d a farsi riconoscere a Roma. Fu intronizzato, malgrado
quel Benedetto IX, che voleva ancora rientrare nella catte
dra pontificia dopo averla venduta.
Morto questo Bavarese a ventitr giorni daUintronizza-
zione, limperatore attribu il papato a suo cugino Brunone,
della casa di Lorena, chegli trasfer dal vescovato di Toul a
quello di Roma con un atto di autorit assoluta. Se questa
autorit degli imperatori fosse durata, i papi altro non sa
rebbero stati se non i loro cappellani, e lItalia sarebbe sta
ta schiava.
Questo pontefice prese il nome di Leone IX; stato an
noverato tra i santi. Lo vedremo alla testa dun esercito com
battere i principi normanni fondatori del regno di Napoli, e
cadere prigioniero nelle loro mani.
Se gli imperatori fossero potuti restare a Roma, si dedu
ce dalla debolezza dei Romani, dalle discordie dellItalia e
dalla potenza della Germania che sarebbero stati sempre
i sovrani dei papi e che di fatto vi sarebbe stato un impe
ro romano. Ma questi re elettivi della Germania non pote
vano stabilirsi a Roma, lontano dai principi tedeschi troppo
temibili per i loro signori. I vicini erano sempre pronti a
valicare le frontiere. Bisognava combattere ora i Danesi, ora
i Polacchi e gli Ungati. Questo appunto salv per qualche
2 2 SAGGIO SUI COSTUMI
tempo l Italia da un giogo contro il quale si sarebbe dibat
tuta invano.
Mai Roma e la Chiesa latina furono disprezzate a Costan
tinopoli pi di quanto lo furono in quei tempi infelici. Liut-
prando, ambasciatore di Ottone I presso limperatore Nice-
foro Focas*, ci informa che nella citt imperide gli abitanti
di Roma non venivano chiamati Romani, bens Longobardi.
I vescovi di Roma vi erano considerati nientaltro che fur
fanti scismatici. Il soggiorno di san Pietro a Roma era re
putato una fola assurda, fondata unicamente sul fatto che
san Pietro aveva detto, in una delle sue epistole, di trovarsi
a Babilonia, e che sera voluto sostenere che Babilonia signi
ficava Roma: non si tenevano pi in alcun conto a Costan
tinopoli gli imperatori sassoni, che venivano considerati
barbari.
Eppure lacorte di Costantinopoli non era migliore di
quella degli imperatoti germanici. Ma nellimpero greco
cerano pi commercio, pi industria, pi ricchezze che iiel-
limpero latino: tutto era decaduto nellEuropa occidentale
dai floridi tempi di Carlomagno. La ferocia e la dissolutezza,
lanarchia e la povert erano in tutti gli Stati. Mai ligno
ranza fu pi universale. Non si operavano tuttavia me
no miracoli che in altri tempi: ve ne sono stati in ogni se
colo, e solo da quando in Europa sono state istituite acca
demie delle scienze non si vedono pi miracoli presso le na
zioni illuminate; e, se se ne vedono, la sana fisica li riduce
subito al loro valore.
CAPITOLO TRENTASETTESIMO 23
* Liutprando and ambasciatore a Costantinopoli nel 968; lasci una
Relafio de legatione constantinopolitana.
DELLA FRANCIA INTORNO AL TEMPO DI UGO CAPETO
jMlentre la Germania cominciava a prendere cosi una nuo
va forma damministrazione, e Roma e lItalia non ne ave
vano alcuna, la Francia diventava, come la Germania, un
regime completamente feudale.
Questo regno si estendeva dai dintorni della Schelda e
della Mosa fino al mare Britannico, e dai Pirenei al Rodano.
Questi erano allora i suoi confini; infatti, sebbene tanti sto
rici sostengano che quel gran feudo della Francia si esten
desse oltre i Pirenei fino allEbro, non pare affatto che gli
Spagnuoli di quelle province, tra lEbro e i Pirenei, fossero
sottomessi al debole governo della Francia, mentre combat
tevano contro i maomettani.
La Francia, di cui non facevano parte n la Provenza n
il Delfinato, era un regno abbastanza vasto; ma H re di
Francia era ben lungi dallessere un grande sovrano. Ludo
vico, lultimo discendente di Carlomagno, aveva ormai come
unico dominio le citt di Laon e di Soissons, e alcune terre
che gli venivano contestate. Lomaggio reso dalla Normandia
serviva solo a dare al re un vassallo che avrebbe potuto as
soldare U proprio padrone. Ogni provincia aveva i suoi con
ti o i suoi duchi ereditari; colui che era riuscito a impadro
nirsi soltanto di due o tre borgate rendeva omaggio agli
usurpatori di una provincia; e colui che possedeva soltanto
un castello dipendeva da chi aveva usurpato una citt. Da
tutto questo si era creato quel mostruoso aggregato di
membra che non formavano affatto un corpo.
CAPITOLO XXXVIII
Il tempo e la necessit fecero s che i signori dei grandi
feudi movessero con truppe in aiuto del re. Quel tal si
gnore doveva quaranta giornate di servizio, quel tal altro
venticinque. I valvassori marciavano agli ordini dei loro di
retti signori. Ma se tutti servivano lo Stato per qualche gior
no, tutti questi privati signori si facevano la guerra lun
laltro per quasi tutto lanno. Invano i condii, che in tempi
di delitti ordinarono spesso cose giuste, avevano stabilito che
non si combattesse dal gioved fino allalba del luned e nel
tempo di Pasqua e in altre solennit; queste disposizioni,
che non erano sorrette da una giustizia coercitiva, non ave
vano alcun vigore. Ogni castello era la capitale dun piccolo
Stato di malfattori; ogni monastero era in armi: i loro av
vocati, detti avoyers, istituiti iiei primi tempi per presentare
le loro richieste al principe e curare i loro interessi, erano
i generali delle loro truppe: le messi venivano bruciate o ta
gliate prima del tempo, o difese con la spada in pugno; le
citt erano quasi svuotate, e le campagne spopolate da lun
ghe carestie.
Potrebbe sembrare che questo regno senza capo, senza
regolamentazioni, senza ordine, dovesse essere preda dello
straniero; ma tmanarchia quasi eguale in tutti i regni cre
la sua sicurezza; e quando, sotto gli Ottoni, la Germania fu
pi temibile, le guerre intestine limpegnarono.
Da questi tempi barbari deriva la nostra usanza di ren
dere omaggio, per una casa e per un borgo, al signore di
un altro villaggio. Un giureconsulto*, un mercante, che si
trovi in possesso di un antico feudo, riceve fede e omaggio
da un altro borghese o da im pari del regno che avr ac-,
quistato un feudo minore nella sua giurisdizione**. Le leg
gi dei feudi non esistono pi; ma quegli antichi costumi di
* Nel testo: praticien, che ha il significato generico di uomo pratico di
unarte o di una professione, e per estensione giureconsulto o medico. Oggi
pi usato nel secondo di questi significati, ma nel XVIII secolo era pi
spesso adoperato nel primo.
** "Giurisdizione rende abbastanza bene, qui e pi sotto, il fran
cese mouvance, termine della giurisprudenza feudale, che indica la dipen
denza di un feudo da im altro.
CAPITOLO TRENTOTTESIMO 25
giurisdizioni, di omaggi, di censi esistono ancora; nella mag
gior parte dei tribunali viene accettata questa massima: Non
c' terra senza signore-, come se non bastasse appartenere al
la patria.
Quando la Francia, l Italia e la Germania furono cosi
spartite sotto un numero incalcolabile di tirannelli, gli eser
citi, la cui forza principale era stata la fanteria sotto Carlo-
magno cos come sotto i Romani, furono composti soltanto di
cavalleria. Si conobbero ormai soltanto i gendarmi*; i fanti
non avevano tale nome perch, a paragone dei soldati a ca
vallo, non erano armati.
I pi piccoli possessori di casteUanie non si mettevano
in campagna se non col maggior numero di cavalli possibile;
e il fasto consisteva allora nel condurre con s degli scu
dieri, che furono chiamati vaslets, dalla parola vasselet, pic
colo vassallo. Poich, dunque, lonore consisteva soltanto
nel combattere a cavallo, si prese labitudine di portare unar
matura completa di ferro, che col suo peso avrebbe so
praffatto un uomo appiedato. I bracciali, i cosciali fecero
parte del vestiario. Si vuole che Carlomagno ne abbia avuti;
ma solo verso lanno 1000 il loro uso fu comune.
Chiunque fosse ricco divent quasi invulnerabile in
guerra; e appunto allora pi che mai ci si servi delle mazze
per accoppare i cavalieri che le punte non riuscivano a tra
figgere. Il maggior commercio consistette allora in corazze,
in scudi, in ehni omati di piume.
I contadini che venivano trascinati in guerra, gli unici
esposti al pericolo e disprezzati, servivano da guastatori
piuttosto che da combattenti. I cavalli, tenuti in maggior
stima di loro, furono bardati di ferro; la loro testa fu ar
mata di frontali.
Non si conobbero, allora altre leggi se non quelle che
i pi potenti fecero per il servizio dei feudi. Tutti gli altri
oggetti della giustizia distributiva furono abbandonati al
* Nel Medioevo con tale nome venivano designati soldati a cavallo ar
mati di tutto pmito.
26 SAGGIO SUI COSTUMI
larbitrio dei maggiordomi di palazzo, prevosti, balivi, no
minati dai possessori delle terre.
I senati delle citt che, sotto Carlomagno e sotto i Ro
mani, avevano goduto del governo municipale, furono abo
liti quasi dappertutto. Il nome di senior, signore, a lungo
attribuito ai maggiorenti del senato delle citt, fu dato or
mai soltanto ai possessori dei feudi.
II termine di pari cominciava allora a introdursi nella
lingua gallo-germanica, che si parlava in Francia. Si sa che
derivava dalla parola latina par, che significa eguale o col
lega. Lo si era adoperato solo in questo senso sotto la pri
ma e la seconda dinastia dei re di Francia. I figli di Ludovico
il Pio si ehiamarono Vares in uno dei loro incontri, neU851;
e, molto tempo prima, Dagoberto chiama col nome di pari al
cuni monaci. Godegrando, vescovo di Metz al tempo di Car-
lomagno, chiama pari alcuni vescovi e abati, come annota il
dotto du Cange*. I vassalli duno stesso signore presero
dunque l abitudine di chiamarsi pari.
Alfredo il Grande aveva istituito i giurati in Inghilter
ra: erano dei pari in ogni professione. Un uomo, in un pro
cesso penale, sceglieva per giudici dodici uomini della sua
professione. Alcuni vassalli, in Francia, seguirono questuso;
ma non per questo il numero dei pari era fissato a dodici. In
ogni feudo ce nerano tanti quanti erano i baroni, che di
pendevano daUo stesso signore e che erano pari tra di loro,
ma non pari del loro signore feudale.
I principi che prestavano un omaggio immediato alla co
rona, come i duchi di Guienna, di Normandia, di Borgogna,
i conti di Fiandra, di Tolosa, erano dunque effettivamen
te pari di Francia.
Ugo Capeto non era il meno potente. Possedeva da gran
tempo il ducato di Francia, che si estendeva fino in Turen-
na; era conte di Parigi; vasti possessi in Piccardia e in Cham
pagne gli davano per di pi una grande autorit in quelle
* Charles du Fresne Du Cange (1610-1688), studioso francese autore di
un Glossarium ad scriptores mediae et infimae latinitatis.
CAPITOLO TRENTOTTESIMO 27
province. Suo fratello possedeva quanto oggi costituisce il
ducato di Borgogna. Suo nonno Roberto e U suo prozio
Eude o Oddone avevano ambedue portato la corona al tem
po di Carlo il Semplice; Ugo suo padre, soprannominato
lAbate a causa delle abbazie di Saint-Denis, di Saitit-Martin
di Tours, di Saint-Germain-des-Prs e di tante altre che pos
sedeva, aveva scosso e governato la Francia. Cos si pu
dire che dallanno 910, in cui il re Eude inizi il suo regno,
la sua casata ha governato quasi senza interruzioni; e che,
tranne Ugo lAbate che non volle prendere la corona rea
le, essa fornisce una successione di sovrani per pi di otto-
centocinquantanni: filiazione unica tra i re.
(987) Si sa in che modo Ugo Capete, duca di Francia,
conte di Parigi, tolse la corona al duca Carlo, zio deUiiltimo
re Luigi V. Se i suffragi fossero stati liberi, il sangue di
Carlomagno rispettato e il diritto di successione sacro quan
to oggi, Carlo sarebbe stato re di Francia. Non fu un par
lamento della nazione a privarlo del diritto dei suoi ante
nati, come hanno detto tanti storici, ma ci che fa e disfa
i re: la forza aiutata dalla prudenza.
Mentre Luigi, quellultimo re del sangue carolingio,
stava per concludere, allet di ventitr anni, la sua oscura
vita a causa di una malattia di consunzione, Ugo Capeto
adunava gi le sue forze; e, lungi dal ricorrere allautorit
di un parlamento, seppe sciogliere con le sue truppe un par
lamento che si teneva a Compigne per assicurare la succes
sione a Carlo. La lettera di Gerberto, pi tardi arcivescovo
di Reims e papa sotto il nome di Silvestro II, scovata da
Duchesne*, ne costituisce una testimonianza autentica.
Carlo, duca di Brabante e di Hainaut, Stati che compo
nevano la Bassa Lorena, soccombette sotto un rivale pi
potente e pi fortunato di lui; tradito dal vescovo di Laon,
sorpreso e consegnato a Ugo Capeto, mor prigioniero nella
torre dOrlans; e due figli masdii che non poterono vendi-
* Andr Duchesne (1584-1640), noto anche col nome di Quercetanus,
storico francese, autore fra l altro di una storia dei duchi di Borgogna, di
una storia genealogica delle celebri casate e A&WHistoriae Francorum scripto-
res, dov citata la lettera menzionata nel testo.
28 SAGGIO SUI COSTUMI
cario, uno dei quali ebbe per quella Bassa Lorena, furono
gli ultimi principi della discendenza maschile di Carlomagno.
Ugo Capeto, divenuto re dei suoi pari, non ebbe per questo
un dominio pi vasto.
CAPITOLO TRENTOTTESIMO 29
CONDIZIONE DELLA FRANCIA NEL X E NELLXI
SECOLO. SCOMUNICA DEL RE ROBERTO
L a Francia, smembrata, langu tra fosche sventure da Car
lo il Grosso fino a Filippo I, pronipote di Ugo Capeto, per
quasi duecentocinquantanni. Vedremo se le crociate che
segnalarono U regno di Filippo I, alla fine dellXI secolo, re
sero la Francia pi florida. Ma nello spazio di tempo di cui
parlo, tutto fu soltanto confusione, tirannia, barbarie e po
vert. Ogni signore di una certa importanza faceva battere
moneta; ma facevano a gara a chi lalterava. Le belle ma
nifatture erano in Grecia e in Italia. I Francesi non poteva
no imitarle nelle citt senza libert o, come si detto a lun
go, senza privilegi e in un paese senza unit.
(999) Tra tutti gli avvenimenti di quel tempo, il pi
degno dellattenzione di un cittadino la scomunica del
re Roberto. Aveva sposato Berta, sua cugina di quarto gra
do; matrimonio in s legittimo, e per di pi necessario al
bene dello Stato. Abbiamo visto, ai giorni nostri, dei pri
vati sposare le proprie nipoti e comprare a Roma le dispen
se al prezzo corrente, come se Roma avesse diritti su ma
trimoni che si fanno a Parigi. Il re di Francia non trov al
trettanta indulgenza. La Chiesa romana, nello svilimento e
negli scandali in cui era sprofondata, os imporre al re una
penitenza di sette anni, gli ordin di abbandonare la mo^e,
lo scomunic in caso di rifiuto. Il papa colpi dinterdetto
tutti i vescovi che avevano assistito a quel matrimonio e or
din loro di andare a Roma a chiedergli perdono. Tanta ar
roganza sembra incredibile; ma lignorante superstizione di
CAPITOLO XXXIX
quei tempi pu averla sopportata, e la politica pu averla ca
gionata. Gregorio V, che scagli queUa scomunica, era te
desco e governato da Gerberto, gi arcivescovo di Reims, di
venuto nemico della casa di Francia. Limperatore Ottone
III, poco amico di Roberto, assistette di persona al conci
lio in cui fu pronunciata la scomunica. Tutto questo fa cre
dere che la ragion di Stato e il fanatismo abbiano cagionato
in misura eguale quel delitto.
Gli storici dicono che quella scomunica fece in Francia
un effetto tale, che tutti i cortigiani del re e i suoi stessi do
mestici labbandonarono, e che gli rimasero soltanto due
servitori, che gettavano nel fuoco gli avanzi dei suoi pasti,
poich avevano orrore di ci che aveva toccato uno scomu
nicato. Per quanto degradata fosse allora la ragione umana,
non sembra possibile che lassurdit potesse andar tanto ol
tre. Il primo autore che riferisce di quellestremo grado dab
brutimento della corte di Francia il cardinale Pier Damia
ni*, che scrisse solo sessantacinque anni dopo. Egli riferi
sce che per pun2done di quel presunto incesto, la regina par
tor un mostro; ma in tutta quella faccenda non vi fu nulla
di mostruoso, se non laudacia del papa e la debolezza del re,
che si sqjar dalla moglie.
Le scomuniche, gli interdetti sono fulmini che incen
diano uno Stato solo quando trovano materie combustibili.
Non ve nerano affatto allora; ma forse Roberto temeva che
se ne formassero.
Larrendevolezza del re Roberto imbaldanz a tal punto
i papi, che suo nipote, Filippo I, fu scomunicato come lui.
(1075) Dapprima il famoso Gregorio VII minacci di de
porlo se non si giustificava davanti ai suoi nunzi dellac
cusa di simonia. Un altro papa lo scomunic davvero. Filippo
si era stancato della moglie ed era innamorato di Bertrada,
sposa del conte dAngi. Si serv del ministero delle leggi per
annullare il suo matrimonio col pretesto della parentela, e
* San Piei Damiani (1007-1072), tavennate, scrisse specialmente lettere
e opuscoli importantissimi per la storia del costume e del diritto canonico.
Zelante apostolo della riforma del clero, la sua vita di penitente fu immorta
lata da Dante {Paradiso, XXI).
CAPITOLO TRENTANOVESIMO 31
Bertrada, sua amante, fece annullare il suo col conte dAn-
gi con lo stesso pretesto.
Il re e la sua amante furono poi sposati solennemente a
opera di un vescovo di Bayeux. Erano condannabili; ma era
no almeno stati ossequienti alle leggi servendosene per co
prire le proprie colpe. Comunque sia, un papa aveva scomu
nicato Roberto per il fatto di avere sposato una parente, e xm
altro papa scomunic Filippo per aver abbandonato una
parente. Pi singolare la circostanza che Urbano II, il
quale pronunci quella sentenza nel 1094, la pronunciasse
negli stessi Stati del re, a Clermont in Alvemia, dove Tanno
seguente and a cercare asilo, e nello stesso concilio in cui
lo vedremo predicare la crociata.
Tuttavia non sembra che Filippo scomunicato sia dive
nuto oggetto dorrore per i suoi sudditi: una ragione di
pi per dubitare di quel completo abbandono in cui si dice
fosse stato ridotto il re Roberto.
Fatto abbastanza degno di nota fu il matrimonio del re
Enrico, padre di Filippo, con una principessa di Russia, fi
glia di un duca di nome Jaraslau. Non si sa se questa Russia
fosse la Russia Nera, la Bianca o la Rossa*. Questa prin
cipessa era nata idolatra, cristiana o greca? Cambi forse
religione per sposare un re di Francia? Come mai, in un
tempo in cui le comunicazioni tra gli Stati dEuropa erano
cosi rare, im re di Francia pot sapere dellesistenza di una
principessa dei paesi degli antichi Sdti? Chi propose que
sto strano matrimonio? La storia di quei tempi oscuri non
soddisfa nessuna di queste domande.
verosimile che il re dei Francesi, Enrico I, cercasse que
stunione per non esporsi a contese ecclesiastiche. Tra tutte
le superstizioni di quei tempi, quella di non potere sposare
una parente in settimo grado non era la meno nociva al
bene degli Stati. Quasi tutti i sovrani dEuropa erano pa
renti di Enrico, Comunque sia, Anna, figlia di uno Jaraslau,
ignoto duca duna Russia allora sconosciuta, fu regina di
* Giorgio Jaroslav (978-1054) riprese ai Polacchi la Russia Rossa
nel 1031.
32 SAGGIO SUI COSTUMI
Francia; e si deve notare che dopO' la morte del marito non
ebbe la reggenza e non vi avanz pretese. Le leggi cambia
no secondo f tempi. Reggente fu il conte di Fiandra, uno dei
vassalli del regno. La regina vedova si rispos con un conte
di Crpy. Tutto questo sarebbe strano oggi, ma non lo fu
allora.
In genere, se si paragonano quei secoM al nostro, sem
brano l infanzia del genere umano per tutto quanto riguar
da il governo, la religione, il commercio, le arti, i diritti dei
cittadini.
Strano spettacolo soprattutto sono Io svilimento, lo scan
dalo di Roma, e l autorevolezza del suo parere che sussi
steva negli animi, pur nel suo scadimento; quella schiera
di papi creati dagli imperatori, la schiavit di quei ponte
fici, il loro immenso potere non appena sono padroni, e
l estremo abuso di quel potere. Silvestro II, Gerberto, il dot
to del X secolo che pass per mago perch un Arabo gli ave
va insegnato laritmetica e qualche elemento di geometria,
precettore di Ottone III, cacciato dal suo arcivescovado di
Reims al tempo del re Roberto, nominato papa dallimpera
tore Ottone III, conserva ancora la fama di uomo illumi
nato e di papa saggio. Tuttavia ecco quanto riferisce la cro
naca di Ademaro Cabanense*, suo contemporaneo e am
miratore.
Un signore di Francia, Guido, visconte di Limoges, con
testa alcuni diritti dellabbazia di Brantme a un Grimoaldo,
vescovo dAngoulme; il vescovo lo scomunica; il visconte
fa mettere U vescovo in prigione. Queste reciproche violen
ze erano comunissime in tutta l Europa dove la violenza
faceva le ved di legge.
In quellanarchia universale il rispetto per Roma era al
lora talmente grande, che il vescovo, uscito di prigione, e il
visconte di Limoges andarono ambedue a Roma dalla Fran
cia per perorare la loro causa davanti al papa Silvestro II,
in pieno concistoro. Ci crederete? quel signore fu condan
nato a essere squartato a quattio cavalli, e la sentenza sa-
* Monaco e cronachista (988-1034), autore di Historke Francorum.
3/cn
CAPITOLO TRENTANOVESIMO 33
rebbe stata eseguita se egli non fosse evaso. Leccesso com-
meso da quel signore facendo imprigionare un vescovo che
non era suo suddito, i suoi rimorsi, la sua sottomissione a
Roma, la sentenza tanto barbara quanto assurda del con
cistoro, dipingono perfettamente il carattere di quei tempi
selvatici.
Daltronde, n il re dei Francesi, Enrico I, figlio di Ro
berto, n Filippo I, figlio di Enrico, furono conosciuti per
alcun avvenimento memorabile; al loro tempo per i loro
vassalli e valvassori conquistarono dei regni.
Vedremo ora come alcuni avventurieri della provincia
di Normandia, senza beni, senza terre e quasi senza soldati,
fondarono la monarchia delle Due Sicilie, che pi tardi fu un
cos grande motivo di discordia tra gli imperatori della di
nastia di Svevia e i papi, tra le case dAn^ e dAragona,
tra quelle dAustria e di Francia.
3 4 SAGGIO SUI COSTUMI
CONQUISTA DI NAPOLI E DELLA SICILIA DA PARTE
DI GENTILUOMINI NORMANNI
Q
uando Carlomagno prese il nome dimperatore, questo
nome gli diede solo quanto le sue armi potevano assi
curar^. Si arrogava il supremo dominio del ducato di Be
nevento, che costituiva allora una gran parte degli Stati
oggi conosciuti sotto il nome di regno di Napoli. I duchi di
Benevento, pi fortunati dei re longobardi, resistettero tan
to a lui quanto ai suoi successori. La Puglia, la Calabria e
la Sicilia furono in preda alle scorrerie degli Arabi. Gli im
peratori greci e latini si contendevano invano la sovranit
di quei paesi. Parecchi singoli signori ne dividevano le spo
glie con i Saraceni. I popoili non sapevano a chi appartene
vano, n se erano della comunione romana o greca, o mao
mettani. Limperatore Ottone I esercit la propria autorit
in quei paesi essendo il pi forte. Eresse Capua a princi
pato. Meno fortunato. Ottone II fu battuto dai Gred e da
gli Arabi riunitisi contro di lui. Gli imperatori dOriente ri
masero allora in possesso della Puglia e della Calabria, che
govemaroio per mezzo di m catapano. Alcuni signori ave
vano usurpato Salerno. Quelli che possedevano Benevento
e Capua invadevano quanto potevano delle terre del catapa
no, e il catapano a sua volta li depredava. Napoli e Gaeta
erano piccole repubbliche come Siena e Lucca; lo spirito dd-
lantica Grecia sembrava essersi rifugiato in questi due pic
coli territori. Cera qualcosa di grande nel voler essere li
beri, quando tutti i popoli circostanti erano schiavi che
cambiavano padrone. I maomettani, acquartierati in parec-
CAPITOLO XL
chi castelli, saccheggiavano parimente i Greci e i Latini: le
chiese delle province del catapano erano soggette al metro
polita di Costantinopoli; le altre a quello di Roma. I costumi
risentivano del miscuglio di tanti popoli, di tanti governi
e religioni. Lo spirito naturale degli abitanti non sprigionava
nessuna scintilla: non si riconosceva pi il paese che aveva
generato Orazio e Cicerone, e che doveva dare i natali al
Tasso. Questa la condizione in cui si trovava, nel X e nel-
rXI secolo, quella fertile contrada da Gaeta e dal Gariglia-
no fino a Otranto.
Regnava allora il gusto dei pellegrinaggi e delle avventure
cavalleresche. I tempi danarchia sono quelli che producono
lestremo delleroismo: il suo impeto pi raJrenato nei
regimi regolari. Cinquanta o sessanta francesi, partiti nel 983
d ^ e coste di Normandia per andare a Gerusalemme, pas
sarono, al ritorno, per il mare di Napoli, e arrivarono a Sa
lerno nel tempo in cui questa citt, assediata dai maomet
tani, sera allora allora riscattata a prezzo di denaro. Tro
vano i Salernitani intenti a racimolare il prezzo del loro
riscatto mentre i vincitori si abbandonavano tranquillamen
te nel loro campo alla gioia brutale e alla gozzovi^a. Que
sto pugno di stranieri rimprovera agli assediati la vilt della
resa; e, sullistante, avanzando con audacia nel cuor della
notte, seguiti da alcuni Salernitani che osano imitarli, ir
rompono nel campo dei Saraceni, li sorprendono, li mettono
in fuga, li costringono a risalire in disordine sulle loro navi,
e non solo salvano i tesori di Salerno, ma vi aggiungono le
spoglie dei nemici.
Il principe di Salerno, stupefatto, vuole colmarli di do
ni, ed ancor pi stupefatto che li rifiutino: a Salerno ven
gono a lungo trattati come lo meritavano degli eroi libera
tori. Vien fatto loro promettere di ritornare. Lonore che si
accompagna a un avvenimento tanto sorprendente induce
ben presto altri Normanni a passare a Salerno e a Benevento.
I Normanni riprendono labitudine dei loro padri di attra
versare i mari per combattere. Servono ora limperatore gre
co, ora i principi del paese, ora i papi: non importa loro
3 6 SAGGIO SUI COSTUMI
per chi si illustrano, pur di raccogliere il frutto delle loro
fatiche. A Napoli era sorto un duca che aveva asservito la
repubblica nascente. Questo duca di Napoli sin troppo
felice di stringere alleanza con quellesiguo numero di Nor
manni, che laiutano contro un duca di Benevento. (1030)
Fondano la citt di Aversa tra quei due territori; la prima
sovranit acquisita dal lro valore.
Subito dopo giungono tre figli di Tancredi dAltaviUa,
del territorio di Coutances, Guglielmo, soprannominato Brac
cio di Ferro, Drogone e Umfredo. Nulla somiglia di pi
ai tempi favolosi. Questi tre fratelli, con i Normanni di
Aversa, accompagnano il catapano in Sicilia. Guglielmo Brac
cio di Ferro uccide il generale arabo, d la vittoria ai Greci;
e la Sidlia sarebbe ritornata ai Greci se non fossero stati
ingrati. Ma il catapano ebbe timore di quei Francesi che lo
difendevano; fu ingiusto verso di loro e se ne attir la ven
detta. Essi rivolgono le armi contro di lui. Da tre a quattro-
cento Normanni si impadroniscono di quasi tutta la Puglia
(1041). Il fatto sembra incredibile; ma gli avventurieri del
paese si univano a loro e diventavano buoni soldati sotto ta
li maestri. I Calabresi che cercavano di far fortuna con il
coraggio diventavano altrettanti Normanni. Guglielmo Brac
cio Ferro si nomina egli stesso conte di Puglia, senza con
sultare n imperatore, n papa, n signori vicini. Consult
soltanto i soldati, come hanno fatto tutti i primi re di tutti
i paesi. Ogni capitano normanno ebbe assegnata una citt o
un villaggio.
(1046) Morto Braccio di Ferro, viene eletto sovrano della
Puglia il fratello Drogone. Allora Roberto il Guiscardo e i
suoi due giovani fratelli abbandonano ancora Coutances per
partecipare a tanta fortuna. Il vecchio Tancredi stupito di
vedersi padre di una stirpe di conquistatori. Il nome dei
Normanni faceva tremare tutti i vicini della Puglia, e per
sino i papi. Roberto il Guiscardo e i suoi fratelli, seguiti da
una schiera di compatriotti, vanno a piccoli gruppi in pelle
grinaggio a Roma. Camminano sconosciuti, col bastone da
pellegrino in mano, e finalmente giungono in Puglia.
CAPITOLO QUARANTESIMO 37
(1047) Limperatore Enrico II, abbastanza forte allora
da regnare a Roma, non lo fu abbastanza da opporsi subita
mente a quei conquistatori. Diede loro solennemente lin
vestitura di quanto avevano invaso. Possedevano allora lin
tera Puglia, la contea di Aversa, met del Beneventano.
Ed ecco questa casa diventare subito dopo casa reale,
fondatrice dei regni di Napoli e di Sicilia, feudataria del
limpero. Com potuto mai avvenire che quella parte del
limpero ne sia stata subito staccata e sia diventata un feudo
del vescovato di Roma, in un tempo in cui i papi non pos
sedevano quasi punto terre, non erano affatto padroni a
Roma, non erano riconosciuti neppure nella Marca dAn
cona, che Ottone il Grande aveva, si dice, donato loro? Que
sto fatto stupefacente quasi quanto le conquiste dei gen
tiluomini normanni. Ecco la spiegazione di questo enigma.
Il papa Leone IX voUe avere la citt di Benevento, che ap
parteneva ai principi della stirpe dei re longobardi spossessa
ti da Carlomagno. (1053) Limperatore Enrico III gli die
de realmente quella citt, che non gli apparteneva affatto,
in cambio del feudo di Bamberga, in Germania. Oggi i so
vrani pontefici sono padroni di Benevento in virt di que
sta donazione. I nuovi principi normanni erano vicini peri
colosi. Non vi sono conquiste senza gravissime ingiustizie: es
si ne commettevano, e limperatore avrebbe voluto avere
vassalli meno temibili. Dopo averli scomunicati, Leone IX si
mise in testa di andare a combatterli con un esercito di
Tedeschi che gli forn Enrico III. La storia non dice come
dovevano essere spartite le spoglie: dice soltanto che leser
cito era numeroso, che il papa vi uni delle truppe italiane,
le quali si arrolarono come per una guerra santa, e che tra
i capitani vi furono molti vescovi. I Normanni, che avevano
sempre vinto in numero esiguo, erano quattro volte meno
forti del papa; ma erano usi a combattere. Roberto il Gui
scardo, suo fratello Umfredo, il conte dAversa, Riccardo,
ciascuno alla testa di una schiera agguerrita, sbaragliarono
lesercito tedesco e annientarono quello italiano. Il papa
fugg a Civitate, nella Capitanata, presso il campo di bat
38 SAGGIO SUI COSTUMI
taglia; j Normanni lo inseguono, lo prendono, lo conducono
prigioniero in quella- stessa citt di Benevento, che era la
prima causa di quellimpresa.
Quel papa Leone IX stato fatto santo: a quanto sem
bra perch fece penitenza per aver fatto spargere inutil
mente tanto sangue e per aver condotto in guerra tanti ec
clesiastici. certo che se ne pent, soprattutto quando vide
con quale rispetto so trattarono i vincitori e con quale in
flessibilit lo tennero prigioniero un intero anno. Restituiro-
-no Benevento ai principi longobardi, e solo dopo lestin
zione di quella casa i papi ebbero finalmente la citt.
facile capire come i principi normanni fossero pi
risentiti contro limperatore, che aveva fornito un temibile
esercito, che contro il papa che laveva comandato. Bi
sognava liberarsi una volta per tutte delle pretese o dei di
ritti dei due imperi tra i quali si trovavano. Continuano le
loro conquiste; si impadroniscono della Calabria e di Capua
durante la minorit dellimperatore Enrico IV e nel mo
mento in cui il governo dei Greci pi debole di una mi
norit.
A conquistare la Calabria erano i figli di Tancredi dAl
tavilla; a conquistare Capua erano i discendenti dei primi li
beratori. Queste due dinastie vittoriose non ebbero le con
tese che dividono tanto spesso i vincitori e che li indeboli
scono. Lutilit della storia richiede qui che mi soffermi un
momento per rilevare che Riccardo dAversa, che soggiog
Capua, si fece incoronare con le stesse cerimonie della con
sacrazione e dellolio santo che erano state impiegate per
lusurpatore Pipino, padre di Carlomagno. I duchi di Be
nevento si erano sempre fatti consacrare cos. I successori di
Riccardo agirono allo stesso modo. Non c niente che
meglio possa mostrare come ciascuno stabilisca le usanze a
proprio piacimento.
Roberto il Guiscardo, duca della Puglia e della Calabria,
Riccardo, conte dAversa e di Capua, ambedue per il dirit
to della spada, ambedue desiderosi dessere indipendenti da
gli imperatori, misero in opera per le loro sovranit una pre-
CAPITOLO QUARANTESIMO J>9
cau2one che molti privati prendevano per i loro beni patri
moniali in quei tempi di torbidi e di rapine: li davano alla
Chiesa sotto il nome di ofiEerta, di oblata, e ne fruivano
merc un modesto censo; era la risorsa dei deboli, nei re
gimi tempestosi dellItalia. I Normanni, bench potenti, lim-
piegrono come cautela contro imperatori che potevano di
ventare pi potenti. Roberto il Guiscardo e Riccardo di Ca-
pua, scomunicati dal papa Leone IX, avevano tenuto questo
in prigionia. Quegli stessi vincitori, scomunicati da Nicola
II, gii resero omaggio.
(1059) Roberto il Guiscardo e il conte di Capua posero
dunque sotto la protezione della Chiesa, nelle mani di Ni
cola II, non soltanto tutto quello che avevano preso, ma
tutto quello che avrebbero potuto prendere. Il duca Ro
berto fece omaggio persino della Sicilia, che non aveva an
cora. Si proclam feudatario della santa sede per tutti i suoi
Stati, promise un censo di dodici denari per ogni aratro di
terra*, il che era molto. Questo omaggio era un atto di
piet politica, che poteva essere considerato come VobcAo
di san Pietro che lInghilterra pagava alla santa sede, come
le due libbre doro che le diedero i primi re del Portogallo;
insomma, come la sottomissione volontaria di tanti regni al
la Chiesa.
Ma secondo tutte le leggi del diritto feudale che vige
vano in Europa, quei principi, vassalli deUimpero, non po
tevano scegliere un altro signore supremo. Diventavano col
pevoli di fellonia verso limperatore; lo mettevano in con
dizione di avere diritto di confiscare i loro Stati. Le dispute
che sopravvennero tra il sacerdozio e limpero, e ancor pi
le stesse forze dei principi normanni, misero gH imperatori
nellimpossibilit di esercitare i loro diritti. Facendosi vas
salli dei papi, questi conquistatori diventarono i protettori
e spesso i padroni dei loro nuovi signori. Ricevuto uno sten
dardo dal papa e diventato capitano della Chiesa, da ne
mico che ne era, il duca Roberto passa in Siciha con suo
* Superficie di terreno che pu essere arata in un giorno con un tiro
di buoi.
4 0 SAGGIO SUI COSTUMI
fratello Rttggiero: compiono la conquista dellisola sui Gre
ci e sugli Arabi, che allora se ne dividevano il possesso.
(1067) I maomettani e i Greci si sottomisero, a condizione
di conservare le proprie religioni e le proprie usanze.
Bisognava portare a termine la conquista di quanto oggi
costituisce il regno di Napoli. Restavano ancora dei princi
pi di Salerno, discendenti di quelli che avevano per primi
attirato i Normanni in quel paese. I Normanni alla fine li
scacciarono; il duca Roberto prese loro Salerno; essi si ri
fugiarono nella campagna di Roma, sotto la protezione di
Gregorio VII, di quello stesso papa che faceva tremare gli
imperatori. Roberto, vassallo e difensore deUa Chiesa, li in
segue col; Gregorio VII non manca di scomunicarlo; e il
frutto della scomunica la conquista di tutto il Beneven
tano, che Roberto compie dopo la morte dellultimo duca
di Benevento di stirpe longobarda.
Gregorio VII, che vedremo cos fiero e cos terribile
con gli imperatori e i re, ora solo pieno di benevolenza
verso lo scomunicato Roberto. (1077) Gli d lassoluzione,
e ne riceve la citt di Benevento, che da allora sempre ri
masta alla santa sede.
Poco dopo scoppiano le grandi contese, di cui parleremo,
tra limperatore Enrico IV e questo stesso Gregorio VII.
(1084) Enrico si era reso padrone di Roma e assediava il
papa in quel castello che stato poi chiamato il Castel
SantAngelo. Roberto accorre allora dalla Dalmazia, dove
stava compiendo nuove conquiste, libera il papa, nonostante
i Tedeschi e i Romani coalizzati contro di lui, simpadronisce
della sua persona e lo conduce a Salerno, dove questO papa,
che spodestava tanti re, mor da prigioniero e da protetto
di un gentiluomo normanno.
Non dobbiamo meravigliarci se tanti romanzi ci rappre
sentano cavalieri erranti che sono divenuti grandi sovrani
per efietto delle loro imprese e che entrano nella famiglia
degli imperatori. quanto precisamente accadde a Roberto
il Guiscardo, e quanto vedremo pi di uria volta al tempo
delle crociate. Roberto diede sua figlia in sposa a Costantino,
CAPITOLO QUARANTESIMO 41
figlio dellimperatore di Costantinopoli, Michele Ducas. Que
sto matrimonio non fu felice. Egli dovette ben presto vendi
care sua figlia e suo genero, e risolse di andare a detronizza
re limperatore dOriente dopo avere umiliato quello dOc-
cidente.
La corte di Costantinopoli altro non era se non una
continua tempesta. Michele Ducas fu scacciato dal trono
da Niceforo, soprannominato Botoniate. Costantino, genero
di Roberto, fu fatto eunuco; e infine Alessio Comneno, che
pi tardi ebbe tanto da dolersi dei crociati, ascese al trono.
(1084) Durante queste rivoluzioni, Roberto avanzava gi
attraverso la Dalmazia, la Macedonia, e portava il terrore
fino a Costantinopoli. Boemondo, suo figlio di primo letto,
cos famoso nelle crociate, lo accompagnava in questa con
quista dun impero. Di qui vediamo quanto avesse ragione
Alessio Comneno di temere le crociate, poich Boemondo co
minci col volerlo spodestare.
(1085) La morte di Roberto, nellisola di Corf, pose
fine alle sue imprese. La principessa Anna Comnena, figlia
dellimperatore Alessio, che scrisse una parte di questa sto
ria*, considera Roberto solo come un predone, e sindigna
che abbia avuto laudacia di dare sua figlia in sposa al figit'o
dun imperatore. Avrebbe dovuto pensare che la stessa sto
ria dellimpero le forniva esempi di fortune pi ragguarde
voli, e che tutto al mondo cede alla forza e alla poteniza.
4 2 SAGGIO SUI COSTUMI
* Nata nel 1083 e morta nel H48, Anna Comnena fu unerudita che
scrisse la Yita dellimperatore Alessio Comneno e VAlessiade, nella quale
ultima opera menzionato il fatto di Roberto il Guiscardo.
DELLA SICILIA IN PARTICOLARE, E DEL DIRITTO DI
LEGAZIONE IN QUESTISOLA
L idea di conquistare limpero di Costantinopoli svan con
la vita di Roberto; ma i possessi della sua famiglia si con
solidarono in Italia. Il conte Ruggiero, suo fratello, rest
padrone della Sicilia; il duca Ruggiero, suo figlio, rimase in
possesso di quasi tutti i paesi che portano l nome di regno
di Napoli; Boemondo, laltro suo figlio, and pi tardi a con
quistare Antiochia, dopo avere tentato inutilmente di di
videre gjli Stati del duca Ruggiero, suo fratello-.
Perch mai n il conte Ruggiero, sovrano della Sicilia, n
suo nipote Ruggiero, duca di Puglia, presero da allora il
titolo di re? Occorre tempo per ogni cosa. Roberto il Gui
scardo, il primo conquistatore, era stato investito come du
ca dal papa Nicola II. Ruggiero, suo fratello, era stato inve
stito da Roberto il Guiscardo come conte di Sicilia. Tutte
queste cerimonie davano soltanto dei nomi e non aggiun
gevano nuUa al potere. Ma questo conte di Sicilia ebbe un
diritto che si conservato sempre e che nessun re dellEu
ropa ha avuto: divenne un second papa nella sua isola.
I papi si erano arrogati il diritto di inviare in tutta la
cristianit dei legati che venivano chiamati a latere, che eser
citavano una giurisdizione su tutte le chiese, ne esigevano
decime, attribuivano i benefid, esercitavano ed estende
vano U potere pontificio per quanto lo permettevano le cir
costanze e gli interessi dei re. Il temporale, quasi sempre
mescolato aflo spirituale, era soggetto a loro; attiravano al
loro tribunale le cause civili, per quanto poco il sacro vi
CAPITOLO XLI
si mescolasse al profano: matrimoni, testamenti, promesse
con giuramento, tutto era di loro competenza. Erano dei
proconsoli che limperatore ecclesiastico dei cristiani dele
gava in tutto rOccidente. Proprio grazie a ci Roma, sempre
debole, sempre nellanarchia, talora schiava dei Tedeschi e
in preda a tutti i flagelli, continu a essere la signora delle
nazioni. Proprio grazie a ci la storia di ogni popolo sem
pre la storia di Roma.
Urbano II invi un legato in Sicilia appena il conte Rug
giero ebbe tolto questisola ai maomettani e ai Greci, e ap
pena la Chiesa latina vi fu insediata. Di tutti i paesi questo
sembrava effettivamente avere maggior bisogno di un legato,
per regolarvi la gerarchia, presso un popolo che per met era
musulmano e per l altra met era della comunione greca;
tuttavia questo fu il solo' paese nel quale la legazione fu
proscritta per sempre. Il conte Ruggiero, benefattore della
Chiesa latina, alla qude restituiva la Sicilia, non pot sop
portare che venisse mandato un re sotto il nome di legato
nel paese da lui conquistato.
Il papa Urbano, preoccupato unicamente delle crociate,
e desideroso di usare dei riguardi a una famiglia di eroi tan
to necessaria a quella grande impresa, accord, nel suo ulti
mo anno di vita (1098), una bolla al conte Ruggiero, con la
quale revoc il suo legato, e nomin Ruggiero e i suoi suc
cessori legati-nati della santa sede in Sicilia, attribuendo
loro tutti i diritti e tutta lautorit di quella dignit, che era
al tempo stesso spirituale e temporale. Si tratta di quel fa
moso diritto che si chiama la monarchia di Sicilia, vale a dire
il diritto inerente a quella monarchia, diritto che, poi, i papi
hanno voluto annullare, e che i re di Sicilia hanno mantenu
to. Se questa prerogativa incompatibile con la gerarchia
cristiana, evidente che Urbano non poteva darla; se un
oggetto di disciplina che la religione non disapprova, al
trettanto evidente che ogni regno ha il diritto di attribuir
sela. Questo privilegio, in fondo, altro non se non il dirit
to di Costantino e di tutti gli imperatori di presiedere a tut
to lordinamento dei loro Stati; ci nonostante, in tutta
4 4 SAGGIO SUI COSTUMI
lEuropa cattoKca vi stato solo un gentiluomo normanno
che abbia saputo attribuirsi questa prerogativa alle porte
di Roma.
(1130) Il figlio di quel conte Ruggiero raccolse tutta
l eredit della casa normanna; si fece incoronare e consacrare
re di Sidlia e delle Puglie, Napoli, che era allora una cit
tadina, non gli apparteneva ancora e non poteva dare il nome
al regno: era sempre rimasta una repubblica, sotto un du
ca che dipendeva dagli imperatori di Costantinopoli; e que
sto duca era fino allora sfuggito, con dei doni, allambizione
della famiglia conquistatrice.
Questo primo re, Ruggiero, prest omaggio alla santa se
de. Cerano allora due papi: luno figlio di un ebreo, di no
me Leone, che si chiamava Anadeto, e che san Bernardo chia
ma judaicam sobolem, stirpe ebraica; laltro si chiamava In
nocenzo II. Il re Ruggiero riconobbe Anacleto, perch lim
peratore Lotario II riconosceva Innocenzo; e appunto a que
sto Anacleto rese il suo vano omaggio.
Gli imperatori non potevano vedere nei conquistatori
normanni se non degli usurpatori; perdo san Bernardo, che
entrava in tutte le faccende dei papi e dei re, scriveva contro
Ruggiero, cosi come contro quel figlio dun ebreo che si
era fatto eleggere papa a prezzo di denaro. Luno, egli
dice, ha usurpato la cattedra di san Pietro, l altro ha
usurpato la Sidlia; spetta a Cesare punirli. Era dunque
evidente allora che la signoria del papa su quelle due pro
vince era soltanto unusurpazione.
Il re Ruggiero appoggiava Anadeto, che fu sempre ri
conosciuto a Roma. Lotario coglie questoccasione per toglie
re ai Normanni le loro conquiste. Marcia sulla Puglia con
n papa Iimocenzo II. Sembra proprio che quei Normanni
avessero avuto ragione a non voler dipendere dagli impera
tori e a mettere una barriera tra limpero e Napoli. Appena
divenuto re, Ruggiero fu sul punto i perdere tutto. Stava
assediando Napoli, quando limperatore avanza contro di
lui: egli perde alcune battaglie; perde quasi tutte le sue
province sul continente. Innocenzo II lo scomunica e lo
CAPITOLO QUARANTUNESIMO 45
perseguita. San Bernardo era con l imperatore e col pa
pa: voU invano tentare un accomodamento. (1137) Ruggie
ro, vinto, si ritira in Sicilia. Limperatore muore. Tutto cam
bia allora. Il re Ruggiero e suo figlio riprendono le loro pro
vince. Il papa Iimocenzo II, finalmente riconosciuto a Roma,
fatta lega con i principi i quali Lotario aveva dato quelle
province, nemico implacabile del re, marcia, come Leone
IX, alla testa di un esercito. vinto e preso come lui (1139).
Che pu fare allora? Fa come i suoi predecessori: d asso
luzioni e investiture, e di quella stessa casa normanna con
tro la quale aveva chiamato in aiuto limpero si fa dei pro
tettori contro limpero.
Subito dopo il re soggioga Napoli e il poco che ancora re
stava per arrotondare il suo regno da Gaeta fino a Brindisi.
La monarchia si forma esattarnente come oggi. Napoli di
venta la tranquilla capitale del regno, e le arti cominciano a
rinascere un po in quelle belle province.
Dopo aver visto- come dei gentiluoinini di Coutances fon
darono il regno di Napoli e di Sicilia, bisogna vedere come
un duca di Normandia, pari di Francia, conquist lInghilter
ra. Tutte quelle invasioni, tutte quelle migrazioni, che con
tinuarono dalla firie del IV secolo fino allinizio del XIV, e
che terminarono con le crociate, sono im fatto che davvero
colpisce. Tutte le nazioni dellEuropa sono state mescola
te, e non ve n stata quasi nessuna che non abbia avuto
usurpatori.
46 SAGGIO SUI COSTUMI
CAPITOLO XLII
CONQUISTA DELLINGHILTERRA DA PARTE DI
GUGLIELMO DUCA DI NORMANDIA
^Vlentre i figli di Tancredi dAltavilla fondavano' regni
tanto lontano, i duchi della loro nazione ne acquisivano uno
che diventato pi considerevole delle Due Sicilie. La na-
one britannica era, nonostante la sua fierezza, destinata a
vedersi sempre governata da stranieri. Dopo la morte di Al
fredo, avvenuta nel 900, l Inghilterra ricadde nella confu
sione, e nella barbarie. Gli antichi Anglo-Sassoni, suoi primi
vincitori, e i Danesi, suoi nuovi usurpatori, se ne contende
vano sempre il possesso; e nuovi pirati danesi venivano
inoltre spesso a dividere il bottino. Questi pirati continua
vano a essere cos tremendi, e gli Inglesi cos deboli, che,
verso Tanno 1000, questi poterono riscattarsi da loro solo
pagando quarantottomila lire sterline. Per raccogliere quella
somma fu imposta ima tassa che dur, poi, abbastanza a Itin-
go in Inghilterra, cos come la maggior parte delle altre tas
se, che si continua sempre a esigere dopo il momento del
bisogno. Questo tributo umiliante fu chiamato denaro da
nese; dmn geld.
Canuto, re di Danimarca, che stato chiamato il Gran
de, e che ha commesso solo grandi crudelt, riun sotto il suo
dominio la Danimarca e lInghilterra (1017). I nativi inglesi
furono allora trattati come schiavi. Gli autori di quel tempo
asseriscono che quando un Inglese incontrava un Danese,
bisognava che si fermasse fino a che il'Danese fosse passato.
(1041) Estimasi la stirpe di Cmuto, gli stati del regno*,
* Ossia la suprema assemblea deliberante.
riprendendo la propria libert, conferirono la corona a Edoar
do, un discendente degli antichi Anglo-Sassoni, che viene
chiamato il Santo, o il Confessore. Una delle grandi colpe
o una delle grandi disgrazie di quel re fu quella di non
avere figli dalla moglie Edith, figlia del pi potente signore
del regno. Odiava sua moglie, cos come la propria madre,
per ragioni di Stato, e le fece allontanare entrambe. La ste
rilit del matrimonio servi alla sua canonizzazione. Si so
stenne che avesse fatto voto di castit; voto temerario per
un marito, e assurdo per un re che aveva bisogno di eredi.
Questo voto, se fu vero, prepar nuove catene allInghil
terra.
Del resto, i monaci hanno scritto che questo Edoardo fu
il primo re dEuropa che ebbe il dono di guarire le scrofole.
Aveva gi reso la vista a sette o otto ciechi, quando una
povera dorma colpita da scrofolosi si present al suo cospet
to; egli la guari incontanente facendo il segno della croce, e
la rese feconda da sterile che era prima. I re dInghilterra
si sono arrogati da allora in poi il privilegio, non gi di gua
rire i ciechi, ma di toccare le scrofole, che essi non guarivano.
San Luigi in Francia, come signore supremo dei re dIn
ghilterra, tocc le scrofole, e i suoi successori godettero di
questa prerogativa. Guglielmo II I la trascur in Inghilter
ra; e verr il tempo in cui la ragione, che comincia a fare
qualche progresso in Francia, sopprimer questa consuetu
dine.
Vedete come sempre le usanze e i costumi di quei tem
pi siano assolutamente diversi dai nostri. Guglielmo, duca
di Normandia, che conquist lInghilterra, lungi dallavere
alcun diritto su quel regno, non ne aveva nemmeno sulla
Normandia, se la nascita desse i diritti. Suo padre, il duca
Roberto, che non si era mai sposato, laveva avuto dalla fi
glia di un pellicciaio di Falaise, che la storia chiama Harlot,
termine che significavae significa ancora oggi in inglese con
cubina o donna pubblica. Lusanza delle concubine, permes
sa in tutto rOriente e nella legge degli Ebrei, non lo era
nella nuova legge: era ammessa dalla consuetudine. Ci si
48 SAGGIO SUI COSTUMI
vergognava tanto poco dessere nati da una simile unione,
che sjpesso Guglielmo, scrivendo, firmava il bastardo Gu
glielmo. rimasta una sua lettera al conte Alain di Bre
tagna, nella quale firma cos. I bastardi ereditavano spesso;
infatti in tutti i paesi in cui gli uomini non erano gover
nati da leggi fisse, pubbliche e riconosciute, chiaro che
la volont di un principe potente era il solo codice. Gu
glielmo fu dichiarato da suo padre e dagli stati erede del
ducato; e lo rest poi per la sua abilit e per il suo valore
contro tutti coloro che gli contesero il dominio. Regnava
pacificamente in Normancfia, e la Bretagna gli rendeva omag
gio, allorch, morto Edoardo il Confessore, avanz pretese
al regno dInghilterra.
Il diritto di successione non sembrava allora invalso
in nessuno Stato dellEuropa. La corona di Germania era
elettiva, la Spagna era divisa tra cristiani e musulmani, la
Lombardia cambiava padrone ogni giorno; la stirpe caro
lingia, spodestata in Francia, dava a vedere d che pu la
forza contro il diritto del sangue. Edoardo il Confessore non
era giunto al trono in quanto erede; Aroldo, successore di
Edoardo, non era della sua stirpe; ma aveva il diritto pi
incontestabile, cio i suffragi di tutta la nazione. Guglielmo
il Bastardo non aveva dalla sua n il diritto di elezione, n
quello di eredit, e nemmeno un partito in Inghiletrra. So*
stenne che, durante un viaggio che egli fece una volta in
quellisola, il re Edoardo aveva fatto in suo favore un te
stamento, che nessuno vide mai; diceva anche che un tempo
aveva liberato di prigione Aroldo, e che Aroldo gli aveva
ceduto i suoi diritti sullInghilterra: appoggi le sue deboli
ragioni con un forte esercito.
I baroni di Normandia, riunitisi in forma di stati, nega
rono denaro al loro duca per quella spedizione, perch, se
non riusciva, la Normandia ne sarebbe stata impoverita, e
perch un esito felice lavrebbe resa provincia dellInghil
terra; ma parecchi Normaimi rischiarono la propria fortuna
col loro duca. Un solo signore, di nome Fitz-Othbem, arm
quaranta vascelli a proprie spese. Il conte di Fiandra, suo-
4/cn
CAPITOLO QUARANTADUESIMO 49
cero del duca Guglielmo, lo aiut con un po di denaro. Il
pap Alessandro II divent suo sostenitore. Scomunic tutti
coloro che si fossero opposti ai disegni di Guglielmo. Questo
era prendersi giuoco della religione; ma i popoli erano abi
tuati a queste profanazioni, e i principi ne approfittavano.
Guglielmo part da Saint-Valry (il 14 ottobre 1066) con
una flotta numerosa; non si sa quante navi n quanti sol
dati avesse. Approd sulle coste del Sussex; e poco dopo si
svolse in quella provincia la famosa battaglia di Hstings,
che decise da sola la sorte dellInghilterra. Le antiche cro
nache ci informano che nella prima fila dellesercito norman
no, uno scudiero, di nome TaiUefer, in sella a un cavallo
con larmatura, cant la chanson de Roland, che fu cosf a
lungo suUe bocche dei Francesi, senza che ne sia rimasto il
minimo frammento. Questo Tafllefer, dopo aver intonato
la canzone che i soldati ripetevano, si lanci per primo tra
gli Inglesi, e rimase ucciso. Il re Aroldo e il duca di Norman
dia smontarono da cavallo e combatterono a piedi: la bat
taglia dur sei ore. La cavalleria pesante, che altrove comin
ciava a costituire tutta la forza degli eserciti, non sembra
essere stata adoperata in questa giornata. Le truppe, da una
parte e dallaltra, erano composte di fantaccini. Aroldo e
due suoi frateUi vi furono uccisi. Il vincitore si avvicin a
Londra, preceduto da una bandiera benedetta che il pap
gli aveva mandato. Questa bandiera fu lo stendardo sotto il
quale tutti i vescovi si schierarono in suo' favore. Andarono
^ e porte, col magistrato di Londra, a oflErirgli la corona, che
non si poteva negare al vincitore.
Alcuni autori chiamano questa incoronazione una ele
zione libera, un atto dautorit del parlamento dInghilterra.
esattamente lautorit di coloro che, fatti schiavi in guer
ra, accordassero ai loro pdrni il diritto di fustigarli.
Poich aveva ric&TOto un vessillo dal papa per questa
spedizione, G-uglielmo ^ invi in ricompensa lo stendardo
del re Aroldo ucciso nella battagHa e una piccola parte
del piccolo tesoro che poteva avere allora un re inglese. Era
un dono ragguardevole per quel papa Alessandro II che
50 SAGGIO SUI COSTUMI
contendeva ancora la sua sede a Onorio II e che, sul finire
di una lunga guerra civile a Roma, era ridotto aUiadigenza.
Cosi im barbaro, figlio di una prostituta, assassino di un re
legittimo, divide le spoglie di quel re con un altro barba
ro: infatti, togliete i nomi di duca di Normandia, di re dIn-
gMterra e di papa, e tutto si riduce allazione di un ladrone
normanno e di tin ricettatore lombardo; e in fondo, a que
sto si riduce ogni usurpazione.
Guglielmo seppe governare come seppe conquistare. Pa
recchie rivolte sofiocate, alcune im:i2 oni dei Danesi rese
in-utili, leggi rigorose severamente eseguite, segnalarono il
suo regno.' Antichi Brettoni, Danesi, Anglo-Sassoni, tutti fu
rono confusi nella stessa schiavit. I Normanni che avevano
jartecipato alla sua vittoria si spartirono, per i suoi favori,
e terre dei vinti. Di qui tutte quelle famiglie normanne i
cui discendenti, o almeno i nomi, esistono ancora in Inghil
terra. Fece fare unesatta enumerazione di tutti i beni dei
sudditi, di qualunque natura fossero. Si vuole che ne appro
fittasse per farsi in Inghilterra un reddito di quattrocento-
mila lire sterline, pari a circa centoventi milioni di Francia.
evidente che in questo gli storici si sono ingannati. Lo Sta
to dInghilterra di oggi, che comprende la Scozia e lIrlanda,
non ha un reddito maggiore, se ne detraete quanto si paga
per i vecchi debiti del governo. Una cosa certa, ed die
Guglielmo abol tutte le leggi del paese per introdurvi quel
le di Normandia. Ordin che si perorassero le cause in nor
manno, e da lui fino a Edoardo II I tutti gli atti furono
redatti in questa lingua. Volle che lidioma dei vincitori fos
se il solo del paese. Scuole di lingua normanna furono isti
tuite ih tutte le citt e in tutte le borgate. Questa lingua
era il francese mescolato a un po di danese: idioma barba
ro, che non aveva nessuna superiorit su quello che si parla
va in Inghilterra. Si vuole che egli non solo trattasse la nazio
ne vinta con rigidit, ma che ostentasse anche capricci trratmi-
ci. Se ne d come esempio la legge del coprifuoco, secondo la
quale, al suono della campana, si doveva spegnere il fuoco
in ogni casa alle otto di sera. Ma questa legge, lungi dalles
CAPITOLO QUARANTADUESIMO 51
sere tirannica, altro non se non unantica regola invalsa in
quasi tutte le citt del Settentrione; si conservata a lungo
nei chiostri. Le case erano costruite di legno, e il timore del
fuoco era uno degli argomenti pi importanti della regola
mentazione generale.
Gli si rimprovera anche di avere distrutto tutti i villag
gi che si trovavano entro una cerchia di quindici leghe, per
farne una foresta in cui egli potesse godere il piacere della
caccia. Una simile azione troppo insensata perch sia ve
rosimile. Gli storici non badano al fatto che occorrono al
meno ventanni perch una nuova piantagione di alberi di
venti una foresta adatta aUa caccia. Gli si fa seminare que
sta foresta nel 1080. Egli aveva allora sessantatr anni.
mai verosimile che un uomo ragionevole a quellet abbia
distrutto dei villaggi per seminare a bosco quindici leghe,
nella speranza di andarvi a caccia un giorno?
Il conquistatore dellInghilterra fu il terrore del re di
Francia, Filippo I, che troppo tardi tent di prostrare un
vassallo cos potente, e che piomb sul Maine, che dipendeva
allora dalla Normandia. Guglielmo riattravers il mare, ri
prese il Maine, e costrinse il re di Francia a chiedere la
pace.
Le pretese della corte di Roma non si manifestarono mai
in maniera pi singolare di quanto avvenne con questo
principe. Il papa Gregorio VII approfitt del tempo in cui
egli faceva guerra alla Francia per domandare che gli pre
stasse lomaggio del regno dInghilterra. Questomaggio era
fondato su quellantico obolo di san Pietro che l Inghilter
ra pagava alla Chiesa di Roma: ammontava a circa venti
soldi della nostra moneta per ogni casa; offerta considerata
in Inghilterra come una notevole elemosina, e a Roma co
me un tributo. Guglielmo il Conquistatore fece dire al papa
che poteva senzaltro continuare lelemosina; ma anzich fare
omaggio, fece divieto in Inghilterra di riconoscere altro pa
pa che non fosse quello che egli avesse riconosciuto. La pro
posta di Gregorio VII divenne in tal modo ridicola, tanto
era temeraria. Questo lo stesso papa che sconvolgeva lEu
52 SAGGIO SUI COSTUMI
ropa per innalzare il sacerdozio sopra limpero; ma prima di
parlare di questa contesa memorabile e delle crociate che eb
bero inizio in quei tempi, bisogna vedere in poche parole
in quale condizione si trovavano gli altri paesi dEuropa.
CAPITOLO QUARANTADUESIMO 53
DELLA CONDIZIONE DELLEUROPA NEL X E XI SECOLO
L a Moscovia, o piuttosto la Ziovia, aveva cominciato a co
noscere un po di cristianesimo verso la fine del X secolo. Le
donne erano destinate a cambiare la religione dei regni. Una
sorella degli imperatori Basilio e Costantino, sposata a un
granduca o gran knes di Moscovia, di nome Volodimer*,
convinse il marito a farsi batte2zare. Bench schiavi del loro
signore, i Moscoviti ne seguirono lesempio solo col tempo;
e tutto sommato, in quei secoli dignoranza dal rito greco
presero soltanto le superstizioni.
Del resto, i duchi di Moscovia non si chiamavano an
cora czar o zar o tchard; hanno assunto quel titolo solo
quando sono stati i padroni dei paesi verso Casan che ap
partenevano a degli zar. Questo un termine slavone imi
tato dal persiano; e nella bibbia slavona il re Davide chia
mato lo zar Davide.
Circa a quel tempo una donna attrasse anche la Polonia
al cristianesimo. Miecislao, duca di Polonia, fu convertito
dalla moglie, sorella del duca di Boemia. Ho gi fatto os
servare** che i Bulgari avevano ricevuto la fede nello stes
so modo. Anche Gisella, sorella dellimperatore Enrico II,
fece cristiano suo marito, re dUngheria, nel primo anno
dellXI secolo; perci verissimo che met dellEuropa va
debitrice alle donne del suo cristianesimo.
La Svezia, dove esso era stato predicato fin dal IX se-
* Si tratta di Vladimiro I il Grande, o san Vladimiro, morto nel 1015.
** Nel I volume, cap. XXXI, pag. 421.
CAPITOLO XLIII
colo, era ridiventata idolatra. La Boemia, e lintera regine
a nord dellElba, rinunci al cristianesimo (1013). Tutte
le coste del mar Baltico verso lOriente erano pagane. Gli
Ungheresi ritornarono al paganesimo (1047). Ma tutte qu
ste nazioni erano assai pi lontane ancora dallessere inci
vilite che non dallessere cristiane.
La Svezia, probabilmente da gran tempo svuotata dabi
tanti da quelle antiche migrazioni di cui fu inondata lEuro
pa nellVIII, IX, X e XI secolo, sembra cotoe sepolta nella
sua barbarie, senza guerra e senza commercio con i vicini;
non partecipa a nessun grande avvenimento, e probabUmente
ne ritrasse solo maggior felicit.
La Polonia, assai pi barbara che non cristiana, manten-
iie fino al XIII secolo tutti i costumi degli antichi Sarmati,
come quello di uccidere i loro figli che nascevano imper
fetti e i vecchi invalidi. Alberto, soprannominato il Grande
in quei secoli dignoranza, and in Polonia per sradicarvi
quei costumi orrendi che durarono fino a met del XIII se
colo; e fu possibile riuscirvi solo col tempo. Tutto il resto
del Settentrione viveva in uno stato selvaggio; stato della
natura umana quando larte non lha cambiata.
Limpero di Costantinopoli non era n pi ridotto n pi
accresciuto di come labbiamo visto nel IX secolo. A occi
dente, si difendeva contro i Bulgari; a brirate, a settentrione
e a mezzogiorno, contro i Turchi e gli Arabi.
Abbiamo visto, nellinsieme, che cosera lItalia; singoli
signori si dividevano tutto H paese da Roma fino i mare
di Calabria, e i Normanni ne avevano la maggior parte. Fi
renze, Milaio, Pavia si governavano per mezzo dei loro ma
gistrati, sotto dei conti o sotto dei duchi nominati dagH im
peratori. Bologna era pi libera.
La casa di Moriaha, da cui discendono i duchi di Savoia,
re di Sardegna, cominciava ad affermarsi. Possedeva come
feudo imperiale la contea ereditaria di Savoia e di Moriana,
da quando un Beroldo, capostipite di quella casa, aveva ri
cevuto quel piccolo frammento del regno di Borgogna (888).
In Francia ci furono cento signori molto pi ragguardevoli
CAPITOLO QUARANTATREESIMO 55
dei conti di Savoia; ma tutti hanno finito con Tessere so
praffatti dal potere del signore doninante; tutti hanno ce
duto, uno dopo laltro, a nuove casate innalzate dal favore
dei re. Non resta pi traccia della loro antica grandezza. La
casa di Moriana, nascosta tra le sue montagne, andata in
grandendosi di secolo in secolo ed diventata pari ai pi
grandi monarchi.
Gli Svizzeri e i Grigioni, che costituivano uno Stato
quattro volte pi potente della Savoia, e che erano, come
essa, un frammento della Borgogna, obbedivano ai balivi no
minati dagli imperatori.
Due citt marittime dellItalia cominciavano ad ascen
dere, non con quelle invasioni improvvise che hanno costi
tuito il diritto di quasi tutti i principi passati sotto i nostri
occhi, ma grazie a unindustria saggia, la quale degener an-
chessa ben presto in spirito di conquista. Queste due citt
erano Genova e Venezia. Genova, celebre fin dal tempo
dei Romani, vedeva in Carlomagno il proprio restauratore.
Questimperatore laveva ricostruita qualche tempo dopo che
i Goti lavevano distrutta. Governata da conti sotto Carlo
magno e i suoi primi discendenti, fu saccheggiata nel X se
colo dai maomettani, e quasi tutti i suoi cittadini furono con
dotti in schiavit. Ma poich era un porto commerciale, essa
fece presto a ripopolarsi. Il commercio, che laveva resa
florida, serv a farla risorgere. Divent allora una repub
blica. Prese lisola di Corsica agli Arabi che se nerano im
padroniti. I papi esigettero un tributo per quellisola, non
solo perch un tempo vi avevano posseduto patrimoni, ma
perch pretendevano di essere signori supremi di tutti i re
gni conquistati sugli infedeli. I Genovesi pagarono questo
tributo allinizio deUXI secolo; ma poco dopo se ne f r a n
carono sotto il pontificato di Lucio IL Alla fine, poich
con le loro ricchezze andava aimientando la loro ambizione,
da mercanti vollero diventare conquistatori.
La citt di Venezia, assai meno antica di Genova, osten
tava il futile onore di una pi antica libert, e godeva della
solida gloria di una potenza ben superiore. Dapprima fu
56 SAGGIO SUI COSTUMI
solo un rifugio di pescatori e di alcuni fuggiaschi, che vi
ripararono allinizio del V secolo, quando gli Unni e i Goti
devastavano lItalia. La citt consisteva unicamente in al
cune capanne sul Rialto. Il nome di Venezia non era ancora
conosciuto. Questo Rialto, ben lungi dallessere libero, per
trentanni fu semplicemente una borgata appartenente alla
citt di Padova, che la governava per mezzo di consoli. La
vicissitudine deJle cose ha pi tardi posto Padova sotto il
giogo di Venezia.
Non c nessuna prova che sotto i re longobardi Venezia
abbia avuto riconosciuta una libert. pi verosimile che i
suoi abitanti fossero dimenticati nelle loro paludi.
Il Rialto e le piccole isole vicine cominciarono solo' nel
709 , a governarsi con magistrati propri. Furono allora in
dipendenti da Padova e si considerarono una repubblica.
Nel 709 appunto ebbero U primo doge, il quale fu sol
tanto un tribuno del popolo eletto da borghesi. Parecchie
famiglie, che votarono per quel primo doge, esistono ancora.
Sono i pi antichi nobili dEuropa, senza eccettuare nessuna
casata, e dimostrano che la nobilt si pu acquisire altri
menti che possedendo un castello pagando patenti a un
sovrano.
Eraclea fu la prima sede di questa repubblica fino alla
morte del suo terzo doge. Solo verso la fine del IX secolo
quegli isolani, che si erano risospinti pi avanti nelle loro
lagime, dettero a quellinsieme di isolette, che formarono
una citt, il nome di Venezia, dal nome di quella costa, che
veniva chiamata terrae Yenetorum. Gli abitanti di quelle
paludi potevano mantenersi solo col commercio. Il bisogno
fu lorigine della loro potenza. Non del tutto accertato
che questa repubblica fosse allora indipendente. (950) Ve
diamo che Berengario, riconosciuto per qualche tempo im
peratore in Italia, accord al doge il privilegio di battere
moneta. Questi stessi dogi erano obbligati a mandare ogni
anno agli imperatori, come censo, un mantello di tessuto
doro; e Ottone III, nel 998, li affranc da questa specie
di piccolo tributo. Ma quei Hevi segni di vassallaggio non
CAPITOLO QUARANTATREESIMO 57
toglievano niente alla reale potenza di Venezia: infatti,
mentre pagavano un mantello di stofia dro agli impera
tori, i Veneziani acquisirono col loro denaro e le loro armi
tutta la provincia dIstria e quasi tutte le coste della Dalma
zia, Spalato, Ragusa, Narenta. Verso la met del X secolo,
il loro doge assumeva il titolo di duca di Dalmazia; ma
con queste conquiste Venezia si arricchiva meno che col com
mercio, nel quale essa superava anche i Genovesi: infatti,
mentre i baroni di Germania e di Francia costruivano tor
rioni e opprimevano i ppoli, Venezia faceva affluire a s il
loro denaro, fornendo loro tutte le derrate dellOriente. Il
Mediterraneo era gi coperto dalle sue navi ed essa si arricchi
va con lignoranza e con la barbarie delle nazioni setten
trionali dellEuropa,
58 SAGGIO SUI COSTUMI
CAPITOLO XLIV
DELLA SPAGNA, E DEI MAOMETTANI DI QUESTO
REGNO, FINO ALLINIZIO DEL XII SECOLO
L a Spagna era sempre divisa tra i maomettani e i cristiani;
ma i cristiani non ne possedevano un quarto, e quellan
golo di terra era la regione pi sterile. LAsturia, i cui
principi prendevano il titolo di re di Leon; parte della
Vecchia Castiglia, governata da conti; Barcellona e met del
la Catalogna, andiesse sotto un conte; la Navarra, che
aveva un re; una parte dellAragona, per un certo tempo
imita alla Navarra: questo costituiva gli Stati dei cristiani.
I Mori possedevano il Portogallo, la Murcia, lAndalusia,
Valenza, Granata, Tortosa, e si estendevano al centro delle
terre di l dalle montagne della Castiglia e di Saragozza. La
dimora dei re maomettani era sempre a Cordova. Vi ave
vano costruito quella grande moschea la cui volta soste
nuta da trecentosessantacinque colonne di marmo prezioso,
e che tra i cristiani porta ancora il nome di Mesquita, mo
schea, sebbene sia diventata cattedrale.
Le arti vi fiorivano; i piaceri ricercati, la magnificenza,
la galanteria regnavano alla corte dei re mori. I tornei, i
combattimnti alla barriera*, sono forse invenzioni di que
sti Arabi. Avevano spettacoli, teatri, i quali, per quanto
rozzi fossero, mostravano almeno che gli altri popoli erano
men civili di questi moamettani. Cordova era il solo paese
dellOocidente in cui fossero coltivate la geometria, lastro
nomia, la chimica, la medicina. (956) Sancio il Grosso, re
* Combattimento che si svolgeva presso la palizzata che, nei tornei, di
videva in due la Uzza, e che i campioni si contendevano.
del Leon, fu costretto ad andare a Cordova a mettersi nelle
mani di un famoso medico arabo che, invitato dal re, pre
tese che il re andasse da lui.
Cordova un paese di delizie, bagnato dal Guadalquivir,
in cui foreste di limoni, di aranci, di melograni profumano
laria, e dove tutto invita alla mollezza. Il lusso e il piacere
finirono col corrompere i re musulmani. Nel X secolo il
loro dominio fu, come quello di quasi tutti i principi cri
stiani, diviso in piccoli Stati. Toledo, Murcia, Valenza, per
sino Huesca, ebbero i loro re. Era il momento di schiac
ciare quella potenza divisa; ma i cristiani di Spagna erano
ancor pi divisi. Si facevano una guerra continua, si riunivano
per tradirsi e si alleavano spesso con i musulmani. Alfonso
V, re del Leon, diede persino sua sorella Teresa in sposa al
sultano AbdaUa, re di Toledo (1000).
Le gelosie generano pi delitti tra i piccoli principi che
tra i grandi sovrani. Solo la guerra pu decidere la sorte dei
grandi Stati; ma le sorprese, le perfidie, gli assassini, i ve
nefici sono pi comuni tra rivali vicini che, avendo molta
ambizione e poche risorse, mettono in opera tutto quanto
pu supplire alla forza. Cos alla fijie del X secolo un San-
cio Garcia, conte di Castiglia, avvelen sua madre, e suo
figlio, don Garcia, fu pugnalato da tre signori del paese men
tre stava per sposarsi.
(1035) Infine Ferdinando, figlio di Sancio, re di Na-
varra e dAragona, riun sotto il suo potere la Vecchia Ca
stiglia, che la sua famiglia aveva ereditato dopo lassassinio-
di quel don Garcia, e il regno del Leon, di cui spogli il co
gnato, che egli uccise in una battaglia (1036).
Allora la Castiglia divent un regno, e il Leon ne fu una
provincia. Questo Ferdinando, non contento di avere tolto
la corona del Leon e la vita a suo cognato, strapp anche la
Navarra al suo stesso fratello, che egli fece assassinare in
una battaglia che gli aveva mosso. Proprio a questo Ferdi
nando gli Spagnuoli hanno largito il nome di Grande, forse
per disonorare questo titolo, troppo prodigato agli usur
patori.
60 SAGGIO SUI COSTUMI
Suo padre, don Sancio, anchegli soprannominato il Gran
de, per essere succeduto ai conti di Castiglia e per avere fat
to sposare un suo figlio alla principessa delle Asturie, sera
fatto proclamare imperatore, e don Ferdinando volle an
chegli assumere questo titolo. certo che non vi sono
n possono esservi titoli conferiti ai sovrani se non quelli
che essi vogliono assumere e che luso attribuisce loro. Il
nome dimperatore designava dappertutto lerede dei Ce
sari e il padrone dellimpero romano, o almeno colui che
pretendeva di esserlo. Non sembrerebbe che questo appel
lativo potesse essere il titolo distintivo di xm principe poco
saldo, che governava un quarto della Spagna.
Limperatore Enrico III mortific la fierezza castigliana,
chiedendo a Ferdinando lomaggio dei suoi staterelli come
dun feudo dellimpero. difficile dire se era peggiore la pre
tesa dellimperatore tedesco o quella dello spagnuolo. Queste
idee vacue non ebbero alcun effetto, e lo Stato di Ferdinan
do rest un piccolo regno libero.
Appunto sotto il regno di questo Ferdinando viveva Ro
drigo soprannominato il Cid, che efEettivamente spos poi
Chimena alla quale aveva ucciso il padre. Tutti coloro che co
noscono questa storia solo attraverso la tragedia tanto celebre
nel secolo scorso*, credono che il re don Ferdinando posse
desse l Andalusia.
Le famose gesta del Cid furono dapprima laiuto dato
a don Sancio, primogenito di Ferdinando, a spogliare i fra
telli e le sorelle delleredit che il padre aveva lasciato loro.
Ma, dopo che don Sancio fu assassinato in una di quelle spe
dizioni ingiuste, i suoi fratelli rientrarono nei loro Stati
(1073).
Allora vi furono circa venti re in Spagna, tanto cristiani
quanto musulmani; e oltre a questi venti re, un numero
ragguardevole di signori indipendenti e poveri, che, su ca
valli armati di tutto punto e seguiti da qualche scudiero,
andavano a offrire i loro servigi ai principi o alle principesse
* La tragedia in cinque atti le Cid di Pierre Corneille venne rappresen
tata per la prima volta alla fine del 1636.
CAPITOLO QUARANTAQUATTRESIMO 61
che rano in guerra. Questusanza, gi diflEusa in Europa, in
nessun luogo fu pi in onore che in Spagna. I principi pres-:
so i quali questi cavalieri si arrolavano li cingevano della
bandoliera e facevano loro dono di una spada, con la quale
li toccavano di piatto suUa spalla. I cavalieri cristiani ag
giunsero altre cerimonie a questo tocco di spada. Facevano
la veglia delle armi davanti a un altare della Vergine: i mu
sulmani si contentavano di farsi cingere duna scimitarra.
Questa lorigine dei cavalieri erranti e di tante singolari
tenzoni. La pi celebre fu quella che si fece dopo la morte del
re don Sancio, assassinato mentre assediava sua sorella Ur-
raca nella citt di Zamora. Tre cavalieri sostennero linnocen
za dellinfanta contro don Diego de Lara, che laccusava.
Combatterono luno dopo laltro in campo chiuso, alla pi:e-
senza dei giudici nominati da ambedue le parti. Don Diego
atterr e uccise due cavalieri dellinfanta; e siccome il ca
vallo del terzo ebbe-le reni spezzate e port il suo padrone
fuori delle barriere, il combattimento fu giudicato incerto.
Tra tanti cavalieri, il Cid fu quello che si distinse mag
giormente contro i musulmani. Parecchi cavalieri si schie
rarono sotto la sua insegna; e tutti insieme, con i loro scu
dieri e i loro cavalieri corazzati, costituivano un esercito ar
matissimo montato sui pi bei cavalli del paese. Il Cid vinse
pi di un reuccio moro; ed essendosi poi fortificato nella
citt di Alcasas, vi costitu una propria sovranit.
Infine convinse il suo signore Alfonso VI, re della Vec
chia Castiglia, ad assediare la citt di Toledo, e gli offr
tutti i suoi cavalieri per quellimpresa. La notizia di quel
l assedio e la fama del Cid richiamarono dallItalia e dalla
Francia molti cavalieri e molti principi. Raimondo, conte di
Tolosa, e due principi di sangue di Francia, del ramo di Bor
gogna, andarono a quellassedio. Il re maomettano, di no
me Hiaja, era figlio di uno dei pi generosi principi di
cui la storia abbia conservato il nome. Almamon, suo padre,
aveva dato asilo in Toledo a quello stesso re Alfonso che il-
padre Sancio allora perseguitava. Erano vissuti a lungo in
sieme, legati da straordinaria amicizia; e quando, dopo la
62 SAGGIO SUI COSTUMI
morte di Sancio, Alfonso divent re, e perci temibile, Al-
mamon, lungi dal trattenerlo, laveva fatto partecipe dei suoi
tesori: si dice persino che si fossero separati piangendo. Pi
dun cavaliere maomettano usc dalle mura per rimproverare
al re Alfonso la sua ingratitudine verso il benefattore; e vi
fu pi di una singolare tenzone sotto le mura di Toledo.
Lassedio dur un anno. Alla fine Toledo capitol, ma
con la condizione che i musulmani sarebbero stati trattati
come essi avevano trattato i cristiani, che si sarebbe lascia
to loro la propria religione e le proprie leggi: promessa che
fu mantenuta dapprima, e che il tempo fece violare. Tutta la
Nuova Castiglia si arrese poi al Cid, che ne prese possesso
in nome di Alfonso; e Madrid, piccola piazzaforte che do
veva essere un giorno la capitale della Spagna, fu per la
prima volta in potere dei cristiani.
Parecchie famiglie dalla Francia andarono a stabilirsi a
Toledo. Furono dati loro privilegi che in Spagna si chiamano
ancora franchigie. Il re Alfonso tenne subito unassemblea
di vescovi, la quale, senza il concorso del popolo, in altri
tempi necessario, elesse come vescovo di Toledo un prete
di nome Bernardo, al quale il papa Urbano II, pregato dal
re, confer la primazia di Spagna. La conquista fu quasi tutta
per la Chiesa; ma il primate ebbe l imprudenza di abusarne,
violando le condizioni che U re aveva giurato ai Mori. La
grande moscha doveva restare ai maomettani. Durante las
senza del re, l arcivescovo ne fece una chiesa, e suscit una
ribellione contro di lui. Alfonso torn a Toledo, adirato
contro lindiscrezione del prelato. Plac la sedizione, resti
tuendo la moschea agli Arabi, e minacciando di punire lar-
dvescovo. Invit i musulmani a chiedergli essi stessi la gra
zia per il prelato cristiano, ed essi furono contenti e sotto
messi.
Alfonso accrebbe anche con un matrimonio gli Stati che
acquistava con la spada del Cid. Fosse politica, fosse in
clinazione, spos Zaide, figlia di Benadad, nuovo re moro
dAndalusia, e ricevette in dote diverse citt. Non si dic' se
questa sposa dAlfonso abbia abbracciato il cristianesimo. I
CAPITOLO QUARANTAQUATTRESIMO 63
Mori avevano ancora fama di nazione superiore: ci si re
putava onorati dimparentarsi con loro; il soprannome di
Rodrigo era moro; e da ci deriva che gli Spagnuoli furono
chiamati Maranas.
Si rimprovera a questo re Alfonso di avere, insieme con
suo suocero, chiamato in Spagna altri maomettani dAfrica.
difficile credere che abbia commesso un errore cosi strano
contro la politica; ma i re si comportano talvolta in manie
ra inverosimile. Comunque sia, un esercito di Mori si ri
versa dallAfrica in Spagna, e viene ad aumentare la confu
sione che allora regnava dappertutto. Il miramoUn* che re
gnava in Marocco manda suo generale Abenada in aiuto
del re dAndalusia. Questo generale tradisce non soltanto
quello stesso re al quale era inviato, ma anche il miramolin,
in nome del quale veniva. Infine, irritato-, il miramolin viene
egli stesso a combattere il suo perfido generale, che faceva
guerra agli altri maomettani, mentre i cristiani erano an-
chessi tra loro discordi.
La Spagna era in tal modo dilaniata dai maomettani e dai
cristiani, allorch il Cid, don Rodrigo, alla testa della sua
cavalleria, soggiog il regno di Valenza. Cerano in Spagna
pochi re pi potenti di lui; ma egli non ne assunse il nome,
vuoi perch preferisse il titolo ^ Cid, vuoi che lo spirito
cavalleresco lo rendesse fedele al re Alfonso suo signore.
Tuttavia govern Valenza con lautorit di un sovrano, ri
cevendo ambasciatoti e rispettato da tutte le nazioni. Di
tutti coloro che si sono elevati col proprio coraggio, senza
usurpare nuUa, non ve n stato uno solo che abbia avuto
tanta potenza e tanta gloria quanto il Cid.
Dopo la sua morte, avvenuta nellanno 1096, i re di Ca-
stiglia e dAragona continuarono sempre le guerre contro i
Mori: la Spagna non fu mai maggiormente insanguinata e de
vastata; triste effetto dellantica congiura dellarcivescovo
Opas e del conte Giuliano, che causava, dopo quattrocento
anni, e caus ancora per molto tempo, le sventure della
Spagna.
* Vedi, nel primo volume, la nota a pag. 346.
64 SAGGIO SUI COSTUMI
Dalla met alla fine dellXI secolo, dunque, il Cid si
rese cos celebre in Europa; era il tempo splendido della
cavalleria; ma era anche il tempo degli audaci impeti di Gre
gorio VII, delle sventure della Germania e dellItalia, e del
la prima crociata.
CAPITOLO QUARANTAQUATTRESIMO 65
5/cn
DELLA RELIGIONE E DELLA SUPERSTIZIONE NEL X E
XI SECOLO
L e eresie sembrano essere il frutto dun poco di scienza e
di ozio. Abbiamo visto che la condizione in cui si trovava la
Chiesa nel X secolo non permetteva n lozio n lo studio.
Tutti erano armati, e disputavano solo sulle ricchezze. Tut
tavia in Francia, al tempo del re Roberto, vi furono alcuni
preti, e tra gli altri un certo Stefano, confessore della re
gina Costanza, accusati deresia. Furono chiamati manichei
soltanto per attribuire loro un nome pi odioso; perch n
essi n i loro giudici potevano conoscere la filosofia del per
siano Manes. Si trattava probabilmente di entusiasti che ten
devano a una perfezione esagerata per dominare sugli ani
mi: la caratteristica di tutti i capi di stte. Furono impu
tati loro i delitti orribUi e i sentimenti snaturati di cui ven
gono incolpati sempre coloro dei quali non si conoscono i
dogmi. (1028) Fxirono accusati giuridicamente di recitare le
litanie in onore dei diavoli, di spegnere poi i lumi, di unirsi
senza distinzione, e di bruciare il primo fanciullo nato da
quegli incesti per ingoiarne le ceneri. Sono questi pi o me
no i rimproveri che venivano mossi ai primi cristiani. Gli
eretici di cui parlo erano soprattutto accusati dinsegnare
che Dio non venuto sulla terra, che non potuto nascere
da una vergine, che non n morto n risuscitato. In questo
caso non erano cristiani. Vedo che le accuse di questo genere
si contraddicono sempre.
Coloro che venivano chiamati manichei, coloro che fu
rono poi chiamati Albigesi, Valdesi, Lollardi, e che ricom-
CAPITOLO XLV
parvero cos spesso sotto tanti altri nomi, erano resti dei
primi cristiani delle Gallie, legati a parecchie antiche usan
ze che la corte romana pi tardi cambi, e a opinioni vaghe
che il tempo disperde. Per esempio, quei primi cristiani non
avevano conosciuto le immagini; la confessione auricolare
non era stata loro comandata allinizio. Non si deve credere
che al tempo di Clodoveo, e prima di lui, il dogma della
transustanziazione e parecchi altri fossero perfettamente co
nosciuti sulle Alpi. Si vide, nel VII secolo, Claudio, arci
vescovo di Torino, adottare la maggior parte delle opinioni
che formano oggi il fondamento della religione protestante,
e sostenere che queste opinioni erano quelle della Chiesa pri
mitiva. C quasi sempre un piccolo gregge separato dal gran
de; e, sin dallinizio deUXI secolo, questo piccolo gregge
fu disperso o scannato, quando voUe mettersi troppo in
mostra.
Il re Roberto e sua moglie Costanza si trasferirono a
Orlans, dove si tenevano alcune assemblee di coloro che
venivano chiamati manichei. I vescovi fecero bruciare tre
dici di quegli infelici. Il re e la regina assistettero a quello
spettacolo indegno della loro maest. Mai, in Francia, prima
di quellesecuzione, nessuno di coloro che dogmatizzano su
ci che non comprendono era stato mandato allestremo sup
plizio. vero che Priscilliano, nel V secolo, era stato con
dannato a morte a Treviri, con sette suoi discepoli; ma la
dtt di Treviri, che era allora nelle Gallie, non era pi an
nessa alla Francia dopo la decadenza della famiglia di Car-
lomagno. Occorre osservare che san Martino di Tours non
voUe aver niente in comune con i vescovi che avevano chie
sto il sangue di Priscilliano: diceva apertamente che era or
ribile condannare a morte degli uomini perch sbagliano.
Non ci fu un san Martino, al tempo del re Roberto.
Si levavano allora alcune lievi nubi sulleucaristia; ma
esse non provocavano ancora tempeste. Questo oggetto di
disputa, che altro non doveva essere se non un oggetto- dado
razione e di silenzio, era sfuggito allimmaginazione ardente
dei cristiani greci. Probabilmente fu trascurato, perch non
CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO 67
offriva nessun appiglio alla metafisica coltivata dai dot
tori da quando ebbero adottato le idee di Platone. Avevano
trovato di che esercitare la loro filosofia nella spiegazione
della Trinit, nella consustanzialit del Verbo, nellunione
delle due nature e delle due volont, infine nellabisso della
predestinazione. La questione se del pane e del vino sono
trasformati nella seconda persona della Trinit, e perci in
Dio; se si mangia e si beve questa seconda persona realmen
te o solo per il tramite della fede, tale questione, dicevo, era
di un genere diverso, che non sembrava soggetto alla filo
sofia di quel tempo. Perci ci si content di fare la cena la
sera, nelle prime et del cristianesimo, e di comunicarsi alla
messa sotto le due specie, al tempo di cui parlo, senza che i
popoli avessero unidea fissa e determinata su questo mistero
strano.
Sembra che in molte Chiese, e soprattutto in Inghilterra,
si credesse di mangiare e bere Dio solo spiritualmente. Nella
biblioteca Bodleiana si trova unomelia del X secolo, nella
quale sono queste precise parole: Si tratta veramente, gra
zie alla consacrazione, del corpo e del sang;ue di Ges Cristo,
non corporalmente, ma spiritualmente. Il corpo in cui Ge
s Cristo soffr e il corpo eucaristico sono completamente
diversi. Il primo era composto di carne e dossa animati da
unanima razionale; ma ci che noi chiamiamo eucaristia non
ha n sangue, n ossa, n anima. Dobbiamo dunque inten
derlo in senso spirituale.
Giovanni Scoto, soprannominato Eriugena perch era
dellIrlanda, molto tempo prima, sotto il regno di Carlo il
Calvo, e anzi, a quanto dice, per ordine di questimperatore,
aveva sostenuto pi o meno la stessa opinione.
Al tempo di Giovanni Scoto, Ratramno, monaco di Cor-
bia, e altri avevano scritto su quel mistero in modo da far
pensare che non credevano a quanto fu poi chiamato la
presenza rede. Poich Ratramno, nel suo scritto indirizzato
allimperatore Carlo il Calvo, dice in termini espliciti:
il corpo di Ges Cristo che visto, ricevuto e mangiato, non
dai sensi corporei, ma dagH occhi dello spirito fedele.
68 SAGGIO s u r COSTUMI
evidente, ^ aggiunge, che non vi nessun cambiamento
nel pane e nel vino; essi sono dunque esattamente ci che
erano prima. Finisce col dire, dopo aver citato santAgo-
stino, che il pane chiamato corpo e il vino chiamato sangue
sono tma raEgurazione, perch si tratta di un mistero.
Altri passi di Ratramno sono ambigui: alcuni, in con
traddizione coi primi, sembrano favorevoli alla presenza rea
le-, ma, comunque egli la intendesse e gli altri lo intendessero,
gli fu scritto contro. Un altro monaco benedettino, di nome
Pascasio Radberto, che viveva pressa poco nello stesso tem
po, stato reputato U. primo che abbia sviluppato questopi
nione in termini espliciti, dicendo che il pane era il vero
corpo che era uscito dalla Vergine; e il vino con lacqua il
vero sangue colato dal costato di Ges, realmente, come raffi
gurazione. Questa contesa produsse quella degli sterco-
risti o stercorianisti, che, osando esaminare fisicamente un
oggetto della fede, sostennero che il pane e il vino consa
crati venivano digeriti e che seguivano la sorte comune degli
alimenti.
Poich tali questioni si discutevano in latino, e poich i
laici, allora dediti unicamente alla guerra, partecipavano po
co alle dispute della scuola, esse non produssero per fortu
na nessun torbido. I popoli avevano soltanto unidea vaga
e oscura della maggior parte dei misteri: hanno sempre ac
cettato i dogmi come la moneta, senza esaminarne il peso
e il titolo.
Infine Berengario, arcidiacono dAngers, insegn verso il
1050, per iscritto e dalla cattedra, che il vero corpo di Ges
Cristo non e non pu essere sotto le apparenze del pane
e del vino.
Affermava che ci che avrebbe provocato unindigestio
ne, se fosse stato mangiato in quantit eccessiva, poteva es
sere soltanto un alimento; che ci che avrebbe dato ebbrez
za se se ne fosse bevuto troppo era un vero liquore; die non
cera alcuna bianchezza senza un oggetto bianco, alcuna ro
tondit senza un oggetto rotondo; che fisicamente impos
sibile che lo stesso corpo possa essere in mille luoghi con
CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO 69
temporaneamente. Le sue proposizioni tanto pi indigna
rono in quanto Berengario, che godeva di grandissima fama,
aveva per questo nemici ancor pi numerosi. Chi si distinse
di pi contro di lui fu Lanfranco, di stirpe longobarda, nato
a Pavia, che era andato a cercare fortuna in Francia: egli pa
reggiava la fama di Berengario. Ecco come procedeva per
confonderlo nel suo trattato de carpare Damini:
Si pu dire con verit che il corpo di nostro Signore
nelleucaristia lo stesso che uscito dalla Vergine, e che
non lo stesso. lo stesso quanto allessenza e alle pro
priet della vera natura, e non Io stesso quanto alle spe
cie del pane e del viao; di modo che lo stesso quanto alla
sostanza, e che non lo stesso quanto alla forma.
Questa decisione teologica parve essere in genere quella
della Chiesa. Berengario aveva ragionato solo da filosofo. Si
trattava di un oggetto della fede, di un mistero, che la Chie
sa riconosceva come incomprensibile. EgJ.i apparteneva al
corpo della Chiesa; era pagato da essa; doveva dunque ave
re la sua stessa fede, e come essa, si diceva, sottomettere la
propria ragione. Fu condannato al concilio di Parigi nel 1050,
condannato di nuovo a Roma nel 1079, e costretto a pro
nunciare una ritrattazione; ma questa ritrattazione forzata
altro non fece se non ribadire quelle convinzioni nel suo cuo
re. Mor con la sua opinione, che non gener allora n scisma
n guerra civile. Le sole questioni temporali costituivano
loggetto principale che occupava lambizione dei beneficiari
e dei monaci. Laltra fonte, che doveva far versare tanto
sangue, non era ancora aperta.
Appunto dopo la disputa e la condanna di Berengario, la
Chiesa istitu lusanza dellelevazione dellostia, affinch il
popolo, adorandola, non dubitasse della realt che era stata
combattuta; ma il termine di transustanziazione non fu an
cora applicato a quel mistero; fu adottato solo nel 1215, in
un concilio del Laterano.
Lopinione di Scoto, di Ratramno, di Berengario non ven
ne sepolta; fu perpetuata da alcuni ecclesiastici; si trasmise
70 SAGGIO SUI COSTUMI
ai Valdesi, agli Albigesi, agli Ussiti, ai protestanti, come
vedremo.
Avete dovuto osservare che in tutte le dispute che haimo
acceso i cristiani gli uni contro gli altri fin dalla nascita della
Chiesa, Roma si era sempre dichiarata per lopinione che
maggiormente subordinava lo spirito umano e che maggior
mente annientava il ragionamento: parlo qui solo dei fatti
storici; tralascio lispirazione della Chiesa e la sua infalli
bilit, che non sono di competenza della storia. certo che
facendo del matrimonio un sacramento, si rendeva la fe
delt degli sposi un dovere pi santo e l adulterio una colpa
pili odiosa; che la credenza in un dio realmente presente nel
leucaristia, che passava nella bocca e nello stomaco di un
comunicando, riempiva questo di un terrore religioso. Quan
to rispetto si doveva avere per coloro che con una parola tra
mutavano il pane in dio, e soprattutto per il capo di una re
ligione che operava un tale prodigio! Quando la semplice ra
gione umana combatte questi misteri, essa sminu l oggetto
della sua venerazione; e il gran numero di preti, rendendo
troppo comune il prodigio, lo rese meno rispettabile ai po
poli.
Non bisogna tralasciare lusanza che cominci a intro
dursi neUXI secolo di riscattare con le elemosine e con le
preghiere dei vivi le pene dei mrti, di liberarne le anime dal
purgatorio, e listituzione di una festa solenne consacrata a
questa devozione.
Il concetto di un purgatorio, cos come di un inferno, ri
sale alla pi lontana antichit; ma in nessun luogo espres
so cos chiaramente come nel VI libro dellEneide di Virgilio,
nel quale si ritrova la maggior parte dei misteri della reli
gione dei gentili.
Ergo exercentur poenis, veterumque malorum
Supplida expendunt*, ecc.
* VI, 1 3 9 - 1 "Dunque sono tormentati dalle pene, e sopportano i
supplizi dei vecchi mali.
CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO 71
Questidea fu a poco a poco santificata nel cristianesimo,
e fu portata al punto di credere che si potesse, con pre
ghiere, temperare i decreti deUa Provvidenza e ottenere
da Dio la grazia per un morto condannato neUaltra vita a
pene transeunti.
Il cardinale Pier Damiani, lo stesso che racconta che la
moglie del re Roberto partor unoca, riferisce che un pelle
grino reduce da Gerusalemme fu gettato dalla tempesta su
unisola in cui trov un buon eremita, il quale gli raccont
che quellisola era abitata da diavoli; che i paraggi erano
tutti coperti di fiamme, in cui i diavoli tuffavano le anime
dei trapassati; che quegli stessi diavoli gridavano- e urla
vano senza tregua contro santOdilone, abate di Cluny, loro
nemico mortale. Le preghiere di questo Odilone, dicevano,
e quelle dei suoi monaci ci strappano sempre qualche anima.
Essendone stato riferito a Odilone, questi istitu nel suo
convento di Cluny la festa dei morti. In questa festa vera
solo un grande sostrato di umanit e di piet; e questi sen
timenti potevano servire di scusa alla fola del pellegrino.
La Chiesa adott ben presto questa solennit, e ne fece una
festa dobbligo; furono accordate grandi indulgenze alle pre
ghiere per i morti. Se ci si fosse contentati di questo, sarebbe
stata solo una devozione; ma essa ben presto degener in
abuso; le indulgenze furono vendute a caro prezzo; i frati
mendicanti, soprattutto, si fecero pagare per togliere le ani
me dal purgatorio; daltro non parlarono se non di appari
zioni di trapassati, di anime dolenti che venivano a chiedere
soccorso, di morti repentine e punizioni eterne per coloro
che lavevano negato; il latrocinio succedette alla piet cre
dula, e questa fu una delle ragioni che, con landare del
tempo, fecero perdere aHa Chiesa romana met dellEuropa.
chiaro che lignoranza di quei secoli consolidava le
superstizioni popolari. Ne riferir alcuni esempi che hanno
a lungo dato libero corso alla credulit umana. Si sostiene che
l imperatore Ottone II I fece morire sua moglie. Maria
dAragona, per avere commesso adulterio. possibilissimo
che un principe crudele e devoto, come viene dipinto Otto
72 SAGGIO SUI COSTUMI
ne III, mandi al supplizio sua moglie meno depravata di
lui; ma venti autori hanno scritto, e Maimbourg* ha ripetu
to dopo di loro, e altri hanno ripetuto dopo Maimbourg, che
l imperatrice, avendo fatto delle proposte a un giovane con
te italiano che le rifiut per virt, accus di fronte aUim-
peratore quel conte daver voluto sedurla, e che il conte fu
punito con la morte. La vedova del conte, si dice, and con la
testa del marito in mano a chiedere giustizia e a provarne
linnocenza. Questa vedova chiede dessere ammessa alla pro
va del ferro rovente: tenne in mano quanto si voUe una
sbarra di ferro incandescente senza scottarsi; e poich tale
prodigio serviva di prova giuridica, limperatrice fu con
dannata a essere bruciata viva.
Maimbourg avrebbe dovuto riflettere che questa favola
riferita da autori che hanno scritto moltissimo tempo do
po il regno di Ottone III; che non si dicono nemmeno i
nomi di quel conte italiano e di quella vedova che manipo
lava tanto impunemente sbarre di ferro rovente: persino
molto dubbio che sia mai esistita una Maria dAragona, mo
glie di Ottone III. Insomma, quandanche autori contem-
por^ei avessero dato testimonianza diretta di un simile av
venimento, non meriterebbero dessere creduti pi degli
stregoni che depongono in tribunale di avere assistito al
sabba.
Lavventura deUa sbarra di ferro deve far mettere in
dubbio il supplizio della pretesa imperatrice Maria dAra
gona, riferito in tanti dizionari e in tante storie in cui a
ogni pagina la menzogna unita alla verit.
Il secondo avvenimento dello stesso genere. Si vuole
che Enrico II, successore di Ottone III, mettesse alla pro
va la fedelt di sua moglie Cunegonda facendola camminare
scalza su nove vomeri daratro roventi. Questa storia, riferi
ta in tanti martirologi, merita la stessa risposta di quella
della moglie di Ottone.
* Loms Maimbourg (1610-1686), gesuita francese, autore di numerose
opere storiche, tra cui Histoire de la dcadence de lempire depais Charle-
magne (1679), nella quale riportato l episodio menzionato nel testo.
CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO 73
Desiderio, abate di Montecassino*, e parecchi altri scrit
tori riferiscono iin fatto pi o meno simile, ma pi famoso.
Nel 1063, alcuni monaci di Firenze, scontenti del loro ve
scovo, andarono proclamando a cittadini e villici: I l no
stro vescovo un simoniaco e uno scellerato ; e si dice che
ebbero lardire di promettere che avrebbero comprovato tale
accusa con la prova del fuoco. Fu fissato dunque un giorno
per quella cerimonia, e fu il mercoled della prima settima
na di quaresima. Vennero eretti due roghi, ognuno lungo
dieci piedi e largo cinque, separati da un sentiero largo un
piede e mezzo, pieno di legna secca. Accesi i due roghi e ri
dotto quello spazio in carbone, il monaco Piero Aldobran-
dini percorre quel sentiero a passi gravi e misurati, e torna
persino a prendere di tra le fiamme il suo manipolo che ave
va lasciato cadere. Questo ci che parecchi storici dicono
che si pu negare solo rovesciando tutti i fondamenti della
storia; ma certo che non lo si pu credere senza rovesciare
tutti i fondamenti della ragione.
Pu certo succedere che un uomo passi molto in fretta
tra due roghi, e anche su carboni, senza esserne compieta-
mente bruciato; ma il passarvi e ripassarvi con passo grave
per riprendersi il manipolo, una i quelle avventure della
Leggenda aurea** di cui non pi lecito parlare a uomini
ragionevoli. Lultima prova che riferir quella di cui ci
si serv in Spagna per stabilire, dopo la presa di Toledo nel
1085, se si dovesse recitare lufficio romano o quello che
veniva chiamato mozarabico. Fu convenuto dapprima ima-
nimemente di risolvere la disputa con il duello. I>ue campio
ni armati di tutto punto combatterono secondo tutte le re
gole della cavalleria. Don Ruiz de Mattanza, cavaliere del
messale mozarabico, fece perdere gli arcioni aUawersario, e
lo gett a terra moribondo. Ma la regina, che era molto pro
pensa al messale romano, volle che si tentasse la prova del
* Desiderio, dei principi di Benevento (1027-1087), abate di Montecas
sino nel 1058, eletto papa nel 1086 sotto il nome di Vittore III, letterato.
Di lui si conoscono tre libri di Dialoghi.
** Raccolta di vite di santi composta tra il 1255 e il 1266 daUagiografo
Jacopo da Varazze (1228?-1298).
74 SAGGIO SUI COSTUMI
fuoco. Tutte le leggi della cavalleria vi si opponevano; tut
tavia furono gettati nel fuoco i due messali, che probabil
mente bruciarono; e il re, per non scontentare nessuno, con
sent che alcune chiese pregassero Dio secondo il rito roma
no, e che altre conservassero il mozarabico.
Tutto quanto la religione ha di pi augusto era travisato
in quasi tutto lOccidente dai costumi pi ridicoli. La festa
dei matti, quella degli asini vigevano nella maggior parte
delle chiese. Veniva nominato nei giorni solenni un vesco
vo dei matti; si faceva entrare nella navata un asino in pi
viale e berretta da prete. Lasino veniva riverito in memo
ria di quello che port Ges Cristo.
Le danze nelle chiese, i festini sulLaltare, le dissolutezze,
le farse oscene erano le cerimonie di quelle feste, il cui biz
zarro uso dur circa sette secoli in parecchie diocesi. A consi
derare solo i costumi di cui ho parlato, sembrerebbe di ve
dere il ritratto dei Negri e degli Ottentotti; e bisogna am
mettere che in pi di una cosa noi non siamo stati superiori
a loro.
Roma ha spesso condannato questi costumi barbari, cosi
come il duello e le prove. Vi fu sempre nei riti della Chie
sa romana, nonostante tutti i torbidi e tutti gli scandali,
maggior decenza, maggior gravit che altrove; e si avvertiva
che questa Chiesa, quandera libera e ben governata, era fat
ta in tutto per dare lezioni alle altre.
CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO 75
DELLIMPERO, DELLITALIA, DELLIMPERATORE
ENRICO IV E DI GREGORIO VII. DI ROMA
E DELLIMPERO NELLXI SECOLO. DELLA DONAZIONE
DELLA CONTESSA MATILDE. DELLA MISERA FINE
DELLIMPERATORE ENRICO IV E DEL PAPA
GREGORIO VII
Jll/ tempo di tornare alle rovine di Roma e a quel simula
cro del trono dei Cesari che riappariva in Germania.
Non si sapeva ancora chi avrebbe dominato a Roma e
quale sarebbe stata la sorte dellItalia. Gli imperatori te
deschi si credevano di diritto padroni di tutto lOccidente;
ma erano appena sovrani in Germania, dove il gran reggi
mento feudale dei signori e dei vescovi cominciava a getta
re profonde radici. I principi normanni, conquistatori della
Puglia e della Calabria, formavano una nuova potenza.
Lesempio dei Veneziani ispirava alle grandi citt dItalia
lamore della libert. I papi non erano ancora sovrani e vo
levano esserlo.
Il diritto degli imperatori di nominare i papi comincia
va ad affermarsi; ma ci si rende conto facilmente che tutto
doveva cambiare alla prima circostanza favorevole. (1056)
Questa si present ben presto alla minorit dellimperatore
Enrico IV, riconosciuto successore di Enrico III, suo padre,
quando questi era ancora vivo.
La potenza imperiale diminuiva in Italia gi dai tempi
di Enrico III. Sua sorella contessa o duchessa di Toscana,
madre di quella vera benefattrice dei papi, la contessa Ma-
tilde dEste, contribu pi di ogni altro a far insorgere lIta
lia contro il fratello. Ella possedeva, oltre al marchesato di
Mantova, la Toscana e una parte della Lombardia. Com
mise limprudenza di andare alla corte di Germania e fu trat-
CAPITOLO XLVI
tenuta a lungo prigioniera. Sua figlia, la contessa Matilde,
eredit da lei lambizione e l odio per la casa imperiale.
Durante la minorit di Enrico IV, le mene, U denaro e
le guerre civili fecero diversi papi. Finalmente nel 1054 fu
eletto Alessandro II, senza consultare la corte imperiale. In
vano questa corte nomin un altro papa: il suo partito non
era il pi forte in Italia; Alessandro II ebbe la meglio, e
scacci da Roma il suo rivale. quello stesso Alessandro
II che abbiamo visto vendere la propria benedizione al ba
stardo Guglielmo di Normandia, usurpatore deUIngMterra.
Diventato maggiorenne, Enrico IV si vide imperatore
dItalia e di Germania quasi privo di potere. Una parte dei
principi secolari ed ecclesiastici della sua patria fecero lega
contro di lui, e si sa che poteva essere padrone dellItalia
solo alla testa di un esercito, che gli mancava. Il suo po
tere era poca cosa, il suo coraggio era superiore alla fortuna.
(1073) Alcuni autori riferiscono che, accusato alla dieta
di Wrtzburg daver voluto fare assassinare i duchi di Sve-
via e di Carinzia, oflEri di battersi in duello contro laccusato
re, che era un semplice gentiluomo. Fu fissato il giorno per
il combattimento; e laccusatore, non presentandosi, sem
br giustificare limperatore.
Non appena lautorit di un principe contestata, i suoi
costumi sono sempre censurati. Gli veniva pubblicamente
rimproverato davere delle amanti, quando i pi infimi chie
rici ne avevano impxmemente. Voleva separarsi dalla mo
glie, figlia di un marchese di Ferrara, con la quale diceva
di non aver mai potuto consumare il matrimonio. Alcuni suoi
impeti giovanili inasprivano ancora gli animi, e la sua con
dotta indeboliva il suo potere.
Cera allora a Roma un monaco di Cluny, divenuto car
dinale, uomo inquieto, ardente, intraprendente, che sapeva
talvolta unire la scaltrezza allardore del suo zelo per le pre
tese della Chiesa. Ildebrando era il nome di questuomo
audace, che fu poi il celebre Gregorio VII, nato a Soana in
Toscana, da genitori ignoti, allevato a Roma, ammesso nellor
dine dei monaci cluniacensi sotto labate Odilone, deputato
CAPITOLO QUARANTASEESIMO 77
pi tardi a Roma per gli interessi del suo ordine, impiegato
poi dai papi in tutti quegli- affari che richiedono duttilit e fer
mezza, e gi celebre in Italia per uno zelo intrepido. La voce
pubblica lo designava come successore di Alessandro II, di
cui dirigeva il pontificato. Tutti i ritratti, adulatori o odio
si, che tanti scrittori ne hanno fatto si ritrovano nel quadro
di un pittore napoletano:, che dipinse Gregorio con un vin
castro in una mano e una frusta nellaltra, in attO' di cal
pestare alcuni scettri, e con le reti e i pesci di san Pietro al
fianco.
(1073) Gregorio indusse U papa Alessandro a compiere
un colpo maestro inaudito, a ingiungere cio al giovane En
rico di comparire a Roma davanti al tribunale della santa
sede. il primo esempio di unimpresa simile. E in che
tempo si ebbe lardire di compierla? allorch Roma era stata
ben avvezzata da Enrico III, padre di Enrico IV, a ricevere
i suoi vescovi su un semplice ordine dellimperatore. Preci
samente di questa servit Gregorio voleva scuotere il giogo;
e per impedire agli imperatori di dare delle leggi a Roma,
voleva che il papa ne desse agli imperatori. Questa audacia
fin li. Sembra che Ildebrando si servisse di Alessandro II
come di qualcuno da mandare allo sbaraglio contro limpe
ro prima di dar battaglia. La morte dAlessandro segu di po
co questo primo atto dostilit.
(1073) Ildebrando ebbe lautorit di farsi eleggere e
insediare sul trono dal popolo romno, senza aspettare il
permesso dellimperatore. Poco dopo ottenne questo per
messo, promettendo dessere fedele. Enrico IV accett le
sue scuse. Il suo cancelliere dItalia and a Roma a confer
mare lelezione del papa, e Enrico, che tutti i cortigiani av
vertivano di temere Gregorio VII, disse risolutamente che
quel papa non poteva essere ingrato verso il suO benefat
tore. Ma non appena Gregorio si reso sicuro del pontificato
dichiara scomunicati tutti coloro che riceveranno benefici
dalle mani dei laici, e qualunque laico che li conferir. Ave
va concepito il disegno di togliere a tutti i coUatori seco
lari il diritto di dare investiture agli ecclesiastici. Questo
78 SAGGIO SUI COSTUMI
significava mettere la Chiesa alle prese con tutti i re. La sua
indole violenta esplode contemporaneamente contro Filippo
I, re di Francia. Si trattava di alcuni mercanti italiani che i
Francesi avevano taglieggiato. Il papa scrive una lettera cir
colare ai vescovi di Francia. Il vostro re, dice loro,
meno re che tiranno; passa la vita nellinfamia e nel de
litto. E a queste parole indiscrete segue la solita minac
cia di scomunica.
Subito dopo, mentre limperatore Enrico impegnato in
una guerra civile contro i Sassoni, il papa gli invia due le
gati per ordinargli di comparire a rispondere alle accuse mos
segli daver concesso liavestitura dei benefici, e per scomu
nicarlo in caso di rifiuto. I due latori di un ordine cos
strano trovano limperatore vincitore dei Sassoni, al colmo
della gloria e pi potente di quanto si sperasse. Ci si pu
immaginare con quale alterigia un imperatore di venticin
que anni, vittorioso e geloso della sua condizione, ricevesse
una tale ambasceria. Non inflisse il castigo esemplare, che
lopinione di quei tempi non permetteva, e apparentemente
oppose solo ^sprezzo allaudacia; abbandon quei legati
indiscreti agli insulti dei valletti di corte (1076).
'Quasi contemporaneamente, il papa scomunic anche
quei Normanni, principi della Puglia e della Calabria (co
me abbiamo detto in precedenza). Tante scomuniche alla
volta sembrerebbero oggi il colmo della follia. Ma si con
sideri che Gregorio VII, minacciando il re di Francia, indi
rizzava la sua boUa al duca dAquitania, vassallo del re,
potente quanto lo stesso re; che, quando si scagliava contro
limperatore, aveva dalla sua una parte dellItalia, la con
tessa Matilde, Roma e met della Germania; che, quanto
ai Normanni, questi erano a quel tempo suoi nemici dichia
rati; allora Gregorio VII apparir violento e audace pi che
insensato. Si rendeva conto che, innalzando la sua dignit
sopra allimperatore e a tutti i re, sarebbe stato assecondato
dalle altre Chiese, lusingate dessere le membra di uri capo
che umiliava la potenza secolare. Nutriva il disegno non sol
tanto di scuotere il giogo degli imperatori, ma anche di met
CAPITOLO QUARANTASEESIMO 79
tere Roma, imperatori e re sotto il giogo del papato. Que
sto poteva costargli la vita, doveva anzi aspettarselo, e il ri
schio conferisce gloria.
Troppo occupato in Germania, Enrico IV non poteva
scendere in Italia. Parve dapprima vendicarsi meno da im
peratore tedesco che da signore italiano. Anzich adoperare
un generale e un esercito, si serv, si dice, di un bandito di no
me Cencio, stimatissimo per i suoi atti di brigante, che rap il
papa in Santa Maria Maggiore mentre ofSciava: alcuni sa
telliti risoluti percossero a sangue il pontefice. Fu condotto
prigioniero in una torre di cui Cencio si era impadronito, e
gli fu fatto pagare caro il riscatto.
(1076) Enrico IV ag un po pi da principe, convo
cando a Worms un concilio di vescovi, di abati e di dottori,
nel quale fece deporre il papa. Tutti i voti, salvo due, furo
no per la deposizione. Ma a quel concilio mancavano trup
pe che andassero a farlo rispettare a Roma. Enrico altro
non fece se non compromettere la propria autorit, scrivendo
al papa che lo deponeva e al popolo romano che gli proi
biva di riconoscere Gregorio.
Appena il papa ebbe ricevuto quelle inutili lettere, parl
cos in un concilio a Roma: Da parte di Dio onnipotente,
e per nostra autorit, proibisco a Enrico, figlio del nostro
imperatore Enrico, di governare il regno teutonico e ITta-
Ha; sciolgo tutti i cristiani dal giuramento che gli hanno
fatto o gli faranno; e proibisco che chicchessia lo serva mai
come re. Si sa che questo il primo esempio di un papa
che pretende togliere la corona a un sovrano. Abbiamo vi
sto per linnanzi dei vescovi deporre Ludovico il Pio; ma
cera almeno un velo a quellattentato. Condannavano Lu
dovico, solo apparentemente, alla penitenza pubblica; e
nessuno aveva mai osato parlare, dalla fondazione della Chie
sa, come Gregorio VII. Le lettere circolari del papa fu
rono improntate allo stesso sprito della sentenza. Vi ri
pet pi volte che i vescovi sono superiori ai re e fatti per
giudicarli: espressioni tanto abili quanto ardite, che dove
80 SAGGIO SUI COSTUMI
vano fare schierare sotto il suo vessillo tutti i prelati del
mondo.
Sembra molto probabile che quando depose cos il suo
sovrano con delle semplici parole, Gregorio VII sapeva bene
che sarebbe stato assecondato dalle guerre civili di Germania,
le quali ripresero con maggior furore. Un vescovo di Utrecht
era servito a far condannare Gregorio. Si sostenne che quel
vescovo, morendo di morte improvvisa e dolorosa, si fosse
pentito della deposizione del papa come di un sacrilegio.
I rimorsi veri o falsi del vescovo ne suscitarono nel popolo.
Non era pi il tempo in cui la Gerrnania era imita sotto gli
Ottoni. Enrico IV si vide circondato nei pressi di Spira dal
lesercito dei confederati, che si prevalevano della boUa del
papa. Il regime feudale doveva allora cagionare simili rivo
luzioni. Ogni principe tedesco era geloso della potenza im
periale, cos come lalta signoria di Francia era gelosa di
quella del suo re. Il fuoco delle guerre civili covava sempre,
e una boUa scagliata al momento opportuno poteva accen
derlo.
I principi confederati diedero la libert a Enrico soltanto
a condizione che sarebbe vissuto da privato e da scomunicato
a Spira, senza compiere nessuna funzione n come cristiano n
come re, in attesa che il papa andasse a presiedere ad Augusta
a unassemblea di principi e di vescovi, che doveva giudicarlo.
Sembra che dei principi che avevano diritto di elegge
re limperatore avessero anche quello di deporlo; ma voler
far presiedere il papa a quel giudizio' significava riconoscerlo
giudice naturale dellimperatore e dellimpero. Fu questo il
trionfo di Gregorio VII e del papato. Ridotto a questi estre
mi, Enrico IV aument ancora di molto il trionfo.
Volle prevenire quel fatale giudizio di Augusta e, con una
risoluzione inaudita, valicando le Alpi del Tirolo con pochi
domestici, and a chiedere al papa lassoluzione. Gregorio
VII era allora con la contessa Matilde nella citt di Ca
nossa, lantica Canusium, suUAppennino, presso Reggio, for
tezza reputata allora inespugnabile. Quellimperatore, gi ce
lebre per le battaglie vinte, si presenta alla porta della for-
6/cn
CAPITOLO QUARANTASEESIMO 81
tezza, senza guardie, senza seguito. Viene fermato nella se
conda cinta, viene spogliato degli abiti, viene rivestito di un
cilicio, resta scalzo nella corte; era il gennaio 1077. Fu fatto
digiunare tre giorni, senza ammetterlo a baciare i piedi al
papa, che: durante questo tempo stava rinchiuso con la con
tessa Matilde, della quale era da lungo tempo il direttore spi
rituale. Non c da stupirsi che i nemici di quel papa gli ab
biano rimproverato la sua condotta con Matilde. vero
diegli aveva sessantadue anni; ma era direttore, Matilde
era donna, giovane e debole. Il linguaggio devoto, che si
trova nelle lettere del papa alla principessa, paragonato agli
impeti della sua ambizione, poteva far sospettare che la re
ligione servisse di maschera a tutte le sue passioni; ma nes
sun fatto, nessun indizio ha mai potuto trasformare questi
sospetti in certezza. Gli ipocriti voluttuosi non hanno n
un entusiasmo cos costante, n uno zelo cos intrepido. Gre
gorio era reputato austero, e proprio per questo era peri
coloso.
Finalmente limperatore ebbe il permesso di proster
narsi ai piedi del pontefice, il quale acconsent ad assolverlo,
facendogli giurare che avrebbe atteso il giudizio legale del
papa ad Augusta, e che gli sarebbe stato perfettamente sot
tomesso in tutto. Alcuni vescovi e aloani signori tedeschi
del partito di Enrico fecero il medesimo atto di sottomissio
ne. Credendosi allora, non senza verosimiglianza, padrone del
le corone della terra, Gregorio VII scrisse, in parecchie let
tere, che era suo dovere rendere umili i re.
La Lombardia, che parteggiava ancora per limperatore,
fu tanto indignata dellavvilimento in cui si era ridotto, che
fu sul punto di abbandonarlo. Vi si odiava Gregorio VII as
sai pi che in Germania. Fortunatamente per limperatore,
questodio per le violenze del papa super lindignazione che
ispirava la bassezza del principe. Egli ne approfitt e, per
un cambiamento di fortuna, nuovo per degli imperatori teu
tonici, fin col trovarsi fortissimo in Italia, quando la Ger
mania l abbandonava. Tutta la Lombardia fu in armi con-
82 SAGGIO SUI COSTUMI
tre il papa, mentre Gregorio VII sollevava la Germania con
tro limperatore.
Da una parte, questo papa agiva segretamente per far
eleggere un altro Cesare in Germania; e Enrico non trascu
rava niente per far eleggere un altro papa dagli Italiani
(1078). I Tedeschi elessero dunque imperatore Rodolfo, duca
di Svevia; e dapprima Gregorio VII scrisse che avrebbe
giudicato tra Enrico e Rodolfo, e che avrebbe dato la corona
a chi gli fosse stato pi sottoposto. Poich Enrico si era fida
to pili delle sue truppe che del santo padre, ma aveva su
bito qualche sconfitta, il papa, pi orgoglioso, scomunic di
nuovo Enrico (1080). Io gli tolgo la corona, disse,
e do il regno teutonico a, Rodolfo. E, per far credere che
dava veramente gli imperi, fece dono a quel Rodolfo' di una
corona doro, in cui era inciso questo verso:
Pefra dedit Vetro, Petrus diadema Rodolpho.
La pietra ha dato a Pietro la corona, e Pietro la d a Rodolfo.
Questo verso unisce al tempo stesso un giuoco di pa
role puerile e una fierezza, che erano entrambi la conse
guenza dello spirito del tempo.
Frattanto, in Germania, il partito di Enrico si rafforzava.
Quello stesso principe che, coperto di un cilicio' e scalzo,
aveva atteso per tre giorni la misericordia di colui che crede
va suo suddito, prese due risoluzioni pi ardimentose, quelle
di deporre il papa e di combattere il suo antagonista. (1080)
Riunisce a Bressanone, nel Titolo, una ventina di vescovi che,
muniti della procura dei prelati della Lombardia, scomuni
cano e depongono Gregorio VII, come fautore dei tiranni,
simoniaco, sacrilego e mago. Viene eletto papa in quellassem
blea Ghiberto, arcivescovo di Ravenna. Mentre questo nuo
vo papa corre in Lombardia a incitare i popoli contro Gre
gorio, Enrico IV, alla testa di un esercito, va a combattere
il suo rivale Rodolfo. Fu eccesso dentusiasmo, oppure ci
che si chiama pia frode a portare allora Gregorio VII a pr-
CAPITOLO QUARANTASEESIMO 83>
fetizzare che Enrico, sarebbe stato vinto e ucciso in quella
guerra? Che io non sia papa, egli dice nella lettera scrit
ta ai vescovi tedeschi del suo partito, se- questo non 'ac
cade prima del giorno'di san Pietro. La sna ragione ci
insegna che chiunque predice il futuro un ciurmatore o
un insensato. Ma consideriamo quali rrori regnavano allora
nello spirito degli uomini. Lastrologia giudiziaria fu sempre
la superstizione dei dotti. Si rimprovera a Gregorio davere
creduto agli astrologi. Latto della sua deposizione a Bres
sanone dice che si dava a fare lindovino, a spiegare i sogni;
e appunto su questo fondamento veniva accusato di magia.
Gli stato dato dellimpostor a proposito di quella falsa
e strana profezia: pu darsi che fosse soltanto credulo, im
petuoso e pazzo furioso.
La sua predizione ricadde su Rodolfo, su creatura. Fu
vinto. Gofiredo di Buglione, nipote della contessa Matilde,
lo stesso, che poi conquist Gerusalemme, (1080) uccise nel
la mischia quellimperatore che il papa si vantava di avere
nominato. Chi crederebbe che allora il papa, invece di cat
tivarsi Enrico, scrivesse a tutti i vescovi teutonici che biso
gnava eleggere im altro sovrano, a condizione che rendesse
omaggio al papa come vassallo? Tali lettere provano che la
fazione contro Enrico in Germania era ancora potentissima.
In quello stesso tempo il papa ordinava ai suoi legati in
Francia di esigere un tributo di un denaro dargento allanno
per ogni casa, come in Inghilterra.
Trattava la Spagna pi dispoticamente; pretendeva es
serne signore supremo e demaniale, e dice nella sesta lettera
che ... meglio che essa appartenga ai Saraceni piuttosto
che non renda omaggio alla santa sede .
Scrisse al re dUngheria, Salomone, re di un paese ap
pena cristiano: Potete apprendere dagli anziani del vostro
paese che il regno dUngheria appartiene alla Chiesa ro
mana .
Per quanto temerarie appaiano le imprese, esse sono sem
pre la conseguenza delle opinioni dominanti. Lignoranza do-
8 4 SAGGIOVSUI COSTUMI
vva certamente aver messo allora in- molte teste che la
Chiesa era la padrona dei regni, dal momento che il papa
scriveva sempre in questo stile.
, : Nemmeno la sua'inflessibilit coti Enrico era priva di
fondamento. Si era talmente imposto allo spirito della con
tessa Matilde, che, ella aveva fatto una donazion autentica
dei suoi Stati alla santa sede, riservandosene soltanto lusu
frutto vita naturai durante. Non si sa se ci fu un atto, un
contratto, di questa concessione. Lusanza consisteva nel
porre sullaltare una zolla di terra quando si donavano i
propri beni alla Chiesa: dei testimoni facevano le veci di
contratto. Si sostiene che Matilde donasse due volte tutti
i suoi beni alla santa sede*.
La veracit di quella donazione, confermata poi dal suo
testamento, non fu messa in dubbio da Enrico IV. il titolo
pi autentico che i papi abbiano invocato. Ma quello stesso
titolo fu una nuova fonte di contese. La contessa Matilde
possedeva la Toscana, Mantova, Parma, Reggio, Piacenza,
Ferrara, Modena, una parte deUUmbria e del ducato di Spo
leto, Verona, quasi tutto quello che oggi si chiama il patri
monio di san Pietro, da Viterbo fino a Orvieto, con una par
te della Marca dAncona.
Enrico III aveva concesso lustifrutto di questa Marca
dAncona ai papi; ma tale concessione non aveva impedito
alla madre della contessa Matilde di rendersi padrona delle
citt che a suo giudizio le appartenevano. Sembra che Ma-
tilde volesse riparare dopo la sua morte il torto chella fa
ceva alla santa sede da viva. Ma non poteva donare i feudi
che erano inalienabili; e gli imperatori sostennero che tutto
il suo patrimonio era feudo dellimpero; ci significava dare
terre da conquistare, e lasciare delle guerre dietro di lei.
Come erede e come signore supremo, Enrico IV vide in
una simile donazione soltanto la violazione dei diritti del
limpero. Tuttavia, a lungo andare, stato necessario cedere
alla santa sede una parte di quegU Stati.
* Si veda il Dizionario filosofico, allarticolo d o n a z i o n i (N.d.A.)..
CAPITOLO QUARANTASEESIMO 85
Enrico IV, proseguendo nella propria vendetta, and al
la fine ad assediare il papa a Roma. Prende la parte della
citt di qua dal Tevere che chiamata Leonina. Negozia con
i cittadini, mentre minaccia il papa; si conquista i maggio
renti di Roma col denaro. Il popolo si butta alle ginocchia
di Gregorio, per pregarlo di stornare le sciagure di un asse
dio e di piegarsi allimperatore. Il pontefice, irremovibile,
risponde che limperatore deve rinnovare la penitenza se vuo
le ottenere il perdono.
Frattanto lassedio andava per le lunghe. Enrico IV, ora
presente allassedio, ora costretto a correre a sedare ribellio
ni in Germania, prese infine la citt dassalto. singolare
che gli imperatori di Germania abbiano preso tante volte
Roma e non vi abbiano mai regnato. Restava da prendere
Gregorio VII. Rifugiato in Castel SantAngelo, vi sfidava e
scomunicava il suo vincitore.
Roma era ben punita per lintrepidit del suo papa. Ro
berto il Guiscardo, duca di Puglia, uno di quei famosi Nor
manni di cui ho parlato, approfitt dellassenza dellim
peratore per andare a liberare il pontefice; ma al tempo stes
so saccheggi Roma, parimente devastata e dagli Imperiali
che assediavano il pontefice e dai Napoletani che lo libera
vano. Gregorio VII mor poco dopo a Salerno (24 maggio
1085), lasciando un ricordo caro e rispettabile al clero ro
mano, che condivise la sua fierezza invisa agli imperatori, e a
ogni buon cittadino che osservi gli effetti della sua ambizio
ne inflessibile. La Chiesa, di cui fu il vindice e la vittima, lo
ha messo nel novero dei santi, come i popoli dellantichit
deificavano i loro difensori; i savi lhanno messo nel novero
dei pazzi.
Privata del papa Gregorio, la contessa Matilde si rispos
poco dopo con il giovane principe Guelfo, figlio di Guelfo,
duca di Baviera. Si vide allora quanto era imprudente la
sua donazione, se vera. Ella aveva quarantadue anni, e po
teva ancora avere figli che avrebbero ereditato una guerra
civile.
8 6 SAGGIO SUI COSTUMI
La morte di Gregorio VII non spense lincendio che egli
aveva acceso. I suoi successori si guardarono bene dal far
approvare la prpria elezione dallimperatore. La Chiesa era
lungi dal rendere omaggio, anzi, lo esigeva; e l imperatore
scomunicato non era dJtronde considerato nel novero degli
uomini. Un monaco, abate di Alontecassino, fu eletto papa do
po il monaco Ildebrando'; ma fu solo' unapparizione fugace.
Successivamente Urbano II, francese di oscuri natali, che oc
cup la sedia pontificia per undici anni, fu un nuovo nemico
dellimperatore.
Mi sembra palese che la vera essenza della contesa stes
se nel fatto che i papi e i Romani non volevano imperatori
a Roma; e adducevano a pretesto, che si voleva rendere
sacro, che i papi, depositari dei diritti deUa Chiesa, non po
tevano tollerare che principi profani investissero i vescovi
con il pastorale e lanello. Era ben chiaro che i vescovi, sud
diti dei principi e arricchiti da loro, dovevano un omaggio
per le terre che possedevano grazie alla loro generosit. Gli
imperatori e i re non pretendevano dare lo Spirito Santo,
ma voleviano lomaggio del beneficio temporale che avevano
dato. La forma di un pastorale e di tm anello erano accessori
rispetto alla questione principale. Ma accadde ci che ac
cade quasi sempre nelle cotese; si trascur la sostanza e ci si
batt per una cerimonia insignificante.
Enrico IV, sempre scomunicato e sempre perseguitato
con quel pretesto da tutti i papi del tuo tempo, sub le scia
gure che le iguerre di religione e le guerre civili possono pro
vocare. Urbano II gli istig contro il suo stesso figlio Corra
do; e, dopo la morte di questo figlio snaturato, suo fratello,
che fu poi limperatore Enrico V, mosse guerra al padre. Per
la seconda volta dopo Carlomagno, i papi contribuirono a met
tere le armi in mano ai figli contro i padri. E osserverete che
questo Urbano II lo stesso che scomunic Filippo I in
Francia e che indisse la prima crociata. Egli non fu soltanto
la causa della misera morte di Enrico IV, fu la causa della
morte di pi di due milioni di uomini.
CAPTOLO QUARANTASEESIMO 87
88 SAGGIO SUI COSTUMI
; Tantum jeligio potuit suadere mdorum*\...... .
(11Q6) Enrico IV, ingannato da suo glio Enrico, come
Ludovico i l Pi lo era stato dai suoi, fu imprigionato a Ma
gonza. Ivi due legati lo detronizzano; due deputati della
diet, inviati dal figlio, gli strappano gli ornamenti impe
riali. '.
Poco dopo (7 agosto), fuggito dalla prigione, povero,
errabondo e privo di aiuti, egli mori a Liegi, ancor pi mi
sero di Gregorio VII e pi oscuramente, dopo avere tenuto
per tanto tempo lo sguardo dellEuropa fisso sulle sue vitto
rie, sulle sue grand^ze, sulle sue disgrazie, sui suoi vizi e
sulle sue virt. Morendo esclamava; Dio delle vendette,
voi vendicherete questo parricidio ! In ogni tempo gli uomi
ni hanno immaginato die Dio esaudisse le maledizioni dei
morenti, e soprattutto dei padri. Errore utile e rispetta
bile: arrestava il delitto. Un altro errore, pi generalmente
difEuso tra noi, faceva credere che gli scomunicati fossero
dannati. Il figlio di Enrico IV giunse al colmo dellempie
t ostentando la piet atroce di dissotterrare il corpo del
padre, inumato nella cattedrale di Liegi, e di farlo portare
in un sotterraneo a Spira. Cos consum la sua ipocrisia sna
turata.
Soffermatevi un momento presso il cadavere esumato di
quel famoso imperatore Enrico IV, pi infelice del nostro
Enrico IV, re di Francia. Cercate donde vengano tante umi
liazioni e tante sventure da un lato, tanta audacia dallal
tro, tante cose orribili reputate sacre, tanti principi immor
lati alla religione; ne vedrete limica origine nella plebaglia;
essa a dare l impulso alla superstizione. Proprio per i fab
bri e i boscaiuoli della Germania limperatore era comparso
a piedi nudi davanti al vescovo di Roma; il basso popolo,
sctiiavo della superstizione, che vuole che i suoi padroni ne
siano schiavi. Non appena avete tollerato che i vostri sud
diti siano accecati dal fanatismo, essi vi costringono ad ap-
* Lucrezi, De Naiura deorum, I, 102; A tanti maK pot indurre la
superstizione!.
patire fanatico come loro; e se scotete il giogo che portano
e che amano, essi si ribellano. Avete creduto che quanto pi
pesanti e dure sono le catene della religione, che debbono
essere lievi, tanto pi i vostri popoli saranno sottomessi; vi
siete ingannato: si servono di queste catene per molestarvi
sul trono o per farvene discendere.
CAPITOLO QUARANTASEESIMO
DELLIMPERATORE ENRICO V E DI ROMA FINO A
FEDERICO I
Q
uello stesso Enrico V che, con una bolla del papa in
mano, aveva detronizzato ed esumato suo padre, non
appena fu padrone, sostenne contro la Chiesa i medesimi
diritti di Enrico IV.
Gi i papi sapevano fare dei re di Francia il loro so
stegno contro gli imperatori. Le pretese del papato aggredi
vano, vero, tutti i sovrani; ma poi, con negoziati, si aveva
no riguardi per coloro che venivano insultati con delle
bolle. I re di Francia non avevano nessima pretesa a Ro
ma: erano vicini e gelosi degli imperatori, che volevano do
minare sui re; erano dunque gli alleati naturali dei papi. Per
ci Pasquale II and in Francia e implor laiuto del re
Filippo I. I suoi successori fecero spesso altrettanto. I ter
ritori che possedeva la santa sede, il diritto che reclamava in
virt delle millantate donazioni di Pipino e di Carlomagno,
la donazione vera della contessa Matilde, non facevano an
cora del papa un sovrano potente. Tutte quelle terre erano
o contestate, o possedute da altri. Limperatore sosteneva,
non senza ragione, che gli Stati di Matilde dovevano spet
targli come feudo dellimpero; cosi i papi combattevano per
lo spirituale e per il temporale. (1107) Pasquale II otten
ne da Filippo I soltanto il permesso di tenere un concilio
a Troyes. Il governo era troppo debole, troppo diviso, per
ch potesse dargli delle truppe.
Terminata con dei trattati una guerra di breve durata
contro la Polonia, Enrico V seppe talmente interessare i prin-
CAPITOLO XLVII
dpi ddlimpero a ^difendere i suoi diritti, che quegli stessi
principi, che avevano contribuito a detronizzare suo padre
in virt delle bolle papali, si unirono a lui per fare an
nullare a Roma quelle stesse bolle.
Valica dunque le Alpi con un esercito, e Roma fu anco
ra bagnata di sangue per questa contesa del pastorale e del
l anello. I trattati, gli spergiuri, le scomuniche, le uccisioni
si susseguirono rapidamente. Pasquale II, dopo avere solen
nemente restituito le investiture giurando sul Vangelo, fece
annullare il suo giuramento dai cardinali; nuova maniera di
mancare alla propria parola. Si lasci dare del vile e del
prevaricatore in pieno concilio, per essere costretto a ripren
dere quanto aveva dato. AUora nuova irruzione dellimpe
ratore a Roma: infatti questi Cesari non vi andarono quasi
mai se non per contese ecclesiastiche, la pi grande delle
quali era lincoronazione. Infine, dopo aver nominato, de
posto, scacciato, richiamato papi, Enrico V, scomunicato
tanto spesso quanto suo padre, e molestato come lui dai
suoi grandi vassalli di Germania, fu costretto a porre fine
alla lotta per le investiture rinunciando a quel pastorale e a
quellanello. Fece di pi: (1122) rinunci solennemente al
diritto che si erano attribuiti gli imperatori, cos come i re
di Francia, di assegnare i vescovati o dinterporre la loro
autorit nelle elezioni in maniera tale da esserne assoluta-
mente padroni.
Fu dunque deciso, in un concilio tenuto a Roma, che i re
non avrebbero pi dato ai beneficiari canonicamente eletti le
investiture per mezzo di un bastone ricurvo, ma per mezzo
di tma verga. Limperatore ratific in Germania i decreti di
quel concilio: cosi fin quella guerra sanguinosa e assurda.
Ma il concilio, decidendo con che specie di bastone si sareb
bero concessi i vescovati, si guard bene dal toccare la que
stione se l imperatore dovesse confermare lelezione del pa
pa, se il papa fosse suo vassallo, se tutti i beni della con
tessa Matilde appartenessero alla Chiesa o allimpero. Sem
brava che si tenessero in riserva questi elementi di una
nuova guerra.
CAPITOLO 'QUARANTASETTESIMO 91
(1125) Dopo la morte di Enrico V, che non lasci
limpero, sempre elettivo, conferito da dieci elettori a un
principe della casa di Sassonia: si tratta di Lotario II. Cera
no assai meno intrighi e meno discordia per il trono impe
riale che-non per la cattedra pontifcia; infatti, quantunque
nel 1059 un concilio tenuto da Nicola II avesse ordinato
che il papa fosse eletto dai cardinaU vescovi,; nessuna for
malit, nessuna regola certa si era ancora introdotta nelle
elezioni. Questo vizio fondamentale deUorditiamento aveva
origine da unistituzione rispettabile. I primi cristiani, tutti
eguali e tutti oscuri, uniti insieme dal comune timore dei
magistrati, governavano segretamente la loro societ povera
e santa a maggioranza di voti. Sostituitesi poi le ricchezze al
l indigenza, delia Chiesa primitiva rest soltanto quella li
bert popolare divenuta tdvolta licenza. I cardinali, vescovi,
preti e chierici, che. formavano il consigHo dei papi, ave-
vano gran parte allelezione; ma il resto del clero voleva
godere del suo antico diritto, il popolo credeva il proprio
suflEragio necessario, e tutti questi voti non erano nulla a
giudizio degli imperatori.
(1130) Pietro Leonis, nipote di un ebreo ricchissimo, fu
eletto da ima fazione; Innocenzo I I da unaltra. Ne risult
una nuova guerra civile. Il figlio dellebreo, essendo il pi
ricco, rest padrone di Roma, e fu protetto da Ruggiero,
re di Sicilia (come abbiamo visto nel capitolo XLI); laltro,
pi abile e pi fortunato, fu riconosciuto in Francia e in
Germania.
questo un fatto storico che non bisogna trascurare.
QueUInnocenzo II, per avere il suflEragio dellimperatore,
gH cede, a lui e ai sui figli, lusufrutto di tutti i domini del
la contessa Matilde, con un atto datato 13 giugno 1133. In
fine, morto colui che veniva chiamato l papa ebreo dopo un
pontificato di otto anni, Innocenzo II fu pacifico possesso
re: vi furono alcuni anni di tregua tra limpero e il sacerdo
zio. Lentusiasmo per le crociate, che era allora in pieno vi
gore, trascinava altrove gH spiriti.
Ma Roma non fu tranquilla. Lantico amqre della liber
92 SAGGIO SUI COSTUMI
t rimtteva di tanto in tanto qualche radice. Parecchie citt
dItalia avevano appfofittlato di quei torbidi per erigersi a
repbblica, come Firenze^ Siena, Bologna, Milano, Pavia.
Cran i grandi seiripi di Genova, di Venezia, di Pisa; e
Roma si ricordava dessere stata la citt degli Scipioni. Il
popolo restaur *un simulacro di senato, che i cardinali ave
vano soppresso. Fu nominato xin patrizio al posto di due
consoli. (1144) Il nuovo senato signific al papa Lucio II
che la sovranit risedeva nel popolo romno e che il vesco
vo doveva ccuparsi soltanto della Chiesa.
Poich questi senatri si erano trincerati in Campidoglio,
il papa Lucio li assedi personalmente. Ricevette una sas
sata in testa, e ne mor qualche giorno dopo.
In quel tempo, Arnaldo da Brescia, uno di quegli uomi
ni portati allesaltazione, pericolosi per gU altri e per s
stessi, predicava di citt in citt contro le ricchezze immen
se degU ecclesiastici e contro il loro lusso. And a Roma,
dove trov gli animi disposti ad ascoltarlo. Si lusingava di ri
formare i papi e di contribuire a rendere Ubera Roma. Euge
nio III, gi monaco a Cteaux e a Chiaravalle, era allora
pontefice. San Bernardo gli scriveva: Guardatevi dai Ro
mani: sono invisi al cielo e alla terra, empi verso Dio, sedi
ziosi tra di loro, gelosi dei propri vicini, crudeli verso gli
stranieri; non amano nessuno e non sono amati da nessuno
e, volendo farsi temere da tutti, temono tutti, ecc. Se si
confrontassero queste antitesi di Bernardo con la vita di tan
ti papi, si scuserebbe un popolo che, portando il nome ro
mano, cercava di non avere padroni.
(1155) Il papa Eugenio III seppe ammansire quel po
polo, abituato a tutti i gioghi. Il senato dur ancora qualche
anno. Ma Arnaldo da Brescia, per ricompensa dei suoi ser
moni, fu arso a Roma sotto Adriano IV; destino abituale
dei riformatori che sono pi temerari che non potenti.
Credo di dover osservare che questo Adriano IV, nato
inglese, era giunto a quellapice di grandezza dalla pi vile
condizione in cui un uomo possa nascere. Figlio di un
mendicante, e mendicante egli stesso, ramingo di paese in
CAPITOLO QUARANTASEtTESIMO 93
paese prima di poter essere accolto come: servo dai monaci
di Valenza nel Delfinato, alla fine era diventato papa.
Si possiedono sempre solo i sentimenti della piesente
forttina. Adriano IV fu danimo tanto pi elevato in quanto
era venuto da una condizione infima. La Chiesa romana ha
sempre avuto la prerogativa di poter dare ai merito quanto
altrove si d alla nascita; e si pu persino osservare che,
tra i papi, coloro che hanno mostrato maggiore elevatezza
sono quelli che nacquero nella condizione pi vile. Oggi, in
Germania, ci sono conventi in cui si accettano soltanto no
bili. Lo spirito di Roma ha pi magnanimit e meno vanit.
94 SAGGIO SUI COSTUMI
DI FEDERICO BARBAROSSA. CERIMONIE
DELLINCORONAZIONE DEGLI IMPERATORI E DEI
PAPI. SEGUITO DELLE GUERRE DELLA LLBERT
ITALICA CONTRO LA POTENZA TEDESCA. BELLA
CONDOTTA DEL PAPA ALESSANDRO III, VINCITORE
DELLIMPERATORE CON LA POLITICA, E BENEFATTORE
DEL GENERE UMANO
(1152) Regnava allora in Germania Federico I, che vie
ne chiamato comunemente Barbarossa, eletto dopo la morte
di Corrado III, suo zio, non solo dai signori tedeschi, ma
anche dai Lombardi, che diedero questa volta il loro suf
fragio. Federico era un uomo paragonabile a Ottone e a
Carlomagno. Bisogn andare a prendere a Roma quella co
tona imperiale, che i papi davano con fierezza e insieme con
rammarico,-desiderosi dincoronare un vassallo e affitti dave
re un padrone. Questa situazione sempre equivoca dei papi,
degli imperatori, dei Romani e delle principali citt dItalia,
faceva spargere sangue a ogni incoronazione dun Cesare.
Era consuetudine che, quando limperatore sawicinava per
farsi incoronare, il papa si fortificava, il popolo si acquartie
rava, ritalia era in armi. Limperatore prometteva che non
avrebbe attentato n alla vita, n alle membra, n allonore,
del papa, dei cardinali e dei magistrati; il papa, da parte sua,
faceva lo stesso giuramento allimperatore e ai suoi ufficia
li. Era tale allora la confusa anarchia deUOccidente cristia
no, che i due principali personaggi di questa piccola parte
del mondo, Tuno vantandosi dessere il successore dei Ce
sari, laltro il successore di Ges Cristo, e luno dovendo da
re la sacra unzione allaltro, erano costretti entrambi a giu
rare che non sarebbero stati assassini per la durata della
cerimonia. Un cavaliere armato da capo a piedi fece questo
giuramento al pontefice Alessandro IV, in nome deUimpera-
tore, e il papa fece il suo giuramento davanti al cavaliere.
CAPITOLO XLVni
Lincoronazione, o esaltazione dei papi, era accompagna
ta allora da cerimonie raltrettanto straordinarie, improntate
a semplicit ancor pi cHe a barBarie. Si poneva dapprima
il papa eletto su una seggetta, chiamata poi su
un seggio di porfdo, sul quale gli venivano date due chiavi,
di qui su im terzo seggio, dove riceveva dodici ornamenti co
lorati. Tutte queste: usanze, introdotte dal tempo, dal tempo
sono state soppresse. Quando limperatore Federico ebbe
prestato il suo giuramento, il papa Adriano IV and a
trovarlo a qualche miglio da Roma.
Era stabilito dal cerimoniale romano che limperatore
doveva prosternarsi davanti al;papa, baciargli i piedi, regger
gli la staffa, e condurre per la briglia la chinea bianca del
santo padre per nove passi romani. I papi non avevano ri
cevuto cosi: Carlomagno. Limperatore Federico giudic ol
traggioso il cerimoniale, e non volle sottoporvisi. Allora tutti
i cardinali fuggirono, come se il principe, con un sacrilegio,
avesse dato il segnale di una guerra civile.. Ma la cancelleria
romana, che teneva registro di tutto, gli fece vedere che i
suoi predecessori avevano adempito quegli obblighi. Non so
se qualche altro imperatore oltre a Lotario II, successore di
Enrico V, avesse condotto il cavallo del papa per la briglia.
La cerimonia di baciare i piedi, che era nelle consuetu
dini, non ripugnava allorgoglio di Federico; e quella dlia
briglia e della staffa lindignava, perch parve nuova. Il suo
orgoglio accett infine quei due presunti, affronti, chegli
consider soltanto come vani segni dumilt cristiana, e che
la corte di Roma reputava prove di soggezione. Colui che si
diceva il padrone del mondo, caput orbis, si fece palafre
niere di un pezzente che era vissuto delemosine.
I deputati del popolo romano, divenuti anchessi pi ar
dimentosi da quando quasi tutte le citt dItalia avevano in
nalzato il vessillo della libert, vollero da parte loro trattare
con limperatore; ma avendo cominciato la loro arringa di
cendo: Gran re, noi vi abbiamo fatto cittadino e nostro
principe, da straniero che eravate , limperatore, stanco di
tanto generale orgoglio, impose loro silenzio, e disse in
96 SAGGIO SUI COSTUMI
chiari termini: Roma non pi quello che stata; non
vero che voi mi avete chiamato e fatto vostro principe; Car-
lomagno e Ottone vi harmo conquistato col valore; sono vo
stro padrone per legittimo possesso . Li conged cos, ed
ebbe linvestitura fuori delle mura dal papa, che gli pose
10 scettro e la spada in mano, e la corona suUa testa.
(18 giugno 1155) Si sapeva tanto poco che cosa fosse
limpero, tutte le pretese erano cos contrastanti, che, da un
lato, il popolo romano si ribell e fu versato molto sangue
perch il papa aveva incoronato limperatore senza lordine
del senato e del popolo; e, dallaltro, il papa Adriano scri
veva in tutte le sue lettere di avere conferito a Federico il
beneficio dellimpero romano, henejicium imperli romani.
Questa parola beneficium significava letteralmente un feudo.
Egli fece inoltre esporre in pubblico, a Roma, un quadro che
rappresentava Lotario II inginocchiato davanti al papa Ales
sandro II, tenendo le mani giunte tra quelle del pontefice,
11 che era il segno distintivo del vassallaggio. Liscrizione del
quadro era;
Rex vent ante fores, jurms prius urbis honores:
Post homo fit papse, sumit quo dante coronam.
Il re giura, alla porta, di mantenere gli onori di Roma,
e diventa vassallo del papa, che gli d la corona.
Trovandosi a Besangon (resto del regno di Borgogna, che
apparteneva a Federico per matrimonio), Federico seppe di
queste oflEese, e se ne dolse. Un cardinale presente rispose:
Eh! chi gli ha dunque dato limpero, se non il papa? Ot
tone, conte palatino, fu sul punto di trapassarlo con la spa
da dellimpero, che teneva in mano. Il cardinale fugg, il pa
pa intavol negoziati. I Tedeschi risolvevano allora tutto
con la spada, e la corte romana si salvava con gli equivoci.
Ruggiero, vincitore in Sicilia dei musulmani, e nel regno
di Napoli dei cristiani, baciando i piedi al papa Urbano II,
suo prigioniero, aveva ottenuto da lui linvestitura, e aveva
fatto abbassare il censo a seicento hisanti doro o scifati, mo-
7/cn
CAPITOLO QUARANTOTTESIMO 97
neta che vale circa dieci lire francesi doggi. Il papa'Adriano,
assediato da Guglielmo, cedette perfino su delle pretese ec
clesiastiche (1156). Consenti che non vi fosse mai nellisola
di Sicilia n legazione, n appello alla santa sede, se non
quando il re lo avesse voluto. Da quel tempo appunto i re
di Sidlia, unici re vassalli dei papi, sono essi stessi altret
tanti papi in quellisola. I pontefici di Roma, cos adorati e
maltrattati, somigliavano a^i idoli che gli Indiani percuo
tono per ottenerne benefici.
Adriano IV si rifaceva con gli altri re che avevano biso
gno di lui. Scriveva al re dInghilterra, Enrico II: Non
si dubita, e voi lo sapete, che lIrlanda e tutte le isole che
hanno ricevuto la fede appartengono alla Chiesa di Roma:
ora, se volete entrare in quellisola per cacciarne i vizi, farvi
osservare le leggi e fare pagare lannuale obolo di san Pie
tro per ogni casa, noi ve lo concediamo con piacere .
Se mi permessa qualche riflessione in questo Saggio
suUa storia di questo mondo, stimo chesso governato in
modo davvero strano. Un mendicante dInghilterra, divenuto
vescovo di Roma, concede dautorit lisola dIrlanda a un
uomo che vuole usurparla. I papi avevano sostenuto delle
guerre per quellinvestitura col pastorale e lanello, e Adria
no IV aveva inviato un anello al re Enrico II in segno del
linvestitura deUIrlanda. Un re che avesse dato un anello
conferendo una prebenda sarebbe stato sacrilego.
Lintrepida attivit di Federico Barbarossa bastava appe
na a soggiogare e i papi che oppugnavano limpero, e Ro
ma che ricusava il giogo, e tutte le citt dItalia che voleva
no la libert. Bisognava reprimere contemporaneamente la
Boemia che lo preoccupava e i Polacchi che ^ facevano guer
ra. Venne a capo di tutto. La Polonia vinta fu eretta da lui a
regno tributario (1158). Pacific la Boemia, gi eretta a re
gno da Enrico IV, nel 1086. Si dice che il re di Danimarca
ricevette da lui linvestitura. Egli si assicur la fedelt dei
principi dellimpero, rendendosi temibile agli stranieri, e ri
vol in Italia, che fondava la propria libert suUe difficolt del
monarca. La trov in piena confusione, non tanto per gli
98 SAGGIO SUI COSTUMI
sforzi delle citt a favore della propria libert, quanto per
quel furore partigiano che turbava, come avete visto, tutte
le elezioni dei papi.
(1160) Dopo la morte di Adriano IV, due fazioni eleg
gono tumultuosamente coloro che vengono chiamati Vittore
II* e Alessandro III. Bisognava pure che limperatore e
i suoi alleati riconoscessero il medesimo papa, e die i re ge
losi dellimperatore riconoscessero laltro. Lo scandalo di
Roma era dunque necessariamente il segnale della divisione
dellEuropa. Vittore II fu il papa di Federico Barbarossa. La
Germania, la Boemia, met dellItalia si schierarono per lui.
Il resto riconobbe Alessandro. Proprio in onore di questAles
sandro i Milanesi, nemici dellimperatore, costruirono Ales
sandria. I fautori di Federico pretesero invano che fosse chia
mata Cesarea; ma il nome del papa prevalse, ed essa fu chia
mata Alessandria della paglia-, nomignolo che mette in risal
to la differenza tra quella piccola citt e le altre di questo
nome costruite un tempo in onore del vero Alessandro.
Beato quel secolo se avesse prodotto soltanto simili con
tese! ma i Tedeschi volevano sempre dominare in Italia, e
gli Italiani volevano essere liberi. Avevano certo un diritto
pi naturale alla libert di quanto un Tedesco ne avesse
dessere loro padrone.
I Milanesi dnno lesempio. I cittadini, divenuti sol
dati, sorprendono verso Lodi le truppe dellimperatore, e le
battono. Se fossero stati secondati dalle altre citt, lItalia
avrebbe assunto un volto nuovo. Ma Federico ricostitu il
suo esercito. (1162) Assedia Milano, con un editto condanna
i cittadini alla servit, fa radere al suole le mura e le case,
e spargere sale sulle rovine. Procedere cos significava pro
prio giustificare i papi. Brescia e Piacenza furono smantella
te dal vincitore. Le altre citt che avevano aspirato alla li
bert persero i loro privilegi. Ma il papa Alessandro, che le
aveva aizzate tutte, torn a Roma dopo la morte del riva
le; riport con s la guerra civile. Federico fece eleggere im
altro papa, e, morto questo, ne fece nominare un altro an-
* Si tratta in realt di Vittore IV.
CAPITOLO QUARANTOTTESIMO 99
cora. Allora Alessandro III si rifugia in Francia, asilo na
turale di ogni papa nemico dun imperatore; ma lincendio
che ha acceso rimane in tutta la sua intensit. Le citt dIta
lia fanno lega per mantenere la loro libert. I Milanesi rie
dificano Milano malgrado limperatore. Il papa, alla fine, fu
pi forte con le trattative che non limperatore con le armi.
Federico Barbarossa dovette cedere, Venezia ebbe lonore
della riconciliazione (1177). Limperatore, il papa, uno stuo
lo di principi e di cardinali si recarono in quella citt, gi
signora del mare, e una delle meraviglie del mondo. Lim
peratore vi pose fine alla contesa riconoscendo il papa, ba
ciandogli i piedi e tenendogli la stafEa suUa riva del mare.
Tutto and a vantaggio della Chiesa, Federico Barbarossa
promise di restituire ci che apparteneva aUa santa sede;
tuttavia le terre della contessa Matilde non veimero speci
ficate. Limperatore fece una tregua di sei anni con le citt
dItalia. Milano, che veniva ricostruita, Pavia, Brescia e tante
altre ringraziarono il papa davere restituito loro quella li
bert preziosa per la quale combattevano; e il santo padre,
pervaso di gioia pura, esclamava: Dio ha voluto che un ve
gliardo e un prete trionfasse senza combattere di un impera
tore potente e terribile.
notevolissimo il fatto che, in quelle lunghe discordie,
il papa Alessandro III, che aveva compiuto spesso la ceri
monia di scomunicare limperatore, non arriv mai al punto
di deporlo. Questa condotta non prova forse in quel ponte
fice non solo molta saggezza, ma una condanna generale de
gli eccessi di Gregorio VII?
(1190) Dopo la pacificazione dellItalia, Federico Barba
rossa part per le guerre delle crociate, e mori, per aver fat
to il bagno nel Cidno, della malattia dalla quale un tempo
Alessandro il Grande si era salvato con estrema difficolt per
essersi gettato tutto sudato in quel fiume. Quella malattia era
probabilmente una pleurite.
Fra tutti gli imperatori, Federico fu quello che spinse pi
lontano le sue pretese. Aveva fatto decidere a Bologna, nel
1158, dai dottori in diritto, che limpero di tutto il mondo
100 SAGGIO SUI COSTUMI
gli apparteneva, e che ropinione contraria era uneresia. Pi
serio e consono alla realt era il fatto che alla sua incorona
zione a Roma il senato e il popolo gli prestarono giuramento
di fedelt; giuramento divenuto inutile quando il papa Ales
sandro II I trionf di lui nel congresso di Venezia. Limpera
tore di Costantinopoli, Isacco lAngelo, gli dava soltanto il
titolo di avvocato della Chiesa romana; e Roma fece tutto
il male che pot al suo avvocato.
Quanto al papa Alessandro, egli visse ancora quattro an
ni in una quiete gloriosa, amato a Roma e in Italia. Stabil
in un numeroso concilio che, da quel momento, per essere
eletto papa canonicamente, sarebbe bastato avere i due terzi
dei voti dei soli cardinali; ma questa regola non pot evitare
gli scismi che furono poi provocati da ci che si chiama in
Italia la rabbia papale*. Lelezione di un papa fu per lungo
tempo accompagnata da una guerra civile. Gli orrori dei suc
cessori di Nerone fino a Vespasiano insanguinarono lItalia
solo per quattro anni; e la rabbia papale insanguin lEu
ropa per due secoli.
CAPITOLO QUARANTOTTESIMO 101
* In italiano nel testo.
DELLIMPERATORE ENRICO VI E DI ROMA
L a contesa tra Roma e limpero, pi o meno invelenita, du
rava sempre. stato scritto che, dopo che Enrico VI, figlio
dellimperatore Federico Barbarossa, ebbe ricevuta in ginoc
chio la corona imperiale da Celestino III, questo papa, pi
che ottantaquattrenne, la fece cadere con un calcio dalla testa
dellimperatore. Questo fatto non verosimile; ma basta
che sia stato creduto, per far vedere fin dove giungeva lani
mosit. Se il papa avesse agito cos, quella sconvenienza sa
rebbe stata soltanto un gesto di debolezza.
Quellincoronazione di Enrico VI motivo di maggior
momento e di maggiori interessi. Egli voleva regnare nelle
Due Sicilie. Si assoggettava, bench imperatore, a ricevere
l investitura del papa per Stati di cui dapprima era stato fat
to omaggio allimpero, e di cui egli si credeva a un tempo
il signore supremo e il proprietario. Domanda dessere il vas
sallo ligio del papa, e il papa lo respinge. I Romani non
volevano Enrico VI come vicino; Napoli non lo voleva co
me padrone; ma lo fu loro malgrado.
Sembra che vi siano popoli fatti per servire sempre e per
aspettare quale sar lo straniero che vorr soggiogarli. Della
stirpe legittima dei conquistatori normanni restava solo la
principessa Costanza, figlia del re Ruggiero I, sposa di En
rico VI. Tancredi, bastardo di quella stirpe, era stato rico
nosciuto re dal popolo e dalla santa sede. Chi doveva avere
la meglio? quel Tancredi che aveva il diritto dellelezione
oppure Enrico che aveva il diritto di sua moglie? Le armi
CAPITOLO XLIX
dovevano decidere. Invano, dopo la morte di Tancredi, le
Due Sidlie proclamarono il suo giovane figlio (1193): Enrico
doveva necessariamente prevalere.
Una delle pi grandi vilt che un sovrano possa com
mettere serv alle sue conquiste. Lintrepido re dInghilterra,
Riccardo Cuor di Leone, tornando da -una di quelle crociate
di cui parleremo, fa naufragio^ nei pressi della Dalmazia;
passa suUe terre di un duca dAustria. (1194) Questo duca
viola lospitalit, carica di catene il re dInghilterra, lo ven
de allimperatore Enrico VI, come gli Arabi vendono i loro
schiavi. Enrico ne ricava un grosso riscatto, e con quel de
naro va a conquistare le Due Sicilie; fa esumare il corpo
del re Tancredi, e con una barbarie tanto atroce quanto inuti
le, il boia taglia la testa al cadavere. Il giovane re suo figlio
viene accecato, fatto eunuco, confinato in ima prigione a
Coira, nei Grigioni. Le sue sorelle vengono rinchiuse in Al
sazia con la loro madre. I seguaci di quella famiglia sventu
rata, tanto baroni quanto vescovi, periscono tra i supplizi.
Tutti i tesori vengono presi e trasportati in Germania.
Cosi passarono ai Tedeschi Napoli e la Sicilia, dopo es
sere state conquistate da Francesi. Cos venti province sono
state sotto il dominio di sovrani che la natura ha posto a
trecento leghe da esse: eterno motivo di discordia, e prova
della saggezza di una legge come la Salica, legge che sarebbe
ancor pi utile a un piccolo Stato che non a uno grande.
Enrico VI allora fu molto pi potente di Federico Barba-
rossa. Quasi dispotico in Germania, sovrano in Lombardia, a
Napoli, in Sicilia, signore supremo di Roma, tutti tremavano
sotto di lui. La sua crudelt lo perdette; la stessa moglie
Costanza, di cui aveva sterminato la famiglia, cospir contro
quel tiranno, e alla fine, si dice, lo fece avvelenare.
(1198) Alla morte di Enrico VI, l impero di Germania
diviso. La Francia non lo era; il fatto che i re di Francia
erano stati abbastanza prudenti o abbastanza fortunati da
fissare l ordine della successione. Ma quel titolo dimpero,
che la Germania ostentava, serviva a rendere elettiva la co
rona. Ogni vescovo e ogni gran signore dava il proprio voto.
CAPITOLO QUARANTANOVESIMO 103
Quel diritto deleggere e dessere eletto lusingava lambizio
ne dei principi e caus talvolta le sventure dello Stato.
(1198) Il giovane Federico II, figlio di Enrico VI, usci
va appena dalla cuUa. Una fazione lelegge imperatore, e d
a suo zio Filippo* il titolo di re dei Romani. Un altro partito
incorona Ottone di Sassonia, suo nipote. I papi trassero ben
altro frutto dalle divisioni della Germania di quanto gli im
peratori avessero fatto da quelle dellItalia.
Innocenzo III, figlio di un gentiluomo di Anagjii, pres
so Roma, costru finalmente ledificio del potere temporale
di cui i suoi predecessori avevano accumulato i materici per
quattrocento anni. Lo scomunicare Filippo, il voler detro
nizzare il giovane Federico, il pretendere descludere per
sempre dal trono di Germania e dItalia quella casa di Sve-
via tanto invisa ai papi, il costituirsi giudice dei re era nello
stile divenuto abituale da Gregorio VII in poi. Ma Innocen
zo III non si ferm a queste formule. Loccasione era dav
vero bella; ottenne quello che si chiama il patrimonio di
san Pietro, tanto a lungo contestato. Si trattava di una par
te delleredit della famosa contessa MatUde.
La Romagna, lUmbria, la Marca dAncona, Orbetello,
Viterbo riconobbero il papa come sovrano. Egli domin in
effetto da un mare allaltro. La repubblica romana non
aveva fatto tante conquiste nei suoi quattro primi secoli, e
quei paesi non valevano per lei quello che valevano per i
papi. Itmocenzo III conquist persino Roma; il nuovo se
nato si pieg a lui, fu il senato del papa e non dei Romani.
Il titolo di console fu abolito. I pontefici di Roma comincia
rono allora a essere effettivamente re; e la religione li ren
deva, secondo le occasioni, padroni dei re. Quel grande po
tere temporale in Italia non fu duraturo.
Era uno spettacolo interessante quanto succedeva allora
tra i capi della Chiesa, la Francia, la Germania e lInghil
terra. Roma dava sempre lavvio a tutti gli affari dellEuropa.
Avete visto le contese del sacerdozio e dellimpero fino al
* Fu questo imperatore Filippo a erigere la "Boemia a regno. Vetme assas
sinato da un signore di Vitelsbach nel 1208 (N.d.A.).
104 SAGGIO SUI COSTUMI
papa Innocenzo II I e fino agli imperatori Filippo, Enrico e
Ottone, mentre Federico II era ancora giovane. Bisogna
gettare lo sguardo sulla Francia, sullInghilterra e sugli in
teressi che quei regni avevano in contrasto con la Germania.
CAPITOLO QUARANTANOVESIMO 105
CONDIZIONE DELLA FRANCIA E DELLINGHILTERRA
DURANTE IL XII SECOLO FINO AL REGNO DI SAN
LUIGI, DI GIOVANNI SENZATERRA E DI ENRICO III.
GRANDE CAMBIAMENTO DELLAMMINISTRAZIONE
PUBBLICA IN INGHILTERRA E IN FRANCIA.
ASSASSINIO DI TOMMASO BECKET, ARCIVESCOVO
DI CANTERBURY. LINGHILTERRA DIVENUTA
PROVINCIA DEL DOMINIO DI ROMA, ECC. IL PAPA
INNOCENZO III RAGGIRA I RE DI FRANCIA E
DINGHILTERRA
I l sistema feudale vigeva in quasi tutta lEuropa, e le leg
gi della cavalleria erano dappertutto pressa poco le stesse.
Le leggi dei feudi, soprattutto stabilivano nellimpero, in
Francia, in Inghilterra, in Spagna, che, se un signore di un
feudo diceva al suo uomo ligio: Venitevene con me, per
ch voglio guerreggiare contro il re mio signore, che mi ne
ga giustizia , luomo ligio doveva prima andare a trovare
il re, e domandargli se era vero che avesse negato giusti
zia a quel signore. Se diniego cera stato, luomo ligio do
veva marciare contro il re, al servizio di quel signore, per
il numero di giorni prescritto, o perdere il suo feudo. Una
tale disposizione poteva essere intitolata Ordinanza per fare
la guerra civile.
(1158) Limperatore Federico Barbarossa abrog quella
legge stabilita dalluso, e l uso l ha conservata suo malgra
do nellimpero, tutte le volte che i grandi vassalli sono stati
abbastanza potenti da fare la guerra al loro capo. Essa fu
in vigore in Francia fino al tempo dellestinzione della casa
di Borgogna. Il sistema feudale in Inghilterra lasci poco
dopo il posto alla libert; ha ceduto in Spagna al potere
assoluto.
Nei primi tempi della dinastia degli Ugo, chiamata im
propriamente Capetingia, dal nomignolo dato a quel re, tut
ti i piccoli vassalli combattevano contro i grandi, e i re ave
vano spesso le armi in mano contro i baroni del ducato di
CAPITOLO L
Francia. La stirpe degli antichi pirati danesi, che regnava
in Normandia e in Inghilterra, favoriva sempre tale disor
dine. Proprio per questo, Luigi il Grosso ebbe tanta diffi
colt a sottomettere un sire di Coucy, un barone di Cor-
beil, un sire di Montlhry, un sire del villaggio di Puiset, im
signore di Baudouin, di Chteaufort; non risulta nemmeno
che abbia osato e potuto far condannare a morte quei vas
salli. Le cose sono assai mutate in Francia.
Fin dal tempo d Enrico I, lInghilterra fu governata
come la Francia. Sotto il re Stefano, figlio di Enrico I, si
contavano in Inghilterra miUe castelli fortificati. I re di
Francia e dInghilterra non potevano niente allora senza il
consenso e laiuto di quella moltitudine di baroni, e, come
si gi visto, regnava la confusione.
(1152) Il re di Francia, Luigi il Giovane, acquis un gran
de dominio con un matrimonio, ma lo perdette con un di
vorzio. Eleonora, sua moglie, erede della Guienna e del Poi-
tou, gU fece degli affronti che xm marito doveva ignorare.
Stanca di accompagnarlo in quelle crociate illustri e sfortu
nate, si ripag delle noie che le cagionava, a quanto di
ceva, un re al quale ella dava sempre del monaco. Il re
fece cassare il matrimonio col pretesto della parentela. Co
loro che hanno biasimato quel principe perch, ripudiando
la moglie, non aveva trattenuto la dote, non riflettono sul
fatto che allora un re di Francia non era abbastanza poten
te da commettere una simile ingiustizia. Ma questo divor
zio imo dei maggiori oggetti del diritto pubblico, che ^
storici avrebbero ben dovuto approfondire. Il matrimonio fu
cassato a Beaugency da un concilio di vescovi di Francia, col
vano pretesto che Eleonora era biscugina di Luigi; e ci volle
altres che alcuni signori guasconi giurassero che i due sposi
erano parenti, come se si potesse conoscere solo con un giu
ramento ima simile verit. pi che certo che quel matrimo
nio era nullo secondo le leggi superstiziose di quei tempi
dignoranza. Se il matrimonio era nullo, le due principesse
che ne erano nate erano dunque bastarde; furono nondi
meno date in spose come figHe legittimissime. Il matrimonio
CAPITOLO CINQUANTESIMO 107
di Eleonora, loro madre, fu dunque sempre reputato valido,
nonostante la decisione del condlio. Quel concilio non pro
nunci diinque la nullit, ma la cassa2done, il divorzio; e,
in quel processo di divorzio, il re si guard bene dallaccu-
sare sua moglie dadulterio: fu propriamente un ripudio in
pieno concilio col pi frivolo dei motivi.
Resta da sapere in che modo, secondo la legge del cri
stianesimo, Eleonora e Luigi potevano risposarsi. abba
stanza noto, per mezzo di san Matteo e di san Luca*, che
un uomo non pu n sposarsi dopo aver ripudiato la mc>-
glie, n sposare una ripudiata. Questa legge emanata
espressamente dalla bocca di Cristo, e tuttavia non mai
stata osservata. Quanti motivi di scomuniche, dinterdetti,
di torbidi e di guerre, se i papi avessero allora voluto immi
schiarsi in un simile affare, in cui sono entrati tante volte!
Un discendente del conquistatore Guglielmo, Enrico II,
poi re dInghilterra, e che era gi padrone della Normandia,
del Maine, deUAngi, della Turenna, meno difficile di Lui
gi il Giovane, credette di potere sposare senza vergogna una
donna di facili costumi che gli dava la Guienna e il Poitou.
Subito dopo egli fu re dInghilterra, e il re di Francia ne
ricevette lomaggio ligio, che egli avrebbe voluto rendere al
re inglese per tanti Stati.
Il sistema feudale era parimente sgradito ai re di Fran
cia, dInghilterra e di Germania. Questi re si adoperarono
quasi nello stesso modo e quasi nello stesso tempo per avere
truppe indipendentemente dai loro vassalli. Il re Luigi il
Giovane diede privilegi a tutte le citt del suo dominio, a
condizione che ogni parrocchia marciasse nellesercito sotto
linsegna del santo della propria chiesa, come i re marciava
no essi stessi sotto linsegna di san Dionigi. Parecchi servi,
allora affrancati, divennero cittadini; e i cittadini ebbero il
diritto di eleggere i loro ufHciali municipali, i loro scabini
e i loro podest.
Intorno agli anni 1137 e 1138 appunto va fissato il pe
riodo della restaurazione di tale governo municipale delle
* M a t t e o , V, 32; L u c a , XVI, 18.
108 SAGGIO SUI COSTUMI
citt e dei borghi. Enrico II, re dInghilterra, diede gli
stessi privilegi a parecchie citt per trarne denaro, con cui
poter arrolare truppe.
(1166) Gli imperatori fecero pressa poco la stessa cosa
in Germania. Spira, per esempio, compr il diritto di sce
gliersi i borgomastri, malgrado il vescovo che vi si oppose.
La libert, naturale per gli uomini, rinacque dal bisogno di
denaro in cui si trovavano i principi; ma quella libert era
solo una minima servit, a paragone di quelle citt dItalia,
che allora si costituirono in repubbliche.
LItalia citeriore si formava sul modello dellantica Gre
cia. La maggior parte di quelle grandi citt libere e confede
rate sembravano dover formare -una repubblica ragguardevo
le; ma tiranni piccoli e grandi le distrussero ben presto.
I papi dovevano negoziare allo stesso tempo con ciascu
na di quelle citt, col regno di Napoli, la Germania, la Fran
cia, lInghilterra e la Spagna. Tutti ebbero contrasti con il
papa, e il pontefice ebbe sempre la meglio.
(1142) Quando il re di Francia, Luigi il Giovane, pro
nunci lesclusione contro uno dei suoi sudditi, chiamato
Pierre la Chtre, per il vescovato di Bourges, il vescovo,
eletto suo malgrado e appoggiato da Roma, land linter
detto sui domini reali del suo vescovato: ne segu una guer
ra civile; ma essa fin semplicemente con un negoziato in vir
t del quale veniva riconosciuto il vescovo e pregato il papa
di far levare linterdetto.
I re dInghilterra ebbero ben altre contese con la Chie
sa. Uno dei re la cui memoria pi rispettata presso gli
Inglesi Enrico I, il terzo re dopo la conqmsta, il quale
cominci a regnare nel 1100. Gli erano grati di aver abro
gato la legge del coprifuoco, che li incomodava. Egli fiss
in tutti i suoi Stati gli stessi pesi e le stesse misure, opera
da saggio legislatore, che fu facilmente attuata in Inghilterra
e sempre inutilmente proposta in Francia. Conferm le leggi
di santEdoardo, che suo padre Guglielmo il Conquistatore
aveva abrogate. Infine, per cattivarsi il dero, rinunci al
CAPITOLO CINQUANTESIMO 109
diritto di regalia che gli dava lusufrutto dei benefici vacanti,
diritto che i re di Francia hanno conservato.
Firm soprattutto una Carta piena di privilegi che ac
cordava alla nazione; prima origine delle libert dInghilter
ra, tanto accresciute dipoi. Guglielmo il Conquistatore, suo
padre, aveva trattato gli Inglesi come schiavi che non te
meva. Se Enrico, suo figlio, li tratt con tanto riguardo fu
unicamente perch ne aveva bisogno. Egli era cadetto, por
tava via lo scettro al fratello maggiore, Roberto (1103).
Questa lorigine di tante condiscendenze. Ma, per quanto
abile e per quanto padrone fosse, non pot impedire al suo
clero e a Roma di soUevarglisi contro per quelle stesse in
vestiture. Dovette rinunciarvi e contentarsi dellomaggio
che i vescovi gli prestavano per il potere temporale.
La Francia era esente da questi torbidi; la cerimonia
del pastorale non vi si svolgeva, e non possibile attaccare
contemporaneamente tutti.
Poco manc che i vescovi inglesi non fossero principi
temporali nei loro vescovati; per lo meno i pi grandi vas
salli della corona non li superavano in fatto di grandezza e di
ricchezza. Sotto Stefano, successore di Enrico I, un vescovo
di Salisbury, di nome Ruggiero, che era sposato e viveva
pubblicamente con colei che riconosceva per moglie, muo
ve guerra al re suo sovrano; e, in uno dei suoi castelli pre
si durante questa guerra, furono trovati, si dice, quaranta-
inila marchi dargento. Se si tratta di marchi, cio mezze
libbre, una somma esorbitante; se si tratta di marchi,
cio scudi, sempre molto in un tempo in cui la moneta
era cosi rara*.
Dopo questo regno di Stefano, turbato da guerre civili,
lInghilterra prendeva un volto nuovo sotto Enrico II, che
riuniva la Normandia, l Angi, la Turenna, la Saintonge, il
Poitou, la Guienna, con lInghilterra, eccettuata la Corno-
vaglia, non ancora assoggettata. Tutto col era tranquillo,
allorch quella felicit fu turbata dalla grande contesa del re
* Nel testo vengono usati i due termini distnti per le monete men
zionate, rispettivamente marcs e marques.
110 SAGGIO SUI COSTUMI
e di Tommaso Becket, che chiamato san Tommaso di Can
terbury.
Questo Tommaso Becket, avvocato innalzato dal re En
rico I I alla dignit di cancelliere, e infine a quella di arcive
scovo di Canterbury, primate dInghilterra e legato del pa
pa, divent il nemico della prima persona dello Stato non
appena egli fu la seconda. Un prete commise un assassinio.
Il primate ordin che sarebbe stato soltanto privato del suo
beneficio. Il re, indignato, gli rimprover che, siccome un
laico in un caso come quello sarebbe stato punito con la
morte, il proporzionare cos poco la pena al delitto significava
incitare gli ecclesiastici al crimine. Larcivescovo sostenne
che nessun ecclesiastico poteva essere punito con la morte,
e rimand le sue lettere di cancelliere per essere del tutto
indipendente. Il re, in un parlamento, propose che nessun
vescovo andasse a Roma, nessun suddito facesse appello al
la santa sede, nessun vassallo e ufficiale della corona fosse
scomunicato e sospeso dalle sue funzioni, senza permesso del
sovrano; che infine, i delitti del clero fossero sottoposti ai
giudici ordinari. Tutti i pari secolari accolsero queste propo
ste. Tomutnaso Becket dapprima le respinse. AUa fine firm
leggi cos giuste; ma si accus di fronte al papa di avere
tradito i diritti della Chiesa, e promise di non avere pi
simili condiscendenze.
Accusato davanti ai pari di aver commesso malversazio
ni mentre era cancelliere, rifiut di rispondere, col pretesto
che era arcivescovo. Condannato alla prigione, come sedi
zioso, dai pari ecclesiastici e secolari, fugg in Francia e
and a trovare Luigi U Giovane, nemico naturale del re dIn-
ghUterra. Quando fu in Francia, scomunic la maggior parte
dei signori che formavano il consiglio di Enrico. Gli scri
veva: Io vi debbo, in verit, riverire in quanto mio re;
ma vi debbo castigare in quanto mio figlio spirituale . Lo
minacciava nella sua lettera dessere trasformato in bestia
cme Nabuccodonosor sebbene, in fin dei conti, non ci fosse
tm gran rapporto tra Nabuccodonosor ed Enrico II.
Il re dInghilterra fece tutto quello che pot perch lar
CAPITOLO CINQUANTESIMO 111
civescovo riprendesse a fare il suo dovere. In uno dei
suoi viaggi, prese per arbitro Luigi il Giovane, suo signore
supremo. Che l arcivescovo, disse testualmente a Luigi,
agisca verso di me come il pi santo dei suoi predecessori
si comportato con il pi infimo dei miei, e sar soddisfat
to. Fu fatta una pace simulata tra il re e il prelato. Becket
torn dunque in Inghilterra; ma vi torn soltanto per sco
municare tutti gli ecclesiastici, vescovi, canonici, curati, die
si erano dichiarati contro di lui. (1170) Essi si dolsero pres
so il re, che allora era in Normandia. AUa fine Enrico II, fu
ribondo, esclam: mai possibile che nessuno dei miei
servitori mi vendichi di quearrufEone di prete?
Queste parole, pi che incontrollate, sembravano armare
di pugnale la mano di chiunque credesse servirlo assassinan
do colui che doveva essere punito solo dalle leggi.
(1170) Quattro suoi domestici andarono a Kenterbury,
che noi chiamiamo Canterbury; accopparono a mazzate lar
civescovo ai piedi dellaltare. Cos, un uomo che avrebbe po
tuto essere trattato come tm ribelle divent un martire, e
sul re si rivers la vergogna e lorrore di quelluccisione.
La storia non dice quale condanna venne inflitta a quei
quattro assassini; sembra che venisse inflitta solo al re.
Si gi visto come Adriano IV diede a Enrico II il per
messo di usurpare lIrlanda. Il papa Alessandro III, suc
cessore di Adriano IV, conferm quel permesso, a condi
zione che il re prestasse giuramento di non avere mai ordi
nato quellassassinio e di andare scalzo a subire la discipli
na .sulla tomba dellarcivescovo per mano dei canonici. Sa
rebbe stato davvero un gesto notevole dare lIrlanda, se En
rico avesse avuto diritto dimpadronirsene e il papa quello
di disporne; ma era ancor pi notevole quello di costringere
un re potente e colpevole a chiedere perdono del suo delitto.
(1172) Il re and dunque a conquistare lIrlanda. Si
trattava di un paese selvaggio, che un conte di Pembroke
aveva gi in parte soggiogato, con solo milleduecento uomi
ni. Questo conte di Pembroke voleva conservare la sua con
quista. Enrico II, pi forte di lui, e munito di una bolla del
112 SAGGIO SUI COSTUMI
papa, simpadron facilmente di tutto. Quel paese sem
pre rimasto sotto il dominio deUInghilterra, ma incolto, po
vero e inutile, sino a che finalmente, nel XVIII secolo, lagri
coltura, le manifatture, le arti, le scienze, tutto vi si perfe
zionato; e lIrlanda, bench soggiogata, divenuta una del
le pi fiorenti province dEuropa.
(1174) Enrico II, contro il quale i suoi figli si ribella
rono, si sottopose alla penitenza dopo aver soggiogato lIr-
landa. Rinunci solennemente a tutti i diritti della monar
chia, che aveva sostenuto contro Becket. Gli Inglesi condan
nano questa rinuncia, e persino la sua penitenza. Non dove
va certo cedere i suoi diritti, ma doveva pentirsi di un as
sassinio: linteresse del genere umano richiede un freno che
trattenga i sovrani e che dia garanzia alla vita dei popoli.
Questo freno della religione avrebbe potuto essere, in virt
di una convenzione universale, nelle mani dei papi, come ab
biamo gi osservato; se quei primi pontefici si fossero immi
schiati nelle contese temporali soltanto per placarle, se aves
sero avvertito i re e i popoli dei loro doveri, biasimato i loro
delitti, riservato le scomuniche per i grandi misfatti, sareb
bero sempre stati reputati immagini di Dio suUa terra; ma
gli uomini sono ridotti ad avere per propria difesa solo le
leggi e i costumi del loro paese: leggi spesso disprezzate
e costumi spesso corrotti.
LInghilterra fu tranquilla sotto Riccardo Cuor di Leone,
figlio e successore di Enrico II. Egli fu infelice a causa di
quelle crociate di cui faremo tra poco menzione; ma il suo
paese non lo fu. Riccardo combatt con Filippo Augusto
alcune di quelle guerre inevitabili tra un signore supremo e
un vassallo potente: esse non cambiarono nulla alla fortuna
dei loro Stati. Bisogna considerare tutte queste guerre tra
i principi cristiani come tempi di contagio che spopolano le
province senza cambiarne i limiti, gli usi e i costumi. La
cosa pi notevole di quelle guerre fu il fatto che Riccardo
sottrasse, si dice, a Filippo Augusto il suo cartolare, che lo
seguiva dappertutto; esso conteneva una minuta descrizione
dei redditi del principe, un elenco dei suoi vassalli, un ruolo
8 / C I I
CAPITOLO CINQUANTESIMO 113
dei servi e degli affrancati. Si aggiunge che il re di Francia
fu costretto a fare un nuovo cartolare, in cui i suoi diritti
furono piuttosto aumentati che non diminuiti. Non verosi
mile che nelle spedizioni militari si trasportino i propri archi
vi su xma carretta, come pane di munizione. Ma quante co
se inverosimili ci dicono gli storici!
(1194) Altro fatto degno dattenzione la prigionia dun
vescovo di Beauvais, preso con le armi in pugno dal re Ric
cardo. Il papa Celestino II I ridomand il vescovo. Ren-
detemi mo figlio , scriveva a Riccardo. Il re, mandando al
papa la corazza del vescovo, gli rispose con queste parole
della storia di Giuseppe; Riconoscete la tunica di vostro
figlio?*
Riguardo a questo vescovo guerriero, bisogna osservare
ancora che se le leggi dei feudi non obbligavano i vescovi
a battersi, esse li obbligavano tuttavia a condurre i loro vas
salli al luogo di raduno delle truppe.
Filippo Augusto incamer i beni temporali dei vescovi di
Orlans e di Auxerre perch questi non avevano adempiuto
quellabuso, diventato un dovere. Quei vescovi condannati co
minciarono a lanciare linterdetto al regno e finirono col chie
dere perdono.
(1199) Giovanni senza Terra, che successe a Riccardo,
doveva essere un grandissimo proprietario terriero; perch
ai suoi grandi domini aggiunse la Bretagna, che usurp al
principe Artu, suo nipote, al quale quella provincia era toc
cata per via di madre. Ma per aver voluto cai^ire quanto
non gli apparteneva, perse tutto ci che aveva, e divent alla
fine un grande esempio che deve intimorire i cattivi re. Co
minci coUimpadronirsi della Bretagna, che apparteneva a
suo nipote Artu; lo cattur in un combattimento, lo fece
rinchiudere nella torre di Rouen, senza che si sia mai potuto
sapere che ne fosse stato di quel giovane principe. LEuro
pa accus con ragione il re Giovanni della morte di suo ni
pote.
Fortunatamente per lammaestramento di tutti i re, si
* Genesi, XXXVII, 32.
114 SAGGIO SUI COSTUMI
pu dire che quel primo delitto fu la causa di tutte le sue
sciagure. Le leggi feudali, die* daltronde facevano nascere
tanti disordini, si illustrarono qui con un esempio memora
bile di giustizia. La contessa di Bretagna, madre di Artu, fe
ce presentare alla corte dei pari di Francia unistanza fir
mata dai baroni di Bretagna. Da parte dei pari fu ingiunto
al re dInghilterra di comparire. La citazione gli fu notificata
a Londra da alcuni ufficiali. Il re accusato mand un vescovo
a chiedere a Filippo Augusto iin salvacondotto. Che venga,
disse il re, pu farlo. - Sar sicuro al ritorno? do
mand il vescovo. Si, se il giudizio dei pari lo permette ,
rispose il re. (1203) Non essendo comparso laccusato, i pari
di Francia lo condannarono a morte e dichiararono tutte le sue
terre in Francia acquisite e confiscate a favore del re. Ma
chi erano quei pari che condannarono a morte un re dInghU-
terra? non erano gli ecclesiastici, che non potevano assiste
re a un giudizio penale. Non si dice che vi fosse allora a
Parigi un conte di Tolosa, e non si vide mai un atto dei
pari firmato da quei conti. Baldovino IX, conte di Fian
dra, era allora a Costantinopoli, dove brigava per ottenere
gli avanzi dellimpero dOriente. Il conte di Champagne era
morto, e la successione era contesa. Laccusato stesso era du
ca di Guienna e di Normandia. Lassemblea dei pari fu com
posta di alti baroni dipendenti immediatamente dalla co
rona. Questo un punto molto importante, che i nostri sto
rici avrebbero dovuto esaminare invece di schierare a loro
piacimento eserciti in battaglia e di dilungarsi sugli assedi
di qualche castello che non esiste pi.
Non si pu dubitare che lassemblea dei pari baroni fran
cesi che condanna il re dInghilterra fosse quella stessa che
era riunita allora a Melun per codificare le leggi feudali,
Stabilimentum feudorum. Bude, duca di Borgogna, vi pre
siedeva sotto il re Filippo Augusto. Si vedono ancora in cal
ce alle carte di quellassemblea i nomi di Herv, conte di
Nevers; di Renaud, conte di Boulogne; di Gaucher, conte di
Saint-Patil; di Gui de Dampietre; e, cosa notevolissima, non
vi si trova nessun grande ufficiale della corona.
CAPITOLO CINQUANTESIMO 115
Filippo si accinse subito a raccogliere il frutto del de
litto del re suo vassallo. Sembra che il re Giovanni avesse
lindole dei re tiranni e vili. Si lasci prendere la Norman
dia, la Guienna, il Poitou, e si ritir in Inghilterra, dove
era odiato e disprezzato. Trov dapprima qualche risorsa
nella fierezza deUa nazione inglese, indignata al vedere il
suo re condannato in Francia; ma i baroni dInghilterra si
stancarono presto di dare denaro a un re che non sapeva
servirsene. Per colmo di sventura, Giovanni si guast con
la corte di Roma per un arcivescovo di Canterbury, che il
papa voleva nominare di sua autorit, a dispetto deUe leggi.
Innocenzo III, luomo sotto il quale la santa sede fu tan
to temibile, colp lInghilterra dinterdetto, e proib a tutti
i sudditi di Giovanni di ubbidirgli. Questo fulmine eccle
siastico era in effetto terribile, perch il papa lo rimetteva
nelle mani di Filippo Augusto, al quale trasfer il regno
dInghilterra in eredit perpetua, assicurandogli la remissio
ne di tutti i peccati se fosse riuscito a impadronirsi di quel
regno. Accord persino a questo proposito le stesse indul
genze concesse a coloro che andavano in Terra Santa. Il re
di Francia non dichiar allora pubblicamente che non spet
tava al papa conferire corone: egli stesso era stato scomu
nicato qualche anno prima, nel 1199, e anche il suo regno
era stato colpito dinterdetto da quello stesso papa Iimocen-
zo III, perch egli aveva voluto cambiare moglie. Aveva
proclamato allora le censure di Roma insolenti e abusive;
aveva incamerato i beni temporali di ogni vescovo e di ogni
prete che fosse tanto cattivo francese da ubbidire al papa.
Pens in modo del tutto diverso quando si vide esecutore
di una boUa che gli dava lInghilterra. Allora si riprese la mo
glie, il cui divorzio gli aveva attirato tante scomuniche, e
ad altro non pens se non a eseguire la sentenza di Roma.
Impieg un anno a far costruire millesettecento vascelli (va
le a dire millesettecento barconi) e a preparare il pi bel
lesercito che si fosse mai visto in Francia. Lodio che si
nutriva in Inghilterra per il re Giovanni dava al re Filippo
anche un altro esercito. Filippo Augusto era pronto a partite
1 1 6 SAGGIO SUI COSTUMI
e Giovanni, da parte sua, faceva un ultimo sforzo per rice
verlo. Per quanto odiato fosse da una parte della nazione,
leterna emulazione degli Inglesi contro la Francia, lindigna
zione contro il modo di procedere del papa, le prerogative
della corona, sempre potenti, gli diedero ^ a fine, per alcu
ne settimane, un esercito di quasi sessantamila uomini, alla
testa del quale avanz fino a Dover per ricevere colui che
laveva giudicato in Francia e che doveva detronizzarlo in
Inghilterra.
LEuropa si aspettava dunque una battaglia risolutiva tra
i due re, allorch il papa li raggir ambedue, e prese destra
mente per s ci che aveva dato a Filippo Augusto. Un sud-
diacono, suo domestico, di nome Pandolfo, legato in Fran
cia e in Inghilterra, condusse a termine questo singolare ne
goziato. Si reca a Dover, col pretesto di negoziare coi ba
roni in favore del re di Francia (1213). Si reca dal re Gio
vanni. Siete perduto, gli dice; lesercito francese
salpa; il vostro vi abbandoner; avete una sola risorsa, quella
di rimettervi completamente alla santa sede. Giovanni ac
consent e giur, e sedici baroni giurarono la stessa cosa sul
lanima del re. Strano giuramento che li obbligava a fare
quanto ignoravano sarebbe stato loro proposto! Lo scaltro
Italiano intimor talmente il principe, persuase cos bene i
baroni, che alla fine, il 15 maggio 1213, nella sede dei
cavalieri del Tempio, nel sobborgo di Dover, il re ingi
nocchiato, ponendo le proprie mani tra quelle del legato,
pronunci queste parole:
Io Giovanni, per grazia di Dio re dInghilterra e signo
re dIbernia, a espiazione dei miei peccati, di mia propria vo
lont, e col parere dei miei baroni, do alla Chiesa di Roma,
al papa Innocenzo e ai suoi successori i regni dInghUterra
e dIrlanda, con tutti i loro diritti: io li regger come vas
sallo del papa; sar fedele a Dio, alla Chiesa romana, al
papa mio signore e ai suoi successori legittimamente eletti.
Mi obbligo a pagargli un censo di mille marchi dargento al
l anno, e cio: settecento per il regno dInghilterra e trecen
to per ribemia.
CAPITOLO CINQUANTESIMO 11 7
Era molto per un paese che allora aveva pochissimo de
naro, e nel quale non si batteva nessuna moneta doro.
Allora si mise del denaro nelle mani del legato, come
primo pagamento del censo. Gli furono consegnati la co
rona e lo scettro. Il diacono italiano calpest S denaro, e
tenne la corona e lo scettro per cinque giorni. Restitu poi
questi ornamenti al re, come una munificenza del papa, loro
comune padrone.
Filippo Augusto a Boulogne altro non aspettava se non
il ritorno del legato per salpare. Il legato toma da lui per
comunicargli che non gli pi permesso dattaccare l Inghil
terra, divenuta feudo della Chiesa romana, e che il re Gio
vanni sotto la protezione di Roma.
Il dono dellInghilterra, che H papa aveva fatto a Fi
lippo, poteva allora diventargli funesto. Un altro scomunica
to, nipote del re Giovanni, si era alleato a lui per opporsi al
la Francia, che diventava troppo temibile. Questo scomuni
cato era limperatore Ottone IV, che contendeva al tem
po stesso limpero al giovane Federico II, figlio di Enrico VI,
e lItalia al papa. il solo imperatore di Germania che ab
bia mai dato battaglia di persona a un re di Francia.
118 SAGGIO SUI COSTUMI
DI OTTONE IV E DI FILIPPO AUGUSTO NEL XIII
SECOLO. DELLA BATTAGLIA DI BOUVINES.
DELLINGHILTERRA E DELLA FRANCIA FINO ALLA
MORTE DI LUIGI VIII, PADRE DI SAN LUIGI. POTENZA
SINGOLARE DELLA CORTE DI ROMA: PI SINGOLARE
PENITENZA DI LUIGI V ili, ECC.
Q
uantunque il sistema dequilibrio dellEuropa sia sta
to sviluppato soltanto n e ^ ultimi tempi, tuttavia sem
bra che ci si sia riuniti, sempre per quanto si potuto,
contro le potenze preponderanti. La Germania, lInghilterra e
i Paesi Bassi si armarono contro Filippo Augusto, cos come
li abbiamo visti riunirsi contro Luigi XIV. Ferrando, conte
di Fiandra, si un allimperatore Ottone IV. Era vassallo di
Filippo; ma proprio per questa ragione si dichiar contro
di lui, cos come il conte di Boulogne. In tal modo Filippo,
per avere voluto accettare il dono del papa, si mise in con
dizione di essere sopraffatto. La sua fortuna e il suo coraggio
lo fecero uscire da quel pericolo con la maggior gloria che
mai abbia meritata un re di Francia.
Tra LiUa e Toumai si trova un piccolo villaggio chia
mato Bouvines, nei pressi del quale Ottone IV, alla testa
di un esercito che si dice forte di pi di centomila combat
tenti, and ad attaccare il re, che ne aveva soltanto la met
(1215). Si cominciava allora a servirsi delle balestre: que
starma era in uso alla fine del XII secolo. Ma la sorte
di una giornata dipendeva da quella cavalleria pesante arma
ta di corazza dalla testa ai piedi. Larmatura completa del
cavaliere era ima prerogativa onorifica alla quale gH scudie
ri non potevano ambire; a loro non era permesso dessere
invulnerabili. La sola cosa che un cavaliere poteva temere
era quella dessere ferito alla faccia, quando alzava la vi
siera dellelmo; o al fianco, in mancanza della corazza, quan-
CAPITOLO LI
dera atterrato e gK era stato tirato su il giaco; infine, sotto
le ascelle, quando alzava il braccio.
Cerano anche delle truppe di cavalleria, tratte dal cor
po dei comuni, armate meno bene dei cavalieri. Quanto alla
fanteria, essa portava armi difensive a suo piacimento e
quelle offensive erano la spada, la freccia, la mazza, la
fionda.
Fu un vescovo a schierare in battaglia lesercito di Filip
po Augusto: si chiamava Gurin, ed era appena stato nomi
nato al vescovato di Senlis. Anche quel vescovo di Beauvais,
per tanto tempo prigioniero del re Riccardo dInghilterra,
si trov in quella battaglia. In essa si serv sempre di una
mazza, dicendo che sarebbe stata cosa irregolare il versare
sangue umano. Non si sa in che modo limperatore e il re
disposero le loro truppe. Filippo, prima del combattimento,
fece cantare il salmo Exsurgat Deus, et dissipentur inimici
eius*, come se Ottone avesse combattuto contro Dio. Prima
i Francesi cantavano versi in onore di Carlomagno e di Or
lando. Lo stendardo imperiale di Ottone era su quattro ruote.
Si trattava di una lunga pertica che sorreggeva un drago di
legno dipinto, e sul drago si ergeva unaquila di legno
dorato. Lo stendardo reale di Francia era un bastone dorato
con un vessillo di seta bianca, cosparso di fiordalisi: ci che
a lungo era stato soltanto una fantasia di pittore cominciava
a servire da stemma ai re di Francia, Alcune antiche coro
ne dei re longobardi, delle quali si vedono stampe fedeli
in Muratori, sono sormontate da queUomamento, che altro
non se non 0. ferro duna lancia legato con altri due ferri ri
curvi, una vera alabarda.
Oltre allo stendardo reale, Filippo Augusto fece portare
lorifiamma di san Dionigi. Quando il re era in pericolo, si
alzava o si abbassava uno o laltro di questi stendardi. Ogni
cavaliere aveva anchegli il suo, e i grandi cavalieri facevano
portare unaltra bandiera, che si chiamava gonfalone. Questo
termine di gonfalone, cos onorato, era tuttavia comune ai
vessilli della fanteria, quasi tutta composta di servi. Il grido
* III, 8.
1 2 0 SAGGIO SUI COSTUMI
di guerra dei Francesi era Montjoe saint Denis. Il grido dei
Tedeschi era Kyrie, eleison.
Una prova che i cavalieri bene armati non correvano altro
rischio se non quello di essere disarcionati, ed erano feriti
solo per un caso rarissimo, il fatto che il re Filippo Augu
sto, sbalzato da cavallo, fu a lungo circondato di nemici, e
ricevette colpi dogni specie darmi senza versare una goccia
di sangue.
Si racconta persino che, mentre era steso a terra, un sol
dato tedesco voUe conficcargli in gola un giavellotto a doppio
uncino, e che non pot assolutamente riuscirvi. Nessun
cavaliere per nella battaglia, tranne Guglielmo di Long-
champ, che sfortunatamente mori dun colpo nellocchio, as
sestato attraverso la visiera dellekno.
Dalla parte dei Tedeschi si contarono venticinque ca
valieri banderesi e sette conti dellimpero prigionieri, ma nes
suno ferito.
Limperatore Ottone perse la battaglia. Vennero uccisi,
si dice, trentamila Tedeschi, numero probabilmente esage
rato. Non sembra che il re di Francia abbia fatto alcuna
conquista dalla parte della Germania dopo la vittoria di Bou-
vines; ma ne trasse un potere ben maggiore sui suoi vas
salli.
Chi perse di pi in quella battaglia fu Giovanni dInghil
terra, del quale l imperatore Ottone sembrava l estrema ri
sorsa. (1218) Questimperatore mor poco tempo dopo co
me un penitente. Si dice che si facesse calpestare dai suoi
sguatteri e frustare da monaci, secondo lopinione dei prin
cipi di quel tempo, che pensavano di espiare con qualche col
po di disciplina il sangue di tante migliaia di uomini.
Non affatto vero, come tanti autori hanno scritto, che
Filippo ricevette, il giorno della vittoria di Bouvines, la no
tizia di xmaltra battaglia vinta da suo figlio Luigi V ili con
tro il re Giovanni. Anzi, Giovanni aveva colto qualche suc
cesso nel Poitou; ma, privato dellaiuto dei suoi alleati, fece
una tregua con Filippo. Ne aveva bisogno: i suoi stessi sud
diti dInghilterra diventavano i suoi maggiori nemici; era
CAPITOLO CINQUANTUNESIMO 121
disprezzato, perch si era fatto vassallo di Roma. (1215) I
baroni lo costrinsero a firmare quella famosa Carta che si
chiama la Carta delle Uberi dInghilterra.
Il re Giovanni si credette pi leso accordando ai suoi
sudditi, con quella Carta, i diritti pi naturali, di quanto si
fosse creduto degradato facendosi suddito di Roma; si la
ment di quella Carta come del maggiore affronto fatto alla
sua dignit: eppure che cosa vi si trova effettivamente din
giurioso per lautorit regia? che alla morte di un conte,
suo figlio maggiore, per entrare in possesso del feudo, avreb
be pagato al re cento marchi dargento, e un barone cento
scellini; che nessun balivo del re avrebbe potuto prendere
i cavalli dei contadini se non pagando cinque soldi al gior
no per ogni cavallo. Si scorra pure tutta la Carta, e si tro
ver solamente che i diritti del genere umano non vi sono
stati abbastanza difesi; si vedr che i comuni, che soppor
tavano il maggior fardello e rendevano i maggiori servigi,
non avevano parte alcuna a quel governo, che non poteva
prosperare senza di loro. Tuttavia Giovanni si dolse; chiese
giustizia al papa, suo nuovo sovrano.
Questo papa, Innocenzo III, che aveva scomunicato il
re, scomunica allora i pari dInghilterra. I pari, indignati,
fanno quanto aveva fatto quello stesso pontefice; offrono la
corona dInghilterra alla Francia. Filippo Augusto, vincitore
della Germania, possessore di quasi tutti gli Stati di Gio
vanni in Francia, chiamato al regno dInghilterra, si com
port da grande politico. Indusse gli Inglesi a richiedere per
re suo figlio Luigi. Allora i legati di Roma andarono a far
gli notare inutilmente che Giovanni era feudatario della santa
sede. Luigi, di concerto col padre, gli parla cos in presen
za del legato; Signore, sono vostro uomo ligio per li feu
di di cui mavete reso baiulo in Francia, ma a voi non ap
partiene di decidere quanto concerne 0. regno dInghilterra;
e se lo fate, appellerommi ai miei pari*.
Dopo aver cos parlato, part per l Inghilterra, nono-
* Questa una grande riprova che i pari decidevano allora tutti gli affari
importanti (N.d.A.).
1 2 2 SAGGIO SUI COSTUMI
Stant e le proibizioni pubbliche di suo padre, che lo provve
deva in segreto duomini e di denaro. Innocenzo III scomu
nic invano il padre e il figlio (1216): i vescovi di Francia
dichiararono nulla la scomunica del padre. Osserviamo tutta
via che non osarono infirmare quella di Luigi; vale a dire
che essi ammettevano che i papi avevano il diritto di sco
municare i principi. Non potevano contestare quel diritto
ai papi, dal momento che se larrogavano essi stessi; ma si
riservavano ancora quello di giudicare se la scomunica del
papa era giusta o ingiusta. I principi erano allora davvero
sventurati, continuamente esposti alla scomunica in patria
e a Roma; ma i popoli erano pi sventurati ancora: lana
tema ricadeva sempre su di essi, e la guerra li spogliava.
Il figlio di Filippo Augusto fu solennemente riconosciu
to re a Londra. Non manc di mandare degli ambasciatori
a perorare la sua causa davanti al papa. Quel pontefice go
deva dellonore, che aveva in altri tempi il senato romano,
dessere giudice dei re. (1216) Mori prima di pronimciare la
sentenza definitiva.
Giovanni Senzaterra, errabondo di citt in citt nel suo
paese, mori in quel medesimo tempo, abbandonato da tutti,
in un borgo della provincia di Norfolk. Un pari di Francia
aveva un tempo conquistato lInghilterra e laveva conservata;
im re di Francia non la conserv.
Luigi VIII, dopo la morte di Giovarmi dInghilterra, vi
vente ancora Filippo Augusto, fu costretto a uscire da quel
lo stesso paese che laveva chiesto come re; e, invece di
difendere la sua conquista, prese parte alla crociata contro
gli Albigesi, che venivano scannati allora in esecuzione del
le sentenze di Roma.
Regn soltanto un anno in Inghilterra; gli Inglesi lo
costrinsero a rendere al loro re Enrico III, del quale non
erano ancora scontenti, il trono che avevano tolto a Giovan
ni, padre di questo Enrico III. Cos Luigi fu soltanto lo stru
mento di cui si erano serviti per vendicarsi del loro mo
narca. Il legato di Roma, che era a Londra, stabili da padro
ne le condizioni alle quali Luigi usc dallInghilterra. Aven
CAPITOLO CINQUANTUNESIMO 123
dolo scomunicato per aver osato regnare a Londra malgra
do il papa, questo legato gli impose per penitenza di pagare
a Roma U decimo di due anni delle sue rendite. I suoi uffi
ciali furono tassati al ventesimo, e i cappellani che lavevano
accompagnato furono costretti ad andare a chiedere lassolu
zione a Roma. Compirono il viaggio; fu loro ordinato di an
dare a presentarsi a Parigi alla porta della cattedrale, nelle
quattro feste solenni, scalzi e in camica, tenendo in mano
deUe verghe con le quali i canonici dovevano frustarli. Si
dice che una parte di queste penitenze venisse compiuta.
Questa scena incredibile avveniva tuttavia sotto un re
abile e coraggioso, sotto Filippo Augusto, che sopportava
quellumiliazione di suo figlio e della sua nazione. Il vincitore
di Bouvines non fin gloriosamente la sua carriera illustre.
(1225) Aveva accresciuto U suo regno della Normandia, del
Maine, del Poitou: il resto dei beni appartenenti allInghil
terra era ancora difeso da molti signori.
Al tempo di Luigi V ili, una parte della Guienna era
francese, laltra era inglese. Non accadde allora niente di
grande n di risolutivo.
Solo il testamento di Luigi V ili merita un po datten
zione. (1225) Egli lascia cento soldi a ognuno dei duemila
lebbrosari del suo regno. I cristiani, come frutto delle loro
crociate, tutto sommato si portarono a casa soltanto la leb
bra. Lo scarso impiego della biancheria e la sporcizia del po
polo dovevano aver notevolmente accresciuto il numero dei
lebbrosi. Il nome di lebbrosario non era dato indistinta
mente agli altri ospedali, perch si vede, dallo stesso testa
mento, ciie il re lascia cento lire di conto a duecento ospedali
maggiori. Il lascito che fece Luigi VIII di trentamila lire una
volta pagate alla sua sposa, la celebre Bianca di Castiglia,
corrispondeva a cinquecentoquarantamila lire doggi. Insisto
spesso su questo valore delle monete; esso , mi sembra, il
polso duno Stato, e una maniera abbastanza sicura di rico
noscerne le forze. Per esempio, chiaro che Filippo Augusto
fu il pi potente principe del suo tempo se, indipendente
mente dalle pietre preziose che lasci, le somme specificate
1 2 4 SAGGIO SUI COSTUMI
nel suo testamento ammontano a circa novecentomila mar
chi dargento da otto once, che valgono oggi circa quaranta
nove milioni della nostra moneta, a 54 lire e 19 soldi il marco
dargento fino. Ma ci devessere qualche errore di calcolo in
quel testamento: non per nulla verosimile che un re di
Francia, che non aveva altro reddito se non quello dei suoi
possessi personali, abbia potuto lasciare allora una somma
cos ragguardevole; la potenza di tutti i re dEuropa con
sisteva allora nel vedere marciare un gran numero di vassalli
ai propri ordini, e non nel possedere abbastanza tesori da as
servirli.
questo il luogo di far rilevare uno strano racconto che
ci danno tutti i nostri storici. Essi dicono che, trovandosi Lui
gi V ili sul letto di morte, i medici stimarono che non ci
fosse altro rimedio per lui se non il commercio con le donne;
che misero nel suo letto una fanciulla, ma che il re la scacci,
preferendo morire, dicono loro, piuttosto che commettere
un peccato mortale. Nella sua Storta di Francia, il padre
Daniel* ha fatto incidere questavvenimento in testa alla vita
di Luigi V ili, come la pi bella prodezza di questo principe.
Questa favola stata applicata a parecchi altri monarchi.
Come tutti gli altri racconti di quei tempi, essa soltanto
frutto dellignoranza. Ma si dovrebbe sapere oggi che il pos
sesso di una fanciulla non affatto un rimedio per un ma
lato; e, in fin dei conti, se Luigi V ili avesse potuto salvarsi
solo con quellespediente, aveva Bianca, sua moglie, che era
bellissima e in grado di salvargli la vita. Il gesuita Daniel
sostiene dunque che Luigi VIII mor gloriosamente non
soddisfacendo la natura e combattendo gli eretici. vero
che, prima della sua morte, and in Linguadoca per im
padronirsi di una parte della contea di Tolosa che il giovane
Amaury, conte di Montfort, figlio deUusurpatore, gli ven
dette. Ma comprare un paese da un uomo al quale questo
paese non appartiene vuol forse dire combattere per la fede?
Una mente retta, leggendo la storia, impegnata quasi sol
tanto a confutarla.
CAPITOLO CINQUANTUNESIMO 12 5
* Si veda nHIndice del I volume, pag. 436.
DELLIMPERATORE FEDERICO II; DELLE SUE
CONTESE CON I PAPI, E DELLIMPERO TEDESCO.
DELLE ACCUSE CONTRO FEDERICO IL DEL
LIBRO DE TRIBUS IMPOSTORIBUS. DEL CONCILIO
GENERALE DI LIONE, ECC.
V erso l inizio del XIII secolo, mentre Filippo Augusto re
gnava ancora, mentre Giovanni Senzaterra era spogliato da
Luigi V ili, e, dopo la morte di Giovanni e di Filippo Augu
sto, Luigi VIII, cacciato dallInghilterra, regnava in Fran
cia e lasciava lInghilterra a Enrico III; in quel tempo, di
cevo, le crociate e le persecuzioni contro gli Albigesi conti
nuavano a fiaccare lEuropa. Limperatore Federico I I face
va sanguinare le piaghe mal rimarginate della Germania e
dellI t ^ a . La contesa della corona imperiale e della mitra
di Roma, le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini, gli odi dei
Tedeschi e degli Italiani agitavano il mondo pi che mai.
Federico II, figlio di Enrico VI e nipote dellimperatore Fi
lippo, godeva dellimpero che Ottone IV, suo rivale, aveva
abbandonato prima di morire.
Gli imperatori erano allora assai pi potenti che i re
di Francia: infatti, oltre la Svevia e le grandi terre che Fe
derico possedeva in Germania, egli aveva anche Napoli e
la Sicilia per eredit. La Lombardia gli apparteneva per es
sere stata a lungo posseduta dagli imperatori; ma la li
bert che le citt dItalia allora idolatravano rispettava poco
il possesso dei Cesari tedeschi. In Germania quello era un
tempo di anarchia e di ruberie, che dur a lungo. Quelle ru
berie erano talmente aumentate, che i signori annoveravano
tra i propri diritti quello dessere ladri di strada nei loro
territori e di battere moneta falsa. (1219) Federico II li co
strinse, nella dieta dEgra, a giurare di non esercitare pi
CAPITOLO m
simili diritti; e, per dare loro lesempio, rinunci a quello
che i suoi predecessori serano attribuito: impadronirsi cio
di quanto lasciavano i vescovi morendo. Questa rapina era
lecita dappertutto, a quel tempo, e anche in Inghilterra.
Vigevano allora le usanze pi ridicole e pi barbare. I
signori avevano immaginato il diritto di cuissage, di mar-
quette, di prlibation* -, era quello di giacere la prima notte
con le spose novelle loro vassaUe non nobili. Dei vescovi,
degli abati ebbero questo diritto come principali signori; e al
cuni nellultimo secolo si sono fatti pagare dai loro soggetti la
rinunzia a questo strano diritto che si estese in Scozia, in
Lombardia, in Germania e nelle province di Francia. Questi
sono i costumi che regnavano al tempo delle crociate.
LItalia era meno barbara ma non era meno infelice. La
contesa dellimpero e del sacerdozio aveva prodotto le fazioni
guelfa e ghibellina, che dividevano le citt e le famiglie.
Milano, Brescia, Mantova, Vicenza, Padova, Treviso, Fer
rara, e quasi tutte le citt della Romagna sotto la protezio
ne del papa, erano unite in una lega contro limperatore.
Questi aveva per s Cremona, Bergamo, Modena, Parma,
Reggio, Trento. Molte altre citt erano divise tra le fazioni
guelfa e ghibellina. LItalia era teatro non di una guerra,
ma di cento guerre civili che, stimolando gli spiriti e gli ar
dimenti, avvezzavano fin troppo i nuovi potentati italiani al
lassassinio e al veneficio.
Federico I I era nato in Italia; amava questa piacevole
regione, e non poteva soflErire n il paese n i costumi della
Germania, da cui fu assente quindici anni interi. Sembra
evidente che il suo grande disegno fosse quello di stabilire
in Italia il trono dei nuovi Cesari. Questo soltanto avrebbe
potuto cambiare il volto dellEuropa. il bandolo segreto
di tutte le contese che egli ebbe con i papi. Fu di volta in
volta conciliante e violento, e la santa sede lo combatt con le
stesse armi.
* Sono tre termini di diritto feudale: il primo indica la facolt che aveva
il signore di mettere la gamba nel letto di ogni sposa novella la prima notte
deUe nozze; la -prlibation era 1l]us printae noctis-, la marquette era il di
ritto pagato dai vassalli non nobili per U riscatto deUa prima notte di nozze.
CAPITOLO CINQUANTADUESIMO 12 7
Onorio III e Gregorio IX possono resistergli dapprima
solo allontanandolo, e mandandolo a fare la guerra in Terra
Santa*. Il pregiudizio del tempo era tale, che limperatore fu
costretto a votarsi a questa impresa, per timore di non es
sere reputato cristiano dai popoli. Fece il voto per politica;
e per politica differ il viaggio.
Gregorio IX lo scomunica secondo l uso solito. Federico
parte; e mentre fa ima crociata a Gerusalemme, il papa ne
fa una contro di lui a Roma. Dopo aver negoziato con i
soldani, egli ritorna a battersi contro la santa sede. Trova
nel territorio di Capua il proprio suocero, Giovanni di Brien-
ne, re titolare di Gerusalemme, alla testa dei soldati del pon
tefice, che avevano l emblema delle due chiavi sulla spalla.
I Ghibellini dellimperatore avevano lemblema della croce;
e le croci misero ben presto in fuga le chiavi.
Restava allora a Gregorio IX la sola possibilit di far in
sorgere Enrico, re dei Romani, figlio di Federico II, contro
il padre, come Gregorio VII, Urbano II e Pasquale I I ave
vano armato i figli di Enrico IV. (1235) Ma Federico, pi
fortunato di Enrico IV, cattura il figlio ribelle, lo depone
nella celebre dieta di Magonza e lo condanna a prigionia
perpetua.
Era pi facile per Federico I I far condannare il proprio
figlio in una dieta di Germania che non ottenere denaro e
truppe da questa dieta per andare a soggiogare lItalia. Eb
be sempre abbastanza forze da insanguinarla, e mai abba
stanza da asservirla. I Guelfi, questi fautori del papato, e an
cor pi della libert, bilanciarono sempre il potere dei Ghi
bellini, fautori dellimpero.
La Sardegna era ancora oggetto di guerra tra limpero e
il sacerdozio, e perci di scomuniche. (1238) Limperatore
simpadron di quasi tutta lisola. Allora Gregorio IX accu
s pubblicamente Federico I I dincredulit. Noi abbiamo
delle prove; dice, nella sua lettera circolare del 1 lu
glio 1239, che egli afertna pubblicamente che l universo
stato ingannato da tre impostori, M.os, Ges Cristo e Mao-
1 2 8 SAGGIO SUI COSTUMI
* Si veda il capitolo d e l l e c r o c i a t e (N.dJ^.).
metto. Ma egli pone Ges Cristo molto sotto agli altri; per
ch dice che quelli sono vissuti pieni di gloria, e che laltro
stato solo un uomo della feccia del popolo, che predicava
ai suoi simili. Limperatore, aggiunge, sostiene che
un Dio unico e creatore non pu essere nato da una donna,
e soprattutto da una vergane. Proprio per questa lettera
del papa Gregorio IX si credette sin da allora che ci fosse un
libro intitolato de Trihus Impostorihus: si cercato questo
libro di secolo in secolo, e non lo si mai trovato*.
Queste accuse, che non avevano niente a che vedere con
la Sardegna, non impedirono che limperatore la conservas
se: le lotte tra Federico e la santa sede non ebbero mai la
religione come oggetto; e tuttavia i papi lo scomunicavano,
indicevano crociate contro di lui e lo deponevano. Un cardi
nale di nome Giacomo, vescovo di Palestrina, port in Fran
cia al giovane Luigi IX deUe lettere di questo papa Gregorio,
mediante le quali Sua Santit, avendo deposto Federico II,
trasferiva di propria autorit limpero a Roberto, conte dAr-
tois, fratello del giovane re di Francia. Il momento era scelto
male; la Francia e lInghilterra erano in guerra, i baroni di
Francia, sollevatisi durante la minorit di Luigi, erano an
cora potenti alla sua maggiorit. Si sostiene che rispondes
sero che un fratello di un re di Francia non aveva bisogno
di un impero, e che il papa aveva meno religione di Fe
derico I I . Una tale risposta troppo poco verosimile perch
sia vera.
Non v nuUa che meglio faccia conoscere i costumi e gli
usi di quel tempo di quanto accadde a proposito di questa
richiesta del papa.
Egli si rivolse ai monaci di Cteaux, presso i quali sa
peva che san Luigi doveva recarsi in pellegrinaggio con sua
madre. Scrisse al capitolo: Scongiurate il re di assumere
la protezione del papa contro il figlio di Satana, Federico;
necessario che il re mi accolga nel suo regno, come Alessan-
* Ne stato fatto uno ai nostri giorni con lo stesso titolo (N.d.A.).
Voltaire allude al Trait des trois imposteurs, pubblicato a Yverdon nel
1768.
9/cn
CAPITOLO CINQUANTADUESIMO 1 2 9
dro III vi fu accolto contro la persecuzione di Federico I, e
san Tommaso di Canterbury contro quella di Enrico II, re
dInghilterra.
Il re and eflEettivamente a Cteaux dove fu ricevuto da
cinquecento monaci che lo condussero al capitolo: l, si mi
sero tutti in ginocchio davanti a lui; e, a mani giunte, lo pre
garono di lasciare venire il papa in Francia. Luigi si mise an
chegli in ginocchio davanti ai monaci, promise loro di di
fendere la Chiesa; ma disse loro esplicitamente che non
poteva ricevere il papa senza il consenso dei baroni del regno,
dei quali un re di Francia doveva seguire i pareri. Grego
rio muore; ma lo spirito di Roma vive sempre. Innocenzo
IV, amico di Federico quando era cardinale, diventa neces
sariamente suo nemico non appena sovrano pontefice. Oc
correva, a qualunque costo, indebolire la potenza imperiale
in Italia, e riparare Terrore che aveva fatto Giovanni XII
di chiamare a Roma i Tedeschi.
Dopo molte trattative inutili, Irmocenzo' IV, riunisce a
Lione quel famoso concilio che ancora oggi nella biblio
teca del Vaticano reca questa iscrizione; "Tredicesimo con
cilio generale, primo di Lione. Federico II vi dichiarato
nemico della Ciiiesa, e privato del trono imperiale.
Sembra molto audace deporre un imperatore in una cit
t imperiale; ma Lione era sotto la protezione della Francia,
e i suoi arcivescovi si erano arrogati diritti regali. Federico
II non trascur di mandare a quel concilio, in cui doveva es
sere accusato, ambasciatori che lo difendessero.
Il papa, che si nominava giudice alla testa del concilio,
esercit anche la funzione di avvocato di se stesso; e dopo
avere molto insistito sui diritti temporali di Napoli e di
Sicilia, sul patrimonio della contessa Matilde, accus Fede
rico di avere fatto la pace con i maomettani, di avere avuto
concubine maomettane, di non credere in Ges Cristo e di
essere eretico. Come si pu essere allo stesso tempo eretico
e incredulo? e come in quei secoli si potevano formulare
cos spesso tali accuse? I papi Giovanni XII, Stefano V ili,
e gli imperatori Federico l, Federico II, il cancelliere delle
1 3 0 SAGGIO SUI c o s t u m i
Vigne, Manfredi, reggente di Napoli, e molti altri subiscono
questa imputazione. Gli ambasciatori deUimperatore parla
rono con fermezza in suo favore, e a loro volta accusarono il
papa di rapina e di usura. Cerano a questo concilio amba
sciatori di Francia e dInghilterra. Costoro si lagnarono tan
to dei papi quanto- il papa si lagn dellimperatore. Voi
spillate, per mezzo dei vostri Italiani, dissero, pi
di sessantamila marchi allanno al regno dInghilterra; ci
avete alla fine mandato un legato che ha concesso tutti i be
nefici a degli Italiani. Egli estorce da tutti i religiosi tasse
eccessive, e scomunica chiunque si lamenti delle sue vessa
zioni. Ponetevi prontamente un rimedio, perch non tolle
reremo pi a lungo questi soprusi.
Il papa arross, non rispose nulla e pronunci la deposi
zione dellimperatore. degno di grande nota il fatto chegli
scagli quella sentenza non con lapprovazione del concilio,
disse, ma in presenza del concilio. Tutti i padri tenevano dei
ceri accesi, mentre il papa la pronunciava. Poi li spensero.
Una parte firm il decreto, unaltra parte usc gemendo.
Non dimentichiamo che, in quel concilio, il papa chiese
un sussidio a tutti gli ecclesiastici. Tutti rimasero in silen
zio, nessuno parl n per approvare n per respingere il
sussidio, eccetto un Intese di nome Mespham, decano di
Lincoln; questi os dire che il papa taglieggiava troppo la
Chiesa. Il papa lo depose, di sua sola autorit; e gli eccle
siastici tacquero. Innocenzo IV parlava e agiva dunque
come sovrano della Chiesa, e ci veniva tollerato.
Federico I I non toller per lo meno che il vescovo di
Roma si comportasse come sovrano dei re. Questimpera
tore era a Torino, che non apparteneva ancora alla casa
di Savoia; era un feudo dellimpero, governato dal mar
chese di Susa. Egli chiese uno scrigno; gli fu portato. Ne
trasse la corona imperiale. Questo papa e questo concilio,
disse, non me l hanno rapita; e prima chio ne venga
privato, molto sangue verr sparso. Non trascur di scrive
re per prima cosa a tutti i principi di Germania e dEuropa,
per mano del suo famoso cancelliere Pier delle Vigne, tanto
CAPITOLO CINQUANTADUESIMO 131
accusato di avere composto il libro dei Tre Impostori:
'Non sono il primo, diceva nelle sue lettere, che il
clero abbia cosi indegnamente trattato, e non sar lultimo.
Voi ne siete la causa, obbedendo a questi ipocriti di cui co
noscete lambizione sconfinata. Se voleste, quante infamie sco
prireste alla corte di Roma, che fanno fremere il pudore?
Abbandonatisi alla mondanit, ebbri di delizie, leccesso del
le loro ricchezze soffoca in loro ogni sentimento di religio
ne. opera di carit togliere loro queste ricchezze perniciose
che li sopraffanno, e a questo dovete dedicarvi tutti con me.
Frattanto il papa, dichiarato vacante limpero, scrisse a
sette principi o vescovi: erano i duchi di Baviera, di Sas
sonia, dAustria e di Brabante, gli arcivescovi di Salisburgo,
di Colonia e di Magonza. Questo quanto ha fatto credere
che sette elettori fossero allora solennemente insediati. Ma
anche gli altri principi dellimpero e gli altri vescovi preten
devano di avere lo stesso diritto.
Gli imperatori e i papi cercavano cos di farsi deporre
scambievolmente. Tutta la loro politica consisteva neUac-
cendere guerre civili.
Era gi stato eletto re dei Romani, in Germania, Corra
do, figlio di Federico II; ma per piacere al papa bisognava
scegliere un altro imperatore. Questo nuovo Cesare non
fu scelto n dai duchi di Sassonia, o di Brabante, o di Ba
viera, o dAustria, n da alcun principe dellimpero. I vesco
vi di Strasburgo, ^ Wiirzburg, ^ Spira, di Metz, insieme con
quelli di Magonza, di Colonia e di Treviri, crearono que
stimperatore. Scelsero un langravio di Turingia, che fu chia
mato re dei preti.
Che strano imperatore di Roma un langravio che rice
veva la corona soltanto da qualche vescovo del suo paese!
Allora il papa fa rinnovare la crociata contro Federico. Era
predicata dai frati predicatori, che noi chiamiamo domeni
cani, e dai frati minori, che noi chiamiamo cordiglieri o
francescani. Questa nuova milizia dei papi cominciava a
prender piede in Europa*. Il santo padre non si ferm a
1 3 2 SAGGIO SUI COSTUMI
* Si veda il capitolo d e g l i o r d i n i r e l i g i o s i (N.d.A.).
questi provvedimenti: predispose congiure contro la vita di
un imperatore che sapeva resistere ai concili, ai monaci, alle
crociate; per lo meno limperatore si lament che il papa
aizzava assassini contro di lui, e il papa non rispose a que
ste doglianze.
Gli stessi prelati che si erano presi la libert di creare un
Cesare, ne crearono un altro ancora dopo la morte del loro
Turingio, e si tratt di un conte dOlanda. La pretesa della
Germania sullimpero romano servi dunque sempre solo a
dilaniarla. Tra quegli stessi vescovi che eleggevano gli im
peratori nacque la discordia: il loro conte dOlanda fu uc
ciso d quella guerra civile.
(1249) Federico II doveva combattere i papi dallestre
mit della Sicilia a quella della Germania. Si dice che, tro
vandosi in Puglia, scopr che U suo medico, subornato' da
Innocenzo IV, voleva avvelenarlo. Il fatto mi pare dubbio;
ma nei dubbi che fa nascere la storia di quei tempi, si trat
ta sempre pi o meno di delitti.
Accortosi con orrore che gli era impossibile affidare la
sua vita a cristiani, Federico fu costretto a prendere come
guardie dei maomettani. Si sostiene che non lo difesero dai
furori di Manfredi, suo bastardo, che lo soEoc, si dice,
durante la sua ultima malattia. Il fatto mi sembra falso.
Quel grande, infelice imperatore, re di Sicilia sin dalla culla,
dopo aver portato per ventidue anni la vana corona di Geru
salemme e quella dei Cesari per cinquantaquattro anni (poi
ch era stato proclamato re dei Romani nel 1196), mori a
cinquantasette anni, nel regno di Napoli (1250), e lasci
il mondo turbato alla sua morte quanto lo era stato alla sua
nascita. Nonostante tanti torbidi, i suoi regni di Napoli e di
Sicilia furono abbelliti e inciviliti dalle sue sollecitudini; vi
eresse citt, vi fond universit e vi fece fiorire un po le
lettere. La lingua italiana cominciava a formarsi allora; era
un composto della lingua romanza e del latino. Possediamo
versi di Federico II in questa lingua. Ma le traversie che su
b nocquero alle scienze quanto ai suoi disegni.
Dalla morte di Federico II fino al 1268, la Germania fu
CAPITOLO CINQUANTADUESIMO 133
senza capo, non come lo erano state la Grecia, lantica Gal-
lia, lantica Germania e lItalia prima che fosse sottomessa ai
Romani: la Germania non fu n una repubblica, n un paese
diviso tra parecchi sovrani, ma un corpo senza testa le cui
membra si dilaniavano tra loro.
Questa era una bella occasione per i papi, ma essi non ne
approfittarono. Furono strappate loro Brescia, Cremona, Man
tova e molte cittadine. Sarebbe occorso allora un papa guer
riero per riprenderle; ma raramente un papa ebbe questa in
dole. Per la verit scrollavano il mondo con le loro bolle;
conferivano regni con le pergamene. Il papa Innocenzo IV
dichiar, di sua propria autorit, Haakon re di Norvegia, fa
cendolo figlio legittimo da bastardo che era (1247). Un legato
del papa incoron questo re Haakon, e ne ricevette un tri
buto di quindicimila marchi dargento, e cinquecento mar
chi o scudi* dalle chiese di Norvegia; il che era forse la
met del denaro contante che circolava in un paese cos poco
ricco.
Lo stesso papa Innocenzo IV cre anche iin certo Mandog
re di Lituania, ma re dipendente da Roma. Assumiamo,
disse nella bolla del 15 luglio 1251, questo nuovo regno
di Lituania al diritto e dia propriet di san Pietro, prenden
dovi sotto la nostra protezione, voi, vostra moglie e i vostri
figli. Questo era un imitare in qualche modo la grandezza
dellantico senato di Roma, che accordava titoli di re e di te-
trarchi. Tuttavia la Lituania non fu un regno; non pot nep
pure essere cristiana se non pi di un secolo dopo.
I papi parlavano dunque da padroni del mondo, e non
potevano essere padroni in casa loro: concedere cos degli
Stati costava loro soltanto un po di pergamena; ma solo a
forza dintrighi potevano rimpadronirsi di un villaggio nei
pressi di Mantova o di Ferrara.
Questa era la situazione degli affari dellEuropa: la Ger
mania e lItalia dilaniate, la Francia ancora debole, la Spa
gna divisa tra i cristiani e i musulmani; questi cacciati com
pletamente dallItalia, lInghUterra che cominciava a lottare
* Vedi nota a pag. 110.
1 3 4 SAGGIO SUI COSTUMI
per la propria libert contro i suoi re; il regime feudale isti
tuito dappertutto, la cavalleria di moda, i preti diventati
principi e guerrieri, una politica quasi del tutto diversa da
quella che anima oggi lEuropa. Sembrava che i paesi deUa
comunione romana fossero ima grande repubblica di cui
limperatore e i papi volevano essere i capi; e questa repub
blica, bench discorde, si era per lungo tempo trovata dac
cordo nei progetti delle crociate, che haimo prodotto azioni
cos grandi e cos infami, nuovi regni, nuove istituzioni, nuo
ve miserie; insomma, molta pi infelicit che non gloria. Ne
abbiamo gi accennato. tempo di parlare di queste follie
guerriere.
CAPITOLO CINQUANTADUESIMO 1 3 5
DELLORIENTE AI TEMPI DELLE CROCIATE E DELLA
SITUAZIONE DELLA PALESTINA
L e religioni durano sempre pi degli imperi. Il maomettane-
simo fioriva, e limpero dei califfi era distrutto dalla nazione
dei Turcomanni. Ci si arrovella a ricercare lorigine di questi
Turchi: essa la stessa di tutti i popoli conquistatori. Dap
prima sono stati tutti dei selvaggi, che vivevano di rapina.
Un tempo i Turchi abitavano oltre H Tauro e lImmaus, e
ben lungi, si dice, daUArasse. Erano parte di quei Tartari che
lantichit chiamava Sciti. Questo grande continente della
Tartaria, ben pi vasto dellEuropa, sempre stato abitato
soltanto da barbari. Le loro antichit non meritano una sto
ria accurata pi dei lupi e delle tigri del loro paese. Questi
popoli del settentrione fecero in ogni tempo invasioni ver
so H mezzogiorno. Si riversarono, intorno allXI secolo, in di
rezione della Moscovia e inondarono le rive del mar Caspio.
Sotto i primi successori di Maometto, gli Arabi avevano sot
tomesso quasi tutta lAsia Minore, la Siria e la Persia: alla
fine vennero i Turcomanni, che sottomisero gli Arabi.
Un califfo della dinastia degli Abassidi, di nome Motas-
sem, figlio del grande Almamon, e nipote del celebre Harun-
al-Rashid, come essi protettore di tutte le arti, contempo
raneo del nostro Ludovico il Pio o il Debole, pose le prime
pietre delledificio sotto il quale i suoi successori furono alla
fine schiacciati. Fece venire una milizia di Turchi per la pro
pria guardia. Non vi fu mai maggiore esempio del pericolo
delle truppe straniere. Cinque o seicento Turchi, al soldo di
Motassem, sono allorigine della potenza ottomana, che tut-
CAPITOLO LUI
to ha inghiottito, dallEufrate fino allestremit della Grecia,
e ai nostri giorni ha cinto dassedio Vienna. Questa milizia
turca, accresciutasi col tempo, divenne funesta per i suoi
padroni. Sopraggiunsero nuovi Turchi che approfittarono del
le guerre civili sorte per il califiato. I califfi Abassidi di
Bagdad persero ben presto la Siria, lEgitto, lAfrica, che i
califfi Fatimiti strapparono loro. I Turchi spogliarono e Fa
timiti e Abassidi.
(1050) Togrul-Beg, o Orto-grul-Beg, da cui si fa discen
dere la stirpe degli Ottomani, entr a Bagdad pressa poco
come tanti imperatori sono entrati a Roma; si rese padrone
della citt e del califfo prosternandoglisi ai piedi. Orto-grul
condusse il califfo Caiam al suo palazzo reggendogli la mula
per la briglia; ma pi abile o pi fortunato di quanto gli
imperatori tedeschi non lo siano stati a Roma, impose la
propria potenza e lasci al califfo soltanto il compito di co
minciare, il venerd, le preghiere alla moschea, e lonore
dinvestire dei loro Stati tutti i tiranni maomettani che si
facevano sovrani.
Bisogna ricordare che questi Turcomanni, come imitava
no i Franchi, i Normanni e i Goti nelle loro irruzioni, li imi
tavano anche nel sottomettersi alle leggi, ai costumi e alla
religione dei vinti. Cos altri Tartari si sono comportati con
i Cinesi; e questo il vantaggio che ogni popolo civile, seb
bene pi debole, deve avere sul barbaro, sebbene pi forte.
Cos i califfi erano ormai soltanto i capi della religione,
come il Dairi, pontefice del Giappone, che apparentemente
comanda oggi al Cubosama, e che in reit gli ubbidisce, come
lo sceriffo della Mecca che chiama suo vicario il sultano tur
co, come infine erano i papi sotto i re longobardi. Certo,
non paragono affatto la religione maomettana alla cristiana;
paragono le rivoluzioni. Osservo che i califfi sono stati i pi
potenti sovrani dOriente, mentre i pontefici di Roma non
erano niente. Il califfato irrimediabilmente caduto, e i pa
pi sono a poco a poco diventati grandi sovrani, saldi, rispettati
dai loro vicini, e che hanno fatto di Roma la pi bella citt
della terra.
CAPITOLO CINQUANTATREESIMO 137
Cerano dunque, al tempo della prima crociata, un calif
fo a Bagdad che conferiva investiture, e un sultano turco che
regnava. Parecchi altri usurpatori turchi e alcuni Arabi erano
accampati in Persia, nellArabia, nellAsia Minore. Tutti
erano divisi; e questo appunto ci che poteva rendere
fortunate le crociate. Ma tutti erano in armi, e questi popoli
dovevano combattere sul loro terreno con grande vantaggio.
Limpero di Costantinopoli reggeva: tutti quei principi
non erano stati indegni di regnare. Costantino Porfirogenito,
figlio di Leone il Filosofo e filosofo egli stesso, fece rinasce
re, come suo padre, tempi felici. Se il governo cadde in di
spregio sotto Romano, figlio di Costantino, divenne degno
del rispetto delle nazioni sotto Niceforo Focas, che aveva
ripreso Candia prima di essere imperatore (961). Se Gio
vanni Zimisc assassin questo Niceforo e macchi di sangue
il palazzo, se un lipocrisia ai suoi delitti, fu daltra parte
il fensore dellimpero contro i Turchi e i Bulgari. Ma sotto
Michele Paflagonio si era perduta la Sicilia; sotto Romano
Diogene, quasi tutto quanto restava verso lOriente, tran
ne la provincia del Ponto; e questa provincia, che detta
oggi Turcomannia*, cadde poco dopo sotto il potere del tur
co Solimano, il quale, padrone della maggior parte dellAsia
Minore, stabil la sede del suo dominio a Nicea, e di l mi
nacciava Costantinopoli al tempo in cui cominciarono le
crociate.
Limpero greco allora era dunque circoscritto quasi alla
citt imperiale dalla parte dei Turchi; ma si estendeva a
tutta la Grecia, la Macedonia, la Tessaglia, la Tracia, lIlli-
ria, l Epiro, e aveva anche in pi lisola di Candia. Le guer
re continue contro i Turchi, sebbene sempre sfortunate, la
sciavano in tutti un residuo di coraggio. Tutti i ricchi cri
stiani dAsia che non avevano voluto subire il giogo maomet
tano si erano ritirati nella citt imperiale, che per questo
stesso fatto si arricch delle spoglie delle province. Infine, ad
onta di tante perdite, nonostante i delitti e le rivoluzio
ni di palazzo, questa citt, in verit decaduta, ma immensa,
* LocJierno Turkmenistan.
1 3 8 SAGGIO SUI COSTUMI
popolosa, Opulenta e prodiga di delizie, si reputava la prima
del inondo. Gli abitanti si chiamavano Romani, e non Greci.
Il loro Stato era limpero romano; e i popoli dOccidente,
chessi chiamavano Latini, erano ai loro occhi soltanto bar
bari ribelli.
La Palestina era esattamente quello che oggi, uno dei
peggiori paesi dellAsia. Questa piccola provincia misura
circa sessantacinque leghe di lunghezza e ventitr di larghezza;
coperta quasi interamente di rocce aride, sulle quali non
c un filo di terra. Se questa regione'fosse coltivata, po
trebbe esser paragonata alla Svizzera. Il fiume Giordano,
largo circa cinquanta piedi al centro del suo corso, assomi
glia al fiume Aar degli Svizzeri, che scorre in una vallata pi
fertile di altri cantoni. Il mare di Tiberiade non parago
nabile al lago di Ginevra. I viaggiatori che hanno osservato
bene la Svizzera e la Palestina danno tutti la preferenza alla
Svizzera senza alcun confronto. verosimile che la Giudea
fosse pi coltivata nei tempi andati, quando era possesso
degli Ebrei. Questi erano stati costretti a portare un po
di terra sulle rocce per piantarvi delle vigne. Quel poco di
terra, mescolato alle schegge delle rocce, era sostenuto da
muricciuoli, di cui si vedono ancora i resti di tratto in
tratto.
Tutta la parte situata verso mezzo^orno consiste in de
serti di sabbie salate, dalla parte del Mediterraneo e del
lEgitto, e in orride montagne fino a Ezion-Gaber, verso il
Mar Rosso. Queste sabbie e queste rocce, abitate oggi da
qualche predone arabo, sono lantica patria degli Ebrei. Essi
avanzarono un po a settentrione nellArabia Petrea. Il pic
colo paese di Gerico, chessi invasero, uno dei migliori che
abbiano posseduto: il terreno di Gerusalemme ben pi
arido; non ha neppure il vantaggio di essere situato su un
fiume. Vi sono pochissimi pascoli: gli abitanti non vi pote
rono mai nutrire cavalli; gli asini furono sempre la caval
catura ordinaria. I buoi sono magri; i montoni vi crescono
meglio; gli ulivi vi producono in qualche zona un frutto di
buona qualit. Vi si vede anche qualche palma; e questo pae
CAPITOLO CINQUANTATREESIMO 139
se, che gli Ebrei migliorarono con gran pena, quando la loro
condizione sempre infelice glielo permise, u per essi una
terra deliziosa a paragone dei deserti del Sinai, di Param e
di Cades-Barne.
San Gerolamo, che visse cos a lungo a Betlemme, ammet
te che si soflEriva continuamente per la siccit e la sete in
quel paese di montagne aride, di sassi e di sabbie, dove pio
ve raramente, dove mancano le fontane e dove lindustrio-
sit costretta a supplirvi con grandi spese mediante ci
sterne.
La Palestina, nonostante il lavoro degli Ebrei, non ebbe
mai di che nutrire i suoi abitanti; e come i tredici cantoni
mandano il sovrappi delle loro popolazioni a servire ne
gli eserciti dei principi che possono pagarlo, cos gli Ebrei
andavano a fare il mestiere di intermediari in Asia e in Afri
ca. Alessandria era appena costruita, ed essi vi si erano sta
biliti. Gli Ebrei commercianti non abitavano a Gerusalem
me, e dubito che nel periodo pi fiorente di questo staterel-
lo vi siano mai stati uomini cos opulenti come lo sono oggi
parecchi ebrei di Amsterdam, dellAja, di Londra, di Costan
tinopoli.
Quando Omar, uno dei principali successori di Maometto,
simpadron dei fertili paesi della Siria, prese la contrada del
la Palestina; e siccome Gerusalemme una citt santa per
i maomettani, vi entr con un cilicio e un sacco di penitente
addosso, ed esigette solo il tributo di tredici dracme a testa,
ordinato dal pontefice: questo quanto riferisce Nicetas Co
niate*. Omar arricch Gerusalemme di una magnifica mo
schea di marmo, coperta di piombo, adorna allinterno di un
numero prodigioso di lampade dargento, tra le quale ve
nerano molte di oro puro**. Quando pi tardi, verso lanno
1055, i Turchi gi maomettani simpadronirono del paese, es-
* Nicetas Acominate (intorno al 1150-intomo al 1210/20), storico bi
zantino nato a Cones in Frigia e perci detto Coniate. Noto soprattutto
per unopera in ventun libro in cui sono narrati gli eventi che si svolsero
dal 1118 al 1206.
** Essa fu fondata sui ruderi della fortezza costruita da Erode, e prima
ancora da Salomone; fortezza che aveva servito da tempio (N.d.A.).
1 4 0 SAGGIO SUI COSTUMI
si rispettarono la moschea, e la citt rest sempre popolata
da sette o ottomila abitanti. Era quanto la sua cinta poteva
allora contenere, e quanto tutto il terreno circostante pote
va nutrire. Questo popolo si arricchiva daltronde solo con
i pellegrinaggi dei cristiani e dei musulmani. Gli uni anda
vano a visitare la moschea, gli altri il luogo dove si vuole
che Ges fosse sepolto. Tutti pagavano un piccolo censo
allemiro turco che risiedeva nella citt, e a qualche imano
che viveva della curiosit dei pellegrini.
CAPITOLO CINQUANTATREESIMO 141
DELLA PRIMA CROCIATA FINO ALLA PRESA DI
GERUSALEMME
T a l e era la condizione dellAsia Minore e della Siria, allor
ch un pellegrino di Amiens provoc le crociate. Non aveva
altro nome se non Coucouptre, o Cucupitre, come dice la
figlia deUimperatore Comneno*, che lo vide a Costantino
poli. Noi lo conosciamo sotto il nome di Pietro TEremita.
Questo Piccardo, partito da Amiens per andare in pellegri
naggio verso lArabia, fu la causa per cui l Occidente sarm
contro rOriente e milioni di Europei perirono in Asia. Cosi
sono concatenati gli avvenimenti delluniverso. Si dolse ama
ramente con il vescovo che risiedeva segretamente nel paese,
col titolo di patriarca di Gerusalemme, delle vessazioni che
pativano i pellegrini; le rivelazioni non gli mancarono. Gu
glielmo di Tiro** assicura che Ges Cristo apparve aUEre-
mita. Io sar con te, gli disse, tempo di soccor
rere i miei servitori. Tornato a Roma, parl in modo tanto
vivo, e fece quadri cos commoventi, che il papa Urbano II
stim quelluomo adatto a secondare il gran disegno che i
papi avevano fatto da lungo tempo di armare la cristianit
contro il maomettanesimo. Mand Pietro di provincia in pro
vincia a comunicare, con la sua vivace immaginazione, lar
dore dei suoi sentimenti, e a seminare lentusiasmo.
* Vedi nota a pag. 42.
** Storico delle crociate, dorigine francese, nato intorno al 1130 e morto
dopo il 1183. Cancelliere e arcivescovo di Nazareth, divenne successivamen
te arcivescovo di Tiro. Autore duna magistrale opera sulle crociate dal
1095, in ventitr volumi, la Bistorta rerum in partibus transmarinis gesta-
rum.
CAPITOLO LIV
(1094) Urbano II tenne poi, nei pressi di Piacenza, un
concilio in aperta campagna, dove sincontrarono pi di tren
tamila secolari oltre agli ecclesiastici. Vi u proposto il modo
di vendicare i cristiani. Limperatore dei Greci, Alessio Com-
neno, padre di quella principessa che scrisse la storia del suo
tempo, invi degli ambasciatori a quel concilio per chiedere
qualche aiuto contro i musulmani; ma non doveva aspettarse
lo n dal papa n dagli Italiani: i Normanni toglievano al
lora Napoli e la Sicilia ai Greci; e il papa, che voleva essere
almeno signore supremo di quei regni, essendo daltronde ri
vale della Chiesa greca, diventava necessariamente per la
sua condizione nemico dichiarato degli imperatori dOriente,
cos come era nemico occulto degli imperatori teutonici. Il
papa, lungi dal soccorrere i Greci, voleva sottomettere
lOriente ai Latini.
Del resto, il progetto dandare a fare la guerra in Pale
stina fu decantato da tutti i partecipanti al concilio di Pia
cenza, e non fu adottato da nessuno. I principali signori ita
liani avevano troppi interessi cui badare in casa propria, e
non volevano affatto abbandonare un paese delizioso per an
dare a battersi dalle parti dellArabia Petrea.
(1095) Fu dunque necessario tenere un altro concilio a
Clermont in Alvernia. Il papa vi tenne unarringa nella piaz
za principale. Si era pianto in Italia sulle sventure dei cristia
ni dellAsia; ci si arm in Francia. Questo paese era popo
lato da uno stuolo di nuovi signori, irrequieti, indipendenti,
amanti della dissipazione e della guerra, immersi per la
maggior parte nei delitti che la dissolutezza trascina con s,
e in imignoranza vergognosa quanto le loro dissolutezze. Il
papa offriva la remissione di tutti i peccati, e apriva loro il
cielo imponendo a essi per penitenza di abbandonarsi alla lo
ro pi grande passione, di darsi cio al saccheggio. Si fece
dunque a gara a prendere la croce. Le chiese e i chiostri ac
quistarono allora a vii prezzo molte terre dei signori, che
credettero di aver bisogno soltanto di un po di denaro e
delle loro armi per andare a conquistare regni in Asia. Per
esempio, Goffredo di Buglione, duca di Brabante, vendette la
CAPITOLO CINQUANTAQUATTRESIMO 14 3
sua terra di Buglione al capitolo di Liegi, e Stenay al ve
scovo di Verdun. Baldovino, fratello di Goffredo, vendette
al medesimo vescovo quel poco che possedeva in quel paese.
I pi piccoli signori castellani partirono a proprie spese; i
poveri gentiluomini servirono da scudieri agli altri. Il bottino
doveva essere spartito secondo i gradi e le spese dei cro
ciati. Era una gran fonte di discordia, ma era anche un gran
de sprone. La religione, lavarizia e Tirrequietezza incorag
giavano parimente queste migrazioni. Furono arrolati una
fanteria innumerevole e molti semplici cavalieri sotto mille
bandiere diverse. Questa moltitudine di crociati si diede ap
puntamento a Costantinopoli. Monaci, donne, mercanti, vi
vandieri, tutti partirono, pensando di trovare per via sol
tanto cristiani, che si sarebbero guadagnati indulgenze nutren
doli. Pi di ventiquattromila di quei vagabondi si schierarono
sotto la bandiera di Coucouptre, che chiamer sempre Pie
tro TEremita. Egli camminava calzato di sandali e cinto di
una corda, alla testa dellesercito: nuovo genere di vanit!
Lantichit non aveva mai visto di queste migrazioni da una
parte del mondo allaltra prodotte da unesaltazione religiosa.
Questo furore epidemico comparve allora per la prima vol
ta, affinch non ci fosse nessun possibile flagello che non
avesse afflitto la specie umana.
La prima spedizione di quel generale Eremita fu quella di
assediare una citt cristiana in Ungheria, chiamata Mala-
viLla, perch vi erano stati negati viveri a quei soldati di
Ges Cristo che, nonostante la loro santa impresa, si com
portavano da predoni di strada. La citt fu presa dassalto,
abbandonata al saccheggio, gli abitanti scannati. LEremita
allora non fu pi padrone dei suoi crociati, eccitati dalla sete
di rapina. Uno dei luogotenenti dellEremita, chiamato Gual
tieri Senzavere, che comandava met delle truppe, si com
port nello stesso modo in Bulgaria. Ci si un ben presto
contro quei briganti, che furono sterminati quasi tutti; e
lEremita arriv alla fine davanti a Costantinopoli con ven
timila persone che morivano di fame.
Un predicatore tedesco di nome Godescalco, che voleva
1 4 4 SAGGIO SUI COSTUMI
recitare la stessa parte, fu ancor pi maltrattato; non appena
giunto con i suoi seguaci in quellUngheria dove i suoi
predecessori avevano creato tanti disordini, la sola vista
della croce rossa che portavano fu il segnale al quale ven
nero tutti massacrati.
Unaltra orda di questi avventurieri, composta di pi di
duecentomila persone, tanto donne quanto preti, contadini,
scolari, credendo dandare a difendere Ges Cristo, sim
magin di dovere sterminare tutti gli ebrei che avesse in
contrato. Ve nerano molti sui confini della Francia; tutto
il commercio era nelle loro mani. I cristiani, credendo di ven
dicare Dio, fecero man bassa su tutti quei malcapitati. Non
vi fu mai, dal tempo di Adriano, un cos grande massacro di
quella nazione; essi furono trucidati a Verdun, a Spira, a
Worms, a Colonia, a Magonza; e parecchi si uccisero essi
stessi, dopo avere squarciato il ventre alle proprie mogli, per
non cadere tra le mani di quei barbari. LUngheria fu ancora
la tomba di questo terzo esercito di crociati.
Nel frattempo l Eremita Pietro trov davanti a Costan
tinopoli altri vagabondi italiani e tedeschi che si unirono a
lui e devastarono i dintorni della citt. Limperatore Alessio
Comneno, che regnava, era certamente savio e moderato;
si content di disfarsi al pi presto di simili ospiti. Forn loro
delle navi che li trasportassero oltre il Bosforo. Il generale
Pietro si vide finalmente alla testa di un esercito cristiano
contro i musulmani. Solimano, soldano di Nicea, piomb con
i suoi Turchi agguerriti su quella moltitudine sbandata; Gual
tieri Senzavere vi per con molti poveri nobili. LEremita
torn tuttavia a Costantinopoli, reputato un fanatico che si
era fatto seguire da forseimati.
Non accadde lo stesso degli altri capi dei crociati, pi po
litici, meno fanatici, pi abituati al comando, e alla testa
di truppe un po pi disciplinate. Goffredo di Buglione con
duceva settantamila fanti, e diecimila cavalieri coperti dar
matura completa, sotto diverse bandiere di signori tutti schie
rati sotto la sua.
Frattanto Ugo, fratello del re di Francia Filippo I, mar-
lo/cn
CAPITOLO c i n q u a n t a q u a t t r e s i m o 1 4 5
dava attraverso lItalia con altri signori che si erano uniti a
lui. Andava a tentare la fortuna. Quasi tutta la sua autorit
consisteva nel titolo di fratello di un re di per s assai
poco potente. Pi strano il fatto che Roberto, duca di Nor
mandia, figlio primogenito di Guglielmo, conquistatore del
lInghilterra, abbandonasse quella Normandia dove si era ap
pena consolidato. Cacciato dallInghilterra dal fratello mi
nore Guglielmo il Rosso, gli diede per di pi in pegno la
Normandia per sopperire alle spese del suo armamento. Era,
si dice, un principe lascivo e superstizioso. Queste due qua
lit, che hanno la propria fonte nella debolezza, lo spinsero a
quel viaggio.
Il vecchio Raimondo, conte di Tolosa, padrone della
Linguadoca e di una parte della Provenza, il quale aveva gi
combattuto contro i musulmani in Spagna, non trov n
nellet n negli interessi della patria alcuna ragione contro
lardore di andare in Palestina. Fu uno dei primi ad armarsi
e a valicare le Alpi, seguito, si dice, da quasi centomila uomi
ni. Non prevedeva che di l a poco sarebbe stata predicata
una crociata contro la sua stessa famiglia.
Il pi politico di tutti quei crociati, e forse il solo, fu Boe-
mondo, figlio di quel Roberto il Guiscardo, conquistatore del
la Sicilia. Tutta quella famiglia di Normanni, trapiantata in
Italia, cercava dingrandirsi, ora a spese dei papi, ora sulle ro
vine dellimpero greco. Questo Boemondo aveva fatto guerra
egli stesso per lungo tempo allimperatore Alessio in Epiro
e in Grecia; e possedendo come unico retaggio il piccolo
principato di Taranto e l suo coraggio, approfitt dellen
tusiasmo epidemico dellEuropa per radunare sotto la sua
bandiera fino a diecimila cavalieri bene armati e un po
di fanteria, con cui poteva conquistare delle province, sia
dei cristiani, sia dei maomettani.
La principessa Anna Comnena dice che suo padre fu sgo
mento per quelle migrazioni straordinarie che si riversavano
nel suo paese. Pareva, ella dice, che lEuropa, strappata dalle
sue fondamenta, stesse per piombare sullAsia. Che sarebbe
dunque accaduto se quasi trecentomila uomini, alcuni dei qua
1 4 6 SAGGIO SUI COSTUMI
li avevano seguito lEremita Pietro, gli altri il prete Gode-
scalco, non fossero gi scomparsi?
Fu proposto al papa di mettersi alla testa di quegli eser
citi immensi che ancora restavano; era Tunico modo di
giungere alla monarchia universale, diventata lobiettivo della
corte romana. Questimpresa richiedeva il genio di un Mao
metto o di un Alessandro. Gli ostacoli erano grandi, e Ur
bano vide soltanto gli ostacoli.
Gregorio VII aveva un tempo concepito questo progetto
delle crociate. Avrebbe armato lOccidente contro lOriente,
avrebbe comandato tanto sulla Chiesa greca quanto sulla la
tina: i papi avrebbero visto sotto le loro leggi l uno e l al
tro impero. Ma al tempo di Gregorio VII una tale idea era
ancora solo una chimera; l impero di Costantinopoli non era
ancora abbastanza sopraEatto, la fermentazione del fana
tismo non era abbastanza violenta in Occidente. Gli animi
furono ben disposti soltanto al tempo di Urbano II.
Il papa e i principi crociati avevano, in quel grande ap
prestamento, proprie vedute diverse, e Costantinopoli le pa
ventava tutte. Vi si odiavano i Latini, che ivi erano reputati
eretici e barbari; si temeva soprattutto che Costantinopoli,
pi della piccola citt di Gerusalemme, fosse loggetto della
loro ambizione; e certo non ci singannava, perch inva
sero alla fine Costantinopoli e limpero.
Colui che i Greci temevano di pi, e con ragione, era
quel Boemondo e i suoi Napoletani, nemici dellimpero. Ma
quandanche le intenzioni di Boemondo fossero state pure,
con che diritto tutti quei principi dOccidente andavano a
prendere per s deUe province che i Turchi avevano strap
pato agli imperatori greci?
Si pu giudicare daltronde quale fosse la feroce ar
roganza dei signori crociati dallepisodio, che riferisce la prin
cipessa Anna Comnena, di non so quale conte francese che
and a sedersi a fianco dellimperatore in trono durante una
cerimonia pubblica. Poich Baldovino, fratello d Goffredo
di Buglione, aveva preso per la mano quelluomo indiscreto
per farlo allontanare, il conte disse ad alta voce nel suo ger
CAPITOLO CINQUANTAQUATTRESIMO 147
go barbarico: Bel tipo di zotico questo Greco che rimane
seduto davanti a gente come noi! Queste parole furono tra
dotte ad Alessio^ che si accontent di sorridere. Una o due
scortesie simili bastano per screditare una nazione. Alessio
fece domandare al conte chi fosse. Io sono, rispose,
della stirpe pi nobile. Andavo tutti i giorni nella chiesa
della mia signoria, dove si riunivano tutti i valorosi signori
che volevano battersi in duello, e che pregavano Ges Cristo
e la Santa Vergine di esser loro favorevoli. Nessuno di loro
os mai battersi contro di me.
Era moralmente imposibile che ospiti simili non esiges
sero viveri con durezza, e che i Greci non li negassero con
astuzia. Questa era una cagione di combattimenti continui
tra i popoli e lesercito di Gofiredo, che comparve per primo
dopo le ruberie dei crociati dellEremita Pietro. Goffredo ar
riv perfino ad assalire i sobborghi di Costantinopoli; e lim
peratore li difese personalmente. Il vescovo di Puy in Al-
vernia, di nome Monteil, legato del papa presso gli eserciti
della crociata, voleva assolutamente che si cominciassero le
imprese contro gli infedeli con lassedio della citt in cui ri
siedeva il primo principe dei cristiani; tale era il parere di
Boemondo, che era allora in Sicilia e che inviava messag-
gieri su messaggieri a Goffredo per impedirgli di accordarsi
con limperatore. Ugo, fratello del re di Francia, ebbe allora
limprudenza di allontanarsi dalla Sicilia, dove si trovava con
Boemondo, e di passare quasi solo suUe terre di Alessio;
un a questa sventatezza quella di scrivergli lettere piene di
una fierezza poco confacente a chi non aveva esercito. Il
frutto della sua condotta fu quello di essere trattenuto pri
gioniero per un po di tempo. Finalmente la politica dellim
peratore greco riusci a stornare tutte quelle tempeste: fece
dare viveri, impegn tutti i signori a prestargli omaggio per
le terre che avrebbero conquistato, li fece passare tutti in
Asia gli uni dopo gli altri, dopo averli colmati di doni. Boe
mondo, chegli temeva di pi, fu quello che tratt con mag
giore munificenza. Quando questo principe and a rendergli
omaggio a Costantinopoli, e gli furono mostrate le rarit
148 SAGGIO SUI COSTUMI
del palazzo, Alessio ordin che si riempisse un salottino di
mobili preziosi, di oggetti doro e dargento, di gioielli di
ogni specie, ammucchiati senza ordine e che si lasciasse soc
chiusa la porta del salottino. Boemondo, passando, vide quei
tesori, ai quali i suoi accompagnatori ostentavano di non pre
stare alcuna attenzione. mai possibile, esclam,
che si trascurino cose cosi belle? se le possedessi mi conside
rerei il principe pi potente. La sera stessa limperatore gli
mand tutto il salottino. Questo quanto riferisce sua figlia,
testimone oculare. Cos si comportava questo principe, che
ogni uomo disinteressato chiamer saggio e magnifico, ma che
la maggior parte degli storici delle crociate hanno accusato
di perfidia, perch non volle essere schiavo di una moltitu
dine pericolosa.
Infine, quando se ne u felicemente liberato, e tutti si
furono trasferiti in Asia Minore, fu fatta la rassegna nei
pressi di Nicea, e si sostenuto che vi si trovassero centomi
la cavalieri e seicentomila fanti, comprese le donne. Questo
numero, aggiunto a quello dei primi crociati che perirono
sotto l Eremita e sotto altri, fa circa un milione e centomila.
Esso giustific quanto si dice degli eserciti dei re di Persia
che avevano inondato la Grecia, e quanto si racconta delle
migrazioni di tanti barbari; oppure unesagerazione simile
a quella dei Greci, che mescolarono quasi sempre la favola
alla storia. Alla fine i Francesi, e soprattutto Raimondo di
Tolosa, si trovarono dappertutto sullo stesso territorio che
i Galli meridionali avevano percorso milletrecento anni pri
ma, quando andarono a devastare lAsia Minore e a dare il
loro nome alla provincia di Galazia.
Gli storici ci informano raramente di come venissero nu
trite queste moltitudini; era unimpresa che richiedeva tante
cure quante la stessa guerra. Venezia non volle dapprima in
caricarsene; essa si arricchiva pi che mai col commercio con
i maomettani, e temeva di perdere i privilegi che aveva pres
so di loro. I Genovesi, i Pisani e i Greci equipaggiarono va
scelli carichi di vettovaglie che vendevano ai crociati costeg
giando lAsia Minore. La fortuna dei Genovesi ne fu axmaen-
CAPITOLO CINQUANTAQUATTRESIMO 14 9
tata, e ci si stup subito dopo di vedere Genova divenuta una
potenza.
Il vecchio turco Solimano, soldano di Siria, che sotto
i califfi di Bagdad era quello che i maggiordomi erano stati
sotto la stirpe di Clodoveo, non pot, con laiuto del figlio,
resistere alla prima ondata di tutti quei principi crociati. Le
loro truppe erano scelte meglio di quelle di Pietro l Eremita,
e disciplinate quanto lo permettevano la licenza e lentu
siasmo.
(1097) Fu presa Nicea; vennero battute due volte le trup
pe comandate dal figlio di Solimano. I Turchi e gli Arabi non
sostennero in quel primo momento lo scontro di quelle mol
titudini coperte di ferro, dei loro grossi cavalli da battaglia e
delle selve di lance alle quali non erano abituati.
(1098) Boemondo ebbe labilit di farsi cedere dai cro
ciati il fertile paese di Antiochia. Baldovino and fino in Me-
sopotamia a impadronirsi della citt di Edessa, e vi si costitu
im piccolo Stato. Alla fine fu posto lassedio davanti a Geru
salemme, della quale il califfo dEgitto si era impadronito per
mezzo dei suoi luogotenenti. La maggior parte degli storici di
ce che lesercito degli assedianti, decimato dai combattimenti,
dalle malattie e dalle guarnigioni poste nelle citt conqui
state, era ridotto a ventimila fanti e a millecinquecento ca
valli; e che Gerusalemme, fornita di tutto, era difesa da una
guarnigione di quarantamila soldati. Non si tralascia daggiun
gere che, oltre a questa guarnigione vi erano ventimila abi
tanti risoluti. Non vi lettore di buon senso che non veda
che non certo possibile che un esercito di ventimila uomini
ne assedi uno di sessantamila in una piazzaforte; ma gli sto
rici hanno sempre cercato U meraviglioso.
vero per che dopo cinque settimane di assedio la cit
t fu espugnata dassalto, e che tutti coloro che non erano cri
stiani furono massacrati. Pietro lEremita, da generale dive
nuto cappellano, fu presente alla presa e al massacro. Alcuni
cristiani, che i musulmani avevano lasciato vivere nella cit
t, guidarono i vincitori nei sotterranei pi reconditi, dove
le madri si nascondevano con i loro figli, e nessuno fu rispar
1 5 0 SAGGIO SUI COSTUMI
miato. Quasi tutti gli storici convengono che dopo quella car
neficina i cristiani, tutti grondanti di sangue, andarono in pro
cessione al luogo che si dice sia il sepolcro di Ges Cristo, e
l si sciolsero in lacrime (1099). verosimilissimo che essi
vi avessero compiuto atti di devozione; ma quella tenerezza
che si manifest con pianti non certo compatibile con quel
lo spirito di accecamento, di furore, di dissolutezza e di ec
citazione. Lo stesso uomo pu essere furioso e tenero, ma
non nello stesso momento.
Elmacim riferisce che gli Ebrei vennero chiusi nella si
nagoga che era stata loro concessa dai Turchi, e che vi fu
rono tutti arsi. Questa azione credibile dopo il furore con
cui erano stati sterminati lungo la via.
(5 luglio 1099) Gerusalemme fu presa dai Crociati mentre
Alessio Comneno era imperatore dOriente, Enrico IV dOc-
cidente e Urbano II, capo della Chiesa romana, viveva an
cora. Questi mor prima di avere appreso il trionfo della cro
ciata di cui era promotore.
I signori, padroni di Gerusalemme, gi si adunavano per
dare un re alla Giudea. Gli ecclesiastici che seguivano leser
cito si recarono allassemblea e osarono dichiarare nuUa lele
zione che ci si accingeva a fare, perch bisognava, dicevano,
creare un patriarca prima di creare un sovrano.
Ci nonostante Goffredo di Buglione fu eletto, non re,
ma duca di Gerusalemme. Qualche mese dopo giunse un le
gato di nome Damberto, che si fece nominare patriarca dal
clero; e la prima cosa che fece questo patriarca fu quella di
prendere per s il piccolo regno di Gerusalemme in nome del
papa. Goffredo di Buglione, che aveva conquistato la citt
a prezzo del suo sangue, dovette cederla a quel vescovo. Si
riserv il porto di Giaffa e alcuni diritti a Gerusalemme. La
patria che egli aveva abbandonato valeva assai pi di quel
che aveva acquistato in Palestina.
CAPITOLO CINQUANTAQUATTRESIMO 151
CROCIATE DOPO LA PRESA DI GERUSALEMME. LUIGI
IL GIOVANE PRENDE LA CROCE. SAN BERNARDO, CHE
DALTRONDE FA MIRACOLI, PREDICE VITTORIE, E SI
VIENE SCONFITTI. SALADINO PRENDE GERUSALEMME;
LE SUE IMPRESE; LA SUA CONDOTTA. COME FECE
DIVORZIO LUIGI VII, DETTO IL GIOVANE, ECC.
D al IV secolo in poi, un terzo della terra in preda a mi
grazioni quasi continue. Gli Unni, venuti dalla Tartaria cine
se, si stabiliscono alla fine sulle rive del Danubio; e di qui,
dopo essere penetrati, sotto Attila, nelle Gallie e in Ita
lia, rimangono fissi in Ungheria. Gli Eruli e i Goti simpadro
niscono di Roma. I Vandali vanno, dalle rive del Mar Bal
tico, a soggiogare la Spagna e lAfrica; i Borgognoni inva
dono una parte delle Gallie; i Franchi penetrano nellaltra.
I Mori soggiogano i Visigoti, conquistatori della Spagna,
mentre altri Arabi estendevano le loro conquiste alla Persia
allAsia Minore, alla Siria, allEgitto. I Turchi giungono dalla
riva orientale del Mar Caspio e spartiscono gli Stati con
quistati dagli Arabi. I crociati dallEuropa inondano la Siria
in numero assai maggiore di quello mai raggiunto da tutte
queste nazioni insieme nelle loro migrazioni, mentre il tar
taro Gengis soggioga lalta Asia. Eppure dopo poco tempo
non rimasta alcuna traccia delle conquiste dei crociati;
Gengis, al contrario, e cos gli Arabi, i Turchi e gli altri,
hanno creato grandi possedimenti lontani dalla loro patria.
Sar forse agevole scoprire le ragioni dello scarso successo
dei crociati.
Le medesime circostanze producono i medesimi effetti.
Si visto che quando i successori di Maometto ebbero con
quistato tanti Stati, la discordia li divise. I crociati subirono
una sorte pressa poco simile. Conquistarono meno, e fu
rono divisi pi presto. Tre piccoli Stati cristiani si sono gi
CAPITOLO LV
formati dun tratto in Asia; Antiochia, Gerusalemme ed
Edessa. Se ne form, qualche anno dopo, un quarto: fu
quello di Tripoli di Siria, e lo ebbe il giovane Bertrando, fi
glio del conte di Tolosa. Ma, per conquistare Tripoli, si do
vette ricorrere ai vascelli dei Veneziani. Essi presero allora
parte alla crociata, e si fecero cedere una parte di questa
recente conquista.
Di tutti questi riuovi principi che avevano promesso di
fare omaggio delle loro conquiste allimperatore greco, nes
suno mantenne la pronessa, e tutti furono gelosi gli uni
degli altri. In breve tempo questi nuovi Stati, divisi e sud
divisi, passarono in molte mani diverse. Sorsero, come in
Francia, piccoli signori, conti di Giaffa, marchesi di Galilea,
di Sidone, di Acri, di Cesarea. Solimano, che aveva perduto
Antiochia e Nicea, era sempre padrone del contado, abitato
daltronde da coloni mustilmani; e sotto Solimano e dopo
di lui, si vide in Asia un miscuglio di cristiani, di Turchi, di
Arabi, che si facevano tutti la guerra; un castello turco era
vicino a un castello cristiano, come in Germania le terre dei
protestanti e dei cattolici sono incuneate le une nelle altre.
Di quel milione di crociati restava ben poco, allora. Alle
voci dei loro successi, ampliate dalla fama, nuovi sciami
partirono ancora daUOccidente. Quel principe Ugo, fratello
del re di Francia Filippo I, ricondusse una nuova moltitu
dine, ingrossata da Italiani e da Tedeschi. Se ne contarono
trecentomila; ma riducendo questo numero ai due terzi, il tri
buto della cristianit rimase sempre di duecentomila uomini.
Costoro furono trattati, nei pressi di Costantinopoli, pressa
poco come i seguaci deUEremita Pietro. Quelli che appro
darono in Asia furono annientati da Solimano, e il principe
Ugo mori quasi abbandonato in Asia Minore.
Unaltra prova, mi sembra, dellestrema debolezza del
principato di Gerusalemme, linsediarsi di questi religiosi
soldati, templari e ospitalieri. Bisogna proprio che questi
monaci, creati in un primo tempo per servire i malati, non
fossero al sicuro, dal momento che presero le armi; daltron
CAPITOLO CINQUANTACINQUESIMO 153
de, quando la societ in generale ben governata, non si fan
no associazioni private.
Poich i religiosi consacratisi al servizio dei feriti aveva
no fatto voto di combattere, verso Tanno 1118, si form al
l improvviso una milizia simile, sotto il nome di Templari,
che assunsero questo nome perch dimoravano vicino a
quella chiesa che era stata in passato, si diceva, il tempio di
Salomone. Queste istituzioni si debbono soltanto a Fran
cesi, o almeno ad abitanti di un paese annesso poi alla Fran
cia. Raimond Dupuy, primo gran maestro e istitutore della
milizia degli ospitalieri, era del Delfinato.
Non appena questi due ordini vennero istituiti dalle bolle
del papa, essi divennero ricchi e rivali. Combatterono tra
loro, tanto spesso quanto contro i musulmani. Poco dopo fu
istituito anche un nuovo ordine in favore dei poveri Te
deschi abbandonati in Palestina, e fu lordine dei monaci teu
tonici, che divent poi, in Europa, una milizia di conqui
statori.
Insomma la situazione dei cristiani era cos pocO' solida,
che Baldovino, primo re di Gerusalemme, che regn dopo la
morte del fratello Goffredo, fu preso quasi alle porte della
citt da un principe turco.
Le conquiste dei cristiani sindebolivano ogni giorno. I
primi conquistatori non cerano pi; i loro successori si era
no infiacchiti. Gi lo Stato dEdessa veniva ripreso dai Tur
chi nel 1140, e Gerusalemme era minacciata. Gli imperatori
greci, vedendo nei principi dAntiochia, loro vicini, soltanto
dei nuovi usurpatori, facevano loro guerra, non senza giu
stizia. I cristiani dAsia, sul punto di venire sopraffatti da
ogni parte, sollecitarono in Europa una nuova crociata ge
nerale.
La Francia aveva cominciato la prima inondazione; a es
sa appunto ci si rivolse per la seconda. Il papa Eugenio III,
poco tempo prima discepolo di san Bernardo, fondatore di
Chiaravalle, scelse con ragione il suo primo maestro come
strumento dun nuovo spopolamento. Mai religioso aveva
meglio conciliato il tumulto degli affari con lausterit del suo
1 5 4 SAGGIO SUI COSTUMI
Stato; nessuno era giunto come lui a quella considerazione
puramente personale, che sovrasta lautorit stessa. Un
suo coevo, labate Suger, era primo ministro di Francia; un
suo discepolo era papa; ma Bernardo, semplice abate di
ChiaravaUe, era l oracolo della Francia e dellEuropa.
A Vzelay in Borgogna fu eretto un palco suUa pubbli
ca piazza, dove Bernardo comparve a fianco di Luigi il Gio
vane, re di Francia. Prima parl lui, e dopo parl il re. Tut^
ti i presenti presero la croce. Luigi la prese per primo dalle
mani di san Bernardo. Il ministro Suger non fu affatto del
parere che il re abbandonasse il bene certo che poteva fare
ai suoi Stati per tentare in Siria conquiste incerte; ma lelo
quenza di Bernardo e lo spirito del tempo, senza il quale
quelleloquenza non serviva a nulla, prevalsero sui consigli
del ministro.
Luigi il Giovane ci viene dipinto come un principe pi
pieno di scrupoli che non di virt. Durante una di quelle
piccole guerre civili che il sistema feudale rendeva inevita
bili in Francia, le truppe del re avevano bruciato la chiesa
di Vitry, e una parte del popolo, rifugiatasi in quella chiesa,
era perita tra le fiamme. Fu facile persuadere il re che po
teva espiare solo in Palestina quel crimine, che egli avreb
be potuto meglio riparare in Francia con una savia ammi
nistrazione. Fece voto di fare trucidare milioni di uomini
per espiare la morte di quattro o cinquecento abitanti della
Champagne. La sua giovane moglie, Eleonora di Guienna,
prese la croce con lui, sia che allora lamasse, sia che rien
trasse nella buona creanza di quei tempi laccompagnare il
proprio marito in simili avventure.
Bernardo si era acquisito un credito cos singolare, che,
in una nuova assemblea a Chartres, fu scelto egli stesso co
me capo della crociata. Questo fatto sembra quasi incredi
bile; ma tutto credibile quando si tratta dellesaltazione re
ligiosa dei popoli. San Bernardo era troppo intelligente per
ch si esponesse al ridicolo che lo minacciava. Lesempio del-
lEremita Pietro era recente. Rifiut lufficio di generale e si
content di quello di profeta.
CAPITOLO CINQUANTACINQUESIMO 15 5
Dalla Francia corre in Germania. Vi trova un altro mo
naco che predicava la crociata. Fece tacere quel rivale, che
non aveva la missione del papa. Consegna alla fine egli stesso
la croce rossa allimperatore Corrado III, e promette pubbli
camente, da parte di Dio, vittorie contro gli infedeli. Subito
dopo uno dei suoi discepoli, di nome Filippo, scrisse in Fran
cia che Bernardo aveva fatto molti miracoli in Germania.
Non si trattava, per la verit, di morti resuscitati; ma i cie
chi avevano visto, gli zoppi avevano camminato, i malati
erano stati guariti. Tra questi prodigi si pu annoverare
quello chegli dappertutto predicava in francese ai Tedeschi.
La speranza di una vittoria certa trascin al seguito del
limperatore e del re di Francia la maggior parte dei cavalieri
dei loro Stati. Si dice, che ognuno dei due eserciti contasse
settantamila uomini della cavalleria pesante, con un numero
straordinario di cavalleggieri; i fanti non si contarono. Non
si pu certo ridurre questa seconda migrazione a meno di
trecentomila persone, che, aggiunte al milione e trecentomila*
che abbiamo trovato precedentemente, fanno, fino a questo
momento, un milione e seicentomila abitanti trapiantati. I
Tedeschi partirono per primi, poi i Francesi. naturale che
di quelle moltitudini, che si trasferiscono in un altro clima,
le malattie ne portino via una gran parte; lintemperanza so
prattutto provoc mortalit nellesercito di Corrado verso le
piane di Costantinopoli. Di qui le voci diflhise in Occidente
che i Greci avessero avvelenato i pozzi e le fonti. Gli stessi
eccessi che avevano commesso i primi crociati furono ripe
tuti dai secondi, e dettero a Manuele Comneno le stesse ap
prensioni che avevano dato al suo avo Alessio.
Dopo avere passato il Bosforo, Corrado si comport con
limprudenza connessa con quelle spedizioni. Il principato
dAntiochia esisteva ancora. Era possibile unirsi a quei cri
stiani di Siria e aspettare il re di Francia. Allora il gran nu
mero doveva vincere; ma limperatore tedesco, geloso del
principe di Antiochia e del re di Francia, si spinse nel cuore
* Nel capitolo precedente, a pag. 149, sera parlato di un milione e
centomila.
1 5 6 SAGGIO SUI COSTUMI
dellAsia Minore. Un sultano di Conia, pi abile di lui,
attir fra certe rupi quella pesante cavalleria tedesca, stan
ca, disanimata, incapace di agire in quel terreno; i Turchi si
presero soltanto la pena di uccidere. Limperatore, ferito e
attorniato solo da poche truppe fuggiasche, scapp verso An
tiochia, e di qui si rec a Gerusalemme come pellegrino,
invece che comparirvi come generale dun esercito. Il famo
so Federico Barbarossa, suo nipote e suo successore allim
pero di Germania, lo seguiva in quei viaggi, imparando presso
i Turchi a esercitare un coraggio che i papi dovevano met
tere a maggiori prove.
Limpresa di Luigi il Giovane ebbe lo stesso successo.
Bisogna ammettere che coloro che laccompagnavano non
furono pi prudenti dei Tedeschi, e furono molto meno
giusti. Erano appena arrivati in Tracia, quando un vescovo
di Langres propose dimpadronirsi di Costantinopoli; ma
lonta di una tale azione era certissima, e il successo incertis
simo. Lesercito francese pass lEUesponto sulle orme del
limperatore Corrado.
Credo che non ci sia nessuno che non abbia osservato
che quei potenti eserciti di cristiani fecero la guerra in que
gli stessi paesi in cui Alessandro riport sempre la vittoria,
con truppe assai meno numerose, contro nemici incompa
rabilmente pi potenti di quanto lo fossero i Turchi e gli
Arabi. Si vede che nella disciplina militare di quei principi
crociati cera un difetto radicale che doveva necessaria
mente rendere inutile il loro coraggio; questo difetto era
probabilmente lo spirito dindipendenza che il governo feu
dale aveva instaurato in Europa: capi privi desperienza e
di arte conducevano in paesi sconosciuti moltitudini disor
dinate. Il re di Francia, sorpreso come limperatore tra le
rupi presso Laodicea, fu come lui battuto; ma sofiri ad An
tiochia disgrazie domestiche pi penose che quelle cala
mit. Raimondo, principe di Antiochia, presso il quale si
rifugi con la regina Eleonora sua moglie, corteggi pubbH-
camente questa principessa; si disse anche che ella dimenti
CAPITOLO CINQUANTACINQUESIMO 157
casse tutte le fatiche dun viaggio cos duro con un giovane
Turco di rara bellezza, di nome Saladino.
Luigi port via sua moglie da Antiochia e la condusse a
Gerusalemme, col pericolo di venire catturato con lei, tanto
dai musulmani quanto dalle truppe del principe di Antiochia.
Ebbe almeno la soddisfazione di compiere il suo voto, e di
poter dire un giorno a san Bernardo che aveva visto Betlem
me e Nazareth. Ma, durante quel viaggio, i soldati che gli re
stavano furono battuti e dispersi da ogni lato; alla fine, tre
mila Francesi disertarono tutti insieme e si fecero maomet
tani per avere del pane (1148).
Come conclusione di questa crociata, limperatore Corra
do torn quasi solo in Germania. Il re Luigi il Giovane ri
condusse in Francia solo sua moglie e qualche cortigiano. Al
suo ritorno fece annullare il suo matrimonio con Eleonora
di Guienna, col pretesto della parentela: infatti ladulterio,
come si gi osservato, non annullava affatto il sacramento
del matrimonio; ma, per la pi assurda delle leggi, il crimine
di avere sposato una biscugina aimuUava questo sacramen
to. Luigi non era abbastanza potente da conservare la dote
allontanando la persona; perse quella bella provincia di
Francia ch la Guienna, dopo aver perduto in Asia il pi
vigoroso esercito che il suo paese avesse mai messo in piedi.
Mille famiglie desolate si scagliarono invano contro le pro
fezie di Bernardo, che se la cav paragonandosi a Mos, il
quale, diceva, aveva come lui promesso agli Israeliti da
parte di Dio di condurli in una terra felice, e vide morire
nei deserti la prima generazione.
1 5 8 SAGGIO SUI COSTUMI
DI SALADINO
D o p o queste sfortunate spedizioni i cristiani dellAsia fu
rono pi che mai divisi tra loro. Lo stesso furore regnava
tra i musulmani. Il pretesto della religione non entrava pi
negli affari politici. Accadde persino, verso Tanno 1166, che
Amaury, re di Gerusalemme, si alle col soldano dEgitto
contro i Turchi; ma non appena ebbe firmato questo trattato,
il re di Gerusalemme lo viol. I cristiani possedevano ancora
Gerusalemme, e contendevano alcuni territori della Siria ai
Turchi e ai Tartari. Mentre lEuropa era spossata da questa
guerra, mentre Andronico Comneno saliva sul trono vacil
lante di Costantinopoli per efietto dellassassinio del nipote,
e Federico Barbarossa e i papi tenevano lItalia in armi,
(1182) la natura produsse uno di quegli accidenti che do
vrebbero fare rientrare gli uomini in se stessi e mostrare
loro quanta poca cosa sono e quali inezie si contendono. Un
terremoto, pi esteso di quello che si fatto sentire nel
1755, distrusse la maggior parte delle citt di Siria e di quel
piccolo Stato di Gerusalemme; in cento luoghi la terra inghiot
t gli animali e gli uomini. Si predic ai Turchi che Dio pu
niva i cristiani, si predic ai cristiani che Dio si dichiarava
contro i Turchi, e si continu a battersi sulle macerie della
Siria.
In mezzo a tante rovine sinnalzava H grande Salaheddin,
che veniva chiamato in Europa Saladino. Era un Persiano di
origine, del piccolo paese dei Curdi, nazione sempre guer
riera e sempre libera. Fu uno di quei capitani che si impa-
CAPITOLO LVI
dronivano delle terre dei califfi, e nessuno fu potente quanto
lui. In breve tempo conquist lEgitto, la Siria, lArabia, la
Persia e la Mesopotama. Padrone di tanti paesi, Saladino
pens ben presto di conquistare il regno di Gerusalemme.
Violente fazioni dilaniavano queU statereUo e ne affretta
vano la rovina. Guido di Lusignano, incoronato re, al quale
per veniva contesa la corona, radun nella Galilea tutti quei
cristiani divisi ma uniti dal pericolo e marci contro Sala
dino, col vescovo di Tolemaide che portava il piviale sopra
la corazza e teneva tra le braccia una croce, che si fece cre
dere ai cristiani essere la stessa che era stata lo strumento
della morte di Ges Cristo. Ci nonostante tutti i cristiani fu
rono uccisi o catturati. Il re, prigioniero, che si aspettava so
lo la morte, fu stupito di essere trattato da parte di Saladino
come lo sono oggi i prigionieri di guerra da parte dei ge
nerali pi umani.
Saladino offr di propria mano a Lusignano una coppa
di liquore rinfrescata nella neve. Dopo avere bevuto, il re
volle dare la sua coppa a uno dei suoi capitani, di nome
Renaud de ChatUlon. Era usanza inviolabile presso i mu
sulmani, e che ancora si conserva presso alcuni Arabi, di iion
fare morire i prigionieri a cui si era offerto da bere e da
mangiare: questo diritto dellantica ospitalit era sacro per
Saladino. Non toller che Renaud de ChtiUon bevesse dopo
il re. Questo capitano aveva violato pi volte la sua pro
messa: il vincitore aveva giurato di punirlo e, mostrando
che sapeva vendicarsi quanto perdonare, abbatt con una
sciabolata la testa di quel perfido. (1187) Giunto alle porte
di Gerusalemme, che non era pi in grado di difendersi, ac
cord alla regina, moglie di Lusignano, una capitolazione
che ella non sperava; le permise di ritirarsi dove voleva. Non
pretese nessun riscatto dai Greci che abitavano nella citt.
Quando entr a Gerusalemme, parecchie donne andarono
a gettarglisi ai piedi, richiedendogli le une i mariti, le altre
i figli o i padri che erano in catene; egli li restitu loro con
una generosit di cui non si era ancora avuto esempio in
1 6 0 SAGGIO SUI COSTUMI
quella parte del mondo. Saladino fece lavare con lacqua di
rose, dalle stesse mani dei cristiani, la moschea che era stata
trasformata in chiesa; vi colloc un magnifico pulpito, a cui
Noradino, soldano di Aleppo, aveva lavorato personalmente,
e fece incidere sulla porta queste parole: I l r e Sa l a d i n o ,
SERVO DI D i o , p o s e q u e s t a i s c r i z i o n e d o p o c h e D i o e b b e
PRESO G e r u s a l e m m e p e r m a n o s u a .
Istitu scuole musulmane; ma, nonostante lattaccamen
to alla sua religione, restitu ai cristiani orientali la chiesa
che chiamata del Santo Sepolcro, sebbene non sia afEatto
verosimile che Ges sia stato sepolto in quel luogo. Bisogna
aggiungere che Saladino, in capo a un anno, rese la libert
a Guido di Lusignano, facendogli giurare che non avrebbe
mai preso le armi contro il suo liberatore. Lusignano non
mantenne la parola.
Mentre lAsia Minore era stata il teatro dello zelo, della
gloria, dei delitti e delle sventure di tante migliaia di cro
ciati, la frenesia di predicare la religione con le armi alla
mano si era diffusa nellestremo settentrione.
Abbiamo appena visto Carlomagno convertire la Germa
nia settentrionale col ferro e col fuoco; abbiamo visto poi
i Danesi idolatri far tremare lEuropa, conquistare la Nor
mandia, senza mai tentare di fare accettare l idolatria ai vinti.
Non appena il cristianesimo fu consolidato nella Danimarca,
nella Sassonia e nella Scandinavia, vi si predic una crociata
contro i pagani del Nord che venivano chiamati Schiavoni o
Slavi, e che hanno dato il nome a quel paese che confina con
lUngheria e che chiamato Schiavonia. I cristiani si arma
rono contro di loro da Brema fino allestremo della Scan
dinavia. Pi di centomila crociati portarono la distruzione
presso quei popoli: molte persone furono uccise; nessimo
fu convertito. Si pu aggiungere anche la perdita di questi
centomila uomini al milione e seicentomila che il fanatismo
di quei tempi costava allEuropa.
Frattanto restavano ai cristiani dAsia solo Antiochia,
Tripoli, Giafia e la citt di Tiro. Saladino possedeva tutto il
ll/CII
CAPITOLO CINQUANTASEESIMO 161
resto, sia di persona sia attraverso il genero, il sultano di
Iconium o di Cogni*.
Alla notizia delle vittorie di Saladino tutta lEuropa fu
scossa. Il papa Clemente III mosse la Francia, la Germa
nia, lInghilterra. Filippo Augusto, che regnava allora in
Francia, e il vecchio Enrico II, re dInghilterra, sospesero
le loro contese e misero tutta la loro rivalit a marciare a gara
in soccorso dellAsia; ordinarono, ognuno nel proprio Stato,
che tutti coloro che non prendevano la croce pagassero la
decima dei loro redditi e dei loro beni mobili per le spese
dellarmamento. quello che si chiama la decima saladim,
tassa che serviva di trofeo alla gloria del conquistatore.
Quellimperatore Federico Barbarossa, cos famoso per
le persecuzioni che sub da parte dei papi e che fece loro
patire, prese la croce quasi nello stesso tempo. Presso i cri
stiani dAsia egli sembrava essere ci che Saladino era pres
so i Turchi: politico, grande capitano, toccato dalla fortuna;
guidava un esercito di centocinquantamila combattenti. Prese
per primo la precauzione di ordinare che non si accogliesse
nessun crociato che non avesse almeno cinquanta scudi, af
finch ciascuno, con la- proprio industriosit, potesse preve
nire le orribili carestie che avevano contribuito a far perire
gli eserciti precedenti.
Dovette dapprima combattere i Greci. La corte di Co
stantinopoli, stanca di essere continuamente minacciata dai
Latini, alla fine strinse alleanza con Saladino. QuestaUean-
za indign lEuropa; ma evidente che era indispensabile:
non ci si allea con un nemico naturale senza necessit. Le
nostre alleanze di oggi con i Turchi, meno necessarie forse,
non sollevano tanti mormorii. Federico si apr un passaggio
nella Tracia, armi alla mano, contro limperatore Isacco lAn-
gelo e, vittorioso sui Greci, vinse due battaglie contro il Stil-
tano di Cogni; ma avendo fatto un bagno, mentre era tutto
sudato, nelle acque di un fiume che si pensa fosse il Cid-
no, ne mor e le sue vittorie furono inutili. Esse indub
biamente erano costate care, poich suo figUo, il duca di Sve-
* Vale a dire Conia, menzionata a pag. 157.
1 6 2 SAGGIO.SUI COSTUMI
via, pot raccogliere di quei centocinquantaroila uomini tut-
t al pi sette o ottomila. Li condusse ad Antiochia, e un quei
resti a quelli del re di Gerusalemme, Guido di Lusignano,
che voleva ancora attaccare il suo vincitore Saladino, nono
stante la fede dei giuramenti e la disparit delle armi.
Dopo parecchi combattimenti, nessuno dei quali fu ri
solutivo, questo figlio di Federico Barbarossa, che avrebbe
potuto essere imperatore dOccidente, perse la vita presso
Tolemaide. Coloro che hanno scritto che mori martire del
la castit e che avrebbe potuto scampare usando con donne,
sono a uh tempo panegiristi davvero audaci e fisici poco
istruiti. Si stati tanto sciocchi da dire poi la stessa cosa
del re di Francia Luigi Vili.
LAsia Minore era un baratro in cui lEuropa andava a
precipitarsi. Non solo quellesercito immenso dellimperatore
Federico era perduto; ma flotte di Inglesi, di Francesi, di
Italiani, di Tedeschi, precedendo anche larrivo di Filippo
Augusto e di Riccardo Cuor di Leone, avevano recato nuovi
crociati e nuove vittime.
Il re di Francia e il re dInghilterra giunsero alla fine
in Siria di fronte a Tolemaide. Quasi tutti i cristiani dOrien-
te si erano riuniti per assediare questa citt. Saladino era
impegnato in una guerra civile presso lEufrate. Quando i
due re ebbero unito le loro forze a quelle dei cristini dOrien-
te, si contarono pi di trecentomila combattenti.
(1190) Tolemaide, in verit, fu presa; ma la discordia,
che necessariamente doveva dividere due rivali in gloria e
in interesse, come Filippo e Riccardo, fece un male che non
compens le fortunate imprese di quei trecentomila uomi
ni. Stanco di quelle rivalit, e pi ancora della superiorit e
dellautorit che acquistava in tutto Riccardo, suo vassallo,
Filippo torn nella sua patria, che non avrebbe forse do
vuto lasciare, ma che avrebbe dovuto rivedere con maggior
gloria.
Rimasto padrone del campo donore, ma non di quella
moltitudine crociati, pi divisi tra loro di quanto lo fos
sero stati i due re, Riccardo invano diede prova del coraggio
CAPITOLO CINQUANTASEESIMO 163
pM eroico. Saladino, che ritornava vincitore dalla Mesopo^
tamia, diede battaglia ai crociati presso Cesarea. Riccardo
ebbe la gloria di disarmare Saladino: fu quasi tutto quello
che ottenne da questa spedizione memorabile.
Le fatiche, le malattie, le guerriglie, le contese ininter
rotte rovinarono quel grande esercito; e Riccardo se ne
torn con pi gloria, in verit, che Filippo Augusto, ma in
un modo assai meno prudente. Part con un solo vascello;
e poich il vascello aveva fatto naixEragio suUe coste di Ve
nezia, egli attravers mezza Germania travestito e con poca
scorta. Aveva offeso in Siria, con la sua alterigia, un duca
dAustria, ed ebbe limprudenza di passare per le sue terre.
(1193) Questo duca dAustria lo incaten e lo consegn al
barbaro e vile imperatore Enrico VI, che lo>trattenne in pri
gione come un nemico preso in guerra, e che pretese da lui,
si dice, centomila marchi dargento per il riscatto. Ma cento^
mila marchi dargento fino farebbero oggi (nel 1778) circa
cinque milioni e mezzo, e allora lInghilterra non era in
grado di pagare questa somma: si trattava probabilmente di
centomila marques {marcas) che equivalevano a centomila
scudi. Ne abbiamo parlato al capitolo XLIX.
Saladino, che aveva fatto un trattato con Riccardo, col
quale lasciava ai cristiani le rive del mare da Tiro fino a
Giaffa, mantenne fedelmente la parola. (1195) Mor tre anni
dopo a Damasco, ammirato dagli stessi cristiani. Durante la
sua ultima malattia, invece dello stendardo che veniva innal
zato davanti alla sua porta, aveva fatto portare il sudario
con cui doveva essere seppellito; e colui che reggeva questo
stendardo della morte proclamava ad alta voce: Questo
tutto quel che Saladino, vincitore dellOriente, riporta dalle
sue conquiste . Si dice che lasci per testamento distri
buzioni uguali di elemosine ai poveri maomettani, ebrei e
cristiani; volendo far capire con quella disposizione che tutti
gli uomini sono fratelli, e che per soccorrerli non bisogna in
formarsi di quello in cui credono ma di quello per cui soffro
no. Pochi tra i nostri principi cristiani hanno avuto questa
1 6 4 SAGGIO SUI COSTUMI
munificenza, e pochi di quei cronachisti di cui l Europa so
vraccarica hanno saputo rendergli giustizia.
Lardore delle crociate non si attenuava, e le guerre di
Filippo Augusto contro l Inghilterra e contro la Germania
non impedirono che un gran numero di signori francesi si fa
cesse ancora crociato. Il principale animatore di questa im
presa fu un principe fiammingo, come Gofiredo di Buglione,
capo della prima: era Baldovino, conte di Fiandra. Quattro
mila cavalieri, novemila scudieri e ventimila fanti formarono
questa nuova crociata, che si pu chiamare la quinta.
Venezia diventava di giorno in giorno una repubblica
temibile, che sosteneva il suo commercio con la guerra. Fu
necessario darle la preferenza rispetto a tutti i re dEuropa.
Si era messa in condizione di equipaggiare flotte, che i re
dInghilterra, di Germania, di Francia non potevano allora
fornire. Quei repubblicani industri guadagnarono in questa
crociata denaro e terre. In primo luogo, si fecero pagare ot-
tantacinquemila scudi doro solo per trasportare lesercito
nel tragitto (1202). In secondo luogo, si servirono di quello
stesso esercito, a cui unirono cinquanta galere, per fare prima
di tutto conquiste in Dalmazia.
Il papa Innocenzo III li scomunic, vuoi per la forma,
vuoi che gi ne temesse la grandezza. Quei crociati scomu
nicati presero nondimeno Zara e il suo territorio, che ac
crebbe le forze di Venezia in Dalmazia.
Questa crociata fu diversa da tutte le altre, in quanto
trov Costantinopoli divisa, e in quanto le precedenti erano
state capeggiate da imperatori saldi sul trono. I Veneziani,
il conte di Fiandra, il marchese di Monferrato unitosi a loro,
insomma i principali capi, sempre politici quando la molti
tudine scatenata, videro che era giimto il momento di
mettere in atto lantico progetto contro limpero dei Greci.
Cos i cristiani diressero la loro crociata contro il primo prin
cipe della cristianit.
CAPITOLO CINQUANTASEESIMO 16 5
I CROCIATI INVADONO COSTANTINOPOLI. SVENTURE
DI QUESTA CITT E DEGLI IMPERATORI GRECI.
CROCIATE IN EGITTO. SINGOLARE AVVENTURA DI
SAN FRANCESCO DASSISI. DISGRAZIA DEI CRISTIANI
L impero di Costantinopoli, che aveva sempre il nome dim
pero romano, possedeva ancora la Tracia, lintera Grecia, le
isole, lEpiro, ed estendeva il suo dominio in Europa fino
a Belgrado e fbo alla Valacchia. Contendeva i resti dellAsia
Minore agH Arabi, ai Turchi e ai crociati. Nella citt impe
riale si coltivarono sempre le scienze e le belle arti. Fino al
tempo in cui Maometto II se ne rese padrone, vi fu una se
rie ininterrotta di storici. Questi erano imperatori, o prin
cipi, o uomini di Stato, e non per questo scrivevano me
glio; parlano soltanto di devozione; travisano tutti i fatti;
cercano solo un vano accozzo di parole; dellantica Grecia
hanno soltanto la loquacit: la controversia era l argomento
di studio della corte. Limperatore Manuele, nel XII secolo,
disput a lungo con i suoi vescovi su queste parole: Mio
padre pi grande di me*, mentre doveva temere i crociati
e i Turdhi. Cera un catechismo greco, nel quale si anate-
mizzava con esecrazione questo versetto cos conosciuto del
Corano, in cui detto che Dio un essere infinito, che non
stato generato e che non ha generato nessuno. Manuele
voUe che si togliesse dal catechismo questo anatema. Queste
dispute distinsero il suo regno e lo indebolirono. Ma osser
vate che in questa disputa Manuele usava riguardo ai mu
sulmani. Non voleva che nel catechismo greco si insultasse
* Se mi amate, vi rallegrerete chio vada al Padre, perch il Padre
pi grande di me ( G i o v a n n i , XIV, 28).
CAPITOLO LVII
un popolo vittorioso, che ammetteva solo un Dio incomuni
cabile, e al quale repugnava la nostra Trinit,
(1185) Alessio Manuele, suo figlio, che spos una figlia
del re di Francia Luigi il Giovane, fu detronizzato da An
dronico, suo parente. Questo Andronico lo fu a sua volta da
un ufficiale di palazzo, chiamato Isacco lAngelo. Limpera
tore Andronico fu trascinato per le strade, gli venne tagliata
una mano, fu accecato, gli fu versata dellacqua bollente sul
corpo, ed egli spir tra i pi crudeli tormenti.
Isacco lAngelo, che aveva punito un usurpatore con tan
ta atrocit, fu egli stesso spodestato dal proprio fratello Ales
sio lAngelo, che lo fece accecare (1195). Questo Alessio
lAngelo prese il nome di Comneno, sebbene non apparte
nesse alla famiglia imperiale dei Comneni; e proprio lui fu
la causa della presa di Costantinopoli da parte dei crociati.
Il figlio di Isacco lAngelo and a implorare il soccorso
del papa, e soprattutto dei Veneziani, contro la barbarie del
lo zio. Per assicurarsi il loro soccorso rinunzi alla Chiesa
greca e abbracci il culto della latina. I Veneziani e alcuni
principi crociati, come Baldovino, conte di Fiandra, Boni
facio, marchese di Monferrato, gli prestarono il loro peri
coloso soccorso. Simili soccorritori furono parimente invisi
a tutti i partiti. Erano accampati fuori della citt, sempre
piena di tumulto. Il giovane Alessio, detestato dai Greci per
avere introdotto i Latini, fu presto immolato a una nuova fa
zione. Uno dei suoi parenti, soprannominato Mirziflos, lo
strangol con le proprie mani, e prese i calzari rossi, che
erano l insegna dellimpero.
(1204) I crociati, che avevano allora il pretesto di vendi
care le loro creature, approfittarono delle sedizioni che
funestavano la citt per devastarla. Vi entrarono quasi sen
za resistenza; e, uccisi tutti quelli che capitavano, si abban
donarono a tutti gli eccessi del furore e dellavidit. Nicetas
assicura che il solo bottino dei signori di Francia fu valutato
al peso di duecentomila libbre dargento. Le chiese furono
saccheggiate e, cosa che denota abbastanza il carattere del
la nazione che non mai cambiato, i Francesi danzarono con
CAPITOLO CINQUANTASETTESIMO 16 7
donne nel santuario della chiesa di Santa Sofia, mentre una
delle prostitute al seguito dellesercito di Baldovino cantava
canzoni della sua professione dal pulpito patriarcale.
I Greci avevano spesso pregato la santa Vergine mentre
assassinavano i loro principi; i Francesi bevevano, cantava
no, carezzavano sgualdrine nella cattedrale mentre la sacch^-
giavano: ogni nazione ha il suo carattere.
Quella fu la prima volta in cui la citt di Costantinopoli
venne presa e saccheggiata da stranieri, e lo fu da cristiani
che avevano fatto voto di combattere solo gH infedeli.
Non sembra che quel fuoco greco tanto vantato dagli
storici abbia fatto il minimo effetto. Se fosse stato quale
si dice, avrebbe sempre assicurato la vittoria per terra e per
mare. Se fosse stato qualcosa di simile ai nostri fosfori, lac
qua avrebbe potuto, vero, conservarlo, ma non avrebbe
avuto azione nellacqua. Insomma, nonostante questo se
greto, i Turchi avevano strappato quasi tutta lAsia Minore
ai Greci, e i Latini strapparono loro il resto.
II pi potente crociato, Baldovino, conte di Fiandra, si
fece eleggere imperatore. I pretendenti erano quattro. Fu
rono posti davanti a loro quattro grandi calici della chiesa di
Santa Sofia, pieni di vino; solo quello destinato alleletto era
consacrato. Baldovino lo bevve, prese i calzari rossi, e fu rico
nosciuto. Questo nuovo usurpatore condann laltro usurpa
tore, Mirziflos*, a essere precipitato dallalto di una colon
na. Gli altri crociati spartirono limpero. I Veneziani si pre
sero il Peloponneso, lisola di Candia e diverse citt delle
coste di Frigia, che non avevano subito il giogo dei Turchi.
Il marchese di Monferrato prese la Tessaglia. Cos Baldovino
ebbe per s soltanto la Tracia e la Mesia. Per quanto riguar
da il papa, egli vi acquis, ahneno per qualche tempo, la
Chiesa dOriente. Questa conquista avrebbe potuto, col
tempo, valere un regno: Costantinopoli era ben altro che
Gerusalemme.
* I Francesi, allora molto rozzi, lo chiamano Mursufle, cosi come da
Augusto hanno fatto aot {agosto)-, da pavo paon {pavone)-, da viginti
vingt (venti)-, da canis chien {cane)-, da lupus loup {lupo), ecc.
(N.d.A.).
1 6 8 SAGGIO SUI COSTUMI
Cos il solo frutto, conseguito dai cristiani nelle loro bar
bare crociate, fu lo sterminio di altri cristiani. Questi cro
ciati, che rovinavano limpero, avrebbero potuto, ben pi
facilmente di tutti i loro predecessori, scacciare i Turchi dal
lAsia. Gli Stati di Saladino erano dilaniati. Ma di tanti ca
valieri che avevano fatto voto di andare a soccorrere Geru
salemme, pass in Siria solo lesiguo numero di quelli che
non poterono aver parte alle spoglie dei Greci. Fra quei pochi
fu Simone de Montfort, che, avendo invano cercato uno Sta
to in Grecia e in Siria, si mise poi alla testa di una crociata
contro gli Albigesi per usurpare, con la croce, qualcosa ai cri
stiani suoi fratelli.
Restavano molti principi della famiglia imperiale dei
Comneni, che non si persero di coraggio nella distruzione del
loro impero. Uno di essi, che portava anchegli il nome di
Alessio, si rifugi con alcuni vascelli verso la Colchide; e l,
tra il mar Nero e il monte Caucaso, form un piccolo Stato
che venne chiamato Vimpero di Trebisonda: tanto si abu
sava deUa parola impero.
Teodoro Lascaris riprese Nicea, e si stabili nella Biti-
nia, servendosi opportunamente degli Arabi contro i Turchi.
Si attribu anche il titolo di imperatore, e fece eleggere un
patriarca della sua comunione. Altri Greci, uniti con gli stes
si Turchi, chiamarono in soccorso i loro antichi nemici, i
Bulgari, contro il nuovo imperatore Baldovino di Fiandra,
che godette appena della sua conquista (1205). Vinto da es
si presso Adrianopoli, gli furono tagliate le braccia e le
gambe, e spir preda di bestie feroci.
Le fonti di queste migrazioni dovevano allora inaridirsi;
ma gli spiriti d e ^ uomini erano in fermento. I confessori
ordinavano ai penitenti di andare in Terrasanta. Le false no
tizie che ne giungevano ogni giorno davano false speranze.
Un monaco brettone, di nome Esloin, condusse in Siria,
verso lanno 1204, una moltitudine di Brettoni. La vedova
di un re dUngheria prese la croce con alcune donne, cre
dendo che si potesse guadagnare il cielo solo con quel viag
gio. Questa malattia q>idemica si diffuse fin tra i fanciulli.
CAPITOLO CINQUANTASETTESIMO 169
Ve ne furono migliaia che, condotti da maestri di scuola e da
monaci, lasciarono la casa dei genitori, sulla fede di queste
jarole: Signore, tu hai tratto la tua gloria dai fanciulli. Le
' oro guide ne vendettero una parte ai musulmani: gli altri
morirono di stenti.
Lo Stato di Antiochia era quanto i cristiani avevano con
servato di pi notevole in Siria. Il regno di Gerusalemme esi
steva ormai solo a Tolemaide. Tuttavia si era stabilito in
Occidente che ci voleva un re di Gerusalemme. Essendo
morto verso lanno 1205 un Emeri di Lusignano, re tito
lare, il vescovo di Tolemaide propose di andare a chiedere
in Francia un re di Giudea. Filippo Augusto nomin un ca
detto della casa di Brienne nella Champagne, che aveva a
malapena un patrimonio. Si vede dalla scelta del re qual
era il regno.
Questo re titolare, i suoi cavalieri, i Brettoni che avevano
traversato il mare, parecchi principi tedeschi, un duca dAu
stria, Andrea, re dUngheria, seguito da truppe abbastanza
buone, i templari, gU ospitalieri, i vescovi di Mnster e di
Utrecht, tutto questo poteva ancora formare un esercito di
conquistatori, se avessero avuto un capo; ma quello che
appunto manc sempre.
Ritiratosi il re dUngheria, un conte dOlanda intra
prese ci che tanti re e principi non avevano potuto fare. I
cristiani sembravano prossimi a risollevarsi; le loro speranze
aumentarono con larrivo di una schiera di cavalieri che un
legato del papa condusse loro. Un arcivescovo di Bordeaux,
i vescovi di Parigi, di Angers, di Autun, di Beauvais accom
pagnarono il legato con truppe notevoli. Quattromila Inglesi e
altrettanti Italiani giimsero sotto diverse bandiere. Alla fine,
Giovanni di Brienne, che era arrivato a Tolemaide quasi solo,
si trov alla testa di circa centomila combattenti.
Safadino, fratello del famoso Saladino, che aveva da poco
unito lEgitto ai suoi altri Stati, aveva appena demolito i resti
delle mura di Gerusalemme, che era ormai solo un borgo in
rovina; ma poich Safadino sembrava poco saldo in Egitto,
i crociati credettero di potersene impadronite.
1 7 0 SAGGIO SUI COSTUMI
Da Tolemaide alle foci del Nilo il tragitto breve. I
vascelli che avevano recato tanti cristiani li portarono in tre
giorni nei paraggi dellantica Pelusio.
Presso le rovine di Pelusio sorge Damietta su un terra
pieno che la protegge dalle inondazioni del Nilo. (1218) I
crociati cominciarono lassedio durante lultima malattia di
Safadino, e lo continuarono dopo la sua morte. Meledino,
il maggiore dei suoi figli, regnava allora in Egitto, ed era re
putato amante delle leggi, delle scienze e della quiete pi
che della guerra. Corradino, sultano di Damasco, cui era
toccata la Siria, venne a soccorrerlo contro i cristiani. Las
sedio, che dur due anni, fu memorabile in Europa, in Asia
e in Africa.
San Francesco dAssisi, che istituiva allora il suo ordine
pass egli stesso nel campo degli assedianti; e, essendosi im
maginato di poter facilmente convertire il sultano Meledino
avanz con il suo compagno, frate Illuminato, verso il cam
po degli Egiziani. Furono presi, furono condotti dal sultano
Francesco gli rivolse una predica in italiano. Propose a Me
ledino di fare accendere un grande fuoco nel quale i suoi
imani da un lato, Francesco e Illuminato dallaltro, si sareb
bero gettati per fare vedere qual era la vera religione. Mele
dino, al quale linterprete spiegava questa singolare pro
posta, rispose ridendo che i suoi sacerdoti non erano uomi
ni da gettarsi nel fuoco per la loro fede; allora Francesco
propose di gettarvisi lui solo. Meledino gli rispose che, se
avesse accettato una tale offerta, sarebbe sembrato chegli du
bitasse della sua religione. Poi conged Francesco con bont,
rendendosi ben conto che non poteva essere un uomo peri
coloso.
Tale la forza dellesaltazione, che Francesco, non es
sendo riuscito a gettarsi in un rogo in Egitto e a fare cristia
no il soldano, voUe tentare questavventura a Marocco*.
Simbarc dapprima per la Spagna; ma, ammalatosi, con
vinse frate Egidio e quattro altri suoi compagni ad andare
a convertire i Marocchini. Frate Egidio e i quattro monaci
* Cio Marrakedi.
CAPITOLO CINQUANTASETTESIMO 171
fanno vela verso Tetuan, arrivano a Marocco e predicano
in italiano da una carretta, l miramolin*, avendo piet di
loro, li fece rimbarcare per la Spagna; tornarono una se
conda volta; furono di nuovo mandati via. Tornarono una
terza; l imperatore, esasperato, li condann a morte dal suo
divano e mozz loro personalmente la testa (1218): il fatto
che gli imperatori di Marocco siano i primi carnefici del loro
paese unusanza tanto superstiziosa quanto barbara. I mi
ramolin si dicevano discendenti di Maometto. I primi che
furono condannati a morte durante il loro impero chiesero
di morire per mano del padrone, nella speranza di unespia
zione pi pura. Questa abominevole usanza si cos ben
conservata, che il famoso imperatore di Marocco, Mulei
Ismael, ha giustiziato di sua mano nella sua lunga vita circa
diecimila uomini.
Questa morte di cinque compagni di Francesco dAssisi
ancora celebrata ogni anno a Coimbra, con una processio
ne singolare quanto la loro avventura. Si sostenne che i cor
pi di quei francescani tornassero in Europa dopo la loro
morte, e si fermassero a Coimbra nella chiesa di Santa Cro
ce. I giovani, le donne e le fanciulle vanno tutti gh anni,
la notte dellarrivo di quei martiri, dalla chiesa di Santa
Croce a quella dei cordiglieri. I giovani sono coperti solo da
brachette che arrivano appena poco sotto linguine; le donne
e le fanciulle hanno ima sottana altrettanto corta. Il cam
mino lungo e ci si ferma di frequente.
(1220) Nel frattempo Damietta fu presa, e sembrava
aprire la via alla conquista dellEgitto; ma Pelagio Albano,
benedettino spagnuolo, legato del papa e cardinale, fu causa
della sua perdita. Il legato pretendeva che, dato che il papa
era capo di tutte le crociate, colui che lo rappresentava ne
fosse incontestabilmente il generale; che il re di Gerusalem
me, essendo re solo per il permesso del papa, dovesse in
tutto ubbidire al legato. Queste discordie fecero perdere tem
po. Fu necessario scrivere a Roma: il papa ordin al re di
tornare al campo, e il re vi torn per servire sotto il bene-
* Vedi nota a pag. 346 del I volume.
1 7 2 SAGGIO SUI COSTUMI
dettino. Questo generale cacci lesercito tra due braccia del
NUo, proprio nel periodo in cui questo fiume, che nutre e
protegge lEgitto, cominciava a straripare. Il sultano, per
mezzo di cateratte, inond il campo dei cristiani. (1221)
Da un lato egli bruci i loro vascelli, dallaltro lato il Nilo
cresceva e minacciava di inghiottire l esercito del legato.
Esso si trovava nella condizione in cui vengono dipinti gli
Egizi di Faraone quando videro il mare sul punto di ricadere
su di loro.
I contemporanei convengono che in quellestremit si
tratt con il sultano. Egli si fece rendere Damietta; rimand
l esercito in Fenicia, dopo aver fatto giurare che per otto
anni non gli sarebbe stata mossa guerra; e trattenne il re
Giovanni di Brienne in ostaggio.
I cristiani riponevano ormai la loro speranza solo nel
limperatore Federico IL Giovanni di Brienne, non pi trat
tenuto in ostaggio, gli concesse sua figlia e i diritti al regno
di Gerusalemme in dote.
Limperatore Federico I I capiva benissimo linutilit del
le crociate; ma bisognava assecondare gli animi dei popoli ed
eludere i colpi del papa. Mi sembra che la condotta che se
gu sia un modello di sana politica. Negozia sia col papa sia
con il sultano Meledino. Firmato il trattato tra lui e il sul
tano, parte per la Palestina, ma pi con un seguito che non
con un esercito. Appena giunto, rende pubblico il trattato
con cui gli vengono ceduti Gerusalemme, Nazareth e alcuni
villaggi. Fa divulgare in Europa la voce che ha ripreso i
luoghi santi senza spargere una goccia di sangue. Gli viene
rimproverato di avere lasciato, col trattato, una moschea
a Gerusalemme. Il patriarca di questa citt lo trattava da
ateo; altrove era considerato come un principe che sapeva
regnare.
Quando si legge la storia di quei tempi, bisogna ammet
tere che coloro che hanno immaginato romanzi non hanno
potuto superare con limmaginazione quanto presenta qui
la realt. Poco prima abbiamo visto come, qualche anno
addietro, un conte di Fiandra, formulato il voto di an
CAPITOLO CINQUANTASETTESIMO 173
dare in Terrasanta, simpadronisse lungo il cammino dellim
pero di Costantinopoli; poco prima, Giovanni di Brienne, ca
detto di Champagne, divenuto re di Gerusalemme, era stato
sul punto di soggiogare lEgitto. Questo stesso Giovanni di
Brienne, non possedendo pi Stati, muove quasi solo in soc
corso di Costantinopoli: arriva durante un interregno, e vie
ne eletto imperatore (1224). Il suo successore, Baldovino
II, ultimo imperatore latino di Costantinopoli, sempre in
calzato dai Greci, correva, con una boUa del papa in mano, a
implorare invano laiuto di tutti i principi dellEuropa; tut
ti i principi erano allora lontani dal loro paese: gli impera
tori dOccidente correvano in Terrasanta; i papi erano quasi
sempre in Francia, e i re pronti a partire per la Palestina.
Tibaldo di Champagne, re di Navarra, cosi celebre per
lamore che gli si attribuisce per la regina Bianca e per le sue
canzoni, fu anchegli tra coloro che simbarcarono allora per
la Palestina (1240). Ritorn lo stesso anno, e poteva dirsi
fortunato. Circa settanta cavalieri francesi, che vollero ac
quistar fama con lui, furono tutti presi e portati al Grande
Cairo dal nipote di Meledino, di nome Melecsala, il quale
avendo ereditato Stati e virt da suo zio, li tratt umana
mente e, con un modico riscatto, li lasci alla fine tornare in
patria.
A quel tempo il territorio di Gerusalemme non appar
tiene pi n ai Siriani, n agli Egiziani, n ai cristiani, n
ai musulmani. Una rivoluzione senza precedenti dava un
nuovo volto alla maggior parte dellAsia. Gengis e i suoi
Tartari avevano valicato il Caucaso, il Tauro, lImmaus. I
popoli che fuggivano davanti a loro, come bestie feroci cac
ciate dalle loro tane da altri animali pi terribili, si riversa
vano a loro volta suUe terre abbandonate.
(1244) Gli abitanti di Korassan, che furono chiamati
Korasmi, incalzati dai Tartari si precipitarono sulla Siria,
cos come nel IV secolo i Goti, cacciati a quanto si dice da
Sciti, erano piombati sullimpero romano. Questi Korasmi
idolatri trucidarono i superstiti Turchi, i cristiani e gli ebrei
di Gerusalemme. I cristiani che restavano ad Antiochia, a
174 SAGGIO SUI COSTUMI
Tiro, a Sidone e su quelle coste della Siria sospesero per
qualche tempo le loro contese personali per resistere a que
sti nuovi briganti.
Quei cristiani erano allora alleati col soldano di Damasco.
I templari, i cavalieri di San Giovanni, i cavalieri teutonici
erano i difensori sempre in armi. LEuropa forniva incessan
temente qualche volontario. Infine, quanti poterono essere
raccolti combatterono i Korasmi. La disfatta dei crociati fu
completa. Non era quella la fine delle loro sventure: nuovi
Turchi vennero a devastare quelle coste della Siria dopo i
Korasmi e sterminarono quasi tutti i cavalieri superstiti.
Ma quei torrenti passeggieri lasciarono sempre ai cristiani
le citt della costa.
Chiusi nelle loro citt marittime, i Latini si videro allora
privi di soccorso; e le loro contese ne accrescevano le sven
ture. I principi di Antiochia si occupavano soltanto di fare
la guerra a qualche cristiano dArmenia. Le fazioni dei Ve
neziani, dei Genovesi e dei Pisani si contendevano la citt
di Tolemaide. I templari e i cavalieri di San Giovanni si
contendevano tutto. LEuropa, disanimata, non inviava quasi
pi di questi pellegrini armati. Le speranze dei cristiani di
Oriente andavano spegnendosi, quando san Luigi intrapre
se lultima crociata.
CAPITOLO CINQUANTASETTESIMO 17 5
DI SAN LUIGI; SUO GOVERNO, SUA CROCIATA,
NUMERO DEI SUOI VASCELLI, SUE SPESE, SUA VIRT,
SUA IMPRUDENZA, SUE SVENTURE
Luigi IX sembrava un principe destinato a riformare lEu
ropa, se essa avesse mai potuto esserlo, a rendere la Francia
trionfante e civile, e a essere in tutto modello agli uomini.
La sua piet, che era quella di un anacoreta, non gli tolse
alcuna virt di re. Una saggia economia non sottrasse nulla
alla sua liberalit. Seppe accordare una politica profonda con
una giustizia scrupolosa, ed forse il solo sovrano che me
riti questa lode: prudente e fermo nel consiglio, intrepido
nei combattimenti senza essere temerario, pietoso come se
fosse stato sempre soltanto sventurato. Non concesso al
l uomo di spingere pi oltre la virt.
Insieme con la reggente sua madre, che sapeva regnare,
aveva represso labuso della troppo estesa giurisdizione de
gli ecclesiastici. Essi volevano che gli ufficiali di giustizia
sequestrassero i beni di chiunque venisse scomunicato, senza
indagare se la scomunica fosse giusta o ingiusta. Il re, distin
guendo molto saggiamente le leggi civili, alle quaU tutto de
ve essere soggetto, dalle leggi della Chiesa, il cui impero
deve estendersi solo sulle coscienze, non lasci che le leggi
del regno soggiacessero a quellabuso delle scomuniche. Aven
do contenuto nei loro limiti fin dallinizio della sua ammini
strazione le pretese dei vescovi e dei laici, aveva represso le
fazioni della Bretagna; aveva mantenuto una neutralit pru
dente tra le impulsivit di Gregorio IX e le vendette dellim
peratore Federico II.
I suoi domini, gi assai estesi, si erano accresciuti di
CAPITOLO LVni
parecchie terre che egli aveva comprato. I re di Francia ave
vano allora come reddito i loro propri beni, e non quelli
dei popoli. La loro grandezza dipendeva da uneconomia ac
corta, come quella di un semplice signore.
Questa amministrazione laveva messo in condizione di
reclutare forti eserciti contro il re dInghilterra, Enrico III,
e contro vassalli di Francia alleatisi allInghilterra. Enrico
III, meno ricco, meno obbedito dai suoi Inglesi, non ebbe
truppe altrettanto buone, n pronte cos presto. Luigi lo
batt due volte, e soprattuto nella giornata di Taillebourg nel
Poitou. Il re inglese fugg davanti a lui. Questa guerra fu
seguita da una pace utile (1241). I vassalli di Francia, tor
nati al loro dovere, non se ne allontanarono pi. Il re non
dimentic neppure di obbligare linglese a pagare cinquemila
lire sterline per le spese della campagna.
Quando si pensa che non aveva ventiquattranni allor
ch si comport cos, e che il suo carattere era assai supe
riore alla sua fortuna, si vede quello che avrebbe fatto se
fosse restato in patria; e ci si rammarica che la Francia sia
stata resa tanto infelice dalle sue stesse virt, che dovevano
fare la felicit del mondo.
Nellanno 1224, Luigi, colpito da una malattia violenta,
credette, si dice, durante una letargia, di udire una voce che
gli ordinava di prendere la croce contro gli infedeli. Non
appena fu in grado di parlare fece voto di farsi crociato. La
regina sua madre, la regina sua sposa, il suo consiglio, tutti
coloro che gli erano vicini, si resero conto del pericolo di
questo voto funesto. Lo stesso vescovo di Parigi gliene di
pinse le pericolose conseguenze; ma Luigi considerava quel
voto un vincolo sacro che agli uomini non era permesso di
sciogliere. Prepar per quattro anni quella spedizione. (1248)
AUa fine, lasciando alla madre il governo del regno, parte
con la moglie e i tre fratelli, seguiti anchessi dalle loro
spose; quasi tutta la cavalleria di Francia laccompagna. Vi
furono nellesercito quasi tremila cavalieri banderesi. Una
parte della flotta immensa che portava tanti principi e sol-
12/cn
CAPITOLO ;CINQUimTOTTESIMO 1 7 7
dati parte da Marsiglia; laltra, da Aigaes-Mortes, che oggi
ion pi un porto. )
La maggior parte delle grandi navi rotonde ,che traspor
tarono le truppe furono costruite nei porti di Francia. Am
montavano a milleottocento. Un re di Francia non potrebbe
oggi approntare un simile armamento, perch il legname
senza paragone pi raro, tutte le spese maggiori in propor
zione, e lartiglieria necessaria rende la spesa pi forte e
larmamento molto pi difficile.
Si vede, dai conti di san Luigi, quanto queste crociate im
poverissero la Francia. Egli dava al signore di Valery ottomila
lire per trenta cavalieri, il che corrispondeva a circa cento-
quarantaseimila lire in numerario dei nostri giorni. II con-
nestabile aveva tremila lire per quindici cavalieri. Larcive
scovo di Reims e il vescovo di Langres ricevevano quattro
mila lire a testa per quindici cavalieri che ciascuno di essi
conduceva. Centosessantadue cavalieri mangiavano alle men
se del re. Queste spese e i preparativi erano immensi.
Se la frenesia per le crociate e la tenace fede nei giura
menti avessero permesso alla sua virt di ascoltare la ra
gione, Luigi avrebbe visto non solo il male che faceva al
suo paese, ma lingiustizia estrema di questo armamento che
gli sembrava cos giusto.
Anche se avesse avuto solo il progetto di dare ai Francesi
il possesso del misero territorio di Gerusalemme, essi non
ne avevano alcun diritto. Ma si marciava contro il vecchio
e saggio Melecsala, soldano dEgitto, che certamente non
aveva che dire col re di Francia. Melecsala era musulmano;
questo era il solo pretesto per fargli guerra. Ma non cerano
pi ragioni di devastare lEgitto perch seguiva i dogmi
di Maometto di quante ce ne sarebbero oggi di muovere
guerra alla Cina perch la Cina fedele alla morale di Con
fucio.
Luigi gett lancora nellisola di Cipro: il re di quel
lisola si unisce a lui; approdano in Egitto. Il soldano dEgitto
non possedeva Gerusalemme. La Palestina allora era devasta
ta dai Korasmi: il sultano di Siria abbandonava loro quel-
1 7 8 SAGGIO SUI COSTUMI
riifelice paese, e il califfo di Bagdad, sempre riconosciuto e
sempre privo di potere, non simmischiava pi in quelle
guerre. Restavano ancora ai cristiani Tolemaide, Tiro, An
tiochia, Tripoli. Le loro discordie li esponevano continua-
mente a essere sopraffatti dai soldati turchi e dai Korasmi.
In quelle circostanze era difficile capire perch il re di
Francia scegliesse lEgitto come teatro della guerra. Il vecchio
Melecsala, malato, chiese la pace; essa fu negata. Luigi era
rafforzato da nuovi aiuti giunti dalla Francia, seguito da
sessantamila combattenti, obbedito, amato, fronteggiato da
nemici gi vinti, da un soldano prossimo alla fine. Chi non
avrebbe creduto che lEgitto e ben presto la Siria sarebbero
stati domati? Tuttavia met di quel florido esercito mori di
malattia; laltra met vinta presso Mansurah. San Luigi
vede uccidere suo fratello Roberto dArtois; viene cattura
to coi suoi altri due fratelli, il conte dAngi e il conte di
Poitiers (1250). Allora non regnava pi in Egitto Melecsala,
ma suo figlio Almoadan. Questo nuovo soldano era certa
mente di animo generoso; infatti, quando il re Luigi gli ebbe
oflEerto per il riscatto suo e dei prigionieri un milione di bi-
santi doro, Almoadan gliene abbon la quinta parte.
Questo soldano fu assassinato dai mammalucchi, milizia
che aveva istituito suo padre. Sembrava che il governo, allo
ra diviso, dovesse essere funesto ai cristiani. Ci nonostante
il consiglio egiziano continu a negoziare col re. Il sire di
JoinviUe* riferisce che gli stessi emiri proposero, in una
delle loro assemblee, di scegliere Luigi come loro soldano.
JoinviUe era prigioniero con il re. Quanto racconta un
uomo del suo carattere ha certamente peso; ma si rifletta a
quanto in un campo, in una casa, si male informati dei fatti
particolari che accadono in un campo vicino, in una casa
adiacente; quant inverosimile che dei musulmani pensino
a darsi per re un cristiano nemico, che non conosce n la loro
lingua n i loro costumi, che detesta la loro religione e in
cui essi possono vedere soltanto un capo di predoni stranie-
* Jean, sire di JoinviUe (1224-1317), cronachista e consigliere di san
Luigi. Scrisse la storia di questo sovrano e delle crociate sino allanno 1309.
CAPITOLO CINQUANTOTTESIMO 179
ri, e si vedr che Joinville ha riferito soltanto una diceria
popolare. Dire fedelmente quanto si sentito dire significa
spesso riferire in buona fede cose per lo meno sospette. Ma
non possediamo la vera storia di JoinviUe; soltanto una
tradi:izione infedele, fatta al tempo di Francesco I, di uno
scritto che oggi capiremmo solo con grande difficolt.
Non saprei inoltre far concordare quanto gli storici di
cono sul modo in cui i musulmani trattarono i prigionieri.
Raccontano che venivano fatti uscire a uno a uno da un
recinto in cui erano rinchiusi, che veniva chiesto loro se
volevano rinnegare Ges Cristo, e che venivano decapitati
coloro che perseveravano nel cristianesimo.
Daltra parte attestano che un vecchio emiro fece do
mandare ai prigionieri, per mezzo di un interprete, se crede
vano in Ges Cristo; e avendo detto i prigionieri che crede
vano in lui: Consolatevi, disse lemiro; poich
morto per voi e ha saputo risuscitare, sapr certo sdvarvi.
Questi due racconti sembrano un po contraddittori; e
pi contraddittorio ancora il fatto che quegli emiri faces
sero uccidere dei prigionieri dai quali speravano un riscatto.
Daltronde, quegli emiri non andarono oltre gli ottocen-
tomila bisanti doro dei quali il loro sultano aveva avuto la
compiacenza di accontentarsi per il riscatto dei prigionieri;
e quando, in virt del trattato, le truppe francesi che erano
a Damietta consegnarono quella citt, non risulta che i vin
citori abbiano recato la minima offesa alle donne. Furono
lasciate partire con ogni rispetto la regina e le sue cognate.
Non che tutti i soldati musulmani fossero moderati; il volgo
feroce in ogni paese: furono senza dubbio commesse mol
te violenze, alcuni prigionieri furono maltrattati e uccisi;
ma insomma confesso di stupirmi che il soldato maomettano
non sterminasse un maggior numero di quegli stranieri che,
dai porti dellEuropa, erano andati senza ragione alcuna a
devastare le terre dellEgitto.
Liberato di prigionia, san Luigi si ritira in Palestina, e
vi rimane quasi quattro anni con i resti dei suoi vascelli
e del suo esercito. Va a visitare Nazareth invece di ritornare
1 8 0 SAGGIO SUI COSTUMI
in Francia, e alla fine toma in patria solo dopo la morte del
la regina Bianca, sua madre; ma vi torna per indire una nuova
crociata.
La sua permanenza a Parigi gli procurava continuamente
vantaggi e gloria. Ricevette un onore che si pu tributare sol
tanto a un re virtuoso. Il re dInghilterra, Enrico III, e i suoi
baroni lo scelsero per arbitro delle loro contese. Pronunci la
sentenza da sovrano; e se questa sentenza, che era favore
vole a Enrico III, non pot placare le agitazioni dellInghil
terra, mostr almeno allEuropa quale rispetto gli uomini
hanno loro malgrado per la virt. Suo fratello, il conte
dAngi, dovette alla reputazione di Luigi e al buon ordine
del suo regno lonore di essere scelto dal papa come re di
Sicilia, onore che quanto a lui non meritava.
Luigi frattanto aumentava i suoi domini con lacquisi
zione di Namur, di Pronne, di Avranches, di Mortagne, del
Perche; poteva togliere ai re dInghilterra tutto quello che
possedevano in Francia. Le contese tra Enrico III e i suoi
jaroni gliene facilitavano i mezzi; ma prefer la giustizia
allusurpazione. Li lasci in possesso della Guienna, del
Prigord, del Limosino; ma li fece rinunciare per sempre
alla Turenna, al Poitou, alla Normandia, annessi alla corona
da Filippo Augusto; cos la pace fu consolidata insieme con
la sua reputazione.
Istitu per primo la giustizia dappello; e i sudditi, op
pressi dalle sentenze arbitrarie dei giudici delle baronie, co
minciarono a poter inoltrare i propri ricorsi a quattro grandi
bale reali create per ascoltarli. Sotto il suo regno, dei lette
rati cominciarono a essere ammessi alle sedute di quei par
lamenti in cui dei cavalieri, che raramente sapevano legge
re, decidevano la fortuna dei cittadini. Un alla piet dun
religioso la fermezza illuminata di un re, rintuzzando le im
prese della corte di Roma con quella famosa prammatica che
conserva gli antichi diritti della Chiesa, detti libert della
Chiesa gallicana, se vero che questa prammatica sia sua.
Insomma tredici anni della sua presenza rimediavano, in
Francia tutto quello che la sua assenza aveva mandato in ro
CAPITOLO dINQUANTOTTESIMO 181
vina; ma la sua passione per le crociate lo trascinava. I papi
lo incoraggiavano. Clemente IV gli accordava una decima
sijI clero per tre anni. Parte alla fine una seconda volta,
e pi o meno con le stesse forze. Suo fratello, che egli ha
fatto re di SicUia, deve seguirlo. Ma questa volta non volge
la sua devozione e le sue armi n verso la Palestina n verso
lEgitto. Fa spiegare le vele della sua flotta iti dir^ione di
Tunisi.
I cristiani di Siria non erano pi la stirpe di quei primi
Franchi stabilitisi ad Antiochia e a Tiro; era una generazione
mista di Siriani, di Armeni e dEuropei. Venivano chiamati
Foulains*, e questi resti senza vigore erano per la maggior
parte sottoposti agli Egiziani. I cristiani non avevano pi
altre citt fortificate se non Tiro e Tolemaide.
I religiosi templari e ospitalieri, che si possono in certo
senso paragonare alla milizia dei mammalucchi, si facevano
tra loro, in quelle stesse citt, una guerra cos crudele, che
in un combattimento di questi monaci militari non rest in
vita nessun templare.
Che rapporto cera tra la situazione di questi pochi me
ticci sulle coste di Siria e il viaggio di san Luigi a Tunisi?
Suo fratello, Carlo dAngi, re di Napoli e di Sicilia, ambizio
so, crudele, interessato, asserviva la semplicit eroica di
Luigi ai propri disegni. Pretendeva che il re di Tunisi gli
dovesse il tributo di qualche- anno; voleva impadronirsi di
quei paesi, e san Luigi sperava, dicono tutti gli storici (non
so su quale fondamento), di convertire il re di Tunisi. Strana
maniera di guadagnare quel maomettano al cristianesimo!
Viene fatta unincursione a mano armata nei suoi Stati, nei
pressi delle rovine di Cartagine.
Ma ben presto il re stesso assediato nel suo campo
dai Mori riuniti; le stesse malattie, provocate nel suo campo
in Egitto dalle intemperanze dei suoi sudditi trapiantati e dal
cambiamento di clima, desolarono il suo campo di Cartagine.
* Termine del XIII secolo (dallarabo fuln, un tale) col quale veniva
no designali i contadini delle coste di Siria dorigine mista, com indicato
nel testo;
1 8 2 SAGGIO SUI COSTUMI
Uno dei suoi figli, nato a Damitta durante la prigionia, mori
di quella specie di contagio davanti a Tunisi. Infine H re ne
fu colpito; si fece stender sulla cenere, e spir allet di
cinquantacinque anni, con, la piet dun religioso e il corag
gio dun granduomo (1270). Non uno dei'minori esempi
degli scherzi della fortuna il fatto che le rovine di Carta
gine abbiano visto morire un re cristiano, che andava a com
battere dei musulmani in un paese in cui Didone aveva in
trodotto gli di dei Siriaci. appena morto, quando arriva
suo fratello re di Sicilia. Si fa la pace con i Mori, e i cri
stiani superstiti vengono riportati in Europa.
Non si possono certo contare meno di centomila persone
sacrificate nelle due spedizioni di san Luigi. Aggiungete i
centocinquantamila che seguirono Federico Barbarossa, i tre-
centonla della crociata Filippo Augusto e di Riccardo,
duecentomila almeno al tempo di Giovanni di Brienne; con
tate i centosessantamila crociati che erano gi passati in Asia,
e non dimenticate quanti perirono nella spedizione di Co
stantinopoli e nelle guerre che seguirono quella rivoluzione,
senza parlare della crociata del Nord e di quella contro gli
Albigesi, e se ne ricaver che lOriente fu la tomba di pi
di due milioni di Europei.
Parecchi paesi ne furono spopolati e impoveriti. Il sire
di JoinviUe dice esplicitamente che non voUe accompagnare
Luigi nella seconda crociata perch non ne era in grado e
perch la prima aveva rovinato tutta la sua signoria.
Il riscatto di san Luigi era costato ottocentomUa bisanti;
erano circa nove milioni della moneta che circola oggi (nel
1778). Se dei due milioni duomini che morirono nel Levan
te ciascuno pes con soli cento franchi, vale a dire un po
pi di cento soldi del tempo, il costo fu sempre di duecento
milioni di lire. I Genovesi, i Pisani e soprattutto i Veneziani
vi sarricchirono; ma la Francia, l Inghilterra, la Germania
furono dissanguate.
Si dice che i re di Francia guadagnarono in quelle cro
ciate perch san Luigi accrebbe i suoi possessi acquistando
alcune terre dai signori caduti in rovina. Ma li accrebbe sol
CAPITOLO CINQUANTOTTESIMO 183
tanto durante i tredici anni della sua residenza, grazie alla
sua economia.
Il solo bene che procurarono quelle imprese fu la li
bert che parecchie borgate acquistarono dai loro signori. Il
governo municipale saccrebbe un po dalle rovine dei pos
sessori dei feudi. A poco a poco quelle comunit, potendo
lavorare e commerciare per il loro proprio interesse, eserci
tarono le arti e U commercio, che la schiavit era andata
spegnendo.
Nel frattempo, quei pochi cristiani meticci, stabilitisi
sulle coste della Siria, furono ben presto sterminati o ridotti
in servit. Tolemaide, loro principale rifugio, e che era di
fatto soltanto un covo di predoni famosi per i loro delitti, non
pot resistere alle forze del soldano dEgitto Melecseraf.
Questi la prese nel 1291: Tiro e Sidone gli si arresero. In-
somma, verso la fine del XIII secolo, non vera pi in Asia
alcuna traccia visibile di quelle migrazioni di cristiani.
184 SAGGI sur COSTUMI
SEGUITO DELLA PRESA DI COSTANTINOPOLI DA PARTE
DEI CROCIATI. QUELLO CHE ERA ALLORA LIMPERO
GRECO
Q
uel sistema feudale di Francia aveva prodotto, come si
visto, moltissimi conquistatori. Un pari di Francia,
duca di Normandia, aveva soggiogato lInghilterra; dei sem
plici gentiluomini, la Sicilia; e, tra i crociati, dei signori di
Francia avevano avuto per qualche tempo Antiochia e Ge
rusalemme; infine Baldovino, pari di Francia e conte di Fian
dra, aveva preso Costantinopoli. Abbiamo visto i maomettani
dAsia cedere Nicea agli imperatori greci fuggiaschi. Quei
maomettani stessi saUeavano coi Greci contro i Franchi e
i Latini, loro nemici comuni; e in quel frattempo, le irru
zioni dei Tartari in Asia e in Europa impedivano ai musul
mani di opprimere i Greci. I Franchi, padroni di Costanti
nopoli, elegevano i loro imperatori; i papi IL confermavano.
(1216) Pierre de Courtenai, conte di Auxerre, della casa
di Francia, una volta eletto, fu incoronato e consacrato a
Roma dal papa Onorio III. I papi menavan vanto allora di
conferire gli imperi dOriente e dOccidente. Si visto che
cosera il loro diritto suUOccidente, e quanto sangue cost
quella pretesa. Per quanto riguarda lriente, si trattava
solo di Costantinopoli, di ima parte della Tracia e della Tessa
glia. Tuttavia il patriarca latino, per quanto sottomesso fosse
al papa, pretendeva che solo a lui spettava incoronare i
suoi padroni, mentre il patriarca greco, che risiedeva ora a
Nicea ora ad Adrianopoli, anatemizzava e limperatore latino
e il patriarca di quella comunione e il papa stesso. Era cos
poca cosa .quellimpero latino di Costantinopoli,, che Pier-
CAPITOLO LIX
re de Courtenai, tornando da Roma, non pot evitare di
cadere nelle mani dei Greci; e dopo la sua morte i succes
sori ebbero precisamente soltanto la dtt di Costantinopoli
e il suo territorio. Alcuni Francesi possedevano lAcaia; i
Veneziani avevano la Morea.
Costantinopoli, un tempo cos ricca, era diventata tal
mente povera, che Baldovino II (stento a chiamarlo impe
ratore) impegn per un po di denaro, tra le mani dei Ve
neziani, la corona di spine di Ges Cristo, le sue bende,
la sua veste, il suo telo, la sua spugna e molti pezzi della
vera croce. San Luigi ritir quei pegni dalle mani dei Vene
ziani e li colloc nella Sainte-ChapeUe di Parigi, con altre
reliquie, che sono testimonianza di piet piuttosto che della
conoscenza dellantichit.
Si vide quel Baldovino II andare nel 1245 al concilio di
Lione, nel quale il papa Innocenzo IV scomunic tanto so
lennemente Federico II. Vi implor invano il soccorso di una
crociata, e torn a Costantinopoli solo per vederla finalmente
ricadere in potere dei Greci, suoi legittimi possessori. Mi
chele Paleologo, imperatore e tutore del giovane imperatore
Lascaris, riprese la citt con un accordo segreto. Baldovino
fuggi poi in Francia (1261), dove visse col denaro che gli
frutt la vendita del suo marchesato di Namur al re san
Lmgi. Cos fin quellimpero dei crociati.
I Greci riportarono i loro costumi nel loro impero.
Lusanza di accecare ricominci. Michele Paleologo si se
gnal dapprima privando il suo pupiUo della vista e della
libert. Avanti ci si era serviti di una lama di metallo ro
vente; Michele adoper aceto bollente, e questa abitudine
si mantenne, perch la moda entra fin nei delitti.
Paleologo non manc di farsi assolvere solennemente di
quellatrocit dal suo patriarca e dai suoi vescovi, che ver
savano lacrime di gioia, si dice, a quella pia cerimonia. Pa
leologo si percoteva il petto, diiedeva perdono a Dio e si
guardava bene dal liberare di prigione il suo pupillo e il
suo imperatore.
Quando dico che la superstizione rientr a Costantino
1 8 6 SAGGIO SUI COSTUMI
poli insieme con i Gred, mi basta come prova quanto ac
cadde nel 1284. Tutto limpero era diviso tra due patriarchi.
Limperatore ordin che ciascun partito presentasse a Dio
in Santa Sofia una memoria delle sue ragioni, che si get
tassero le due memorie in un braciere benedetto, e che
cos si sarebbe dichiarata la volont di Dio. Ma la volont ce
leste si dichiar soltanto lasciando bruciare le due carte, e
abbandon i Greci alle loro contese ecclesiastiche.
Limpero dOriente riprese nondimeno un po di vita.
La Grecia vi era annessa prima delle crociate; ma esso aveva
perduto quasi tutta lAsia Minore e la Siria. La Grecia ne
fu separata dopo le crociate; ma restava un po dellAsia
Minore, ed esso si estendeva ancora in Europa fino a Bel
grado.
Tutto il resto di quellimpero era in possesso di nazioni
nuove. LEgitto era divenuto preda della milizia dei mamma
lucchi, composta dapprima di schiavi e poi di conquistatori.
Si trattava di soldati raccolti sulle coste settentrionali del
mar Nero; e questa nuova forma di brigantaggio si era in
staurata dal tempo della prigionia di san Luigi.
In quel XIII secolo, il califfato era giunto al termine,
mentre limpero di Costantino vi si avviava. Venti usur
patori nuovi dilaniavano da ogni parte la monarchia fondata
da Maometto, sottomettendosi alla sua religione; e alla
fine quei califfi di Babilonia, detti califfi Abassidi, furono
completamente distrutti dalla famiglia di Gengis.
Vi fu cos, nel XII e nel XIII secolo, una serie ininter
rotta di devastazioni in tutto l emisfero. Le nazioni si pre
cipitarono le une suUe altre con migrazioni prodigiose, che
hanno instaurato a poco a poco grandi imperi. Infatti, men
tre i crociati piombavano sulla Siria, i Turchi scalzavano gli
Arabi; e infine comparvero i Tartari, che si scagliarono sui
Turchi, sugli Arabi, sugli Indiani, sui Cinesi. Quei Tartari,
condotti da Gengis e dai suoi figli, cambiarono il volto di
tutta la Grande Asia, mentre lAsia Minore e la Siria erano
la tomba dei Franchi e dei Saraceni.
CAPITOLO CINQUANTANOVESIMO 187
DELLORIENTE E DI GENGIS-KHAN
O l t r e la Persia, verso il Gihon e lOxo, un nuovo impero
si era formato dai resti del califfato. Noi lo chiamiamo Ca-
risme o Kuaresme dal nome corrotto dei suoi conquistatori.
Il sultano Mohammed vi regnava alla fine del XII secolo e al
linizio del XIII, quando la grande invasione dei Tartari
venne a inghiottire tanti vasti Stati. Mohammed il Carismin
regnava dal fondo dellIrak, che lantica Media, fino a oltre
la Sogdiana, e molto addentro nel paese dei Tartari. Aveva
inoltre aggiunto ai suoi Stati una parte dellindia, e veniva
a essere uno dei pi grandi sovrani del mondo, che tuttavia
riconosceva sempre il califfo che spogliava e al quale rimane
va soltanto Bagdad.
Di l dal Tauro e dal Caucaso, a oriente del mar Caspio,
e dal Volga fino alla Cina, e a settentrione fino alla zona gla
ciale, si estendono quegli immensi paesi degli antichi Sciti,
che si chiamarono poi Tatari, dal nome di Tatar-khan, uno
dei loro pi grandi principi, e che noi chiamiamo Tartari.
Quei paesi sembrano popolati da tempo immemorabile, sen
za che vi siano state quasi mai costruite citt. La natura
ha dato a quei popoli, cosi come agli Arabi beduini, un gusto
per la libert e per la vita errante, che ha fatto sempre con
siderare loro le citt come prigioni in cui, essi dicono, i re
tengono i loro schiavi.
Le loro scorribande continue, la loro vita necessaria
mente frugale, uno scarso riposo assaporato in fretta sotto
una tenda o su un carro o per terra, ne fecero generazioni
CAPITOLO LX
duomini robusti, rotti alla fatica, che, Come bestie feroci
divenute troppo numerose, si lanciarono lontano dalle loro
tane: ora verso le Paludi Meotidi, allorch cacciarono, nel
V secolo, gli abitanti di quelle regioni che si precipitarono
sullimpero romano; ora a oriente e a mezzogiorno, verso
lArmenia e la Persia; ora in direzione della Cina e fin nelle
Indie. Cos quel vasto serbatoio duomini ignoranti e belli
cosi ha vomitato le sue inondazioni in quasi tutto il nostro
emisfero, e i popoli che abitano oggi quei deserti, privi di
ogni conoscenza, sanno soltanto che i loro padri hanno con
quistato il mondo.
Ogni orda o trib aveva il suo capo, e parecchi capi
si riunivano sotto un khan. Il Dalai-lama era adorato dalle
trib a lui vicine, e questa adorazione consisteva principal
mente in un lieve tributo; le altre, come unico culto, sacri
ficavano a Dio una volta lanno qualche animale. Non viene
riferito che abbiano mai immolato uomini alla divinit, n
che abbiano creduto in un essere malefico e potente qual
il diavolo. I bisogni e le occupazioni di ima vita errabonda
li tenevano al riparo anche da molte superstizioni nate dal
lozio; avevano soltanto i difetti della brutalit inerente a
una vita dura e selvaggia; e quegli stessi difetti ne fecero
dei conquistatori.
La sola cosa certa che posso raccogliere suHorigine della
grande rivoluzione che fecero questi Tartari nel XII e XIII
secolo, il fatto che verso loriente della Cina le orde dei
Mogol o Mongoli, possessori delle migliori miniere di ferro,
fabbricarono quel metallo con il quale ci si rende padroni di
coloro che possiedono tutto il resto. Cal-khan, o Gassar-khan,
avo di Gengis-khan, trovandosi alla testa di quelle trib, pi
agguerrite e meglio armate delle altre, costrinse parecchi vi
cini a diventare suoi vassalli e fond una specie di monar
chia, quale pu sussistere tra popoli erranti e insofferenti del
giogo. Suo figlio, che gli storici europei chiamano Pisuca,
consolid quella dominazione nascente; e alla fine Gengis
l estese alla maggior parte della terra conosciuta.
Cera un potente Stato tra queste terre e quelle della
CAPITOLO SESSANTESIMO 189
Cina. Questimpero era quello dun khan i cui avi ave
vano rinunciato alla vita errabonda dei Tartari per costruire
citt sullesempio dei Cinesi: fu conosciuto persino in Euro
pa; a lui appunto venne dato dapprima il nome di Prete
Gianni. Alcuni critici hanno voluto provare che il nome esat
to Prte-Jean*, sebbene certamente non vi fosse nessuna
ragione di chiamarlo n Prte n Prete,
Di vero c che la reputazione della sua capitale, che su
scitava rumore in Asia, aveva eccitato l cupidigia dei mer
canti dArmenia; quei mercanti erano dellantica comunione
di Nestorio. Alcuni dei loro religiosi si misero in cammino
con essi e, per ingraziarsi i principi cristiani che allora fa
cevano la guerra in Siria, scrissero che avevano convertito
quel gran khan, il pi potente dei Tartari; che gli avevano
dato il nome di Gianni, che egli aveva anche voluto rice
vere il sacerdozio. Ecco la favola che rese il Prete Gianni
tanto famoso nelle nostre antiche cronache delle crociate.
Si and poi a cercare il Prete Gianni in Etiopia, e si diede
questo nome a quel principe negro, che mezzo cristiano sci
smatico e mezzo ebreo. Intanto il Prete Gianni tartaro soc
combette alle armi di Gengis in una grande battaglia. Il vin
citore simpadron dei suoi Stati e si fece eleggere sovrano
di tutti i khan tartari, con il nome di Gengis-khan, che si
gnifica re dei re, o gran khan. Prima portava il nome di
Temugin. Sembra che i khan tartari seguissero lusanza di
riunire delle diete verso la primavera: queste diete si chia
mavano cour-ilt. Eh! chiss che quelle assemblee e le no
stre corti plenarie, nei mesi di marzo e di maggio, non ab
biano unorigine comune!
Gengis proclam in quellassemblea che bisognava cre
dere in un solo Dio e non perseguitare nessuno per la sua re
ligione: prova certa che i suoi vassalli non avevano* tutti la
medesima credenza. La disciplina militare fu instaurata in
forma rigorosa: dei decurioni, dei centurioni, dei capitani di
mille uomini, dei capi di diecimila agli ordini di generali
furono tutti sottoposti a doveri quotidiani; e tutti coloro che
* Frte-]ean sonerebbe allincirca in italiano "Presta Giovanni.
1 9 0 SAGGIO SUI COSTUMI
non andavano in guerra furono obbligati a lavorare un gior
no la settimana per il servizio del gran khan. Ladulterio fu
tanto pi severamente proibito in quanto la poligamia era
permessa. In un unico cantone tartaro fu consentito agli
abitanti di continuare lusanza di prostituire le mogli agli
ospiti. Il sortilegio fu espressamente proibito pena la mor
te. Si visto* che Carlomagno lo pun soltanto con am
mende. Ma ne risulta che i Germani, i Franchi, i Tartari cre
devano egualmente nel potere dei maghi. Gengis si serv, in
quella grande assemblea di principi barbari, dun espediente
che vediamo spesso adoperato nella storia del mondo. Un
profeta predisse chegli sarebbe stato il padrone delluniver
so: lui e i vassalli del gran khan ne trassero stimolo per far
avverare la predizione.
Lautore cinese che ha scritto le conquiste di Gengis, e
che padre GaubH ha tradotto**, assicura che quei Tartari
non avevano alcuna conoscenza dellarte di scrivere. Que
starte era sempre stata ignorata dalle province dArcan-
gelo fino di l dalla grande muraglia, cos come lignorarono
i Celti, i Brettoni, i Germani, gli Scandinavi e tutti i popoli
dellAfrica oltre il monte Atlante. Lusanza di trasmettere
alla posterit tutte le articolazioni della lingua e tutte le
idee dello spirito una delle grandi raffinatezze della socie
t perfezionata, che fu conosciuta solo presso alcune na
zioni civilissime; e per di pi non fu mai viniversalmente
diffusa presso queste nazioni. Le leggi dei Tartari erano pro
mulgate oralmente, senza alcun segno rappresentativo che
ne perpetuasse la memoria. Cos appunto Gengis instaur
una nuova legge, che doveva fare degH eroi dei suoi soldati.
Ordin la pena di morte contro coloro che, in combattimento,
diiamati in aiuto dei loro compagni, fossero fuggiti invece di
soccorrerli. (1214) Ben presto padrone di tutti i paesi che
sono tra il fiume Volga e la muraglia della Cina, egH assale
* Nel I volume, pag. 341.
** Il padre Antoine Gaubil (cfr. nota a pag. 211 del I voi.) ha scritto
una storia di Gengis-khan e di tutta la dinastia dei Mongoli, tratta dalla
storiografia cinese, pubblicata a Parigi nel 1739.
CAPITOLO SESSANTESIMO 191
alla fine quellantico impero che allora si chiamava Catai.
Prese Cambalu, capitale del Catai settentrionale. Si tratta
di quella stessa citt che noi chiamiamo oggi Pechino. Pa
drone di met della Cina, sottomise sino la parte estrema
della Corea.
Limmaginazione degli oziosi, che si esaurisce in finzioni
romanzesche, non oserebbe immaginare che un principe par
tisse dal fondo della Corea, che lestremit orientale del
nostro globo, per portare la guerra in Persia e nelle Indie.
quanto effettu Gengis.
Il califfo di Bagdad, di nome Nasser, ebbe limprudenza di
chiamarlo in aiuto. I califfi erano allora, come abbiamo^ visto*,
quello che erano stati i re fannulloni di Francia sotto la ti
rannia dei maggiordomi di palazzo; i Turchi erano i maggior
domi dei califfi.
Quel sultano Mohammed, della stirpe dei Karismi, di cui
abbiamo appena parlato, era padrone di quasi tutta la Per
sia; lArmenia, sempre debole, gli era tributaria. Il califfo
Nasser, che quel Mohammed voleva insomma spogliare della
parvenza di dignit che gli restava, attir Gengis in Persia.
Il conquistatore tartaro aveva allora sessantanni: sembra
che sapesse regnare come vincere; la sua vita una testimo
nianza che non vi grande conquistatore che non sia grande
politico. Un conquistatore un uomo la cui testa si serve, con
felice abilit, del braccio altrui. Gengis governava tanto abil
mente la parte della Cina conquistata, che essa non si ribell
affatto durante la sua assenza; e sapeva regnare cos bene
nella propria famiglia, che i suoi quattro figli, di cui egli fece
i suoi quattro luogotenenti generali, impiegarono quasi sempre
la loro gelosia a servirlo bene e furono gli strumenti delle
sue vittorie.
I nostri combattimenti, in Europa, sembrano lievi sca
ramucce in confronto a quelle battaglie che hanno insangui
nato qualche volta lAsia. Il sultano Mohammed marcia
contro Gengis con quattrocentomila combattenti, di l dal
1 9 2 SAGGIO SUI COSTUMI
* Nel cap. LUI a pag. 136.
fiume Jaxarte*, presso la dtt di Otrar; e nelle immense pia
nure che si trovano oltre questa citt, al quarantaduesimo
grado di latitudine, incontra lesrcito tartaro di settecento-
mila uomini**, comandato da Gengis e dai suoi quattro fi
gli: i maomettani furono sconfitti e Otrar presa. Gi si serv
dellariete neUassedio: pare che questa macchina di guerra
sia una invenzione naturale di quasi tutti i popoli, come
larco e le frecce.^
Da questi paesi, che si trovano verso la Transoxana, il
vincitore si spinge a Bocara, citt celebre in tutta lAsia per
il suo grande cormnercio, le sue manifatture di stoflEe, soprat
tutto per le scienze che i sultani turchi avevano appreso dagli
Arabi e che fiorivano a Bocara e a Samarcanda. Anzi a pre
star fede al khan Abulcazi, che ci ha tramandato la storia
dei Tartari, Bocar significa sapiente in lingua tartaro-mongo-
la; appunto da questa etimologia, di cui non resta oggi nes
suna traccia, deriv il nome di Bocara. Dopo averla taglieg
giata, il Tartaro la ridusse in cenere, cos come Persepoli era
stata arsa da Alessandro; ma gli Orientali che hanno scritto
la storia di Gengis dicono che egli voUe vendicare i suoi am
basciatori, che il sultano aveva fatto uccidere prima di quel
la guerra. Se pu esserci qualche scusa per Gengis, non ve
ne sono punte per Alessancko.
Tutte queste regioni a oriente e a mezzogiorno del mar
Caspio furono assoggettate; e il sultano Mohammed, fuggia
sco di provincia in provincia, trascinandosi dietro i suoi te
sori e la sua sventura mori abbandonato dai suoi.
Alla fine il conquistatore penetr fino al fiume Indo, e
mentre uno dei suoi eserciti sottometteva lIndostan, un al
tro, al comando di uno dei suoi figli, soggiog tutte le pro
vince che sono a mezzogiorno e a occidente del mar Caspio,
il Korassan, lIrak, lo Shirvan, lAran; esso pass per le
porte di ferro, presso le quali la citt di Derbent*** fu co
struita, si dice, da Alessandro. Questo lunico passaggio da
* Il Syr-Daria.
** Bisogna sempre fare molta tara a queste valutazioni (N.d.A.).
*** DemirrKapu.
13/cn
CAPnCOLO SESSANTESIMO 1 ? 3
questa parte dellalta Asia, attraverso le montagne scoscese e
inaccessibili del Caucaso; da li, marciando lungo il Volga
verso Mosca, questesercito, dappertutto vittorioso, devast
la Russia. Significava prendere o uccidere del bestiame e de
gli schiavi. Carico di bottino, esso riattravers il Volga e tor
n verso Gengis dalla parte nord-est del mar Caspio. Nessun
viaggiatore aveva fatto, si dice, il giro di quel mare; e quel
le truppe furono le prime a compiere una simile scorribanda
attraverso paesi incolti, impraticabili per tutti fuorch per
dei Tartari, ai quali non occorrevano n tende, n vettova
glie, n bagagli, e che si nutrivano della carne dei loro caval
li morti di vecchiaia, come di quella degli altri animali.
Cos dunque met della Cina e met dellIndostan, quasi
tutta la Persia fino allEufrate, le frontiere della Russia, Ka-
san. Astrakan, tutta la Grande Tartaria furono soggiogate da
Gengis in circa diciottanni. certo che quella parte del
Tibet in cui regna il gran lama era inctineata nel suo impero,
e che il pontefice non fu affatto molestato da Gengis, che
contava molti adoratori di quellidolo umano nei suoi eser
citi. Tutti i conquistatori hanno sempre risparmiato i capi
delle religioni, sia perch questi capi li hanno lusingati, sia
perch la sottomissione del pontefice porta con s quella del
popolo.
Tornando dalle Indie attraverso la Persia e lantica Sog-
diana, si ferm nella citt di Toncat, a nord-est del fiume
Jaxarte, come al centro del suo vasto impero. I suoi figli,
vittoriosi da ogni parte, i suoi generali e tutti i principi tri
butari gli recarono i tesori dellAsia. Ne fece elargizioni ai
suoi soldati, che solo grazie a lui conobbero questa specie
di abbondanza. Per questo oggi i Russi trovano spesso or
namenti dargento e doro e monumenti di lusso sepolti nei
paesi selvaggi della Tartaria: quanto resta presentemente
di tante depredazioni.
Egli tenne nelle pianure di Toncat una corte plenaria
trionfale, magnifica quanto era stata guerriera quella che un
tempo gli prepar tanti trionfi. Vi si vide una mescolanza
di barbarie tartara e di lusso asiatico. Tutti i khan e i loro
194 SAGGIO SUI COSTUMI
vassalli, compagni delle sue vittorie, stavano su quegli antichi
carri sciti il cui uso si conserva ancora fin presso i Tartari del
la Crimea; ma quei carri erano coperti delle stofiEe preziose,
delloro e delle gemme di tanti popoli vinti. In quella dieta,
uno dei figli di Gengis fece dono al padre di centomila ca
valli. Appunto in quegli stati generali dellAsia egli rice
vette ladorazione di pi di cinquecento ambasciatori dei
paesi conquistati; di l corse a soggiogare di nuovo un grande
paese che era chiamato Tangut, verso le frontiere della Cina.
Allet di circa settantanni voleva andare a portare a termine
la conquista di quel grande regno della Cina, loggetto pi
caro alla sua ambizione; ma alla fine una malattia mortale
lo colse nel suo campo, lungo la via di quellimpero, a poche
leghe dalla grande muraglia (1226).
Mai, n prima n dopo di lui, nessun uomo ha soggio
gato un maggior numero di popoli. Egli aveva conquistato pi
di milleottocento leghe da oriente a ponente, e pi di miUe
da settentrione a mezzogiorno. Ma nelle sue conquiste di
strusse soltanto, e, salvo Bocara e due o tre altre citt di cui
permise che si riedificassero le rovine, il suo impero, dalla
frontiera della Russia fino a quella della Cina, fu una deva
stazione. La Cina fu meno saccheggiata perch, dopo la pre
sa di Pechino, ci che egli invase non resistette. Prima di mo
rire divise i suoi Stati tra i suoi quattro figli, e ognuno di
loro fu uno dei pi potenti re della terra.
Si assicura che sulla sua tomba furono sgozzati molti
uomini, e che si fece altrettanto alla motte dei suoi successori
che hanno regnato nella Tartaria. unantica usanza dei
principi sciti, che stata trovata in vigore da poco tempo
presso i negri del Congo; usanza degna di quanto la terra
abbia prodotto di pi barbaro. Si vuole che presso i domesti
ci dei khan tartari fosse im punto donore morire coi pro
pri padroni, e che si contendessero lonore di essere sepol
ti con loro. Se queh fanatismo era comune, se la morte era
cos poca cosa per quei popoli, essi erano fatti per soggioga
re le altre nazioni. I Tartari, la cui ammirazione per Gengis
raddoppi quando non lo videro pi, simmaginarono che
CAPITOLO SESSANTESIMO 19 5
non fosse nato come gli altri uomini, ma che sua madre laves
se concepito col solo soccorso deUinflusso celeste: come se la
rapidit delle sue conquiste non fosse un prodigio abbastan
za grande! Se a uomini simili si dovesse dare un essere so
prannaturale per padre, bisognerebbe supporre che si tratti
di un essere malefico.
I Greci, e prima di loro gli Asiatici, avevano spesso chia
mato figli degli di i loro difensori e i loro legislatori, e per
sino i predoni conquistatori. Lapoteosi, in tutti i tempi
dignoranza, stata prodigata a chiunque istmi o serv o
schiacci il genere umano.
I figli di quel conquistatore estesero ulteriormente la
dominazione che aveva lasciato loro U padre. Octai, e poco
dopo Kublai-khan, figlio dOctai, portarono a termine la
conquista della Cina. questo Kublai quello che Marco Pao
lo vide, verso lanno 1260, quando penetr con suo fratello*
e suo zio in quel paese di cui era ignoto allora persino il
nome, e che egli chiama Catai. LEuropa, in cui questo
Marco Paolo famoso per avere viaggiato negli Stati soggio
gati da Gengis e dai suoi figli, non conobbe per lungo tem
po n quegli Stati n i loro vincitori.
In verit, il papa Innocenzo IV invi alcuni francescani
in Tartaria (1246). Quei monaci, che si qualificavano amba
sciatori, videro assai poco, furono trattati col massimo disprez
zo e non servirono a niente.
Si sapeva tanto poco di quanto accadeva in quella vasta
parte del mondo, che un impostore, di nome David, diede
a credere a san Luigi, in Siria, che si recava presso di lui da
parte del gran khan di Tartaria, che si era fatto cristiano
(1258). San Luigi mand il monaco Rubruquis** in quei pae
si per informarsi di come stessero le cose. Pare, dalla rela
zione di Rubruqms, che egli sia stato introdotto al cospetto
del nipote di Gengis, che regnava in Cina. Ma quali notizie si
potevano trarre da un monaco che altro non fece se non
* In realt il padre di Marco Polo.
** Guglielmo Ruysbroeck, detto Rubruquis (intorno al 1220 - poste
riormente al 1293), missionario fiammingo, i cui racconti sui suoi viaggi in
Oriente furono raccolti in un volume (1735).
1 9 6 SAGGIO SUI COSTUMI
viaggiare presso popoli di cui ignorava le lingue, e che non
era in grado di rendersi ben conto di quanto vedeva? Dal
suo viaggio riport soltanto molte false nozioni e poche
verit indifferenti.
Cos dunque, nel tempo in cui i principi e i baroni cri
stiani insanguinavano il regno di Napoli, la Grecia, la Siria
e lEgitto, lAsia veniva saccheggiata dai Tartari; il nostro
emisfero soffriva quasi tutto nello stesso momento.
I monaci che viaggiarono in Tartaria, nel XIII secolo,
hanno scritto che Gengis e i suoi figh governavano dispoti
camente i loro Tartari. Ma s pu credere che dei conquista-
tori, armati per spartire il bottino con il loro capo, uomini
robusti, nati liberi, uomini errabondi che si coricavano din
verno sulla neve e destate sulla guazza, si siano lasciati trat
tare, da parte di alcuni condottieri eletti in piena campagna,
come i cavalli che servivano loro di cavalcatura e di nutri
mento? Non tale listinto dei popoli del Settentrione: gli
Alani, gli Unni, i Gepidi, i Turchi, i Goti, i Franchi furono
tutti compagni dei loro barbari capi, non gli schiavi. Il dispo
tismo si instaura solo a lungo andare; si genera dalla lotta
dello spirito di dominio contro lo spirito dindipendenza.
Per schiacciare, il capo ha sempre mezzi pi numerosi di
quanto i suoi compagni non ne abbiano per resistere; e
alla fin fine il denaro rende assoluti.
(1243) Il monaco Pian del Carpine*, inviato dal papa
Innocenzo IV a Caracorum, allora capitale della Tartaria,
testimone dellinsediamento di un figlio del gran khan Octai,
riferisce che i maggiorenti tartari fecero sedere quel khan
su una pezza di feltro, e gli dissero: Onora i grandi, sii
giusto e benefico verso tutti; altrimenti sarai tanto misera
bile, che non avrai nemmeno il feltro sul quale sei seduto.
Queste non sono parole di un cortigiano schiavo.
Gengis us il diritto che hanno sempre avuto tutti i prin-
* Giovanni da Pian del Carpine (1220-?), francescano inviato da papa
Innocenzo IV presso il gran khan nel 1246 per far cessare le persecuzioni
contro i cristiani. Ha lasciato una narrazione dellavventuroso viaggio,
pubblicata in riassunto nel 1537 e iategralmente nel 1839. Venne poi no
minato vescovo di Antibari.
CAPITOLO SESSANTESIMO 19 7
dpi deirOriente di scegliere i propri eredi e di fare sparti
zioni tra i loro figli senza riguardo alla primogenitura, di
ritto simile a quello di tutti i padri di famiglia nella legge
romana. Egli proclam gran khan dei Tartari il suo terzo
figlio Qctai, la cui posterit regn nella Cina settentrionale
fin verso la met del XIV secolo. La forza delle armi vi aveva
introdotto i Tartari; le contese religiose li ricacciarono via.
I sacerdoti lama vollero sterminare i bonzi; costoro fecero
insorgere i popoH. I principi di sangue cinese approfittarono
di quella discordia ecdesia:stica e cacciarono alla fine i loro
dominatori, che labbondanza e la tranquillit avevano svi
goriti.
Un altro figlio di Gengis, di nome Tuci, ebbe il Turke
stan, la Battriana, il regno di Astrakan e il paese degli Usbec-
chi. Il figlio di questo Tuci and a saccheggiare la Polonia,
la Dalmazia, lUngheria, i dintorni di Costantinopoli (1234,
1235). Si chiamava Batu-khan. I principi della Tartaria Cri
mea discendono da lui in linea maschile; e i khan usbecchi,
che abitano oggi la vera Tartaria, verso il settentrione e
loriente del mar Caspio, fanno risalire anchessi la loro ori
gine a questa fonte. Sono padroni della Battriana settentrio
nale, ma conducono in quei bei paesi solo una vita erra
bonda e funestano la terra che abitano.
Tuti, o Tuli, altro figlio di Gengis, ebbe la Persia men
tre suo padre era ancora in vita. Il figlio di questo Tuti, di
nome Hulacu, pass lEufrate, che Gengis non aveva passato;
distrusse per sempre a Bagdad limpero dei califfi, e simpa
dron di una parte dellAsia minore, o Anatolia, mentre i
padroni naturali di questa bella parte dellimpero di Costan
tinopoli venivano scacdati dalla loro capitale dai cristiani
crociati.
Un quarto figlio, di nome Zagatai, ebbe la Transoxana,
Candahar, lindia settentrionale, il Kashmir, il Tibet; e tutti
i discendenti di questi quattro monarchi mantennero per qual
che tempo con le armi le loro monarchie instaurate col bri
gantaggio.
Se si paragonano quelle vaste e improvvise depredazioni
1 9 8 SAGGIO SUI COSTUMI
con quanto; avviene oggigiorno nella nostra Europa, si vedr
unenorme differenza. I nostri capitani, che capiscono larte
della guerra infinitamente meglio dei Gengis e di tanti altri
conquistatori, i nostri eserciti, un distaccamento dei quali
avrebbe disperso con qualche cannone tutte quelle orde di
Unni, di Alani e di Sciti, oggi possono a malapena prendere
qualche citt nelle loro spedizioni pi fortunate. Il fatto
che allora non vera nessuna arte, e che la'forza decideva
la sorte del mondo.
Gengis e i suoi figli, avanzando di conquista in con
quista, credettero che avrebbero soggiogato tutta la terra abi
tabile; con questo intento, da una parte Kublai, padrone
della Cina, invi un esercito di centomila uomini su mille
imbarcazioni, chiamate giunche, per conquistare il Giappone,
e dallaltra Batu-khan penetr nelle frontiere dellItalia. Il
papa Celestino IV gli invi quattro religiosi, soli ambascia-
tori che potessero accettare un tale incarico. Frate Asselin
riferisce che pot parlare solo con uno' dei capitani tartari, il
quale gli dette questa lettera per il papa;
Se vuoi rimanere sulla terra, vieni a renderci omaggio.
Se non obbedisci, sappiamo che cosa ne seguir. Mandaci
nuovi deputati per dirci se vuoi essere nostro vassallo o no
stro nemico.
Si rimproverato a Carlomagno di avere diviso i suoi
Stati; se ne deve lodare Gengis. Gli Stati di Carlomagno
erano contigui, avevano pressa poco le stesse leggi, erano
sotto la stessa religione e potevano essere governati da un
solo uomo; quelli di Gengis, assai pi vasti, intersecati da
deserti, divisi in religioni diflEerenti, non potevano obbedire
a lungo al medesimo scettro.
Ci nonostante quella vasta potenza dei Tartari-Mongoli,
fondata verso lanno 1220, sindebol da ogni parte; fino a
che Tamerlano, pi dun secolo dopo, instaur una monar
chia universale nellAsia, monarchia che si suddivise an-
chessa.
La dinastia di Gengis regn a lungo in Cina sotto il no
me di Ivan. V da credere che la scienza dellastronomia.
CAPITOLO SESSANTESIMO 1 9 9
che aveva reso i Cinesi cos celebri, decadesse molto in quella
rivoluzione: perch in quei tempi in Cina si trovano soltan
to astronomi maomettani; ed essi sono quasi sempre stati
in grado di regolare il calendario fino allarrivo dei gesuiti.
forse questa la ragione della mediocrit in cui sono
rimasti i Cinesi*.
Questo quanto conviene che sappiate sui Tartari di quei
tempi remoti. Non vi si trova ne diritto civile, n diritto ca
nonico, n divisione fra trono e altare e fra tribunali di giu
dicatura, n concili, n universit, n alcunch di ci che ha
perfezionato o sovraccaricato la societ tra di noi. I Tar
tari partirono dai loro deserti verso Tanno 1212, ed ebbero
conquistato la met dellemisfero verso lanno 1236; questa
tutta la loro storia.
Volgiamoci ora verso lOccidente, e vediamo che cosa
accadeva nel XIII secolo in Europa.
2 0 0 SAGGIO SUI COSTUMI
* Coloro che hanno sostenuto che i grandi monumenti di tutte le arti,
in Cina, siano invenzione dei Tartari, si sono stranamente ingannati: come
hanno -potuto supporre che dei barbari sempre errabondi, il cui capo, Gen-
gis, non sapeva n leggere n scrivere, fossero pi istruiti della nazione
pi civile e pi antica della terra? (N.d.A.).
DI CARLO DANGI, RE DELLE DUE SICILIE. DI
MANFREDI, DI CORRADINO, E DEI VESPRI SICILIANI
^^en tre la grande rivoluzione dei Tartari seguiva il suo
corso, mentre i figli e i nipoti di Gengis si spartivano la
maggior parte del mondo, mentre le crociate continuavano,
e san Luigi preparava infelicemente lultima, lillustre casa
imperiale di Svevia fin in una maniera inaudita fino allo
ra: quanto restava del suo sangue scorse su un patibolo.
Limperatore Federico II era stato a un tempo impera
tore dei papi, loro vassallo e loro nemico. Rendeva loro
omaggio ligio per il regno di Napoli e di Sicilia. (1254) Suo
figlio Corrado IV prese possesso di questo regno. Non trovo
nessun autore che non assicuri che questo Corrado fu avve
lenato da suo fratello Manfreddo o Manfredi, bastardo di
Federico; ma non ne trovo alcuno che ne adduca la minima
prova.
Questo stesso imperatore Corrado IV era stato accusato
di avere avvelenato il fratello Enrico: vedrete che in tutti
i tempi i sospetti di veneficio sono pi comuni del veleno
stesso.
Questo omaggio ligio che si prestava alla corte romana
per i regni di Napoli e di Sicilia fu una delle fonti delle
calamit di queste province, di quelle della casa imperiale
di Svevia e di quelle della casa dAngi, la quale, dopo avere
spogliato gli eredi legittimi, per essa stessa miseramente.
Questo omaggio fu dapprima, come avete visto, una sem
plice cerimonia pia e abile dei conquistatori normanni che,
come tanti altri principi, posero i loro Stati sotto la prote-
CAPITOLO LXI
zione della Chiesa, per fermare con la scomunica, se era
possibile, chi avesse voluto strappare loro ci che avevano
usurpato. I papi trasformarono presto in omaggio questa
oblazione; e non essendo sovrani di Roma, erano signori
supremi delle Due Sicilie.
Limperatore Federico II lasci Napoli e la Sicilia nella
condizione pi florida: sagge leggi istituite, citt erette, Na
poli abbellita, le scienze e le arti in onore furono i suoi mo
numenti. Questo regno doveva appartenere allimperatore
Corrado suo figlio; non si sa se Manfreddo, che noi chia
miamo Manfredi, fosse figlio legittimo o bastardo di Fede
rico II; l imperatore nel suo testamento sembra conside
rarlo figlio legittimo: gli d Taranto e parecchi altri principati
in sovranit; lo nomina reggente del regno durante lassen
za di Corrado, e lo proclama suo successore nel caso che
Corrado e Enrico dovessero morire senza figli: fin qui tutto
sembra pacifico. Ma gli Italiani non obbedivano mai se non
loro malgrado al sangue germanico; i papi detestavano la
casa di Svevia e volevano cacciarla dallItalia; i partiti guelfo
e ghibeHino sussistevano in tutta la loro forza da un capo
allaltro dellItalia.
Il famoso papa Innocenzo IV, che aveva deposto a Lione
limperatore Federico II, vale a dire che aveva osato procla
marlo deposto, sosteneva energicamente che i figli di uno
scomunicato non potevano succedere al padre.
Innocenzo si affrett dunque a lasciare Lione per re
carsi alle frontiere di Napoli a esortare i baroni a non ob
bedire a Manfreddo, che noi chiamiamo Manfredi. Questo
vescovo combatteva solo con le armi dellopinione; ma voi
avete visto quanto fossero pericolose queste armi. Manfredi
diffid dei suoi baroni, devoti, faziosi e nemici del sangue
di Svevia. Cerano ancora Saraceni nella Puglia. Limperato
re Federico II, suo padre, aveva sempre avuto una guardia
composta di questi maomettani; la citt di Lucera, o Nocera,
era piena di questi Arabi; era chiamata Lucera a pagani*,
la citt dei pagani. I maomettani erano ben lontani dal me-
* In italiano nel testo.
2 0 2 SAGGIO SUI COSTUMI
fitare questo nome che gli Italiani davano loro. Nessun po
polo fu pi lontano da ci che noi chiamiamo impropria
mente il paganesimo e fu pi fermamente e pienamente at
taccato allunit di Dio. Ma quel termine di pagani aveva
reso inviso Federico II, che aveva impiegato degli Arabi nei
suoi eserciti; esso rese Manfreddo pi inviso ancora. Man
freddo tuttavia, aiutato dai suoi maomettani, sofioc la ri
volta, e tenne a freno tutto il regno, salvo la citt di Napoli,
che riconobbe il papa Innocenzo come suo unico padrone.
Questo papa pretendeva che le Due Sicilie gli erano state
devolute e gli appartenevano di diritto, in virt delle pa
role che egli aveva pronunziato deponendo Federico II e la
sua stirpe al concilio di Lione. Limperatore Corrado IV giun
ge aEora per difendere la sua eredit; prende dassalto la
sua citt di Napoli: il papa fugge a Genova, sua patria, e
l non prende altro partito se non quello di offrire il regno
al principe Riccardo, fratello del re dInghilterra Enrico
III, principe che non era in grado di armare due vascelli, e
che ringrazi il santo padre del suo pericoloso dono.
(1254) I dissensi inevitabili tra Corrado, re tedesco, e
Manfreddo, italiano, servirono la corte romana pi di quanto
non fecero la politica e le maledizioni del papa. Corrado mo
ri, e si sostiene, come vi ho detto, che mori avvelenato. La
corte papale avvalor questo sospetto. Corrado lasciava la
sua corona di Napoli a un bambino di dieci anni; quello
sventurato Corradino che vedremo morire di una fine cos
tragica. Corradino era in Germania: Manfreddo era am
bizioso; sparse la voce che Corradino era morto, e si fece
prestare giuramento come reggente se Corradino era in vita,
e come re se quel figlio dellimperatore non era pi. Inno
cenzo aveva sempre per s nel regno la fazione dei Guelfi,
il partito nemico della casa imperiale, e aveva inoltre per s le
sue scomuniche: si dichiar egli stesso re delle Due Sidlie
e diede delle investiture. Cosi finalmente i papi sono re
di quel paese conquistato da gentiluomini di Normandia.
(1253 e 1254) Ma questa regalit fu soltanto transitoria: il
papa ebbe un esercito, ma non sapeva comandarlo; vi pose
CAPITOLO SESSANTUNESIMO 2 0 3
a capo un legato; Manfreddo, con i suoi maomettani e alcuni
baroni poco scrupolosi, sbaragli completamente il legato del
lesercito pontificio.
In questi frangenti appunto il papa Innocenzo, non po
tendo prendere per s U regno di Napoli, si rivolse alla fine
al conte dAngi, fratello di san Luigi, (1254) e gli oflEr una
corona di cui non aveva alcun diritto di disporre, e alla quale
il conte dAngi non aveva alcun diritto ^ pretendere. Ma
il papa mori appena iniziata questa trattativa: a tanto giun
gono tutti i progetti dellambizione che tormentano cosi
orribilmente la vita.
Rinaldo de Signi*, Alessandro IV, succedette a Inno
cenzo IV e a tutti i suoi progetti. Non pot aver suc
cesso con il fratello di san Luigi re di Francia; questo re
purtroppo aveva appena dissanguato la Francia con la sua
crociata e con il suo riscatto in Egitto, e spendeva il poco
che gli rimaneva a ricostruire in Palestina le mura di alcune
citt sulla costa, citt ben presto perdute per i cristiani.
Il papa Alessandro IV cominci col citare di fronte a s
Manfreddo; ne aveva il diritto grazie alle leggi dei feudi, poi
ch quel principe era suo vassallo. Ma poich quel diritto
poteva essere soltanto quello del pi forte, non sembrava
verosimile che un vassallo armato compatisse davanti al suo
signore. Alessandro era a Napoli, le cui porte gli erano sta
te aperte grazie ai suoi intrighi. Tratt con il suo vassallo,
che era in Puglia; questi preg il santo padre di mandargli
un cardinale per trattare con lui. La corte del papa decise
non convenire sanctae sedis honori, ut cardmales isto modo
mittantur; che non si addiceva allonore della santa sede di
inviare cosi dei cardinali.
La guerra civile continu dunque; il papa bandi una
crociata contro Manfredi, cos come ne erano state bandite
contro i musulmani, gli imperatori e gli Albigesi. Corre una
grande distanza tra Napoli e lInghilterra; tuttavia questa
crociata vi fu predicata; un nunzio and a levarvi delle de
cime (1255): questo nunzio sciolse dal voto il re Enrico
* Pi esattamente Reginaldo dei conti di Segni.
2 0 4 SAGGIO SUI COSTUMI
III, che aveva giurato di andare a fare la guerra in Palestina,
e gli fece fare un altro voto di fornire denaro e truppe al
papa nella guerra contro Manfreddo.
Matthieu Paris* riferisce che il nunzio raccolse cinquan
tamila lire sterline in Inghilterra. A vedere gli Inglesi doggi,
non si crederebbe che i loro antenati siano potuti essere tan
to imbecilli. La corte papale, per estorcere quel denaro, lu
singava il re con loflEerta della corona di Napoli per il prin
cipe Edmondo, suo figlio: ma aUo stesso tempo trattava con
Carlo dAngi, sempre pronta a dare le Due Sicilie a chi
volesse pagarle di pi. Tutte queste trattative fallirono per il
momento; il papa sperper il denaro che aveva raccolto in
Inghilterra per la sua crociata, e non la fece; Manfreddo re
gn, e Alessandro IV mor senzaltro risultato se non quello
di estorcere denaro allInghilterra (1260).
Un ciabattino, divenuto papa sotto il nome di Urbano
IV, continu quanto i suoi predecessori avevano cominciato.
Questo ciabattino era di Troyes in Champagne; il suo pre
decessore aveva fatto predicare una crociata in Inghilterra
contro le Due Sidlie, costui ne fece predicare una in Fran
cia; prodig indulgenze plenarie, ma pot avere solo poco
denaro, e alcuni soldati che un conte di Fiandra, genero di
Carlo dAngi, condusse in Italia. Carlo accett alla fine la
corona di Napoli e di Sicilia: il re san Luigi vi consenti;
ma Urbano IV mor senza aver potuto vedere gli inizi di
questa rivoluzione (1264).
Cos tre papi consumarono la propria vita a persegui
tare invano Manfreddo. Un Occitano (Clemente IV), suddi
to di Carlo dAngi, port a termine quanto gli altri avevano
cominciato, ed ebbe lonore di avere U suo padrone per vas
sallo. Quel conte dAngi, Carlo, possedeva gi la Provenza
per matrimonio, e una parte della Linguadoca; ma quello
che aumentava la sua potenza era lavere sottomesso la cit
t di Marsiglia. Aveva anche una dignit che un uomo abile
* Matthew Paris, monaco benedettino inglese, morto nel 1259, crona
chista, disegnatore e cartografo. Le sue opere storiche costituiscono la pi
importante fonte per la conoscenza degli eventi europei tra il 1235 e il
1259.
CAPITOLO SESSANTUNESIMO 2 0 5
poteva far valere, quella cio di senatore unico di Roma;
infatti i Romani difendevano sempre la loro libert contro i
papi; da centanni avevano creato questa dignit di senatore
unico, che faceva rivivere i diritti degli antichi tribuni. Il
senatore era alla testa del governo municipale, e i papi, che
davano corone tanto liberalmente, non potevano' mettere
unimposta sui Romani; erano quello che im elettore nella
citt di Colonia. (1265) Clemente diede linvestitura al suo
ex padrone solo a condizione che avrebbe rinunciato a quel
la dignit dopo tre armi, che avrebbe pagato ogni anno tre
mila once doro alla santa sede, per la dipendenza* del
regno di Napoli, e che, qualora il pagamento fosse stato dif
ferito per pi di due mesi, egli sarebbe stato scomunicato.
Carlo sottoscrisse senza difficolt queste condizioni e tutte le
altre. Il papa gli concese di levare una decima sui beni ec
clesiastici di Francia. Carlo parte con denaro e truppe, si fa
incoronare a Roma, d battaglia a Manfredi nelle piane di
Benevento e ha tanta fortuna che Manfredi venga ucciso in
combattimento (1266). Us duramente della vittoria e si mo
str tanto crudele quanto suo fratello san Luigi era umano.
Il legato si oppose che si desse sepoltura a Manfredi. I re
si vendicano solo dei vivi; la Chiesa si vendicava dei vivi e
dei morti.
Intanto il giovane Corradino, vero erede del regno di
Napoli, era in Germania durante questo interregno che la
funestava e mentre gli si strappava il regno di Napoli; i suoi
fautori lo incitano ad andare a difendere la sua eredit. Ave
va appena quindici anni; il suo coraggio era superiore al
let: si pone alla testa di un esercito con U. duca dAustria,
suo parente, e va a difendere i suoi diritti (1268). I Ro
mani erano per lui. Corradino, scomunicato, viene accolto
a Roma tra le acclamazioni di tutto il popolo, nel medesimo
tempo in cui il papa non osava avvicinarsi alla sua capitale.
Si pu dire ^ e di tutte le guerre di quel secolo la pi
* Nel testo: mouvance. Dipendenza traduce approssimativamente questo
termine della giurisprudenza feudale, che indica la dipendenza di un feudo
dallaltro.
2 0 6 SAGGIO SUI COSTUMI
giusta era quella che faceva Comdino; fu la pi sfortunata.
Il papa fece predicare la crociata contro di lui, come contro
i Turchi. Questo principe viene sconfitto e catturato in Puglia,
con il suo parente Federico, duca dAustria. Carlo dAngi,
che avrebbe dovuto onorare il loro coraggio, li fece condan
nare da alcuni giureconsulti: la sentenza dichiarava che me
ritavano la morte per aver preso le armi contro la Chiesa.
Questi due principi furono pubblicamente giustiziati a Napo
li per mano del boia.
Gli storici contemporanei di maggior credito e pi fe
deli, i Guicciardini e i de Thou* di quei tempi, riferiscono
che Carlo dAngi consult il papa Clemente IV, un tempo
suo cancelliere in Provenza e allora suo protettore, e die
quel prete gli rispose in stile doracolo: ""vita Corradini, mors
Caroli; mors Corradini, vita Caroli**\ Nondimeno i servi
togati di Carlo passarono dieci mesi interi a prender consi
glio su quellassassinio che dovevano commettere con la spa
da della giustizia. La sentenza fu emessa solo dopo la morte
di Clemente IV***.
Non ci si pu meravigliare abbastanza che Luigi IX, poi
canonizzato, non abbia mosso alcun rimprovero al fratello' per
unazione cos barbara, cos vergo^osa e cos poco poli
tica, lui che gli Egiziani avevano risparmiato tanto gene
rosamente in circostanze assai meno favorevoli. Doveva con
dannare pi di chiunque altro la fredda ferocia di Carlo suo
fratello.
Il vincitore, tanto indegno di esserlo, invece di ingra
ziarsi i Napoletani, li irrit con oppressioni; e i suoi Proven
zali e lui furono aborriti.
opinione generale che un gentiluomo di Sicilia, di no
me Giovanni da Procida, travestito da cordigliere, tramasse
quella famosa congiura per la quale tutti i Francesi avreb
bero dovuto essere trucidati alla stessa ora, il giorno di Pa
squa, al suono della campana dei vespri. certo che quel
* Per questi due storici si veda Vindice del I volutae.
** La vita di Corradino la morte di Carlo; la morte di Corradino
la vita di Carlo.
*** S vedano Armali dellimpero sulla casa di Sveva (N.d.A.).
CAPITOLO SESSANTUNESIMO 2 0 7
Giovanni da Prodda aveva preparato in Sicilia tutti gli animi
a una rivoluzione, che era passato per Costantinopoli e in
Aragona, e che il re dAragona, Pietro, genero di Manfredi,
si era alleato con limperatore greco contro Carlo dAngi;
ma non verosimile che si sia tramata proprio la cospirazione
dei Vespri siciliani. Se la congiura fosse stata ordita, biso
gnava soprattutto portarla. a effetto nel regno di Napoli;
eppure nessun Francese vi fu ucciso. Malespina* racconta che
un Provenzale, di nome Droguet**, violasse a Palermo una
donna il giorno dopo Pasqua, mentre il popolo andava ai
vespri; la donna grid, il popolo accorse, il Provenzale fu uc
ciso (1282). Questo primo moto duna vendetta privata
anim lodio generale. I Siciliani, incitati da Giovaimi da
Procida e dal loro furore, gridarono che bisognava massa
crare i nemici. A Palermo si fece man bassa su tutti i pro
venzali che si trovarono: la stessa ira che era in tutti i cuori
caus poi il medesimo massacro nel resto dellisola; si dice
che venivano sventrate le donne incinte per strapparne i
bambini mezzo formati, e che gli stessi religiosi massacra-,
vano le loro penitenti provenzali: ci fu, si dice, un solo gen
tiluomo, chiamato des Porcellets, che sfugg. Tuttavia
certo che il governatore di Messina, con la sua guarnigione,
si ritir dallisola nel regno di Napoli.
Il sangue di Corradino fu cos vendicato, ma non su co
lui che laveva versato. I Vespri siciliani attirarono altre
nuove sciagure su quei popoli che, nati nel clima pi for
tunato dalla terra, erano ci nonostante pi malvagi e pi scia
gurati. tempo di vedere quali nuovi disastri furono pro
dotti in quello stesso secolo dallabuso delle crociate e da
quello della religione.
2 0 8 SAGGIO SUI COSTUMI
* R i c o r d a n o e G i a c h e t t o M a l e s p i n i , Historia fiorentina db urbe con
dita, usque ad annum 1268, i n L. A. M u r a t o r i , Rerum Italicarum Scripto-
res, 1723-1751, voi. V i l i .
** Fer giustificare Droguet, si vuole chegli si fosse contentato di solle
vare la veste a quella dama per la strada: sono daccordo (N.d.A.).'
DELLA CROCIATA CONTRO GLI OCCITANI
L e contese sanguinose dellimpero e del sacerdozio, le ric
chezze dei monasteri, labuso che tanti vescovi avevano fatto
del loro potere temporale, dovevano prima o poi far ribel
lare gli animi e ispirare loro una segreta indipendenza. Ar
naldo da Brescia aveva osato incitare i popoli a scuotere il
giogo fin entro Roma. Si ragion molto in Europa sulla re
ligione gi dal tempo di Carlomagno. certissimo che i
Franchi e i Germani non conoscevano allora n immagini,
n reliquie, n transustanziaaione. Vi furono poi uomini che
non vollero altra legge se non il Vangelo, e che predicarono
pressa poco gli stessi dogmi che seguono oggi i protestanti.
Venivano chiamati Valdesi, perch ve nerano molti nelle
vallate del Piemonte; Albigesi, a causa della citt di Albi;
bonshommes*, per la regolarit di cui si vantavano'; infine
manichei, dal nome che veniva dato allora in genere agli
eretici. Ci si meravigli, verso la fine del XII secolo, che la
Linguadoca ne sembrasse tutta piena.
Fin dallanno 1198, il papa Innocenzo II I deleg due
semplici monaci di Cteaux per giudicare gli eretici. Noi
intimiamo, egli dice, ai principi, ai conti e a tutti i
signori della vostra provincia di assisterli efficacemente con
tro gli eretici, con il potere che hanno ricevuto- per la pu
nizione dei malvagi; modo che, dopo che frate Ranieri
avr pronunciato contro di loro la scomunica, i signori con-
* Bons-hommes era propriamente il nome che si erano attribuiti gli
Albigesi.
1 4 / c n
CAPITOLO LXII
fischino i loro beni, li bandiscano dalle loro terre e li puni
scano pi severamente se osano resistere. Ora noi abbiamo
dato potere a frate Ranieri di costringere a ci i signori con
scomunica e interdetto sui loro beni, ecc. Questo fu il
primo fondamento dellinquisizione.
Un abate di Cteaux fu poi nominato con altri monaci
per andare a fare a Tolosa ci che doveva farvi il vescovo.
Questo modo di procedere indign il conte de Foix e tutti
i principi del paese, gi sedotti dai riformatori e irritati con
tro la corte di Roma.
La setta era composta in gran parte da una borghesia ri
dotta allindigenza dalla lunga schiavit, da cui si era appe
na usciti, e anche dalle crociate. Labate di Cteaux compa
riva con lequipaggio' di un principe. Invano volle parlare da
apostolo; il popolo gli gridava: Abbandonate il lusso o il
sermone . Uno Spagnuolo, vescovo di Osma*, uomo eccel
lente, che si trovava allora a Tolosa, consigli gli inquisi
tori di rinunciare ai loro equipaggi suntuosi, di camminare
a piedi, di vivere con austerit e dimdtare gli Albigesi per
convertirli. San Domenico, che aveva accompagnato quel
vescovo, diede con lui lesempio di questa vita apostolica, e
parve allora auspicare che non si adoprassero mai altre armi
contro gli errori. Ma Pietro de Castelnau, uno degli inquisi
tori, fu accusato di servirsi delle armi che gli erano proprie,
incitando in segreto alcuni signori vicini contro il conte di
Tolosa e suscitando una guerra civile (1207). Questinqui-
sitore fu assassinato. Il sospetto cadde sul conte di Tolosa.
Il papa Innocenzo III non esit a sciogHere dal loro giu
ramento di fedelt i sudditi del conte di Tolosa, Cos veni
vano trattati i discendenti di quel Raimondo' di Tolosa, che
aveva per primo servito la cristianit nelle crociate.
Il conte, che sapeva quanto poteva talvolta una bolla,
si sottomise alla soddisfazione che si esigeva da lui (1209).
Uno dei legati del papa, di nome Milone, gli ordina di an
dare a trovarlo a Valenza, di consegnargli sette castelli che
possedeva in Provenza, di prendere egli stesso la croce contro
* Si deve probabilmente leggere Osuna.
2 1 0 SAGGIO SUI COSTUMI
gli Albigesi suoi sudditi, di fare ammenda onorevole. Il
conte obbed a tutto: comparve davanti al legato alla por
ta della chiesa di SantEgidio*, nudo fino alla cintola, scalzo,
a gambe nude, indossando solo delle brache; ivi un diacono
gli mise una corda al collo e un altro diacono lo fustig,
mentre il legato reggeva un capo- della corda; dopo di che fu
fatto prosternare il principe alla porta di quella chiesa men
tre il legato cenava.
Si vedevano da una parte il duca di Borgogna, il conte di
Nevers, Simone conte de Montfort, i vescovi di Sens, di
Autun, di Nevers, di Clermont, di Lisieux, di Bayeux,
alla testa delle loro truppe, e linfelice conte di Tolosa in
mezzo a loro, come loro ostaggio; dallaltra parte, dei po
poli animati dal fanatismo della persuasione. La citt di
Bziers volle resistere contro i crociati; furono massacrati
tutti gli abitanti rifugiati in una chiesa; la citt fu ridotta in
cenere. I cittadini di Carcassonne, atterriti da quellesempio,
implorarono la misericordia dei crociati: fu lasciata loro' la
vita. A essi fu concesso di uscire quasi nudi dalla citt, e ci
si impadron di tutti i loro beni.
Al conte Simone de Montfort veniva dato il nome di
Maccabeo. Egli simpadron di gran parte del paese, assi
curandosi alcuni castelli dei signori sospetti, assalendo quelli
che non si consegnavano nelle sue mani e perseguendo gli
eretici che osavano difendersi. Gli stessi scrittori ecclesia
stici raccontano che, avendo Simone de Montfort acceso un
rogo per quegli infelici, ve ne furono centoquaranta che cor
sero, cantando salmi, a precipitarsi tra le fiamme. Il gesuita
Daniel, parlando di quegli infelici nella sua Storia di Francia,
li chiama infami e detestabili. ben evidente che uomini che
si precipitavano cos al martirio non avevano costumi infami.
Certamente di detestabile c soltanto la barbarie con cui
furono trattati e dinfame ci sono soltanto le parole di Da
niel. Si pu unicamente deplorare laccecamento di quegli
sventurati, i quali credevano che Dio li avrebbe ricompensati
perch dei monaci li facevano bruciare.
Lo spirito di giustizia e di ragione, che si poi introdot
CAPITOLO SESSANTADUESIMO 2 1 1
to nel diritto pubblico dellEuropa, ha fatto finalmente ca
pite che non cera nulla di pi ingiusto della guerra contro
gli Albigesi. Non si assalivano popoli ribelli al loro principe;
si assaliva il principe stesso per costringerlo a distruggere
i suoi popoli. Che si direbbe oggi se qualche vescovo an
dasse ad assediare l elettore di Sassonia o lelettore Palatino,
col pretesto che i sudditi di quei principi seguono impune
mente cerimonie diverse da quelle dei sudditi di quei ve
scovi?
Spopolando la Linguadoca, si spogliava il conte di To
losa. Egli si era difeso solo con le trattative. (1210) And di
nuovo in SantEgidio a trovare i legati e gli abati che erano
alla testa di quella crociata; pianse davanti a loro; gli fu
risposto che le sue lacrime venivano da furore. Il legato gli
lasci la. scelta tra cedere a Simone de Montiort quanto quel
conte aveva usurpato, o essere scomunicato. Il conte di To
losa ebbe almeno il coraggio di scegliere la scomunica: si ri
fugi presso Pietro II, re dAragona, suo cognato, che ne
prese le difese e che aveva doglianze da muovere contro il
capo dei erodati quasi quanto il conte di Tolosa.
Frattanto la smania di conseguire indulgenze e ricchezze
moltiplicava i crociati. I vescovi di Parigi, di Lisieux, di
Bayeux accorsero allassedio di Lavaur; vi furono catturati
ottanta cavalieri, con il signore di quella citt, che tutti fu
rono condannati allimpicagione; ma, essendo rotte le for
che patibolari, quei prigionieri vennero abbandonati ai cro
ciati, che li massacrarono (1211). Si gett in un pozzo la
sorella del signore di Lavaur, e attorno al pozzo furono
bruciati trecento abitanti che non vollero rinunciare alle loro
opinioni.
Il principe Luigi, che fu poi il re Luigi VIII, si uni in
verit ai crociati per avere parte alle spoglie; ma Simone de
Montfort allontan tosto un compagno che sarebbe stato
suo padrone.
Era nellinteresse dei papi dare quei paesi a Montfort;
e questo progetto era a tal punto perfezionato, che il re
dAragona non pot mai ottenere la minima grazia con la
2 1 2 SAGGIO SUI COSTUMI
sua mediazione. Risulta che prese le armi solo quando non
pot fame a meno.
(1213) La battaglia che egli diede ai crociati presso To-
losa^ nella quale fu ucciso, pass per una delle pi straor
dinarie di questo* mondo. Uno stuolo di scrittori ripetono
che Simone de Montfort, con solo ottocento cavalieri e mil
le fanti, attacc lesercito del re dAragona e del conte di To
losa, che assediavano Muret; dicono che il re dAragona ave
va centomila combattenti, e che mai vi fu rotta pi com
pleta; dicono che Simone de Montfort, il vescovo di Tolosa
e il vescovo di Comminge divisero il loro esercito in tre
corpi, in onore della santa Trinit.
Ma quando si hanno di fronte centomila nemici, si va
forse ad assalirli in piena campagna con milleottocento uomi
ni e si divide una truppa cos esigua in tre corpi? un mi
racolo, dicono alcuni scrittori; ma gli uomini darme, che
leggono tali avventure, le chiamano assurdit.
Parecchi storici assicurano che san Domenico, alla testa
delle truppe e con un crocifisso di ferro in mano, incitava i
crociati alla carneficina. Non era quello il posto di un santo;
e bisogna ammettere che se Domenico era confessore, il
conte di Tolosa era martire.
Dopo questa vittoria il papa tenne un concilio generale
a Roma. Il conte di Tolosa and a chiedervi grazia. Non rie
sco a rendermi conto su quale fondamento sperava che gli
venissero restituiti i suoi Stati; fu molto fortunato a non per
dere la libert. Il concilio stesso spinse la misericordia fino
a decretare che avrebbe goduto di una pensione di quattro-
cento marchi o scudi dargento. Se si tratta di marchi, cor
risponde a circa ventiduemila franchi odierni; se si tratta di
scudi, corrisponde a circa milleduecento franchi: lultima ipo
tesi pi probabile, atteso che quanto meno denaro gli ve
niva datO', tanto pi ne restava per la Chiesa.
Quando Innocenzo III fu morto, Raimondo di Tolosa
non fu trattato meglio (1218). Fu assediato nella sua capi
tale da Simone de Montfort; ma quel conquistatore vi tro
v la fine dei suoi successi e della sua vita; un macigno schiac
CAPITOLO SESSANTADUESIMO 2 1 3
ci quelluomo cKe, facendo tanto male, aveva acquistato
tanta fama.
Egli aveva' un figlio al quale il papa diede tutti i diritti
del padre; ma il papa non pot dargli lo stesso credito. La
crociata contro la Linguadoca ormai languiva. Il figlio del
vecchio Raimondo, che era succeduto a suo padre, era sco
municato come lui. Allora il re di Francia, Luigi V ili, si
fece cedere dal giovane Montfort tutti quei paesi che Mont-
fort non poteva conservare; ma la morte ferm Luigi V ili
nel bel mezzo delle sue conquiste.
Il regno di san Luigi, nono del nome, cominci purtrop
po con quellorribile crociata contro cristiani suoi vas
salli. Non con delle crociate era destinato a coprirsi di
gloria quel monarca. La regina Bianca di Castiglia, sua ma
dre, donna devota al papa, spagnuola, fremente al nome di
eretico, e tutrice di un pupillo al quale dovevano' spettare le
spoglie degli oppressi, prest le poche forze che aveva a un
fratello di Montfort, per portare a termine il saccheggio del
la Linguadoca: il giovane Raimondo si difese. (1227) Si
fece una guerra simile a quella che abbiamo visto nelle Ce-
venne. I preti non perdonavano mai gli Occitani, questi
non risparmiavano i preti (1228). Nel corso di due anni,
chiunque fosse stato fatto prigioniero venne messo a morte,
ogni piazzaforte che si fosse arresa fu ridotta in cenere.
Finalmente la reggente Bianca, che aveva altri nemici,
e il giovane Raimondo, stanco dei massacri e spossato dalle
perdite, fecero la pace a Parigi. Un cardinale di SantAngelo
fu l arbitro di questa pace; ed ecco le leggi che egli dett e
che furono eseguite.
Il conte di Tolosa doveva pagare diecimila marchi o scu
di alle chiese della Linguadoca, nelle mani di un esattore del
suddetto cardinale; duemila ai monaci di Cteaux, immensa
mente ricchi; cinquecento ai monaci di Chiaravalle, ancor
pi ricchi, e millecinquecento ad altre abbazie; per cinque
anni doveva andare a fare la guerra ai Saraceni e ai Turchi,
che certamente non avevano fatto la guerra a Raimondo; ab
bandonava al re, senza nessun compenso, tutti i suoi Stati
2 1 4 SAGGIO SUI COSTUMI
di qua dal Rodano/ poich quanto possedeva di l era terra
dellimpero. Firm la sua spoliazione, mediante la quale gli
fu riconosciuto, da parte del cardiale SantAngelo e di un
legato, che non soltanto era un buon cattolico, ma che lo era
sempre stato. Fu condotto, soltanto per la forma, in camicia e
scalzo davanti allaltare della chiesa di Notre-Dame di Pa
rigi: l chiese perdono alla Vergine; indubbiamente in fondo
al cuore chiedeva perdono di avere firmato un trattato cos
infame.
Roma non dimentic se stessa nella spartizione delle spo
glie. Per ottenere il perdono dei suoi peccati, Raimondo il
Giovane cedette a perpetuit al papa il Contado Venosino*,
che di l dal Rodano. Questa cessione era nulla a norma di
tutte le leggi dellimpero; il Contado era un feudo impe
riale, e non era permesso cedere il proprio feudo alla Chiesa,
senza il consenso dellimperatore e degli stati. Ma esistono
possessi di cui ci si sia appropriati solo con le leggi? Perci,
subito dopo questa estorsione, limperatore Federico II re
stitu al conte di Tolosa quel piccolo paese di Avignone, che
il papa gli aveva strappato; fece giustizia come sovrano, e
soprattutto come sovrano oltraggiato. Ma quando poi san
Luigi e suo figlio, Filippo lArdito, si furono impossessati
degli Stati dei conti di Tolosa, Filippo consegn ai papi il
Contado Venosino, che essi hanno sempre conservato per la
liberalit dei re di Francia. La citt e il territorio di Avigno
ne non vi furono compresi; essa pass al ramo francese dAn-
gi, che regnava a Napoli, e gli rest fino al tempo in cui la
sventurata regina Giovanna di Napoli fu alla fine costretta
a cedere Avignone per ottantamila fiorini, che non le furono
mai pagati. Tali sono in genere i titoli delle possessioni; tale
stato il nostro diritto pubblico.
Quelle crociate contro la Linguadoca durarono ventan-
ni. La sola brama dimpadronirsi del bene altrui le fece na
scere e produsse nello stesso tempo linquisizione (1204).
Questo nuovo flagello, sconosciuto prima dallora presso
tutte le religioni del mondo, prese la prima forma sotto il
* Cio la contea di Avignone.
CAPITOLO SESSANTADUESIMO 2 1 5
papa Innocenzo III; essa fu istituita in Francia a cominciare
dallanno 1229, sotto san Luigi. A Tolosa, un concilio co
minci in quellanno col proibire ai cristiani laici di leggere
l antico e il nuovo Testamento. Era un insulto per il ge
nere umano losare dirgli: Vogliamo die abbiate una cre
denza, e non vogliamo che leggiate il libro sul quale questa
credenza fondata.
In quel concilio furono fatte bruciare le opere di Ari
stotele, cio due o tre esemplari che erano stati portati da
Costantinopoli neUe prime crociate, libri che nessuno ca
piva e sui quali ci si figurava che fosse fondata leresia degli
Occitani. Dei concili successivi hanno posto Aristotele qua
si accanto ai padri della Chiesa. Cos appunto vedrete, in
questo ampio quadro delle demenze umane, le opinioni dei
teologi, le superstizioni dei popoli, il fanatismo variare di
continuo, ma perseverare sempre nello sprofondare la terra
nellabbruttimento e nella calamit, fino al tempo in cui al
cune accademie, alcune societ illuminate hanno fatto arros
sire i nostri contemporanei per tanti secoli di barbarie.
(1237) Ma fu assai peggio quando il re ebbe la debo
lezza di permettere che vi fosse nel suo regno un grande
inquisitore nominato dal papa. Fu il cordigliere Roberto che
esercit questo nuovo potere, dapprima a Tolosa, e poi in
altre province.
Se questo Roberto fosse stato soltanto un fanatico, vi
sarebbe almeno nel suo ministero una parvenza di zelo che
avrebbe scusato i suoi furori agli occhi dei semplici; ma si
trattava di un apostata che conduceva con s una donna per
duta e, per portare al colmo lorrore del suo ministero, que
sta donna era ella stessa eretica: questo quanto riferiscono
Matthieu Paris e Mousk*, e quanto provato nello Spici-
legium di Lue dAcheri**.
Il re san Luigi ebbe la sventura di permettergli di eser-
* Philippe Mouskes (intorno al 1215-1283), vescovo di Tournai, autore
di una gigantesca Chronique in versi, in cui narrata la storia di Francia
dalla guerra di Troia al 1249.
** Lue dAchry (1609-1675), benedettino francese la cui opera principa
le, lo Spicilegium, contiene documenti relativi alla storia ecclesiastica.
2 1 6 SAGGIO SUI COSTUMI
citare le sue funzioni di inquisitore a Parigi, in Champagne,
in Borgogna e in Fiandra. Egli fece credere al re che vi era
tuia nuova setta che appestava segretamente quelle province.
Quel mostro fece bruciare, con questo pretesto, tutti coloro
che, privi di credito e sospettati, non vollero- riscattarsi dalle
sue persecuzioni. Il popolo, spesso buon giudice di coloro
che ingannano i re, lo chiamava soltanto Roberto il B...*.
Alla fine fu smascherato: le sue iniquit e le sue infamie fu
rono manifeste; ma vi indigner il fatto che fu condannato
solo alla prigione perpetua; e potrebbe indignarvi di pi il
fatto che il gesuita Daniel non parla di questuomo nella
sua Storia di Francia.
Cos dunque cominci linquisizione in Europa: essa
non meritava altra culla. Vi rendete sufficientemente conto
come il mantenere, per mezzo di delatori e di carnefici, la
religione di un Dio che dei carnefici fecero perire, sia lestre
mo grado di una barbarie brutale e assurda. Ci contrad
dittorio quasi quanto lattirare a s i tesori dei popoli e dei
re in nome di quello stesso Dio che nacque e che visse
neUa povert. Vedrete in un capitolo a parte che cosa sia stata
rinquisizione in Spagna e altrove, e fino a che eccesso la
barbarie e la rapacit di alcuni uomini abbiano abusato della
semplicit degli altri.
CAPITOLO SESSANTADUESIMO 2 1 7
* Si cominciava allora a dare questo nome indferentemente ai sodomiti
e agli eretici (N.d.A.). La parola bougre, che ^ora significava "sodomi
ta ed era considerata trivialissima, veniva sempre scritta con la sola ini
ziale.
STATO DELLEUROPA NEL XIII SECOLO
Abbiamo' visto che le crociate esaurirono lEuropa in uomi
ni e in denaro, e non la incivilirono. La Germania fu in
unanarchia completa dopo la morte di Federico II. Tutti
i signori fecero a gara per impadronirsi dei redditi pubbli
ci che spettavano allimpero; cosicch quando Rodolfo dA-
sburgo fu eletto (1273) gli furono accordati solo dei sol
dati, con i quali egli conquist lAustria contro Ottocaro,
che laveva tolta alla casa di Baviera.
Durante linterregno che precedette lelezione di Rodol
fo, la Danimarca, la Polonia e lUngheria si affrancarono com
pletamente dei lievi censi che pagavano agli imperatori, quan
do costoro erano i pi forti.
Ma sempre in quel tempo parecchie citt istituiscono
il loro governo municipale, che dura ancora. Si alleano tra
di loro per difendersi dalle invasioni dei signori. Le citt
anseatiche, come Lubecca, Colonia, Brunswick, Danzica, alle
quali altre ottanta si uniscono col tempo, costituiscono una
repubblica commerciale disseminata in parecchi differenti
Stati. Vengono istituiti gli Austrgues*-, sono arbitri di
convenzione tanto tra i signori quanto tra le citt; fanno le
veci dei tribunali e delle leggi, che mancavano^ in Germania.
LItalia va formandosi su un nuovo piano prima di Ro
dolfo dAsburgo, e sotto il suo regno molte citt diventano
libere. Egli conferm loro questa libert facendosi pagare.
* Dal tedesco austragen, esporre davanti a un tribunale.
CAPITOLO LXIII
Sembrava allora che lItalia potesse essere staccata per
sempre dalla Germania.
Tutti i signori tedeschi, per essere pi potenti, serano
accordati nel volere un imperatore che fosse debole. I quat
tro principi e i tre arcivescovi, che a poco a poco attribuiro
no a s soli il diritto di elezione, avevano scelto Rodolfo
dAsburgo per imperatore, di concerto con qualche altro prin
cipe, solo perch egli non possedeva Stati ingenti: era un
signore svizzero, che si era fatto temere come uno- di quei
capi che gli Italiani chiamavano Condottieri-, era stato il
campione dellabate di San GaUo contro il vescovo di Ba
silea, in una guerricciuola per qualche barile di vino; aveva
recato soccorso alla citt di Strasburgo. La sua fortuna era
cos poco proporzionata al suo coraggio, che egli fu per
qualche tempo gran maggiordomo di palazzo di quello stesso
Ottocaro, re di Boemia, che poi, sollecitato a rendergli
omaggio, rispose che non gli doveva niente, e che gli
aveva pagato il suo stipendio . I principi di Germania non
prevedevano allora che quello stesso Rodolfo sarebbe stato
il fondatore di una casa per lungo tempo la pi fiorente
dEuropa, e che stata talvolta sul punto di avere nellimpe
ro lo stesso potere di Carlomagno. Questo potere fu lento a
formarsi; e soprattutto alla fine di questo XIII secolo e
allinizio del XIV, limpero non aveva sullEuropa nessun
influsso.
La Francia sarebbe stata felice sotto im sovrano quale
san Luigi, senza quel funesto pregiudizio delle crociate, che
provoc le sue sventure e che lo fece morire suUe sabbie
dAfrica. Dal gran numero di vascelli armati per le sue
spedizioni fatali, si vede che la Francia avrebbe potuto avere
facilmente una grande marina mercantile. Gli statuti di san
Luigi per il commercio, una nuova regolamentazione da lui
istituita a Parigi, la sua prammatica sanzione che assicur
la disciplina della Chiesa gallicana, i suoi quattro grandi
baliaggi ai quali competevano le sentenze dei suoi vassalli, e
che sono lorigine del parlamento di Parigi, i suoi regola
CAPITOLO SESSANTATREESIMO 2 1 9
menti e la sua lealt siiUe monete, tutto fa vedere che la
Francia avrebbe potuto allora essere florida.
Quanto allInghilterra, essa fu, sotto Edoardo I, tanto
felice quanto potevano consentirlo i costumi del tempo. Il
paese del Galles le fu annesso; essa soggiog la Scozia, che
per mano di Edoardo ricevette un re. Gli Inglesi, in verit,
non avevano pi la Normandia, n lAngi, ma possedevano
tutta la Guienna. Se Edoardo I ebbe solo una piccola guerra
passeggiera con la Francia, bisogna attribuirlo alle noie che
ebbe sempre in patria, sia quando sottomise la Scozia, sia
quando la perse alla fine del suo regno.
Dedicheremo un articolo particolare e pi esteso aUa
Spagna, che abbiamo lasciata da molto tempo in preda ai
Saraceni. Rimane qui da dire una parola di Roma.
Il papato fu, verso il XIII secolo, nella stessa condizione
in cui era da tanto tempo-. I papi, malfermi in Roma, avendo
soltanto unautorit vacillante in Italia e appena padroni
di alcune piazzeforti nel patrimonio* di san Pietro e nellUm
bria, attribuivano sempre regni e giudicavano i re.
Nel 1289 il papa Nicola giudic solennemente a Roma i
contrasti fra il re di Portogallo e il suo clero. Abbiamo visto*
che nellanno 1283 il papa Martino IV depose il re dArago-
na e dette i suoi Stati al re di Francia, che non pot mandare
a effetto la bolla del papa. Bonifacio VIII dette la Sardegna e
la Corsica a un altro re dAragona, Giacomo, soprannomina
to il Giusto.
Verso lanno 1.300, allorch veniva contestata la suc
cessione al regno di Scozia, il papa Bonifacio V ili non tra
lasci di scrivere al re Edoardo: Voi dovete sapere che
spetta a noi dare un re alla Scozia, la quale sempre appar
tenuta di pieno diritto e ancora appartiene dia Chiesa ro
mana; e se voi pretendete avervi qualche diritto, invia
teci i vostri procuratori, e noi vi renderemo giustizia; poi
ch riserviamo a noi questa faccenda.
Allorch verso la fine del XIII secolo alcuni principi de-
* Voltaire non ne ha ancora parlato; un cenno ne viene fatto alla fine
del capitolo LXIV.
2 2 0 SAGGIO SUI COSTUMI
posero Adolfo di Nassau, successore del primo principe del
la casa dAustria, figlio di Rodolfo, essi simularono una bol
la del papa per deporre Nassau. Attribuivano al papa il loro
proprio potere. Questo stesso Bonifacio, saputo dellelezione
di Alberto, scrisse agli elettori (1298); Y i ordiniamo di
denunciare che Alberto, il quale si dice re dei Romani, com
paia davanti a noi per discolparsi del crimine di lesa maest
e dessere incorso nella scomunica .
Si sa che Alberto dAustria, anzich comparire, vinse
Nassau, lo uccise nella battaglia presso Spira, e che Boni
facio, dopo avergli prodigato le scomuniche, gli prodig le
benedizioni quando questo papa ebbe bisogno di lui contro
Filippo il Bello (1303): allora supplisce, con la pienezza del
suo potere, allirregolarit dellelezione di Alberto; gli d
neUa sua bolla il regno di Francia, che di diritto apparteneva,
dice, agli imperatori. Cosi linteresse cambia le sue mosse e
impiega ai suoi fini il sacro e il profano*.
Altre teste coronate si sottomettevano alla giurisdizione
papale. Maria, moglie di Carlo lo Zoppo, re di Napoli, che
aveva pretese sul regno dUngheria, fece perorare la sua causa
davanti al papa e ai cardinali, e il papa gli aggiudic il regno
in contumacia. Alla sentenza mancava soltanto un esercito.
Nellanno 1329, essendo stato Cristoforo, re di Danimar
ca, deposto dalla nobilt e dal clero. Magno, re di Svezia,
chiede al papa la Scania e altre terre. Il regno di Danimar
ca, dice nella sua lettera, dipende, come voi sapete,
santissimo padre, solo dalla Chiesa romana, alla qude paga
tributo, e non ddlimpero. Il pontefice, che questo re di
Svezia implorava e di cui riconosceva la giurisdizione tem
porale su tutti i re della terra, era Jacques Foumier, Benedet
to XII, che risiedeva ad Avignone; ma il nome inutile; si
tratta soltanto di mostrare che ogni principe che voleva usur
pare o riacquistare un dominio si rivolgeva al papa quasi fos
se il suo padrone. Benedetto prese le parti del re di Dani
marca e rispose che avrebbe fatto giustizia di quel monarca
CAPITOLO SESSANTATREESIMO 22 1
* Si veda il capitolo di Fil i ppo i l B e l l o (N.d.A.).
solo quando gli avesse intimato d comparire di fronte a lui,
secondo le antiche usanze.
La Francia, come vedremo*, non aveva altrettanta defe
renza per Bonifacio Vili. Del resto, abbastanza noto che
quel pontefice istitu il giubileo e aggiunse una seconda co
rona a quella del camauro per significare le due potenze.
Giovanni XXII ve ne sovrappose poi una terza; ma Gio
vanni non fece portare di fronte a s le due spade sguainate,
che faceva portare Bonifacio quando dava indulgenze. ;
Si pass, in quel XIII secolo, dallignoranza selvaggia al
lignoranza scolastica. Alberto, soprannominato il Grande,
insegnava i principi del caldo, del freddo, del secco e del
lumido; insegnava anche la politica secondo le regole del-
lastrologia e dellinflusso degli astri, e la morale secondo
la logica di Aristotele.
Spesso le istituzioni pi sagge furono dovute soltanto al
la cecit e alla debolezza. Nella Chiesa non v cerimonia
pi nobile, pi pomposa, pi capace dispirare la piet ai
popoli della festa del santo sacramento. Lantichit non ne
ebbe alcuna il cui apparato fosse pi maestoso. Tuttavia, chi
fu la causa di questa istituzione? Una religiosa di Liegi, di
nome Moncomillon, che simmaginava di vedere tutte le
notti un buco nella luna (1246); ebbe poi una rivelazione
la quale le svel che la luna significava la Chiesa e il buco
una festa che mancava. Un monaco, di nome Giovanni, com
pose con lei lufficio del santo sacramento; la festa fu instau
rata a Liegi, e Urbano IV ladott per tutta la Chiesa.
Nel XII secolo, i monaci neri e bianchi formavano' due
grandi fazioni che dividevano le citt, pressa poco come le
fazioni turchine e verdi divisero gli animi nellimpero ro
mano. Poi, allorch nel XIII secolo i mendicanti acquistaro
no credito, i bianchi e i neri si unirono contro quei nuovi
venuti, fino a che met dellEuropa finalmente insorta con
tro tutti loro. Gli studi degli scolastici erano allora e sono
rimasti fin quasi ai nostri giorni dei sistemi di assurdit ta
li che, se venissero attribuiti ai popoli di Taprobane, crede
2 2 2 SAGGIO SUI COSTUMI
* Nel cap, LXV.
remmo di calunniarli. Si disputava se Dio pu produrre la
natura universale delle cose, e conservarla senza che vi siano
delle cose; se Dio pu essere in un predicato, se pu comu
nicare la facolt di creare, rendere non fatto ci che fatto,
cambiare una donna in fanciulla; se ogni persona divina pu
prendere la natura che vuole; se Dio pu essere scarabeo e
zucca; se il padre produce il figlio con lintelletto o con la
volont, o con lessenza, o con lattributo, naturalmente o
liberamente. E i dottori che risolvevano questi problemi si
chiamavano il grande, il sottile, langelico, lirrefragabile, il
solenne, lilluminato, limiversale, il profondo.
CAPITOLO SESSANTATREESIMO 2 2 3
DELLA SPAGNA NEL XII E XIII SECOLO
Q
uando il Cid ebbe scacciato i musulmani da Toledo e da
Valenza, alla fine dellXI secolo, la Spagna si trovava di
visa tra parecchie dominazioni. Il regno di Castiglia compren
deva le due Castiglie, il Leon, la Galizia e Valenza. Il regno
dAragona era allora unito alla Navarra. LAndalusia, una
parte della Murcia e Granata appartenevano ai Mori. Cerano
dei conti di Barcellona che rendevano omaggio ai re dAra
gona. Un terzo del Portogallo era in mano ai cristiani.
Quel terzo del Portogallo, che i cristiani possedevano,
era soltanto una contea. Il figlio' di un duca di Borgogna,
discendente di Ugo Capeto, detto il conte Enrico, se nera
appena impadronito allinizio del XII secolo.
Una crociata avrebbe scacciato i musulmani dalla Spagna
pi facilmente che dalla Siria; ma verosimilissimo che
i principi cristiani di Spagna non abbiano voluto quegli
aiuti pericolosi, e che abbiano preferito dilaniare essi stessi
la loro patria e contenderla ai Mori, piuttosto che vederla
invasa da crociati.
(1114) Alfonso, detto il Contendente, re dAragona e di
Navarra, prese ai Mori Saragozza, che divent la capitale
dellAragona e che non torn pi in potere dei musulmani.
(1137) Il figlio del conte Enrico, che io chiamo Alfonso
di Portogallo per distinguerlo da tanti altri re di questo nome,
strapp ai Mori Lisbona, il miglior porto dEuropa, e il resto
del Portogallo, ma non le Algarve. (1139) Vinse parecchie
battaglie, e alla fine si nomin re di Portogallo.
CAPITOLO LXIV
Questo avvenimento importantissimo. I re di Castiglia
allora si dicevano ancora imperatori delle Spagne. Alfonso,
conte di una parte del Portogallo, era loro vassallo quandera
poco potente; ma non appena si trova a essere padrone per
mezzo delle armi di una provincia ingente, si nomina sovra
no indipendente. Il re di Castiglia gli fece la guerra come a
un vassallo ribelle; ma il nuovo re di Portogallo sottomise la
sua corona alla santa sede, come i Normanni si erano resi
vassalli di Roma per il regno di Napoli. Eugenio III confe
risce, d la dignit regia ad Alfonso e alla sua posterit, a
patto di un tributo annuo di due libbre doro (1147). Il
papa Alessandro III conferma poi la donazione mediante lo
stesso censo. Quei papi davano, dunque effettivamente i re
gni. GH stati; del Portogallo, riuniti sotto Alfonso a Lamego
per stabilire le leggi di quel regno nascente, cominciaron col
leggere la bolla di Eugenio III, che dava la corona ad Al
fonso: la consideravano dunque come il primo diritto della
loro indipendenza; questa unulteriore e nuova prova del
le usanze e dei pregiudizi di quei secoli. Nessun nuovo prin
cipe osava dirsi sovrano, n poteva essere riconosciuto dagli
altri priadpi, senza il consenso del papa; e tutta la storia
del medioevo sempre fondata sul fatto die i papi si credo
no signori supremi di tutti gli Stati, senza alcuna eccezione,
in virt della loro pretesa di essere i soli successori di Ges
Cristo; e gli imperatori tedeschi, da parte loro, fiiigevan di
pensare, e lasciavano dire alla loro cancelleria, che i regni
dellEuropa altro non erano se non territori smembrati del
loro impero, perch pretendevano di essere succeduti ai Ce
sari. Intanto gli Spagnuoli si occupavano di diritti pi reali.
Bastava qualche sforzo perch i musulmani fossero scac
ciati da quel continente; ma ci voleva imion, e i cristiani
di Spagna si facevano quasi sempre la guerra. Ora la Casti
glia e l Aragona erano in armi l una contro laltra, ora la
Navarra combatteva lAragona; talvolta quelle tre province
si facevano guerra allo stesso tempo, e in ognuno di quei
regni cera spesso una guerra intestiiia. Vi furono uno dpo
laltro tre re dAragona che unirono a questo Stato la mag-
15/cn
CAPITOLO SESSANTAQUATTRESIMO 2 2 5
gior parte della Navarra, della quale i musulmani occupavano
il resto; Alfonso il Contendente, che mor nel 1134, fu
lultimo di questi re. Si pu giudicare lo spirito del tempo e
il malgoverno dal testamento di quel re, che lasci i suoi
regni ai cavalieri del Tempio e a quelli di Gerusalemme. Ci
significava ordinare guerre civili con le sue ultime volont.
Per fortuna quei cavdieri non si misero in condizione di suf
fragare il testamento. Gli stati dAragona, sempre liberi,
elessero re don Ramiro, fratello dellultimo re morto, bench
fosse monaco da quarantanni e vescovo da alcuni anni. Fu
chiamato il prete-re, e il papa Innocenzo II gli diede una
dispensa per sposarsi.
(1134) La Navarra, fra questi sussulti, fu divisa dallAra
gona e ridivent un regno a s che pass poi, per via di
matrimoni, ai conti di Champagne, appartenne a Filippo il
Bello e alla casa di Francia, poi cadde in quelle di Foix e
dAlbret, ed oggi assorbita nella monarchia di Spagna.
(1158) Durante queste divisioni i Mori ressero: ripre
sero Valenza. Le loro scorrerie originarono lordine di Ca-
latrava. Dei monaci di Cteaux, abbastanza potenti da parte
cipare alle spese per la difesa della citt di Calatrava, arma
rono i loro fratelli conversi con numerosi scudieri, che com
batterono portando lo scapolare. Subito dopo si form quel
lordine, che oggi non pi n religioso n militare, nel qua
le ci si pu sposare una volta, e che consiste solo nel godi
mento di numerose commende in Spagna.
Le contese fra i cristiani durarono sempre, e i maometta
ni ne approfittarono talvolta. Verso lanno 1197, un re di
Navarra, di nome don Sancio, perseguitato dai Castigliani e
dagli Aragonesi, fu costretto ad andare in Africa a implorare
laiuto del miramolin dellimpero di Marocco; ma ci che
doveva cagionare una rivoluzione non la cagion aflEatto.
Un tempo, allorch la Spagna intera era unita sotto il
re don Rodrigo, principe forse incontinente, ma valoroso, es
sa venne soggiogata in meno di due anni; e ora che era
divisa tra tante dominazioni gelose, n i miramolin dAfrica,
_n il re moro dAndalusia riuscivano a fare conquiste. Il
226 SAGGIO SUI COSTUMI
fatto che gli Spagnuoli erano pi agguerriti, che il paese era
irto di fortezze, che ci si univa nei momenti di massimo pe
ricolo, e che i Mori non erano pi saggi dei cristiani.
(1200) Alla fine tutte le nazioni cristiane della Spagna si
riunirono per resistere alle forze dellAfrica che piombavano
su di loro.
Il miramolin Mohammed-ben-Joseph aveva passato il mare
con circa centomila combattenti, a quanto dicono gli storici,
che hanno esagerato quasi tutti; bisogna sempre defalcare
molto dal numero dei soldati che mettono in campagna, e da
quelli che uccidono, e dai tesori che sfoggiano, e dai pro
digi che raccontano. Insomma quel miramolin, rafforzato an
che dai Mori dAndalusia, era certo di conquistare la Spa
gna. Il rumore di quel grande armamento aveva risvegliato
alcuni cavalieri francesi. I re di Castiglia, dAragona, di Na-
varra si unirono di fronte al pericolo. Il Portogallo forn
truppe. (1212) Quei due grandi eserciti si incontrarono nelle
gole della Montagna Nera*, sui confini tra lAndalusia e la
provincia di Toledo. Larcivescovo di Toledo era al fianco
del re di Castiglia, Alfonso il Nobile, e portava la croce alla
testa delle truppe; il miramolin teneva una sciabola ia una
mano e il Corano nellaltra. I cristiani vinsero, e quella gior
nata si celebra ancora tutti gli anni a Toledo il 16 luglio;
ma la vittoria fu pi gloriosa che utile. I Mori dAndalusia
vennero rafforzati dai resti dellesercito dAfrica, e quello dei
cristiani si disperse ben presto.
A quel tempo, quasi tutti i cavalieri tornavano in patria
dopo una battaglia. Si sapeva combattere, ma non si sapeva
fare la guerra; e i Mori conoscevano questarte anche meno
degli Spagnuoli. N cristiani n musulmani avevano truppe
continuamente adunate sotto le armi.
La Spagna, preoccupata delle proprie afflizioni per cin
quecento anni, cominci a partecipare a quelle dellEuropa
soltanto al tempo degli Albigesi. Abbiamo visto in che modo
il re dAragona, Pietro II, fu costretto a recar soccorso ai
suoi vassalli della Linguadoca e del paese di Foix, che veniva-
CAPITOLO SESSANTAQUATTRESIMO 227.
* La Sierra Morena (N.d.A.).
no Oppressi col pretesto della religione, e in che modo mor
combattendo Montfort, rapitore di suo figlio e conquistatore
della Linguadoca. La sua vedova, Maria di Montepellier, che
era ritirata a Roma, peror la causa di quel figlio davanti al
papa Innocenzo III, e lo suppHc di fare uso della sua auto
rit per farlo rimettere in libert. Cerano momenti che fa
cevano molto onore alla corte di Roma. (1214) Il papa ordin
a Simone de Montfort di restituire quel fanciullo agli Arago
nesi, e Montfort lo restitu. Se avessero sempre usato cosi la
loro autorit, i papi sarebbero stati i legislatori dellEuropa.
Quello stesso re Giacomo il primo re dAragona al
quale gli stati abbiano prestato giuramento di fedelt; fu lui
die prese ai Mori lisola di Maiorca; (1238) fu lui che li
scacci dal bel reame di Valenza, paese favorito dalla na
tura, dove essa crea uomini robusti e d loro tutto ci che
pu allettarne i sensi. Non so come tanti storici possano
dire che la citt di Valenza aveva una circonferenza di soli
mille passi e che ne uscirono pi di cinquantamila maomet
tani; come poteva una citt cos piccola contenere tanta
gente?
Quel tempo sembrava destinato alla gloria della Spagna e
allespulsione dei Mori. Il re di Castiglia e di Leon, Fer
dinando III, toglieva loro la celebre citt di Cordova, resi
denza dei loro primi re, citt molto superiore a Valenza, nella
quale essi avevano fatto costruire una splendida moschea e
tanti bei palazzi.
Questo Ferdinando, terzo del nome, asserv anche i mu
sulmani della Murcia. Questo un paese piccolo, ma fertile,
e nel quale i Mori raccogHevano molta seta, con la quale fab
bricavano belle stoffe. .(1248) Alla fine, dopo sedici mesi
dassedio, simpadron di Siviglia, la pi opulenta citt dei
Mori,, che non torn pi sotto il loro , dominio. La sua morte
pose fine ai suoi successi (1252). Se si deve lapoteosi a coloro
che hanno liberato la propria patria, la Spagna ha tanta ra
gione di venerare Ferdinando quanta ne ha la Francia di
invocare san Luigi. Egli fece leggi savie come questo re di
Francia; istitu come lui nuove giurisdizioni; a lui si attri
2 2 8 SAGGIO SUI COSTUMI
buisce il consiglio regio di Castiglia, che sussistette sempre
dopo di lui.
(1252) Ebbe per ministro uno Ximenes, arcivescovo di
Toledo; nome fausto per la Spagna, ma che non aveva nulla
in comune con quellaltro Ximenes che, in tempi posteriori,
stato reggente della Castiglia.
La Castiglia e lAragona erano allora potenze; ma non
si deve credere che i loro sovrani fossero assoluti: nessimo
lo era in Europa. I signori, in Spagna pi che altrove, circo
scrivevano lautorit del re entro limiti ristretti. Gli Arago
nesi si ricordano ancora oggi della formula dellinsediamento
dei loro re: il grande giustiziere del regno pronunciava queste
parole a nome degli stati: Nos que valemos tanto corno vos,
y que podemos mas que vos, os hazemos nuestro rey y
senor, con tal que guardeis nuestros fueros; si no, fio. Noi,
che valiamo quanto voi e possiamo pi di voi, vi facciamo no
stro re, a condizione che manterrete le nostre leggi; se no,
no.
Il gran giustiziere pretendeva che quella non era una
vana cerimonia, e chegli aveva il diritto di accusare il re da
vanti agli stati e di presiedere al giudizio: non trovo per
alcun esempio che sia stato usato tale privilegio.
La Castiglia non aveva minori diritti, e gli stati ponevano
limiti al potere sovrano. Insomma si deve pensare che in
paesi in cui cerano tanti signori, ai re era tanto difficile do
mare i propri sudditi quanto scacciare i Mori.
Alfonso X, detto lAstronomo o il Saggio, figlio di san
Ferdinando, ne fece lesperienza. Si detto di lui che stu
diando il cielo aveva perduto la terra. Questa idea triviale
sarebbe giusta se Alfonso avesse trascurato i suoi aJSari per lo
studio; ma proprio questo non fece mai. La stessa forma men
tale che ne aveva fatto un grande filosofo ne fece un ottimo
re. Parecchi autori laccusano anche dateismo, per aver detto
che se avesse fatto parte del consiglio di Dio, gli avrebbe
dato buoni pareri sul movimento degli astri . Quegli autori
non badano al fatto che questa arguzia del saggio principe ri
cadeva-unicamente sul sistema di Tolomeo, di cui avvertiva
CAPITOLO SESSANTAQUATTRESIMO 2 2 9
l insufficienza e le contraddizioni. Fu il rivale degli Arabi
nelle scienze, e luniversit di Salamanca, fondata da suo
padre in quella citt, non ebbe chi leguagliasse. Le tavole al-
fonsine sono ancor oggi la sua gloria e lonta dei principi che
si fanno un vanto dessere ignoranti; ma bisogna ammettere
anche chesse furono escogitate da Arabi.
Le difficolt in cui si dibatte il suo regno non erano certo
un effetto delle scienze che resero illustre Alfonso, ma una
conseguenza delle spese eccessive di suo padre. Come san Lui
gi aveva spossato la Francia con i suoi viaggi, cosi san Ferdi
nando aveva rovinato per un certo tempo la Castiglia con le
sue stesse acquisizioni, che erano costate pi di quanto non
valsero dapprima.
Dopo la morte di san Ferdinando, suo figlio dovette re
sistere alla Navarra e allAragona gelose.
Tuttavia tutte queste contrariet, che occupavano quel
re filosofo, non impedirono che i principi dellimpero lo
chiedessero per imperatore; e se non lo fu, se alla fine Ro
dolfo dAsburgo fu eletto in sua vece, mi sembra che la
cosa vada attribuita solo alla distanza che separava la Casti-
glia dalla Germania. Alfonso mostr almeno che meritava
l impero per il modo con cui govern la Castiglia. La sua rac
colta di leggi, che si chiama las Partidas, ancora col uno
dei fondamenti della giurisprudenza: egli dice in quelle leg
gi che il desposta sradica lalbero e il saggio monarca lo
sfronda .
(1283) In vecchiaia, quel principe vide suo figlio don San-
cio III ribellarsi contro di lui; ma il delitto del figlio non
fa, credo, l onta del padre. Quel don Sancio era nato da un
secondo matrimonio, e pretese, vivo suo padre, di farsi pro
clamare suo erede a esclusione dei nipoti di primo letto.
Unassemblea di faziosi, sotto il nome di stati, gli confer
persino la corona. Questo attentato una nuova prova di
quanto ho detto sovente, che in Europa cio non verano leg
gi, e che quasi tutto veniva deciso secondo loccorrenza del
momento e lestro degli uomini.
Alfonso il Saggio fu ridotto alla dolorosa necessit di
2 3 0 SAGGIO SUI COSTUMI
allearsi con i maomettani contro un figlio e dei cristiani ribel
li. Questa non era la prima alleanza dei cristiani con i musul
mani contro altri cristiani, ma era certamente la pi giusta.
Il mramolin di Marocco, chiamato dal re Alfonso X,
pass il mare; lAfricano e il Castigliano si videro a Zara,
sui confini di Granata. La storia deve perpetuare per sempre
la condotta e il discorso del miramoUn-, egli cedette il posto
donore al re di Castiglia. Vi tratto cos, disse,
)erch siete sventurato, e mi unisco a voi solo per vendicare
a causa comune di tutti i re e di tutti i padri. Alfonso
combatt suo figlio e lo vinse (1283):- il che prova ancora
una volta quanto fosse degno di regnare; ma mor dopo la
vittoria.
Il re di Marocco fu costretto a tornare nei suoi Stati; don
Sancio, figlio snaturato di Alfonso e usurpatore del trono
dei suoi nipoti, regn, e regn persino felicemente.
La dominazione portoghese comprendeva allora le Al-
garve, finalmente strappate ai Mori. Questa parola Algarve si
gnifica in arabo paese fertile. Non dimentichiamo inoltre
che Alfonso il Saggio aveva molto aiutato il Portogallo in
quella conquista. Tutto questo, mi sembra, prova irrefuta
bilmente che Alfonso non ebbe mai da pentirsi di avere col
tivato le scienze, come vogliono insinuare degli storici che,
per darsi lequivoca reputazione di politici, ostentano di di
sprezzare delle arti che dovrebbero onorare.
Alfonso il Filosofo aveva cos poco dimenticato i beni
temporali, che si era fatto concedere dal papa Gregorio X il
terzo di certe decime del clero di Leon e di Castiglia, diritto
che ha trasmesso ai suoi successori;
La sua casa fu agitata, ma si rafforz sempre pi contro
i Mori. (1303) Suo nipote, Ferdinando IV, tolse loro Gibil
terra, la cui conqixista allora non era difficile come oggi.
Quel Ferdinando IV chiamato Ferdinando el Emplaza-
do* perch, si dice, in un accesso di collera fece gettare dal
lalto di una rupe due signori che, prima di venire precipitati,
gli intimarono di comparire davanti a Dio entro trenta giorni,
* Cio il "citato in giudizio, 1 "intimato.
CAPITOLO SESSANTAQUATTRESIMO 2 3 1
ed egli mor allo scadere del termine. Sarebbe augurabile che
questo racconto fosse vero, o almeno creduto* tale da coloro
che pensano di poter fare tutto impunemente. Egli fu padre
di quel famoso Pietro il Crudele, del quale vedremo le ecces
sive severit; principe implacabile, e che puniva crudelmen
te gli uomini, senza che sia stato citato davanti al tribunale
di Dio.
LAragona, per parte sua, si rafforz, come abbiamo vi
sto, e accrebbe la sua potenza con lacquisizione della Sicilia.
I papi pretendevano di poter disporre del regno dAra-
gona per due ragioni: in primo luogo perch lo reputavano
un feudo della Chiesa romana; in secondo luogo perch Pietro
III, detto il Grande, al quale si rimproveravano i vespri sici
liani, era scomunicato, non per avere partecipato al massa
cro, ma per aver preso k Sicilia, che il papa non voleva dar
gli. Il suo regno dAragona fu dunque trasferito per sentenza
del papa a Carlo di Valois, nipote di san Ltiigi; ma la boUa
non pt essere messa in esecuzione: la casa dAragona rimase
florida; e, subito dopo, i papi che avevano voluto rovinarla
larricchirono ulteriormente. (1294) Bonifacio V ili diede la
Sardegna e la Corsica al re dAragona, Giacomo IV, detto
il Giusto, per toglierla ai Genovesi e ai Pisani, che si con
tendevano quelle isole: nuova jprova della stupida rozzezza
di quei tempi barbari.
Allora, la Castiglia e la Francia erano unite, perch era
no nemiche dellAragona: i Castigliani e i Francesi erano al
leati regno con regno, popolo con popolo, uomo con uomo.
Quel che succedeva in Francia al tempo di Filippo il Bel
lo, allinizio del XIV secolo, deve attirare il nostro sguardo.
2 3 2 SAGGIO SUI COSTUMI
DEL RE DI FRANCIA FILIPPO IL BELLO
E DI BONIFACIO V ili
i l tempo di Filippo il Bello, il cui regno cominci nel 1285,
fu una grande era in Francia per lammissione del terzo sta
to alle assemblee della nazione, per listituzione dei tribu
nali supremi detti parlamenti*, per la prima istituzione di
una nuova paria, fatta in favore del duca di Bretagna, per
labolizione dei duelli in materia civile, per la legge degli ap
pannaggi ristretti ai soli eredi maschi. Ci soflEermeremo ora
su altri due argomenti; sulle contese di Filippo il BeU con
il papa Bonifacio V ili e suUestinzione dellordine dei tem
p l a r i .
::Abbiamo gi visto che Bonifacio V ili, della casata dei
Caetani, era un uomo simile a Gregorio VII, ancora pi dot
to di lui nel diritto canonico, non meno fervente nel sotto
mettere le potenze alla Chiesa, e tutte le chiese alla santa
sede. Le fazioni ghibellina e guelfa dividevano pi che mai
lItalia. I ghibellini erano originariamente i seguaci degli
imperatori; ed essendo allora limpera soltanto un vano no
me, i ghibellini si servivano sempre di quel nome per for
tificarsi e per ingrandirsi. Bonifacio fu, ,a- lungo ghibellino
fiachiu un,privato, e si pu ben capire ch fu guelfo quan
do divent papa. Viene riferito che, in un primo giorno di
quaresima, dando le ceneri a un arcivescovo di Genova, glie
le gett, in faccia, dicendogli: Ricordati che sei ghibellino .
La casa dei Colonna, primi baroni romani, che possedeva
* Si vedano i capitoli concernenti gli stati generali e i tribunali di par
lamento (N.d.A.). , :
CAPITOLO LXV
citt nel cuore del patrimonio di san Pietro, era della fazio
ne ghibellina. Il loro interesse contro i papi era lo stesso
di quello dei signori tedeschi contro limperatore, e dei Fran
cesi contro il re di Francia: il potere dei signori di feudi si
contrapponeva dappertutto al potere sovrano.
Gli altri baroni vicini a Roma erano animati dallo stes
so spirito; si alleavano con i re di Sicilia e con i ghibellini
delle citt dItalia: non ci si deve meravigliare se il papa li
perseguit e ne fu perseguitato; quasi tutti quei signori ave
vano al tempo stesso diplomi di vicari della santa sede e di
vicari dellimpero, fonte necessaria di guerre civili che il
rispetto della religione non pot mai inaridire e che lalterigia
di Bonifacio V ili serv soltanto ad aumentare.
Queste violenze sono potute finire soltanto con le vio
lenze ancora pi grandi di Alessandro VI, pi di cento anni
dopo. Il pontificato al tempo di Bonifacio V ili non era
pi padrone di tutto il paese che aveva posseduto Innocenzo
III, dal mare Adriatico al porto di Ostia: ne pretendeva il
dominio supremo; possedeva in proprio alcune citt; era
una potenza delle pi mediocri. Il grande reddito dei papi
consisteva in quanto forniva loro la Chiesa universale, neUe
decime che raccoglievano spesso dal clero, nelle dispense,
nelle tasse.
Una tale situazione doveva portare Bonifacio V ili a usa
re riguardi verso una potenza che poteva privarlo di una
parte di quei redditi e fortificare contro di lui i ghibellini.
Perci, allinizio stesso delle sue contese con il re di Francia,
fece venire in Italia Carlo di Valois,, fratello di Filippo, che
arriv con un po di cavalleria pesante; gli fece sposare la
nipote di Baldovino, secondo imperatore di Costantinopo
li spodestato, e proclam solennemente Valois imperatore
dOriente; cosicch in . due anni don limpero dOriente,
quello dOccidente e la Francia; infatti abbiamo gi osser
vato* che quel papa, riconciliato con Alberto dAustria, gli
fece dono della Francia (1303). Di questi doni soltanto lim-
2 3 4 SAGGIO SUI COSTUMI
* Al capitolo LXIII, pag. 221.
pero di Germania venne ricevuto, perch Alberto lo posse
deva di fatto.
Il papa, prima di riconciliarsi con limperatore, aveva
dato a Carlo di Valois un altro titolo, quello di vicario del
limpero in Italia, e principalmente in Toscana. Pensava, poi
ch nominava i padroni, di dovere, a maggior ragione, nomi
nare i vicari; cos Carlo di Valois, per compiacerlo, perse
guit violentemente il partito ghibellino a Firenze. Tuttavia,
proprio mentre Valois gli rende questo servigio, egli oltrag
gia ed esaspera il re di Francia suo fratello. Non v nulla
che meglio provi come la passione e l animosit spesso pre
valgano sullo stesso interesse.
Filippo il Bello, che voleva spendere molto denaro e che
ne aveva poco, pretendeva che il clero, come il pi ricco
ordine dello Stato, dovesse contribuire alle necessit della
Francia senza il permesso di Roma. Il papa voleva che gli
fosse accordato il denaro di una decima, col pretesto dun
aiuto per la Terrasanta, che non si poteva pi aiutare e che
era in potere di un discendente di Gengis. (1301 e 1302)
Il re prendeva quel denaro per fare in Guienna la guerra
che sostenne contro il re dInghilterra, Edoardo. Questo fu
il primo motivo della contesa. Limpresa di un vescovo della
citt di Pamiers inaspr poi gli animi. Questuomo aveva
tramato contro il re nel suo paese, che dipendeva allora dalla
corona, e il papa lo fece subito suo legato alla corte di Fi
lippo. Quel suddito, rivestito di una dignit che, secondo la
corte romana, lo rendeva pari allo stesso re, and a Parigi
a sfidare il suo sovrano e a minacciarlo di lanciare linterdet
to contro il suo regno: un secolare che si fosse comportato
cos sarebbe stato punito con la morte; fu necessario usare
grandi precauzioni solo per assicurarsi lincolumit del ve
scovo, e anzi fu necessario consegnarlo nelle mani del suo
metropolita, l arcivescovo di Nrbona.
Avete gi osservato che dalla morte di Carlomagno in
poi non si vide alcun pontefice di Roma che non avesse con
tese scabrose o violente con gli imperatori e i re; vedrete du
rare fino al secolo di Luigi XIV queste contese, che soio la
CAPITOLO SESSANTACINQUESIMO 2 3 5
conseguenza necessaria della forma di governo pi assurda
alla quale gli uomini si siano mai assoggettati. Questa assur
dit consisteva nel dipendere in casa propria da uno straniero;
in effetto il sopportare che uno straniero dia feudi in casa
vostra, il non poter ricevere sussidi dai possessori di quei
feudi se non col permesso di questo straniero, e senza spar
tire nulla con lui. Tessere continuamente esposto a veder
chiudere per suo ordine i templi che avete costruiti e do
tati, lammettere che una parte dei vostri sudditi debba an
dare a piatire a trecento leghe dai vostri Stati: questa una
piccola parte delle catene che i sovrani dEuropa si imposero
impercettibilmente e quasi senza saperlo. chiaro che se
oggi si andasse a proporre per la prima volta al consiglio di
un sovrano di sottoporsi a simili usanze, colui che osasse
farne la proposta sarebbe considerato il pi insensato^ degli
uomini. II fardello, dapprima leggiero, si era gradatamente
appesantito: ci si rendeva ben conto che bisognava alleggerir
lo; ma non si era n abbastanza savi, n abbastanza istruiti,
n abbastanza fermi da disfarsene del tutto.
(1302 e seg.) In una bolla a lungo famosa, il vescovo di
Roma, Bonifacio V ili, aveva gi stabilito che nessun chie
rico deve pagare alcunch al re suo signore senza il permesso
espresso del sovrano pontefice. Filippo, re di Francia, non
os dapprima far bruciare questa boUa; si accontent di proi
bire l uscita del denaro fuori del regno, senza nominare Ro
ma. Sintavolarono trattative; il papa, per guadagnare tempo,
canonizz san Luigi; e i monaci concludevano che se un uomo
disponeva del cilo poteva disporre del denaro della terra.
Il re peror a Senlis, davanti allarcivescovo di Narbona,
contro il vescovo di Pamiers per bocca del suo cancelliere
Pierre Flotte; e questo cancelliere and egli stesso a Roma a
rendere conto al papa del processo. I re di Cappadocia e di
Bitinia trattavano pressa poco allo stesso modo la repub
blica romana; ma, cosa che essi non avrebbero fatto, Pierre
Flotte parl 4 pontefice di Roma come ministro di un sovra
no reale a uii sovrano immaginario; gli disse molto esplici
236 SAGGIO SUI COSTUMI
tamente che il regn di Francia era di questo mondo, e che
quello del papa non lo era .
Il papa ebbe abbastanza ardimento da offendersene: scris
se al re un breve in cui si trovano queste parole: Sappiate
che voi siete sottoposto a noi tanto nel temporale quanto
nello spirituale . Uno storico assennato e istruito* osserva in
modo assai pertinente che questo breve era conservato a Pa
rigi in un antico manoscritto della biblioteca di Saint-Germain
des Prs, e che stato strappato il foglio, lasciando un som
mario che lo designa e un estratto che lo ricorda.
Filippo rispose; A Bonifacio, preteso papa, poca a pun
ta salute; vostra grandissima fatuit sappia che noi non sia
mo sottoposti a nessuno per il temporale . Il medesimo sto
rico osserva che questa stessa risposta del re conservata in
Vaticano; cos i Romani moderni si sono curati pi dei bene
dettini di Parigi di conservare le cose curiose. Lautenticit
di queste lettere stata vanamente contestata; non credo che
siano mai state perfezionate dalle formalit consuete, e pre
sentate con cerimoniale; ma furono certamente scritte.
Il pontefice scagli bolle su boUe, le quali dichiarano
tutte che il papa il padrone dei regni, che se il re di
Francia non gli obbedisce sar scomunicato e il suo regno in
terdetto, vale a dire che non sar pi permesso di esercitare
le pratiche del cristianesimo, n di battezzare i bambini, n
di seppellire i morti. Sembra che sia il colmo delle contrad
dizioni dello spirito umno il fatto che un vescovo cristiano,
che pretende che tutti i cristiani sono suoi sudditi, voglia
impedire a questi pretesi sudditi di essere cristiani, e che
in tal modo si privi dun tratto egli stesso di ci che egh con
sidera il suo bene personale. Ma vi rendete abbastanza conto
che il papa faceva assegnamento suUimbeciHit degli umi
ni; sperava che i Francesi sarebbero stati abbastanza viH
da sacrificare il loro re al timore dessere privati dei sacra
menti. Singann: (1303) fu bruciata la sua bolla; la Fran
cia si lev contro il papa, senza rompere con il papato. Il re
^ S i tratta del gesuita Paul-Frangois Velly (1709-1759), che port a
termine i primi otto volumi duna grande Histoire de France.
CAPITOLO SESSANTACINQUESIMO 2 3 7
convoc gli stati. Era dunque necessario riunirli per decidere
che Bonifacio V ili non era re di Francia?
Il cardinale Le Moine, francese di nascita, che non aveva
pi altra patria se non Roma, and a Parigi per trattare; e,
se non fosse potuto riuscire, per scomunicare il regno. Que
sto nuovo legato aveva ordine di condurre a Roma il con
fessore del re, che era domenicano, perch vi rendesse conto
della sua condotta e di quella di Filippo. Si era dato fondo
a tutto ci che lo spirito umano pu inventare per innalzate
la potenza del papa: i vescovi sottomessi a lui; nuovi ordini
di religiosi dipendenti direttamente dalla santa sede, portan
do dappertuto il suo stendardo; un re che confessa i suoi
pi segreti pensieri, o per lo meno che reputato di confessar
li a uno di quei monaci; e infine lintimazione a questo confes
sore da parte del papa, suo padrone, di andare a rendere
conto a Roma della coscienza del re suo penitente. Ci no
nostante Filippo non si pieg; fa sequestrare i beni temporali
di tutti i prelati assenti: gli stati generali si appellano al futu
ro concilio e al futuro papa. Questo stesso rimedio manife
stava una certa debolezza, perch fare appello al papa signi
fica riconoscerne l autorit; e che bisogno hanno gli uomini
di un concilio e di im papa per sapere che ogni governo in
dipendente e che si deve obbedire solo alle leggi della patria?
Allora il papa toglie a tutti i corpi ecclesiastici di Francia
il diritto delle elezioni, alle xiniversit i gradi e il diritto din
segnare, come se revocasse una grazia concessa da lui; que
ste armi erano deboli, egli voUe aggingervi quelle dellim
pero di Germania.
Avete visto i papi dare l impero, il Portogallo, lUnghe
ria, la Danimarca, lInghilterra, lAragona, la Sicilia, quasi
tutti i regni; quello di Francia non era ancora stato trasfe
rito con una bolla. Bonifacio alla fine lo mise nel novero
degli altri Stati, e ne fece dono allimperatore Alberto dAu
stria, gi scomunicato da lui, e ora suo caro figlio sostegno
della Chiesa. Osservate le parole della sua bolla (1303): Noi
vi diamo con la pienezza della nostra potenza... il regno di
Vrancia, che appartiene per diritto agli imperatori di Occiden
2 3 8 SAGGIO SUI COSTUMI
te . Bonifacio e il suo datario non riflettevano che, se la
Francia apparteneva per diritto agli imperatori, la pienezza
della potenza papale era alquanto inutile. Cera per un resto
di ragione in quella demenza; si lusingava la pretesa dellim
pero su tutti gli Stati occidentali; perch vedrete sempre che
i giureconsulti tedeschi credevano o fingevano di credere
che, siccome il popolo di Roma si era dato col suo vescovo
a Carlomagno, tutto lOccidente dovesse appartenere ai suoi
successori, e che tutti gli altri Stati fossero solo territori
smembrati dellimpero.
Se Alberto dAustria avesse avuto duecentomila uomini
e duecento milioni, chiaro che avrebbe approfittato delle
bont di Bonifacio; ma, essendo povero e da poco consoli
dato, abbandon il papa al ridicolo della sua donazione.
Il re di Francia ebbe tutta la libert di trattare il papa
da principe nemico: si alle alla casa dei Colonna, i quali non
tenevano le scomuniche in maggior conto di lui, e che tal
volta rintuzzavano in Roma stessa quellautorit spesso te
mibile altrove. Guglielmo di Nogaret passa in Italia con
plausibili pretesti, arruola segretamente alcuni cavalieri, d
appuntamento a Sciarra Colonna. Si sorprende il papa ad
Anagni, citt del suo dominio, in cui era nato; si grida;
Morte al papa, evviva i Francesi! Il papa non si perse
danimo: indoss il piviale, si pose in capo la tiara; e, te
nendo in una mano le chiavi e nellaltra la croce, si present
con maest davanti a Colonna e a Nogaret. assai dubbio che
Colonna abbia avuto la brutalit di colpirlo: i contempo
ranei dicono che gli gridasse: Tiranno, rinuncia al papato
che tu disonori, come hai costretto Celestino a rinunziarvi!
Bonifacio rispose fieramente; Sono papa, e morir papa .
I Francesi saccheggiarono la sua casa e i suoi tesori. Ma dopo
queste violenze, che somigliavano pi ad atti di briganti che
non alla giustizia di un grande re, gli abitanti di Anagni,
resisi conto dellesiguo numero dei Francesi, si vergognarono
di avere abbandonato il loro compatriotta e pontefice nelle
mani degli stranieri; li scacciarono (1303). Bonifacio and
a Roma meditando la sua vendetta; ma mori appena arrivato.
CAPITOLO SESSANTACINQUESIMO 2 3 9
Cosi sono stati trattati in Italia quasi tutti i papi che vollero
essere troppo potenti: li vedete sempre donatori di regni e
perseguitati in casa propria.
Filippo il Bello perseguitava il suo nemico fin nella tom
ba: voUe fame condannare la memoria in un concilio; pre
tese da Clemente V, nato suo suddito e che risedeva ad Avi
gnone, che il processo contro il papa suo predecessore fosse
cominciato secondo le regole. Questi veniva accusato di avere
indotto il papa Celestino V, suo predecessore, a rinunciare
alla cattedra pontifcia; davere ottenuto la sua carica per vie
illecite, e infine di aver fatto morire Celestino in prigione.
Questultimo fatto era purtroppo vero. Uno dei suoi dome
stici, di nome Maffredo, e altri tredici testimoni, deponevano
che aveva insultato pi di una volta la religione che lo ren
deva tanto potente, dicendo: Ah! quanto bene ci ha fatto
questa favola del Cristo! , chegli negava con ci i misteri
della Trinit, dellincarnazione, della transustanziazione: que
ste deposizioni si trovano ancora nelle inchieste giuridiche
che sono state raccolte. Il gran numero di testimoni raf
forza di solito unaccusa, ma qui lindebolisce: non sembra
affatto probabile che un sovrano pontefice abbia proferito di
fronte a tredici testimoni quanto si dice raramente a uno
solo. Il re voleva che si esumasse il papa e se ne facessero
bruciare le ossa dal carnefice: osava iriamare cos la cattedra
pontificia, e non riusc a fare a meno di ubbidirle. Clemente
V fu abbastanza saggio da fare svanire tra i rinvi unazione
troppo infamante per la Chiesa.
Tutta questa faccenda ebbe come conclusione che, lungi
dal fare il processo alla memoria di Bonifacio V ili, il re ac
consent soltanto a ricevere la cancellazione della scomnica
scagliata da quel Bonifacio contro di lui e contro il suo regno.
Toller persino che Nogaret, che laveva servito, che aveva
agito soltanto in suo nome, che lavev vendicato di Boni
facio, fosse condannato dal successore di quel papa a passare
la vita in Palestina. Tutto il grande scalpore di Filippo il
Bello fini nicamente a sua vergogna. Non vedrete mai, in
questo gran quadro del mondo, un re di Francia che a lungo
2 4 0 SAGGIO SUI COSTUMI
andare abbia ragione di un papa. Faranno patti fra di loro;
ma Roma vi guadagner sempre qualcosa; alla Francia co
ster sempre denaro. Vedrete soltanto i parlamenti del regno
combattere con inflessibilit lastuta duttilit della corte di
Roma, e spessissimo la politica o la debolezza del gabinetto, la
necessit delle circostanze, gli intrighi dei monaci fenderan
no inutile la fermezza, dei parlamenti; e questa debolezza
durer fino a che un re si degni di dire risolutamente: Vo
glio spezzare le mie catene e quelle della mia nazione . .
(1306) Filippo il Bello, per rifarsi, scacci tutti gli ebrei
del regno, simpadron del loro denaro e proib loro di
ritornare, pena la morte. Non fu il parlamento a prendere
questa decisione: con un ordine segreto, dato nel suo consi
glio privato, Filippo pun lusura ebraica con imingiustizia.
I popoli si credettero vendicati e il re fu ricco.
Qualche tempo dopo, tm avvenimento che ebbe anchesso
origine nello spirito vendicativo di- Filippo il Bello stup
lEuropa e lAsia.
CAPITOLO SESSANTACINQUESIMO 2 4 1
16/cn
DEL SUPPLIZIO DEI TEMPLARI E DELLESTINZIONE
DI QUESTORDINE
T r a le contraddizioni esistenti nel governo di questo mondo,
non tra le piccole listituzione di quei monaci armati che fan
no voto di vivere a un tempO' da anacoreti e da soldati.
Si accusavano i templari di tmire tutto ci che si rimpro
verava a queste due professioni, le dissolutezze e la crudelt
del guerriero, e linsaziabile passione di guadangare che si
imputa ai grandi ordini che hanno fatto voto di povert.
Mentre essi assaporavano il frutto dei loro lavori, cos
come i cavalieri ospitalieri di San Giovanni, lordine teuto
nico, formato come loro nella Palestina, simpadroniva nel
XIII secolo della Prussia, della Livonia, della Curlandia, del-
Samogizia. Questi cavalieri teutonici erano accusati di ri
durre in schiavit tanto gli ecclesiastici quanto i pagani, di
saccheggiare i loro beni, dusurpare i diritti dei vescovi,
di esercitare un brigantaggio orribile; ma non si fa il pro
cesso a dei conquistatori. I templari destarono invidia per
ch vivevano presso i loro compatriotti con tutto lorgoglio
che d lopulenza, e tra i piaceri sfrenati cui si abbandonano
dei guerrieri che non sono trattenuti dal freno del matri
monio.
(1306) Il rigore delle imposte e la malversazione del
consiglio del re Filippo il Bello nelle monete scaten una
sedizione a Parigi. I templari, che avevano in custodia il te
soro del re, furono accusati di avere partecipato alla som
mossa; e si gi visto che Filippo il Bello era implacabile
nelle sue vendette.
CAPITOLO LXVI
I primi accusatori di quellordine furono un borghese di
Bziers, di nome Squin de Florian, e Noffodei, fiorentino,
templare apostata, ambedue detenuti in prigione per i loro
delitti. Domandarono di essere condotti davanti al re, per
ch a lui solo volevano rivelare cose importanti. Se non
avessero saputo qual era lindignazione del re contro i tem
plari, avrebbero essi sperato grazia accusandoli? Furono
ascoltati. Il re, fondandosi sulla loro deposizione, ordina a tut
ti i balivi del regno, a tutti gli ufficiali, di usare la forza
(1309); invia loro un ordine sigillato col divieto, pena la
morte, di aprirlo prima del 13 ottobre. Giunto quel giorno,
ognuno apre il proprio ordine: esso ingiungeva di mettere
in prigione tutti i templari. Tutti vengono arrestati. Subito
il re fa sequestrare in suo nome i beni dei cavalieri fino a
che siano prese disposizioni al riguardo.
Sembra evidente che la lorO' rovina era stata stabilita
moltissimo tempo prima di quellatto clamoroso. Laccusa e
limprigionamentO' sono del 1309; ma sono state ritrovate
lettere di Filippo il Bello in data del 1306 da Melun al conte
di Fiandra, con le quali lo pregava di unirsi a lui per estirpare
i templari.
Occorreva giudicare quello straordinario numero di accu
sati. Il papa clemente V, creatura di Filippo, e che dimora
va allora a Poitiers, si unisce a lui dopo qualche disputa sul
diritto che aveva la Chiesa di sterminare quei religiosi, e
sul diritto del re di punire dei sudditi. Il papa interrog per
sonalmente settantadue cavalieri. Inquisitori e commissa
ri delegati procedettero dappertutto contro gli altri. Ven
gono spedite bolle a tutti i potentati dEuropa per incitarli
a imitare la Francia. Ci si attiene a esse in Castiglia, in
Aragona, in Sicilia, in Inghilterra; ma solo in Francia si fece
ro perire quegli infelici. Duecento e un testimone li accusa
rono di rinnegare Ges Cristo entrando nellordine, di spu
tare sulla croce, di adorare ima testa dorata montata su quat
tro piedi. Il novizio baciava il professo, che loi riceveva,
sulla bocca, sullombelico e su parti che sembrano non pro
prio destinate a questuso. Giurava di abbandonarsi ai suoi
CAPITOLO SESSANTASEESIMO 2 4 3
confratelli. Questo, dicono le informazioni conservate fino
ai nostri giorni, quanto confessarono settantadue templari
al papa stesso, e centoquarantuno di quegH accusati a frate
Guglielmo, cordigliere, inquisitore a Parigi, alla presenza di
testimoni. Si aggiunge che il gran maestro dellordine stesso
e il gran maestro di Cipro, i maestri di Francia, di Poitou,
di Vienne e di Normandia fecero le stesse confessioni a tre
cardinali delegati dal papa.
(1312) Indubitabile il fatto che si fecero subire le pi
crudeli torture a oltre cento cavalieri, e che ne furono bru
ciati vivi cinquantanove in un giorno, presso labbazia Saint-
Antoine di Parigi; che il gran maestro Jacques de Molai, e
Gui, fratello del delfino dAlvernia, due dei principali signori
dEuropa, luno per dignit, laltro per nascita, furono get
tati vivi anchessi tra le fiamme, non lungi dal luogo in cui
si trova oggi la statua equestre del re Enrico IV.
Quei supplizi, in cui si fanno morire tanti cittadini, dal
tronde rispettabili, quello stuolo di testimoni contro di loro,
quelle confessioni di parecchi accusati stessi, sembrano pro
ve del loro crimine e della giustizia della loro rovina.
Eppure quante ragioni in loro favore! In primo luogo,
di tutti i testimoni che depongono contro i templari, la
maggior parte articolano soltanto vaghe accuse. In secondo
luogo, pochissimi dicono che i templari rinnegavano Ges
Cristo. Che cosa avrebbero guadagnato infatti, maledicendo
una religione che li nutriva e per la quale combattevano? In
terzo luogo, che parecchi di loro, testimoni e complici delle
dissolutezze dei principi e degU ecclesiastici di quei tempi,
avrebbero talvolta manifestato disprezzo per gli abusi di una
religione tanto disonorata in Asia e in Europa; che ne avreb
bero parlato nei momenti di libert, come si diceva che ne
parlasse Bonifacio Vili: questa una esuberanza di giovani
di cui certamente l ordine non affatto responsabile. In
quarto luogo, quella testa dorata che si sosteneva che ado
rassero e che si conservava a Marsiglia, doveva essere mostra
ta loro; non ci si prese neppure la briga di cercarla, e si
deve ammettere che una simile accusa si distrugge da s. In
2 4 4 SAGGIO SUI COSTUMI
quinto luogo, la maniera infame con cui si rimproverava loro
i essere ammessi nellordine non pu essere diventata leg
ge tra loro. Significa conoscere male gli uomini il credere
che vi siano delle societ che . si mantengono merc i cattivi
costumi e che facciano una legge dellimpudicizia: si vuole
sempre rendere rispettabile la propria societ per chi vuole
entrarvi. Non dubito affatto che diversi giovani templari si
abbandonassero a eccessi che in ogni tempo sono stati
propri della giovent; e sono di quei vizi passeggieri che
molto meglio ignorare che non punire. In sesto luogo, se
tanti testimoni hanno deposto contro i templari, vi furono
anche molte testimonianze estranee in favore dellordine. In
settimo luogo, se gli accusati, vinti dai tormenti che fanno
dire sia la menzogna sia la verit, hanno confessato tanti
delitti, forse quelle confessioni ridondano a vergogna dei
giudici quanto dei cavalieri; si prometteva loro la grazia
per estorcerne la confessione. In ottavo luogo, i cinquanta-
nove che furono bruciati vivi presero Dio a testimone della
loro innocenza," e non vollero la vita che veniva offerta loro
a condizione di riconoscersi colpevoli; Quale prova mag
giore non solo dinnocenza, ma donore? In nono luogo, set-
tantaquattro templari non accusati tentarono di difendere
lordine, e non furono ascoltati. In decimo luogo, quando fu
letta al gran maestro la sua confessione redatta davanti ai
tre cardinali, quel vecchio guerriero, che non sapeva n leg
gere n scrivere, esclam ciie lavevano ingannato; che ave
vano scritto ima deposizione diversa dalla sua; che i cardi
nali rriinistri di quella perfidia meritavano di essere puniti
come i Turchi pxiniscono i falsari, fendendo loro il corpo
la testa in due. lii undicesimo luogo, si sarebbe accordata la
vita a quel gran maestro, e a Gui, fratello del delfino dAl-
vernia, se avessero voluto riconoscersi colpevoli pubblica
mente; e vennero bruciati solo perch, chiamati su un palco
a riconoscere alla prsenza di popolo i delitti dellordine,
giurarono che lordine era innocente. Questa dichiarazione,
che indic il re, procur loro il supplizio, d essi morirono
CAPITOLO SESSANTASEESIMO 245
invocando invano la vendetta celeste contro i loro perse
cutori.
Intanto, a causa della bolla del papa e dei loro grandi
beni, si perseguitarono i templari in tutta lEuropa; ma in
Germania essi seppero impedire di essere catturati. Sostenne
ro in Aragona degli assedi nei loro castelli. Alla fine, il papa,
di sua propria autorit, abol lordine in un concistoro se
greto, durante il concilio di Vienna; chi pot si spart le
loro spoglie. I re di Castiglia e dAragona sj impadronirono
di una parte dei loro beni, e ne distribuirono ai cavalieri di
Calatrava; furono date terre dellordine in Francia, in Ita
lia, in Inghilterra, in Germania agli ospitalieri, detti allora
cavalieri di Rodi, perch avevano appena preso questisola
ai Turchi e lavevano saputa conservare con un coraggio che
meritava come ricompensa almeno le spoglie dei cavalieri
del Tempio.
Dionigi, re di Portogallo, istitu in vece loro lordine
dei cavalieri di Cristo, ordine che doveva combattere i Mo
ri, ma che, divenuto poi un vano onore, ha smesso anche
di essere onore a forza di essere prodigato.
Filippo il Bello si fece dare duecentomila lire, e suo fi
glio, Luigi Hutin* prese altre seicentonla lire sui beni
dei templari. Non so quanto spett al papa; ma mi pare evi
dente che le spese dei cardinali e degli inquisitori delegati a
fare quel processo spaventoso ammontassero a somme im
mense. Mi ero forse ingannato quando lessi con voi la let
tera circolare di Filippo il Bello, con la quale ordina ai suoi
sudditi di restituire mobili e immobili dei templari ai com
missari del papa. Questa ordinanza di Filippo riferita da
Pierre Dupuy**. Credemmo che il papa avesse approfittato di
quella pretesa restitu2done; infatti a chi si restituisce se non
* Il sopraonome le Hutin (ostinato, pervicace), dato a Luigi X, va
riamente trasferito nelle altre lingue. Per esempio, in italiano quel re
detto il Litigioso, in inglese the Quarreller.
, ** Pierre Dupuy (1582-1651), bibliotecario del re di Francia, cre il
primo catalogo degU archivi reali. soprattutto noto per la sua opera
Histaire de la condamnation des Templiers, che contiene importantissimi
documenti su quei fatti.
2 4 6 SAGGIO SUI COSTUMI
a coloro che reputiamo proprietari? Ora, a quel tempo, si
pensava che i papi fossero i padroni dei beni della Chiesa:
tuttavia non sono mai riuscito a scoprire quanto il papa rac
colse da quelle spoglie. accertato che in Provenza i papa
spart i beni mobili dei templari con il sovrano. Si univa alla
bassezza di impadronirsi dei beni dei proscritti la vergogna
di disonorarsi per poca cosa; ma esisteva lonore allora?
Bisogna prendere in esame un avvenimento che accade
va nello stesso tempo, che fa pi onore alla natura umana,
e che ha fondato una repubblica invincibile.
CAPITOLO SESSANTASEESIMO 2 4 7
DELLA SVIZZERA E DELLA SUA RIVOLUZIONE
ALLINIZIO DEL XIV SECOLO
D i tutti i paesi dellEuropa, quello che aveva maggiormente
conservato la semplicit e la povert delle prime et era la
Svizzera. Se non fosse diventata libera, non avrebbe alcun
posto nella storia del mondo; sarebbe confusa con tante
province pi fertili e pi opulente che seguono la sorte dei
regni in mezzo ai quali sono incastrate: sattira lattenzione
su di s soltanto quando si qualcosa di per se stessi. Un
cielo triste, un terreno petroso e ingrato, delle montagne,
dei precipizi, questo quanto la natura ha fatto per i tre
quarti di questa regione. Ci nondimeno ci si contendeva la
sovranit di quelle rocce con lo stesso furore con cui ci si
scannava per avere il regno di Napoli o lAsia Minore.
In quei diciotto anni danarchia durante i quali la Ger
mania fu priva dimperatore, dei signori di castelli e dei
prelati combattevano tra loro per il possesso di una porzion-
cina della Svizzera. Le loro piccole citt volevano essere li
bere come le citt dItalia, sotto la protezione dellimpero.
Quando Rodolfo fu imperatore, alcuni signori di castelli
accusarono in giudizio i cantoni di Schwitz, di Uri e dUn-
derwald di essersi sottratti alla loro dominazione feudale.
Rodolfo, che un tempo aveva combattuto quei piccoli ti
ranni, pronxmci xm giudizio' favorevole ai cittadini.
Suo fi^o, Alberto dAustria, giunto allimpero, volle
fare della Svizzera un principato per uno dei suoi figli. Una
parte delle terre del paese gli apparteneva, come Lucerna,
CAPITOLO LXVn
Zurigo e Glarona. Furono mandati governatori severi, che
abusarono del loro potere.
I fondatori della libert elvetica si chiamavano Melchtal,
Stauffacher e Walther Furst. La difficolt di pronunciare no
mi tanto rispettabili nuoce alla loro celebrit. Questi tre
contadini furono i primi congiurati; ognuno di essi ne atti
r altri tre. Questi nove guadagnarono i tre cantoni di,
Schwitz, di Uri e dUnderwald.
Tutti gli storici asseriscono che, mentre si tramava que
sta congiura, un governatore di Uri, di nome Grisler, esco
git un genere di tirannia ridicolo e orribile (1307). Fece
porre, si dice, im suo berretto in cima a ama pertica sulla piaz
za, e ordin che si salutasse il berretto pena la morte. Uno
dei congiurati, di nome Guglielmo Teli, non salut il ber
retto. Il governatore , lo condann allimpiccagione e con
cessela grazia soltanto alla condizione che il colpevole, che
aveva fama di arciere abilissimo,, abbattesse con una frecciata
una mela posta sulla testa di suo figlio*. Il padre, tremante,
tirj ed ebbe la fortuna di abbattere la mela. Grisler, scor
gendo una seconda -freccia sotto la : veste di Teli, domand
che cosa volesse fame. Ti era destinata, disse lo Sviz
zero,' se avessi ferito mio figlio. Bisogna ammettere che
la stria della mela assai sospetta. Pare che si sia pensato
di dover ornare con una fvola la cuUa della libert elvetica;
ma si reputa certo che TeU, messo in catene, uccise poi il
governatore con una frecciata; che questo fu il segnale per
i congiurati, che i popoli deinolirono le fortezze.
Limperatore Alberto dAustria, che voleva punire que
gli uomini liberi, fu prevenuto dalla morte; Il duca dAustria,
Leopoldo, riun contrp di loro ventimila uomini.'Gli S'azzeri
si condussero come i Lacedirioni alle Termopili (1315). At
tesero, in numero di quattro o cinquecnto, l niaggior parte
dell'esercito austriaco al- passo di Mo^gate**-. ' Pi fortunati
dei Lacedemoni, misero i fuga i nemici facendo rotolare s
Si vuole che questo racconto sia tratto da unantica leggenda danese
(N.d.A.).
** Morgartcn. ' . / , , ' ' " :. j
CAPITOLO SESSANTASETTESIMO 2 4 9
di loro delle pietre. Gli altri corpi dellesercito nemico furo
no battuti contemporaneamente da un numero di Svizzeri al
trettanto esiguo.
Conseguita questa vittoria nel cantone di Schwitz, gli
altri due cantoni diedero questo nome alla loro alleanza, la
quale, diventando pi generale, fa ancora ricordare con quel
solo nome la vittoria che procur loro la libert. A poco a
poco gli altri cantoni entrarono nellalleanza. Berna, che
in Svizzera ci che Amsterdam in Olanda, si alle soltan
to nel 1352; e soltanto nel 1513 il paesino di Appenzel si
uni agli altri cantoni e complet il numero di tredici.
Mai un popolo ha combattuto pi a lungo n meglio de
gli Svizzeri per la propria libert; essi lhanno conseguita con
pi di sessanta combattimenti contro gli Austriaci; e v da
credere che la conserveranno a lungo. Ogni paese che non
ha una grande estensione, che non ha eccessive ricchezze e
in cui le leggi sono miti deve essere libero. Il nuovo governo
in Svizzera ha fatto cambiare faccia alla natura: un terreno
arido, trascurato sotto padroni troppo duri, stato finalmente
coltivato; la vite stata piantata su rocce; delle brughiere,
dissodate e coltivate da mani libere, sono divenute fertili.
Leguaglianza, retaggio naturale degli uomini, sussiste
ancora in Svizzera per quanto possibile. Non intendete con
questa parola quelleguaglianza assurda e impossibile per la
quale il servitore e il padrone, il manovale e il magistrato,
la parte in causa e il giudice, sarebbero confusi insieme; ma
quelleguaglianza per la quale il cittadino dipende solo dal
le leggi e che mantiene la libert dei deboli contro lambi
zione del pi forte. Quel paese insomma avrebbe meritato
dessere chiamato felice se la religione non avesse, pi tardi,
diviso i suoi cittadini che erano uniti dallamore del bene
pubblico e se, vendendo il loro coraggio a principi pi ricchi
di loro, avessero sempre conservato lincorruttibilit che li
distingue.
Ogni nazione ha avuto tempi in cui gli spiriti si ecci
tano pi di quanto non sia nella loro indole; questi tempi
sono stati meno frequenti presso gli Svizzeri che altrove: la
2 5 0 SAGGIO SUI COSTUMI
semplicit, la frugalit, la modestia, conservatrici della li
bert, sono sempre state la loro caratteristica; essi non han
no mai mantenuto un esercito per difendere le loro frontiere
o per penetrare presso i loro vicini; non cittadelle che ser
vano contro i nemici o contro i cittadini; non imposte sui
popoli; non debbono pagare n il lusso n gli eserciti di un
padrone; le loro montagne sono i loro bastioni, e ogni citta
dino soldato per difendere la patria. Ci sono pochissime
repubbliche nel mondo, e per di pi debbono la loro libert
alle rocce o al mare che le difende. Gli uomini sono assai di
rado degni di governarsi da s soli.
CAPITOLO SESSANTASETTESIMO 2 5 1
SEGUITO DELLA CONDIZIONE IN CUI SI TROVAVANO
LIMPERO, LTTALIA E IL PAPATO NEL XIV SECOLO
A-bbiamo cominciato a trattare del XIV secolo. Possiamo
notare che da seicento anni Roma, debole e sventurata,
sempre il principale oggetto dellEuropa; domina con la
religione, mentre nellavvilimento e nellanarchia; e nono
stante tanto scadimento e tanti disordini, n gli imperatori
possono stabilirvi il trono dei Cesari, n i pontefici render-
CAPITOLO LXVm
visi assoluti. Do
che, uno dopo
po Federico II abbiamo quattro imperatori
altro, dimenticano completamente lItalia:
Corrado IV, Rodolfo I, Adolfo di Nassau, Alberto dAustria.
Perci proprio allora tutte le citt italiane recuperano' i loro
diritti naturali e issano lo stendardo della libert: Genova e
Pisa sono le emule di Venezia; Firenze diventa una repub
blica illustre; Bologna non riconosce allora n imperatori n
papi: il regime municipale prevale dappertutto, e soprattutto
a Roma. (1312) Clemente V, che fu chiamato il papa gmt-
scone, prefer trasferire la santa sede fuori dItalia e godere
in Francia dei contributi pagati allora da tutti i fedeli, piut
tosto che contendere inutilmente castelli e citt presso Ro
ma. La corte di Roma fu insediata da quel papa alle frontiere
della Francia; ed quello che i Romani chiamano ancor og
gi il tempo della cattivit babilonese. Clemente andava da Lio
ne a Vienne nel Delfinato, ad Avignone, conducendo pubbli
camente con s la contessa di Prigord, e ricavando quanto
denaro poteva dalla piet dei fedeli: colui che avete visto
distruggere lordine temibile dei templari.
Come mai gli Italiani, in quelle circostanze, non fecero,
lontano dagli imperatri dai papi, quanto hanno fatto i
Tedeschi che, sotto gli occhi stessi degli imperatori, hanno
istituito di secolo in secolo la loro partecipazione al potere
supremo e la loro indipendenza? Non cerano pi in Italia
n imperatori n papi: chi foggi dunque nuve catene a
questo bel paese? la discordia. Le fazioni guelfa e ghibellina,
nate dalle contese del sacerdozio e dellimpero, perduravano
sempre come un fuoco che si nutriva per eflEetto di nuove ,
fiammate; la discordia era dappertutto. LItalia non formava
un corpo, la Germania ne formava pur sempre uno. Infine
il primo imperatore intraprendente che avesse voluto riva
licare i monti poteva rinnovare i diritti e' le pretese dei
Carlomagno e degli Ottone. quanto accade alla fine ad
Arrigo VII, della casa di Lussemburgo: egli scende in Ita
lia con un esercito di Tedeschi; va a farsi riconoscere (13H).
Il partito guelfo vede nel suo viaggio una nuova irruzione di
barbari; ma il partito ghibellino lo favorisce: egli sottomette
le citt della Lombardia; una nuova conquista, si dirige
su Roma per ricevervi la corona imperiale.
Roma, che non voleva n imperatore n papa, e che non
pot scuotere completamente il giogo delluno e dellal
tro, chiuse invano le sue porte {1313). Gli Orsini e il fra
tello di Roberto, re di Napoli, non poterono impedire che
limperatore entrasse, spada alla mano, secondato dal par
tito dei Colonna: ci si batt lungamente per le strade, e
un vescovo di Liegi fu ucciso a fianco dellimperatore. Fu
sparso molto sangue per questa cerimonia deUincoronazio-
n, che finalmente tre cardinali fecero invece del papa. Non
bisogna dimenticare che Arrigo VII protest davanti a un
notaio che il giuramento da lui prestato alla sua incorona
zione non era un giuramento di fedelt. I papi osavano
dunque pretendere che limperatore fosse loro vassallo.
Padrone di Roma, vi stabil un governatore: ordin che
tutte le citt, che tutti i principi dItalia gli pagassero un
tributo annuo; comprese in questordine persino il regno
di Napoli, separato allora da quello di Sicilia, e cit a
comparire il re di Napoli. Cos limperatore reclama il
CAPITOLO SESSANTOTTESIMO 2 5 3
SUOdiritto su Napoli: il papa ne era signore supremo; lim
peratore si diceva signore del papa, e il papa si credeva si
gnore dellimperatore.
(1313) Arrigo VII si apprestava a sostenere la sua pre
tesa su Napoli con le armi, quando mor avvelenato, a
quanto' si aEerma: si dice che un domenicano avesse mesco
lato del veleno al vino consacrato.
Gli imperatori comunicavano allora sotto le due spe
cie, come canonici di San Giovanni in Laterano. Potevano
fare lufficio di diaconi alla messa del papa, e i re di Fran
cia vi sarebbero stati suddiaconi.
Non si haimo prove giuridiche che Arrigo VII sia mor
to per queUawelenamento sacrilego: ne fu accusato il frate
Bernardo Poliziano di Montepulciano, e trentanni dopo
i domenicani ottennero dal figlio di Arrigo VII, Giovan
ni, re di Boemia, delle lettere che li dichiaravano, innocenti.
triste il fatto davere avuto bisogno di quelle lettere.
Come allora regnava poco ordine nelle elezioni dei papi,
cos quelle degli imperatori erano molto mal ordinate. Gli
uomini non avevano ancora saputo impedire gli scismi con
sagge leggi.
Ludovico di Baviera e Federico il Bello, duca dAustria,
furono eletti contemporaneamente in mezzo ai torbidi pi
funesti. Solo una guerra avrebbe potuto risolvere ci che
una dieta regolare di elettori avrebbe dovuto giudicare: un
combattimento, nel quale lAustriaco fu vinto e preso
(1322), diede la corona al Bavarese.
Si aveva allora per papa Giovanni XXII, eletto a Lione
nel 1315. Lione si reputava ancora una citt libera; ma il
vescovo voleva sempre esserne il padrone, e i re di Fran
cia non erano ancora riusciti ad assoggettare il vescovo. Fi
lippo il Lungo, appena re di Francia, aveva riunito i cardi
nali in quella citt libera; e, dopo aver giurato che non
avrebbe fatto loro violenza alcuna, li aveva rinchiusi tutti,
e li aveva rilasciati solo dopo la nomina di Giovanni XXII.
Questo papa un altro grande esempio di quanto pu
il solo merito nella Chiesa: perch bisogna certamente aver-
254 SAGGIO SUI COSTUMI
ne molto per giungere dalla professione di ciabattino al
grado nel quale ci si fa baciare i piedi.
Egli nel novero di quei pontefici che ebbero tanta piti
alterigia nellanimo quanto pi bassa era la loro origine
agli occhi degli uomini. Abbiamo gi osservato* che la cor
te pontificia sussisteva solo grazie alle retribuzioni fomite
dai cristiani: quel fondo era pi ingente delle terre della
contessa Matilde. Quando parlo del merito di Giovanni
XXII, non parlo di quello del disinteresse: quel pontefice
esigeva, con veemenza maggiore di qualsiasi suo predeces
sore, non soltanto lobolo di san Pietro, che lInghilterra
pagava molto irregolarmente, ma i tributi di Svezia, di
Danimarca, di Norvegia e di Polonia; chiedeva tanto spesso
e con tanta violenza, che otteneva sempre un po di dena
ro: ci che gliene forn di pi fu la tassa apostolica dei
peccati; valut lomicidio, la sodomia, la bestialit; e gli
uomini tanto cattivi da commetere quei peccati furono tan
to sciocchi da pagarli. Ma stare a Lione e avere solo poca
autorit in Italia, non era essere papa.
Mentre risiedeva a Lione, e Ludovico di Baviera sin
sediava in Germania, lItalia era sul punto di esser per
duta e per limperatore e per lui. I Visconti cominciavano
ad affermarsi a Milano; limperatore Ludovico, non poten
do svilirli, fingeva di proteggerli, e lasciava loro il titolo d
suoi luogotenenti; erano ^bellini; come tali si impadro
nivano di una parte delle terre della contessa Matilde,
eterna causa di discordia; Giovanni li fece dichiarare ere
tici dallinquisizione; era in Francia, poteva dare senza
alcun rischio una di quelle bolle che tolgono e dnno gli
imperi. Depose a parole Ludovico di Baviera con una di
quelle bolle, privandolo, egli dice, di tutti i beni
mobili e immobili .
(1327) Cos deposto, l imperatore si affrett a marciare
verso lItalia, dove colui che lo deponeva non osava mo
strarsi: and a Roma, soggiorno sempre momentaneo degli
CAPITOLO SESSANTOTTESIMO 255
* In questo stesso capitolo a pag, 252.
imperatori, accompagnato da Castracani, tiranno di Lucca,
leroe di Machiavelli*.
Ludovico Monaldesco**, nativo dOrvieto, che, allet
di centoquindici anni, scrisse le memorie del suo tempo, dice
che si ricorda benissimo di quellentrata dellimperatore Lu
dovico di Baviera (1328). 11 popolo cantava, egli dice,
- Viva Dio e l imperatore! siamo liberati dalla guerra,
dalla carestia e dal papa! Questo passo merita di essere
citato solo perch di un uomo che scrive allet di cento-
quindici anni.
Ludovico di Baviera convoc a Rma unassemblea ge
nerale simile a quegli antichi parlamenti di Carlomagno e
dei suoi figli: quel parlamento si tenne nella piazza San
Pietro stessa; dei principi di Germania e dItalia, dei de
putati delle citt, dei vescovi, degH abati, dei religiosi vi
assistettero in folla. Limperatore, seduto su un trono in
cima ai gradini della Chiesa, la corona in testa e lo scettro
doro in mano, fece gridare tre volte da un monaco agosti
niano: C qualcuno che voglia difendere la causa del pre
te di Cahors, che si nomina papa Giovanni? (1328) Non
essendosi presentato nessuno, Ludovico pronunci la sen
tenza con la quale privava il papa di ogni beneficio e lo con
segnava al braccio secolare per essere bruciato come ereti
co. Condannare cos a morte un sovrano pontefice era lul
timo estremo cui potesse giungere la contesa del sacerdo
zio e dellimpero.
Qualche giorno dopo, con la stessa pompa, limperato
re cre papa un cordigliere napoletano, linvest con lanel
lo, gli mise egli steso il piviale e lo fece sedere sotto il bal
dacchino al suo fianco; ma si guard bene dallassogget-
tarsi allusanza di baciare i piedi al pontefice.
Tra tutti i monaci, di cui parler separatamente, i fran
cescani erano allora i pi irrequieti. Alcuni di loro ave
vano preteso che la perfezione consistesse nel portare un
* Niccol Machiavelli ha infatti scritto La Vita di Castmccio Castracani
da Lucca, dedicandola a Zanobi Buondelmonti e a Luigi Alamanni.
** Storico della famiglia dei signori Monaldeschi dOrvieto. La citazione
probabilmente tratta dal 'Rerum di L. A. Muratori.
2 5 6 SAGGIO s u r c o s t u m i
cappuccio pi a punta e uii abito pi stretto; aggiungevano
a questa riforma l opinione che quanto bevevano e man
giavano non apparteneva loro in proprio. Il papa aveva
condannato queste proposizioni; la condanna aveva spinto
i riformatori alla ribellione; alla fine, esacerbatasi la con
tesa, gli inquisitori di Marsiglia avevano fatto bruciare quat
tro di quegli infelici monaci (1318).
Il cordigliere fatto pap dallimpera:tore apparteneva al
loro partito; perci Giovanni XXII era eretico. Questo pa
pa era destinato a essere accusato deresia: infatti, poco tem
po dopo, avendo predicato che i santi avrebbero goduto
della visione beatifica soltanto dopo il giudizio universale,
e che intanto avevano una visione imperfetta, queste due
visioni divisero la Chiesa, e alla fine Giovanni si ritratt.
Tuttavia, quel grande apparato di Ludovico di Bavie
ra a Roma non ebbe miglior esito degli sforzi degli altri
Cesari tedeschi: le agitazioni di Germania li richiamavano
sempre e l Italia sfuggiva loro.
Ludovico di Baviera, in fondo poco potente, non po
t impedire che, al suo ritorno, il proprio pontefice fosse pre
so dal partito di Giovanni XXII e fosse condotto ad Avi
gnone dove fu rinchiuso. Insomma, tale era allora la dif
ferenza tra un imperatore e un papa, che Ludovico di
Baviera, per quanto savio fosse, mor povero nel suo paese
(1344), e che il papa, allontanato da Roma e traendo scarsi
aiuti dallItalia, lasci morendo ad Avignone il valore di
venticinque milioni di fiorini doro, se si vuol credere a
Villani*, autore contemporaneo. chiaro che Villani esa
gera; quandanche si riducesse questa somma a un terzo,
sarebbe sempre molto: cosicch il papato non era mai stato
tanto proficuo a nessuno; ma neppure alcun pontefice ven
dette mai tanti benefici e a cos caro prezzo.
Egli si era attribuito la riserva di tutte le prebende, di
quasi tutti i vescovati, e il reddito di tutti i benefici va
* Giovanni VUlani (intorno al 1276-1348), storico fiorentino che ebbe
criche importantissime nella sua citt. Scrisse la Cronaca in dodici libri,
considerata la migliore del secolo XIV, che, secondo il costume del tempo,
ha inizio dalla distruzione della torre di Babele, giungendo sino al 1348.
17/CII
CAPITOLO : SESSANTOTTESIMO 2 5 7
canti; aveva trovato, con Parte delle riserve, quella di an
tivenire quasi tutte le elezioni e di dare tutti i benefici.
Peggio, non nominava un vescovo senza spostarne sette o
otto: ogni promozione ne attirava altre e tutte valevano de
naro. Le tasse per le dispense e per i peccati furono inven
tate e redatte al suo tempo; il suo libro delle tasse stato
stampato parecchie volte a cominciare dal XVI secolo, e
ha messo in luce infamie nellinsieme pi ridicole e pi
odiose di tutto quello che si racconta dellinsolente furfan
teria dei sacerdoti dellantichit*.
I papi suoi successori restarono fino al 1371 ad Avi
gnone. Questa citt non apparteneva loro, era dei conti di
Provenza; ma i papi se nerano resi impercettibilmente i pa
droni usufruttuari, mentre i re di Napoli, conti di Proven
za, contendevano per il regno^ di Napoli.
(1348) Linfelice regina Giovanna, di cui ora parleremo,
si stim felice di cedere Avignone al papa Clemnte VI per
ottantamila fiorini doro che egli non pag mai. Ivi la
corte dei papi era tranquilla; diffondeva labbondanza nella
Provenza e nel Delfinato, e dimenticava il soggiorno tempe
stoso di Roma.
Non vedo quasi nessun tempo, dopo Carlomagno, in cui
i Romani non abbiano richiamato le loro antiche idee di
grandezza e di libert: sceglievano, come abbiamo visto**,
ora numerosi senatori, ora uno solo o un patrizio o un go
vernatore o un console, talvolta un tribuno. Quando vide
ro che il papa comprava Avignone, pensarono ancora una
volta a far rinascere la repubblica: rivestirono del tribunato
un semplice cittadino, chiamato Nicola Rienzi, e volgar
mente Cola, uomo nato fanatico e divenuto ambizioso, ca
pace perci di grandi cose; egli le intraprese, e diede del
le speranze a Roma: di lui appunto parla Petrarca nella pi
bella delle sue odi o canzoni-, dipinge Roma scarmigliata
e con gli occhi bagnati di lacrime che implora laiuto di
Rienzi:
* Si veda il Dizionario filosofico (N.d.A.).
** Nel I volume, capitolo XXX, e in questo al capitolo LXI.
2 5 8 SGGIO SUI COSTUMI
Con gli occhi di dolor bagnati e molli
Ti chier merc da tutti sette i colli*
Questo tribuno si proclamava severo e clemente li
beratore di Roma, zelatore dellItalia, amatore delluniver-
so; dichiar che tutti i popoli dellItalia erano liberi e
cittadini romani. Ma queste convulsioni di una libert da
lungo tempo morente non furono pi efficaci delle pretese
degli imperatori su Roma; questo tribunato pass pi ra
pido del senato e del consolato invano restaurati. Rienzi,
avendo cominciato come i Gracchi, fin come loro; fu as
sassinato dalla fa2one delle famiglie patrizie.
Roma doveva deperire per lassenza della corte dei pa
pi, per le agitazioni dellItalia, per la sterilit del suo ter
ritorio e per il trasporto delle manifatture a Genova, a
Pisa, a Venezia, a Firenze. Solo i pellegrinaggi la sosten
tavano allora: il grande giubileo soprattutto, istituito da
Bonifacio VIII per ogni secolo, ma fissato a ogni cinquan-
t anni da Clemente VI, attirava a Roma una folla cos
straordinaria, che nel 1350 furono contati duecentomila
pellegrini. Roma, senza imperatore e senza papa, sempre
debole, e la prima citt del mondo cristiano.
CAPITOLO SESSANTOTTESIMO 2 5 9
* Sono i due ultimi versi della canzone LUI, SpLtto gentU che quelle
membra reggi....
CAPITOLO LXrX
DI GIOVANNA, REGINA DI NAPOLI
Abbiamo detto che la sede papale acquist Avignone da
Giovanna dAngi e di Provenza. Non si vendono i propri
Stati se non quando si infelici. Le sventure e la morte di
questa regina entrano in tutti gli avvenimenti di quei
tempi, e soprattutto nel grande scisma dOccidente, che
tra poco avremo sotto gli occhi.
Napoli e la Sicilia erano sempre governati da stranie
ri: Napoli dalla casa di Francia; lisola di Sicilia da quella
dAragona. Roberto, che mor nel 1343, aveva reso fio
rente il suo regno di Napoli; suo nipote. Luigi dAngi, era
stato eletto re dUngheria. La casa di Francia stendeva i suoi
rami iti ogni direzione; ma quei rami non furono uniti n
col ceppo comune n tra di loro; tutti divennero infelici.
Prima di morire, il re di Napoli, Roberto, aveva dato in
sposa sua nipote Giovanna, sua erede, ad Andrea, fratello
del re dUngheria. Questo matrimonio, che sembrava dover
cementare la fortuna di quella casa, ne cre le sventure: An
drea pretendeva di regnare di sua testa; Giovanna, per quan
to giovane fosse, volle chegli rimanesse soltanto il marito
della regina. Un monaco francescano, di nome frate Ro
berto, che era la guida spirituale di Andrea, accese lodio
e la discordia tra i due sposi: una corte di Napoletani pres
so la regina, unaltra presso Andrea, composta dUnghe-
resi, reputati barbari dai nativi, aumentavano lantipatia.
Luigi, principe di Taranto, principe del sangue, che poco
dopo spos la regina, altri principi del sangue, i favoriti
di questa principessa, la famosa Catanese sua domestica
COS affezionata a lei, deliberano la morte di Andrea: (1346)
viene strangolato nella citt di Aversa nellanticamera di sua
moglie e quasi sotto i suoi occhi; viene gettato dalla fine
stra, si lascia per tre giorni il corpo senza sepoltura. La re
gina, in capo allanno, sposa il principe di Taranto, accusato
dalla voce pubblica. Quante ragioni per crederla colpevole!
Coloro che la giustificano allegano che ella ebbe quattro
mariti, e che una regina che si sottomette sempre al giogo
del matrimonio non deve essere accusata di delitti che lamore
fa cornmettere. Ma solo lamore ispira i delitti? Giovanna ac
consent alluccisione del suo sposo per debolezza, ed ebbe
poi tre mariti per unaltra debolezza pi perdonabile e pi
usuale, quella di non poter regnare sola.
Luigi dUngheria, fratello dAndrea, scrisse a Giovanna
che avrebbe vendicato la morte del fratello su di lei e sui
suoi complici: marci verso Napoli passando da- Venezia e da
Roma, e fece accusare in giudizio Giovanna a Roma davanti a
quel tribuno Cola Rienzi, che, nella sua potenza momenta
nea e ridicola, vide tuttavia dei re al suo tribunale, come
gli antichi Romani. Rienzi non os decidere nuUa, e in que
sto solo mostr prudenza.
Frattanto il re Luigi avanzava verso Napoli facendo por
tare davanti a s uno stendardo nero su cui era stato dipin
to un re strangolato. Fa mozzare la testa a un principe del
sangue, Carlo di Durazzo, complice dellassassinio (1347);
insegue la regina Giovanna che fugge col suo nuovo sposo
nei suoi Stati di Provenza. Ma, cosa assai strana, si soste
nuto che lambizione non avesse parte nella vendetta di Lui
gi. Poteva impadronirsi del regno, e non lo fece. Si trovano
di rado tali esempi. Questo principe aveva, si dice, una virt
austera che lo fece eleggere poi re di Polonia. Parleremo di
lui quando tratteremo in particolare dellUngheria.
Giovanna, colpevole e punita prima dellet di ventanni
di un delitto che attir sui popoli tante calamit quante su
di lei, abbandonata a un tempo dai Napoletani e dai Pro
venzali, va a trovare il papa Clemente VI ad Avignone, di
CAPITOLO SESSANTANOVESIMO 26 1
cui sovrana; ella gli abbandona la sua citt e H suo terri
torio per ottantamila fiorini doro che non ricevette mai.
Mentre si svolgono trattative per questo sacrificio (1348),
ella stessa perora la sua causa davanti al concistoro, e U con
cistoro la dichiara innocente. Clemente VI, per fare uscire da
Napoli il re dUngheria, stipula che Giovanna gli pagher tre-
centomtla fiorini. Luigi risponde che non venuto per vendere
il sangue di suo fratello, che lha in parte vendicato e che se
ne va soddisfatto. Lo spirito di cavalleria che regnava allora
non ha prodotto mai n maggiore durezza n maggiore ge
nerosit.
Scacciata da suo cognato e reintegrata dal favore del pa
pa, la regina prse il suo secondo marito (1376) e godette sola
per qualche anno del governo. Ella spos un principe dAra-
gona che mor subito dopo; alla fine, allet di quarantasei
anni, si risposa con un cadetto della casa di Bruns-wick, di
nome Ottone: ci significava scegliersi un marito che potesse
piacerle piuttosto che un principe che potesse difenderla. Il
suo erede naturale era un altro Carlo di Durazzo, suo cu
gino, unico resto, allora, della prima casa francese dAngi a
Napoli; quei principi si chiamavano cos perch la citt di
Durazzo, conquistata da loro sui Greci e tolta poi dai Vene
ziani, era stata loro appannaggio: ella riconobbe quel Duraz
zo come suo erede, e persino l adott. Questadozione e il
grande scisma dOccidente affrettarono linfelice morte del
la regina.
Gi divampavano le conseguenze sanguinose di queUo
scisma, di cui parleremo tra poco. Brigano*, che prese il
nome di Urbano VI, e il conte di Ginevra, che si chiam
Clemente VII, si contesero con furore la tiara; dividevano
lEuropa. Giovanna prese partito per Clemente, che risedeva
ad Avignone. Durazzo, non volendo aspettare la morte natu
rale della madre adottiva per regnare, si schier dalla parte
di Brigano-Urbano.
(1380) Questo papa incorona Durazzo a Roma, con la
condizione che suo nipote Brigano abbia il principato di Ca-
* Bartolomeo Frignano, non Brigano, come Voltaire scrive qui e pi oltre.
2 6 2 SAGGIO SUI COSTUMI
pua; scomunica e depone la regina Giovanna; e per assicurare
meglio il principato di Capua alla propria famiglia, d tutti
i beni della Chiesa alle principali casate napoletane.
Il papa marcia cori Durazzo verso Napoli. Loro e lar
gento delie Chiese furono adoperati per levare un esercito.
La regina non pu essere aiutata n dai papa Clemente, che
ella ha riconosciuto, n dal marito che ha scelto; ha soltanto
un po di truppe: chiama contro lingrato Durazzo un fratello
di Carlo V, re di Francia, anchegli del nome dAngi; lo adot
ta al posto di Durazzo.
Questo nuovo erede di Giovanna, Luigi dAngi, giunge
troppo tardi perch possa difendere la sua benefattrice e
contendere il regno che gli viene dato.
La scelta che la regina ha fatto di lui le aliena ancora di
pi i sudditi; si temono nuovi stranieri. Il papa e Carlo Du
razzo avanzano. Ottone di Brunswick raccoglie in fretta un
po di truppe; sconfitto e imprigionato.
Durazzo entra a NapoK; sei galere che la regina aveva
fatto venire dalla sua contea di Provenza, e che erano or
meggiate sotto Castel dellOvo, gli furono dinutile aiu
to; tutto veniva fatto troppo tardi; la fuga non era pi at
tuabile. Ella cade nelle mani dellusurpatore. Questo prin
cipe, per mascherare la sua barbarie, si dichiar il vindice
della morte di Andrea. Consult Luigi dUngheria, il qua
le, sempre inflessibile, gli mand a dire che bisognava far
perire la regina della stessa morte chella aveva dato al
primo marito. Durazzo la fece soffocare tra due materassi
(1382). Si vedono dappertutto delitti puniti da altri delitti.
Quali orrori nella famiglia di san Luigi!
La posterit, sempre giusta qttando illuminata, ha com
pianto quella regina, perch lassassinio del suo primo ma
rito fu dovuto alla sua debolezza piuttosto che alla sua mal
vagit, visto chella aveva solo diciottanni quando accon
discese a quel delitto, e che da allora in poi non le furono
rimproverate n dissolutezza, n crudelt, n ingiustizia. Ma
da compiangere sono i popoli; essi furono le vittime di quei
torbidi. Luigi, duca dAngi, port via i tesori del re Carlo
CAPITOLO SESSANTANOVESIMO 2 6 3
V, SUO fratello, e impover la Francia per andare a tentare
inutilmente di vendicare la morte di Giovanna e per racco
glierne leredit. Mor poco dopo in Puglia, senza successo
e senza gloria, senza partito e senza denaro.
Il regno di Napoli, che aveva cominciato a uscire dalla
barbarie sotto il re Roberto, vi u sprofondato d nuovo da
tutte quelle sciagure che il grande scisma aggravava ancora.
Prima di esaminare quel grande scisma dOccidente che lim
peratore Sigismondo spense, raffiguriamoci la forma che as
sunse limpero.
2 6 4 SAGGIO SUI COSTUMI
DELLIMPERATORE CARLO IV. DELLA BOLLA DORO.
DEL RITORNO DELLA SANTA SEDE DA AVIGNONE. A
ROMA. DI SANTA CATERINA DA SIENA, ECC.
L impero tedesco (poich nei dissensi che accompagnarono
gli ultimi anni di Ludovico di Baviera non esisteva pi im
pero romano) prese finalmente una forma un po pi stabile
sotto Carlo IV di Lussemburgo, re di Boemia, nipote di
Arrigo VIL (1356) Egli fece a Norimberga quella famosa
costituzione che si chiama boUa doro, a causa del sigillo
doro che si chiamava bulla in basso latino: facile capire
da questo perch gli editti dei papi sono chiamati bolle. Lo
stile di questa carta risente molto' dello' spirito' del tempo. Il
giureconsulto Bartolo, uno di quei compilatori dopinioni che
fanno ancora le veci di leggi, redasse quella bolla. Comincia
con unapostrofe allorgogHo, a Satana, alla collera, alla lus
suria; vi si dice che il numero di sette elettori necessario
per opporsi ai sette peccati mortali. Vi si parla della caduta
degli angeli, del paradiso terrestre, di Pompeo e di Cesare;
si assicura che la Germania fondata sulle tre virt teolo
gali, come sulla Trinit.
Questa legge dellimpero fu fatta in presenza e col con
senso di tutti i principi, vescovi, abati, e persino dei deputati
delle citt imperiali, che per la prima volta assistettero a
quelle assemblee della nazione teutonica. Questi diritti delle
citt, eflEetti naturali della libert, avevano cominciato a ri
nascere in Italia, in Inghilterra, in Francia e in Germania.
Si sa che il numero degli elettori fu allora fissato a sette. Gli
arcivescovi di Magonza, di Colonia e di Treviri, che da lungo
tempo avevano facolt di eleggere degli imperatori, non sop-
CAPITOLO LXX
portarono che altri vescovi, quantunque altrettanto potenti,
condividessero questonore. Ma perch il ducato di Baviera
non fu posto nel novero degli elettorati? E perch la Boemia,
che in origine era uno Stato separato dalla Germania, e che,
per la bolla doro, non ammessa alle deliberazioni dellim
pero, ha tuttavia diritto di suffragio nellelezione? Se ne
vede la ragione: Carlo IV era re di Boemia, e Ludovico di
Baviera era stato suo iiemico.
Si dice in quella bolla, composta da Bartolo, che i sette
elettori erano gi stabiliti; lo erano stati dunque, ma da po
chissimo tempo; tutte le testimonianze anteriori al XIII se
colo e al XII mostrano che fino al tempo di Federico II i si
gnori e i prelati in possesso di feudi eleggevano limperatore;
e questo verso di Hoved* ne una prova palese;
Eligit unanmis cleri procerumg^ue voluntas.
La volont unanime dei signori e del clero crea gli imperatori.
Ma poich i principali ujfficiali della casa erano principi
potenti; poich questi ufficiali proclamavano colui che la
maggioranza aveva eletto; poich, infine, erano in numero di
sette, questi ufficiali si attribuirono, alla morte di Federico
II, il diritto di nominare il loro padrone; e questa fu la sola
origine dei sette elettori.
Prima, un maestro di palazzo, uno scudiero, un coppiere
erano tra i principali domestici di un uomo; e col tempo si
erano eretti a maestri di palazzo dellimpero romano, a cop
pieri dellimpero romano. In tal modo appunto in Francia
colui che forniva il vino al re si chiam gran bottigliere di
Francia; il suo panettiere, il suo coppiere diventarono gran pa
nettieri, gran coppieri di Francia, sebbene certamente quegli
ufficiali non servissero n pane, n vino, n carne allimpero e
alla Francia. LEuropa fu inondata da quelle dignit eredi
tarie di marescialli, i gran maestro di caccia, di ciambellani
* Roger of Hoveden o Howden (prima del 1174-1201), cronachista in
glese che ebbe incarichi segreti dal re Enrico IL Nel 1189 diede inizio alla
sua Chronica, storia generale dellInghilterra dal 732 al 1201, preziosissima
soprattutto per le vicende costituzionali dal 1192 in poi.
2 6 6 SAGGIO SUI COSTUMI
duna provincia. Persino la dignit di gran maestro degli
straccioni di Champagne divenne una prerogativa di famiglia.
Del resto, la dignit imperiale, la quale di per se stessa
allora non dava alcun potere reale, non ricevette pi quella
pompa che suscita reverenza nel popolo se non alla cerimo
nia della promulgazione della bolla doro. I tre elettori eccle
siastici, tutti e tre arcicancellieri, vi comparvero con i sigilli
dellimpero. Magonza portava quelli della Germania, Colo
nia quelli dellItalia, Treviri quelli delle Gallie. Tuttavia lim
pero non possedeva in GaUia se non l vana dipendenza dei
resti del regno dArles, della Provenza, del.Delfinato, subito
dopo confusi nel vasto regno di Fraticia. La Savoia, che ap
parteneva alla casa di Moriana, dipndeva dallimpero; la
Franca Contea, sotto la protezione imperiale, era indipen
dente e apparteneva al ramo di Borgogna della casa di
Francia.
Limperatore era chiamato nella bolla capo del mondo,
caput orhts. Il delfino di Francia, figlio dellinfelice Giovanni
di Francia, assisteva a quella cerimonia, e il cardinale dAlba
prese posto pi in alto di lui: tanto vero che allora si con
siderava lEuropa come un corpo a due teste, e queste due
teste erano limperatore e il papa; gli altri principi erano
considerati alle diete dellimpero e ai conclavi soltanto come
membra che dovevano essere vassalle. Ma osservate quanto
sono mutate queste usanze; gli elettori allora cedevano ai
cardinali: dopo di allora si sono resi meglio conto del valore
della loro dignit; i nostri cancellieri sono per lungo tempo
passati prima di coloro che avevano osato precedere il del
fino di Francia. Giudicate da questo se v qualcosa di sta
bile in Europa.
Si visto* quanto limperatore possedeva in Italia: in
Germania era soltanto sovrano dei suoi Stati ereditari; non
dimeno nella sua bolla parla da re dispotico, vi fa tutto i
sua certa scienza e piena potenza-, parole insostenibili per
la libert germanica, che non sono pi tollerate nelle diete
CAPITOLO SETTANTESIMO 2 6 7
* Nel capitolo LXI, pag. 201.
imperiali, dove limperatore si esprime cos: Siamo rimasti
daccordo con gli Stati, e gli Stati con noi .
Per dare unidea del fasto che accompagn la cerimonia
della bolla doro, baster sapere che il duca di Lussemburgo
e di Brabante, nipote dellimperatore, serviva da bere a que
sto; che il duca di Sassonia, come gran maresciallo, comparve
con una misura dargento piena davena; che lelettore di
Brandeburgo dette di che lavarsi allimperatore e allimpe
ratrice; e che il conte palatino pose i piatti doro sulla tavola,
alla presenza di tutti i grandi dellimpero.
Si sarebbe scambiato Carlo IV per il re dei re. Costan
tino, il pi fastoso degli imperatori, non aveva mai sfoggiato
apparati pi sfolgoranti; eppure Carlo IV, per quanto osten
tasse dessere imperatore romano, prima dessere eletto aveva
fatto giuramento al papa Clemente VI (1346) che, se mai
fosse andato a farsi incoronare a Roma, non vi avrebbe dor
mito nemmeno una notte, e che non sarebbe mai rientrato
in Italia senza il permesso del santo padre; e c inoltre una
sua lettera al cardinale Colombier, decano del sacro collegio,
datata 1355, nella quale chiama quel decano Vostra Maest.
Per questo lasci alla casa dei Visconti lusurpazione di
Milano e della Lombardia; ai Veneziani Padova, un tempo
sovrana di Venezia, ma che allora ne era suddita, cos come
Vicenza e Verona. Fu incoronato re di Arles nella citt di
questo nome; ma con la condizione che non vi rimanesse pi
a lungo che a Roma. Tanti cambiamenti nelle usanze e nei
diritti, quellostinazione a conservarsi un titolo con cos poco
potere, costituiscono la storia del basso impero. I papi lo
eressero chiamando Carlomagno e poi gli Ottoni nella debole
Italia; i papi poi lo distrussero per quanto poterono. Quel
corpo che si chiamava e che si chiama ancora il santo impero
romano non era in alcun modo n santo, n romano;, n im
pero.
Gli elettori, i cui diritti erano stati rafiorzati dalla bolla
doro di Carlo IV, li fecero ben presto valere contro il suo
stesso figlio, limperatore Venceslao, re di Boemia.
La Francia e la Germania furono a un tempo afflitte da
2 6 8 SAGGIO s u r c o s t u m i
uri flagello senza precedenti; il re di Francia e limperatore
avevano perso quasi contemporaneamente luso della ragio
ne: da un lato Carlo VI, con lo sconvolgimento dei suoi or
gani, causava quello della Francia; dallaltro Venceslao, ab
brutito dalla crapula, lasciava limpero neilanarchia. Carlo VI
non fu deposto, i suoi parenti funestarono la Francia in suo
nome; ma i baroni di Boemia rinchiusero Venceslao (1393),
che un giorno fugg completamente nudo dalla prigione
(1400); e gli elettori in Germania lo deposero legalmente
con una sentenza pubblica: la sentenza dice soltanto che
deposto in quanto negligente, inutile, dissipatore e indegno.
Si dice che, quando gli fu annunciata la deposizione, egli
scrivesse alle citt imperiali di Germania che non voleva da
loro altre prove di fedelt se non qualche botte del loro vino
migliore.
Il deplorevole stato della Germania sembrava lasciare li
bero il campo ai papi in Italia; ma le repubbliche e i prin
cipati che erano sorti avevano avuto il tempo di consolidarsi.
Dal tempo di Clemente V, Roma era estranea ai papi: il li
mosino Gregorio XI, che finalmente trasfer la santa sede a
Roma, non sapeva una parola ditaliano.
(1376) Quel papa aveva gravi contrasti con la repubblica
di Firenze, che andava allora consolidando il proprio potere
in Italia: Firenze aveva fatto lega con Bologna. Gregorio, che
per lantica concessione di Matilde pretendeva dessere si
gnore immediato di Bologna, non si content di vendicarsi
con censure; esaur i suoi tesori per pagare dei condottieri,
che allora noleggiavano truppe a chi voleva comprarli. I
Fiorentini vollero accordarsi per ingraziarsi i papi; credettero
che fosse importante per loro che il papa risedesse a Roma;
fu dunque necessario convincere Gregorio ad abbandonare
Avignone. Non si pu concepire come, in tempi in cui le
menti vedevano cos chiaro nei propri interessi, si ricorresse
a espedienti che sembrano oggi tanto ridicoli. Venne de
putata al papa santa Caterina da Siena, che non solo aveva
avuto rivelazioni, ma che pretendeva davere solennemente
sposato Ges Cristo e daveme ricevuto al matrimonio un
CAPITOLO SETTANTESIMO 269
anello e un diamante. Pietro da Capua, suo confessore*, che
ne ha scritto la vita, aveva visto la maggior parte dei suoi
miracoli. Sono stato testimone, egli dice, che un gior
no ella fu trasformata in uomo, con una barbetta al mento; e
questo viso nel quale ella fu improvvisamente mutata era
quello di Ges Cristo stesso. Tale era lambasciatrice che i
Fiorentini deputarono. Si impiegavano da unaltra parte le
rivelazioni di santa Brigida, nata in Svezia, ma stabilita a
Roma, e alla quale un angelo dett numerose lettere per il
pontefice. Queste due sante, divise su tutto il resto, si uni
rono per riportare il papa a Roma. Brigida era la santa dei
cordiglieri, e la Vergine le rivelava di essere nata immacolata;
ma Caterina era la santa dei domenicani, e la Vergine le ri
velava di essere nata nel peccato. Non tutti i papi sono stati
uomini di genio. Gregorio era forse un semplice? Fu egli
smosso da macchinazioni proporzionate al suo intendimento?
Fu forse guidato da politica o da debolezza? Cedette alla
fine, e la santa sede fu trasferita da Avignone a Roma dopo
settantadue anni; ma fu solo per precipitare lEuropa in nuo
ve discordie.
2 7 0 SAGGIO SUI COSTUMI
* Beato Raimondo Delle Vigne da Capua (non Pietro, della stessa fami
glia, famoso consigliere di Federico II), nato verso il 1330, e morto nel
1399. Direttore spirituale di santa Caterina, ne scrisse la storia della vita,
considerata un capolavoro agiografico.
GRANDE SCISMA DOCCIDENTE
L a santa sede possedeva allora soltanto il patrimonio di
san Pietro in Toscana, la campagna di Roma, il paese di
Viterbo e dOrvieto, la Sabina, il ducato di Spoleto, Bene-
vento, una piccola parte della marca dAncona: tutte le regio
ni riunite successivamente al suo dominio appartenevano a
signori vicari dellimpero o della sede papale. A cominciare
dal 1138 i cardinali si erano arrogato il diritto descludere U
clro dallelezione dei pontefici, e dal 1216 occorreva avere
i due terzi dei voti per essere eletti canonicamente. Cerano
a Roma, al tempo di cui parlo, solo sedici cardinali, undici
francesi, uno spagnuolo e quattro italiani. Il popolo romano,
nonostante la sua inclinazione per la libert, nonostante lav
versione per i suoi padroni, voleva un papa che risedesse a
Roma, perch odiava gli oltramontani molto pi dei papi, e
soprattutto perch la presenza di un pontefice attirava ric
chezze a Roma. I Romani minacciarono i cardinali di stermi
narli se avessero dato loro un pontefice straniero. (1378)
Gli elettori, spaventati, nominarono papa Brigano*, vescovo
di Bari, napoletano, che prese il nome di Urbano, e del
quale abbiamo fatto menzione parlando della regina Giovan
na. Questi era un uomo impetuoso e truce, e per ci stesso
poco adatto a un simile posto. Appena fu intronizzato pro
clam, in un concistoro, che avrebbe punito come meritavano
i re di Francia e dInghilterra che, diceva, turbavano la cri-
* Vedi nota a pag. 262.
CAPITOLO LXXI
stianit con le loro contese: questi re erano Carlo il Saggio
ed Edoardo III. Il cardinale de La Grange, non meno im
petuoso del papa, minacciandolo con la mano, gli disse che
aveva mentito-, e queste tre parole sprofondarono lEuropa in
quarantanni di discordia.
La maggior parte dei cardinali, gli italiani stessi, urtati
dallumore feroce di un uomo cos poco fatto per governare,
si ritirarono nel regno di Napoli. Ivi dichiarano che lelezio
ne del papa, fatta con la violenza, nulla di pieno diritto;
procedono unanimemente allelezione di un nuovo pontefice.
I cardinali francesi ebbero allora la soddisfazione abbastanza
rara dingannare i cardinali italiani: fu promessa segretamente
la tiara a ogni italiano, e poi fu eletto Roberto, figlio di
Amedeo, conte di Ginevra, che prese il nome di Clemente
VII. Allora lEuropa si divise: limperatore Carlo IV, lIn
ghilterra, la Fiandra e lUngheria riconobbero Urbano, al
quale obbedivano Roma e lItalia; la Francia, la Scozia, la
Savoia e la Lorena furono per Clemente. Tutti gli ordini re
ligiosi si divisero, tutti i dottori scrissero, tutte le universit
emisero decreti. I due papi si davano lun laltro deUusurpa-
tore e dellAnticristo; si scomunicarono reciprocamente. Ma,
cosa che divent veramente funesta (1379), ci si batt col
doppio furore di una guerra civile e di una guerra di reli
gione. Truppe guascone e brettoni, levate dal nipote di
Clemente, marciano in Italia, entrano a Roma di sorpresa; vi
uccidono, nel primo furore, tutti coloro che incontrano; ma
tosto il popolo romano, unendosi contro di loro, li stermina
entro le sue mura, e si trucidano tutti i preti francesi che
vengono trovati. Poco tempo dopo, un esercito del papa Cle
mente, levato nel regno di Napoli, si presenta a qualche lega
da Roma davanti alle truppe di Urbano.
Ognuno dei due eserciti recava sulle bandiere le chiavi di
san Pietro. I Clernentini furono vinti. Non si trattava soia-
niente dellinteresse di quei due pontefici; Urbano, vincitore,
che destinava una parte del regno di Napoli a suo nipote,
ne spodest la regina Giovanna, protettrice di Clemente, la
2 7 2 SAGGIO SUI COSTUMI
quale regnava da lungo tempo a Napoli con fortuna alterna e
con una gloria contaminata.
Abbiamo visto* questa regina assassinata da suO' cugino,
Carlo di Durazzo, col quale Urbano voleva spartire il regno
di Napoli. Questo usurpatore, divenuto tranquillo posses
sore, non si cur di mantenere quanto aveva promesso a un
papa che non era abbastanza potente da costringervelo.
Urbano, pi impetuoso che politico, ebbe limprudenza
di andare a trovare il suo vassallo senza essere il pi forte.
Lantico cerimoniale faceva obbligo al re di baciare i piedi
al papa e di tenergli il cavallo per la briglia; Durazzo comp
solo una di queste due fxmzioni; prese la briglia, ma lo fece
per condurre egli stesso in prigione il papa. Urbano fu tenuto
per qualche tempo prigioniero a Napoli, in continue trat
tative con il suo vassallo e trattato ora con rispetto, ora con
disprezzo. Il papa fugg di prigione e si ritir nella cittadina
di Nocera. Ivi riun ben presto i resti della sua corte. I suoi
cardinali e alcuni vescovi, stanchi della sua indole violenta, e
ancor pi delle sue sventure, presero a Nocera provvedimen
ti per abbandonarlo e per eleggere a Roma un papa pi degno
di esserlo. Informato del loro disegno, Urbano li fece sotto
porre tutti alla tortura in sua presenza. Costretto ben presto
a fuggire da Napoli e a ritirarsi nella citt di Genova, che
gli mand alcune galere, si trascin dietro quei cardinali e
quei vescovi storpiati e incatenati. Non potendo uno dei ve
scovi, mezzo morto per linterrogatorio sotto tortura che
aveva subito, raggiunger la riva con la fretta desiderata dal
papa, questi lo fece trucidare suUa via. GiuntO a Genova, si
liber con diversi supplizi di cinque di quei cardinali pri
gionieri. I Caligola e i Nerone avevano compiuto azioni pres-
sa poco simili; ma furono puniti, mentre Urbano mor pacifi
camente a Roma. La sua creatura e suo persecutore, Carlo* di
Durazzo, fu pi sventurato perch, andato in Ungheria per
usurpare la corona, che non gli apparteneva, vi fu assassina
to (1389).
Dopo la morte di Urbano, quella guerra civile sembrava
Nel capitolo LXIX.
18/cn
CAPITOLO SETTANTUNESIMO 2 7 3
doversi Spegnere; ma i Rman erano ben lungi dal ricono
scere Clemente. Lo scisma si perpetu dalle due parti. I car
dinali fautori di Urbano elessero Perin Tomacelli; e, morto
questo Perin Tomacelli, prsero il cardinale Meliorati. I Cle-
mentini fecero succedere a Clemente, morto nel 1394, Pie
tro Luna, aragonese. Nessun papa ebbe mai a Roma minor
potere di Meliorati, e Pietro Luna ad Avignone fu ben pre
sto solo un fantasma. I Romani, che vollero nuovamente re
staurare il loro governo municipale, scacciarono Meliorati,
dopo molto sangue versato, quantunque lo riconoscessero
papa; e i Francesi, che avevano riconosciuto Pietro Luna,
lassediarono in Avignone stessa e ve lo tennero prigioniero.
Eppure, tutti quegli sciagurati si dicevano solennemente
i vicari di Dio e i padroni dei re; trovavano preti che
li servivano in ginocchio, cosi come i ciarlatani trovano dei
babbei.
In quei tempi funesti gli stati generali di Francia ave
vano preso una risoluzione cos sensata, che sorprendente
che tutte le altre nazioni non li avessero imitati. Non riconob
bero alcun papa: ogni diocesi si govern per mezzo del suo
vescovo; non si pagarono annate, non si riconobbero n ri
serve n esenzioni. Roma allora dovette temere che questa
amministrazione, che si protrasse per qualche anno, durasse
per sempre. Ma quei barlumi di ragione non gettarono un
bagliore duraturo*; il clero e i monaci avevano a tal punto in
culcato nelle teste dei principi e dei popoli lidea die ci vo
leva un papa, che la terra fu a lungo turbata per sapere quale
ambizioso avrebbe ottenuto con lintrigo il diritto di aprire
le porte del cielo.
Prima dessere eletto, Luna aveva promesso di dimettersi
per amore della pace, ma non voleva farne di niente. Un
nobile veneziano, di nome Corrano*, che fu eletto a Roma,
fece lo stesso giuramento, che non manteime pi di quello.
I cardinali delluno e dellaltro partito, stanchi delle liti ge
nerali e particolari che la disputa della tiara si trascinava die
tro, convennero alla fine di riunire a Pisa un concilio gene
* Ossia Angelo Correr, papa Gregorio XII, scismatico.
2 7 4 SAGGIO SUI COSTUMI
tale. Ventiquattro cardinali, ventisei arcivescovi, centonovan-
tadue vescovi, duecentottantanove abati, i deputati di tutte
le universit, quelli dei capitoli di centodue citt metropo
litane, trecento dottori in teologia, il gran maestro di Malta
e gli ambasciatori di tutti i re assistettero a quellassemblea.
Vi fu creato un nuovo papa, di nome Pietro Filargis, Ales
sandro V. Il frutto di quel gran concilio fu quello daver tre
papi, o antipapi, invece di due. Limperatore Roberto non,
voUe riconoscere quel concilio, e tutto fu pi confuso di
prima.
Non si pu fare a meno di compiangere la sorte di Roma.
Le si dava un vescovo e xm principe suo malgrado; delle
truppe francesi, sotto il comando di Tamieguy du Chtel,
andarono per giunta a devastarla per farle accettare il suo
terzo papa. Il veneziano Corrario port la tiara a Gaeta, sot
to la protezione del figlio di Carlo di Durazzo, che noi chia
miamo Lancelot*, che regnava allora a Napoli; e Pietro Luna
trasfer la propria sede a Perpignano. Roma fu saccheggiata,
ma senza frutto per il terzo papa; egli mori lungo la via,
e a causa della politica che regnava allora si credette che
fosse stato avvelenato.
I cardinali del concilio di Pisa, che lavevano eletto, resi
si padroni di Roma, misero al suo posto Baldassarre Cossa,
napoletano. Questi era un uomo guerriero; era stato corsaro
e si era segnalato nei torbidi che suscitava ancora la discor
dia tra Carlo di Durazzo e la casa dAngi; pi tardi, come
legato in Germania, vi si era arricchito vendendo indulgenze;
aveva poi acquisito a prezzo abbastanza caro il suo- cappello
di cardinale, e non meno caramente sera acquistata la con
cubina Caterina, che egli aveva portato via al marito. Nelle
circostanze in cui si trovava, a Roma occorreva forse un
papa simile; essa aveva pi bisogno di un soldato che di un
teologo.
Da Urbano VI in poi, i papi rivali negoziavano, scomuni
cavano e limitavano la loro politica a ricavare un po di dena^
ro. Questo papa fece la guerra. Era riconosciuto dalla Francia
* Cui corrisponde l italiano Lanzilao.
CAPITOLO SETTANTUNESIMO 2 7 5
e dalla maggior parte dellEuropa col nome di Giovanni
XXIII. Il papa di Perpignano non era temibile; quello di Gae
ta lo era, perch il re di Napoli lo proteggeva. Giovanni XXIII
raduna truppe, indice una crociata contro Lancelot, re di Na
poli, arma il principe Luigi dAngi, al quale d linvestitura
di Napoli. Ci si batte presso il Garigliano: il partito del pa
pa vittorioso; ma non essendo la riconoscenza una virt da
sovrano, ed essendo la ragione di stato pi forte di tutto il
resto, il papa toglie linvestitura al suo benefattore e vendi
catore, Luigi dAngi. Riconosce re il suo nemico Lancelot,
alla condizione che gli consegni il veneziano Gorrario.
Lancelot, che non voleva che il papa Giovanni XXIII
fosse troppo potente, lasci fuggire il papa Corrario. Questo
pontefice errabondo si ritir nel castello di Rimini, presso
Malatesta, uno dei tirannelli dItalia. Col, vivendo solo del
le elemosine di quel signore e riconosciuto solo dal duca di
Baviera, scomunicava tutti i re e parlava da signore della
terra.
Il corsaro Giovanni XXIII, unico papa di diritto, poich
era stato creato, riconosciuto a Roma dai cardinali del con
cilio di Pisa ed era succeduto al pontefice eletto dallo stesso
concilio, era ancora U solo papa di fatto; ma come egli aveva
tradito il suo benefattore Luigi dAngi, cos lo trad il re di
Napoli Lancelot, di cui era benefattore.
Il vittorioso Lancelot volle regnare a Roma. Colse di sor
presa quella sventurata citt; Giovanni XXIII ebbe appena il
tempo di scappare. Fortuna volle che esistessero allora in
Italia citt libere. Mettersi, come Corrario, nelle mani di
uno dei tiranni, significava rendersi schiavi; egli si gett tra
le braccia dei Fiorentini, che combatterono a un tempo* con
tro Lancelot per la loro libert e per il papa.
Lancelot stava per prevalere; il papa si vedeva assedia
to a Bologna. Ricorse allora allimperatore Sigismondo che
era sceso in Italia per concludere un trattato con i Vene
ziani. Sigismondo, come imperatore^ doveva aumentare di
potenza in virt dello svilimento dei papi, ed era il nemico
naturale di Lancelot, tiranno dellItalia. Giovanni XXIII pr-
2 7 6 SAGGIO SUI COSTUMI
pone allimperatore tina lega e un concilio; la lega, per scac
ciare il nemico comune; il condlio, per rafforzare il suo di
ritto al pontificato. Questo condlio era divenuto persino ne
cessario; quello di Pisa laveva fissato a tre anni dopo. Si
gismondo e Giovanni XXIII lo convocano nella cittadina di
Costanza; ma Lancelot opponeva le sue armi vittoriose a tut
te quelle trattative. Solo una circostanza straordinaria avreb
be potuto liberare il papa e limperatore. (1414) Lancelot
mor a trentanni, tra dolori acuti e repentini; e luso del ve
leno era allora reputato frequente.
Giovanni XXIII, liberatosi del nemico, doveva temere
soltanto limperatore e il concilio. Avrebbe voluto allonta
nare dallEuropa quel senato, che pu giudicare i pontefici.
La convocazione era annunciata, limperatore la sollecitava;
e tutti coloro che avevano diritto dassistervi si aflErettavano
ad andarvi a godere del titolo di arbitri della cristianit.
CAPITOLO SETTANTUNESIMO 2 7 7
CAPITOLO LXXII
CONCILIO DI COSTANZA
^ulla riva occidentale del lago di Costanza, la citt di que
sta nome fu costruita, si dice, da Costantino. Sigismondo la
scelse come teatro in cui doveva svolgersi questa scena. Mai
assemblea era stata pi numerosa di quella di Pisa: il conci
lio di Costanza lo fu ancor pi.
Oltre alla folla dei prelati e dei dottori, vi furono cento-
ventotto grandi vassalli dellimpero; limperatore fu quasi
sempre presente. Gli elettori di Magonza, di Sassonia, del
Palatinato, di Brandeburgo, i duchi di Baviera, dAustria e
di Slesia vi assistettero; ventisette ambasciatori vi rappresen
tarono i loro sovrani; ognuno vi gareggi in lusso e magnifi
cenza; lo si pu giudicare dal numero di cinquanta orafi che
andarono a stabHirvisi con i loro operai per la durata del
concilio; si contarono cinquecento sonatori di strumenti,
che venivano chiamati allora menestrelli, e settecentodiciotto
cortigiane, sotto la protezione del magistrato. Fu necessa
rio costruire delle capanne di legno per dare alloggio a tutte
quelle schiave del lusso e dellincontinenza, che i signori e,
si dice, i padri del concilio, si trascinavano dietro. Non si
arrossiva di questa usanza; era lecita in tutti gli Stati, come
lo fu tempo presso quasi tutti i popoli deUantichit. Del
resto, la Chiesa di Francia dava a ogni arcivescovo deputato
al concilio dieci franchi al giorno (che corrispondono a circa
settanta delle nostre lire), otto a un vescovo, cinque a un
abate e tre a un dottore.
Prima di vedere che cosa accadde in quegli stati della
cristianit, debbo rammentarvi, in poche parole, quali erano
allora i pi importanti principi dellEuropa, e in che condizio
ne erano le loro dominazioni.
Sigismondo univa il regno dUngheria alla dignit dim
peratore: era stato sfortunato contro il famoso Bajazt, sul
tano dei Turchi; lUngheria spossata e la Germania divisa
erano minacciate dal giogo maomettano. Aveva inoltre do
vuto soffrire di pi a causa dei suoi sudditi che dei Turchi;
gli Ungheresi lavevano messo in prigione e avevano offerto
la corona a Lancelot, re di Napoli. Scappato dalla prigione,
egli si era nuovamente insediato in Ungheria, e alla fine era
stato scelto come capo dellimpero.
In Francia, lo sventurato Carlo VI, diventato frenetico,
aveva il nome di re: i suoi parenti, intenti a dilaniare la
Francia, facevano per questo meno attenzione al concilio;
ma conveniva loro che limperatore non apparisse padrone
dellEuropa,
Ferdinando regnava in Aragona e si interessava per il
suo papa Pietro Luna.
Giovarmi II, re di Castiglia, non aveva alcun influsso su
gli affari dEuropa; ma seguiva anchegli il partito di Luna.
La Navarra gli prestava anchessa ubbidienza.
Enrico V, re dInghilterra, occupato, come vedremo, nel
la conquista della Francia, si augurava che il pontificato,
dlania;to e svilito, non potesse mai n taglieggiare lInghil
terra, n intromettersi nei diritti delle corone; ed era abba
stanza intelligente da desiderare che il nome di papa fosse
abolito per sempre.
Roma, liberatasi dalle truppe francesi, ancora padrone
tuttavia di Castel SantAngelo, e ritornata sotto l obbedien
za,di Giovanni XXIII, non amava il suo papa e temeva lim
peratore.
Le citt dItalia, divise, non avevano quasi alcun peso sul
la bilancia; Venezia, che aspirava alla dominazione dellItalia,
approfittava delle s;ue agitazioni e di quelle della Chiesa.
Il duca di Baviera, per sostenete una parte, proteggeva il
papa Corrario rifugiato a Rimini; e Federico, duca dAustria,
CAPITOLO SETTANTADUESIMO 2 7 9
nemico segreto dellimperatore, pensava solo a ostacolarlo.
Sigismondo si rese padrone del concilio, mettendo dei
soldati intorno a Costanza per la sicurezza dei padri. Il papa
corsaro, Giovanni XXIII, avrebbe fatto molto meglio a ri
tornare a Roma, dove poteva essere il padrone, piuttosto' che
andarsi a mettere tra le mani di un imperatore che poteva ro
vinarlo. Fece lega col duca dAustria, con larcivescovo di Ma
gonza e col duca di Borgogna; e proprio questo' lo rovin.
Limperatore diverm suo nemico. Per quanto fosse papa le
gittimo, si esigette da lui che cedesse la tiara, cos come
Luna e Corrano; lo promise solennemente, e se ne pent
un momento dopo. Si trovava prigioniero in mezzo allo stesso
concilio al quale presiedeva (1415). Non aveva altro scampo
se non la fuga. Limperatore lo faceva sorvegliare da vicino. Il
duca dAustria non trov mezzo migliore, per favorire la fuga
del papa, che quello di dare al concilio lo spettacolo di un
torneo. In mezzo al tumulto della festa, il papa fugg trave
stito da postiglione. Il duca dAustria parte im momento dopo
di lui. Tutti e due si ritirano in un luogo^ della Svizzera, die
apparteneva ancora alla casa austriaca. Il papa doveva es
sere protetto dal duca di Borgogna, potente per i suoi Stati
e per lautorit che aveva in Francia. Un nuovo scisma stava
per ricominciare. I padri generali fautori del papa si ritira
vano gi da Costanza; e il concilio, per la sorte degli avve
nimenti, poteva diventare unassemblea di ribelli. Sigismon
do, sfortunato in tante occasioni, ebbe successo in questa.
Aveva delle truppe pronte: simpadronf delle terre del duca
dAustria in Alsazia, nel Tirolo, in Svizzera. Questo principe,
tornato al concilio, vi chiede in ginocchio grazia allimpera
tore: gli promette a mani giunte di non intraprendere mai
nulla contro la sua volont; gli rimette tutti gli Stati, perch
linaperatore ne disponga in caso dinfedelt. Limperatore
tese finalmente la mano al duca dAustria e lo ^perdon, a
condizione che gli consegnasse la persona del papa.
Il pontefice fuggiasco catturato a Friburgo in Brisgo-
via, e trasferito in un vicino castello. Intanto il concilio
istruisce il suo processo.
2 8 0 SAGGIO SUI COSTUMI
Lo si accusa di aver venduto benefici e reliquie, di
avere avvelenato il papa suo predecessore, davere fatto tru
cidare numerose persone; lempiet pi licenziosa, la disso
lutezza pi estrema, la sodomia e la bestemmia gli furono im
putate; ma furono eliminati dal verbale cinquanta capi, trop
po ingiuriosi per il pontificato; infine, davanti allimperatore,
si lesse la sentenza di deposizione. Questa sentenza reca che
il condlio si riserva il diritto di punire il papa per i suoi
delitti, secondo la giustizia o la misericordia (29 maggio
1415).
Giovanni XXIII, che aveva avuto tanto coraggio quando
si era battuto in altri tempi per mare e per terra, ebbe solo
rassegnazione quando andarono a leggergli la sua sentenza
nella prigione. Limperatore lo tenne prigioniero per tre
anni a Mannheim, con un rigore che attir su questo pontefi
ce compassione maggiore deUodio' che i suoi delitti avevano
suscitato contro di lui.
Si era deposto il vero papa. Si vollero avere le rinunce di
coloro che pretendevano di esserlo. Corrario invi' la sua, ma
il fiero spagnuolo Luna non volle mai piegarsi. La sua depo
sizione nel concilio non era un problema; lo- era per la
scelta di un papa. I cardinali reclamavano il diritto delezio
ne, e il concilio, rappresentante la cristianit, voleva godere
di questo diritto'. Bisognava dare un capo alla Chiesa e un
sovrano a Roma; era giusto che i cardinali, che sono il con
siglio del principe di Roma, e i padri del concilio, che con
loro rappresentano la Chiesa:, godessero tutti del diritto di
suffragio. Trenta deputati del concilio, uniti ai cardinali,
(1417) elessero con voto unanime Ottone Colonna, di quella
stessa casa Colonna scomunicata da Bonifacio VIII fino alla
quinta generazione. Questo papa, che cambi il suo bel nome
con quello di Martino, aveva le qualit di un principe e le
virt di un vescovo.
Mai pontefice fu insediato con maggior pompa. Avanz
verso la chiesa in sella a un cavallo bianco che limperatore e
lelettore palatino, a piedi, tenevano per le redini; una schie
ra di principi e un concilio intero chiudevano il corteo. Fu
CAPITOLO SETTANTADUESIMO 28 1
incoronato con la triplice corona che i papi portavano da
circa due secoli.
I padri del concilio non si erano riuniti in un primo mo
mento per deporre un pontefice; ma il loro principale scopo
era parso la riforma di tutta la Chiesa: era soprattutto il &ie
del famoso Gerson e degli altri deputati delluniversit di
Parigi.
Per due anni si era inveito nel concilio contro le annate,
le esenzioni, le riserve, le imposte dei papi sul clero a pro
fitto della corte di Roma, contro tutti i vizi di cui era inon
data la Chiesa. Quale fu la riforma tmto attesa? Il papa
Martino dichiar: 1) che non bisognava dare esenzioni
senza cognizione di causa; 2) che si sarebbero presi in esa
me i benefici riuniti;, 3) che si doveva disporre secondo il
diritto pubblico dei redditi delle chiese vacanti; 4) proib inu
tilmente la simonia; 5) voUe che coloro che avevano benefici
fossero tonsurati; 6) proib che si dicesse la messa in abito
secolare. Sono queste le leggi che furono promulgate dallas
semblea pi solenne del mondo. Il concilio proclam di esse
re superiore al papa: questa verit era ben chiara, poich
gli faceva il processo; ma un concilio passa, il papato resta
e lautorit gli rimane.
Gerson fece anzi molta fatica ad ottenere la condanna
delle proposizioni seguenti: che vi sono casi in cui l assassi
nio unazione virtuosa, molto pi meritoria cavaliere
che in uno scudiero, e molto pi in un principe che in un
cavaliere. Questa dottrina dellassassinio era stata soste
nuta da un certo Jean Petit, dottore delluniversit di Pa
rigi, in occasione delluccisione del duca dOrlans, fratello
del re. Il concilio eluse a lungo la richiesta di Gerson. Alla
fine si dovette condannare qusta dottrina dellassassinio; ma
ci avvenne senza nominare il cordigliere Jean Petit, n Jean
de Rocha, anchegli cordigliere, suo apologista.
Questa lidea che ho creduto di dovere darvi di tutti gli
argomenti politici che occuparono il concilio di Costanza,
r roghi che lo zelo religioso accese sono di uiialtra specie.:
2 8 2 SAGGIO SUI COSTUMI
DI GIOVANNI HUS E DI GEROLAMO DA PRAGA
T u t t o ci che abbiamo visto in questo quadro della storia
generale mostra in quale ignoranza avessero ristagnato i popo
li dellOccidente. Le nazioni sottomesse ai Romani erano di
venute barbare nel laceramento dellimpero, e le altre lo era
no sempre state. Leggere e scrivere erano una scienza assai
poco comune prima di Federico II; e il famoso beneficio di
chierica, per il quale un criminale condannato a morte ot
teneva la grazia nel caso che sapesse leggere, la pi grande
prova dellabbrutimento di quei tempi. Quanto pi gli
uomini erano rozzi, tanto pi la scienza, e soprattutto la
scienza della religione, aveva dato al clero e ai religiosi quel
lautorit naturale su di loro che la superiorit dei lumi d
ai maestri sui discepoli. Da queUautorit nacque la poten
za; non ci fu un vescovo in Germania e nel Settentrione che
non fosse sovrano; nessuno in Spagna, in Francia e in Inghil
terra che non avesse o non pretendesse diritti regi. Quasi
ogni abate divent principe, e i papi, quantunque persegui
tati, erano i re di tutti quei sovrani. I vizi connessi al
lopulenza e i disastri che seguono lambizione finirono col
ricondurre la maggior parte dei vescovi e degli abati al
lignoranza dei laici. Le universit di Bologna, di Parigi,
dOxford, fondate verso il XIII secolo, coltivarono quella
scienza che un clero troppo ricco abbandonava.
I dottori di quelle universit, che altro non erano se
non dottori, insorsero ben presto contro gli scandali del ri-
CAPITOLO LXXIII
manente clero; e la brama di illustrarsi li port a esaminare
dei misteri che, per amore di pace, dovevano essere sempre
coperti da un velo.
Colui che strapp il velo con maggior furore fu Giovanni
Wiclef, dottore delluniversit di Oxford; predic, scrisse,
mentre Urbano V* e Clemente funestavano la Chiesa con il
loro scisma, e bandivano crociate uno contro laltro; so
stenne che si dovesse fare per sempre ci che la Francia ave
va fatto un tempo, cio non riconoscere mai il papa. Que
stidea fu abbracciata da molti signori, da gran tempo indi
gnati nel vedere lInghilterra trattata come ima provincia di
Roma; ma essa fu combattuta da tutti coloro che partecipa
vano al frutto di quella sottomissione.
Wiclef fu meno spalleggiato nella sua teologia che nella
sua politica; rinnov gli antichi sentimenti proscritti in Beren
gario; sostenne che non bisogna credere nxilla dimpossibile e
di contraddittorio, che un accidente non pu sussistere senza
motivo, che unO' stesso' corpo non pu essere tutto intero
contemporaneamente in centomila posti; che queste idee mo
struose erano capaci di distruggere il cristianesimo nella men
te di chiunque avesse conservato una scintilla di ragione; che,
in una parola, il pane e il vino delleucaristia restano pane e
vino. Volle distruggere la confessione introdotta in Occiden
te, le indulgenze con le quali si vendeva la giustizia di Dio,
la gerarchia allontanata dalla semplicit primitiva. QueEo
che i Valdesi insegnavano allora in segreto, egli linsegnava
in pubblico; e, salvo poche differenze, la sua dottrina era
quella dei protestanti che apparvero pi dun secolo dopo
di lui, e di pi di una societ fondata molto tempo innanzi.
La sua dottrina fu repressa dalluniversit di Oxford, dai
vescovi e dal clero, ma non soflEocata. I suoi manoscritti, ben
ch mal digesti e oscuri, si diffusero per la sola curiosit
suscitata dallargomento della contesa e dallardimento del
l autore, i cui costumi irreprensibili davano peso alle sue
opinioni. Quelle opere penetrarono in Boemia, paese poco
prima barbaro, che dallignoranza pi grossolana cominciava
* Leggasi Urbano VI.
2 8 4 SAGGIO SUI COSTUMI
a passare a quellaltra specie- dignoranza che si chiamava
allora erudizione.
Limperatore Carlo IV, legislatore della Germania e della
Boemia, aveva fondato ununiversit a Praga, sul modello di
quella di Parigi. Allinizio del XV secolo vi si contavano gi,
a quanto si dice, quasi ventimila studenti. I Tedeschi avevano
tre voti nelle deliberazioni dellaccademia, e i Boemi uno
solo. Giovanni Hus, nato in Boemia, divenuto^ baccelliere di
quellaccademia e confessore della regina Sofia di Baviera,
moglie di Venceslao, ottenne da questa regina che i suoi com-
patriotti avessero invece tre voti e i Tedeschi uno solo. I Te
deschi, irritati, si ritirarono; e furono altrettanti nemici ir
reconciliabili che si fece Giovanni Hus. Ricevette in quel
tempo alame opere di Wiclef; ne respinse costantemente la
dottrina, ma ne adott tutto quello che la bile di quellingle
se aveva diffuso contro gli scandali dei papi e dei vescovi,
contro quello delle scomuniche, lanciate con tanta leggerez
za e tanto furore; contr' ogni potere ecclesiastico, insomma,
che Wiclef considerava unusurpazione. Con ci si fece nemici
ben pi grandi; ma si propizi anche molti protettori, e so
prattutto la regina, che egli dirigeva. Fu accusato davanti
al papa Giovanni XXIII, e fu citato a comparire verso lan
no 1411. Non comparve. Frattanto fu riunito il concilio di
Costanza, che doveva giudicare i papi e le opinioni degli
uomini; vi fu citato (1414). Limperatore stesso scrisse in
Boemia che lo si facesse partire per andare a rendere conto
della sua dottrina.
Giovanni Hus, pieno di fiducia, and al concilio, dove n
lui n il papa avrebbero dovuto andare. Vi arriv, accompa
gnato da alcuni gentiluomini boemi e da numerosi suoi disce
poli; e, cosa importantissima, non vi and se non munito di
un salvacondotto dellimperatore, datato 18 Ottobre 1414,
il pi favorevole e il pi ampio salvacondotto che sia mai
possibile dare, e col quale limperatore lo prendeva sotto la
sua protezione per il suo viaggio, il suo soggiorno e il suo
ritorno. Appena giunto, fu imprigionato; e si istru il suo
processo contemporaneamente a quello del papa. Fuggi co
CAPITOLO SETTANTATREESIMO 2 8 5
me quel pontefice, e come lui fu arrestato; luno e laltro
furono custoditi per qualche tempo nella stessa prigione.
(1415) Alla fine comparve numerose volte, carico di
catene. Fu interrogato su alcuni passi dei suoi scritti. Bi
sogna ammetterlo, non c nessuno che non si possa man
dare in rovina interpretandone le parole; quale dottore, qua
le scrittore ha la vita al sicuro se si condanna al rogo chiun
que dica che c solo una Chiesa cattolica che racchiude nel
suo seno tutti i predestinati; che un reprobo non di questa
Chiesa; che i signori temporali debbono obbligare i preti a
osservare la legge; che un cattivo papa non il vicario di
Ges Cristo ?
Queste erano le proposizioni di Giovanni Hus. Le spieg
tutte, in modo da poter ottenere la propria grazia; ma ve
niva ascoltato nel modo che occorreva per condannarlo. Un
padre del condlio gli disse: Se non credete l universale
a parte rei*, voi non credete la presenza reale . Quale ra
gionamento! e da che cosa dipendeva allora la vita degli
uomini! Un altro gli disse: Se il sacro concilio pronim-
ciasse che voi siete guercio, invano sareste provvisto di due
buoni occhi, dovreste ammettere di essere guercio .
Giovanni Hus non accoglieva nessuna delle proposizioni
di Wiclef che separ^o oggi i protestanti dalla Chiesa ro
mana; ci nonostante fu condannato a spirare tra le fiamme.
Cercando la causa di una tale atrocit, non ho mai potuto
trovarvene altra se non quello spirito di ostinazione che si
attinge nelle scuole. I padri del concilio volevano a ogni
costo che Giovanni Hus si ritrattasse; e Giovanni Hus, per
suaso di avere ragione, non voleva ammettere di essersi in
gannato. Limperatore, mosso a compassione, gli disse: Che
vi costa abiurare errori che vi sono attribuiti a torto? Sono
pronto ad abiurare sullistante ogni sorta di errori: ne con
segue forse che li abbia professati? Giovanni Hus fu in
flessibile. Mostr la diflEerenza tra abiurare errori in genere e
ritrattarsi di un errore. Prefer essere bruciato piuttosto che
ammettere di avere avuto torto.
* Reale, obiettivo, in opposizione alluniversale ideale e soggettivo.
2 8 6 SAGGiO SUI COSTUMI
Il concilio fu inflessibile quanto lui: ma lostinazione di
correre alla morte aveva qualcosa di eroico; quella di con-
dannarvelo era davvero crudele. Limperatore, nonostante la
fede data col salvacondotto, ordin allelettore palatino di
farlo trascinare al supplizio. Egli fu bruciato vivo, alla pre
senza dellelettore stesso, e lod Dio finch la fiamma non
soffoc la sua voce.
Qualche mese dopo, il concilio esercit nuovamente la
stessa severit contro leronimo, discepolo e amico di Gio
vanni Hus, che noi chiamiamo Gerolamo da Praga. Questi
era un uomo assai superiore a Giovanni Hus in fatto dintel
ligenza e deloquenza. Aveva dapprima sottoscritto alla con
danna della dottrina del suo maestro; ma, avendo saputo con
quale grandezza danimo Giovanni Hus era morto, si ver
gogn di vivere. Si ritratt pubblicamente, e fu mandato al
rogo. Il fiorentino Poggio*, segretario di Giovarmi XXIII
e uno dei primi restauratori delle lettere, presente ai suoi
interrogatori e al suo supplizio, dice di non aver mai udito
nulla che si avvicinasse tantO' alleloquenza dei Greci e dei
Romani quanto i discorsi di Gerolamo ai suoi giudici. Par
l, dice, come Socrate, e and al rogo con allegrezza pa
ri a quella con cui Socrate aveva bevuto la coppa di cicuta.
Poich Poggio ha fatto questo paragone, mi sia permesso
di aggiungere che Socrate fu effettivamente condannato, come
Giovanni Hus e Gerolamo da Praga, per essersi attirato lini
micizia dei sofisti e dei sacerdoti del suo tempo: ma che dif
ferenza tra i costumi di Atene e quelli del concilio di Costan
za! tra la coppa di un veleno blando che, lungi da ogni ap
parato orribile e infame lasci spirare tranquillamente un
cittadino tra i suoi amici, e lo spaventevole supplizio del
fuoco, nel quale dei preti, ministri di clemenza e di pace,
gettavano altri preti, indubbiamente troppo ostinati, ma di
vita pura e dammirevole coraggio!
Posso io ancora osservare che in quel concilio un uomo
* Gian Francesco Poggio Bracciolini (1380-1459), -umanista e storico,
fu segretario apostolico di otto papi. In m^Epistola scritta a un amico
(Leone Aretino) d la relazione pi interessante che possediamo su quei
processi.
CAPITOLO SETTANTATREESIMO 2 8 7
accusato di tutti i delitti perse soltanto onori, mentre due
uomini accusati di avere sostenuto argomenti erronei furono
dati alle fiamme?
Tale fu il famoso concilio di Costanza, che dur dal T
novembre 1413 fino al 20 maggio 1418.
N limperatore n i padri del concilio avevano previsto
le conseguenze del supplizio di Giovaimi Hus e di leronimo.
Dalle loro ceneri scatur una guerra civile. I Boemi credet
tero oltraggiata la loro nazione; imputarono la morte dei
loro compatriotti alla vendetta dei Tedeschi ritiratisi dalluni
versit di Praga. Rimproverarono allimperatore la viola
zione del diritto delle genti. Infine, poco tempo dopo, (1419)
quando Sigismondo volle succedere in Boemia a Venceslao
suo fratello, per quanto fosse imperatore, sebbene fosse re di
Ungheria, trov che il rogo di due cittadini gli sbarrava la via
del trono di Praga. I vendicatori di Giovanni Hus erano in
numero di quarantamila. Erano animali selvaggi che la se
verit del concilio aveva inferocito' e scatenato.
I preti che essi incontravano pagavano col loro sangue la
crudelt dei padri di Costanza. Giovanni, soprannminato
Ziska, che vuole dire guercio, capo barbaro di quei barbari,
batt Sigismondo pi di una volta. Questo Giovanni Ziska,
dopo aver perso in una battaglia locchio che gli restava, mar
ciava ancora alla testa delle sue truppe, dava consigli ai ge
nerali e assisteva alle vittorie. Ordin che dopo la sua mor
te si facesse un tamburo con la sua pelle; fu ubbidito:
questo resto di lui fu per lungo tempo ancora fatale a Sigi
smondo, che in sedici anni riusc appena a domare la Boe
mia con le forze della Germania e il terrore delle crociate.
Proprio per aver violato il suo salvacondotto egli sub quei
sedici anni di desolazione.
2 8 8 SAGGIO SUI COSTUMI
DELLA CONDIZIONE DELLEUROPA INTORNO AL
TEMPO DEL CONCILIO DI COSTANZA. DELLITALIA
Se riflettiamo a quel concilio stesso, tenuto sotto gli occhi
di un imperatore, di tanti principi e di tanti ambasciatori, al
la deposizione del sovrano pontefice, a quella di Venceslao,
si vede che lEuropa cattolica era in effetto unimmensa e tu
multuosa repubblica, i cui capi erano il papa e limperatore
e le cui membra sconnesse sono regni, province, citt libere,
sotto decine di governi diversi. Non cera un solo affare nel
quale limperatore e il papa non entrassero*. Tutte le parti
della cristianit si corrispondevano anche in mezzo alle di
scordie; lEuropa era in grande quello che era stata la Gre
cia, virt civica a parte.
Roma e Rodi erano due citt comuni a tutti i cristiani di
rito latino, ed essi avevano un comune nemico nel sxiltano
dei Turchi. I due capi del mondo cattolico, limperatore e
il papa, avevano una grandezza meramente nominale ma nes
suna potenza reale. Se Sigismondo non avesse avuto la Boe
mia e lUngheria, dalle quali per di pi traeva ben poca
cosa, il titolo dimperatore gli sarebbe stato solo di peso.
I domini dellimpero erano tutti alienati; i principi e le
citt di Germania non pagavano tributi. Il corpo germanico
era altrettanto libero, ma non tanto ben regolato quanto lo
stato dalla pace di Westfalia. Il titolo di re dItalia era
vano quanto quello di re di Germania; limperatore non pos
sedeva una sola citt di l dalle Alpi.
Resta sempre lo stesso problema da risolvere: come lIta
lia non abbia consolidato la sua libert e non abbia per
19/cn
CAPITOLO LXXIV
sempre sbarrato lingresso agli stranieri. Vi si adoper sem
pre, e allora dovette lusingarsi di riuscirvi; essa era fiorente.
La casa di Savoia singrandiva senza essere ancora potente: i
sovrani di quel paese, feudatari dellimpero, erano conti.
Sigismondo, che dava almeno i titoli, li fece duchi nel 1416;
oggi sono re indipendenti, nonostante il titolo di feudatari.
I Visconti possedevano tutto il Milanese; e quel paese di
vent poi ancora pi ragguardevole sotto gli Sforza.
I Fiorentini industriosi erano commendevoli per la li
bert, il genio e il commercio. Si vedono solanaente piccoli
Stati fino alle frontiere del regno di Napoli, e tutti aspirano
alla libert. Questo sistema dellItalia dura dalla morte di
Federico II fino ai tempi dei papi Alessandro VI e Giulio II,
il che fa un periodo di circa trecento anni; ma questi tre
cento anni sono passati in fazioni, in gelosie, in piccole azioni
di una citt contro unaltra, e di tiranni che si impadroni
vano di quelle citt. limmagine dellantica Grecia, ma
immagine barbara: si coltivavano le arti e si cospirava; ma
non si sapeva combattere come alle Termopili e a Maratona.
Osservate in Machiavelli la storia di Castracani, tiranno
di Lucca e di Pistoia, al tempo dellimperatore Ludovico di
Baviera: simili disegni, fausti o infausti, sono la storia di tut
ta lItalia. Leggete la vita di Ezzelino da Romano, tiranno
di Padova, scritta molto semplicemente e molto bene da
Pietro Gerardo*, suo contemporaneo: questo scrittore af
ferma che il tiranno fece perire pi di dodicimila cittadini di
Padova nel XIII secolo. Il legato che lo combatt ne fece
morire altrettanti di Vicenza, di Verona e di Ferrara. Final
mente Ezzelino fu fatto prigioniero, e tutta la sua famiglia
mor tra i pi atroci supplizi. Una famiglia di cittadini di
Verona, di nome Scala, che noi chiamiamo l Escale, simpa-
dronf del governo sul finire del XIII secolo, e vi regn cen
t anni; questa famiglia, verso laimo 1330, sotto'mise Pado
va, Vicenza, Treviso*, Parma, Brescia e altri territori; ma nel
* Voltaire ha ricavato questi dati dallopera di P i e t r o G e r a k d o , Histoi-
re de la vie et faits d'Ezzelin III surnomm Da Romano, tyran de Vadoue
sous la tirannie duquel prrent de mori violente plus de douze mille Ta-
douans, Parigi, 1694 ( Pom e au).
2 9 0 SAGGIO SUI COSTUMI
XV secolo non rest la minima traccia di questa potenza. I
Visconti, gli Sforza, duchi di Milano, sono scomparsi pi
tardi e per sempre. Di tutti i signori che dividevano la Ro
magna, lUmbria, lEmilia restano oggi soltanto due o tre fa
miglie divenute suddite del papa.
Se frugate negli annali delle citt dItalia, non ne tro
verete una nella quale non vi siano state cospirazioni con
dotte con tanta arte quanto quella di Catilina. Non era pos
sibile, in Stati cos piccoli, n elevarsi n difendersi con eser
citi: gli assassini, i venefici vi supplirono spesso. Una som
mossa del popolo faceva un principe, unaltra sommossa lo
faceva cadere: in tal modo Mantova, per esempio, pass di
tiranno in tiranno fino alla casa dei Gonzaga, che vi si in
sedi nel 1328.
La sola Venezia ha sempre conservato la sua libert, che
essa deve al mare che la circonda e alla prudenza del suo go
verno. Genova, sua rivale, le fece la guerra e la sgomin sul
finire del XIV secolo; ma Genova poi declin di giorno in
giorno, e Venezia sinnalz sempre fino al tempo di Luigi
XII e dellimperatore Massimiliano, quando la vedremo in
cutere timore allItalia e suscitare gelosia in tutte le po
tenze che cospirano per distruggerla. Tra tutti quei governi,
quello di Venezia era il solo ordinato, stabile e unifor
me: aveva soltanto un difettoi radicale, che non era tale agli
occhi del senato, gli mancava cio un contrappeso alla poten
za patrizia e uno stimolo per i plebei. Il merito non pu mai,
a Venezia, innalzare un semplice cittadino, come nellantica
Roma. La bellezza del governo dInghilterra, da quando' la
camera dei comuni ha parte nella legislazione, consiste in quel
contrappeso e in quella via agli onori sempre aperta a chiun
que ne sia degno*.
Pisa, che oggi solo una citt spopolata, dipendente dalla
Toscana, era una repubblica celebre nel XIII e XIV secolo,
e metteva in mare flotte ingenti quanto quelle di Genova.
Parma e Piacenza appartenevano ai Visconti: i papi, ri-
* Si veda una nota degli editori Ilarticolo "Governo dInghilterrd nel
Dizionario filosofico (N.d.A.).
CAPITOLO SETTANTAQUATTRESIMO 2 9 1
conciliati con loro, gliene diedero l investitura, perch i Vi
sconti non vollero allora chiederla agli imperatori, la cui po
tenza andava svanendo in Italia. La casa dEste, che aveva
prodotto quella famosa contessa Matilde, benefattrice della
santa sede, possedeva Ferrara e Modena. Aveva ricevuto Fer
rara dallimperatore Ottone III, e tuttavia la santa sede ac
campava diritti su Ferrara, e ne dava talvolta linvestitura,
cos come di parecchi Stati della Romagna; fonte inesauribile
di confusione e di tumulto.
Accadde che, durante la migrazione della santa sede dalle
rive del Tevere a quelle del Rodano, vi fossero due potenze
immaginarie in Italia, gli imperatori e i papi, dalle quali tutte
le altre ricevevano diplomi per legittimare le loro usurpa
zioni; e quando la cattedra pontificia fu ristabilita in Roma,
non vi ebbe un vero potere, e gli imperatori furono dimenti
cati fino a Massimiliano I. Nessuno straniero possedeva allora
terre in Italia: non si potevano pili chiamare straniere la
casa dAngi, stabilita a Napoli nel 1266, e quella dAragona,
sovrana della Sicilia dal 1287. Cos lItalia, ricca, piena di
citt fiorenti, feconda duomini di genio*, poteva mettersi in
condizione di non ricevere mai la legge da alcuna nazione.
Essa aveva persino un vantaggio suUa Germania, e cio che
nessun vescovo, eccetto il papa, se nera fatto sovrano, e che
tutti quei diversi Stati, governati da secolari, dovevano per
questo essere pi adatti alla guerra.
Se le discordie donde nasce talvolta la libert pubblica
turbavano lItalia, esse nondimeno scoppiavano anche in
Germania, dove i signori hanno tutti pretese gli uni verso
gli altri; ma, come avete gi notato, lItalia non form mai
un corpo, e la Germania ne form uno. La flemma germanica
ha conservato fin qui sana e integra la costituzione dello Sta
to; lItalia, meno grande della Germania, non ha mai po
tuto neanche formarsi una costituzione; e a forza di intelli
genza e di sagacia si trovata divisa in numerosi Stati inde
boliti, soggiogati e insanguinati da nazioni straniere.
Napoli e la Sicilia, che avevano formato una potenza for
midabile sotto i conquistatori normanni, dopo i vespri sici
2 9 2 SAGGIO SUI COSTUMI
liani erano ormai soltanto due Stati gelosi luno dellaltro,
che si nocevano a vicenda. Le debolezze di Giovanna I rovi
narono Napoli e la Provenza, di cui era sovrana; le debolez
ze ancor pi vergognose di Giovanna II completarono la ro
vina. Questa regina, lultima della stirpe che il fratello di
san Luigi aveva trapiantato in Italia, non ebbe alcun cre
dito, cos come il suo regno, per tutto il tempo in cui ella
regn. Era la sorella di quel Lancelot che aveva fatto tremare
Roma al tempo dellanarchia che precedette il concilio di Co
stanza; ma Giovanna II fu ben lungi dallessere temibile. De
gli intrighi damore e di corte fecero la vergogna e la sven
tura dei suoi Stati. Giacomo di Borbone, suo secondo ma
rito, ne sub le infedelt, e quando voUe dolersene fu messo
in prigione; fu ben felice di fuggire e dandare a nascondere
il suo dolore, e ci che si chiamava la sua vergogna, in un
convento di cordiglieri a Besangon.
Questa Giovanna II, o Giovannetta, fu, senza prevederlo,
la causa di due grandi avvenimenti: il primo fu lelevazione
degli Sforza al ducato di Milano; il secondo, la guerra por
tata in Italia da Carlo V ili e da Luigi XII. Lelevazione de
gli Sforza uno di quegli scherzi della fortuna che mostrano
come la terra appartenga solo a coloro che possono impadro
nirsene. Un contadino di nome Giacomuzio, che si fece sol
dato e che cambi il proprio nome in quello di Sforza, diven
ne il favorito della regina, conestabile di Napoli, gonfalo
niere della Chiesa, e acquis abbastanza ricchezze da la
sciare a uno dei suoi bastardi di che conquistare il ducato
di Milano.
Il secondo avvenimento, tanto funesto allItalia e alla
Francia, fu causato dalle adozioni. Si gi visto Giovanna
I adottare Luigi I, del secondo ramo dAngi, fratello del
re di Francia Carlo V: queste adozioni erano un resto delle
antiche leggi romane; davano il diritto di successione, e il
principe adottato faceva le veci di figlio; ma era necessario
il consenso dei baroni. Giovanna II adott dapprima Alfonso
V dAragona, soprannominato dagli Spagnuoli il Saggio e il
Magnanimo: questo saggio e magnanimo principe era appe
CAPITOLO SETTANTAQUATTRESIMO 2 9 3
na stato riconosciuto erede di Giovanna, che subito la priv
di ogni autorit, la mise in prigione e voUe toglierle la vita.
Francesco Sforza, il figlio di queUiUustre villico Giacomu-
zio, segnal le sue prime armi, e merit la grandezza cui asce
se dipoi, liberando la benefattrice di suo padre. La regina
allora adott un Luigi dAngi, nipote di quello che era stato
cos vanamente adottato da Giovanna L Morto questo prin
cipe (1435), nomin suo erede Renato dAngi, fratello del
defunto: questa doppia adozione fu a lungo una doppia fiac
cola di discordia tra la Francia e la Spagna. Questo Renato
dAngi, chiamato per regnare a Napoli da una madre adot
tiva e in Lorena da sua moglie, fu parimente infelice in Lo
rena e a Napoli. Gli si d il titolo di re di Napoli, di Sicilia,
di Gerusalemme, dAragona, di Valenza, di Majorca, duca
di Lorena e di Bar. egli non fu niente di tutto questo. Tale
molteplicit di titoli inutili, fondati su pretese che non hanno
avuto effetto, una fonte della confusione che rende le no
stre storie moderne spesso sgradevoli e forse ridicole. La sto
ria dEuropa diventata un immenso verbale di contratti di
matrimonio, di genealogie e di titoli contesi, che diffondono
dappertutto oscurit non meno che aridit, e che soffocano i
grandi eventi, la conoscenza delle leggi e quella dei costumi,
oggetti pi degni dattenzione.
2 9 4 SAGGIO SUI COSTUMI
DELLA FRANCIA E DELLINGHILTERRA AL TEMPO DI
FILIPPO DI VALOIS, DEDOARDO II E DEDOARDO III.
DEPOSIZIONE DEL RE EDOARDO II DA PARTE DEL
PARLAMENTO. EDOARDO III, VINCITORE DELLA
FRANCIA. ESAME DELLA LEGGE SALICA.
DELLARTIGLIERIA, ECC.
L Inghilterra riacquist forza sotto Edoardo I, verso la
fine del XIII secolo. Edoardo, successore di suo padre En
rico III, fu costretto in verit a rinunciare alla Normandia,
aUAngi, alla Turenna, patrimoni dei suoi avi; ma con
serv la Guienna, (1283) simpadron del paese di Galles,
seppe raffrenare il malumore degli Inglesi e animarli. Ne fece
fiorire il commercio per quanto era allora possibile. (1291)
Essendosi estinta la casa di Scozia, egli ebbe il vanto di esse
re scelto come arbitro tra i pretendenti. Costrinse dapprima
il parlamento di Scozia a riconoscere che la corona di quel
>aese dipendeva da quella dInghilterra; poi nomin re B-
iol, che egli fece suo vassallo; alla fine, Edoardo prese per
s quel regno di Scozia e lo conquist dopo parecchie bat
taglie; ma non pot conservarlo. AUora appunto cominci
quellantipatia tra gli Inglesi e gli Scozzesi, che oggi, nono
stante la riunione dei due popoli, non ancora del tutto
estinta.
Sotto quel principe si cominciava ad accorgersi che gli
Inglesi non sarebbero stati a lungo tributari di Roma; si
servivano di pretesti per pagare male, ed eludevano unautori
t che non osavano attaccare frontalmente.
Il parlamento dInghilterra prese, verso Fanno 1300, una
nuova forma, pressa poco qual ai nostri giorni. Il titolo di
baroni e di pari fu attribuito solo a coloro che entravano
nella camera alta. La camera dei comuni cominci a regolare i
sussidi, perch solo il popolo li pagava. Edoardo I diede
CAPITOLO LXXV
autorit alla camera dei comuni per poter controbilanciare il
potere dei baroni. Questo principe, abbastanza fermO' e abba
stanza abile da usar loro riguardi e da non temerli, form
quella specie di governo che riunisce tutti i vantaggi della
monarchia, dellaristocrazia e della democrazia, ma che ha
anche gli inconvenienti di tutte tre, e pu sussistere solo sot
to un re savio. Suo figlio non lo fu, e lInghilterra fu dila
niata.
Edoardo I mori quando si accingeva a conquistare la Sco
zia, tre volte soggiogata e tre volte insorta; suo figlio di ven
titr anni, alla testa di un numeroso esercito, abbandon i
progetti del padre per darsi a piaceri che sembravano, in
Inghilterra pi che altrove, indegni di un re. I suoi favoriti
irritarono la nazione, e soprattutto la sposa del re, Isabella
figlia di Filippo il Bello, dorma galante e imperiosa, gelosa
del marito chella tradiva. Nellamministrazione pubblica vi
fu ormai soltanto furore, confusione e debolezza. (1312) Una
parte del parlamento fa mozzare la testa a un favorito del mo
narca, di nome Gaveston: gli Scozzesi approfittano di questi
torbidi, battono gli Inglesi, e Robert Bruce, divenuto re di
Scozia, la rinsalda grazie alla debolezza dellInghilterra.
(1316) Non possibile comportarsi con maggiore impru
denza, e perci con maggiore sfortuna, di quanto fece Edoar
do II; tollera che sua moglie Isabella, irritata contro- di lui,
passi in Francia con suo figlio, che fu poi il fortunato e fa
moso Edoardo III.
Carlo il Bello, fratello disabella, regnava in Francia;
seguiva la politica di tutti i re, di seminare cio la discor
dia tra i suoi vicini; incoraggi sua sorella Isabella a levar la
bandiera contro suo marito.
Cos dunque, coi pretesto che un giovane favorito, di no
me Spencer, governava indegnamente il re dInghilterra, sua
moglie si prepara a fare la guerra. Ella sposa suo figlio alla
figlia del conte di Hainaut e dOlanda; impegna questo con
te a fornirle truppe; torna infine in Inghilterra e si -unisce
a mano armata ai nemici del suo sposo; il suo amante,. Morti-
296 SAGGIO SUI COSTUMI
mer, era con lei alla testa delle sue truppe, mentre il re fug
giva con il suo favorito Spencer.
(1326) La regina fa impiccare a Bristol il padre del fa
vorito, che aveva novantanni: questa crudelt, che non ri
spett lestrema vecchiaia, un esempio unico; punisce poi a
Herford, col medesimo supplizio, il favorito stesso, caduto
nelle sue mani; ma attu in quel supplizio ima vendetta che la
decenza del nostro secolo non permetterebbe; fece mettere
nella sentenza che si sarebbero strappate al giovane Spencer
le parti di cui aveva fatto colpevole uso con il monarca. La
sentenza fu eseguita sul patibolo: ella non temette dassiste
re allesecuzione. Froissart* non si perita di chiamare quelle
parti col loro nome proprio. Quella corte, dunque, riuniva
tutte le dissolutezze dei tempi pi eflEeminati e insieme tutte
le barbarie dei tempi pi selvaggi.
AUa fine il re, abbandonato, fuggiasco nel proprio regno,
preso, condotto a Londra, insultato dal popolo, rinchiuso
nella Torre, giudicato dal parlamento e deposto con una sen
tenza solenne. Un certo Trussel gli signific la deposizione
con queste parole redatte negli atti pubblici; Io, Gugliel
mo Trussel, procuratore del parlamento e della nazione, vi
dichiaro in loro nome e per loro autorit che rinuncio, revo
co e ritratto lomggio a voi fatto, e che vi privo del po
tere regio. Fu data la corona a suo figlio di quattordici anni
e la reggenza alla madre assistita da un consiglio; al re fu
assegnata per vivere una pensione di circa sessantamila lire
della nostra moneta.
(1327) Edoardo II sopravvisse appena un anno alla sua
disgrazia; non si trov sul suo corpo nessuna traccia di morte
violenta. Si reputa cosa certa che gli avessero conficcato nel
le viscere un ferro rovente attraverso un tubo di corno.
Il figlio pun ben presto la madre. Edoardo III, ancora
rninore, ma impaziente e capace di regnare, cattur un gior
no sotto gli occhi della madre il suo amante Mortimer, conte
* Jean Froissart (intorno al 1337 - posteriormente allannQ 1404), crona
chista francese, autore di Histoire. et cbronique mmorable, racconti disor
dinati ma scritti con semplicit degli eventi dal 1325 al 1400. .
CAPITOLO SETTANTACINQUESIMO 2 9 7
de La Marche (1331). Il parlamento giudica quel favorito
senza ascoltarlo, come era stato fatto con gli Spencer. Egli
mori col supplizio della forca, non per avere disonorato- il
letto regio, per aver deposto il suo re e averlo fatto assassi
nare, ma per le concussioni e le malversazioni di cui sono
sempre accusati coloro che governano. La regina, rinchiusa
nel castello di Risin con cinquecento lire sterline di pensio
ne, infelice in diverso modo, pianse in solitudine le sue sven
ture pi che le sue debolezze e le sue barbarie.
(1332) Edoardo III, padrone, e ben presto padrone as
soluto, comincia col conquistare la Scozia; ma allora una
nuova scena si apriva in Francia. LEuropa ansiosa non sape
va se Edoardo avrebbe avuto quel regno per i diritti del
sangue o per quelli delle armi.
La Francia, che non comprendeva n la Provenza, n il
Delfinato, n la Franca Contea, era nondimeno un regno
potente; ma il suo re non lo era ancora. Alcuni grandi Stati,
come la Borgogna, lArtois, la Fiandra, la Bretagna, la Guien-
na, dipendenti dalla corona, costituivano sempre linquietudi
ne del principe assai pi che la sua grandezza.
I possedimenti di Filippo il Bello, con le imposte sui sud
diti immediati, avevano reso un valore in peso di centosessan-
tamila Hre. Quando Filippo il Bello fece la guerra ai Fiam
minghi (1302), e quasi tutti i vassalli della Francia con
tribuirono a quella guerra, fu fatto pagare il quinto dei red
diti a tutti i secolari che, per il loro stato, erano dispen
sati dal fare la campagna. I popoli erano infelici, e la fami
glia reale lo era ancor di pi.
Nulla pi conosciuto dellobbrobrio di cui si coprirono
contemporaneamente i tre figli di Filippo il Bello, accusando
dadulterio le loro mogli in pieno parlamento; tutte e tre
furono condannate a essere rinchiuse. Luigi Hutin, il primo
genito, fece perire la sua, Margherita di Borgogna, per mez
zo del cappio. Gli amanti di queste principesse furono con
dannati a un nuovo genere di supplizio; furono scorticati
vivi. Che tempi! e poi ci lamentiamo del nostro!
2 9 8 SAGGIO SUI COSTUMI
(1316) Dopo la morte di Luigi Hutin, che aveva unito la
Navarra alla Francia come suo padre, la questione della legge
salica agit tutti gli animi. Questo re lasciava soltanto una
figlia: in Francia non si era ancora mai esaminato se le
femmine dovessero ereditare la corona; le leggi si erano sem
pre fatte solo secondo il bisogno del momento. Le antiche
leggi saliche erano ignorate; lusanza ne faceva le vci, e
questa usanza variava sempre in Francia. Sotto Filippo il
Bello il parlamento aveva aggiudicato l Artois a una femmina,
a detrimento del maschio pi prossimo; la successione della
Champagne era stata ora assegnata alle femmine, ora era stata
tolta oro: Filippo il Bello non ebbe la Champagne se non
per il tramite di sua moglie, che ne aveva escluso i principi.
Da ci si vede che il diritto cambiava come la fortuna, e che
non era affatto una legge fondamentale dello Stato a esclu
dere ima figlia dal trono del padre.
Dire, come tanti altri, che la corona di Francia cosi
nobile che non pu ammettere donne, una grande pueri
lit. Dire con Mzeray* che la debolezza del sesso non per
mette alle donne di regnare, essere doppiamente ingiu
sto: la reggenza della regina Bianca e il regno glorioso di
tante donne in quasi tutti i paesi dEuropa confutano a suffi
cienza la grossolanit di Mzeray. Daltronde larticolo di
queUantica legge, che toglie ogni eredit alle figlie in terra
salica, sembra strapparla loro soltanto perch ogni signore
salico era obbligato a trovarsi in armi alle assemblee della
nazione; ora una regina non obbligata a portare le armi,
la nazione le porta per lei. Perci si pu dire che la legge
salica, daltronde cos poco nota, riguardava gli altri feudi,
e non la corona. Era una legge che tanto poco riguardava i re,
chessa si trova soltanto sotto larticolo de dlodiis, degli allodi.
Se si tratta di una legge degli antichi Salii, essa dunque sta
ta fatta prima che vi fossero re di Francia; dunque non ri
guardava affatto questi re**.
Inoltre indubitabile che parecchi feudi non fossero sotto
* Vedi nota a pag. 16.
** S veda larticolo Legge s a l i c a nel Dizionario filosofico (N.d.A.).
CAPITOLO SETTANTACINQUESIMO 2 9 9
posti a questa legge; a maggior ragione si poteva allegare che
la corona non doveva esservi assoggettata.
Si sempre voluto avvalorare le proprie opinioni, quali
che fossero, con lautorit dei libri sacri; i fautori della legge
salica hanno citato il passo che i gigli non lavorano n fila
no*-, e da ci hanno concluso che le femmine, che debbono
filare, non debbono regnare nel regno dei gigli. Tuttavia i gi
gli non lavorano, e un principe deve lavorare; i leopardi
dInghilterra e le torri di Castiglia non filano pi dei gigli
di Francia, e le femmine possono regnare in Castiglia e in
Inghilterra. Inoltre gli stemmi dei re di Francia non assomi
gliarono mai a dei gigli; si trattava evidentemente deUa cima
di unalabarda, cos come sono descritte nei brutti versi di
Guillaume le Breton**:
Cuspidis in medio uncum emittit acutum.
Lo scudo di Francia un ferro appuntito nel centro dellalabarda.
Tutte le ragioni contro la legge salica furono ostinata-
mente sostenute dal duca di Borgogna, zio della principessa
figlia di Hutin, e da parecchie principesse del sangue. Lui
gi Hutin aveva due fratelli che in breve tempo gli succe
dettero, come si sa, luno dopo l altro: il maggiore, Filippo U
Lungo, e Carlo il Bello, il minore. Carlo allora, non credendo
che gli sarebbe toccata la corona, combatte la legge salica
per gelosia verso il fratello.
Filippo il Lungo non manc di far proclamare in, unassem
blea di deuni baroni, di prelati e di borghesi di Parigi che le
femmine dovevano essere escluse dalla corona di Francia; ma
se il partito opposto fosse prevalso, si sarebbe subito fatta
una legge fondamentale del tutto contraria.
Filippo il Lungo, che conosciuto solo per aver vietato
ai vscovi lingresso in. parlamento, essendo morto dopo un
regno assai breve, lasci anchegli solo figlie. La legge salica
fu confermata allora ima seconda volta. Carlo il Bello, che vi
* M a t t e o , VI, 28.
** Cronachista e poeta, morto intorno al 1227; Fautore di un poema
latino in dodici canti, su Filippo Augusto.
3 0 0 SAGGIO SUI COSTUMI
si era opposto, prese la corona senza contestazioni ed escluse
le figlie di suo fratello.
Carlo il Bello, morendo, lasci di nuovo lo stesso proce
dimento da decidere. Sua moglie era incinta; occorreva un
reggente al regno; Edoardo II I pretese la reggenza come ni
pote di Filippo il Bello in linea materna, e Filippo di Va-
lois se ne impadron in qualit di primO' principe del sangue.
Tale reggenza gli fu solennemente conferita e, avendo la re
gina madre partorito una bambina, egli prese la corona col
consenso della nazione. La legge salica che esclude le femmine
dal trono era dunque nei cuori; essa era fondamentale per
unantica convenzione universale. Non ve n unaltra. Gli
uomini le fanno e le aboliscono. Chi pu dubitare che, se
mai del sangue della casa di Francia restasse soltanto una
principessa degna di regnare, la nazione non potrebbe e non
dovrebbe conferirle la corona?
Non soltanto le femmine erano escluse, ma lo era anche
il rappresentante di una femmina: si pretendeva che il re
Edoardo non potesse avere da parte della madre un diritto
che sua madre non aveva. Una ragione ancora pi forte fa
ceva preferire un principe del sangue a uno straniero, a un
principe nato in una nazione naturalmente nemica della Fran
cia. I popoli diedero allora a Filippo di Valois il nome di
Fortunato. Pot unirvi per qualcle tempo quello di vitto
rioso e di giusto; infatti, avendo un conte di Fiandra suo
vassallo maltrattato i propri sudditi, ed essendosi i sudditi
ribellati, egli marci in aiuto di quel principe e, dopo aver
pacificato tutto, disse al conte di Fiandra: Non attiratevi
pi tante rivolte con una cattiva condotta .
Si pot chiamarlo fortunato ancora una volta, quando
ricevette ad Amiens il solenne omaggio che Edoardo III an
d a rendergli. Ma tosto quellomaggio fu seguito- dalla guer
ra; Edoardo contese la corona a colui del quale si era pro
clamato vassallo.
Un birraio della citt di Gand fu la forza animatrice di
quella guerra famosa e colui che indusse Edoardo a prendere
il titolo di re di Francia. Quel birraio, di nome Jacques dAr-
CAPITOLO SETTANTACINQUESIMO 30 1
tevelt, era uno di quei cittadini che i sovrani debbono ro
vinare o assecondare; il prodigioso credito di cui godeva
lo rese necessario a Edoardo; ma non volle usare quel cre
dito in favore del re inglese se non a condizione che Edoar
do prendesse il titolo di re di Francia, a fine di rendere irre
conciliabili i due re. Il re dInghilterra e il birraio firmaro
no il trattato di Gand, molto tempo dopo aver cominciato le
ostilit contro la Francia. Limperatore Ludovico di Baviera
si alle col re dInghilterra con apparato maggiore di quanto
avesse fatto il birraio, ma con minore utilit per Edoardo.
Osservate con grande attenzione il pregiudizio che regn
tanto a lungo nella repubblica tedesca, rivestita del titolo di
impero romano. Quellimperatore Ludovico, che possedeva
soltanto la Baviera, invest il re Edoardo III (1338) a Colo
nia della dignit di vicario dellimpero, al cospetto di quasi
tutti i principi e di tutti i cavalieri tedeschi e inglesi; ivi pro
clama che il re di Francia sleale e perfido-, che scellera
tamente venuto meno alla protezione dellimpero, dichiaran
do tacitamente con questatto Filippo di Valois ed Edoardo
suoi vassalli.
LInglese si avvide subito che H titolo di vicario era di
per se stesso tanto vano quanto quello dimperatore quando
la Germania non lo avesse assecondato; e concep un tale
disgusto per l anarchia tedesca, che da allora, quando gli fu
offerto limpero, non si degn daccettarlo.
Quella guerra cominci col mostrare quale superiorit
la nazione inglese avrebbe un giorno piotuto avere sul mare.
Bisognava prima di tutto che Edoardo III tentasse di sbar
care in Francia con un grande esercito e die Filippo glielo
impedisse: ciascuno di essi equipaggi in brvissimo tempo
una flotta di pi di cento vascelli; quelle navi erano sempli
cemente grosse barche; Edoardo non era, come il re di Fran
cia, abbastanza ricco da costruirle a sue spese; dei cento
vascelli inglesi, venti gli appartenevano, il resto era fornito
da tutte le citt marittime dInghilterra. Il paes er cos po
co ricco di denaro, che il principe di Galles aveva una paga
di soli venti scellini al giorno; il vescovo di Derham, uno
3 0 2 SAGGIO SUI COSTUMI
degli ammiragli della flotta, ne aveva solo sei e i baroni quat
tro. I pi poveri vinsero' i pi ricchi, come succede quasi sem
pre. Le battaglie navali erano allora pi micidiali di oggi: non
ci si serviva del cannone, che fa tanto rumore, ma si uccideva
molta pi gente; i vascelli si abbordavano da prua, si ab
bassavano da una parte e dallaltra dei ponti levatoi, e si
combatteva come in terra ferma. (1340) Gli ammiragli di
Filippo di Valois perdettero settanta vascelli, e quasi venti
mila combattenti. Fu questo il preludio della gloria di Edoar
do e del celebre Principe Nero, suo figlio, che vinsero di
persona quella battaglia memorabile.
Vi risparmio- qui i particolari delle guerre, che si asso
migliano quasi tutte; ma, insistendo sempre su quello che
contraddistingue i costumi del tempo, osserver che Edoardo
sfid a singoiar tenzone Filippo di Valois; il re di Francia
ricus, dicendo che un sovrano non si abbassava a battersi
contro il suo vassallo.
(1341) Intanto un nuovo avvenimento sembrava scal
zare ancora una volta la legge salica. La Bretagna, feudo di
Francia, era appena stata assegnata dalla corte dei pari a
Carlo di Blois, che aveva sposato la figlia dellultimo duca;
e il conte de ,Montfort, zio> di questo duca, era stato escluso.
Le leggi e gli interessi erano altrettante contraddizioni. Il re
di Francia, che sembrava dovesse sostenere la legge salica nel
la causa del conte de Montfort, erede maschio della Bre
tagna, si schierava dalla parte di Carlo di Blois, che traeva
il suo diritto dal ramo femminile; e il re dInghilterra, che
doveva conservare il diritto delle donne in Carlo di Blois,
si dichiarava per il conte de Montfort.
La guerra tra la Francia e lInghilterra ricomincia in
questoccasione. Dapprima Montfort viene colto di sorpresa
a Nantes e condotto prigioniero a Parigi nella torre del Lou
vre. Sua moglie, figlia del conte di Fiandra, era una di quel
le eroine singolari che sono raramente comparse nel mon
do, e sulle quali indubbiamente sono state immaginate le
favole delle Amazzoni. Ella si mostr, spada alla mano, el
mo in testa, alle truppe di suo marito, reggendo suo figlio
CAPITOLO SETTANTACINQUESIMO 3 0 3
tra le braccia; sostenne lassedio di Hennebon, fece delle
sortite, combatte sulla breccia, e alla fine, con laiuto della
flotta inglese che venne in suo soccorso, fece togliere las
sedio.
(Agosto 1346) Tuttavia la fazione inglese e il partito
francese combatterono a lungo in Guienna, in Bretagna, in
Normandia: finalmente, presso il fiume Somme, si svolge
quella sanguinosa battaglia di Crcy tra Edoardo e Filippo- di
Valois. Edoardo aveva presso di s suo figlio, il principe di
Galles, che era chiamato il Principe Nero a causa della co
razza scura e del pennacchio nero del suo elmo. Questo gio
vane principe ebbe quasi tutto lonore di quella giornata.
Parecchi storici hanno attribuito la disfatta dei Francesi ad
alcuni cannoncini di cui erano muniti gli Inglesi; da dieci o
dodici anni lartiglieria cominciava a essere in uso.
Questinvenzione dei Cinesi fu forse portata in Europa
dagli Arabi, che trafficavano sui mari delle Indie? Non sem
bra probabile; un benedettino tedesco, di nome Berthold
Schwartz, che trov questo segreto fatale. Da lungo tempo
ci si stava arrivando. Gi molto tempo prima un altro be
nedettino inglese, Ruggero Bacone, aveva parlato delle gran
di esplosioni che poteva produrre il salnitro rinchiuso*. Ma
perch il re di Francia non aveva cannoni nel suo esercito,
come il re dInghilterra? e se linglese ebbe quella superio
rit, perch tutti i nostri storici fanno ricadere la perdita del
la battaglia sui balestrieri genovesi che Filippo aveva al suo
soldo? La pioggia bagn, si dice, la corda dei loro archi; ma
questa pioggia bagn nondimeno le corde degli Inglesi. Gli
storici avrebbero forse fatto meglio a osservare che un re di
Francia, che aveva arcieri di Genova invece di disciplinare la
sua nazione, e che non aveva cannoni quando il suo nemico ne
aveva, non meritava di vincere.
davvero strano che, siccome questuso della polvere
doveva aver cambiato assolutamente larte della guerra, non
* In realt Ruggero Bacone aveva pubblicato la formula della polvere
da sparo introdotta in Europa dagli Arabi, mentre il monaco ScWartz,
circa un secolo dopo, si era segnalato soprattutto come fonditore di can
noni.
3 0 4 SAGGIO SUI COSTUMI
si veda il periodo di questo cambiamento. Una nazione che
avesse saputo procurarsi una buona artiglieria era sicura di
avere la meglio su tutte le altre: di tutte le arti quella era
la pi funesta, ma anche quella che bisognava maggiormente
perfezionare. Tuttavia, fino al tempo di Carlo V ili, essa
resta nellinfanzia: tanto prevalgono le antiche usanze, tanto
la lentenza arresta lindustriosit umana. Ci si serv dellar
tiglieria agli assedi delle piazzeforti soltanto sotto il re di
Francia Carlo V; e le lance determinarono sempre la sorte
della battaglia in quasi tutte le azioni, fino agli ultimi tempi
di Enrico IV.
Si vuole che nella giornata di Crcy gli Inglesi avessero
solo duemilacinquecento uomini di cavalleria pesante e qua
rantamila fanti, e che i Francesi avessero quarantamila fan
ti e quasi tremila uomini della cavalleria pesante. Coloro che
sminuiscono la perdita dei Francesi dicono che ammont a
solo ventimila uomini; il conte di Blois, che era una delle
cause apparenti della guerra, vi fu ucciso; e il giorno dopo le
truppe dei comuni del regno furono nuovamente scoiifitte.
Dopo due vittorie riportate in due giorni, Edoardo prese
Calais, che rest agli Inglesi per duecentodieci anni.
Si dice che durante quellassedio Filippo di Valois, non
potendo attaccare le linee degli assedianti e disperato di es
sere unicamente testimone delle sue perdite, propose al re
Edoardo di risolvere quella grande contesa con un combat
timento di sei contro sei. Non volendo affidare a un com
battimento incerto la presa certa di Calais, Edoardo rifiut
quel duello, come Filippo di Valois laveva rifiutato prima.
I principi non hanno mai terminato da s soli le loro con
tese: sempre il sangue delle nazioni a essere versato.
In quel famoso assedio che diede allInghilterra la chiave
della Francia, la cosa che stata pi notata, ed era forse
quella meno memorabile, il fatto che Edoardo esigette, per
la capitolazione, che sei borghesi andassero a chiedergli per
dono seminudi e con la corda al collo: cos venivano trattati
i sudditi ribelli. Edoardo aveva interesse a far sentire che si
reputava re di Francia. Storici e poeti si sono sforzati di ce-
20/cn
CAPITOLO SETTANTACINQUESIMO 3 0 5
lebrare i sei borghesi, che andarono a chiedere perdono, co
me altrettanti Cedro* che si sacrificavano per la patria; ma
falso che Edoardo volesse quella povera gente per farla
impiccare. La capitolazione stabiliva che sei borghesi, scal
zi e a capo scoperto, sarebbero andati col capestro al coUo' a
portargli le chiavi della citt, e che di costoro il re dInghil
terra e di Francia avrebbe fatto ci che gli fosse piaciuto.
Certamente Edoardo non aveva nessun bisogno di fare
stringere la corda che i sei abitanti di Calais avevano al
collo, poich don a ciascuno sei scudi doro e una veste.
Colui che aveva cos generosamente nutrito* tutte le bocche
inutili cacciate da Calais dal comandante Jean de Vienne;
colui che perdon cos generosamente il traditore Aimery di
Pavia, da lui nominato governatore di Calais e reo convinto
daver venduto la piazzaforte ai Francesi; colui che, reca
tosi di persona a combattere contro i Francesi venuti per pren
derla, invece di far mozzare la testa a Chamy e a Ribaumoot,
colpevoli daver fatto quel mercimonio durante una tregua,
diede loro da cenare dopo averli presi di sua mano, e fece
loro generosissimi doni; colui che infine tratt con tanta
magnanimit e tanta cortesia il suo infelice prigioniero, il re
di Francia Giovanni, non era un barbaro. Lidea di porre
riparo ai disastri della Francia con la grandezza danimo di
sei abitanti di Calais, e di rappresentare in teatro ragioni sti
racchiate in versi stiracchiati, a favore della legge salica,
enormemente ridicola.
Questa guerra, che si faceva aJlo stesso tempo in Guien-
na, in Bretagna, in Normandia e in Piccardia, esauriva la Fran
cia e lInghilterra in fatto duomini e di denaro. Non era tut
tavia quello il tempo di distruggersi per l interesse dellam
bizione: ci si sarebbe dovuti riunire contro un flagello dal
tra specie. (1347 e 1348) Una peste micidiale, che aveva
fatto il giro del mondo e che aveva spopolato lAsia e lAfri
* Poich un oracolo aveva promesso ai Dori, invasori dellAttica, la
vittoria a patto che non avessero ucciso il re dAtene, Cedro (XIII sec.
a.C.), questi, travestitosi da contadino, provoc un soldato dorico e venne
Tacciso, salvando cosi la patria.
3 0 6 SAGGIO SUI COSTUMI
ca, venne allora a devastare lEuropa e particolarmente la
Francia e lInghilterra.
Essa si port via, a quanto si dice, la quarta parte degli
uomini: questa una delle cause che hanno fatto s che nel
le nostre regioni il genere umano non si sia moltiplicato nel
la proporzione in cui si reputa che dovrebbe esserlo.
Mzeray ha detto dopo altri che quella peste venne dalla
Cina, e che era uscita dalla terra imesalazione ardente in
forma di globi di fuoco, la quale, deflagrando, sparse la sua
infezione suUemisfero. Questo significa dare unorigine favo
losissima a un male certissimo. In primo luogo, non risulta che
una simile meteora abbia mai dato la peste; in secondo luogo,
gli annali cinesi parlano di una malattia contagiosa solo verso
il 1504. La peste propriamente detta una malattia propria
del clima dellAfrica centrale, come il vainolo lo dellAra
bia e come il veleno che attossica la fonte della vita ha ori
gine presso i Caraibi. Ogni clima ha il suo veleno in questo
globo infelice, in cui la natura ha mescolato un po di bene a
molto male. Questa peste del XIV secolo era simile a quelle
che spopolarono la terra sotto Giustiniano e al tempo dIp-
pocrate. Proprio al colmo della virulenza di questo flagello
Edoardo e Filippo avevano combattuto per regnare su mo
ribondi.
Dopo il concatenarsi di tante calamit, dopo che gli ele
menti e i furori degli uomini hanno cos cospirato per fune
stare la terra, ci si stupisce che lEuropa sia oggi cos fio
rente. La sola risorsa del genere umano era nelle citt che
i grandi sovrani disprezzavano. Il commercio e lindustria di
quelle citt ha sommessamente posto riparo al male che i
principi facevano con tanto fracasso. LInghilterra, sotto
Edoardo III, si ripag a usura dei tesori che le costarono le
imprese del suo monarca: vendette le sue lane; Bruges le
mise in lavorazione. I Fiamminghi esercitavano le manifattu
re; le citt anseatiche formavano una repubblica utile al mon
do, e le arti continuavano a prosperare nelle citt libere e
commerciali dellItalia. Queste arti altro non domandano se
CAPITOLO SETTANTACINQUESIMO 3 0 /
non destendersi e di svilupparsi, e dopo le grandi tem
peste si trapiantano come da s sole nei paesi devastati che
ne hanno bisogno.
(1350) Filippo di Valois mor durante questi avvenimen
ti, ben lungi d^ portare nella tomba il bel titolo di fortunato.
Tuttavia aveva poco prima riunito il Delfinato alla Francia.
Lultimo principe di quel paese, perduti i propri figli, stan
co delle guerre che aveva sostenuto contro la Savoia, diede
il Delfinato al re di Francia e si fece domenicano a Parigi
(1349).
Questa provincia si chiamava Delfinato perch uno dei
suoi sovrani aveva messo un delfino nel suo stemma. Essa
faceva parte del regno di Arles, possesso imperiale. In vir
t di questo acquisto il re di Francia diventava feudatario
dellimperatore Carlo IV. Certo che gli imperatori hanno
sempre reclamato i loro diritti su questa provincia fino a
Massimiliano I. I pubblicisti tedeschi pretendono ancora
ehessa deve dipendere dallimpero. I sovrani del Delfinato
pensano in modo diverso. Niente vano quanto queste ri
cerche; tanto varrebbe fare valere i diritti degli imperatori
sullEgitto, perch Augusto ne era il padrone.
Filippo di Valois aggiunse ancora ai suoi possessi il Ros
siglione e la Cerdana, prestando denaro al re di Maiorca,
della casa dAragona, che gli diede in pegno quelle province;
province che Carlo VIII restitu poi senza essere rimborsato.
Acquist anche Montpellier, che restata alla Francia.
cosa sorprendente che durante un regno tanto infelice egli
abbia potuto acquistare quelle province e pagare anche
molto per il Delfinato. Limposta sul sale, che fu chiamata la
sua legge sdica, lelevazione delle taglie e le disonest suUe
monete lo misero in condizione di fare quegli acquisti. Lo
Stato si accrebbe, ma simpover; e se quel re ebbe da prin
cipio il nome di fortunato, il popolo non pot mai preten
dere a quel titolo. Ma sotto Giovanni, suo figlio, si rimpianse
ancora il tempo di Filippo di Valois.
La cosa pi interessante per i popoli sotto questo regno
3 0 8 SAGGIO SUI COSTUMI
fu Vappel comme dabus* che il parlamento introdusse a
poco a poco a cura dellavvocato generale Pierre Cugnires.
Il clero se ne dolse grandemente, e il re si accontent di es
sere connivente a questusanza e di non opporsi a un rimedio
che sosteneva la sua autorit e le leggi dello Stato. Questo
appel comme dabus, interposto ai parlamenti del regno, un
ricorso contro le sentenze o*ingiuste o incompetenti che pos
sono pronunciare i tribunali ecclesiastid, una denuncia del
le iniziative che rovinano la giurisdizione regia, unopposizio
ne alle boUe di Roma che possono essere contrarie ai diritti
del re e del regno**.
Questo rimedio, o piuttosto questo palliativo, era solo
una pallida imitazione della famosa legge Preemunire, pub
blicata sotto Edoardo III dal parlamento dInghilterra; leg
ge in virt della quale era imprigionato chiunque portasse
a corti ecclesiastiche cause la cui conoscenza spettava ai tri
bunali regi. Gli Inglesi, in tutto quel che concerne le libert
dello Stato, hanno dato lesempio pi duna volta.
CAPITOLO SETTANTACINQUESIMO 3 0 9
* Termine di dititto amministrativo, significante il ricorso contro gli
abusi di potete dellautorit ecclesiastica nei suoi rapporti con l autorit
civile, e reciprocamente.
** Si veda larticolo Ab t j s i nel Dizionario filosofico (N.d.A.).
DELLA FRANCIA SOTTO IL RE GIOVANNI. CELEBRE
SEDUTA DEGLI STATI GENERALI. BATTAGLIA DI
POITIERS. CATTIVIT DI GIOVANNI. ROVINA DELLA
FRANCIA. CAVALLERIA, ECC.
I l regno di Giovarmi ancor pi infelice di quello di
Filippo. (1350) Giovanni, che stato soprannominato il
Buono, comincia col far assassinare il suo conestabile con
te di Eu. (1354) Poco tempo dopo, il re di Navarra, suo cu
gino e suo genero, fa assassinare il nuovo conestabile don
La Cerda, principe deUa casa di Spagna. Questo re di Na
varra, Carlo, nipote di Luigi Hutin, e re di Navarra per linea
materna, principe del sangue per parte del padre, fu uno dei
flagelli della Francia come il re Giovanni, e ben merit il no
me di Carlo il Malvagio.
(1355) Il re, costretto a perdonargli in pieno parlamen
to, va egli stesso ad arrestarlo per delitti di minor conto, e
senza nessuna formalit processuale fa mozzare la testa a
quattro signori suoi amici. Esecuzioni cos crudeli erano la
conseguenza di un governo debole. Creava intrighi, e questi
intrighi attiravano vendette atroci, alle quali seguiva il
pentimento.
Fin dallinizio del suo regno, Giovanni aveva aumentato
lalterazione della moneta, gi alterata al tempo di suo padre,
e aveva minacciato di morte gli ufficiali incaricati di questo
segreto. Questo abuso era leffetto e la prova di un tempo
infelicissimo. Le calamit e gli abusi producono, alla fine, le
leggi. La Francia fu per qualche tempo governata come lIn-
gMterra. I re convocavano gli stati generali, sostituiti agli
antichi parlamenti della nazione. Questi stati generali erano
del tutto simili ai parlamenti inglesi, composti di nobili, di
CAPITOLO LXXVI
vescovi e di deputati delle citt; e quello che veniva chiamato
il nuovo parlamento permanente a Parigi era pressa poco
ci che la corte del banco del re era a Londra. Il cancelliere
era il secondo ufficiale della corona nei due Stati; in Inghil
terra parlava in nome del re negli stati generali dInghilter
ra, ed esercitava il controllo suUa corte del banco. Altret
tanto accadeva in Francia; riprova che ci si conduceva al
lora a Parigi e a Londra secondo gli stessi principi, il fatto
che gli stati generali del 1355 proposero e fecero firmare
al re Giovanni di Francia quasi le stesse ordinanze, quasi la
stessa carta che aveva firmato Giovanni dInghilterra. I sus
sidi, la natura dei sussidi, la loro durata, il prezzo del nu
merario, tutto fu regolato dallassemblea. Il re simpegn a
non costringere pi i sudditi a fornire viveri alla sua casa, a
non servirsi dei loro carriaggi e dei loro letti se non pa
gando, a non cambiare mai la moneta, ecc.
Questi stati generali del 1355, i pi memorabili che sia
no mai stati tenuti, sono quelli di cui le nostre storie par
lano meno. Daniel dice soltanto che furono tenuti nella sala
del nuovo parlamento; doveva aggiungere che il parlamento,
che allora non era permanente, non ebbe accesso a quella
grande assemblea. In eflEetto il prvt des marchands* di Pa
rigi, come deputato-nato della prima citt del regno, parl in
nome del terzo stato. Ma un punto essenziale della storia, che
stato passato sotto silenzio, il fatto che gli stati imposero
un sussidio di circa centonovantamila marchi dargento per pa
gare trentamila uomini di cavalleria pesante: sono dieci mi
lioni e quattrocentomila lire doggi; questi trentamila cava
lieri componevano almeno un esercito di ottantamila uomi
ni, al quale bisognava aggiungere le milizie comunali del re
gno; e in capo allanno si doveva inoltre fissare un nuovo
sussidio per il mantenimento di questo- stesso esercito. In
fine bisogna osservare che questa specie di grande carta fu
solo un regolamento momentaneo, mentre quella degli In
glesi fu una legge perpetua. Questo prova che il carattere
degli Inglesi pi costante e pi fermo di quello dei Francesi.
' * Capo della municipalit, che aveva autorit su tutta la borghesia.
CAPITOLO SETTANTASEESIMO 3 1 1
Ma il Principe Nero, con un esercito temibile, sebbene
piccolo, avanzava fino a Poitiers e devastava le terre che era
no appartenute un tempo alla sua casa. (Settembre 1356)
Il re Giovarmi accorse aila testa di quasi sessantamila uomi
ni. Nessuno ignora che, temporeggiando, poteva prendere
tutto lesercito inglese per fame.
Se il Principe Nero aveva commesso un grande errore
spingendosi tanto in avanti, il re Giovanni ne commise uno
pi grande sferrando lattacco. Quella battaglia di Maupertuis
o di Poitiers assomigli molto a quella che Filippo di Valois
aveva perduta. Ci fu ordine nel piccolo esercito del Principe
Nero; ci fu solo valore tra i Francesi; ma il valore degli
Inglesi e dei Guasconi che servivano sotto il principe di
Galles ebbe la meglio. In nessun luogo detto che nelluno o
nellaltro dei due eserciti si sia fatto uso del cannone. Que
sto silenzio pu far dubitare che ci se ne sia serviti a Crcy;
0 allora bisogna pensare che, per lo scarso effetto che l ar
tiglieria aveva sortito nella battaglia di Crcy, se ne fosse
tralasciato luso; oppure dimostra quanto gli uomini trascu
rassero vantaggi nuovi per antichi costumi; o infine accusa
la negligenza degli storici contemporanei. I principali ca
valieri di Francia perirono; e questo prova che larmatura non
era allora n tanto pesante n tanto completa quanto in altri
tempi: il rimanente si dette alla fuga. Il re, ferito al viso, fu
fatto prigioniero con uno dei f i ^ . un particolare degno
dattenzione il fatto che questo monarca si sia arreso a uno
dei suoi sudditi che egU aveva bandito e che serviva presso
1 suoi nemici. La stessa cosa capita pi tardi a Francesco I.
Il Principe Nero condusse i suoi due prigionieri a Bordeaux
e poi a Londra. Si sa con quale cortesia, con quale rispetto
tratt il re prigioniero, e in che modo aument la propria
gloria con la modestia. Entr a Londra su un cavallino nero,
avanzando alla sinistra del suo prigioniero che cavalcava un
cavallo notevole per bellezza e bardatura; nuovo modo dac
crescere la pompa del trionfo.
La prigionia del re fu a Parigi il segnale di una guerra
civile. Ognuno pensa allora a farsi un partito. Col pretesto
312. SAGGIO SUI COSTUMI
delle riforme si vedono solo fazioni. Carlo, delfino di Fran
cia, che fu poi il savio re Carlo V, proclamato reggente del
regno solo per vederselo quasi ribellato' contro.
Parigi cominciava a essere una citt tembile; cerano
cinquantamila uomini capaci di portare le armi. Si inventa al
lora luso delle catene nelle strade, e si fanno servire da
sbarramento difensivo contro i sediziosi. Il delfino Carlo
costretto a richiamare il re di Navarra, che il re suo padre
aveva fatto imprigionare. Ci significava scatenare il suo ne
mico. (1357) Il re di Navarra arriva a Parigi per attizzare il
fuoco della discordia. Marcel, prevt des marchands di Parigi,
entra al Louvre seguito dai sediziosi. Fa massacrare Roberto
di Clermont, maresciallo di Francia, e il maresciallo^ di Cham
pagne, sotto gli occhi del delfino. Frattanto i contadini si as
sembrano da ogni parte, e in quella confusione si scagliano
sui gentiluomini che incontrano; li trattano come schiavi ri
belli che si trovino tra le mani padroni troppo duri e troppo
crudeli. Si vendicano con mille supplizi della loro bassezza
e delle loro miserie. Spingono il furore fino al punto di far ar
rostire un signore nel suo castello, e di costringere la moglie
e le figlie a mangiare la carne dello sposo e del padre.
Tra queste convulsioni dello Stato, Carlo di Navarra
aspira alla corona; il delfino e lui si fanno una guerra che
finisce soltanto con una pace simulata. La Francia in tal
modo sconvolta per quattro anni dopo la battaglia di Poitiers.
Perch mai Edoardo e il principe di Galles non approfitta
vano della loro vittoria e delle sventure dei vinti? Sembra che
gli Inglesi paventassero la grandezza dei loro padroni; for
nivano loro poco aiuto; e Edoardo trattava il riscatto del
suo prigioniero, mentre il Principe Nero accettava una tregua.
Sembra che da ogni parte si commettessero errori; ma
non si pu comprendere come mai tutti i nostri storici ab
biano avuto n candore dassicurare che il re Edoardo III, ve
nuto per raccogliere il frutto delle due vittorie di Crcy e
di Poitiers, avanzatosi fino a poche leghe da Parigi, fosse
colto allimprovviso da un cos santo terrore, a causa dtma
gran pioggia, che si gett in ginocchio e fece voto alla santa
CAPITOLO SETTANTASEESIMO 3 1 3
Vergine di concedere la pace (1360). Raramente la pioggia
ha deciso la volont dei vincitori e il destino degli Stati; e se
Edoardo III fece un voto alla santa Vergine, quel voto era
abbastanza vantaggioso per lui. Egli esige, per il riscatto del
re di Francia, il Poitou, la Santonge, lAgnois, il Prigord,
il Limosino, il Quercy, lAngoumois, la Rouergue e tutto ci
che egli ha preso intorno a Calais; il tutto in sovranit, senza
omaggio. Mi stupisco che non domandasse la Normandia e
lAngi, suo antico patrimonio; volle inoltre tre milioni
di scudi doro.
(1360) Con quel trattato Edoardo cedeva a Giovanni il
titolo di re di Francia e i suoi diritti sulla Normandia, la
Turenna e lAngi. vero che gli antichi domini del re
dInghilterra in Francia erano molto pi ingenti di quanto
si dava a Edoardo con quella pace; ci nondimeno quanto
veniva ceduto era un quarto della Francia. Giovanni, final
mente, dopo quattro anni, usc dalla torre di Londra, dando
in ostaggio suo fratello e due suoi figli. Una delle maggiori
difficolt era il pagamento del riscatto: bisognava dare sei-
centomila scudi doro in contanti per il primo pagamento.
La Francia si esaur e non riusc a fornire la somma: si fu
costretti a richiamare gli ebrei e a vendere loro il diritto di
vivere e di commerciare. Il re stesso fu ridotto a pagare
quanto comprava per la sua casa con una moneta di cuoio
che aveva al centro un piccolo chiodo dargento; la sua pover
t e le sue disgrazie privarono lui di ogni autorit e il re ^ o
di ogrii ordine.
I soldati licenziati e i contadini divenuti guerrieri si as-
sembrarn dappertutto, ma principalmente di l dalla Loira.
Uno dei lro capi si fece chiamare lamico di Dio e il nemico
di tutti-, un certo Jean de Gouge, borghese di Seris, si fc
riconoscere re da quei briganti e con le sue rapine fece qua
si tanto male quanto il vero re ne aveva arrecato con le sue
sventure. Infine non meno strano il fatto che il re, in
quella desolazione generale, andasse a rinnovr ad Avigno
ne, dove erano i papi, gli antichi progetti delle crociate, :
314 SAGGIO SUI COSTUMI
Un re di Cipro era andato a sollecitare questa impresa
contro i Turchi, gi dilagati in Europa. Probabilmente il re
Giovanni pensava solamente ad abbandonare la sua patria;
ma invece di andare a fare quel chimerico viaggio contro i
Turchi, non avendo di che pagare agli Inglesi il resto del suo
riscatto, egli torn a Londra a darsi in ostaggio al post di
suo fratello e dei suoi figli; vi mor, e il suo riscatto non fu
pagato. Si diceva, per colmo dumiliazione, che era tornato
in Inghilterra unicamente per vedervi una donna di cui era
innamorato allet di cinquantasei anni.
La Bretagna, che era stata la causa di quella guerra, fu ab
bandonata aUa sua sorte: il conte di Blois e il conte de Mont-
fort si contesero quella provincia. Montfort, uscito dalla pri
gione di Parigi, e Blois, uscito da quella di Londra, defini
rono k contesa in battaglia campde nei pressi di Aurai
(1364): gli Inglesi prevalsero ancora una volta; il conte di
Blois fu ucciso.
Quei tempi di rozzezza, di sedizioni, di rapine e di assas
sini furono nondimeno i tempi pi splendidi della cavalle
ria: serviva da contrappeso alla generale ferocia dei costu
mi; ne tratteremo separatamente: lonore, la generosit, uni
ti alla galanteria, ne erano i principi. Il pi celebre fatto dar
me della cavalleria il combattimento di trenta Brettoni con
tro venti Inglesi, sei Brettoni e quattro Tedeschi, allorch
la contessa di Blois, in nome del marito, e la vedova di
Montfort, in nome del. figlio, si facevano la guerra in Bre
tagna (1351). Il plinto donore fu la cusa di quel combatti
mento, poich fu risolto in una conferenza tenuta per la
pace. Invece di trattare, ci si sfid; e Beaumanoir* dice che
bisognava combattere per sapere chi aveva lamica pi bella.
Si combatt in campo chiuso: dei sessanta combattenti solo
cinque cavalieri furono uccisi, uno solo dalla parte dei Bret
toni e quattro dalla parte degli Inglesi. Tutti questi fatti
darme non servivano a niente e soprattutto non rimediavano
allindisciplina degli eserciti, a unamministrazione quasi tut-
* Jean de Beaumanoir, castellano di Josselin, comandava i trenta cava
lieri francesi partigiani di Carlo di Blois.
CAPITOLO SETTANTASEESIMO 3 1 5
ta selvaggia. Se i Paolo Emilio e gli Scipione avessero com
battuto in campo chiuso per sapere chi aveva lamica pi
bella, i Romani non sarebbero stati i vincitori e i legislatori
delle nazioni.
Edoardo, dopo le sue vittorie e le sue conquiste, si de
dic ormai soltanto a tornei. Innamorato duna donna inde
gna della sua tenerezza, le sacrific interessi e gloria e perse
alla fine tutto il frutto dei suoi travagli in Francia. Ormai si
occupava solo di giuochi, di tornei e delle cerimonie del suo
ordine della Giarrettiera; la grande Tavola Rotonda, instau
rata da lui a Windsor, alla quale si recavano tutti i cava
lieri dEuropa, fu il modello sul quale i romanzieri immagi
narono tutte le storie dei cavalieri della Tavola Rotonda,
di cui attribuirono al re Art la favolosa istituzione. In-
somma Edoardo II I sopravvisse alla sua fortuna e alla sua
gloria, e mori (1377) tra le braccia di Alix Perse, sua aman
te, che gli chiuse gli occhi rubandogli le gioie e strappando
gli lanello che portava al dito. Non si sa chi, tra il vinto e il
vincitore, mori pi miseramente.
Frattanto, dopo la morte di Giovarmi di Francia, suo
figlio Carlo V, giustamente detto il Saggio, poneva riparo alle
rovine del suo paese con la pazienza e le trattative; vedremo
come scacci gli Inglesi da quasi tutta la Francia. Ma men
tre si preparava a quella grande impresa, il Principe Nero,
verso lanno 1366, aggiungeva una nuova gloria a quelle di
Crcy e di Poitiers. Gli Inglesi non compirono mai azioni
pi memorabili e pi inutUi.
3 1 6 SAGGIO SUI COSTUMI
DEL PRINCIPE NERO, DEL RE DI CASTIGLIA DON
PEDRO IL CRUDELE E DEL CONESTABILE DU
GUESCLIN
L a Castiglia era desolata quasi quanto la Francia. Vi re
gnava Pietro o don Pedro, che viene chiamato il Crudele.
Egli ci viene raffigurato come una tigre assetata di sangue
umano, che provava gioia a farlo scorrere: un tale carattere
ben di rado insito nella natura; gli uomini sanguinari lo' so
no soltanto nel furore della vendetta o nei rigori di quella
politica atroce che fa credere necessaria la crudelt; ma nes
suno fa scorrere sangue per proprio piacere.
Sali sul trono di Castiglia ancora minorenne e in circo
stanze penose. Suo padre Alfonso XI aveva avuto sette ba
stardi dallamante Eleonora de Guzman. Questi sette bastar
di, potentemente insediati, sfidavano lautorit di don Pedro;
e la loro madre, ancora pi potente di loro, insultava alla ma
dre del re. La Castiglia era divisa tra il partito deUa regina
madre e quello di Eleonora. Non appena ebbe raggiunto let
di ventun anno, il re dovette sostenere una guerra civile con
tro la fazione dei bastardi. Combatt, fu vincitore, e conces
se la morte di Eleonora alla vendetta di sua madre. Fin qui
lo si pu chiamare coraggioso e troppo severo. (1351) Spo
sa Bianca di Borbone, e la prima notizia chegli viene a sa
pere suUa moglie, quando ella giunta a VaUadolid, quella
che innamorata del gran maestro di San Giacomo, uno di
quegli stessi bastardi che gli avevano fatto la guerra. So che
intrighi simili sono di rado comprovati, che un re savio deve
ignorarli piuttosto che vendicarsene; ma insomma, il re fu
scusabile, poich v ancora una famiglia in Spagna che si
CAPITOLO LXXVII
vanta di essere uscita da quel commercio; quella degli Hen-
riques.
Bianca di Borbone ebbe per lo meno limprudenza di es
sere troppo imita alla fazione dei bastardi nemici di suo
marito. Occorre forse meravigliarsi dopo di ci che il re
la lasciasse in un castello e si consolasse con altri amori?
Don Pedro dovette combattere insieme e gli Aragonesi e
i suoi fratelli ribelli: fu ancora vincitore, e rese inumana la
sua vittoria. Non perdon: i suoi prossimi, che avevano- pre
so partito contro di lui, furono immolati al suo risentimento;
infine quel gran maestro di San Giacomo fu ucciso per or
dine suo. Questo gli valse il titolo di Crudele, mentre Gio
vanni, re di Francia, che aveva assassinato il suo conestabile
e quattro signori di Normandia, era detto Giovanni il Buono.
In mezzo a queste agitazioni, la moglie di don Pedro
mor. Era stata colpevole, bisognava pure che si dicesse che
mor avvelenata; ma ancora una volta, non si deve formu
lare questaccusa di veneficio senza prove.
Era certo interesse dei nemici di don Pedro spargere per
lEuropa la voce chegli aveva avvelenato la moglie. Enrico di
Transtamare, uno dei sette bastardi, che aveva daltronde il
fratello e la madre da vendicare, e soprattutto i propri inte
ressi da tutelare, approfitt della situazione. La Francia era
infestata da briganti raggruppati, detti Malandrini; essi fa
cevano tutto il male che Edoardo non aveva potuto fare. En
rico di Transtamare negozi con il re di Francia Carlo V per
liberare la Francia da quei briganti e averli al proprio ser
vizio: lAragonese, sempre nemico del Castigliano, promise di
dare libero passo. Bertrand du Guesclin, cavaUere di grande
reputazione, che cercava soltanto di segnalarsi e di arricchir
si con le armi, spinse i Malandrini a riconoscerlo come capo
e a seguirlo in Castiglia. Si considerato questimpresa di
Bertrand du Guesclin come unazione santa che egli faceva,
cos asseriva, per il bene della sua anima: questazione santa
consisteva nel guidare dei briganti al soccorso di un 'ribelle
contro un re crudele, ma legittimo.
Si sa che, passando nei pressi dAvignone, privo di de
3 1 8 SAGGIO SUI COSTUMI
naro per pagare le proprie truppe, du GuescKn taglieggi il
papa e la sua corte. Questa estorsione era necessaria; ma non
oso pronunciare il nome che le si darebbe se non fosse stata
fatta alla testa di truppe che potevano passare per un eser
cito.
(1366) Il bastardo Enrico, secondato da queste truppe in
grossatesi durante la loro marcia e appoggiato dallAragona,
cominci col farsi proclamare re in Burgos. Assalito cos dai
Francesi, don Pedro ricorse al Principe Nero, loro vincitore
Questo principe era sovrano della Guienna; il re suo padre
glielaveva ceduta in premio delle sue azioni eroiche. Doveva
vedere con occhio geloso il successo delle armi francesi in
Spagna e prendere per interesse e per onore il partito' pi
giusto. Marci in Spagna con i suoi Guasconi e qualche In
glese. Ben presto, sidle rive deUEbro e nei pressi del vil
laggio di Navarette, don Pedro e il Principe Nero da una
parte, dallaltra Enrico di Transtamare e du Guesclin, diedero
la sanguinosa battaglia che viene chiamata di Navarette. Essa
fu pi gloriosa per il Principe Nero che quelle di Crcy e di
Poitiers perch fu pi contesa. La sua vittoria fu comple
ta: egli prese Bertrand du Guesclin e il maresciallo dAn-
drehen, che non si arresero se non a lui. Enrico di Transta
mare fu costretto a fuggire in Aragona, e il Principe Nero
reinsedi don Pedro sul trono. Questo re tratt parecchi ri
belli con una crudelt che le leggi di tutti gli Stati autoriz
zano in nome della giustizia. Don Pedro usava in tutta la
sua estensione dellinfausto diritto di vendicarsi (1368). Il
Principe Nero, che aveva avuto la gloria di reinsediarlo, ebbe
anche quella di fermare il corso delle sue crudelt. Egli ,
dopo Alfredo, leroe che fra tutti lInghilterra venera di pi.
Quando colui che sosteneva don Pedro si fu ritirato e al
lorch Bertrand du Guesclin si fu liberato col riscatto, allora
il bastardo Transtamare ridest il partito degli scontenti, e
Bertrand du Guesclin, del quale il re Carlo V si serviva
segretamente, assold nuove truppe.
Transtamare aveva per s lAragona, i rivoltosi di Ca-
stiglia e gli aiuti della Francia. Don Pedro aveva la parte
CAPITOLO SETTANTASETTESIMO 3 1 9
migliore dei Castigliani, il Portogallo e infine i musulmani
di Spagna: questo nuovo aiuto lo rese pi inviso e lo difese
male. Non dovendo pi combattere il genio e il prestigio del
Principe Nero, Transtamare e du Guesclin finirono col vin
cere don Pedro nei pressi di Toledo (1368). Ritiratosi e as
sediato in un castello dopO' la disfatta, questi viene preso,
mentre voleva fuggire, da un gentiluomo francese che ve
niva chiamato Le Bgue de Vilaines. Condotto nella tenda
di questo cavaliere, vi scorge per prima cosa il conte di
Transtamare. Si dice che, trascinato dal furore, si gettasse,
bench disarmato, contro il fratello. Vero che quel fratello
gli strapp la vita con una pugnalata.
Cos per don Pedro in et di trentaquattro anni, e con
lui si estinse la casata di Castiglia. Il suo nemico, suo- fratel
lo e suo uccisore, giunse alla corona senza altro* diritto se non
quello dellassassinio: da lui sono discesi i re di Castiglia
che hanno regnato in Spagna sino a Giovanna, la quale fece
passare questo scettro nella casa dAustria per il suo matri
monio con Filippo il Bello, padre di Carlo Quinto.
3 2 0 SAGGIO SUI COSTUMI
DELLA FRANCIA E DELLINGHILTERRA AL TEMPO DEL
RE CARLO V. COME QUESTO PRINCIPE ABILE SPOGLI
GLI INGLESI DELLE LORO CONQUISTE. SUO GOVERNO.
IL RE DINGHILTERRA RICCARDO II, FIGLIO DEL
PRINCIPE NERO, DETRONIZZATO
L abilit di Carlo V salvava la Francia dal naufragio. La
necessit dindebolire i vincitori, Edoardo II I e il Principe
Nero, gli fece le veci della giustizia. Approfitt della vec
chiaia del padre e della malattia del figlio colpito da idropi
sia. Seppe dapprima seminare la discordia tra quel principe
sovrano della Guienna e i suoi vassalli, eludere i trattati,
rifiutare il pagamento del resto del riscatto di suo padre, con
pretesti plausibili; cattivarsi il nuovo re di Castiglia e anche
quel re di Navarra, Carlo, soprannominato il Malvagio, che
aveva tante terre in Francia; istigare il nuovo re di Scoda,
Roberto Stuart, contro gli Inglesi; rimettere ordine nelle fi
nanze, far contribuire i popoli senza che mormorassero,
e insomma riuscire, senza muoversi dal suo gabinetto, ad
avere tanto successo quanto il re Edoardo, che aveva pas
sato il mare e vinto delle battaglie.
Quando vide ben pronte tutte le macchinazioni che la
sua politica era andata predisponendo, comp una di quelle
mosse ardimentose che potrebbero passare per temerariet in
politica se non le giustificassero le misure ben prese e lav
venimento. (1369) Manda un cavaliere e un giudice di To
losa a intimare al Principe Nero di comparire davanti a
lui neUa corte dei pari per rendere conto della sua condot
ta. Questo significava agire come giudice supremo con il
vincitore di suo padre e del suo avo, che possedeva la Guien
na e i luoghi circonvicini in sovranit assoluta per diritto di
conquista e in virt dun trattato solenne. Non soltanto lo
21/cn
CAPITOLO LXXVm
si cita come un suddito, (1370) ma si fa emettere dal par
lamento di Parigi una sentenza in virt della quale viene con
fiscata la Guienna e tutto quanto appartiene in Francia alla
casa dIngMterra. Lusanza voleva che si dichiarasse la guer
ra per mezzo di un araldo, e si invia a Londra un valletto a
compiere questa cerimonia. Edoardo non era dunque pi da
temere.
Il valore e l abilit di Bertrand du Guesclin, divenuto
conestabile di Francia, e soprattutto il buon ordine die
Carlo V aveva messo in ogni cosa, nobilitarono lirregola
rit di quei modi dagire e fecero vedere che negli affari
pubblici dove il profitto ivi la gloria, come diceva Lui-
gi XI.
Il Principe Nero moribondo non poteva pi partecipare
alla campagna. Suo padre pot inviargli solo deboli aiuti. Gli
Inglesi, prima vittoriosi in tutti i combattimenti, furono bat
tuti dappertutto. Senza riportare grandi vittorie come quel
le di Crcy e di Poiters, Bertrand du Guesclin fece una cam
pagna in tutto simile a quella che, negli ultimi tempi, ha
dato al visconte di Turenna la rqputazione dessere il pi
grande generale dEuropa. (1370) Piomb nel Maine e nel-
lAngi sugli accampamenti delle truppe inglesi, le sbaragli
luna dopo l altra, e cattur di sua mano il loro generale
Grandson. Ridusse il Poitou e la Saintonge allobbedienza
della Francia. Le citt si arrendevano, le une per effetto
della forza, le altre per quello dellintrigo. Anche le stagioni
combattevano per Carlo V. Una flotta formidabile, armata
in Inghilterra, fu sempre risospinta indietro dai venti contra
ri. Tregue abilmente predisposte prepararono ancora nuovi
successi.
(1378) Carlo, che ventanni prima non aveva avuto di
che mantenere una guardia per la sua persona, ebbe a un
tempo cinque eserciti e una flotta. I suoi vascelli portarono
la guerra fino in Inghilterra, della quale si saccheggiarono le
coste, laddove dopo la morte di Edoardo II I lInghilterra
non prendeva alcun provvedimento per vendicarsi. Restava
3 2 2 SAGGIO SUI COSTUMI
no agli Inglesi solo la citt di Bordeatix, quella di Calais e
qualche fortezza.
(1380) Proprio allora la Francia perse Bertrand du Gue-
sclin. Si sa quali onori il suo re tribut alla sua memoria.
Egli fu, credo, il primo per il quale si fece unorazione fune
bre e il primo che venne seppellito nella chiesa destinata alle
tombe dei re di Francia. La sua salma fu portata con le stes
se cerimonie destinate a quelle dei sovrani. Quattro principi
del sangue la seguivano. Secondo il costume del tempo i suoi
cavalli furono presentati in chiesa al vescovo che officiava e
che li benedisse imponendo loro le mani. Questi particolari
sono poco importanti, ma fanno conoscere lo spirito della
cavalleria. Lattenzione che si attiravano i grandi cavalieri
celebri per i loro fatti darme si estendeva ai cavalli che ave
vano combattuto sotto di loro. Carlo segu ben presto du
Guesclin (1380). Si asserisce che anchegli sia morto di un ve
leno lento, che gli era stato propinato pi di dieci anni prima
e che lo consum allet di quarantaquattro anni; come se ci
fossero nella natura alimenti che possano dare la morte in
capo a un certo tempo. ben vero che un veleno che non
ha potuto dare una morte rapida lascia un languore nel cor
po come ogni malattia violenta; ma non vero che faccia
quegli eflEetti lenti che il volgo crede inevitabili. Il vero ve
leno che uccise Carlo V era una cattiva costituzione.
Nessuno ignora che la maggiorit dei re di Francia fu
fissata da lui allet di quattordici anni iniziati, e che questa
ordinanza saggia, ma ancora troppo inutile perch potesse
evitare le agitazioni, fu registrata ia un & de justice* (1374).
Egli aveva voluto sradicare lantico abuso delle guerre par
ticolari dei signori, abuso che era reputato una legge dello
Stato. Esse furono proibite sotto il suo regno, quando fu
padrone. Proib persino di portare armi; ma era una di quel
le leggi la cui esecuzione era allora impossibile.
* I parlamenti di Francia si arrogavano U diritto di vagliare gli editti
regi e registrarli, conferendo loro cos forza di leggi, solo quando li
giudicassero conformi ai costumi del regno. Il te, da parte sua, imponeva la
registrazione dautorit di editti non accettati dal parlamento di Parigi con
la cerimonia detta del Ut de justice.
CAPITOLO SETTANTOTTESIMO 3 2 3
Si fanno ammontare i tesori che ammass fino alla som
ma di diciassette milioni di lire del suo tempo. La lira, mo
neta dargento, equivaleva allora a circa otto lire odierne e
4/5; e la lira, moneta doro, a dodici lire e V2 *. Certo
che aveva accumulato, e che tutto il frutto della sua econo
mia fu rapito e dissipato da suo fratello il duca dAngi,
nella sua sventurata spedizione di Napoli della quale ho
parlato.
Dopo la morte di Edoardo II I, vincitore della Francia,
e dopo quella di Carlo V, suo restauratore, si vide bene che
la superiorit di una nazione dipende solo da coloro che la
guidano.
Il figlio del Principe Nero, Riccardo II, successe al non
no Edoardo III allet di undici anni; e qualche tempo dopo
Carlo VI fu re di Francia allet di dodici. Queste due mi
norit non furono felici, ma lInghilterra fu dapprima mag
giormente da compiangere.
Si visto quale spirito di vertigine e di furore aveva colto
in Francia gli abitanti della campagna al tempo di re Gio
vanni, e come vendicarono il loro avvilimento e la loro mi
seria su tutti i gentiluomini che incontrarono, che in effet
to erano i loro oppressori. La stessa furia colse gli Inglesi
(1381). Fu vista rinnovarsi la guerra che Roma ebbe in altri
tempi contro gli schiavi. Un copritetti e un prete fecero
allInghilterra un male non inferiore a quello che possono
fare le contese dei re e dei parlamenti. Radunano il popolo
di tre province e lo persuadono facilmente che i ricchi aveva
no goduto abbastanza a lungo della terra, e che tempo che
i poveri si vendichino. Lo conducono difilato a Londra, sac
cheggiano una parte della citt e fanno mozzare la testa allar
civescovo di Canterbury e al gran tesoriere del regno.
vero che questo furore fini con la morte dei capi e con la di
spersione dei ribelli; ma cos fatte tempeste, abbastanza co-
muni in Europa, fanno vedere sotto quale infelice governo
si viveva allora. Si era ancora lontani dal vero scopo della
* Si veda qui sopra [pagg. 124-125]. In genere per lira in numerario
intendiamo sempre la lira in numerario in moneta d'argento (N.d.A.).
3 2 4 SAGGIO SUI COSTUMI
politica, che consiste nellasservire al bene comune tutti gli
ordini dello Stato.
Si pu dire che allora gli Inglesi non sapevano fin dove
dovevano estendersi le prerogative dei re e l autorit dei
parlamenti. Allet di diciotto anni, Riccardo II volle es
sere despota, e gli Inglesi troppo liberi. Presto vi fu una
guerra civile. Quasi sempre negli altri Stati le guerre civili
sono fatali ai congiurati; ma in Inghilterra esse lo sono ai
re. Dopo aver conteso dieci anni la sua autorit ai suoi sud
diti, Riccardo fu alla fine abbandonato dal suo proprio par
tito. Suo cugino il duca di Lancaster, nipote di Edoardo III,
da lungo tempo esiliato dal regno, vi ritorn soltanto con
tre vascelli. Non aveva bisogno di maggior aiuto; la nazione
si dichiar per lui. Riccardo II chiese soltanto che gli si la
sciasse la vita e una pensione per mantenersi.
(1399) Un parlamento gli fa il processo, come laveva
fatto a Edoardo II. Le accuse rivolte in giustizia contro di
lui sono state conservate: uno dei carichi il fatto che ha
preso a prestito denaro senza pagare, che ha assoldato spie,
e che aveva detto dessere padrone dei beni dei suoi sud
diti. Venne condannato come nemico della libert naturale
e reo di tradimento. Rinchiuso nella Torre, Riccardo con
segn al duca di Lancaster le insegne della regalit, con uno
scritto firmato di sua mano nel quale si riconosceva indegno
di regnare. Lo era infatti, poich si abbassava a dirlo.
Cos lo stesso secolo vide deporre solennemente due re
dInghilterra, Edoardo I I e Riccardo II, limperatore Ven-
ceslao e il papa Giovanni XXIII, tutti e quattro giudicati e
condannati con le formalit giuridiche.
Rinchiuso l suo re, il parlamento dInghUterra decret
che se qualcuno avesse tentato di liberarlo, Riccardo II sa
rebbe stato allora degno di morte. Al primo movimento che
venne fatto in suo favore, otto scellerati andarono ad assas
sinare il re nella sua prigione (1400): egli difese la sua
vita meglio di quanto avesse difeso H suo trono: strapp
lascia astata a uno degli assassini; ne uccise quattro prima
di soccombere. Il duca di Lancaster regn frattanto sotto
CAPITOLO SETTANTOTTESIMO 3 2 5
il nome di Enrico IV. LInghilterra non u n tranquilla n
in condizione di intraprendere alcunch contro i suoi vicini;
ma suo figlio Enrico V contribu alla pi grande rivoluzione
che fosse accaduta in Francia dal tempo di Carlomagno.
3 2 6 SAGGIO SUI COSTUMI
DEL RE DI FRANCIA CARLO VI. DELLA SUA MALATTIA.
DELLA NUOVA INVASIONE DELLA FRANCIA A OPERA
DI ENRICO V, RE DINGHILTERRA
U n a parte delle cure che il re Carlo V aveva preso per
riassestare la Francia fu precisamente ci che precipit il suo
sovvertimento. I suoi tesori ammassati furono dissipati, e
le imposte che aveva messe fecero ribellare la nazione. Si
osserva che questo principe spendeva per lintera sua casa
millecinquecento marchi doro allanno, circa 1.200.000 deUe
nostre lire. I suoi fratelli, reggenti del regno, spendevano
settemila marchi, ossia 5.600.000 lire, per Carlo VI, in et
di tredici anni, il quale, nonostante questa dissipazione, man
cava del necessario. Non bisogna disprezzare simili parti
colari, che sono la fonte occulta della rovina degli Stati
cos come delle famiglie.
Luigi dAngi, quello stesso che fu adottato da Giovan
na I, regina di Napoli, uno degli zii di Carlo VI, non con
tento daver rapito il tesoro del pupillo, caricava il popolo
di esazioni. Parigi, Rouen, la maggior parte delle citt si sol
levarono; gli stessi furori che hanno poi funestato Parigi al
tempo della Fronda durante la giovinezza di Luigi XIV com
parvero sotto Carlo VI. Le punizioni pubbliche e segrete fu
rono tanto crudeli quanto tempestosa era stata la ribellione.
Il grande scisma dei papi, di cui ho parlato*, accresceva an
cora il disordine. I papi dAvignone riconosciuti in Francia,
ne completavano il saccheggio con tutti gli artifici che pu
escogitare lavarizia travestita da religione. Si sperava che il
* Nei capitoU LXXI-LXXIV.
CAPITOLO LXXIX
re maggiorenne avrebbe posto riparo a tanti mali con un
governo pi felice.
(1384) Egli aveva vendicato personalmente il conte di
Fiandra, suo vassallo, dei Fiamminghi ribelli sempre aiutati
dallInghilterra. Approfitt delle agitazioni in cui era immer
sa questisola sotto Riccardo II. Si armarono persino pi
di milleduecento vascelli per compiere un attacco improv
viso. Questo numero non deve sembrare incredibile; san
Luigi ne ebbe di pi: vero che si trattava soltanto di navi
da trasporto; ma la facilit con cui si aUesti questa flotta mo
stra che allora cera pi legname da costruzione che non
oggi, e che non si era privi di industria. La gelosia che
divideva gli zii del re imped che la flotta venisse impiegata.
Serv solo a far vedere quali risorse avrebbe avuto la Fran
cia sotto un buon governo, poich, nonostante i tesori che
il duca dAngi aveva portato via per la sua infelice spedi
zione di Napoli, si potevano fare cos grandi imprese.
Finalmente si respirava, allorch il re, mentre andava in
Bretagna a fare la guerra al duca, sul conto del quale aveva
motivi di scontento, fu colto da una frenesia orribile. Que
sta malattia cominciava con degli assopimenti, seguiti da
alienazione mentale, e infine da accessi di furore. Nel suo
primo accesso egli uccise quattro uomini, continu a col
pire tutto quanto gli si trovava intorno, fino a che, spossato
da quei movimenti convulsivi, cadde in im profondo letargo.
Non mi meraviglio che la Francia intera lo credesse av
velenato e stregato. Siamo stati testimoni nel nostro secolo,
per quanto illuminato esso sia, di pregiudizi popolari altret
tanto ingiusti*. Suo fratello, il duca dOrlans, aveva spo
sato Valentina di Milano. Si accusa Valentina di quellacci
dente: il che prova soltanto che i Francesi, allora molto roz
zi, pensavano che gli Italiani ne sapessero pi di loro.
Il sospetto raddoppi qualche tempo dopo a causa di
unavventura degna della rusticit di quei tempi. Fu fatta
* Riferimento ai sospetti di veneficio, non condivisi da Voltaire, che gra
vavano sili duca dOrlans (Nota di Louis Moland ripresa dal P o m e a u ) .
3 2 8 SAGGIO SUI COSTUMI
a corte una mascherata nella quale il re, travestito da satiro,:
trascinava altri quattro satiri incatenati. Erano vestiti di
una tela spalmata di trementina, alla quale era stata attaccata
della stoppa. Il duca dOrlans ebbe la disgrazia davvicina
re im candeliere a uno di questi abiti, che in un momento
furono in fiamme. I quattro signori furono arsi, e si pot:
appena salvare la vita al re per la prontezza di spirito di sua
zia, la duchessa di Berry, che lawilupp nel suo mantel
lo. Questo accidente affrett una delle sue ricadute (1393).
Forse lo si sarebbe potuto guarire con salassi, con bagni e
con una dieta; ma si fece venire un mago da Montpellier.
Venne il mago. Il re aveva qualche periodo di distensione
che non si manc di attribuire al potere della magia. Le fre
quenti ricadute intensificarono ben presto il male, che di
venne incurabile. Per colmo di disgrazia, il re riacquistava
talvolta la ragione. Se fosse stato malato senza speranza,
si sarebbe potuto provvedere al governo del regno. La poca
ragione che rest al re fu pi fatale dei suoi accessi. Non si
riunirono gli stati, non si legifer nuUa; il re restava re, e
affidava la sua autorit disprezzata e la sua tutela ora a suo
fratello, ora ai suoi zii, il duca di Borgogna e il duca di
Berry. Per lo Stato era un soprappi di sventura il fatto
che questi principi avessero potenti appannaggi. P ^ i di
venne necessariamente il teatro di una guerra civile, ora
sorda, ora dichiarata. Tutto era fazione; tutto, persino luni
versit, simpicciava di governo.
(1407) Nessuno ignora che Giovanni, duca di Borgogna,
fece assassinare suo cugino duca dOrlans, fratello del re,
nella rue Barbette. Il re non era n abbastanza padrone del
la propria mente n abbastanza potente da punire il colpe
vole come meritava. Il duca di Borgogna si degn nondi
meno di prendere delle lettres dabolition*. Poi and alla
corte a menar vanto del suo delitto. (1408) Riun tutti i prin
cipi e i grandi che cerano e, in loro presenza, il dottore
Jean Petit non solo giustific la morte del duca dOrlans, ma
* Documenti con i quali il re rimetteva allautore di un delitto non
remissibile la pena di cui era passibile.
CAPITOLO SETTANTANOVESIMO 3 2 9
Stabili la dottrina dellomicidio, che egli fond sullesempio
di tutti gli assassini di cui si parla nei libri storici della
Scrittura. Osava fare un dogma di quanto scritto in quei
libri se non come avvenimento, invece che insegnare agli
uomini, come si sarebbe sempre dovuto fare, che un assas
sinio riferito nella Scrittura non meno detestabile che se
si trovasse nelle storie dei selvaggi o in quella del tempo di
cui parlo. Questa dottrina fu condannata, come si visto,
al concilio di Costanza, e nondimeno stata rinnovata dipoi.
Proprio intorno a questo tempo il maresciallo di Bouci-
caut lasci perdere Genova che si era messa sotto la prote
zione della Francia. I Francesi vi furono massacrati come in
Sicilia (1410). Il fior fiore della nobilt, che era corso a
illustrarsi in Ungheria contro Bajazt, l imperatore dei Tur
chi, era stato ucciso nellinfelice battaglia che i cristiani per
dettero. Ma queste sventure foranee erano poca cosa a para
gone di quelle dello Stato.
La moglie del re, Isabella di Baviera, aveva un partito
in Parigi; il duca di Borgogna aveva U. suo; quello dei figli
del duca dOrlans era potente: il solo re non ne aveva. Ma
ci che mostra quanto considerevole fosse Parigi, e quanto
essa fosse il primo mobile del regno, il fatto che il
duca di Borgogna, che univa la Fiandra e lArtois allo Stato
di cui portava il nome, poneva ogni sua ambizione nellesse
re padrone di Parigi. La sua fazione si chiamava quella dei
Borgognoni-, quella dOrlans era detta degli Armagnac, dal
nome del conte dArmagnac, suocero del duca dOrlans,
figlio di colui che era stato assassinato a Parigi. Quella delle
due che dominava faceva di volta in volta condurre al pa
tibolo, assassinare, bruciare gli appartenenti alla fazione
contraria. Nessuno poteva essere sicuro di un giorno di vita.
Ci si batteva nelle strade, nelle chiese, nelle case, in cam
pagna.
Era questa per lInghilterra unoccasione favorevolissima
per recuperare i suoi patrimoni di Francia e quanto i trat
tati le avevano dato. Enrico V, principe pieno di prudenza
e di coraggio, intavola negoziati e si arma al tempo stesso.
3 3 0 SAGGIO SUI COSTUMI
Scende in Normandia con un esercito di quasi cinquantamila
uomini. Prende Harfleur e avanza in un paese funestato
dalle fazioni; ma una dissenteria contagiosa fa perire i tre
quarti del suo esercito. Questa grande invasione fa tuttavia
coalizzare tutti i partiti contro gli Inglesi. Il Borgognone
stesso, bench trattasse gi segretamente con il re dInghil
terra, manda cinquecento armati e qualche balestriere in aiuto
della propria patria. Tutta la nobilt monta a cavallo; i co
muni marciano sotto le loro bandiere. Il conestabUe dAl-
bret si trov ben presto alla testa di pi di sessantamila com
battenti. (1415). Ci che era successo a Edoardo II I succe
deva a Enrico V; ma la principale somiglianza si ebbe nella
battaglia di Azincourt, che fu tale e quale quella di Crcy.
Gli Inglesi la vinsero tosto che fu iniziata. I grandi archi,
alti quanto xm uomo, di cui si servivano con forza e destrez
za, diedero subito loro la vittoria. Non avevano n cannoni
n fucili; altra ragione per credere che non ne avessero avu
ti alla battaglia di Crcy. Pu darsi che questi archi siano
unarma pi formidabile: ne ho visti alcuni che avevano una
portata maggiore di quella dei fucili; ci si pu servire dessi
pi rapidamente e pi a lungo; eppure non ne viene pi
fatto alcun uso. Si pu osservare ancora che la cavalleria
pesante di Francia combatt a piedi ad Anzicourt, a Crcy
e a Poitiers; prima era stata invincibile a cavallo. Accadde
in questa giornata una cosa che orribile persino in guerra.
Mentre ancora ci si batteva, alcune milizie di Piccardia an
darono a saccheggiare da tergo il campo degli Inglesi. En
rico ordin che venissero uccisi tutti i prigionieri che erano
stati catturati. Furono passati a fil di spada; e dopo questa
carneficina ne furono presi ancora quattordicimila, ai quali
fu lasciata la vita. Sette principi di Francia perirono in quel
la giornata con il conestabile. Cinque principi furono cat
turati; pi di diecimila Francesi restarono sul campo di
battaglia.
Sembrerebbe che dopo una vittoria cos completa non
restasse oramai che da marciare su Parigi e da sommergere
un regno diviso, esausto, che altro non era se non unim
CAPITOLO SETTANTANOVESIMO 3 3 1
mensa rovina. Ma quelle stesse rovine erano un po fortifi
cate. Insomma, indubitabile che questa battaglia dAzin-
court, che mise la Francia in lutto e che agli Inglesi non
cost neppure tre uomini eminenti, procur solo gloria ai
vincitori. Enrico V fu costretto a ripassare in Inghilterra per
ammassare denaro e nuove truppe.
(1415) La momentanea follia, che turbava i Francesi al
meno quanto il re, fece ci che la sconfitta di Azincourt non
aveva potuto fare. Due delfini erano morti; il terzo, che fu
dipoi il re Carlo VII, allora in et di sedici anni, cercava gi
di raccogliere i relitti di quel grande naufragio. La regina,
sua madre, aveva strappato al marito lettere patenti che le
lasciavano le redini del regno. Ella aveva a un tempo la
passione di arricchirsi, di governare e di avere amanti. Quan
to aveva preso aUo Stato e al marito era depositato in di
versi luoghi, e soprattutto nelle Chiese. Il delfino e gli
Armagnac, che scovarono quei tesori, se ne servirono nel
lurgente bisogno in cui ci si trovava, A questaffronto chella
sub dal figlio, il re, allora governato dal partito del del
fino, ne aggiunse uno pi crudele. Una sera, tornando negli
appartamenti della regina, trova il signore di Boisbourdon
che ne usciva; lo fa prendere sullistante. Lo si sottopone alla
questione e, cucito in un sacco, lo si getta nella Senna.
Incontanente la regina viene mandata prigioniera a Blois, di
l a Tours, senza che possa vedere il marito. Fu questo ac
cidente, e non la battaglia di Azincourt, a porre la corona di
Francia sulla testa del re dInghilterra. La regina implora
laiuto del duca di Borgogna. Questo principe coglie loc
casione di stabilire la propria autorit su nuovi disastri.
(1418) Rapisce la regina a Tours, devasta tutto sul suo
passaggio, e conclude infine una lega col re dInghUterra.
Senza questa lega non ci sarebbe stata rivoluzione. Enrico V
riunisce alla fine venticinquemila uomini e sbarca una se
conda volta in Normandia. Avanza nella direzione di Parigi,
mentre il duca Giovanni di Borgogna alle porte di questa
citt nella quale un re insensato in preda a tutte le sedi
zioni. La fazione del duca di Borgogna vi massacra in un
3 3 2 SAGGIO SUI COSTUMI
giorno il conestabile dArmagnac, gli arcivescovi di Reims
e di Tours, cinque vescovi, l abate di Saint-Denis e quaranta
magistrati. La regina e il duca di Borgogna fanno un ingresso
trionfale a Parigi in mezzo alla carneficina. Il delfino fugge
di l dalla Loira, e Enrico V gi padrone di tutta la Nor
mandia (1418). La fazione che parteggiava per il re, la
regina, il duca di Borgogna, il delfino, tutti negoziano con
ringbilterra allo stesso tempo; e il basso inganno uguale
da ogni parte.
(1419) Il giovane delfino, governato allora da Tanneguy
du Chtel, predispone infine quel funesto incontro col duca
di Borgogna sul ponte di Montereau. Ciascuno di essi arriva
con died cavalieri. Tanneguy du Chtel vi assassina il duca
di Borgogna sotto gli occhi del delfino. Cos luccisione del
duca di Orlans finalmente vendicata da unaltra ucci
sione, tanto pi odiosa in quanto lassassinio era congiunto
alla violazione della fede pubblica.
Si sarebbe quasi tentati di dire che questo assassinio non
fu premeditato*, tanto male erano state prese le misure per
pararne le conseguenze. Filippo il Buono, nuovo duca di
Borgogna, successore di suo padre, divenne necessariamente
nemico del delfino per dovere e per politica. La regina sua
madre, oltraggiata, divenne una matrigna implacabile; e il
re inglese, approfittando di tanti orrori, diceva che Dio lo
conduceva per mano a piinire i Francesi. (1420) Isabella
di Baviera e il nuovo duca Filippo conclusero a Troyes una
pace pi funesta che tutte le guerre precedenti, in forza
della quale si diede Caterina, figlia di Carlo VI, in sposa
al re dInghilterra, con la Francia in dote.
Fu stipulato sin da allora che Enrico V sarebbe stato ri
conosciuto re, ma che avrebbe preso solo il nome di reg
gente per il resto dellinfelice vita del re di Francia, dive
nuto interamente imbedlle. Da ultimo il contratto stabiliva
che si sarebbe perseguito senza tregua colui che si diceva
delfino di Francia. Isabella di Baviera condusse il suo infe
lice marito e sua figlia a Troyes, dove fu celebrato il matri
monio. Divenuto re di Francia, Enrico entr pacificamente
CAPITOLO SETTANTANOVESIMO 3 3 3
in Parigi, e vi regn senza contrasti, mentre Carlo VI era
rinchiuso con i suoi domestici nel palazzo di Saint-Paul,
e la regina Isabella di Baviera cominciava gi a pentirsi.
(1420) Filippo, duca di Borgogna, fece solennemente
chiedere giustizia delluccisione del padre ai due re a palaz
zo Saint-Paul, in unassemblea di tutti i grandi die rimane
vano. Il procuratore generale di Borgogna, Nicolas Raulin, e
un dottore delluniversit di nome Jean Larcher accusano il
delfino. Il primo presidente del parlamento di Parigi e alcuni
deputati di quel corpo assistevano a quellassembea. Lavvo
cato generale Marigny pronunzia una requisitoria contro
lerede e il difensore della corona, come se parlasse contro
un assassino comune. Il parlamento fa citare il delfino a
quella che si chiama la favola di marmo. Questa era una
grande tavola che dai tempi di san Luigi serviva a ricevere i
censi in natura dei vassalli della Torre del Louvre, e che ri
mase poi come segno di giurisdizione*. Il delfino vi fu con
dannato in contumacia. Invano il presidente Hnault, che non
aveva il coraggio del presidente de Thou, ha voluto travisare
questo fatto; esso fin troppo accertato**.
Era una di quelle questioni delicate e difficili a risolversi
il sapere da chi doveva essere giudicato il delfino, se si pote
va distruggere la legge salica, se, non essendo stata vendicata
luccisione del duca dOrlans, doveva esserlo lassassinio
delluccisore. Si visto in Spagna, molto tempo dopo, Filippo
II fare perire suo figlio. Cosimo I, duca di Firenze, uccise
tmo dei suoi figli che aveva assassinato laltro. Questo fatto
verissimo: l avvenimento stato contestato molto a spro
posito al Varillas***; il presidente de Thou lascia capire
* La giurisdizione era suddivisa in tre tribunali: quello del conestabile,
quello deUammiraglio e quello del gran maestro delle foreste.
** Larcivescovo di Reims, des tjrsins, lo ammette nella sua storia. Si
veda il capitolo 6 dell'Histoixe du Parlement de Paris (N.d.A.). Jean II
Juvnal des Ursins (1388-1473), magistrato e storico, autore di una Crona
ca di Carlo VI e dima Histoire de Charles IV, alla quale Voltaire si ri
ferisce. Charles-Jean-Fransois Hnault (1685-1770), storico e poeta,
presidente del parlamento, autore di un Abrg chronlogique pubblicato
nel 1756, cui l autote fa qui riferimento.
*** Antoine VariUas (1626-1696), storiografo non sempre molto attendi
bile, scrisse una storia sulle eresie del periodo che va dal 1374 al 1589, una
3 3 4 SAGGIO SUI COSTUMI
abbastanza di esserne stato informato sul luogo. Ai nostri
giorni lo zar Pietro ha fatto condannare a morte il figlio;
esempi orrendi, nei quali non si trattava di dare l eredit del
fi^io a uno straniero!
Cos dunque la legge salica viene abolita, l erede al trono
diseredato e proscritto, il genero regna pacificamente e strap
pa leredit di suo cognato, come cfipoi in Inghilterra si vide
Guglielmo, principe dOrange, straniero, spossessare il pa
dre di sua moglie. Se questa rivoluzione fosse durata come
tante altre, se i successori di Enrico V avessero sorretto ledi
ficio innalzato dal loro padre, se essi fossero oggi re di Fran
cia, vi sarebbe un solo storico che non troverebbe giusta la
loro causa? In tal caso Mzeray non avrebbe detto che Enrico
V mori demorroidi, per punizione dessersi seduto sul trono
dei re di Francia. I papi non avrebbero forse inviato loro
bolle su boUe? Non sarebbero essi stati gli unti del Signore?
La legge salica non sarebbe stata reputata una chimera?
Quanti benedettini avrebbero presentato ai re della stirpe di
Enrico V vecchi diplomi contro quella legge salica! quanti
raffinati lavrebbero messa in ridicolo! quanti predicatori
avrebbero portato alle stelle Enrico V, vendicatore deUassas-
sinio e liberatore della Francia!
Il delfino, ritirato nellAngi, pareva soltanto un esule.
Enrico V, re di Francia e dInghilterra, fece vela verso Lon
dra per avere ancora nuovi sussidi e nuove truppe. Al popolo
inglese, amante della propria libert, non giovava che il suo
re fosse padrone della Francia. LInghilterra correva U peri
colo di diventare una provincia di un regno straniero; e dopo
essersi spossata per rafforzare il suo re in Parigi, sarebbe stata
ridotta in servit dalle forze del paese stesso che essa avrebbe
vinto e che il suo re avrebbe avute in sua mano.
Tuttavia Enrico V torn ben presto a Parigi, pi padrone
che mai. Aveva tesori e armi; era ancor giovane. Tutto faceva
credere che il trono di Francia sarebbe passato per sempre
alla casa di Lancaster. Il destino rovesci tante prosperit e
storia di Franda dalla nascita di san Luigi alla morte di Enrico III e
una storia di Spagna che comprende il regno di Ferdinando il Cattolico e i
primi armi della vita di Carlo V.
CAPITOLO SETTANTANOVESIMO 3 3 5
tante speranze. Enrico V fu colpito da una fistola. Lo si sa
rebbe guarito in tempi pi illuminati; lignoranza del suo
secolo gli caus la morte. (1422) Spir nel castello di Vincen-
nes, aUet di trentaquattro anni. Il suo corpo u esposto a
Saint-Denis come quello dun re di Francia e poi portato a
Westminster tra quelli dInghilterra.
Carlo VI, al quale avevano ancora lasciato per piet il
vano titolo di re, fiini poco dipoi la sua triste vita, dopo aver
passato trentanni in continue ricadute di frenesia. (1422)
Mori infelicissimo tra i re, e re del popolo pi infelice dEu
ropa.
Il fratello di Enrico V, il duca di Bedford, fu il solo ad
assistere ai suoi funerali. Non vi si vide alcun signore. Gli
uni erano morti nella battaglia di Azincourt, gli dtri erano
prigionieri in Inghilterra. E il duca di Borgogna non voleva
cedere il passo al duca di Bedford: bisognava pure cedergli
tutto. Bedford fu proclamato reggente di Francia, e procla
marono re a Parigi e a Londra Enrico VI, figlio di Enrico V,
bambino di nove mesi. La citt di Parigi invi persino fino
a Londra dei deputati per prestare giuramento di fedelt a
quel bambino.
3 3 6 SAGGIO SUI COSTUMI
DELLA FRANCIA AL TEMPO DI CARLO VII. DELLA
PULZELLA E DI JACQUES CCEUR
Q
uesto straripamento dellInghilterra in Francia fu insom
ma simile a quello che aveva inondato lInghilterra al
tempo di Luigi VIZI; ma fu pi lungo e pi tempestoso. Biso
gn che Carlo VII riguadagnasse a palmo a palmo il suo re
gno. Doveva combattere il reggente Bedford, assoluto quanto
Enrico V, e il duca di Borgogna, divenuto uno dei pi potenti
orincipi dEuropa merc lannessione dellHainaut, del Bra
sante e dellOlanda ai suoi dornin. Gli amici di Carlo VII
erano per lui pericolosi quanto i suoi nemici. La maggior parte
dessi abusava delle sue sciagure, al pimto che il conte eli Ri-
chemond, suo conestabile, fratello del duca di Bretagna, fece
strangolare due suoi favoriti.
Si pu giudicare lo stato deplorevole in cui era ridotto
Carlo dalla necessit ia cui si trov di abbassare nel paese
che gli ubbidiva il valore della lira in numerario, che alla
fine del regno di Carlo V valeva pi di otto delle nostre lire,
a meno di quindici centesimi di queste stesse lire odierne;
di modo che allora essa designava soltanto tin cinquantesimo
del valore che aveva designato pochi anni prima.
Bisogn ricorrere ben presto a un espediente pi strano,
a un miracolo. Un gentiluomo delle frontiere di Lorena, di
nome Baudricourt, credette di trovare in una giovane serva
di unosteria di Vaucouleurs un personaggio adatto* a recitare
la parte di guerriera e dispirata. Questa Giovanna dArco,
che il volgo reputa una pastora, era di fatto una giovane ser
va di locanda robusta, che montava cavalli a bardosso,
22/cn
CAPITOLO LXXX
come dice Monstrelet*, e che faceva altre prodezze che le
fanciulle non hanno abitudine di fare. La si fece passare
per una pastora di diciottanni. tuttavia accertato, per sua
propria confessione, che allora aveva ventisette anni. Ella eb
be coraggio e spirito bastanti da assumere su di s quellim
presa, die divenne eroica. Fu condotta davanti al re a Bour-
ges. Fu esaminata da alcune donne, che non mancarono di
trovarla vergine, e da una parte dei dottori delluniversit e
alcuni consiglieri del parlamento, che non esitarono a dichia
rarla ispirata; vuoi cheUa li ingannasse, vuoi che essi stessi
fossero abbastanza abili da entrare a parte in questartifizio,
il volgo ci credette, e questo bast.
(1429) Gli Inglesi assediavano allora la citt dOrlans,
unica risorsa di Carlo, ed erano prossimi a impadronirsene.
Questa fanciulla guerriera, vestita da uomo, condotta da abi
li capitani, si accinge a recar soccorso alla piazzaforte. Parla
ai soldati da parte di Dio e ispira loro quel coraggio entusia
stico che hanno tutti gli uomini che credono di vedere la
Divinit combattere a loro favore. EUa marcia alla loro testa
e libera Orlans, batte gli Inglesi, predice a Carlo che lo far
consacrare a Reims, e adempie la sua promessa con la spa
da in pugno. Assistette alla consacrazione, tenendo lo sten-
dardoi col quale aveva combattuto.
(1429) Queste rapide vittorie di una ragazza, le appa
renze di un miracolo, la consacrazione del re che ne rendeva
pi venerabile la persona erano sul punto di restaurare il re
legittimo e di scacciare lo straniero; ma lo strumento di
queste meraviglie, Giovanna dArco, fu ferita e catturata
mentre difendeva Compigne. Un uomo come il Principe Ne
ro ne avrebbe onorato e rispettato il coraggio. Il reggente
Bedford credette necessario infamarla per rianimare i suoi
Inglesi. EUa aveva finto un miracolo; Bedford finse di creder
la strega. Il mio scopo sempre losservazione dello spirito
del tempo; lui che dirige i grandi avvenimenti del mon-
* Enguerrand de Monstrelet (intorno al 1390-1453), prevosto di Cam-
brai, autore di una Chronique che riferisce gli avvenimenti accaduti dal
J400 al 1444.
3 3 8 SAGGIO SUI COSTUMI
do. Luniversit di Parigi present richiesta contro Giovanna
dArco, accusandola deresia e di magia. O l universit pen
sava ci che il reggente voleva che si credesse; o, se non
lo pensava, commetteva una vilt abominevole. Questeroina,
degna del miracolo che aveva finto, fu giudicata a Rouen da
Cauchon, vescovo di Beauvais, da altri cinque vescovi fran
cesi, da un solo vescovo dInghilterra, assistiti da un mona
co domenicano, vicario deUInquisizione, e da dottori del
luniversit. Fu qualificata superstiziosa, divinatrice del dia
volo, bestemmiatrice in Dio e nei suoi santi e sante, di molto
errante fuor della fede di Cristo. Come tale, fu condannata
a digiunare a pane e acqua in reclusione perpetua. Ella diede
ai suoi giudici una risposta degna di eterna memoria. Inter
rogata perch avesse osato assistere alla consacrazione d
Carlo con il suo stendardo, rispose: giusto che chi ha
avuto parte alla fatica ne abbia anche allonore.
(1431) Infine, accusata di avere nuovamente indossato
una volta labito maschile, che le si era lasciato apposta per
tentarla, i suoi giudici, che certamente non avevano il di
ritto di giudicarla dal momento che era prigioniera di guerra,
la dichiararono eretica relapsa, e fecero morire col fuoco co
lei che, avendo salvato il suo re, avrebbe avuto altari nei
tempi eroici in cui gli uomini ne erigevano ai loro liberatori.
Carlo VII riabilit poi la sua memoria, abbastanza onorata
dallo stesso supplizio.
La crudelt non basta per portare gli uomini a tali ese
cuzioni, ci vuole anche quel fanatismo* composto di isupersti-
zione e di ignoranza, che stato la malattia di quasi tutti i
secoli. Qualche tempo prima, gli Inglesi condannarono la
principessa di Gloucester a fare ammenda onorevole nella
chiesa di San Paolo, e una sua amica a essere bruciata viva,
col pretesto di non so qual sortilegio impiegato contro la vita
del re. Avevano bruciato il barone di Cobham come eretico;
e in Bretagna si fece morire con lo stesso supplizio il mare
sciallo di Retz, accusato di magia e davere sgozzato dei fan
ciulli per fare col loro sangue dei presunti incantesimi.
Che i cittadini di una citt immensa, in cui le arti, i pia
CAPITOLO OTTANTESIMO 3 3 9
ceri e la pace regnano oggi, in cui la stessa ragione comincia
a introdursi, paragonino i tempi, e si lamentino se Tosano.
Questa una riflessione che bisogna fare quasi a ogni pa
gina di questa storia.
In quei tempi tristi la comunicazione tra le province era
cos discontinua, i popoli limitrofi erano cos stranieri gli
uni agli altri, clae, qualche anno dopo la morte della Pul
zella, unawenturiera os prenderne il nome in Lorena e
sostenere sfacciatamente dessere sfuggita al supplizio e chera
stato bruciato im fantasma al suo posto. La cosa pi strana
il fatto cheUa fu creduta. La si colm di onori e di beni, e
un uomo della casa degU Armoises la spos nel 1436, pen
sando di sposare realmente la vera eroina che, sebbene nata
oscura, gli sarebbe stata almeno pari per le sue grandi
azioni*.
Durante questa guerra, pi lunga che non risolutiva, che
provocava tante sciagure, un altro avvenimento fu la salvez
za della Francia. Il duca di Borgogna, Filippo il Buono, me
rit questo nome perdonando alla fine al re la morte di suo
padre e unendosi col capo della sua casa contro lo straniero.
Fece in verit pagar caro al re quellantico assassinio, aggiu
dicandosi con il trattato tutte le citt sul fiume Somme, con
Roye, Montdidier e la contea di Boulogne. Si esent di ogni
omaggio durante la sua vita e divent un grandissimo sovra
no, ma ebbe la generosit di liberare dalla lunga prigionia
a Londra 0. duca dOrlans, figlio di colui che era stato assas
sinato a Parigi. Ne pag il riscatto. Si fa ammontare questo
a trecentomila scudi doro; solita esagerazione degli scrittori
del tempo. Ma questa condotta mostra una grande virt.
Ci sono sempre state belle anime nei tempi pi corrotti. La
virt di questo principe non escludeva in lui la volutt e
lamore per le donne, che non pu mai essere un vizio se non
quando porta ad azioni malvagie. Appunto questo stesso Fi
lippo aveva, nel 1430, istituito il Toson doro in onore duna
delle sue amanti. Ebbe quindici bastardi, i quali tutti si
* Si veda larticolo A r c ( J e a n n e d A e c ) nel Dizionario filosofico
(N.dA.).
3 4 0 SAGGIO SUI COSTUMI
guadagnarono del merito. La sua corte era la pi splendida
dEuropa. Anversa e Bruges facevano un grande commercio
e diffondevano labbondanza nei suoi Stati. La Francia gli
dovette insomma la pace e la grandezza, che aumentarono
sempre dipoi, nonostante le avversit e ad onta delle guerre
civili ed esterne.
Carlo VII riguadagn il suo regno pressa poco come En
rico IV lo conquist centocinquantanni dopo. In verit Car
lo non aveva il coraggio cospicuo, lintelligenza pronta e at
tiva; e il carattere eroico di Enrico IV; ma costretto, come
lui, ad avere spesso certi riguardi per ^ amici e per i ne
mici, a dare piccoli combattimenti, a sorprendere citt e a
comperarne, entr in Parigi come vi entr poi Enrico IV, con
lintrigo e con la forza. Tutti e due sono stati dichiarati in
capaci di possedere la corona, e tutti e due hanno perdonato.
Avevano unaltra debolezza in comune, quella di darsi trop
po allamore; perch lamore influisce quasi sempre sugli affa
ri di Stato presso i principi cristiani, il che non accade nel
resto del mondo.
Carlo fece il suo ingresso a Parigi soltanto nel 1437.
Quei borghesi, che si erano segnalati con tanti massacri, gli
andarono incontro con tutte le dimostrazioni daffetto e di
gioia che erano in uso presso quel popolo rozzo. Sette fan
ciulle che rappresentavano i sette peccati che sono chiamati
mortali, e altre sette che raffiguravano le virt teologali e
cardinali, con cartigli, lo accolsero verso la porta di Saint-
Denis. Egli sostava qualche minuto nei crocicchi a guardare
i misteri della religione, che dei saltimbanchi recitavano
sopra tavolati su trespoli. Gli abitanti di quella capitale era
no allora tanto poveri quanto rustici: le province lo erano
anche di pi. Ci vollero pi di ventanni per riformare lo
Stato. Solo verso il 1450 gli Inglesi furono interamente scac
ciati dalla Francia. Conservarono soltanto Calais e Guines, e
persero per sempre tutti i vasti domini che le tre vittorie di
Crcy, di Poitiers e dAzincourt non poterono conservare
loro. Le discordie dellInghilterra contribuirono quanto Car
lo VII al riunificarsi della Francia. QuellEnrico VI, che
CAPITOLO OTTANTESIMO 341
aveva portato le due corone, e che era persino venuto a
farsi incoronare a Parigi, detronizzato a Londra dai suoi pa
renti, fu restaurato e spodestato di nuovo-.
Padrone finalmente pacifico della Francia, Carlo VII vi
stabil un ordine che non vi era pi stato dalla decadenza
della famiglia di Carlomagno. Conserv compagnie regolari
di millecinquecento uomini di cavalleria pesante. Ognuno
dei suoi cavaheri doveva prestar servizio con sei cavalli; di
modo che questa truppa formava novemila cavalieri. Il ca
pitano di cento uomini aveva millesttecento lire di conto
aHanno, il che ammonta a circa diecimila lire in numera
rio di oggi. Ogni cavaliere aveva una paga annua di trcen-
tosessanta lire, e ognuno dei cinque uomini che laccompa
gnavano riceveva quattro lire di quel tempo al mese. Egli
istitu ianche quattromilacinquecento arcieri, che avevano- quel
la stessa paga di quattro lire, vale a dire circa ventiquattro
delle nostre. Cos, in tempo di pace, il mantenimento dei sol
dati costava circa sei nilioni della nostra moneta presente.
Le cose sono davvero cambiate in Europa: questa istituzione
degli arcieri mostra die i moschetti non erano ancora duso
frequente. Questo strumento di distruzione divenne co
mune soltanto al tempo di Luigi XI.
Oltre a queste truppe, tenute continuamente in servizio,
gni villaggio manteneva un franco arciere* esente di taglia;
e proprio grazie a questa esenzione, daltronde inerente alla
nobilt, tante persone si attribuirono ben presto la quali
t di gentiluomo di nome e darmi. I possessori di feudi im
mediati furono dispensati dal ban, che non fu pi convo
cato. Solo Varrire-ban**, composto da valvassori, rest an
cora soggetto a servire aUoccorrenza.
Ci si meraviglia che dopo tanti disastri la Francia aves
se tante risorse e denaro. Ma un paese ricco per le sue der
rate non cessa mai di esserlo quando la coltivazione non
abbandonata. Le guerre civili squassano il corpo dello Sta
* La milizia dei francs-archers era formata da uomini equipaggiati in
ragione di uno per ogni singola parrocchia.
** Ban e arrire-ban indicano rispettivamente i bandi, ossia i vassalli
diretti e indiretti tenuti a prestare il servizio militare.
3 4 2 SAGGIO SUI COSTUMI
to ma non lo distruggono. Gli eccidi e i saccheggi che fu
nestano delle famiglie ne arricchiscono altre. I commercian
ti diventano tanto pi abili quanta pili arte occorre per
salvarsi tra tante tempeste. Jacques Cceur ne un grande
esempio: aveva creato il pi grande commercio che mai pri
vato cittadino dellEuropa avesse intrapreso. Dopo di lui sol
tanto Cosimo Medici, che noi chiamiamo de Mdicis, lo
eguagli. Jacques Coeur aveva trecento agenti in Italia e nel
Levante. Prest duecentomila scudi doro al re, senza i quali
non sarebbe stata mai ripresa la Normandia. La sua indu
stria era pi utile in tempo di pace di quanto Dunois e la
Pulzella lo e r^ o stati durante la guerra. forse una grande
macchia sulla memoria di Carlo VII il fatto che si sia perse
guitato un uomo cosi necessario. Non se ne sa la cagione: in
fatti chi sa i segreti impulsi delle colpe e delle ingiustizie de
gli uomini?
Il re lo fece mettere in prigione, e il parlamento di Parigi
gli fece il processo. Non si pot provare nulla contro di lui,
se non che aveva fatto restituire a un Turco uno schiavo cri
stiano (il quale aveva abbandonato e tradito il suo padrone),
e che aveva fatto vendere armi al soldano dEgitto. Per
queste due azioni, delle quali una era lecita e laltra virtuosa,
fu condaimato a perdere tutti i suoi beni. Trov pi dirit
tura nei suoi agenti che non nei cortigiani che avvano
perduto. Quasi tutti contribuirono a una colletta per aiutar-
It) nella disgrazia. Si dice che Jacques Cceur andasse a conti
nuare il suo commercio a Cipro e che non avesse mai avuto la
debolezza di tornare nella sua ingrata patria, sebbene vi fosse
richiamato. Ma questo aneddoto non ben accertato.
Del resto, la fine del regno di Carlo VII fu abbastanza
felice per la Francia, bench infelicissima per il re, i cui gior
ni finirono con amarezza per le ribellioni del figlio snaturato,
che fu poi il re Luigi XI.
CAPITOLO OTTANTESIMO 3 4 3
CAPITOLO LXXXI
COSTUMI, USANZE, COMMERCIO, RICCHEZZE INTORNO
AL XIII E AL XIV SECOLO
"V^orrei palesare qual era allora la societ degli uomini, come
si viveva in seno alle fajniglie, quali arti erano coltivate,
piuttosto che ripetere tante sventure e tanti combattimenti,
funesti oggetti e storia e luoghi comuni della malvagit
umana.
Mi sembra che verso la fine del XIII secolo e allinizdo
del XIV, nonostante tante dissensioni, si cominciasse in Ita
lia a uscire da quella rozzezza la cui ruggine aveva ricoperto
lEuropa dalla caduta dellimpero romano. Le arti necessa
rie non erano venute meno*. Gli artigiani e i mercanti, sot
tratti dalla loro oscurit al furore ambizioso dei grandi, sono
formiche che si scavano abitazioni in silenzio, mentre le
aquile e gli avvoltoi si dilaniano.
Persino in quei secoli rozzi si trovarono invenzioni utili,
frutti del genio della meccanica che la natura d a certi, uomi
ni, del tutto indipendentemente dalla filosofia. Per esempio,
il segreto di aiutare la vista indebolita dei vegliardi con oc
chiali che si chiamano besicles della fine del XIII secolo.
Questo bel segreto fu trovato da Alessandro Spina. Le mac
chine che operano con lausilio del vento sono conosciute in
Italia nello stesso tempo. La Fiamma**, che viveva nel XIV
* Secondo il P o m e a u , gli elementi di cui al presente capitolo sono stati
tratti in gran parte dallopera di Lu d o v i c o A n t o n i o Mx j k a t o k i , Antqutates
Italicae me aev, edizione milanese 1738-1742.
** Galvano Fiamma (1283P-1344), storico domenicano milanese. Scrisse
molte opere pi che altro di compilazione, riportate dal Muratori.
secolo, ne parla, e prima di lui non se ne parla. Ma si tratta
di unarte conosciuta toolto tempo prima presso i Greci e
presso gli Arabi: ne fanno parola taluni poeti arabi del VII
secolo. La ceramica, che si fabbricava principalmnte a Faen
za, faceva le ved della porcellana. Si conosceva da lungo tem
po luso del vetro, ma era rarissimo: il servirsene era un
lusso. Questarte, portata in Inghilterra dai Francesi verso
lanno 1180, vi fu reputata una grande magnificenza.
I soli Veneziani ebbero, nel XIII secolo, il segreto degli
specchi di cristallo. Verano in Italia alcuni orologi a rotel
le: quello di Bologna era famoso. La pi utile meraviglia
della bussola era dovuta al solo caso, e la visione degli uomi
ni non era ancora abbastanza ampia perch si facesse uso di
questa scoperta. Linvenzione della carta fatta con lino pil
lato e bollito dellinizio del XIV secolo. Cortusio*, storico
di Padova, parla di un certo Pax che ne fond a Padova la
prima manifattura pi di un secolo prima dellinvenzione
della stampa. Cosi appunto le arti utili sono a poco a poco
sorte, e la maggior parte a opera di inventori ignoti.
II resto deUEuropa era ben lontano dallavere citt come
Venezia, Genova, Bologna, Siena, Pisa, Firenze. Quasi tutte
le case nelle citt di Francia, di Germania, dInghilterra era
no coperte di stoppia. Altrettanto accadeva in Italia nelle
citt meno ricche, come Alessandria della paglia, Nizza della
paglia, ecc.
Quantunque le foreste avessero coperto tanti terreni ri
masti a lungo senza coltura, pure non ci si sapeva ancora di
fendere dal freddo con lausilio di quei caminetti che sono
oggi in tutti i nostri appartamenti un oggetto dutilit e
dornamento. Una famiglia intera si radunava al centro duna
sala comtme piena di fumo, intorno a un largo focolare ro
tondo la cui canna andava a trapassare il sojEtto.
La Fiamma, secondo luso degli autori poco sensati, si la
menta nel XIV secolo che la frugale semplicit abbia fatto
posto al lusso; rimpiange il tempo di Federico Barbarossa e
di Federico II, allorch a Milano, capitale della Lombardia, si
* Citato dal Rerum- Italicarum scriptores di L.A. Muratori.
CAPITOLO OTTANTUNESIMO 3 4 5
mangiava carne solo tre volte la settimana. Il vino allora era
raro, il cero era sconosciuto e la candela un lusso. Nelle case
dei migliori cittadini, egli dice, ci si serviva di pezzi di legno
secco accesi per farsi lume; si mangiava carne calda solo tre
volte la settimana; le camicie erano di saia, non di lino, la
dote deUe borghesi pi ragguardevoli era di cento lire al
massimo. Le cose sono molto cambiate, egli aggiunge: og
gi si porta biancheria di lino, le donne si coprono di stofiEe di
seta, e talvolta vi entrano anche oro e argento; hanno fino
a duemila lire di dote, e persino si ornano le orecchie di pen
denti doro. Eppure il lusso di cui si lamenta era ancora lon
tano per certi a.spetti da quanto oggi il necessario dei po
poli ricchi e industriosi.
La biancheria da tavola era rarissima in Inghilterra. Il
vino si vendeva solo presso gli speziali come im cordiale. Tut
te le case dei privati erano di legname grezzo, ricoperto da
una specie di malta che si chiama torchis*, le porte basse e
strette, le finestre piccole quasi senza luce. Farsi trascinare
in carretta per le strade di Parigi, malamente lastricate e co
perte di mota, era un lusso; e questo lusso fu vietato alle
Ijorghesi da Filippo il Bello. noto quel regolamento fatto
sotto Carlo VI; Nemo audeat dare pr^ter duo fercula cum
potagi-, "nessuno osi dare pi di due piatti con la minestra.
Un solo fatto baster a far conoscere la carenza di denaro
in Scozia, e anche in Inghilterra, cos come la rusticit di
quei tempi, chiamata semplicit. Si legge negli atti pubblici
die quando i re di Scozia andavano Londra, la corte dIn
ghilterra assegnava loro trenta scellini al giorno, dodici pani,
dodici focacce e trenta bottiglie di vino.
Nondimeno vi fu sempre presso i signori feudali e pres
so i pi importanti prelati tutta la magnificenza che i tempi
permettevano. Essa doveva necessariamente introdursi pres
so i possessori dei grandi fondi terrieri. Sin da molto tempo
prima i vescovi non si movevano se non con un numero pro
digioso di domestici e di cavalli. Un concilio del Laterano, te
nuto nel 1179 sotto Alessandro III, rimprovera loro che spes-
3 4 6 SAGGIO SUI COSTUMI
* Impasto di terra grassa e di paglia tagliuzzata.
SO le chiese dei monasteri erano costrette a vendere i vasi
doro e dargento per accoglierli e per sopperire alle spese
delle loro visite. Il seguito degli arcivescovi u ridotto dai
canoni di quei concili a cinquanta cavalli, quello dei vescovi
a trenta, quello dei cardinali a venticinque; un cardinale che
non aveva vescovato, e che perci non possedeva terre, non
poteva infatti avere il lusso di un vescovo. Questa magnifi
cenza dei prelati era pi odiosa allora che non oggi, perch
non vera ima condizione media tra i grandi e i piccoli, tra
i ricchi e i poveri. Il commercio e lindustria non hanno po
tuto formare se non col tempo questa condizione media che
costituisce la ricchezza di una nazione. Il vasellame dargen
to era quasi sconosciuto nella maggior parte delle citt. Mus-
sus*, scrittore lombardo del XIV secolo, reputa un gran lus
so le forchette, i cucchiai e le tazze dargento.
Un padre di famiglia, egli dice, che ha da nove a dieci
persone da nutrire, con due cavalli, costretto a spendere
fino a trecento fiorini doro allanno. Si trattava tuttal pi
di duemila lire della moneta corrente in Francia ai nostri
giorni.
Il denaro era dunque rarissimo in molti luoghi dItalia,
e assai di pi in Francia nel XII, XIII e XIV secolo. I Fio
rentini, i Lombardi che erano i soli a fare il commercio in
Francia e in Inghilterra, gli Ebrei, loro intermediari, sera-
no arrogati il diritto di spillare ai Francesi e agli Inglesi il
venti per cento annuo per l interesse ordinario del prestito.
Lelevato interesse del denaro il segno infallibile della po
vert pubblica.
Il re Carlo V accumul un po di tesoro con la sua eco
nomia, con la saggia amministrazione dei suoi domini (allora
il maggior reddito dei re) e con imposte inventate sotto Fi
lippo di Valois, le quali, ancorch lievi, fecero molto mor
morare un popolo povero. Il cardinale de La Grange, suo mi
nistro, si era arricchito anche troppo. Ma tutti quei tesori
furono dissipati in altri paesi. Il cardinale port i suoi in
Avignone; il duca dAngi, fratello di Carlo V, and a per-
* Giovanni de Mussis, citato &WAntiquitates del Muratori.
CAPITOLO OTTANTUNESIMO 3 4 7
dere quelli del re nellinfelice spedizione dItalia. La Francia
rest nella miseria sino agli ultimi tempi di Carlo VII.
Non accadeva la stessa cosa nelle belle citt commerciali
deUItalia; vi si viveva con comodit, con opulenza; solo nel
loro seno si godevano le dolcezze della vita. Le ricchezze e la
libert vi suscitarono infine il genio, cos come vi educarono il
coraggio.
3 4 8 SAGGIO SUI COSTUMI
SCIENZE E BELLE ARTI NEL XIII E NEL XIV SECOLO
L a lingua italiana non era ancora formata al tempo di Fe
derico IL Lo si vede dai versi di questimperatore, che sono
lultimo esempio della lingua romanza liberata dalla durezza
tedesca:
Plas me el cavdter Frances,
E la donna Catalana,
E lovrar Genoes,
E la danza Trevisana,
E lou cantar Trovensales,
Las man e cara dAngles,
E lou donzel de Toscana".
Questo monumento pi prezioso di quanto non si pen
si, ed molto superiore a tutte le macerie degli edifici del
mjedioevo, che una curiosit grossolana e priva di gusto
ricerca con avidit. Dimostra come la natura non si sia smen
tita in nessuna delle nazioni di cui parla Federico. Le Ca
talane sono, come al tempo di quellimperatore, le pi belle
donne di Spagna. La nobilt francese ha le stesse grazie mar
ziali che si stimavano allora. Una pelle morbida e bianca,
delle belle mani, sono ancora cosa comune in Inghilterra.
La giovent ha pi attrattive in Toscana che altrove. I Geno
vesi hanno conservato la loro industriosit; i Provenzali il
* Mi piace il cavaliere francese, / e la dorma catalana, / e l agire ge
novese, / e la danza trevigiana, / e il cantare provenzale, / le mani e la
faccia degli Inglesi, / e il donzello di Toscana.
CAPITOLO LXXXII
loro gusto per la poesia e per il canto. Proprio in Provenza
e in Linguadoca era stata addolcita la lingua romanza. I Pro
venzali furono* i maestri degli Italiani. NuUa conosciuto
dagli amatori di quelle ricerche quanto i versi sui Valdesi
dellanno 1100:
Que non voglia maudir ne jura ne mentir,
N'ocdr, ne avoutrar, ne preme de altrui,
Ne s'avengear deli suo ennem,
Loz dison ques Vaudes, et ls feson morir*.
Questa citazione ha ancora la sua utilit, in quanto ima
riprova che tutti i riformatori hanno sempre ostentato co
stumi severi.
Codesto gergo si conserv purtroppo tale e quale in Pro
venza e in Linguadoca, mentre sotto la penna del Petrarca
la lingua italiana raggiunse quella forza e quella grazia che,
lungi dal degenerare, si perfezion ancora. Litaliano prese
la sua forma alla fine del XIII secolo, al tempo del buon re
Roberto, nonno dellinfelice Giovanna. Gi Dante, fioren
tino, aveva reso illustre la lingua toscana con il suO' poema
bizzarro, ma scintillante di bellezze naturali, intitolato Com
media-, opera nella quale lautore si sollev nei particolari
sopra il cattivo gusto del suo secolo e del suo argomento,
e piena di passi scritti con altrettanta purezza che se fossero
del tempo dellAriosto e del Tasso. Non ci si deve stupire
che lautore, uno dei maggiorenti della fazione ghibellina,
perseguitato da Bonifacio V ili e da Carlo di Valois, abbia
eflEuso nel suo poema il proprio dolore per le contese del
limpero e del sacerdozio. Sia permesso inserire qui una de
bole traduzione dun passo di Dante, riguardante quelle
dissensioni. Questi monumenti dello spirito nmano disten
dono dalla lunga attenzione alle sventure che hanno turbato
la terra;
* La trascrizione di Voltaire, tuttaltro e i e corretta, suona pressa poco:
Che non voglia maledire, n giurare, n mentire, / n uccidere, n commet
tere adulteri!, n prendere dellaltrui ( = rubare), / n vendicarsi del
[proprio] nemico, / dissero (dicono?) che Valdese, e lo fecero (fanno?)
morire.
3 5 0 SAGGIO SUI COSTUMI
Jadis on vit dans une paix profonde
De deux soleils les flambeaux luire au monde,
Qui sans se nure clairant les humains,
Du vrai devoir enseignaient les chemins,
Et nous montraient de laigle impriale
Et de Vagneau les droits et lintervalle.
Ce temps nest plus, et nos cieux ont chang.
Lun des soleils, de vapeurs surcharg,
En schappant de sa sainte carrire,
Voulut de lautre absorber la lumire.
La rgie dors devint confusion.
Et lhumble agneau parut un fier lion.
Qui, tout brillant de la pourpre usurpe,
Voulut porter la houlette et Vpe*.
Dopo Dante, Petrarca, nato nel 1304 ad Arezzo, patria
di Guido dArezzo, mise maggior purezza nella lingua ita
liana, con tutta la dolcezza cui essa era suscettibile. Si
trova in questi due poeti, e soprattutto in Petrarca, un gran
numero di tratti simili a quelle belle opere degli antichi che
hanno a un tempo la forza dellantichit e la freschezza del
moderno. Se v temerariet neUimitarlo, la perdonerete al
desiderio di farvi conoscere, per quanto mi possibile, il
genere nel quale egli scriveva. Ecco pressa poco linizio della
sua bella ode alla fontana di Vaichiusa, a rime incatenate:
Claire fontaine, onde aimable, onde pure,
O la beaut qui consume mon cceur,
Seule beaut qui soit dans la nature,
Des feux du jour vitait la chaleur;
Arbre heureux dont le feuillage,
Agit par les zphyrs.
La couvrit de son omhrage.
Qui rappelles mes soupirs,
En rappelant son image;
Ornements de ces bords, et filles du matin,
Vous dont je suis jaloux, vous moins brillantes quelle,
Fleurs quelle embellissait quand vous touchtez son sein,
Rossignol dont la voix est moins douce et moins belle,
* "Purgatorio, XVI, 106 e segg.
CAPITOLO OTTANTADUESIMO 35 1
Air devenu plus pur, adorable sjour.
Immortalis par ses charmes,
Lieux dangereux et chers, o de ses tendres armes
LAmour a bless tous mes sens:
cmtez mes derniers accents,
Recevez mes dernires larmes*.
Queste composizioni, che vengono chiamate Canzoni, sono
reputate i suoi capolavori: le sue altre opere gli fecerOmeno
onore. Immortal la fonte di Vaichiusa, Laura e se stesso.
Se non avesse amato sarebbe molto meno conosciuto. Per
quanto imperfetta sia questa imitazione, essa lascia intrawe-
dere la distan2 a immensa che esisteva allora tra gli Italiani e
tutte le altre nazioni. Ho preferito darvi qualche vaga idea
del genio del Petrarca, della dolcezza e della mollezza ele
gante che forma il suo carattere, piuttosto che ripetervi quan
to tanti altri hanno detto degli onori che gli furono offerti a
Parigi, di quelli che ricevette a Roma, di quel trionfo in Cam
pidoglio nel 1341: celebre omaggio che lo stupore del suo
secolo tributava al suo genio allora unico, ma superato dipoi
dallAriosto e dal Tasso. Non tacer il fatto che la sua fa
miglia era stata bandita dalla Toscana e privata dei suoi beni
durante le dissensioni dei guelfi e dei ghibellini, e che i Fio
rentini gli deputarono Boccaccio per pregarlo di andare a
onorare la sua patria della sua presenza e godervi della resti
tuzione del suo patrimonio. Nei suoi giorni pi belli la Gre
cia non mostr mai maggior gusto e maggiore stima per i
talenti.
Quel Boccaccio fiss la lingua toscana: egli ancora il
primo modello di prosa per lesattezza e per la purezza dello
stile, cos come per la naturalezza della narrazione. Perfe
zionata da questi due scrittori, la lingua non sub pi alcuna
alterazione, mentre tutti gli altri popoli dellEuropa, persino
gli stessi Greci, hanno cambiato il loro idioma.
Vi fu una serie non interrotta di poeti italiani che sono
tutti passati alla posterit: infatti il Pulci scrisse dopo il
Petrarca; il Boiardo, conte di Scandiano, succedette al Pul-
* la canzone CXXVI "Chiare fresche e dolci acque...
3 5 2 SAGGIO SUI COSTUMI
ci; e rAriosto li super tutti per la fecondit della sua im
maginazione. Non dimentichiamo che Petrarca e Boccaccio
avevano celebrato quellinfelice Giovanna di Napoli, il cui
spirito coltivato apprezzava tutto il loro merito, e che fu
anche discepok loro. Ella era allora tutta dedita alle belle
arti, i cui incanti facevano dimenticare i tempi criminosi del
suo primo matrimonio. I suoi costumi, mutati dalla cultura
dello spirito, dovevano difenderla dalla tragica crudelt che
pose fine ai suoi giorni.
Le belle arti, che si tengono come per mano e che di so
lito periscono e rinascono insieme, sorgevano in Italia dalle
rovine della barbarie. Cimabue, senza nessun aiuto, era qua
si un nuovo inventore della pittura nel XIII secolo. Giotto
fece quadri che si vedono ancora con diletto. Resta di lui
soprattutto quel famoso dipinto che stato messo in mosai
co e che raffigura il primo apostolo che cammina sulle ac
que; lo si vede sopra la grande porta di San Pietro a Roma.
BruneUeschi cominci a riformare larchitettura gotica. Gui
do dArezzo aveva inventato, molto tempo prima, alla fine
dellundicesimo secolo, le nuove note della musica e reso
questarte pi facile e pi comune.
Si and debitori di tutte queste belle novit ai Tosca
ni. Essi fecero rinascere tutto col loro solo genio, prima che
quel poco di scienza che era restato a Costantinopoli ri
fluisse in Italia con la lingua greca per mezzo delle conquiste
degli Ottomani. Firenze era allora una nuova Atene; e tra
gli oratori che, da parte delle citt italiane, andarono ad ar
ringare Bonifacio V ili al momento della sua glorificazione,
si contano diciotto Fiorentini. Da ci si vede che non ai
fuggiaschi di Costantinopoli si dovette la rinascita delle arti.
Questi Greci poterono insegnare agli Italiani solo il greco.
Essi non avevano quasi nessuna cognizione delle vere
scienze; e derivava dagli Arabi quel poco di fisica e di
matematica che si sapeva allora.
Pu sembrare sorprendente che in Italia siano sorti tan
ti grandi geni, senza protezione e senza modello, in mezzo
alle dissensioni e alle guerre; ma Lucrezio, presso i Roma-
2 3 / c n
CAPITOLO OTTANTADUESIMO 3 5 3
ni, aveva fatto il suo bel Foema della Natura, Virgilio' le sue
Bucoliche, Cicerone i suoi libri di filosofia, tra gli orrori
delle guerre civili. Una volta che una lin^a comincia a pren
dere la propria forma, essa uno strumento che i grandi
artisti trovano belle preparato e di cui si servono*, senza pren
dersi cura di chi governi e di chi. turbi la terra.
Se questo bagliore illumin la sola Toscana, non per que
sto mancarono altrove alcuni ingegni. San Bernardo e Abe
lardo in Francia, nel XII secolo, avrebbero potuto essere
reputati letterati raffinati; ma la loro lingua era un barbaro
gergo, e pagarono tributo in latino al cattivo gusto del tem
po. La rima alla quale furono assoggettati quegli inni latini
del XII e del XIII secolo il suggeEo deKa barbarie. Non
cos Orazio cantava i giuochi secolari. La teologia scolasti
ca, figlia bastarda della filosofia dAristotele, mal tradotta e
misconosciuta, fece pi torto alla ragione e ai buoni studi
di quanto non ne avessero fatto gli Unni e i Vandali.
Larte dei Sofocle non esisteva: in Italia si conobbero
allinizio soltanto delle rappresentazioni ingenue di qual
che storia deUAntico e del Nuovo Testamento-; e labi
tudine di rappresentare i misteri pass appunto da If in
Francia. Questi spettacoli erano originari di Costantinopoli.
Il poeta san Gregorio di Nazianzo li aveva introdotti per op
porli alle opere drammatiche degli antichi Greci e degli
antichi Romani: e poich i cori delle tragedie greche erano
inni religiosi e il loro teatro una cosa sacra, Gregorio di
Nazianzo e i suoi successori fecero delle tragedie sante; ma
purtroppo il nuovo teatro non ebbe la meglio su quello di
Atene come la religione cristiana ebbe la meglio su quella dei
gentili. Di quelle pie farse sono rimasti teatri ambulanti che
i pastori della Calabria portano ancora in giro: nei tempi di
solennit, essi rappresentano la nascita e la morte di Ges
Cristo. Il basso popolo delle nazioni settentrionali adott
ben presto anchesso queste usanze. Dipoi si sono trattati
quegli argomenti con maggiore dignit. Ne vediamo esempi
ai nostri giorni in quelle piccole opere che si chiamano ora
3 5 4 SAGGIO SUI COSTUMI
tori-, e alla fine i Francesi hanno portato suUa scena capo
lavori tratti dallAntico Testamento.
Intorno al XVI secolo, i confratelli deUa Passione in
Francia fecero comparire Ges Cristo sulla scena. Se la lin
gua francese fosse stata allora tanto maestosa quanto era
ingenua e grossolana, se fra tanti uomini ignoranti e rozzi si
fosse trovato un uomo di genio, v da credere che la morte
dun giusto, perseguitato' da sacerdoti ebrei e condannato da
un pretore romano, avrebbe potuto produrre una creazione
sublime; ma ci sarebbe voluto un tempo illuminato, e in un
tempo illuminato non si sarebbero permesse quelle rappre
sentazioni.
Le belle arti non erano declinate in Oriente; e poich le
poesie del persiano- Sadi sono ancora oggi suUa bocca dei
Persiani, dei Turchi e degli Arabi, bisogna veramente che
abbiano dei pregi. Egli era contemporaneo di Petrarca e
gode di altrettanta reputazione. vero che in genere il buon
gusto non stato un retaggio degli Orientali. Le loro opere
somigliano ai titoli dei loro sovrani, nei quali viene spesso
trattato del sole e della luna. Lo spirito di servit sembra
per natura ampolloso, cos come quello della libert forte
e conciso e quello della vera grandezza semplice. Gli Orien
tali non hanno delicatezza perch le donne noti sono ammes
se in societ. Non hanno n ordine n metodo perch
ognuno si abbandona alla propria immaginazione nella so
litudine in cui trascorrono una parte della loro vita, e per
ch limmaginazione di per se stessa sregolata. Non hanno
mai conosciuto la vera eloquenza, quale quella di Demostene
e di Cicerone. Chi ci sarebbe stato da convincere in Orien
te? degli schiavi. Eppure hanno dei bei bagliori di luce; di
pingono con la parola, e sebbene le immagini siano spesso ec
cessive e incoerenti, vi si trova qualcosa di sublime. Vi pia
cer forse rivedere qiai il passo di Sadi che avevo tradotto in
versi sciolti e che assomiglia a qualche passo dei profeti ebrei.
una descrizione della grandezza di Dio; luogo comune in
verit, ma che vi far conoscere il genio della Persia-.
CAPITOLO OTTANTADUESIMO 3 5 5
Il sait distinctement ce qui ne fui jamais,
De ce quon nentend pont son oreille est remplie.
Vrince, tl na pas besoin quon le serve genoux;
Juge, il na pas besoin qtie sa loi soit crte.
De Vternel hurn de sa prvision
Il a trace nos traits dans le sein de nos mres.
De laurore au couchant il porte le soleil:
Il sme de rubis les masses des montagnes.
Il preni deux gouttes deau; de lune il fait un homme,
De lautre il arrondit la perle au fond des mers.
Ltre au son de sa voix fut tir du nant.
Quil parie, et dans Vinstant lunivers va rentrer
Dans les immensits de lespace et du vide;
Qt^il parie, et lunivers repasse en un din dceil
Des ahmes du rien dans les plaines de ltre*.
Se le belle lettere erano cos coltivate suUe rive del Ti
gri e dellEufrate, questa una prova che le altre arti che
contribuiscono ai diletti della vita erano conosciutissime. Non
si ha il superfluo se non dopo il necessario; ma quel neces
sario mancava ancora in quasi tutta lEuropa. Che cosa si
conosceva in Germania, in Francia, in Inghilterra, in Spagna
e nella Lombardia settentrionale? i costumi barbari e feu
dali, tanto incerti quanto tumultuosi, i duelli, i tornei, la
teologia scolastica e i sortilegi.
Si celebrava sempre in parecchie chiese la festa dellasino,
cos come quella degli innocenti e dei pazzi. Si conduceva im
asino davanti allaltare e, come antifona, gli si cantava; Amen,
amen, asine; eh eh eh, sire ine, eh eh eh, sire ne.
* Voltaire adatta qui una traduzione di Ch a r d i n , Voyages en Verse,
cap. XIV, De la Posie:
Sa distintamente ci che non fu mai, / Di ci che non sintende lorec
chio suo pieno. / Piincipe, non ha bisogno che lo si serva in ginocchio;
/ Giudice, non ha bisogno che la sua legge sia scritta. / Con l eterno
burino deUa sua preveggenza / Ha tracciato le nostre sembianze nel seno
delle nostre madri. / Dallaurora a ponente egli porta U sole: / Semina di
rubini le masse delle montagne. / Prende due gocce dacqua; con l una
foggia un uomo, / Con l altra la rotonda perla in fondo ai mari. / Al
suono deUa sua voce l essere fu tratto dal nulla. / Chegli parli, e in xm
istante l universo rientrer / NeUe immensit dello spazio e del vuoto; /
Chegli parli, e luniverso ripassa in un batter docchio / Dagli abissi del
nulla alle piane dellessere.
3 5 6 SAGGIO SUI COSTUMI
Du Cange e i suoi continuatori, i pi esatti dei compi
latori, citano un manoscritto di cinquecentanni che contie
ne l inno dellasino;
Orientis partibus
Adventavit asinus
Pulcher et fortissimus.
Eh! sire ne, g, chantez,
Belle bouche, rechignez,
Vous aurez du fotn assez*.
Una fanciulla rappresentante la madre di Dio che an
dava in Egitto, seduta su questasino e con un bambino tra
le braccia, guidava una lunga processione; e alla fine della
messa, invece di dire ite, missa est, il prete si metteva a ra
gliare per tre volte con quanta forza aveva, e il popolo ri
spondeva con le stesse grida.
Questa superstizione da selvaggi veniva tuttavia dallIta
lia. Ma bench nel XIII e nel XIV secolo alcuni Italiani co
minciassero a uscire dalle tenebre, tutto il volgo continuava
a esservi immerso. A Verona sera immaginato che lasino
che port Ges Cristo avesse camminato sul mare e fosse
andato fin sulle rive dellAdige attraverso il golfo di Venezia;
che Ges Cristo gli avesse assegnato un prato per pascolo,
che vi fosse vissuto a lungo, che vi fosse morto. Se ne rac
chiusero le ossa in un asino artificiale che fu deposto nella
chiesa di Santa Maria degli Organi, sotto la custodia di quat
tro canonici: queste reliquie furono portate in processione
tre volte allanno con la pi grande solennit.
Fu questasino di Verona a fare la fortuna di Nostra Si
gnora di Loreto. Vedendo che la processione dellasino atti
rava molti stranieri, il papa Bonifacio VIII credette che la
casa della Vergine Maria ne avrebbe attirato di pi e non
singann: assever quella favola con la sua autorit aposto
lica. Se il popolo credeva che un asino avesse carmninato
* "Dalle parti dOriente / Venne un asino / Bello e fortissimo. Eh!
ser asino, su, cantate, / BeUa bocca, fate una smorfia, / Avrete bastante
fieno.
CAPITOLO OTTANTADUESIMO 3 5 7
sul mare da Gerusalemme sino a Verona, poteva ben cre
dere che la casa di Maria fosse stata trasportata da Naza
reth a Loreto. La casetta fu ben presto racchiusa in una
chiesa superba: i viaggi dei pellegrini e i doni dei principi
resero quel tempio ricco quanto quello di Efeso. Gli Italia
ni almeno si arricchivano dellaccecamento degli altri popoli;
ma altrove si abbracciava la superstizione di per se stessa
e solo abbandonandosi allistinto rozzo e allo spirito del tem
po. Avete osservato pi duna volta che quel fanatismo per
il quale gli uomini hanno tanta propensione, sempre servito
non solo ad abbrutirli di pi, ma anche a renderli pi cat
tivi. La religione pura addolcisce i costumi rischiarando lo
spirito; e la superstizione, accecandolo, ispira tutti i furori.
Vera in Normandia, che detta il paese della saggezza*,
un abate dei conards** che veniva portato in giro in diverse
citt su im carro a quattro cavalli, con la mitra in testa, il pa
storale in mano, in atto di dare benedizioni e lettere pasto
rali.
Un re dei ribaldi era istituito a corte con lettere patenti.
In origine era un capo, un giudice duna piccola guardia del
palazzo, e fu poi un giullare di corte che percepiva un diritto
sui mariuoli e sulle sgualdrine. Non cera citt che non aves
se confraternite di artigiani, di borghesi, di donne: le ceri
monie pi stravaganti vi erano elevate a sacri misteri; e ap
punto di qui viene la societ dei franchi muratori***, sot
trattasi al tempo, che ha distrutto tutte le altre.
La pi spregevole di tutte queste confraternite fu quella
dei flagellanti, e fu la pi diffusa. Aveva cominciato dap
prima per l insolenza di alcuni preti, che immaginarono di
abusare della debolezza dei pubblici penitenti al punto di
fustigarli: si vede ancora un resto di questusanza nelle
verghe di cui sono armati i penitenzieri a Roma. Successiva-
* Lappellativo di pays de sapience verme dato alla Normandia sia a
causa della saggia legislazione che le diede il capo normanno Rollone dopo
il 911, sia per il carattere prudente e anche diffidente della popolazione.
** Il Du C a n g e (in Glossarium, alla voce "Abbas conardorum) spiega
che cosi si soleva chiamare a Rouen e a vreux il capo duna compagnia
di gaudenti detti conardi.
*** Cio dei massoni.
3 5 8 SAGGIO SUI COSTUMI
mente i monaci si fustigarono;, immaginando che nulla fosse
pi gradito a Dio che la schiena cicatrizzata dun monaco.
Nellundicesimo secolo, Pier Damiani incit gli stessi secolari
a fustigarsi nudi. Si videro nel 1260 parecchie confrater
nite di pellegrini andare in giro per lItalia armati di fruste.
Percorsero poi una parte dellEuropa. Questa associazione
form persino una setta che dovette alla fine essere dispersa.
Mentre torme di straccioni percorrevano il mondo fusti
gandosi, dei giullari procedevano in quasi tutte le citt in
testa alle processioni, con una veste pieghettata, dei sonagli,
uno scettro della follia; e la moda se n ancora conservata
nelle citt dei Paesi Bassi e in Germania. Le nostre nazioni
settentrionali avevano per unica letteratura, in lingua vol
gare, le farse dette moralit, seguite da quelle della madre
grulla e del principe dei grulli.
Daltro non si sentiva parlare se non di rivelazioni, di
ossessioni, di malefici. Si osa accusare dadulterio la moglie
di Filippo III, e il re manda a consultare una Beghina per
sapere se la moglie innocente o colpevole. I figli di Filippo
il Bello formano per iscritto unassociazione tra di loro, e si
promettono mutuo aiuto contro coloro' che vorranno farli
perire per mezzo della magia. Viene arsa con decreto del par
lamento ima strega che ha fabbricato con il diavolo un atto
in favore di Roberto dArtois. La malattia di Carlo VI
attribuita a un sortilegio, e si fa venire un mago per guarir
lo. La principessa di Gloucester, in Inghilterra, condannata
a fare onorevole ammenda davanti alla chiesa di San Paolo,
come lo si gi fatto osservare; e ima baronessa del regno,
sua presunta complice, viene bruciata viva come strega.
Se questi orrori, partoriti dalla credulit, ricadevano suUe
prime persone dei regni dellEuropa, abbastanza evidente a
che cosa erano esposti i semplici cittadini. Questa era ancora
la sventura minore.
La Germania, la Francia, la Spagna, tutta lItalia a ec
cezione delle grandi citt commerciali erano assolutamente
prive di regolamentazioni per la sicurezza pubblica. Le bor
gate cinte di mura della Germania e della Francia furono
CAPITOLO OTTANTADUESIMO 3 5 9
saccheggiate nelle guerre civili. Limpero greco u inondato
dai Turchi. La Spagna era ancora divisa tra i cristiani e i
maomettani arabi, e ogni partito era spesso dilaniato da
guerre intestine. Infine, al tempo di Filippo di Valois, di
Edoardo III, di Ludovico di Baviera, di Clemente VI ima
peste generale porta via quanto era sfuggito alla spada e alla
miseria.
Immediatamente prima di quei tempi del XIV secolo, si
sono viste le crociate spopolare e impoverire la nostra Euro
pa. Risalite da queste crociate ai tempi che trascorsero dopo
la morte di Carlomagno; essi non sono meno infelici e sono
ancora pi rozzi. Il paragone di quei secoli con il nostro
(quali che siano le perversit e le sventure che possiamo su
bire) deve farci sentire la nostra fortuna, nonostante la pro
pensione quasi invincibile che abbiamo di lodare il passato
a spese del presente.
Non bisogna credere che tutto sia stato selvaggio: vi fu
rono grandi virt in tutti gli Stati, sul trono e nei chiostri,
tra i cavalieri, tra gli ecclesiastici; ma n un san Luigi n un
san Ferdinando poterono guarire le piaghe del genere umano.
La lunga contesa degli imperatori e dei papi, la lotta ostinata
della libert di Roma contro i Cesari della Germania e contro
i pontefici romani, gli scismi frequenti e da ultimo il grande
scisma dOccidente, non permisero a papi eletti in mezzo ai
torbidi di esercitare virt che tempi pacifici avrebbero ispi
rato loro. Era mai possibile che la corruzione dei costumi
non si estendesse sino a essi? Ogtii uomo formato dal suo
secolo: ben pochi si innalzano sopra i costximi del tempo. I
delitti nei quali furono trascinati parecchi papi, i loro scan
dali giustificati da un esempio generale non possono essere
sepolti nelloblio. A che serve la descrizione dei loro vizi e dei
loro disastri? a far vedere quanto sia felice Roma da quando
vi regnano la decenza e la tranquillit. Quale maggior frut
to possiamo trarre da tutte le vicissitudini raccolte in que
sto Saggio sui costumi di quello di convincerci che ogni na
zione sempre stata infelice fino a che le leggi e il potere
legislativo non sono stati instaurati senza contrasti?
3 6 0 SAGGIO SUI COSTUMI
Allo stesso modo che alcuni monarchi, alcuni pontefici,
degni dun tempo migliore, non poterono arrestare tanti di
sordini, cos alcune menti assennate, nate nelle tenebre del
le nazioni settentrionali, non poterono attirarvi le scienze
e le arti.
Il re di Francia Carlo V, che raccolse circa novecento
volumi centanni prima che la Biblioteca del Vaticano fosse
fondata da Nicola V, incoraggi invano i talenti. Il terreno
non era preparato a portare quei frutti stranieri. Si sono
raccolte alcune infelici composizioni di quei tempi. come
ammucchiare sassi tratti da antiche catapecchie quando si
circondati di palazzi. Egli fu costretto a far venire da Pisa
un astrologo; e Caterina*, figlia di questastrologo, che scrisse
in francese, asserisce che Carlo dicesse: FinO' a tanto- che
la dottrina sar onorata in questo regno, esso continuer in
prosperit . Ma la dottrina fu sconosciuta, il gusto ancora
di pi. Uno sventurato paese, sprovvisto di leggi stabili,
agitato da guerre civili, senza commercio, senza regolamenti
di sicurezza pubblica, senza costumi scritti e governato da
mille costumi diversi; un paese in cui la met si chiamava
lingua dOwz o 'Oil e laltra la lingua dOc, poteva forse
non essere barbaro? La nobilt francese ebbe lunico vantag
gio di unesteriorit pi splendida che le altre nazioni.
Quando Carlo di Valois, fratello di Filippo il BeUo, era
passato in Italia, i Lombardi, i Toscani stessi, presero le
mode dei Francesi. Queste mode erano stravaganti; si trat
tava dun corpetto che si allacciava di dietro, come oggi quel
li delle fanciulle; grandi maniche pendule, un cappuc
cio la cui punta strisciava a terra. I cavalieri francesi con
ferivano nondimeno grazia a questa mascherata, e giustifi
cavano quanto aveva detto Federico II; Flas me el cavdier
frames. Sarebbe stato meglio conoscere allora la disciplina
militare: la Francia non sarebbe stata preda dello straniero
sotto Filippo di Valois, Giovanni e Carlo VI. Ma come mai
* Non Caterina, ma Christine de Pizzano (1364 - intorno allarme 1430),
poetessa e letterata, nata a Venezia, che segui in Francia il padre Tonunaso
da Pizzano, valente medico e astrologo. La sua rnigliore opera in prosa
Le Livre des faits et bonnes mceurs du roi Charles V, scritta nel 1404.
CAPITOLO OTTANTADUESIMO 3 61
essa era pi familiare agli Inglesi? forse perch combatten
do lontano dalla loro patria, sentivano di pi il bisogno di
questa disciplina, o piuttosto perch quella nazione ha un
coraggio pi tranquillo e pi riflessivo.
3 6 2 SAGGIO SUI COSTUMI
AFFRANCAMENTI, PRIVILEGI DELLE CITT, STATI
GENERALI
D a l l anarchia generale dellEuropa, persino da tanti di
sastri, nacque il bene inestimabile della libert, che ha fatto
fiorire a poco a poco le citt imperiali e tante altre citt.
Avete gi osservato che agli inizi dellanarchia feudale
quasi tutte le citt erano popolate piuttosto da servi che non
da cittadini, come si vede ancora in Polonia, dove ci sono
soltanto tre o quattro citt cui consentito di possedere ter
re e dove gli abitanti appartengono al lorO' signore, che ha su
di essi diritto di vita e di morte. Lo stesso accadde in Germa
nia e in Francia. Gli imperatori cominciarono coUaffrancare
parecchie citt; e dal XIII secolo esse si unirono per la pro
pria difesa comune contro i signori di castelli, che si mante
nevano con il latrocinio.
In Francia, Luigi il Grosso segu questesempio nei suoi
domini per indebolire i signori che gli facevano la guerra.
I signori stessi vendettero alle loro piccole citt la libert
per avere di che tenere alto in Palestina lonore della ca
valleria.
Infine, nel 1167, papa Alessandro III proclama, in no
me del concilio*, che tutti i cristiani dovevano essere esenti
dalla servit. Questa sola legge deve rendere cara la sua
memoria a tutti i popoli, cos come i suoi sforzi per difendere
la libert dellItalia debbono renderne prezioso il nome agli
Italiani.
Appunto in virt di quella legge, molto tempo dopo il re
Luigi Hutin proclam nelle sue carte che tutti i servi che
CAPITOLO LXXXIII
restavano ancora in Francia dovevano essere afirancati, per
ch, egli dice, il regno dei Franchi. Faceva pagare, vero,
questa libert, ma era mai possibile comprarla a troppo
caro prezzo?
Nondimeno gli uomini non reintegrarono se non per
gradi e con molte difficolt il loro diritto naturale. Luigi Hu-
tin non pot costringere i signori suoi vassalli a fare per gli
assoggettati ai loro domini quanto egli faceva per i suoi.
I coltivatori, gli stessi borghesi rimasero ancora a lungo uomi
ni di poest, uomini potenzialmente legati alla gleba, cos
come lo sono ancora in parecchie province di Germania. So
lo al tempo di Carlo VII la servit fu abolita in Francia nel
le citt principali. Tutto sommato cos difficile operare be
ne, che nel 1778, tempo in cui rivedo questo capitolo, ci
sono ancora alcuni cantoni in Francia in cui il popolo schia
vo e, cosa tanto orribile quanto contraddittoria, schiavo di
monaci.
Le monde avec lenteur marche vers la sagesse*.
Prima di Luigi Hutin i re annobilirono alcuni cittadini.
Filippo lArdito, figlio di san Luigi, annobil Raul che era
chiamato Raul lOrefice; non gi che fosse un operaio, il suo
annobilimento sarebbe stato ridicolo: era colui che custo
diva il denaro del re. Si chiamavano orefici quei depositari,
cos come vengono chiamati ancora a Londra, dove si sono
conservati molti costumi dellantica Francia; e san Luigi
annobil senza dubbio il suo chirurgo La Brosse, dal mo
mento che lo fece suo ciambellano.
Le comunit delle citt avevano cominciato in Francia
sotto Filippo il Bello, nel 1301, a essere ammesse agli stati
generali che vennero sostituiti allora agli antichi parlamenti
della nazione, composti per linnanzi di signori e di prelati.
II terzo stato vi espose il proprio parere sotto il nome di ri
chiesta: questa richiesta fu presentata in ginocchio. Si sem
pre conservata l usanza che i deputati del terzo stato parlas-
* 11 mondo lentamente procede verso la saggezza; versi tratti dalla
tragedia Lois de Minos (atto III, scena v) dello stesso Voltaire.
3 6 4 SAGGIO SUI COSTUMI
sero al re con un ginocchio a terra, cos come i membri del
parlamento, del parquet* e lo stesso cancelliere nei lits
de justice. Quei primi stati generali furono tenuti per op
porsi alle pretese di papa Bonifacio V ili. Bisogna ammet
tere che era triste per lumanit che vi fossero solo due or
dini nello Stato: limo composto di signori dei feudi, che non
costituivano la cinquemillesima parte della nazione, laltro
del clero, assai meno numeroso ancora e che, per la sua isti
tuzione sacra, destinato a un ministero superiore, estraneo
agli afiari temporali. Il corpo della nazione non era stato
dunque tenuto in alcun conto fino' ad allora. Era questa una
delle vere ragioni che avevano fatto languire il re ^ o di
Francia soffocando ogni industria. Se in Olanda e in Inghil
terra il corpo dello Stato fosse stato composto soltanto da
baroni secolari e da ecclesiastici, questi popoli, nella guerra
del 1701, non avrebbero mantenuto lequilibrio dellEuro
pa. Nelle repubbliche, a Venezia, a Genova, il popolo non
ebbe mai parte al governo, ma non fu mai schiavo. I citta
dini dItalia erano molto diversi dai borghesi dei paesi del
Settentrione; i borghesi in Francia, in Germania, erano bor
ghesi dun signore, dun vescovo o del re: appartenevano a
un uomo; cittadini appartenevano soltanto alla repubblica.
La cosa pi orrenda il fatto che in Francia siano rimasti an
cora troppi servi della gleba.
Filippo il Bello, al quale si rimprovera la sua poca leal
t riguardo alle monete, la sua persecuzione contro i templa
ri e unanimosit forse troppo accanita contro Bonifacio' VIII
e contro la sua memoria, fece dunque im gran bene alla na
zione chiamando il terzo stato alle assemblee generali della
Francia.
essenziale fare sugli stati generali di Francia unosser
vazione che i nostri storici avre&ero dovuto fare: la Fran
cia il solo paese del mondo in cui il clero costituisca un
ordine dello Stato. Altrove i preti hanno dappertutto credi
* In origine il termtie -parquet designava la sala in cui si riunivano le
gens du roi (cio i magistrati incaricati del pubblico ministero nei par
lamenti, avvocati e procuratori del re nei tribunali inferiori); poi, per
estensione, le stesse gens du roi.
CAPITOLO OTTANTATREESIMO 3 6 5
to, ricchezze, sono distinti dal popolo per le loro vesti; ma
non formano un ordine legale, una nazione nella nazione.
Non sono un ordine dello Stato n a Roma n a Costanti
nopoli: n il papa n il' Gran Turco riuniscono mai in assem
blea il clero, la nobilt e il terzo stato. Uulema, che il
clero dei Turchi, un corpo formidabile, ma non gi quel
che noi chiamiamo un ordine della nazione. In Inghilterra
i vescovi siedono in parlamento, ma vi siedono come baroni
e non come sacerdoti. I vescovi e gli abati hannO' diritto di
sedere nella dieta di Germania; ma lo fatmo come elettori,
principi, conti. La Francia la sola dove si dica: il clero, la
nobilt e il popolo.
In Inghilterra la camera dei comuni cominciava a formar
si a quel tempo e prese un gran credito sin dallanno 1300.
Cos il caos del governo cominciava a districarsi quasi dap
pertutto, per effetto delle stesse sciagure che il sistema feu
dale, troppo anarchico, aveva dappertutto cagionato. Ma i
popoli, riprendendo tanta libert e tanti diritti, non pote
rono per lungo tempo uscire dalla barbarie cui li aveva ri
dotti labbrutimento che nasce da una lunga servit. Ac
quistarono la libert: furono tenuti in contO' di uomini;
ma non per questo furono pi civili o pi industriosi. Le
guerre crudeli di Edoardo III e di Enrico V sprofondarono
il popolo di Francia in uno stato peggiore della schiavit, ed
esso non respir se non negli ultimi anni di Carlo VII. Il
popolo non fu meno* infelice in Inghilterra dopo il regno' di
Enrico V. La sua sorte fu meno da compatire in Germania
al tempo di Venceslao e di Sigismondo, perch le citt im
periali erano gi potenti.
3 6 6 SAGGIO SUI COSTUMI
TAGLIE E MONETE
N e l 1345, agli stati tenuti da Filippo di Valois il terzo
stato serv soltanto a dare il suo consenso alla prima imposta
delle aides* e delle gabelle; ma certo che se fossero stati
riuniti pi spesso in Francia, gli stati avrebbero acquisito
maggiore autorit: infatti, subito dopo il regno di quello
stesso Filippo di Valois, divenuto inviso per la falsa moneta
e screditato per le sue sventure, gli stati del 1355 di cui
abbiamo gi parlato nominarono essi stessi dei commissari
dei tre ordini per raccogliere il denaro che veniva accordato
al re. Coloro che dnno ci che vogliono e come vogliono
condividono lautorit sovrana: ecco perch i re non han
no convocato quel genere di assemblea se non quando non
hanno potuto sottrarvisi. Cos, la scarsa abitudine che la na
zione ha avuto di esaminare i propri bisogni, le proprie ri
sorse e le proprie forze ha sempre lasciato gli stati gene
rali sprovvisti della perseveranza nelle proprie idee e della
conoscenza dei propri affari che hanno le adunanze rego
lari. Convocati a grandi intervalli, si interrogavano sulle leg
gi e suUe usanze invece di fame: erano stupiti e incerti. I par
lamenti dInghilterra si sono attribuiti maggiori prerogative;
si sono instaurati e mantenuti nel diritto dessere un corpo
necessario che'rappresenta la nazione. Qui soprattutto si co
glie la differenza tra i due popoli. Partiti ambedue dagli
* In origine il termine aides indicava ogni tributo pecuniario che un
vassallo doveva al suo signore. Pi tardi indic particolarmente i tributi in
diretti sulle bevande.
CAPITOLO LXXXIV
stessi principi, il loro governo divenuto completamente di
verso; allora era in tutto simile. Gli stati dellAragona, quel
li dUngheria e le diete di Germania avevano privilegi anche
maggiori.
Gli stati generali di Francia, o piuttosto la parte della
Francia che combatteva per il suo re Carlo VII contro lusur-
patore Enrico V, accord generosamente al suo signore una
taglia generale nel 1426, nel pieno della guerra, nella care
stia, nel tempo in cui persino si paventava di lasciare le
terre senza coltura. (Sono, queste, le precise parole pronun
ciate nellarringa del terzo stato.) Questimposta da quel
tempo fu perpetua. I re per laddietro vivevano dei loro pos
sessi; ma a Carlo VII non restavano quasi pi possessi e,
senza i valorosi guerrieri che si sacrificarono per lui e per
la patria, senza il conestabile di Richemont che lo condu
ceva a suo talento, ma che lo serviva a proprie spese, sareb
be stato perduto.
Subito dopo, i coltivatori che avevano pagato per lin-
nanzi delle taglie ai loro signori dei quali erano stati ser
vi pagarono questo tributo al solo re di cui furono sudditi.
Non gi che i re non avessero anchessi prelevato taglie, anche
prima di san Luigi, nelle terre del patrimonio regio. Si cono
sce la taglia di pane e vino, pagata dapprima in natura e poi
in denaro. Questa parola derivava dalluso degli esat
tori di segnare su una piccola assicella di legno ci che i
contribuenti avevano dato: presso il comune popolo, nuUa
era pi raro che sapere scrivere. Gli stessi costumi delle
citt non erano scritti; e fu lo stesso Carlo VII a ordi
nare che venissero redatti nel 1454, quandebbe rimesso
nel regno lordine e la tranquillit di cui esso era stato pri
vato per cos lungo tempo e quando* una cosi lunga seque
la di sventure ebbe fatto nascere una nuova forma di go
verno.
Considero dunque qui in generale la sorte degli uomini
piuttosto che le rivoluzioni del trono. Appunto al genere uma
no si sarebbe dovuto fare attenzione nella storia: ivi ogni
3 6 8 SAGGIO SUI COSTUMI
scrittore avrebbe dovuto dire homo sum\ xqa. la maggior par
te degli storici hanno descritto battaglie.
Ci che turbava ancora in Europa l ordine pubblico, la
tranquillit, la fortuna delle famiglie era lo svilimento delle
monete. Ogni signore ne faceva battere e alterava il titolo
e il peso, arrecando a se stesso un male durevole per un
beneficio momentaneo. I re erano stati costretti dalla ne
cessit dei tempi a dare questo funesto esempio. Ho gi fat
to osservare che Toro di una parte dellEuropa, e soprattut
to della Francia, era stato inghiottito in Asia e in Africa dalle
sventure delle crociate. Tra i bisogni sempre rinascenti fu
dunque necessario aumentare il valore numerario delle mo
nete. Al tempo del re Carlo V, dopo chegli ebbe conquista
to il suo regno la lira valeva tra otto e nove delle nostre lire
in numerario; sotto Carlomagno essa era stata realmente del
peso di una libbra di dodici once. La lira di Carlo V fu dun
que di fatto soltanto circa due tredicesimi dellantica lira:
dunque una famiglia che per vivere avesse un antico censo,
uninfeudazione, un diritto', pagabile in denaro, era dive
nuta sei volte e mezzo pi povera.
Si giudichi, da un esempio aiicor pi evidente, quanto
poco denaro circolava in un regno quale la Francia. Quello
stesso Carlo V deliber che 0 s de trance* avrebbero avuto
un appaimaggio di dodiciinila lire di rendita. Quelle dodi
cimila lire ne valgono oggi solo centomila. Che piccola ri
sorsa per il figlio di un re! Le monete non erano meno rare
in Germania, in Spagna, in Inghilterra.
Il re Edoardo III fu il primo a far battere monete doro.
Si pensi che i Romani non ne ebbero se non seicentocinquan-
t anni dopo la fondazione di Roma.
Come unico reddito Enrico V aveva solamente cinquan-
taseimila lire sterline, circa un milione duecentoventimila lire
della nostra moneta doggi. Con questo debole ausilio volle
conquistare la Francia. Perci dopo la vittoria di Azincourt
era costretto ad andare a prendere denaro a prestito a Londra
* Figli maschi del re.
24/cn
CAPITOLO OTTANTAQUATTRESIMO 369
e a dare tutto'a pegno per ricominciare la guerra. E tutto
sommato le conquiste si facevano col ferro pi che con loro.
In Svezia si conosceva allora solamente la moneta di
ferro e di rame^ In Danimarca non vera argento se non
qudlo che era passato' in quel paese grazie al commercio di
Lubecca in piccolissima quantit.
Nella generale scarsit di denaro che si pativa in Fran
cia dopo le crociate, il re Filippo il Bello aveva non sol
tanto accresciuto il prezzo' fittizio e ; ideale delle monete; ne
fece fabbricare di bassa lega, do vi fece mescolare troppa
lega: in una parola, si trattava di monta falsa, e le sedi
zioni che questa manovra suscit non resero pi felice la
nazione. FiHppo di Valois si era spinto persino pi in l di
Filippo il Bello: faceva giurare sui vangeli agli ufficiali delle
monete di mantenere il segreto. Nella sua orinanza ingiunge
loro dingannare i mercanti in modo, r egli dice, che
non si accorgano che v cambiamento di peso. Ma come
poteva illudersi che questa infedelt non venisse scoperta?
e , che tempo era quello in cui sera costretti a ricorrere a
simili artifizi! Che tempo quello in cui quasi tutti i signori di
feudi, da saji Luigi in poi, facev^o ci che si rimprovera a
Filippo il Bello e a Filippo i Valois! Quei signori vendet
tero in Francia al sovrano il loro diritto di batter moneta; in
Germania lhanno conservato tutti, e ne sonO' talvolta deri
vati grandi abusi, ma non cos universali n cos funesti.
3 7 0 SAGGIO SUI COSTUMI
DEL PARLAMENTO DI PARIGI SINO A CARLO VII
S e Filippo il Bello', che fece tanto di quel male alterando la
buona moneta di san Luigi, fece del gran bene chiamando al
le assemblee della nazione i cittadini che sono di fatto il
corpo della nazione, non ne fece meno^ istituendo* sotto il no
me di parlamento una corte sovrana di giudicatura seden
taria a Parigi.
Quanto si scritto sullorigine e sulla natura del parla
mento di Parigi d soltanto lumi confusi, perch ogni pas
saggio dalle antiche usanze alle nuove sfugge allo* sguardo.
C chi vuole che le camere des enqutes e des requtes* rap
presentino precisamente gli antichi conquistetori della Gal-
lia; altri asserisce che il parlamento non abbia alcun dirit
to di rendere giustizia se non perch gli antichi pari erano
i giudici della nazione, e perch il parlamento^ si chiama la
corte dei pari.
Un po dattenzione rettificher queste idee. Allinizio del
XIV secolo, sotto Filippo il Bello, si oper un gran cam
biamento in Francia: consistette nel fatto* che il gran siste
ma feudale e aristocratico era stato scalzato a poco a poco nei
domini del re di Francia; che Filippo il Belo eresse quasi
allo stesso tempo ci che vennero chiamati i parlamenti di
Parigi, di Tolosa, di Normandia e i grands jours** di Troyes,
* Erano due giurisdizioni del parlamento; nella prima venivano giu
dicati per iscritto i processi di prima istanza, nella seconda erano esaminati
i ricorsi.
** Assise straordinarie tenute da giudici tratti dal parlamento, scelti
dal re e da questi deputati con poteri estesissimi nelle province lontane per
CAPITOLO LXXXV
per rendere la giustizia; che tl parlamento di Parigi era il
pi ragguardevole per lampiezza del suo distretto, che Fi
lippo il BeUo lo rese sedentario a Parigi e che Filippo il
Lungo lo rese perpetuo. Esso era il depositario e linterpre
te delle leggi antiche e nuove, il custode dei diritti della co
rona e loracolo della nazione, ma non rappresentava affatto la
nazione. Per rappresentarla bisogna o essere da essa nomi
nati o possederne il diritto inerente neUa propria persona.
Gli ufficiali di questo parlamento (salvo i pari) erano no
minati dal re, pagati dal re, amovibili da parte del re.
Il consiglio ristretto del re*, gli stati generali, il par
lamento erano tre cose molto diverse. Gli stati generali era
no autenticamente l antico parlamento di tutta la nazione,
ai quali verniero aggiunti i deputati dei comuni. Il consiglio
ristretto del re era composto dei grandi ufficiali chegli vole
va ammettervi, e soprattutto dei pari del regno, che erano
tutti principi del sangue; e la corte di giustizia, chiamata
parlamento, divenuta sedentaria a Parigi, era da principio
composta di vescovi e di cavalieri, assistiti da legisti sia ton
surati sia laici, istruiti delle procedure.
Bisognava pure che i pari avessero diritto di sedere in
questa corte, dal momento cherano originariamente i giudici
della nazione. Ma quandanche i pari non avessero avuto di
ritto di sedervi, essa sarebbe stata nondimeno una corte su
prema di giudicatura, cos come la camera imperiale di Ger
mania una corte suprema, quantunque n gK elettori n gli
altri principi dellimpero vi abbiano mai assistito, e cos co
me anche il consiglio di Castiglia una giurisdizione supre
ma, quantxmque i grandi di Spagna non abbiano H privilegio
di sedervi.
Questo parlamento non era come le antiche assemblee
dei campi di marzo e di maggio di cui conservava il nome.
I pari ebbero in verit diritto di assistervi; ma quei pari
non erano, come lo sono ancora in Inghilterra, i soli nobili
giudicare in ultima istanza tutti gli' affari civili e penaU su appello dei
giudici ordinari del luogo, ma soprattutto per istruire i processi penali
contro coloro che la lontananza aveva reso pi audaci nel deKtto.
* Era una delle sezioni (e la pi alta e segreta) del "Consiglio del re.
3 7 2 SAGGIO SUI COSTUMI
del regno: erano principi dipendenti dalla corona, e quando
se ne creavano di nuovi, non si osava prenderli se non tra
i principi. Poich la Champagne aveva cessato di essere
una paria, avendola Filippo il Bello acquistata per eflEetto del
suo matrimonio, egli eresse a paria la Bretagna e TArtois.
I sovrani di questi Stati non andavano certo a giudicare
cause al parlamento di Parigi, ma parecchi vescovi vi an
davano.
Questo nuovo parlamento si riuniva allinizio due volte
allanno. Si cambiavano sovente i membri di questa corte di
giustizia, e il re li pagava dal proprio tesoro per ognuna del
le loro sedute.
Si chiamarono questi parlamenti corti sovrane-, il presi
dente si chiamava sovrano del corpo, il che significava sol
tanto capo. Prova ne siano queste esplicite parole dellordi
nanza di Filippo y. Bello: Nessun mdtre* si assenti dalla
camera senza il congedo del suo sovrano. Debbo ancora
far osservare che allinizio* non era permesso perorare per
mezzo di un procuratore; bisognava compatire** di persona,
salvo unespressa dispensa del re.
Se i prelati avessero conservato il loro diritto di assi
stere alle sedute di questa compagnia sempre funzionante, es
sa sarebbe potuta diventare alla limga unassemblea di stati
generali perpetua. I vescovi ne furono' esclusi sotto Filippo
il Lungo nel 1320. Avevano da principio presieduto al par
lamento e preceduto il cancelliere. Il primo laico che presie
dette a questa compagnia per ordine del re, nel 1320, fu uno
dei pi alti signori, il conte di Boulogne, che possedeva i di
ritti regi, in una parola un principe. Tutti gli uomini di legge
presero soltanto il titolo di consigliere fin verso lanno 1350.
Poi, divenuti presidenti, i giureconsulti portarono il mantello
da cerimonia dei cavalieri. Ebbero i privilegi della nobil
t: furono spesso chiamati cavalieri in legge. Ma i nobili di
nome e darmi ostentarono sempre disprezzo per quella no
* Titolo die veniva dato ai membri del parlamento.
** Nel testo ester droit: antico termine giuridico che significava la
comparizione davanti al giudice per un ordine ricevuto, e che si applicava
soltanto a questioni di diritto penale.
CAPITOLO OTTANTACINQUESIMO 3 7 3
bilt pacifica. I discendenti degli umini di legge non sono
ancora ammessi nei capitoli di Germania. un resto dellan
tica barbarie il conferire avvilimento alla pili bella funzione
dellumanit, quella di rendere la giustizia.
Si obietta che ad avvilirli non era la funzione di rendere
la giustizia, poich la rendevano i pari e i re, ma il fatto
che uomini nati in condizione servile, introdotti dapprima al
parlamento di Parigi per istruire i processi e non per dare i
loro voti, e che avevano poi preteso ai diritti della nobilt,
alla quale sola spettava giudicare la nazione, non dovessero
condividere con questa nobilt onori incomunicabili. Il ce
lebre Fnelon*, arcivescovo di Cambrai, in una lettera alla
nostra Acadmie frangaise, ci scrive che per essere degni di
fare la storia di Francia bisogna essere versati nelle nostre
antiche usanze; che bisogna sapere, per esempio, che i con
siglieri del parlamento furono in origine servi che avevano
studiato le nostre leggi e che consigliavano i nobili alla cor
te del parlamento. Questo pu essere vero per alcuni, elevati
a tale onore dal merito; ma anche pi vero che nella mag
gior parte non erano servi, che erano figli di buoni borghe
si da gran tempo afiErancati e che vivevano liberamente sotto
la protezione dei re di cui erano borghesi. Questordine di
cittadini in ogni tempo e in ogni paese ha maggiori facilit
per istruirsi di quante non ne abbiano gli uomini nati nella
schiavit.
Questo tribunale era, come sapete, ci che in Inghil
terra la corte chiamata del banco del re. I re inglesi, vassal
li di quelli di Francia, imitarono in tutto le usanze dei loro
signori supremi. Cera un procuratore del re al parlamento
di Parigi; ve ne fu uno al banco del re dInghilterra; il can
celliere di Francia pu presiedere ai parlamenti francesi, il
cancelliere dInghilterra al banco di Londra. Il re e i pari
inglesi possono cassare i giudizi del banco, cos come il re
* Fran9ois de Salignac de La Mothe-Fnelon (1651-1715), arcivesco
vo e grande studioso, autore di numerosissime pubblicazioni di carattere
teologico, filosofico,, politico, storico e letterario. Fu precettore del duca di
Borgogna, delfino di Francia, per il quale scrisse il suo famoso libro les
Aventures de Tlmaque.
3 7 4 SAGGIO SUI COSTUMI
di Francia cassa le decisioni del parlamento nel suo consiglio
di Stato, e cos come li casserebbe con i pari, i grandi si
gnori e la nobilt negli stati generali, die sono il parlamento
della nazione. La corte del banco non pu fare leggi, cosi
come non pu farne il parlamento di Parigi. Questa stessa
parola hanco prova la perfetta somiglianza; il banco dei pre
sidenti ha conservato presso di noi il suo nome, e lo chia
miamo ancora oggi il gran banco.
La forma del governo inglese non cambiata come la
nostra, labbiamo gi fatto osservare. Gli stati generali in
glesi hanno funzionato sempre: hannoi partecipato alla le
gislazine; i nostri, di rado convocati, sono in dissuetudine.
Divenute perpetue ed essendosi alla fine notevolmente ac
cresciute, le corti di giustizia, chiamate tra noi parlamenti,
hanno acquisito a poco a poco, ora per concessione dei re,
ora per consuetudine, ora anche per linfelicit dei tempi,
diritti che non avevano n sotto Filippo il Bello, n sotto
i suoi figli, n sotto Luigi XL
Il maggior lustro del parlamento di Parigi venne dal
lusanza che introdussero i re di Francia di far registrare
i loro trattati e i loro editti a questa camera del parlamento
sedentario, affinch il deposito ne fosse pi autentico. Dal
tra parte questa camera non entrava in nessun afiEare di Sta
to, n in quelli delle finanze. Tutto ci che riguardava i red
diti del re e le imposte era incontestabilmente di compe
tenza della camera dei conti. Le prime rimostranze del par
lamento sulle finanze sono del tempo di Francesco I.
Tutto cambia presso i Francesi molto di pi che presso
gli altri popoli. Cera unantica usanza per la quale non si
dava esecuzione a nessun decreto che comportasse una pena
afflittiva se questo decreto non era firmato dal sovrano. Cosi
avviene ancora in Inghilterra come in molti altri Stati: nul
la pi umano e pi giusto. Il fanatismo, lo spirito di par
tito, lignoranza hanno fatto condannare a morte parecchi
cittadini innocenti. Questi cittadini appartengono al re, va
le a dire allo Stato; si toglie un uomo alla patria, si boUa la
sua famiglia, senza che colui che rappresenta la patria lo
CAPITOLO OTTANTACINQTOSIMO 3 7 5
sappia. Quanti innocenti accusati deresia, di stregoneria e di
mille delitti immaginari sarebbero andati debitori della
vita a un re illuminato!
Lungi dallessere illuminato, Carlo VI era in quel
deplorevole stato che rende un uomo lo zimbello degli altri
uomini.
Proprio in quel parlamento perpetuo, insediato a Parigi
nel palazzo di san Luigi, Carlo VI tenne il 23 dicembre
1420 quel famoso Ut de justice alla presenza del re dInghil
terra Enrico V; appimto li chiam il suo amatissimo figlio
Enrico, erede, reggente del regno. Ivi, il proprio figlio del
re fu chiamato solo Carlo, sedicente delfino, e tutti i com
plici delluccisione di Giovanni Senzapaura, duca di Bor
gogna, furono dichiarati colpevoli di lesa maest e privati
di ogni successione: il che significava di fatto condannare il
delfino senza fame il nome.
V ben di pi: si assicura che i registri del parlamento,
sotto lanno 1420, recano che precedentemente il delfino (di
poi Carlo VII) era stato citato tre volte a suon di tromba nel
mese di gennaio e condannato in contumacia al bando per
petuo; di che, aggiunge questo registro, egli sappell a Dio e
alla sua spada. Se il registro verace, trascorse dunque quasi
un anno tra la condanna e il Ut de justice, che conferm lar
gamente quella funesta deliberazione. Non c da stupirsi
che sia stata presa: Filippo, duca di Borgogna, figlio del
duca assassinato, era onnipotente a Parigi; la madre del
delfino era divenuta per il figlio- una matrigna implacabile; il
re, privo della ragione, era in mani straniere; e infine il
delfino aveva punito un delitto con un delitto ancora pi
orribile, poich aveva fatto assassinare sotto i suoi occhi il
suo parente Giovanni di Borgogna, attirato nel tranello suUa
fede dei giuramnti. Bisogna anche considerare qual era lo
spirito del tempo. Quello stesso Enrico V, re dInghilterra e
reggente di Francia, era stato messo in prigione a Londra,
quandera principe di Galles, per semplice ordine di un giu
dice ordinario al quale aveva dato uno schiaffo mentre que
sto giudice era sul suo seggio tribunalizio.
3 7 6 SAGGIO SUI COSTUMI
Si vide nello stesso secolo un esempio atroce della giu
stizia spinta fino allorrore. Un capo di banato di Croazia osa
condannare a morte e far annegare la reggente dUngheria
Elisabetta, colpevole deHuccisione del re Carlo di Durazzo.
Il giudizio del parlamento contro il defino era di imaltra
specie; era soltanto lorgano di una forza superiore. Non si
era proceduto contro Giovanni, duca di Borgogna, quando
assassin il duca dOrlans; e si procedette contro il delfino
per vendicare lassassinio dun assassino.
Leggendo la deplorevole storia di quei tempi, bisogna
ricordarsi che, dopo il famoso trattato di Troyes che diede
la Francia al re Enrico V dInghilterra, vi furono due par
lamenti a un tempo, cos come se ne videro due al tempo
della Lega, quasi duecento anni dopo; ma tutto era doppio
nella sovversione che avvenne sotto Carlo VI; cerano due
re, due regine, due parlamenti, due universit di Parigi; e
ogni partito aveva i suoi marescialli e i suoi grandi ufficiali.
Rilevo inoltre che, in quei secoli, quando si doveva fare
il processo a un pari del regno, il re era obbligato a presie
dere al giudizio. Lultimo anno della sua vita lo stesso Car
lo VII fu, secondo questo costume, alla testa dei giudici che
condannarono il duca dAlengon; costume che parve poi in
degno della giustizia e della maest regia, poich la presenza
del sovrano sembrava intralciare i suffragi, e poich, in un
afEare penale, questa stessa presenza, che deve annunziare
soltanto grazie, poteva comandare i rigori.
Faccio infine osservare che, per giudicare un pari, era
essenziale radunare dei pari. Questi erano i suoi giudici na
turali. Carlo VII vi aggiunse dei grandi ufficiali della co
rona nellaffare del duca dAlengon; fece di pi: ammise in
quellassemblea alcuni tesorieri di Francia con i deputati laici
del parlamento. Cos tutto cambia. La storia delle usanze,
delle leggi, dei priviegi altro non , in molti paesi e soprat
tutto in Francia, se non un quadro mobile.
dunque unidea davvero vana, una fatica ben ingrata
il voler ricondurre tutto alle usanze antiche e il voler arre
stare la ruota che il tempo fa girare con un moto irresisti
CAPITOLO OTTANTACINQUESIMO 3 7 7
bile. A quale epoca si dovrebbe risalire? a quella forse in
cui la parlamento significava unassemblea di capitani
franchi, che il prmo marzo, andavano a regolare, in pieno
campo, la spartizione del bottino? forse a quella in cui tutti
i vescovi avevano diritto di sedere in una corte di giudica
tura, anchessa chiamata parlamento'^ A quale secolo, a quali
leggi si dovrebbe risalire? a quali usanze attenersi? Un bor
ghese di Roma avrebbe altrettante fondate ragioni di chie
dere al papa dei consoli, dei tribuni, un senato, dei comizi e
la completa restaurazione della repubblica romana; . un
borghese di Atene potrebbe reclamare dal sultano lantico
areopago e le assemblee del popolo che si chiamavano' ec
clesie.
3 7 8 SAGGIO SUI COSTUMI
DEL CONCILIO DI BASILEA TENUTO AL TEMPO
DELLIMPERATORE SIGISMONDO E DI CARLO VII
NEL XV SECOLO
C i che gli stati generali sono' per i re, lo sono per i papi
i concili;, ma quel che pi si somiglia differisce sempre. Nel
le monarchie temperate dallo spirito pi repubblicano, gli
stati non si sono, mai creduti pi in su dei re, quantunque
abbiano deposto i loro sovrani in estreme necessit o- nelle
agitazioni. Gli elettori che deposero limperatore Venceslao
non si sono mai creduti superiori a un imperatore regnante.
Le Cortes dAragona dicevano al re che eleggevano; ios
que valemos tanto corno vos, y qua podemos mas que vos'\
Per quando il re era incoronato,, non si. esprimevano pi
cos; non si dicevano' pi superiori a colui che, avevano fatto
loro sovrano.
Ma per unassemblea di vescovi di tante Chiese parimente
indipendenti non avviene come per il corpo duno Stato mo
narchico; questo corpo ha un sovrano, mentre le Chiese
hanno soltanto un primo metropolita. Le materie di religione
la dottrina e la disciplina non possono essere sottoposte alla
decisione di un solo uomo, in dispregio del mondo intero.
I concili sono dunque superiori ai papi nello stesso- senso
che mille pareri debbono aver la meglio su uno solo. Resta
da sapere se hanno il diritto di deporlo, come le diete di Po
lonia e gli elettori dellimpero tedesco hanno 1 diritto di
deporre il loro sovrano.
Questa questione una di quelle che la sola ragione del
pi forte pu decidere. Se da un lato un semplice concilio
provinciale pu spogliare un vescovo, unassemblea del mon-
CAPITOLO LXXXVI
do cristiano pu a maggior ragione degradare il vescovo di
Roma. Ma, daltro canto, questo vescovo sovrano: non
stato un concilio a dargli il suo Stato; come possono i con
cili portarglielo via quando i suoi sudditi sono contenti del
la sua amministrazione? Un elettore ecclesiastico, del quale
limpero e il suo elettorato siano contenti, sarebbe invano
deposto come vescovo da tutti i vescovi delluniverso; re
sterebbe elettore, con lo stesso diritto con cui un re sco
municato da tutta la Chiesa e padrone in casa propria reste
rebbe sovrano.
Il concilio di Costanza aveva deposto il sovrano di Roma
perch Roma non aveva voluto n potuto opporvisi. Il con
cilio di Basilea, che dieci anni pi tardi volle seguire que
stesempio, fece vedere quanto sia ingannevole lesempio,
quanto siano diversi gli affari che sembrano gli stessi, e
come ci che grande e soltanto audace in un dato tempo
sia piccolo e temerario in un altro.
Il condlio di Basilea era solamente un prolungamento
di parecchi altri indetti da papa Martino V ora a Pavia, ora
a Siena; ma non appena fu eletto il papa Eugenio IV nel
1431, i padri cominciarono col proclamare che il papa non
aveva il diritto di sciogliere la loro assemblea e nemmeno
quello di trasferirla, e chegli era loro sottoposto, pena la
punizione. Di fronte a tale enunciazione papa Eugenio or
din la dissoluzione del concilio*. Palesemente in questazio
ne precipitosa dei padri vi fu pi zelo che non prudenza, e
questo zelo poteva essere funesto. Limperatore Sigismondo,
che regnava ancora, non era padrone della persona di Euge
nio come lera stato di quella di Giovanni XXIII. Usava ri
guardi al papa e insieme al concilio. Lo scandalo si restrinse
per lungo tempo alle trattative; vi si fece entrare lOriente e
l Occidente. Limpero dei Greci non poteva pi sostenersi
contro i Turchi se non per mezzo dei principi latini; e per
ottenere un debole aiuto assai malcerto bisognava che la
Chiesa greca si sottomettesse a quella romana. Era ben lon
tana da questa sottomissione. Quanto.pi il pericolo era pros
simo, tanto pi i Greci erano ostinati. Ma limperatore Gio
3 8 0 SAGGIO SUI COSTUMI
vanni Paleologo, secondo del nome, al quale interessava di
pi il pericolo, consentiva a fare per politica ci che tutto il
suo clero rifiutava per ostinazione. Era pronto ad accordare
tutto, purch lo si soccorresse. Si rivolgeva a un tempo al
papa e al concilio; ed entrambi si contendevano lonore di far
piegare i Greci. Invi ambasciatori a Basilea;, dove il papa
aveva alcuni seguaci che furono pi abili degli altri padri.
Il concilio aveva decretato che si sarebbe mandato un po
di denaro allimperatore e delle galere per condurlo in Italia,
e che poi lo si sarebbe ricevuto a Basilea. Gli emissari del
papa fecero un decreto clandestino nel quale era detto, in
nome del concilio stesso, che limperatore sarebbe stato ri
cevuto a Firenze, dove il papa trasferiva lassemblea; porta
rono via la serratura della cassetta nella quale si conserva
vano i sigilli del concilio', e sigillarono cos in nome dei
padri stessi il contrario di quanto lassemblea aveva deciso.
Questastuzia italiana riusc, ed era palese che il papa doveva
avere in tutto la meglio sul concilio.
Questa assemblea non aveva un capo che potesse ren
dere concordi gli animi per schiacciare il papa, come ne
aveva avuto uno a Costanza. Non aveva uno scopo presta
bilito; si comportava con cosi poca prudenza che, in uno
scritto rilasciato agli ambasciatori greci, i padri dicevano che
dopo aver distrutto leresia degli ussiti si accingevano a di
struggere leresia della Chiesa greca. Il papa, pi bile, trat
tava con maggiore destrezza; non parlava ai Greci se non
dunione e di fratellanza, e risparmiava i termini duri. Era
un uomo prudentissimo, che aveva pacificato i torbidi di
Roma e che era divenuto potente. Ebbe pronte delle galere
prima che lo fossero quelle dei padri.
Spesato dal papa, l imperatore simbarca con il suo pa
triarca e con alcuni vescovi scelti, ben disposti a rinunciare
alle opinioni di tutta la Chiesa greca nellinteresse della pa
tria (1439). Il papa li ricevette a Ferrara. Nella loro sot
tomissione reale, limperatore e i vescovi serbarono in ap
parenza la maest dellimperatore e la dignit della Chiesa
greca. Nessuno baci i piedi al papa; ma dopo qualche con-
CAPITOLO OTTANTASEESIMO 3 8 1
testazion sul Vilioque che Roma aveva aggiunto da molto
tempo al simbolo, sul pane azzimo, sul purgatorio, aderi
rono in tutto allopinione, dei Romani.
Il papa trasfer il suo concilio da Ferrara a Firenze. Qui
appunto i deputati della Chiesa greca adottarono l purga
torio. Fu deciso che lo Spirito Santo procede dal Padre e
dal Figlio in virt della produzione di spirazione; ; che il
Padre comunica tutto al Figlio, salvo la paternit, e che
il Figlio ha da tempo immemorabile la virt produttiva.
Infine l itnperatore greco, il suo patriarca e quasi tutti x
suoi prelati firmarono a Firenze il punto tanto a lungo dibat
tuto del primato di Roma. La storia bizantina assicura che il
papa compr la loro firma. Questo verosimile: al papa im
portava conseguire questo successo a qualsiasi prezzo; e i ve
scovi di un paese funestato dai Turchi erano* poveri.
Questunione dei Greci e dei Latini fu per la verit mo
mentanea; essa fu una commedia recitata dallimperatore Gio
vanni Paleologo II. Tutta la Chiesa greca la riprov. I ve
scovi che avevano firmato a Firenze ne chiesero perdono a
Costantinopoli; dissero che avevano tradito la fede. Vennero
paragonati a Giuda che trad il suo maestro. Non furono
riconciliati con la loro Chiesa se non dopo avere abiurato
le innovazioni rimproverate ai Latini.
La Chiesa latina e la greca furono pi divise che mai.
Nei Greci, sempre orgogliosi della loro antichit, dei loro
primi concili universali, delle loro scienze, si fortific lodio
e il disprezzo per la comunione romana. Ribattezzavano i La
tini che tornavano a loro; e da ci deriva il fatto che oggi,
a Pietroburgo e a Riga, 1 preti russi danno un secondo batte
simo a un cattolico che abbraccia la religione greca. Parecchi
tolsero la cresima e lestrema unzione dal novero dei sacra
menti, Tutti insorsero di nuovo contro la processione dello
Spirito Santo, contro il purgatorio, contro la. comunione sotto
una sola specie; ed verissimo, tutto sommato, che essi
difieriscono dalla Chiesa di Roma quanto i riformati.
- Nondimeno in Occidente Eugenio IV era reputato come
colui che aveva spento quel grande scisma. Egli aveva in ap
3 8 2 : -SAGGIO- SUI COSTUMI
parenza sottomesso limperatore greco la sua Chiesa. La
sua vittoria era gloriosa, e nessun pontefice prima di lui
era sembrato rendere un cos gran servigio alla Chiesa romana
n godere dun trionfo cos bello.
Nello stesso tempo in cui egli rende questo servigio ai
Latini e pone fine, per quanto sta in lui, allo scisma del-
rOriente e dellOccidente, il concilio di Basilea lo depone
dal pontificato e lo dichiara "ribelle, simoniaco, scismatico,
eretico e spergiuro (1439).
S si considera il concilio da questo decreto, altro non vi
si vede se non una torma di faziosi; se lo si guarda dalle
regole di disciplina che emise, vi si vedranno uomini assai
saggi. Il fatto che la passione non aveva parte a quei rego
lamenti, mentre era la sola ad agire nella deposizione di
Eugenio. Il corpO' pi augusto, quando trascinato dalla
fazione, commette sempre pi errori che non un uomo solo.
Il consiglio del re di Francia Carlo VII adott le regole
cherano state fatte con saggezza e respinse la decisione che
lo spirito d partito aveva dettato.
Questi regolamenti servirono appunto a fare la pram
matica sanzione, cos a Itmgo cara ai popoli di Francia. Quel
la che si attribuisce a san Luigi non sussisteva quasi pi. Le
usanze invano reclamate dalla Francia erano abolite grazie
allabilit dei Romani. Vennero restaurate con questa cele
bre prammatica. Le elezioni da parte di clero con lappro
vazione del re vi sono confermate; le annate proclamate simo
niache; le riserve e le aspettative vi sono esecrate. Ma da
una parte non si osa mai f^e tutto quello che si pu, dal
laltra si va pi oltre di quello che si deve. Questa legge cos
famosa, che assicura le Hbert della Chiesa gallicana, per
mette che ci si appelli al papa in ultima istanza e chegli de
leghi giudici in tutte le cause ecclesiastiche che dei vescovi
compatriotti avrebbero potuto portare a termine tanto fa
cilmente. Ci significava in un certo senso riconoscere il papa
come padrone; e nel tempo stesso in cui la prammatica gli
lascia il primo dei diritti, essa gli vieta di fare pi di ven-
CAPITOLO OTTANTASEESIMO 38 3
tiquattro cardinali, con altrettanta poca ragione di quanta ne
avrebbe il papa a fissare il numero di duchi e dei pari, o
dei grandi di Spagna, Cos tutto contraddizione. vero
che il concilio di Basilea aveva fatto per primo questo divie
to ai papi. Non aveva badato che diminuendo -il numero
aumentava il potere, e che quanto pi una dignit rara
tanto pili rispettata.
Fu altres la disciplina stabilita da questo concilio che
produsse dipoi il concordato germanico. Ma la prammatica
stata abrogata in Francia; il concordato germanico si
mantenuto. Tutte le usanze della Germania si sono conser
vate. Elezioni dei prelati, investiture dei principi, privilegi
delle citt, diritti, gradi, ordine, di seduta, quasi nulla mu
tato. Al contrario, non si vede nulla in Francia delle usanze
ammesse al tempo di Carlo VII.
Deposto vanamente un papa molto saggio che tutta l Eu
ropa continuava a riconoscere, il concilio di Basilea gli op
pose, come si sa, un fantasma, un duca di Savoia, Amedeo
V ili, che era stato il primo duca della sua casa e che si era
fatto eremita a Ripaille per una devozione che il Poggio*
ben lungi dal credere verace. La sua devozione non resistette
allambizione di essere papa. Egli venne dichiarato sovrano
pontefice, bench fosse secolare. Ci che aveva ,provocato
guerre violente al tempo di Urbano VI produsse allora solo
contese ecclesiastiche, bolle, cnsure, scomuniche reciproche,
ingiurie atroci. Poidi se il concilio chiamava Eugenio si
moniaco, eretico e spergiuro, il segretario di Eugenio trat
tava i padri di pazzi, darrabbiati, di barbari, e dava ad Ame
deo il nome di cerbero e di anticristo. Finalmente, sotto papa
Nicola V, il concilio si disperse a poco a poco da s; e quel
duca di Savoia, eremita e papa, saccontent dessere cardi
nale, lasciando la Chiesa nellordine consueto (1449). Fu que
sto il ventisettesimo e ultimo scisma ragguardevole suscitato
per la cattedra di san Pietro. Mai il trono dalcun regno
stato cos sovente conteso.
3 8 4 SAGGIO SUI COSTUMI
* Vedi nota a pag. 287.
' Enea Piccolomini, fiorentino, poeta e oratore, che fu se
gretario di quel: concilio, aveva scritto veementemente per
sostenere la superiorit dei concili sui papi. Ma quando suc
cessivamente divenne egli stesso papa sotto il nome di Pio
II, censur anche pi veementemente i suoi propri scritti, im
molando tutto allinteresse presente ch il solo a fare tanto
spesso i principi della verit e dellerrore. Cerano altri suoi
scritti molto diffusi per il mondo. La sua quindicesima lettera,
stampata dipoi nella raccolta delle sue amenit, raccomanda
al padre uno dei suoi bastardi chegli aveva avuto da una
donna inglese. Non condann i propri amori come condan
n le proprie opinioni suUa fallibilit del papa.
Questo concilio fa vedere appieno quanto cambino le
cose secondo i tempi. I padri di Costanza avevano mandato
al rogo Giovanni Hus e Gerolamo' da Praga, nonostante le
loro proteste di non seguire i dogmi di Wiclef, nonostante
la loro fede chiaramente spiegata suUa presenza reale, per
sistendo soltanto nelle opinioni di Wiclef sulla gerarchia e
sulla disciplina della Chiesa.
Al tempo del condilo di Basilea, gli ussiti andavano ben
pi in l dei loro due fondatori. Procopio il Rasato, il famoso
capitano, compagno e successore di Giovanni Ziska, and a
disputare al concilio di Basilea, alla testa di duecento genti
luomini del suo partito. Sostenne tra laltro c&e monaci
erano uninvenzione del diavolo. S, disse, e lo pro
vo. Non forse vero' che Ges Cristo non li ha istituiti?
Non ne disconveniamo , disse il cardinale Giuliano. Eb
bene, disse Procopio, diuique chiaro che il dia
volo. Ragionamento degno di un capitano boemo di quei
tempi. Enea Silvio, testimone di questa scena, dice che non
venne risposto a Procopio se non con uno scoppio di risa;
era stato risposto agli sventurati Giovanni Hus e Gerolamo
con una sentenza di morte.
Si visto durante questo concilio quale fosse lo svili
mento degli imperatori greci. Dovevano davvero essere pros
simi alla rovina, dal momento che andavano a Roma a men-
2 5 / c n
CAPITOLO OTTANTASEESIMO 3 8 5
dicare deboli aiuti e a compiere il sacrificio della loro religio
ne: perci qualche anno dopo soccombettero ai Turchi, che
presero Q>stantinopoli.' Vedremo ora le cause e le conse
guenze di questa rivoluzione.
386 SAGGIO SUI COSTUMI
DECADENZA DELLIMPERO GRECO, COSIDDETTO
IMPERO ROMANO. SUA DEBOLEZZA, SUA
SUPERSTIZIONE, ECC.
Spopolando l Ocddente, le crociate avevano aperto la brec
cia attraverso la quale finalmente i Turchi entrarono a Co
stantinopoli: infatti i principi crociati, usurpandolo, indebo
lirono limpero dOriente. I Greci non lo ripresero se non
dilaniato e impoverito.
Dobbiamo ricordarci che questimpero ritorn ai Greci
nel 1261, e che Michele Paleologo lo strapp agli usuipatori
latini, per rapirlo al suo pupillo Giovanni Lascaris. Bisogna
anche richiamare alla mente che in quel tempo il fratello di
san Luigi, Carlo dAngi, invadeva Napoli e la Sicilia, e che,
senza i vespri siciliani, avrebbe conteso al tiranno Paleo
logo la citt di Costantinopoli, destinata a essere preda degli
usurpatori.
Questo Michele Paleologo usava riguardi ai papi per
stornare la tempesta. Li lusing con la sottomissione della
Chiesa greca; ma la sua bassa politica non pot avere la
meglio sullo spirito di partito e sulla superstizione che do
minavano nel suo paese. Si rese cos inviso con questo ma
neggio, che il suo stesso figlio Andronico, scismatico, disgra
ziatamente pieno di zelo, non os o non voUe dargli gli onori
della sepoltura cristiana (1283).
Premuti da ogni parte, e dai Turchi e dai Latini, quegli
infelici Greci disputavano intanto sulla trasfigurazione di
Ges Cristo. Met dellimpero voleva che la luce del Ta-
bor fosse eterna, e laltra che Dio lavesse prodotta soltanto
per la trasfigurazione. Una grande setta di monaci e di de-
CAPITOLO LXXXVII
voti contemplativi vedevano quella luce nel proprio ombe
lico, come i fachiri delle Indie vedono la luce celeste sulla
punta del loro naso. Frattanto i Turchi si raflEorzavano in
Asia Minore, e ben presto inondarono la Tracia.
Ottomano, dal quale discendono tutti gli imperatori
osmanli, aveva sta;bilito la sede della sua dominazione a Bur-
sa in Bitinia. Orcano suo figlio giunse fino alle rive della
Propontide, e limperatore Giovanni Cantacuzeno fu sin
troppo felice di dargli sua figlia in sposa. Le nozze furono ce
lebrate a Scutari, di fronte a Costantinopoli. Poco dopo, non
potendo pi conservare limpero che un altro gli contende
va, Cantacuzeno si rinchiuse in un monastero. Un impera
tore suocero del sultano e monaco preannunciava la caduta
dellimpero. I Turchi non avevano ancora vascelli e vole
vano passare in Europa. Lo svilimento dellimpero era tale,
che i Genovesi, per mezzo di un modesto tributo, erano pa
droni di Calata, che si considera un sobborgo di Costantino
poli, separata da un canale che forma il porto. Si dice che il
sultano Amurat, figlio di Orcano, inducesse i Genovesi a
trasportare i suoi soldati di qua dallo stretto. Il mercato si
concluse, e risulta che i Genovesi, per qualche migliaio di
bisanti doro, consegnarono lEuropa. Altri vogliono che si
servissero di vascelli greci. Amurat passa e sinoltra, fino ad
Adrianopoli, dove i Turchi si stabiliscono, minacciando da
li tutta la cristianit (1378). Limperatore Giovanni Paleo-
logo I corre a Roma a baciare i piedi a papa Urbano V: ne
riconosce il primato; si umilia per ottenere con la sua media
zione aiuti che la situazione dellEuropa e i funesti esempi
delle crociate non permettevano pi di dare. Dopo essersi
inutilmente prostrato davanti al papa, torna a strisciare ai
piedi di Amurat. Fa un trattato con lui, non da re a re, ma da
schiavo a padrone (1374). Serve al tempo stesso da luogote
nente e da ostaggio al conquistatore turco; e dopo che Pa
leolago, di concerto con Amurat, ha fatto accecare il suo fi
glio primogenito, del quale diffidavano in ugual misura, lim
peratore d il suo secondo figlio al sultano. Questo figlio, di
nome Manuele, serve Amurat contro i cristiani e lo segue
3 8 8 SAGGIO SUI COSTUMI
nei suoi eserciti. Amurat quello,che diede alla milizia dei
giannizzeri, gi istituita, la forma che sussiste ancora.
(1389) Assassinato nel corso delle sue vittorie, gli suc
cesse suo figlio Bajazt Ilderim o Bajazt la Folgore. La ver
gogna e lo sviHmento degH imperatori greci raggiunsro il
colmo. Andronico, linfelice figlio di Paleologo, che suo pa
dre aveva accecato, fugge presso Bajazt e ne implora la pro
tezione contro il padre e contro il fratello Manuele. Bajazt
gli d quattromila cavalli, e i Genovesi, sempre padroni di
Calata, l assistono con uomini e denaro. Andronico, con i
Turchi e con i Genovesi, simpadronisce di Costantinopoli e
imprigiona il padre.
In capo a due anni, il padre riprende la porpora e fa
erigere una cittadella presso Galata per fermare Bajazt, che
progettava gi lassedio della citt imperiale. Bajazt gli or
dina di demolire la cittadella e di ricevere nella citt un cad
turco per giudicarvi i mercanti turchi che vi erano domi
ciliati. Limperatore ubbidisce. Frattanto Bajazt, lasciando
dietro di s CostantinopoK come una preda sulla quale do
veva ripiombare, avanza nel cuore dellUngheria. (1396) Qui
appunto sgomina, come ho gi detto, lesercito cristiano e
quei valorosi Francesi comandati dallimperatore dOccidente,
Sigismondo. Prima della battaglia, i Francesi avevano ucciso
i loro prigionieri turchi; cos non ci si deve stupire se Baja
zt, dopo la vittoria, abbia a sua volta fatto sgozzare i Fran
cesi che gli avevano dato quel crudele esempio. Risparmi
soltanto venticinque cavalieri, tra i quali si trovava il conte
di Nevers, poi duca di Borgogna, al quale disse, ricevendone
il riscatto: Potrei costringerti a prestar giuramento di non
armarti pi contro di me; ma disprezzo i tuoi giuramenti e
le tue armi . Questo duca di Borgogna era quello stesso
Giovanni Senzapaura, assassino del duca dOrlans e assas
sinato poi da Carlo VII. E noi ci vantiamo dessere pi uma
ni dei Turchi]
Dopo questa disfatta, Manuele Paleologo, chera diven
tato imperatore della citt di Costantinopoli, corre presso i
re dellEuropa come suo padre Giovanni I e suo figlio Gio
CAPITOLO OTTANTASETTESIMO 3 8 9
vanni II. Va in Francia a cercare vani aiuti. Non si poteva
scegliere un tempo meno propizio: era quello della frenesia
di Carlo VI e delle desolazioni della Francia. Manuele Paleo-
logo rimase due interi anni a Parigi, mentre la capitale dei
cristiani dOriente era bloccata dai Turchi. Finalmente las
sedio viene attuato e la perdita dessa sembrava certa, allor
ch fu differita da uno di quei grandi avvenimenti che scon
volgono il mondo.
La potenza dei Tartari-Mongoli, della quale abbiamo visto
lorigine, dominava dal Volga alle frontiere della Cina e al
Gange. Tamerlano, uno di quei principi tartari, salv Costan
tinopoli attaccando Bajazt.
3 9 0 SAGGIO SUI COSTUMI
DI TAMERLANO
Ximur, che chiamer Tamerlano per uniformarmi alluso,
discendeva da Gengis per linea femminile, secondo i miglio
ri storici. Nacque nellaxino 1357 nella citt di Cash, territo
rio dellantica Sogdajoia, dove i Gred penetrarono m tem
po sotto Alessandro e dove fondarono colonie. Esso oggi
il paese degli Usbecchi. Comincia al fiume Gihon, od Oxo,
la cui sorgente nel piccolo Tibet, a circa settecento leghe
dalla sorgente del Tigri e dellEufrate. Si tratta dello stesso
fiume Gihon di cui si parla nella Genesi*, e che sgorgava da
una stessa fontana insieme con lEufrate e il Tigri; le cose
debbono essere molto cambiate.
Sentendo il nome della citt di Cash ci si raffigura un
paese orrido; eppure nello stesso clima di Napoli e della
Provenza, di cui non patisce i calori: una contrada de
liziosa.
Sentendo il nome di Tamerlano ci si immagina altres
im barbaro prossimo al bruto: si visto che non v mai
grande conquistatore tra i principi, e neppure grandi for
tune presso i privati senza quella specie di merito i cui suc
cessi sono la ricompensa. Tamerlano doveva tanto pi avere
quel merito proprio dellambizione in quanto, nato senza
Stati, soggiog dtrettanti paesi quanto Alessandro e quasi
altrettanti quanto Gengis. La sua prima conquista fu quella
di Balk, capitale del Korassan, sulle frontiere della Persia. Di
* In Eden nasceva un fiume che irrigava tutto il giardino e quindi si
divideva in quattro capi (II, 10). Il nome del quarto fiume biblico Fison.
CAPITOLO LXXXVm
qui va a impadronirsi della citt di Candahar. Soggioga tutta
lantica Persia; toma sui suoi passi per sottomettere i popoli
della Transoxana. Ritorna per prendere Bagdad. Passa nelle
Indie, le sottomette, si impadronisce di Delhi che ne era la
capitale. Vediamo che tutti coloro che si sono resi padroni
della Persia hanno anche conquistato o desolato le Indie.
Cos Dario Oco, dopo tanti altri, ne fece la conquista. Ales
sandro, Gengis, Tamerlano.le invasero agevolmente. A Sha-
Nadir, ai nostri giorni, bastato presentarvisi: vi ha da
to la legge e ne ha portato via tesori immensi.
Vincitore delle Indie, Tamerlano torna sui propri passi.
Si getta sulla Siria; prende Damasco. Rivola a Bagdad gi
sottomessa e che voleva scuotere U giogo. La consegna al
saccheggio e alla spada. Si dice che vi perirono quasi otto-
centomila abitanti; fu interamente distrutta. Le citt di quel
le contrade si radevano facilmente al suolo, e analogamente
si riedificavano. Come abbiamo gi notato, esse erano fatte
unicamente di mattoni seccati al sole. Appunto nel pieno
corso di queste vittorie l imperatore greco, che non trovava
nessun aiutO' presso cristiani, si rivolge injSne a questO' Tarta
ro. Cinque principi maomettani, che Bajazt aveva spossessati
verso le rive del Ponto Eusino,; ne imploravano nello stesso
tempo PaiutO'. Egli discese nellAsia Minore, chiamato' dai
musulmani e dai cristiani.
Pu dare unidea favorevole nel suo carattere il fatto che
in questa guerra lo si vede osservare almeno il diritto delle
na2 oni. Comincia con linviare ambasciatori a Bajazt, e gli
domanda di abbandonare lassedio di Costantinopoli e di ren
dere giustizia ai prindpi musulmani spossessati. Bajazt ac
coglie qiiest proposte con collera e con disprezzo. Tamerla
no gli dichiara guerra; marcia contro di lui. Bajazt toglie
lassedio di Costantinopoli, (1401) e d tra Cesarea e Ancira
quella gran battaglia nella quale sembrava che fossero radu
nate tutte le forze del mondo. Le truppe di Tamerlano era
no indubbiamente ben disciplinate, poich dopo il combatti
mento pi accanito esse vinsero quelle che avevano sbara
gliato i Greci, gli Ungheresi, i Tedeschi, i Francesi e tante
3 9 2 SAGGIO SUI COSTUMI
nazioni bellicose. Non si potrebbe dubitare che Tamerlano,
il quale fino ad allora combatt sempre con le frecce e la
scimitarra, non facesse uso del cannone contro gli Ottomani,
e che non sia stato lui a mandare pezzi dartiglieria nel Mo
gol, dove se ne vedono ancora, sui quali sono incisi caratteri
sconosciuti. Nella battaglia di Cesarea, i Turchi si servirono
contro di lui non soltanto di cannoni, ma anche deUantico
fuoco greco. Questo duplice vantaggio^ avrebbe dato agli Ot
tomani una vittoria infallibile se Tamerlano non avesse avuto
artiglieria.
Bajazt vide il suo figlio primogenito, Mustaf, ucciso men
tre combatteva al suo fianco, e cadde prigioniero nelle mani
del suo vincitore con un altro suo figlio, di nome Musa o
Mos. interessante conoscere quel che segu a questa bat
taglia memorabile tra due nazioni che sembravano conten
dersi lEuropa e lAsia, e tra due conquistatori i cui nomi
sono ancora cos celebri; battaglia che daltronde salv per
un po di tempo l impero dei Greci, e che poteva contri
buire a distruggere quello dei Turchi.
Nessuno degli autori persiani e arabi che hanno scritto
k vita di Tamerlano dice chegli rinchiuse Bajazt in una gab
bia di ferro; ma gli annali turchi lo dicono: forse per ren
dere inviso Tamerlano? o piuttosto perch hanno copiato de
gli storici greci? Gli autori arabi asseriscono che Tamerla
no si facesse versare da bere dalla sposa di Bajazt seminuda;
e questo ha appunto dato origine alla favola tramandata, se
condo la quale i sultani turchi non si sposarono pi dopo
questoltraggio fatto a una delle loro mogli. Questa favola
smentita dal matrimonio di Amurat II, che vedremo spo
sare la figlia di un despota di Serbia, e dal matrimonio di
Maometto II con la figlia di un principe di Turcomannia.
difficile conciliare la gabbia di ferro e l affronto bruta
le fatto alla moglie di Bajazt con la generosit che i Turchi
attribuiscono a Tamerlano. Essi riferiscono che il vincitore,
entrato in Bursa o Prusa, capitale degli Stati turchi asiatici,
scrisse a Solimano, figlio di Bajazt, una lettera che avrebbe
fatto onore ad Alessandro. Voglio dimenticare, dice Ta-
CAPITOLO. OTTANTOTTESIMO 3 9 3
merlano in questa lettera, che sono stato nemico di Ba-
jazt. Servir da -padre ai suoi figU, purch attendano gli ef
fetti della mia clemenza. Le mie conquiste mi bastano, e non
mi tentano nuovi favori dellincostante fortuna.
Ammesso che una tale lettera sia stata scritta, essa po
teva essere soltanto un artificio. I Turchi dicono anche che
Tamerlano, non essendo stato ascoltato da Solimano, procla
m sultano in Bursa quello stesso Musa, figlio di Bajazt, e
che gli disse: Ricevi leredit di tuo padre; unanima re
gale sa conquistare regni e restituirli .
Gli storici orientali, cos come i nostri, mettono spesso
in bocca a uomini celebri parole chessi non hanno mai pro
nunciato. Tanta magnanimit con il figlio si accorda male con
la barbarie che si dice avesse usato con il padre. Ma quel che
si pu considerare certo e ch meritevole della nostra at
tenzione il fatto che, tutto sommato, la grande vittoria di
Tamerlano non tolse una citt allimpero dei Turchi. Quel
Musa, chegli fece sultano e che protesse per opporlo cos a
Solimano come a Maometto I, suoi fratelli, non pot resi
stere loro, nonostante la protezione del vincitore. Vi fu una
guerra civile di tredici anni tra i figli di Bajazt, e non ri
sulta che Tamerlano ne abbia approfittato. comprovato
dalla sventura stessa di quel sultano che i Turchi erano vin
popolo bellicoso, il quale aveva potuto essere vinto senza
poter essere asservito; e che il Tartaro, non trovando age
vole lestendersi e lo stabilirsi verso lAsia Minore, port le
sue armi in altri paesi.
La sua asserita magnanimit verso il figlio di Bajazt non
era certo moderazione. Lo si vede subito dopo devastare an
che la Siria, che apparteneva ai mammalucchi dEgitto. Di
qui ripassa lEufrate e toma in Samarcanda, chegli consi
derava la capitale dei suoi vasti Stati. Aveva conquistato
quasi tanto territorio quanto Gengis: infatti, se Gengis ebbe
una parte della Cina e della Corea, Tamerlano ebbe per qual
che tempo la Siria e una parte dellAsia Minore, dove Gen
gis non aveva potuto penetrare; possedeva inoltre quasi
tutto lIndostan, del quale Gengis ebbe solo le province
3 9 4 SAGGIO SUI COSTUMI
settentrionali. Malfermo possessore di quellimpero immen
so, egli meditava in Samarcanda la conquista della Cina, a
unet in cui la sua morte era prossima.
A Samarcanda appunto ricevette, sullesempio di Gengis,
lomaggio di parecchi principi dellAsia e l ambasceria di pa
recchi sovrani. Non solo limperatore greco Manuele vi in
vi i suoi ambasciatori, ma ne vennero anche da parte di En
rico III, re di Castiglia. Vi diede ima di quelle feste che as
somigliano a quelle dei primi re di Persia. Tutti gli ordini
dello Stato, tutti gli artigiani sfilarono in parata, ciascuno con
i segni della propria professione. Fece sposare tutti i suoi
nipoti e le sue nipoti nello stesso giomoi. (1406) Infine mor
in estrema vecchiezza dopo aver regnato trentasei anni, pi
fortunato, per la lunga vita e per la felicit dei nipoti, di Ales
sandro cui gli Orientali lo paragonano; ma mt>lto inferiore
al Macedone in quanto nacque in una nazione barbara, e di
strusse molte citt come Gengis, senza erigerne una sola; lad
dove Alessandro, in una vita brevissima e in mezzo alle sue
conquiste rapide, costru Alessandria e Scanderon, restaur
quella stessa Samarcanda che fu dipoi la sede dellimpero di
Tamerlano, eresse citt fin nelle Indie, stabil colonie gre
che di l dallOxo, mand in Grecia le osservazioni di Babi
lonia e cambi il commercio dellAsia, dellEuropa e del-
lAfrica, di cui Alessandria divenne lemporio universale. In
questo, mi sembra, sta la superiorit di Alessandro su Ta
merlano, su Gengis e su tutti i conquistatori che si vuole pa
rificare a lui.
Non credo daltra parte che Tamerlano fosse dindole pi
violenta di Alessandro. Se permesso rallegrare un po que
sti avvenimenti terribili e mescolare il piccolo al grande, ri
peter ci che racconta un Persiano contemporaneo di que
sto principe. Egli dice che un famoso poeta persiano, di no
me Hamedi-Kermani*, mentre si trovava nello stesso bagno
insieme con lui e con parecchi cortigiani, si dilettava in un
giuoco che consisteva nello stimare in denaro quanto va-
* Ovvero Ahmed da Caraman, autore del poetaa persiano timur
Nameh.
CAPITOLO OTTANTOTTESIMO 3 9 5
lesse ognimo dessi: Io vi stimo trenta aspri , disse al
gran khan. Li vale la salvietta con cui mi asciugo ,
rispose n monarca. Ma appunto contando la salvietta , ri
spose Hamedi. Pu darsi che un principe che lasciava pren
dere queste innocenti libert, non avesse, in fondo, unindole
del tutto feroce; ma si familiarizza con i piccoli e si sgoz
zano gli altrL
Non era n musulmano n della setta di gran lama; ma
riconosceva un solo Dio, come i letterati cinesi, e in ci si
contraddistingueva per una grande facolt intellettiva di cui
erano privi popoU pi civili. Non si vede superstizione n
presso di lui n presso i suoi eserciti; tollerava parimente
i musulmani, i lamisti, i bramani, i ghebri, gli ebrei e coloro
che sono detti idolatri; passando nei pressi del monte Liba
no assistette persino alle cerimonie religiose dei monaci maro^
niti che abitano in quelle montagne: aveva soltanto il debole
dellastrologia giudiziaria, errore comune a tutti gli uomi
ni, e dal quale siamo appena usciti. Non era dotto, ma fece
allevare i suoi nipoti nelle scienze. Il famoso Ulugbeg, che gli
succedette negli Stati della Transoxana, fond a Samarcanda
la prima accademia delle scienze, fece misurare la terra e par
tecip alla composizione delle tavole astronomiche che por
tano il suo nome; simile in questo al re Alfonso X di Casti-
glia, che laveva preceduto di pi di centanni. Oggi la gran
dezza di Samarcanda caduta insieme con le scienze, e quel
paese, occupato dai Tartari Usbecchi, tornato barbaro, per
rifiorire forse un giorno.
La sua posterit regna ancora nellIndostan, che viene
chiamato Mogol, il cui nome deriva dai Tartari-Mogol di
Gengis, dai quali Tamerlano discendeva per linea femminile.
Un altro ramo della sua stirpe regn in Persia fino a che
unaltra dinastia di principi tartari della fazione del montone
bianco se ne impadron nel 1468. Se pensiamo che anche
i Turchi sono dorigine tartara, se ci rammentiamo che Atti-
la discendeva dagli stessi popoli, tutto questo confermer ci
che abbiamo gi detto*, e cio che i Tartari hanno conqui-
396 SAGGIO SUI COSTUMI
* Nel capitolo LX.
Stato quasi tutta la terra: ne abbiamo visto la ra^one. Essi
non avevano nulla da perdere; erano pi robusti, pi resi
stenti che gli altri popoli. Ma da quando i Tartari ddlOrien-
te, dopo avere soggiogato una seconda volta la Cina nellul
timo secolo hanno formato un unico Stato della Cina e di
questa Tartaria orientale; da quando limpero di Russia si
esteso e incivilito; d quando infine la terra irta di ba
luardi contornati dartiglieria, queste grandi migrazioni non
sono pili da paventare; le nazioni civUi sono al riparo dalle
irruzioni di quei selvaggi. Tutta la Tartaria, eccetto quella
cinese, ormai racchiude soltanto orde miserabili, che sareb
bero & troppo felici di venire conquistate a loro volta se non
fosse ancora meglio essere liberi che non inciviliti.
CAPITOLO OTTANTOTTESIMO 3 9 7
SEGUITO DELLA STORIA DEI TURCHI E DEI GRECI,
FINO ALLA PRESA DI COSTANTINOPOLI
Costantinopoli fu per un certo tempo fuori di pericolo gra
zie alla vittoria di Tamerlano; ma i successori di Bajazt re
staurarono ben presto il loro impero. Il grosso delle con
quiste di Tamerlano era nella Persia, nella Siria e nelle Indie,
nellArmenia e verso la Russia. I Turchi ripresero lAsia Mi
nore e conservarono tutto ci che avevano in Europa; ci
doveva essere allora pi concordanza e meno avversione che
non oggi tra musulmani e cristiani. Cantacuzeno non aveva
sollevato nessuna difficolt a dare sua figlia in sposa a Or-
cano, e Amurat II, nipote di Bajazt e figlio di Maometto
I, non ne fece alcuna a sposare la figlia di un despota di
Serbia, di nome Irene.
Amurat II era uno dei principi turchi che contribuirono
alla grandezza ottomana; ma era assai disingannato del fa
sto di quella grandezza che egli andava accrescendo con le
sue armi; non aveva altro scopo se non di ritirarsi. Era
cosa piuttosto rara il fatto dun filosofo turco che abdicava
alla corona. Vi rinunci volontariamente due volte, e due
volte le istanze dei suoi pasci e dei suoi giannizzeri lindus
sero a riprenderla.
Giovanni II Paleologo andava a Roma e al concilio, che
abbiamo visto riunito a Firenze da Eugenio IV; ivi dispu
tava sulla processione dello Spirito Santo, mentre i Vene
ziani, gi padroni di una parte della Grecia, compravano Tes-
salonica, e mentre il suo impero era quasi tutto diviso tra i
cristiani e i musulmani. Amurat intanto prendeva quella stes-
CAPITOLO LXXXIX
sa Tessalonica appena venduta. I Veneziani avevano cre
duto di mettere al sicuro quel territorio e di difendere la
Grecia con una muraglia lunga ottomila passi, secondo lan
tica usanza che i Romani stessi avevano messo in pratica nel
settentrione dellInghilterra: una difesa contro incursioni
di popoli ancora selvaggi; non lo fu contro la milizia vittorio
sa dei Turchi; questi distrussero la muraglia e spinsero da
ogni parte le loro irruzioni nella Grecia, nella Dalmazia, nel
lUngheria.
I popoli dUngheria si erano dati al giovane Ladislao IV,
re di Polonia (1444). Dopo aver fatto per qualche anno la
guerra in Ungheria, nella Tracia e in tutti i paesi vicini, con
successi alterni, Amurat II concluse la pace pi solenne che
i cristiani e i musulmani avessero mai stipulato: Amurat e
Ladislao la giurarono ambedue solennemente, l uno sul Co
rano e l altro sul Vangelo. Il Turco prometteva di non spin
gere pi oltre le sue conquiste; ne restitu anche qualcu
na: si fissarono i limiti dei possessi ottomani, dellUngheria
e di Venezia.
II cardinale Giuliano Cesarini, legato del papa in Ger
mania, uomo famoso per le sue persecuzioni contro i seguaci
di Giovanni Hus, per il concilio di BasHea al quale aveva pre
sieduto da principio, per la crociata che predicava contro i
Turchi, fu allora, per uno zelo troppo cieco, la causa dellob
brobrio e della sventura dei cristiani.
Appena giurata la pace, il cardinale vuole che la si rom
pa; si lusingava davere indotto i Veneziani e i Genovesi a
mettere insieme una flotta formidabile e che i Greci, ridesti,
avrebbero fatto un estremo sforzo. Loccasione era favorevo
le; era precisamente il tempo in cui Amurat II, sulla fede di
questa pace, si era appena consacrato al ritiro e aveva rinun
ziato allimpero in favore di suo figlio Maometto, ancora gio
vane e senza esperienza.
Mancava il pretesto per violare il giuramento. Amurat
aveva osservato tutte le condizioni con uno scrupolo che non
lasciava nessun sotterfugio ai trasgressori. Il legato non eb
be altra risorsa se non quella di convincere Ladislao, i capi
CAPITOLO OTTANTANOVESIMO 3 9 9
ungheresi e i Polacchi che si potevano violare i suoi giura
menti; arring, scrisse, assicur che la pace giurata sul Van
gelo era nuUa perch era stata fatta in contrasto con lindi-
naadone del papa. In eflEetto il papa, che era allora Eugenio
IV, scrisse a Ladislao ordinandogli di "rompere una pace
chegli non aveva potuto fare a insaputa della santa sede.
Si gi visto* che sera introdotta la massima di non mante
nere fede con gli eretici ; se ne concludeva che non biso
gnava mantenerla con i maomettani.
Proprio cosi lantica Roma viol la tregua con Cartagine
nellultima guerra punica. Ma lavvenimento fu ben diver
so. Linfedelt del senato fu quella di un vincitore che op
prime; e quella dei cristiani fu uno sforzo degli oppressi per
respingere un popolo dusurpatori. Alla fine Giuliano pre
valse: tutti i capi si lasciarono trascinare dalla corrente, so
prattutto Giovanni Corvino Uniade, il famoso- generale degli
eserciti ungheresi che combatte tanto spesso Amurat e Mao
metto II.
Sedotto da fallaci speranze e da una morale che soltan
to il successo poteva giustificare, Ladislao entr nelle terre
del sultano. Allora i giannizzeri andarono a pregare Amurat
di lasciare la solitudine per mettersi alla loro testa. Egli
acconsenti; (1444) i due eserciti si incontrarono presso il
Ponto Eusino, nel paese che si chiama oggi Bulgaria, in al
tri tempi Mesia. La battaglia fu data presso la citt di Varna.
Amurat portava sul seno il trattato di pace che era stato ap
pena concluso. Lo trasse fuori in mezzo alla mischia in un
momento in cui le sue truppe stavano ripiegando e preg
Dio, che punisce gli spergiuri, di vendicare quelloltraggio fat
to alle leggi delle nazioni. Fu appunto questo a dar origine al
la favola secondo cui la pace era stata giurata sulleucaristia,
lostia era stata consegnata nelle mani di Amurat e a que
stostia egli sera rivolto nella battaglia. Lo spergiuro rice
vette questa volta il castigo che meritava. I cristiani furono
vinti dopo una lunga resistenza. Il re Ladislao fu trafitto
a morte; la sua testa, mozzata da un giannizzero, venne por-
4 0 0 SAGGIO SUI COSTUMI
* A proposito di Giovanni Hus nel cap. LXXIII.
tata in trionfo di fila in fila nellesercito turco, e quello spet
tacolo complet la rotta.
Amurat, vincitore, fece seppellire quel re nel campo di
battaglia con pompa militare. Si dice che erigesse ima co-
lonna sulla sua tomba, e anche che l iscrizione di questa
coloima, lungi dallinsultare alla memoria del vinto, ne lo
dasse il coraggio e ne compiangesse la sventura.
Alcuni dicono che il cardinale Giuliano, che aveva assi
stito alla battaglia, volendo mentre fuggiva passare un fiume,
vi si fosse inabissato per il peso deUoro che portava; altri di
cono che gli stessi Ungheresi lo uccisero. Certo che per
in quella giornata.
Ma la cosa pi notevole il fatto che Amurat, dopO' que
sta vittoria, torn nella solitudine, che abdic una seconda
volta alla corona, che fu una seconda volta costretto a ri
prenderla per combattere e per vincere. (1451) Mor infine
ad Adrianopoli, e lasci limpero al figlio Maometto II, che
pens a imitare pi il valore di suo padre che non la sua
filosofia.
CAPITOLO OTTANTANOVESIMO 4 0 1
26/cn
DI SCANDERBEG
u n altro guerriero non meno celebre, che non so se debbo
chiamare osmanli o cristiano, arrest i progressi di Amurat,
e fu poi a lungo persino un baluardo' dei cristiani contro le
vittorie di Maometto II: voglio parlare di Scanderbeg, nato
neUAlbania, parte deUEpiro, paese illustre nei tempi che
vengono detti eroici e nei tempi veramente eroici dei Ro
mani. Il suo nome era Giovanni Castriota. Era figHo di un
desposta o dun piccolo ospodaro di quella contrada, vale
a dire dun principe vassallo; quanto significava despo
ta: questa parola vuole dire alla lettera padrone di casa-,
ed strano che si sia poi attribuito il nome di dispotico
ai grandi sovrani che si sono resi assoluti.
Giovanni Castriota era ancora fanciullo quando* Amurat,
parecchi anni prima della battaglia di Varna di cui ho test
parlato, si era impadronito dellAlbania dopo la morte del
padre di Castriota. Allev quel fanciullo, che solo restava
di quattro frateUi. Gli annali turchi non dicono affatto che
quei quattro principi siano stati immolati alla vendetta di
Amurat. Non sembra che queste barbarie fossero nel ca
rattere di un sultano che abc due volte alla corona, ed
poco verosimile che Amurat avesse concesso tenerezza e fidu
cia a colui dal quale nuUa doveva aspettarsi se non un odio
implacabile. Lo amava teneramente, lo faceva combattere
accanto a s. Giovanni Castriota si distinse tanto, che il
sultano e i giannizzeri gli diedero il nome di Scanderbeg, che
significa il signore Alessandro.
CAPITOLO XC
Insomma lamicizia prevalse sulla politica. Amurat gli af
fid il comando di un piccolo esercito contro il despota di
Serbia, che si era schierato dalla parte dei cristiani e faceva
la guerra al sultano suo genero: questo accadeva prima del
la sua abdicazione. Scanderbeg, che allora non aveva ven-
t anni, concep il disegno di non avere pi padroni e di re
gnare.
Seppe che un segretario che portava i sigilli del sultano
passava nei pressi del suo campo. Lo arresta, lo mette in
catene, lo costringe a scrivere e a sigillare un ordine al go
vernatore di Croia, capitale deUEpiro, di consegnare la cit
t e la cittadella a Scanderbeg. Dopo aver fatto spedire que
stordine, assassina il segretario e il suo seguito. (1433)
Marcia su Croia; il governatore gli consegna la piazzaforte
senza difficolt. La notte stessa fa avanzare gli Albanesi con
i quali era in intelligenza. Trucida il governatore e la guarni
gione. Il suo partito gli fa acquisire tutta l Albania. Gli Al
banesi sono reputati i migliori soldati di quei paesi. Scander
beg li guid cos bene, seppe trarre un tale partito dalla con
figurazione del terreno aspro^ e montagnoso, che con poche
truppe ferm sempre eserciti turchi numerosi. I musulmani
lo consideravano un perfido; i cristiani l ammiravanO' come
un eroe che; ingannando i suoi nemici e i suoi padroni, ave
va ripreso la corona del padre, e la meritava per il suo co
raggio.
CAPITOLO NOVANTESIMO 4 0 3
DELLA PRESA DI COSTANTINOPOLI DA PARTE DEI
TURCHI
S e gli imperatori greci fossero stati degli Scanderbeg, lim
pero dOriente si sarebbe conservato; ma lo stesso spirito di
crudelt, di debolezza, di discordia, di superstizione che
l aveva cos a lungo scrollato affrett il momento della sua
caduta.
Si contavano tre imperi dOriente, e in realt non ve
nera nemmeno uno. La citt di Costantinopoli in mano ai
Greci costituiva il primo; Adrianopoli, asilo dei Lascaris,
presa da Amurat I nel 1362 e sempre rimasta ai sultani, era
considerata come il secondo impero; e una provincia barbara
dellantica Colchide, chiamata Trebisonda, dove si erano ri
tirati i Comneni, era reputata il terzo.
Questo dilaniamento dellimpero, come si visto, era
limico effetto importante delle crociate. Devastato dai Fran
chi, ripreso dai suoi antichi padroni, ma ripreso per essere
devastato ancora, cera da stupirsi che sussistesse. Cerano
due partiti a Costantinopoli, accaniti luno contro laltro per
via della religione, pressa poco come a Gerusalemme quando
Vespasiano e Tito lassediarono. Luno era quello degli im
peratori che, nella vana speranza dessere soccorsi, consenti
vano a sottomettere la Chiesa greca alla latina; laltro, quello
dei preti e del popolo i quali, ricordandosi ancora dellinva
sione dei crociati, avevano in esecrazione la riunione delle
due Chiese. Ci si occupava sempre di controversie, e i Tur
chi erano alle porte.
Giovanni II Paleologo, lo stesso che si era sottomesso
CAPITOLO XCI
al papa nella vana speranza di venire soccorso, aveva regnato
ventisette anni sui lacerti dellimpero romano-greco; e dopo
la sua morte, avvenuta nel 1449, la debolezza dellimpero
fu tale, che Costantino, uno dei suoi figli, fu costretto a ri
cevere dal turco Amurat II, come dal suo signore, la con
ferma della dignit imperiale. Un fratello di questo Costan
tino ebbe Lacedemoma, un altro ebbe Corinto, un terzo ebbe
ci che i Veneziani non avevano nel Peloponneso.
(1451) Tale era la situazione dei Greci quando Maometto
Buyuk, o Maometto il Grande, succedette per la seconda vol
ta al sultano Amurat, suo padre. I monaci hanno dipinto
questo Maometto come un barbaro* insensato, che ora moz
zava la testa alla sua presunta amante Irene per placare i mor
morii dei giannizzeri, ora faceva sventrare quattordici suoi
paggi per vedere quali dessi avessero mangiato un melone.
Si trovano ancora queste storie assurde nei nostri dizionari,
che sono stati a lungo, per la maggior parte, degli archivi
alfabetici della menzogna.
Tutti gli annali turchi ci informano che Maometto era
stato il principe meglio allevato del suo tempo; ci che ab
biamo canzi detto di Amurat, suo padre, comprova abba
stanza che non aveva trascurato leducazione dellerede della
sua fortuna. Non si pu inoltre disconvenire che Maometto
abbia ascoltato U dovere di un figlio e abbia messo a tacere
l ambizione quando fu necessario rendere il trono che Amu
rat gli aveva ceduto. Torn a essere due volte suddito, sen
za suscitare la minima agitazione. Questo un fatto unico
nella storia e tanto pi singolare in quanto Maometto univa
allambizione limpetuosit di uh carattere violento.
Parlava il greco, l arabo, il persiano; capiva il latino;
disegnava; sapeva quanto allora si poteva sapere di geogra
fia e di matematica; gli piaceva la pittura. Nessun amatore
darte ignora che fece venire da Venezia il famoso Gentili
Bellino* e che lo ricompens, come Alessandro aveva pagato
* Gentile Bellini (1429-1507), figlio di Jacopo Bellini e fratello di Gio
vanni, detto il Giambellino. Il pittore si rec a Costantinopoli nel 1479;
un ritratto del sultano Maometto II si trova oggi, in pessime condizioni,
alla National GaUery di Londra.
CAPITOLO NOVANTtTNESIMO 4 0 5
Apelle, con regali e con la sua dimestichezza. Gli fece dono
di una corona doro, di una coUana doro, di tremila ducati
doro, e lo conged con onore. Non posso' impedirmi di an
noverare tra i racconti improbabili quello dello schiavo al
quale si asserisce che Maometto facesse mozzare la testa per
far vedere a Bellino leffetto dei muscoli e deUa pelle su un
collo separato dal tronco. Queste barbarie, che noi esercitiamo
sugli animali, gli uomini le esercitano sugli uomini solo nel
furore delle vendette o in quello che si chiama il diritto del
la guerra. Maometto II fu spesso sanguinario e feroce, come
tutti i conquistatori che hanno devastato il mondo; ma per
ch imputargli crudelt cos poco verosimili? a che scopo
moltiplicare gli orrori? Philippe de Commynes*, che vi
veva nel secolo- di quel sxiltano, ammette che questi, mo
rendo, domand perdono a Dio davere imposto* una tassa
ai suoi sudditi. Dove sono i principi cristiani che manifesta
no un tale pentimento?
Era in et di ventidue anni quando sal sul trono dei
sultani, e si prepar fin da allora a porsi su quello di Costan
tinopoli, mentre questa citt era tutta divisa per sapere se
bisognava o no servirsi del pane azzimo e se bisognava pre
gare in greco o in latino.
(1453) Maometto II cominci dunque con lo stringere la
citt dal lato dellEuropa e dal lato dellAsia. Infine, sin dai
primi giorni dellaprile 1453, la campagna fu coperta di sol
dati che l esagerazione fa ammontare a trecentomi a, e lo stret
to della Propontide da circa trecento galere e duecento* pic
coli vascelli.
Uno dei fatti pi strani e pi attestati luso che Mao
metto fece di una parte di queste navi. Esse non potevano
entrare nel porto della citt, chiuso comera dalle pi forti
catene di ferro e daltronde, da quel che appariva, vantaggiosa
mente difeso. In una notte fa coprire una mezza lega di stra
da in terraferma con assi di abete spalmate di sego e di grasso,
* Philippe de La Clyte, sire de Commynes (intorno al 1447-1511),
cronachista, che fu successivamente al servizio di Carlo il Temerario, di
Luigi XI, di Carlo V i l i e di Luigi XII. Autore di Mmoires sul periodo
storico dal 1464 al 1498.
4 0 6 SAGGIO SUI COSTUMI
disposte come linvasatura duna nave; a forza di macchine
e di braccia fa tirare dallo stretto ottanta galere e settanta
battelli, e li fa scorrere su queste assi. Tutto questo- gran la
voro fu eseguito in una sola notte, e gli assediati sono stu
piti il mattino dopo al vedere unintera flotta scendere da
terra nel porto. Quello stesso giorno fu costruito sottOi loro
occhi un ponte di barche, e serv a stabilirvi una batteria di
cannoni.
Delle due luna: o Costantinopoli non aveva punto arti
glieria o questa era assai mal servita. Altrimenti come mai
il cannone non avrebbe fulminato quel ponte di barche? Ma
da dubitare che Maometto si servisse, come stato detto,
di cannoni capaci di proiettili di duecento libbre. I vinti
esagerano tutto. Sarebbero occorse circa centocinquanta lib
bre di polvere per espellere bene simili palle. Questa quan
tit di polvere non si pu accendere tutta in una volta; il
colpo partirebbe prima che la quindicesima parte prendesse
fuoco e la palla avrebbe pochissimo effetto. Forse i Turchi,
per ignoranza, adoperavano di questi cannoni; e forse i Gre
ci, per la stessa ignoranza, ne erano spaventati.
Sin dal mese di maggio vennero dati assalti alla citt che
si credeva la capitale del mondo: essa era dunque davvero
mal fortificata; non fu meglio difesa. Limperatore, accom
pagnato da un cardinale di Roma, di nome Isidoro, seguiva il
rito romano o fngeva di seguirlo, per indurre il papa e i prin
cipi cattolici ad aiutarlo; ma, con questa trista manovra, irri
tava e scoraggiava i Greci, che non volevano nemmeno en
trare nelle chiese chegli frequentava. Preferiamo, escla
mavano, vedere qui il turbante che non un cappello di
cardinale.
In altri tempi, quasi tutti i prncipi cristiani, con il pre
testo di una guerra santa, strinsero lega per invadere quella
metropoli e quel bastione della cristianit; e quando i Tur
chi lassalirono, nessuno la difese.
Limperatore Federico II I non era n abbastanza potente
n abbastanza intraprendente. La Polonia era troppo mal-
governata. La Francia era da poco uscita dallabisso in cui
CAPITOLO NOVANTUNESIMO 4 0 7
lavevano sprofondata la guerra civile e quella contro l in
glese. LInghilterra cominciava a essere divisa e debole. Il
duca di Borgogna, Filippo il Buono, era un potente principe,
ma troppo abile perch rinnovasse da solo le crociate e trop-
po vecchio per tali azioni. I principi itaKani erano in guerra.
LAragona e la Castiglia non erano ancora unite, e i musul
mani occupavano sempre ima parte della Spagna.
In Europa cerano soltanto due principi degni di assalire
Maometto II. Uno era Uniade, principe Transilvania, ma
che era appena in grado di difendersi; laltro, quel famoso
Scanderbeg, che poteva solo mantenersi nelle montagne del-
lEpiro, pressa poco come un tempo don Pelagio in quelle
delie Asturie quando i maomettani soggiogarono la Spagna.
Quattro vascelli di Genova uno dei quali appartenente al
limperatore Federico III, furono quasi lunico- soccorso che
il mondo cristiano forn a Costantinopoli. Uno straniero co
mandava nella citt; era un Genovese di nome Giustiniani.
Qualunque edificio che sia ridotto a sostegni stranieri mi
naccia di rovinare. Mai gU antichi Greci ebbero un Persiano
alla loro testa, e mai Gallo comand le truppe della repub
blica romana. Costantinopoli non poteva dimque non essere
presa: perci lo fu, ma in modo del tutto diverso da come
lo raccontano tutti i nostri autori, copisti di Ducas e di Cal-
cndila*.
Questa conquista costituisce una grande ra. Qui comin
cia veramente limpero turco in mezzo ai cristiani dEuropa;
e fu questo a trasportare tra di essi alcune arti dei Greci.
Gli annali turchi, redatti a Costantinopoli dal defunto
principe Demetrio Cantemiro**, mi informano che dopo
quarantanove giorni dassedio limperatore Costantino fu co-
* Ducas (di Oli si ignora U nome di battesimo), appartenete alla
famigKa imperiale di Bisanzio, storico reputato imparziale, fu presente al
l occupazione di Costantinopoli da parte dei Turchi (1453). La sua opera
pi nota lHistoria byzantina (1469). Nicola o Laonico CalcndUa, sto
rico greco (1430 - poster, al 1480), autore di Ditnostrazioni storiche, storia
dellimpero turco dal 1298 al 1464.
** Principe di Moldavia (1673-1723), di cui perse il trono per essersi al
leato a Pietro il Grande di Russia contro i Turchi. Autqre di numerose ope
re, tra cui la Storia dellimpero ottomano.
4 0 8 SAGGIO SUI COSTUMI
Stretto a capitolare. Invi numerosi Greci a ricevere le leggi
dal vincitore. Si concordarono^ alcuni articoli. Questi annali
turchi appaiono naolto veritieri su ci che dicono di questas
sedio. Lo stesso Ducas, che reputato di stirpe imperiale e
che da fanciullo era nella citt assediata, ammette nella sua
storia che il sultano offr allimperatore Costantino di dargli
il Peloponneso e di accordare alcune piccole province ai
suoi fratelli. Voleva avere la citt e non saccheggiarla, repu- '
tandola gi come il proprio bene che trattava con riguardo;
ma mentre gli inviati greci tornavano a Costantinopoli per
riferirvi le proposte degli assediami, Maometto, che voUe
parlar loro ancora, li fa rincorrere. Gli assediati, che dallalto
delle mura vedono un grosso- contingente di Turchi sforzarsi
di raggiungere i loro, tirano imprudentemente su questi
Turchi. Costoro sono ben presto raggiunti da un maggior nu
mero. Gli inviati greci rientravano gi per una postierla. I
Turchi entrano con loro-: simpadroniscono della citt alta
separata dalla bassa. Limperatore ucciso tra la folla; e
Maometto fa tosto del palazzo di Costantino quello dei sul
tani, e di Santa Sofia la sua principale moschea.
Si forse pi mossi a piet che non colti dindignazione
quandO; si legge in Ducas che il sultano mand nel campo
lordine di appiccare dappertutto incendi, il che fu fatto con
q u e l grido em pio che il segno p a r t i c o l a r e della loro s u p e r
stizione detestabile ? Questo grido empio il nome di Dio,
Allah, che i maomettani invocano in tutti i combattimenti.
La superstizione detestabile era semmai dalla parte dei Greci
i q u a l i si rifugiarono in Santa Sofia, sulla fede di una pre
dizione che li assicurava che un angelo sarebbe sceso nella
chiesa per difenderli.
Vennero uccisi alcuni Greci sul sagrato, gli altri furono
fatti schiavi; e Maometto non and a ringraziare Dio in, quel
la chiesa se non dopo averla lavata con acqua di rose.
Sovrano per diritto di conquista duna met di Costan
tinopoli, egli fu tanto umano o tanto politico da offrire al
laltra parte la stessa capitolazione che aveva voluto conce
dere alla citt intera, e losserv religiosamente. Questo fat
CAPITOLO NOVANTUNESIMO 4 0 9
to tanto vero, che tutte le chiese cristiane della citt bassa
furono conservate fino al tempo di suo nipote Selim, che ne
fece demolire parecchie. Esse venivano* chiamate le moschee
di Issevi: Issavi , in turco, il nome di Ges. Quella del
patriarca greco sussiste ancora a Costantinopoli sul canale
del mar Nero. Gli Ottomani hanno permesso che in quel
quartiere venisse fondata unaccademia in cui i Greci mo
derni insegnano lantico greco, che non si parla pi in Gre
cia, la filosofia di Aristotele, la teologia, la medicina; da que
sta scuola sono appunto usciti Costantino Ducas, Maurocor
dato* e Cantemiro, fatti dai Turchi principi di Moldavia. Am
metto che Demetrio Cantemiro ha riferito molte fandonie an
tiche; ma non pu essersi ingannato sui monumenti moderni
che ha visto coi propri occhi e sullaccademia in cui stato
allevato.
Si anche conservata ai cristiani una chiesa e una strada
intera che appartiene loro in proprio, in favore di un archi
tetto greco di nome Cristobulo. Questo architetto era stato
impiegato da Maometto II per costruire una moschea suUe ro
vine della chiesa dei Santi Apostoli, antica opera di Teodora,
moglie dellimperatore Giustiniano; ed era riuscito a fame
xm edificio che savvicina alla bellezza di Santa Sofia. Costru
anche, per ordine di Maometto, otto scuole e otto ospedali
dipendenti da questa moschea; e appunto in premio di que
sto servigio il sultano gli accord la strada di cui parlo, il
cui possesso rimase alla sua famiglia. Non evento degno
della storia il fatto che un architetto abbia avuto la propriet
di una strada; ma importante conoscere che i Turchi non
trattano sempre i cristiani cosi barbaramente come noi ce lo
figuriamo. Nessuna nazione cristiana tollera che i Turchi ab
biano presso di essa una moschea, e i Turchi permettono che
tutti i Greci abbiano chiese. Parecchie di quelle chiese sono
collegiate; e nellarcipelago si vedono canonici sotto la
dominazione di un pasci.
_ * Nicola Maurocordato (1670-1730), nipote del fondatore dellillustre fa
miglia dei Mavrocordato, primo governatore greco dei principati danubiani.
II padre Alessandro (1636-1709), segretario di stato, lasci alcuni scritti
storici.
4 1 0 SAGGIO SUI COSTUMI
Gli errori storici seducono le nazioni intere. Uno stuolo
di scrittori occidentali ha asserito che i maomettani adora
vano Venere e che negavano la Provvidenza. Lo stesso Gro-
zio* ha ripetuto che Maometto, quel grande e falso profeta,
aveva ammaestrato una colomba a volargli vicino allorec
chio e aveva fatto credere che lo spirito di Dio andava a
istruirlo in questa forma. Sul conquistatore Maometto sono
stati prodigati racconti non meno ridicoli.
La dimostrazione evidente, nonostante le declamazioni
del cardinale Isidoro e di tanti altri, che Maometto era un
principe pi saggio e pi civile di quanto si creda il fatto
che lasci ai cristiani vinti la libert di eleggere un pa
triarca. Lo intronizz egli stesso con la consueta solennit: gli
diede il pastorale e lanello che gli imperatori dOriente non
osavano pi dare da lungo tempo; e se si scost dallusanza,
lo fece soltanto per riaccompagnare fino alle porte del suo pa
lazzo il patriarca eletto, di nome Gennadio, il quale gli disse
che era confuso dun onore che mai gli imperatori cri
stiani avevano fatto ai suoi predecessori. Alcuni autori han
no avuto la stoltezza di riferire che Maometto II dicesse a
quel patriarca: La santa Trinit, per lautorit che ho ri
cevuto, ti fa patriarca ecumenico . Questi autori conoscono
davvero male i musulmani. Non sanno che hanno in orrore il
nostro dogma della Trinit; che si crederebbero insozzati
davere pronunciato questa parola; che ci reputano idolatri
adoratori di numerosi di. Da allora i sultani osmanli hanno
sempre fatto un patriarca che viene detto ecumenico; il pa
pa ne nomina un altro che viene chiamato il patriarca lati
no: ciascuno di essi, tassato dal divano**, taglieggia a sua
volta il proprio gregge. Queste due Chiese, parimente pro
strate, sono irreconciliabili; e la cura di placarne le contese
non oggi una delle minori occupazioni dei sultani, divenuti
i moderatori dei cristiani oltre che i loro vincitori.
Questi vincitori non si comportarono con i Greci come
in passato nel X e XI secolo con gli Arabi, dei quali avevano
* Vedi Indice del I volume.
** Cosi era chiamato in Turchia U Consiglio di Stato.
CAPITOLO NOVANTUNESIMO 4 1 1
adottato la lingua, la religione e i costumi. Quando sotto-
misero gli Arabi, i Turchi erano ancora completamente bar
bari; ma quando soggiogarono l impero greco, la costitu
zione del loro governo era da lungo tempo belle formata.
Avevano rispettato gli Arabi, e disprezzavano i Greci. Non
hanno avuto altro commercio con questi Greci se non quello
dei padroni con i popoli asserviti.
Hanno conservato tutte le usanze, tutte le leggi che eb
bero al tempo delle loro conquiste. Il corpo dei gengicheri,
che noi chiamiamo giannzzeri, si mantenne in tutto il suo
vigore nello stesso numero di circa quarantacinquemila. Tra
tutti i soldati della terra, essi sono quelli che sono sempre
stati meglio nutriti: ogni oda di giannizzeri aveva e ha tut
tora un approwigionatore che li rifornisce di montone, di
riso, di burro, di verdure e di pane in abbondanza.
I sultani hanno conservato in Europa lantica usanza,
che avevano praticato in Asia, di dare ai loro* soldati dei feu
di a vita, alcuni dei quali ereditari. Non presero questa co
stumanza dai califfi arabi che detronizzarono: il governo degli
Arabi era fondato su principi differenti. I Tartari occiden
tali spartirono sempre le terre dei vinti. In Europa, fonda
rono fin dal quinto secolo questistituzione che lega i vincito
ri a un governo divenuto- loro patrimonio; e le nazioni che
a essi si mescolarono, come i Longobardi, i Franchi, i Nor
manni, seguirono questo sistema. Tamerlano lo port nelle
Indie, dove oggi si trovano i pi grandi signori di feudi, sot
to i nomi omra, di raj, di nababbi. Ma, gli Ottomani non
diedero mai se non piccole terre. I loro zaimat e i loro tima-
riot sono piuttosto piccole colonie parziali che non signo
rie. Lo spirito guerriero si mostra in tutta la sua interezza
in questistituzione. Se uno zaim muore armi alla mano, i
figli se ne spartiscono il feudo; se non muore in guerra, il
beglierbeg, vale a dire il comandante delle armi della pro
vincia, pu nominare altri a questo beneficio militare. Questi
zaim e questi timar non hanno alcun diritto se non quello
di fornire e di condurre soldati allesercito, come presso i
4 1 2 SAGGIO SUI COSTUMI
nostri primi Franchi; niente titoli, niente giurisdizione, nien
te nobilt.
Si sono sempre tratti dalle stesse scuole i cad, i moll,
che sono i giudici ordinari, e i due kadilesker dAsia e dEu
ropa, che sono i giudici delle province e degli eserciti, e che
presiedono sotto il muft alla religione e alle leggi. Il muf
t e i kadilesker sono sempre stati parimente sottomessi al
divano. I dervisci, che presso i Turchi sono i frati mendican
ti, si sono moltiplicati e non sono mutati. Il costume disti
tuire caravanserragli per i viaggiatori e scuole con ospedali
presso tutte le moschee non ha degenerato. In ima parola,
i Turchi sono quello che erano non soltanto quando prese
ro Costantinopoli, ma anche quando* passarono per la prima
volta in Europa.
CAPITOLO NOVANTUNESIMO 4 1 3
IMPRESE DI MAOMETTO II E SUA MORTE
P e r trentun anno di regno, Maometto I I mosse di conqui
sta in conquista, senza che i principi cristiani stringessero
lega contro di lui: non si pu infatti chiamare lega un mo
mento dintelligenza tra Uniade, principe di Transilvania, il
re dUngheria e un desposta della Russia Nera. Quel cele
bre Uniade dimostri che, se fosse stato maggiormente aiu
tato, i cristiani non avrebbero perduto tutti i paesi che i mao
mettani possiedono in Europa. Respinse Maometto I I da
vanti a Belgrado tre anni dopo la presa di Costantinopoli.
Proprio in quello stesso tempo i Persiani piombavano
sui Turchi e sviavano quel torrente dal quale era inondata
la cristianit. Ussum-Cassan, del ramo di Tamerlano, che era
detto Varit bianco, governatore dellArmenia, aveva appena
soggiogato la Persia. Simparentava con i cristiani, e in tal
modo H esortava a unirsi contro il nemico comune, perch
spos la figlia di Davide Comneno, imperatore di Trebisonda.
Non era lecito ai cristiani sposare la propria madrina o la
propria cugina; ma si vede che in Grecia, in Spagna e in Asia
si sposavano senza scrupoli con i musulmani.
Il tartaro Ussum-Cassan, genero dellimperatore cristia
no Davide Comneno, attacc Maometto verso lEufrate. Loc
casione era favorevole per la cristianit: ancora una volta fu
trascurata. Si lasci che Maometto, dopo fortxme alterne,
facesse la pace con i Persiani e prendesse poi Trebisonda
con la parte della Cappadocia che ne dipendeva; volgesse ver
so la Grecia, prendesse il Negroponte, tornasse allestremit
CAPITOLO XCII
del mar Nero, simpadronisse di Gaffa, lantica Teodosia ri
costruita dai Genovesi; ritornasse ad annientare Scutari,
Zante, Cefalonia; corresse fino a Trieste, alle porte di Vene
zia, e instaurasse infine la potenza musulmana al centro del
la Calabria, di dove minacciava U. resto dellItalia e donde
i suoi luogotenenti si ritirarono solo dopo la sua morte.
La sua fortuna sinfranse a Rodi. I cavalieri, che sono
oggi i cavalieri di Malta, ebbero, cos come Scanderbeg, la
gloria di respingere le armi vittoriose di Maometto II.
Nel 1480 questo conquistatore fece, appunto, assalire
quellisola in altri tempi cos celebre e quella citt fondata
molto prima di Roma nel terreno pi felice, nel paesaggio pi
ridente e sotto il delo pi puro; citt governata dai figH di
Ercole, da Danao, da Cadmo, famosa in tutta la terra per il
suo colosso di bronzo' dedicato al sole, opera immensa, fusa
da un Indiano*, e che, ergendosi per cento piedi in altezza,
con i piedi posati su due moli di marmo, lasciava passare
sotto d s le navi pi grandi. Rodi era passata in potere dei
Saraceni verso la met del VII secolo; un cavaliere fran
cese, Foulques de ViUaret, gran maestro dellordine, laveva
loro ripresa nel 1310; e m altro cavaliere francese, Pierre
dAubusson, la difese contro i Turchi.
davvero notevole il fatto che Maometto I I impie
gasse in quellimpresa uno stuolo di cristiani rinnegati. Lo
stesso gran visir che and ad attaccare Rodi era un cristiano;
e, circostanza anche pi strana, egli era della stirpe imperiale
dei Paleoioghi. Un altro cristiano, Georges Frupan, dirigeva
lassedio agli ordini del visir. Non si videro mai maomettani
abbandonare la loro religione per servire negli eserciti cri
stiani. Da dove viene questa diversit? Che sia perch
una religione che costata una parte di se stessi a coloro
che la professano, e che si sancita col sangue in unoperazio
ne dolorosissima, diventa poi pi cara? che sia perch i vin
citori dellAsia suscitassero pi rispetto che non le potenze
* Evidente lapsus per lindiano. Il colosso di Rodi fu infatti iniziato
dallo scultore Carete di Lindo (Rodi), discepolo di Lisippo, intorno al
292 a.G.
CAPITOLO NOVANTADUESIMO 4 1 5
dellEuropa? che sia perch in quei tempi dignoranza si
fossero reputate pi favorite da Dio le armi dei m.usulmani
che non le armi cristiane, e che da ci si sarebbe dedotto
che la causa trionfante fosse la migliore?
Pierre dAubusson fece allora trionfare la sua. In capo a
tre mesi costrinse U gran visir Messith Paleologo a togliere
lassedio. Nella sua Storia dei Turchi, Galcndila vi dice che
gli assedianti, salendo sulla breccia, videro in aria una cro
ce doro circonfusa di luce e una bellissima donna vestita
di bianco; che questo miracolo li sgoment, e che presero la
fuga colti dallo spavento. Sembrerebbe per un po pi vero
simile che la vista di una bella donna avrebbe piuttosto in
coraggiato che non intimorito i Turchi, e che il valore di
Pierre dAubusson e dei cavalieri sia stato il solo prodigio
al quale cedettero. Ma a questo modo scrivevano i Greci
moderni.
Il colpo fallito su quellisoletta non rendeva Maometto
Bujmk meno terribile al resto dellOccidente. Aveva conqui
stato da lungo tempo lEpiro dopo la morte di Scanderbeg.
I Veneziani avevano avuto il coraggio di sfidarne le armi.
Quello era il tempo della potenza veneziana; era molto este
sa in terraferma, e le sue flotte sfidavano quelle di Maomet
to; si impadronirono persino di Atene; ma alla fine quella
repubblica, priva di aiuti, fu costretta a cedere, a rendere
Atene, e a comprare, con un tributo annuo, la libert di
commerciare sul mar Nero, pensando sempre a riparare le
perdite con il commercio che era stato alla base della sua
grandezza. Vedremo che, poco dopo, il papa Giulio II e quasi
tutti i principi cristiani fecero a quella repubblica pi male
di quanto ne avesse subito dagli Ottomani.
Frattanto Maometto andava a portare le sue armi vitto
riose contro i sultani mamelucchi dEgitto, mentre i suoi luo
gotenenti erano nel regno di Napoli; si lusingava poi di an
dare a prendere Roma come Costantinopoli; e, udendo par
lare della cerimonia nella quale il doge di Venezia sposa il
mare Adriatico, diceva che lavrebbe presto mandato in
fondo a quel mare a consumare il suo matrimonio. Una co
4 1 6 SAGGIO SUI COSTUMI
lica arrest i progressi e i disegni di quel conquistatore.
(1481) Mor a Nicodemia, allet di cinquantatr anni, quan
do si preparava a porre ancora lassedio a Rodi e a condurre
in Italia un esercito formidabile.
CAPITOLO NOVANTADUESIMO 4 1 7
27/CII
SITUAZIONE DELLA GRECIA SOTTO IL GIOGO DEI
TURCHI: LORO GOVERNO, LORO COSTUMI
S e lItalia respir grazie alla morte di Maometto II, nondi
meno gli Ottomani hanno conservato in Europa un paese
pi bello e pi grande dellItalia intera. La patria dei Mil
ziade, dei Leonida, degli Alessandro, dei Sofocle e dei Pla
tone divenne ben presto barbara. La lingua greca da quel
momento si corruppe. Non rest quasi pi traccia delle ar
ti; perch quantunque vi sia a Costantinopoli unaccademia
greca, essa non certo quella di Atene; e le belle arti non
sono state restaurate dai tremila monaci che i sultani la
sciano sempre sussistere sul monte Athos. In passato quel
la stessa Costantinopoli fu sotto la protezione di Atene. Cal-
cedonia fu sua tributaria; l re di Tracia brigava lonore des
sere ammesso al grado dei suoi borghesi. Oggi i discendenti
dei Tartari dominano in quelle belle regioni e il nome della
Grecia sussiste appena. Eppure la sola piccola citt di Atene
avr sempre tra di noi maggior reputazione che non i Tur
chi suoi oppressori, quandanche avessero limperio- della
terra.
La maggior parte dei grandi monumenti dAtene, che i
Romani imitarono e non poterono superare, sono o in ro
vina o scomparsi: sulla tombra di Temistocle eretta una
piccola moschea, cos come una cappella di frati minori sor
ge a Roma sui ruderi del Campidoglio; lantico tempio di
Minerva anchesso trasformato in moschea; il porto del
Pireo non esiste pi. Un antico leone di marmo sussiste an
cora nei suoi pressi e d il suo nome al porto del Leone quasi
CAPITOLO x e n i
interrato. Il luogo in cui si trovava Taccademia coperto da
qualche capanno di ortolani. I bei resti dello stadio ispi
rano venerazione e rimpianti; e il tempio di Cerere, che non
ha punto sofferto delle ingiurie del tempo, lascia intravedere
ci che u Atene in passato. Questa citt, che vinse Serse,
contiene da sedici a diciassettemUa abitanti, tremebondi da
vanti a milleduecento giannizzeri che hanno solo un bastone
bianco in mano. Gli Spartani, antichi rivali e vincitori dAte
ne, sono con essa confusi nel medesimo assoggettamento.
Hanno combattuto pi a lungo per la propria libert e sem
brano conservare ancora qualche avanzo dei costumi duri e al
teri che infuse loro Licurgo.
I Greci rimasero nelloppressione, ma non gi nella schia
vit. A essi furono lasciate la loro religione e le loro
leggi; e i Turchi si condussero come si erano condotti gli
Arabi in Spagna. Le famiglie greche sussistono nella loro
patria, avvilite, disprezzate, ma tranquille: pagano solo un
ieve tributo; commerciano, e coltivano la terra; le loro cit
t e le loro borgate hanno ancora il proprio protogeros che
ne giudica le contese; il loro patriarca mantenuto da esse
con decoro. Bisogna proprio che ne tragga somme abbastan
za ingenti, dal momento che al suo insediamento egli paga
quattromila ducati al tesoro imperiale e altrettanto agli uffi
ciali della Porta.
La maggiore sottomissione dei Greci stata per lungo
tempo quella dessere costretti a consegnare al sultano dei
figli come tributo, perch servissero nel serraglio o tra i
giannizzeri. Bisognava che un padre di famiglia desse uno
dei figli o che lo riscattasse. Ci sono in Europa province cri
stiane in cui vige il costume di dare i propri figli, destinati
alla guerra sin dalla culla. Questi fanciulli di tributo', alle
vati dai Turchi, facevano spesso una grande fortuna nel
serraglio. Anche la condizione dei giannizzeri abbastanza
buona. Il fatto che la maggior parte di quei fieri nemici dei
cristiani fossero nati da cristiani oppressi era una grande
prova della forza delleducazione e delle bizzarrie di questo
mondo. Una maggior riprova del fatale e invincibile destino
CAPITOLO NOVANTATREESIMO 4 1 9
con cui lEssere supremo concatena tutti gli avvenimenti del
luniverso la circostanza che Costantino abbia costruito Co-
stantinopoli per i Turchi, come Romolo aveva, tanti secoli
prima, gettato le fondamenta del Campidoglio per i ponte
fici della Chiesa cattolica.
Reputo di dover combattere qui un pregiudizio; che il
governo turco sia cio un governo assurdo che viene detto
dispotico-, che i popoli siano tutti schiavi del sultano, che
non abbiano niente in proprio, che la loro vita e i loro be
ni appartengano al padrone. Una tale amministrazione si
distruggerebbe da s. Sarebbe davvero strano che i Greci
vinti non fossero realmente schiavi, e che lo fossero i loro
vincitori. Alcuni viaggiatori hanno creduto che tutte le terre
appartenessero al sultano perch egli d timarioti a vita, come
in altri tempi i re franchi davano benefici militari. Questi
viaggiatori dovevano considerare il fatto che vi sono leggi
sulle eredit in Turchia come in ogni altro luogo. Il Corano,
che la legge civile quanto quella della religione, provvede
fin dal quarto capitolo alle eredit degli uomini e delle donne,
e la legge di tradizione e di costume supplisce a quanto il
Corano non dice.
vero che la mobilia dei pasci deceduti appartiene al
sultano, e che egli ne assegna una parte non ragguardevole
alla famiglia. Ma era questo un costume che vigeva in Euro
pa al tempo in cui i feudi non erano ereditari; e molto tem
po pi tardi gli stessi vescovi ereditarono- mobili degli ec
clesiastici inferiori, e i papi esercitarono questo diritto sui
cardinali e su tutti i beneficiari che morivano nella residen
za del primo pontefice.
Non soltanto i Turchi sono tutti liberi, ma presso di
loro non hanno nessuna distinzione nobiliare. Non conosco
no altra superiorit se non quella degli uffici.
I loro costumi soijo a un tempo feroci, alteri ed effemi
nati; essi derivano la loro durezza dagli Sciti loro antenati
e la loro mollezza dalla Grecia e dallAsia. Estremo il loro
orgoglio. Sono conquistatori e ignoranti; appunto per que
sto disprezzano tutte le nazioni.
4 2 0 SAGGIO SUI COSTUMI
Limpero ottomano n.on un governo monarchico tem
perato da costumi miti, come lo sono oggi la Francia e la Spa
gna; assomiglia ancora meno alla Germania, divenuta col
tempo una repubblica di principi e di citt, sotto un capo su
premo che ha il titolo dimperatore. Non ha nulla della Po-
' onia, dove coltivatori sono schiavi e dove i nobili sono
re; tanto lontano dallInghilterra per la costituzione quan
to lo per la distanza dei luoghi. Ma non bisogna immagi
narsi che sia un governo arbitrario in tutto, in cui la legge
permetta ai capricci di un solo dimmolare a suo piacimento
moltitudini duomini, come cervi che vengono mantenuti in
un parco per il proprio' piacere.
Ai nostri pregiudizi sembra che uno sctausc possa andare,
con un hatiscerif* in mano, a chiedere da parte del sultano
tutto il denaro dei padri di famiglia di una citt e tutte le
fanciulle per luso del suo padrone. Ci sono indubbiamente
orribili abusi neiramministrazione turca; ma in genere que
sti abusi sono assai meno funesti al popolo che non a quegli
stessi che hanno* parte al governo; su questi ultimi ricade il
rigore del dispotismo. La sentenza segreta dun Divano basta
per sacrificare le principali teste al minimo sospetto. Non c
nessun gran corpo legale istituito in quel paese per imporre
il rispetto delle leggi e rendere sacra la persona del sovrano;
nessuna diga opposta dalla costituzione dello Stato alle in
giustizie del visir**. Cos ci sono poche risorse per il suddito
quando oppresso, e per il padrone quando si cospira con
tro di lui. Il sovrano che reputato il pi potente della terra
al tempo stesso il meno saldo sul trono. Basta xin giorno
di rivoluzione per farvelo cadere. I Turchi in questo hanno
imitato i costumi dellimpero greco chessi hanno distrutto.
* Lo sdausc il titolo che veniva dato agli uscieri e a diverse categorie
di ufficiali della corte turca; Vhatiscerif era unordinanza del sultano, e il
nome gU veniva daUappellazione data al sultano nella testata delle ordi
nanze stesse.
** Allusione ai "corpi intermediari, soprattutto ai parlamenti, della
"costituzione francese sotto VAncien Rgime. Nel capitolo suUa costituzione
dellimpero ottomano, Voltaire polemizza con gli autori francesi, primo fra
tutti il Montesquieu, che avevano reputato quellimpero uno stato gover
nato da un dispotismo assoluto e arbitrario.
CAPITOLO NOVANTATREESIMO 4 2 1
Hanno solo pi rispetto per la casa ottomana di quanto ne
avevano i Greci per la famiglia dei lorO' imperatori. Depon-
gono, scannano tm sultano; ma sempre in favore di un princi
pe della casa ottomana. Limpero greco era invece passato,
con gli assassini, a decine di famiglie diverse.
Il timore dessere deposti per gli imperatori turchi un
freno pi grande di tutte le leggi del Corano. Padrone as
soluto nel suo serraglio, padrone della vita dei suoi uffi
ciali, per mezzo di un fetfa del muft, egli non lo' delle
usanze dellimpero: non aumenta le imposte, non tocca le
monete; il suo tesoro personale separato dal tesoro pub
blico.
Il posto di sultano talvolta il pi sfaccendato di questa
terra, e quello di gran visir il pi laborioso: questi al tem
po stesso conestabile, cancelliere e primo presidente. Il
premio di tanti affanni stato spesso l esilio o il nodo
scorsoio.
I posti dei pasci non sono stati meno pericolosi, e fino
ai nostri giorni il destino di questi stato spesso una morte
violenta. Tutto ci altro non prova se non costumi duri e fe
roci, quali sono stati a limgo quelli dellEuropa cristiana,
quando tante teste cadevano sui patiboli, quando simpic
cava La Brosse, il favorito di san Luigi; quando il ministro
Laguette moriva durante la tortura sotto Carlo il Bello; quan
do il conestabile di Francia, Carlo de La Cerda, era giustiziato
sotto il re Giovanni, senza formalit processuale; quando si
vedeva Enguerrand de Marigny appeso suUa forca di Mont-
faucon chegU stesso aveva fatto erigere; quando si portava
su quella stessa forca il corpo del primo ministro Monta-
gu; quando il gran maestro dei templari e tanti cavalieri
spiravano tra le fiamme, e quando tali crudelt erano con
suete negli Stati monarchici. Ci singannerebbe assai se si
pensasse che queste barbarie fossero la conseguenza del
potere assoluto. Nessun principe cristiano era dispotico, e il
Gran Signore non lo di pi. Parecchi sultani, per la ve
rit, hanno fatto piegare tutte le leggi alla loro volont, co
me un Maometto II, un Selim, un Solimano... I conquista
4 2 2 SAGGIO SUI COSTUMI
tori trovano pochi contraddittori tra i loro sudditi; ma tutti
i nostri storici ci hanno davvero ingannati quando hanno
considerato limpero ottomano come un governo la cui essen
za il dispotismo.
Il conte de Marsigli, pi istruito di tutti costoro, cos
si esprime: J tutte le nostre storie sentiamo esdtar la
sovranit che cosi despoticamente praticasi dal sultano; ma
quanto s scostano elle dal vero!* La milizia dei giannizzeri,
egli dice, che resta a Costantinopoli e che detta capiculi,
in virt delle sue leggi ha il potere di mettere in prigione il
sultano, di farlo morire e di dargli un successore. Aggiunge
che il Gran Signore spesso costretto a consultare lo Stato
politico e militare per fare la guerra e la pace.
I pasci non sono assoluti nelle loro province come noi
crediamo; dipendono dal loro divano. I principali cittadini
hanno diritto di lamentarsi della loro condotta e dinviare
memoriali contro di loro al gran divano di Costantinopoli.
Infine Marsigli conclude col dare al governo turco il nome di
democrazia. Di fatto lo , pressa poco nella forma di quella
di Tunisi e dAlgeri. Quei sultani, che il popolo non osa
guardare e ai q u ^ non ci si avvicina se non con prosterna
zioni che sembrano avvicinarsi alladorazione, hanno dunque
solo lesteriorit del dispotismo; non sono assoluti se non
quando sanno manifestare felicemente quel furore di potere
arbitrario che sembra essere innato in tutti gli uomini. Lui
gi XI, Enrico V ili, Sisto V, altri principi sono stati di
spotici quanto nessun sultano. Se si approfondisse cos il se
greto dei troni dellAsia, quasi sempre ignoto agli stranieri,
si vedrebbe che sulla terra c assai meno dispotismo' di quan
to si creda. La nostra Europa ha visto dei principi, vassalli
di un altro principe che non assoluto, assumere nei propri
* Conte Luigi Ferdinando de Marsigli (1658-1730), ufficiale e studioso
bolognese. Combatt contro i Ttirchi nel 1682; catturato e venduto come
schiavo a un pasci, lo accompagn allassedio di Vienna. Venne riscatta
to nel 1684 e, dopo varie vicissitudini militari, si dedic agli studi sulla
natura del mare. Ha lasciato una ventina di opere scientifiche e storiche, tra
cui lo Sfato militare dellimpero ottomano, pubblicato nel 1732 ad Amster
dam e aUAja in italiano e in francese, dal quale tratta la citazione, ch
in italiano nel testo.
CAPITOLO NOVANTATREESIMO 4 2 3
Stati unautorit pi arbitraria che gli imperatori della Per
sia e dellindia. Sarebbe nondimeno un grave errore pen
sare che gli Stati, di quei principi siano, in virt della loro
costituzione, un governo dispotico.
Tutte le Storie dei popoli moderni, salvo forse quelle del
l Inghilterra e delta Germania, ci dnno quasi sempre false
nozioni, perch si sono di rado distnti i tempi e le persone,
gli abusi e le leggi, gli avvenimenti transitori e le usanze.
Ci singannerebbe anche se si credesse che il governo tur
co sia unamministrazione uniforme, e che dal fondo del
serraglio di Costantinopoli partano ogni giorno corrieri che
rechino gli stessi ordini a tutte le province. Questo vasto
impero, che andato formandosi grazie alla vittoria in di
versi tempi e che vedremo accrescersi sempre fino al XVIII
secolo, composto di trenta popoli diversi che non hanno- n
la stessa lingua, n la stessa religione, n gli stessi costumi.
Sono i Greci dellantica Ionia, delle coste dellAsia Minore
e deUAcaia, gK abitanti dellantica Colchide, quelli del Cher-
soneso taurico; sono i Geti divenuti cristiani e noti sotto il
nome di Valacchi e di Moldavi; Arabi, Armeni, Bulgari, II-
liri, Ebrei; sono infine gli Egiziani e i popoli dellantica Car
tagine, che vedremo presto inghiottiti dalla potenza ottomana.
La sola milizia dei Turchi ha vinto- tutti questi popoli e li
ha tenuti a bada. Tutti sono governati in modo diverso: gli
uni ricevono principi nominati dalla Porta, come la Va
lacchia, la Moldavia e la Crimea. I Greci vivono sotto lam
ministrazione municipale dipendente da un pasci. Il- nu
mero dei soggiogati immenso a paragone del numero- dei
vincitori; vi sono soltanto- pochissimi Turchi nativi; quasi
nessuno dessi coltiva la terra, pochissimi si dedicano alle
arti. Si potrebbe dire ci che Virgilio dice dei Romani: Loro
arte quella di comandare*. La grande differenza tra i con
quistatori turchi e gli antichi conquistatori romani risiede
nel fatto che Roma incorpor tutti i popoli vinti, mentre i
Turchi restano sempre separati da coloro che hanno sotto
messo e dai quali sono circondati.
* Eneide, VI, 851-852.
4 2 4 SAGGIO SUI COSTUMI
A Costantinopoli sono rimasti invero duecentomila Gre
ci; ma si tratta di circa duecentomila artigiani o mercanti
che lavorano per i loro dominatori. un intero popolo sem
pre conquistato nella propria capitale, al quale non neppure
consentito di vestirsi come i Turchi.
Aggiungiamo a questa osservazione che una sola poten
za ha soggiogato tutti quei paesi, dallArcipelago fino allEu-
frate, mentre decine di potenze congiuratesi erano riuscite
con le crociate a istituire in quelle stesse contrade soltanto
dominazioni effimere con soldati venti volte pi numerosi e
travagli che durarono secoli interi.
Ricaut*, che vissuto a lungo ia Turchia, attribuisce la
potenza duratura dellimpero ottomano a qualche cosa di
soprannaturale. Non pu capire come quel governo, che di
pende cos spesso dal capriccio dei giannizzeri, possa soste
nersi contro i suoi propri soldati e contro i suoi nemici. Ma
limpero romano* durato cinquecentanni a Roma e quasi
quattordici secoli nel Levante in mezzo a sedizioni degli
eserciti; i possessori del trono furono rovesciati, e il tronO'
non lo fu. I Turchi hanno per la razza ottomana una venera
zione che fa loro le veci di legge fondamentale; limpero
spesso strappato al sultano, ma, come abbiamo fatto osser
vare, non passa mai a una casa estranea. La costituzione in
terna non ha dunque avuto nulla da temere, quantunque il
monarca e i visir abbiano dovuto tremare cos spesso.
Finora questimpero non ha paventato invasioni stranie
re. Raramente i Persiani hanno intaccato le frontiere dei
Turchi. Vedrete al contrario il sultano Amurat IV prendere
dassalto Bagdad ai Persiani nel 1638, restare sempre il pa
drone della Mesopotamia, mandare da un latO' truppe al Gran
Mogol contro la Persia e dallaltro minacciare Venezia. I Te
deschi non si sono mai presentati alle porte di Costantino
poli come i Turchi a quelle di Vienna. I Russi sono diven
tati temibili per la Turchia soltanto da Pietro il Grande in
poi. Insomma la forza e la rapina instaurarono limpero ot-
* In Histoire de ltat present de lempire ottoman, Amsterdam, 1670
(POMEAU).
CAPITOLO NOVANTATREESIMO 4 2 5
tornano, e le discordie dei cristiani l hanno conservato: in
questo non v nulla che non sia naturale. Vedremo come
questimpero sia andato aumentando in potenza e abbia per
severato a lungo nelle sue usanze feroci, che cominciano final
mente a mitigarsi.
4 2 6 SAGGIO SUI COSTUMI
INDICE DEI NOMI CITATI
INDICE GENERALE
INDICE DEI NOMI CITATI*
A
Ab a s s i d i (o Ab b a s s o i i ) - I, 268.
Ab b a s I il Grande - I, 265.
Ab d a l l a (sultano di Toledo) - II,
60.
Ab d a l l - I , 257.
Ab d a l l -Mu t a l e b - I , 257, 258.
Ab d e r a m i - I , 406.
Ab d e e a m o - I, 268, 400-402.
Ab e l a r d o , Pietro - II, 354.
Ab e l e - I, 280.
Ab e n a d a - I I , 64.
Ab e n -Es r a - I , 153.
Ab g a r o - I , 291, 298.
Ab r a m o - I, 35, 62, 67, 71, 73-76,
89, 154, 155, 182, 255, 257-259.
Ab u b e k e r - I, 263, 264, 266.
Ab u g i a f a r -Al m a n z o r - I, 268.
Ab u l c a z i -k h a n - I, 37; II, 193.
Ac a b - I, 39, 158, 164.
Ac a z - I, 165.
Ac h i l l e - I, 130, 140.
Adad - I, 33, 52.
Ad a m o - I, 28, 54, 124, 182, 184,
281, 291.
Ad e l b e k t o , marchese di Camerino -
II, 13.
Ad e m a r o Ca b a n e n s e - II, 33.
Ad i m o - I, 40, 83, 237, 243.
Ad o n a i - I, 33-35, 66, 92, 106.
Ad o n e - I, 113.
Ad o n i a - I , 158.
Ad r i a n o (imperatore romano) - I,
120, 161, 284, 285, 293, 338, 407;
II, 145.
Ad r i a n o I, pontefice - I, 317, 320,
332, 334, 335, 338, 352, 355,
357, 385.
Ad r i a n o II, pontefice - I, 415,
416.
Ad r i a n o IV, pontefice - I, 339; II,
93, 94, 96-99, 112.
Agamennone - I, 39, 51, 103, 174.
Ag o b a r d o , arcivescovo - I, 363.
Ag o s t i n o , sant - I, 313, 423; II,
69.
Ai m e r y di Pavia - II, 306.
Ai m o i n o - I, 200.
A l a m a n n i , Luigi - II, 256.
A l a r i c o I (re dei Visigoti) - I, 306,
313.
Al a r ic o II (re dei Visigoti) - I,
194, 195.
Al b a , cardinale d - II, 267.
A l b e r t o I il Grande (principe dAu
stria) - II, 55, 221, 222, 234, 235,
238, 239, 248, 249, 252.
Al b o i n o (re dei Longobardi) - I,
310, 313.
Al c i b i a d e - I, 145.
Al c i n o o (re dei Feaci) - I, 72.
Al c m e n a - I, 129.
Al c m e o n e - I, 179.
Al c u i n o - I, 351, 360, 364.
Al d o b r a n d i n i , Piero - II, 74.
Al e s s a n d r a , sant - I, 295.
* J numeri di pagina che figurano in corsivo nelle rispettive voci si
riferiscono ai rinvii in nota.
4 3 0 INDICE DEI NOMI CITATI
Al e s s a n d r o , duca di Parma - V.
Farnese.
A l e s s a n d r o Magno - I, 37, 52, 69-
72, 80, 91, 104, 145, 159, 174,
175, 189, 193, 196, 211, 231, 238,
241, 246, 249, 250, 258, 265, 380;
II, 8, 100, 147, 157, 193, 391-
393, 395, 405, 418.
A l e s s a n d r o Se v e r o (imperatore ro
mano) - I, 249, 285; II, 7.
Al e s s a n d r o II, pontefice - II, 50,
77, 78, 97.
Al e s s a n d r o III, pontefice - II, 95,
99-101, 112, 130, 225, 346, 363.
Al e s s a n d r o IV, pontefice - II, 95,
204, 205.
Al e s s a n d r o V, pontefice - II, 275.
Al e s s a n d r o VI, pontefice - II, 234,
290.
Al e s s i o II Ma n u e l e (imperatore
dOriente) - II, 167.
Al e s s i o III IAn g e l o , detto Mirzi-
flos (imperatore di Costantinopoli)
- II, 167, 168.
Al f o n s o I U Cattolico (re deUe
Asturie) - I, 400.
A l f o n s o I il Contendente (re dA-
ragona e di Navarca) - II, 224,
226.
Al f o n s o II il Casto - I, 402.
Al f o n s o III il Grande (re delle
Asturie) - I, 403.
Al f o n s o V (re del Leon) - II 60.
Al f o n s o V U Saggio o il Magna
nimo (re dAragona) - II, 293.
Al f o n s o VI il Valente - II, 62-64.
Al f o n s o V i l i il NobUe (re di Ca-
stiglia) - II, 227.
A l f o n s o X il Saggio (re di Casti-
gHa) - I, 403; II, 229-231, 396.
Al f o n s o XI U Vendicatore (re di
Castiglia) - II, 317.
Al f o n s o I il Conquistatore (re del
PortogaUo) - II, 224, 225.
Al f r e d o U Grande (re dInghU-
terra) - I, 393-395, 410; II, 27,
47, 319.
A l i (quarto califfo) - I, 259, 263,
267, 268, 279.
Al i g h i e r i , Dante - II, 31, 350, 351.
Al m a m o n ( settimo califfo abasside)
- I , 270, 404, 406; I I , 62, 63,
136.
Al m o a d a n ( re d E gitto) - I I , 179.
Al -Wa l i d (califfo i Damasco) - I ,
268, 399.
Am a s i a ( re di Giuda) - I , 158.
Am a u r y ( re d i Gerusalemme) - I I ,
159.
Am b r o g i o , sa nt - I , 305, 378, 418,
419.
Am b r o g i o - I , 82, 241, 242.
Am m i a n o Ma r c e l l i n o - I , 300.
Am m o n - I , 158.
Am m o n e - I , 34, 89.
Am o s (profeta) - I , 35, 133, 168.
Am u r a t I (sultano) - I I , 388, 389,
404.
Am u r a t I I (sultano) - I I , 393, 398-
4 0 3 , 405.
Am u r a t I V ( sultano) - I I , 425.
An a c l e t o I , sa nt (pontefice) - I ,
282.
An a c l e t o I I , pontefice - I I , 45.
An a n i a - I , 163.
An c r e , marescialla d - I , 137.
An d r e a , s a n t - I , 124, 292.
An d r e a I I U Gerosolimitano (re
d Ungheria) - I I , 170.
A n d r e h e n , maresciallo d - I I ,
319.
An d r o n i c o I I (imperatore di Bi
sanzio) - I I , 167, 387.
An d r o n i c o I V (imperatore d i Bi
sanzio) - I I , 389.
An f i o n e - I , 113.
An f i t r i o n e - I , 232.
An g i , Andrea d - I I , 260, 261,
263.
A n g i , Carlo conte d - I , 363;
I I , 179, 181, 182, 201, 204-
208, 387.
An g i , Luigi I duca d - I I , 263,
276, 293, 324, 327, 328, 347.
An g i , Luigi I I I duca d - I I ,
294.
An g i , Re nato d - I I , 294.
An n a (regina d i Francia) - I I , 32.
An s o n , George - I , 222.
An t i g o n e - I , 160.
A n t i n o o - I , 120, 285.
A n t i o c o I (re d i Siria) - I , 63, 159.
INDICE DEI NOMI CITATI 431
An t i o c o IV, Epifane - I, 159.
An t i o c o V, Eupatore - I, 159.
An t i o c o VII, Sidete - I, 160.
An t o n i n i - I, 82, 110, 173, 212,
284, 298, 338, 410.
An t o n i o , Marco - I, 160.
An o t i - I , 34, 116.
Ao d - I, 156.
Ap a m e a - I, 172.
A p e l l e - II, 406.
Ap i - I, 34, 91, 98, 116.
Ap i o n e - I, 103, 136, 171, 188.
Ap o l l o - I, 39, 40, 81, 113, 164.
Ap o l l o n i o di Tiana - I, 131, 132.
Ap u l e i o , Lucio - I, 82, 100, 143,
169, 241.
Ar c a m o - I, 195.
A r c e s i l a o - I, IDI,
Ar e s - I, 329.
Ak e t i n o , Leone - II, 287.
A r g e n s , marchese d - I, 54.
A r i m a n e - I, 40, 181, 183, 256.
A r i o s t o , Ludovico - I, 266, 331;
II, 350, 352, 353.
Ar i o v i s t o (re dei Suebi) - I, 207.
A r i s t a r c o di Samo - I, 53.
Ar i s t e o - I, 178.
Ar i s t i d e (arconte) - I, 102.
Ar i s t o b u l o I (re d e ^ Ebrei) -
I, 160.
Ar i s t o b u l o II (re degli Ebrei) -
I, 160.
A r i s t o t e l e - I, 52, 105, 108; II,
216, 222, 354, 410.
Ar m a g n a c , conte d - II, 330.
Ar m i n i o - I, 328, 329.
Ar n a l d o (re dItalia) - I, 386;
II, 3, 4.
A r n a l d o da Brescia - II, 93, 209.
Ar n a u l d , Antoine - I, 106, 107.
A r o l d o II ( re d I nghilte rra) - II,
49, 50.
A r e i a n o , Flavio - I, 174, 175.
A r r i g o VII di Lussemburgo - II,
253, 254, 265.
Ar s a c e il Parto -.1, 249.
Ar t t e v e l t , Jacques d - II, 302.
Ar t o i s , Roberto conte d - II,
129, 179, 359.
Ar t (prQdpe di Bretagna) - II,
114, 115.
Ar t u (re) - II, 316.
A s a (re di Giuda) - I , 158.
A s m o d e o - I , 59, 186.
A s s e l i n - I I , 199.
A s t a r o t t e - I , 186, 187.
A s t i a g e (re della Media) - I , 58,
172.
A s t o l f o (re dei Longobardi) - I ,
311, 318, 319.
A t a l a r i c o (re degli Ostrogoti) -
I, 309.
At a l i a (regina di Giuda) - I, 158.
At a n a s i o , sant - I, 297, 307.
A t e - I, 181.
At t a l o P r i s c o (imperatore roma
no) - I , 195, 306.
At t i l a (re degli Unni) - I, 196,
306, 307, 334; II, 7, 396.
Au b u s s o n , Pierre - II, 415, 416.
Au g u s t o , Caio Giulio Cesare Ot
taviano (imperatore) - I, 91,
123, 124, 137, 196, 250, 270,
281, 338, 403; II, 308.
Au r e l i a n o , Lucio Domizio (impera
tore romano) - I, 113.
B
Ba c c o - I , 37, 38, 77, 102, 111-
113, 153.
Ba c o n e , Francis - I , 111.
Ba c o n e , Ruggero - II, 304.
Ba j a z t I l d e r i m (imperatore dei
Turchi) - II, 279, 330, 389, 390,
392-394, 398.
Ba l a a m - I , 163, 176.
Ba l d o v i n o I (re di Gerusalemme)
- II, 144, 147, 150, 154.
Ba l d o v i n o II (imperatore di Co
stantinopoli) - II, 174, 186, 234.
Ba l d o v i n o IX, conte di Fiandra
(imperatore di Costantinopoli) -
II, 115, 165, 167-169, 185.
Ba l i o l (re) - II, 295.
Ba l t u s , Jean Franjois - I, 120.
Ba l u z e , tienne - I, 339, 369.
Ba r c o c h e b a - I, 161.
Ba r m e c i d i - I , 263.
Ba r o n e , Cesare - II, 15.
Ba r o n i o , Cesare - V. Barone.
Ba r t o l o (giureconsulto) - I I , 265,
266.
4 3 2 INDICE DEI NOMI CITATI
Ba r u c h (profeta) - I, 118.
Ba s i l i o (imperatore dOriente) -
I, 410, 419-421; II, 20, 54.
Ba t u -k h a n - I, 37; II, 198, 199.
Ba v i e r a , Guelfo duca di - II, 86.
Ba y l e , Pierre - I, 87, 111, 228.
Ba z i n (re di Turingia) - I, 199.
S a z i n e - I, 199.
Be a u m a n o i k , Jean de - II, 315.
Be c k e t , Tommaso - II, 106, 110-
113, 130.
Be d f o r d , Giovanni di Lancaster du
ca di - II, 336 - 338.
Be l i s a r i o - I, 309.
Be l l i n i , Gentile - II, 405, 406.
Be l l i n i , Giovanni - II, 405.
Be l l i n i , Jacopo - II, 405.
Be l l i n o , Gentili - V. Bellini Gen
tile.
Be l l o n a - I, 98.
Be n a d a d (re moro dAndalusia) -
II, 63.
Be n e d e t t o , san - I, 309.
Be n e d e t t o VI, pontefice - II, 19.
Be n e d e t t o V i l i , pontefice - II,
21.
Be n e d e t t o IX, pontefice - II, 21,
22.
Be n e d e t t o XII, pontefice - II, 221.
Be n -Ho n a i n (astronomo) - I, 270.
Be n i a m i n o da Tudela - I, 161.
Be n i g n o , san - I, 423.
Be r e n g a r i o I (duca di Friuli) - II,
3.
Be r e n g a r i o II (marchese dIvrea) -
II, 14-16, 57.
Be r e n g a r i o (vescovo dAngers) - II,
69, 70, 284.
Be r n a r d o , san - II, 45, 46, 93, 152,
154-156, 158, 354.
Be r n a r d o (re dItalia) - I, 337, 373,
374, 376.
Be r o l d o - II, 55.
Be r o s o (storico) - I, 54, 255.
Be r t a (regina dei Francesi) - II, 30.
Be r t r a d a (regina dei Francesi) - II,
31, 32.
Bi a n c a di Castglia - II, 124, 125,
174, 181, 214, 299.
Bl o i s , Carlo conte di - II, 303, 305,
315.
Bo c c a c c i o , Giovanni - II, 352, 353.
Bo c h a r t , Samuel - I, 66, 112.
Bo e m o n d o I (principe dAntiochia)
- II, 42, 43, 146-150.
Bo g o r i s I (re di Bulgaria) - I, 421.
Bo l l a n o , Jean - I, 293, 295.
Bo n i f a c i o I, san (pontefice) - I, 349.
Bo n i f a c i o VII, pontefice - II, 19,
20.
Bo n i f a c i o V i l i , pontefice - II, 220-
222, 232-234, 236-240, 244, 259,
281, 350, 353, 357, 365.
Bo r b o n e , Bianca di - II, 317, 318.
Bo r b o n e , Giacomo di - II, 293.
Bo r g o g n a , Carlo duca di - V. Carlo
il Temerario.
Bo r g o g n a , Enrico duca di - II, 224.
Bo r g o g n a , Bude duca di - II, 115.
Bo r g o g n a , Filippo duca di (detto
Filippo il Buono) - II, 333, 334,
336, 337, 340, 376, 408.
Bo r g o g n a , Giovanni di (detto Gio
vanni Senzapaura - II, 329, 330,
332, 333, 376, 377, 389.
Bo r g o g n a , Margherita di - II, 298.
Bo s s u e t , Jacques-Bnigne - I, 204.
Bo u c i c a u l t , Jean Le Meingre, det
to - II, 330.
Bo u l o g n e , Renaud conte di - II,
115.
Bo z o n e (re di Arles) - II, 3.
Br a m a - I, 40, 52, 73, 74, 78, 81,
132, 243-245, 248, 255.
Br a m a n t e , Donato - I, 134.
Br i g a n o , Bartolomeo - V. Frigna
no.
Br i g i d a , santa - II, 270.
Br u c e , Robert (re di Scozia) II,
296.
Br u n e c h i l d e - I, 199-201, 340, 341.
Br u n e l l e s c h i , Filippo - II, 353.
Br u n o n e - V. Leone IX.
Bu d d a - I, 52, 198, 227.
B u f f o n , George-Louis Ledere con
te de - I, 25.
B u o n d e l m o n t i , Zanobi - II, 256.
Bu t r e d o - I, 394.
c
Ca d i g i a - I, 258, 262.
Ca d mo - I, 99, 102.
INDICE DEI NOMI CITATI 4 3 3
Ca i a m (califfo) - I I , 137.
Ca i n o - I , 184, 280.
Ca l a n - I , 238.
Ca l c a n t e - I , 51, 120.
Ca l c n d i l a , Nicola - I I , 408, 416.
Ca l i g o l a - I , 187.
Ca l -k h a n (o G a s s a r -k h a n ) - I I ,
189.
Ca l l i s t e n e (storico) - I , 52, 85,
88.
Ca m - I , 68, 124.
Ca m b i s e - I , 91.
Ca m i l l o - I , 198.
Ca m o s - I , 34.
Ca n a a - I , 164.
Ca n g -Hi - I , 77, 84, 216, 218, 220,
225.
C n i d i a - I , 138.
Ca n t c u z e n o , Giovarmi (imperatore
d Oriente) - I , 316; I I , 388, 398.
Ca n t e m i r o , Demetrio (storico) - I I ,
408, 410.
Ca n u t o il G r a n d e ( r e d i Danimar
ca) - I I , 47.
Ca p e t o , Ugo - I , 131, 317; I I , 3,
16, 24, 27-30, 224.
Ca r a c a l l a - I , 285.
Ca k e t e d i L in d o (scultore) - I I ,
415.
Ca r i b e r t o I (r dei Franchi) - I ,
332, 414.
Ca r l o d i Durazzo (re d i Napoli) -
I I , 261-263, 273, 275, 377.
Ca r l o I I i l Calvo ( re della Francia
occidentale) - I , 374, 376, 377,
379-385, 388, 389, 393, 414, 415,
423; I I , 3, 6, 68.
Ca r l o I I I i l Semplice ( re di Fra n
cia) - I , 391, 392; I I , 3, 9, 28.
Ca r l o I V il Bello (re d i Francia)
- I I , 296, 300, 301, 334, 422.
Ca r l o V E Saggio (re d i Francia) -
I I , 263, 271, 293, 305, 313, 316,
318, 319, 321-324, 327, 337, 347,
361, 369.
Ca r l o V I i l Folle (re di Francia) -
I I , 10, 269, 279, 324, 327, 333,
334, 336, 346, 359, 361, 376, 377,
390.
Ca r l o V I I U Vittorioso (re di
F r a n d a ) - I I , 332, 337-339, 341-
28/CH
343, 348, 364, 366, 368, 371,
376, 377, 379, 383, 384, 389.
C a r l o V i l i lAfiabile (re i Fran
cia) - II, 293, 305, 308, 406.
C a r l o m a g n o - I, 201, 204, 211, 213,
214, 229, 232, 235, 237, 239, 269,
280, 300, 309, 313, 317-319, 321,
325-340, 344-358, 360-366, 368-
370, 372-374, 379-385, 387, 389,
393, 401, 406-408, 413, 414, 416;
II, 3-9, 11, 14, 15, 21, 23, 24, 26-
29, 35, 38, 39, 56, 67, 87, 90, 95-
97, 120, 161, 191, 199, 209, 219,
235, 239, 256, 258, 268, 326, 342,
, 360, 369.
Ca r l o ma n n o (re dAustrasia) - I,
314, 315, 318, 326.
Ca r l o ma n n o (re dAustrasia) I, 326.
Ca r l o III il Grosso (re di Ger
mania) - I, 385, 386, 389, 391;
II, 30.
Ca r l o IV (imperatore di Germania)
- II, 265, 266, 268, 272, 285, 308.
Ca r l o ma n n o (figlio di Ludovico II)
- I, 386.
Ca r l o ma n n o (re dItalia e di Ba
viera) - I, 385.
Ca r l o Ma r t e l l o - I, 201, 268,
314, 342, 347, 360, 401.
Ca r l o I (re dInghilterra) - II, 10.
Ca r l o II, lo Zoppo (re di Napoli) -
II, 221.
Ca r l o il Malvagio (re di Navarra) -
II, 310, 313, 321.
Ca r l o V dAsburgo (re di Spagna)
- I, 337; II, 320, 334.
C a r l o il Temerario (duca di Bor
gogna) - II, 406.
Ca r l o di Valois - II, 232, 234, 235,
350, 361.
Ca r o n d a - I, 110.
Ca r o n t e - I, 99.
C a k p o c r a t e - I, 280.
Ca s s i o d o e o - I, 309.
C a s t e l n a u , Pietro di - II, 210.
C a s t o r e - I, 37, 102, 198.
C a s t r a c a n i , Castruccio - II, 256,
290.
Ca s t e i o t a , Giovanni - V. Scander-
beg.
4 3 4
INDICE DEI NOMI CITATI
Ca t e r i n a - V. Christine de Piz-
zano.
Ca t e r i n a I di Russia - I, 70.
Ca t e r i n a II di Russia - I, 70.
Ca t e r i n a d i Francia - II, 333.
Ca t e r i n a da Siena, santa - II, 265,
269, 270.
Ca t o n e Uticense - I, 87, 192.
Ca t u l l o - I, 62.
Ca u c h o n Pierre (vescovo di Beau-
vais) - II, 339.
Ce c i l i o n e - I, 307.
Ce c r o p e - I, 102, 103.
Ce l e s t i n o III, pontefice - II, 102,
114.
Ce l e s t i n o IV, pontefice - II, 199.
Ce l e s t i n o V, pontefice - II, 239,
240.
Ce l s o - I, 99, 143.
Ce r e r e E l e u s i n a - I, 66, 96, 143,
145, 365.
Ce s a r e , Caio Giulio - I, 61, 91, 95,
192, 196, 206-208, 261, 411; II,
265.
Ce s a r i n i , Giiiliano - II, 399-401.
Cha ng -Ti - I, 86.
Ch a r d i n , Je an - I, 80; II,
Ch a r r o n , Pierre - I, 111.
CitTELET, Emilie du - I, 203.
Ch i l d e b e r t o - 1, 199, 341, 360, 366.
Ch i l d e r i c o I - I, 199.
C h i l d e e i c o III - I, 314, 317.
Ch i l p e r i c o - 1, 199, 332, 341, 414.
Ch r a m (o Ch r a m n e ) - I, 341.
C h w s t i n e de P i z z a n o - II, 361.
Ch u mo n t u - I, 242-245.
CiBELE - I, 52, 63, 98.
C i c e r o n e , Marco Tullio - I, 36, 54,
98, 105, 110, 144, 191, 192, 305,
422; II, 36, 354, 355.
CiD Ca m p e a d o r , Rodriguez Diaz
de Bivar, detto - II, 61-64, 224.
CiMABUE, Giovanni - II, 353.
CiMONE - I, 102.
Ci p r i a n o , san - I, 285, 286.
Ci r i a c o , san - I, 256.
Ci r i l l o , san - I, 54, 305, 307.
Ci r o - I, 36, 51, 58, 59, 64, 90,
91, 104, 175, 190, 204.
Cl a u d i a , santa - V. Alessandra,
sant.
Cl e m e n t e , san - I, 82, 97, 124,
137, 241.
Cl e m e n t e II, pontefice - II, 22.
Cl e m e n t e III, pontefice - II, 162.
Cl e m e n t e IV, pontefice - II, 182,
205-207.
Cl e m e n t e V, pontefice - II, 240,
243, 252, 269.
Cl e m e n t e VI, pontefice - II, 258,
259, 261, 262, 268, 360.
Cl e m e n t e VII, antipapa - II, 262,
263, 272-274, 284.
Cl e m e n t e V i l i , pontefice - II, If.
Cl e r m o n t , Roberto de - II, 313.
Cl e t o - V. Anacleto.
Cl o d o a l d o , san - I, 341.
Cl o d o m i r o - I, 341.
Cl o d o v e o - I, 199, 212, 300, 307,
308, 313, 315, 316, 339, 341-343,
345, 367, 377, 411, 421; II, 67,
150.
Cl o d o v e o II - I, 201.
Cl o t a r i o - I, 199, 341.
Cl o t a r i o II - I, 200, 341.
Cl o t i l d e - I, 367.
Cl o u d , san - V. Clodoaldo.
CoEUK, Jacques - II, 337, 343.
CoLBERT, Jean-Baptiste - I, 350.
Co l o mb o , Cristoforo - I, 48.
Co l o n n a , Ottone - v. Martino V,
pontefice.
Co l o n n a , Sciarra - II, 239.
CoMMYNES, Philippe de la Clyte si
re de - II, 406.
CoMNENA, Arma - II, 42, 146, 147.
COMNENO, Alessio (imperatore dO-
riente) - II, 42, 142, 144-146, 148,
149, 151, 156.
CoMNENO, Alessio (imperatore d
Trebisonda) - II, 169.
CoMNENO, Andronico - II, 159.
CoMNENO, Davide (imperatore di
Trebisonda) - II, 414.
CoMNENO, Manuele - II, 156.
Co n f u c i o - I, 86, 87, 111, 211, 217,
224, 227, 228, 241, 244; II, 178.
Co p e r n i c o , Mikolaj - I, 139.
CoRESH - V. Ciro.
CoRNEiLLE, Pierre - II, 61.
CORRADINO (sultano di Damasco) -
II, 171.
INDICE DEI NOMI CITATI 4 3 5
CORRADINO di Svevia - II, 201, 203,
206-208.
Co r r a d o (duca di Franconia) - II,
5, 7.
Co r r a d o II il Salico (imperatore di
Germania) - I, 317; II, 21, 22.
Co r r a d o III (imperatore di Ger
mania) - II, 20, 95, 156-158.
Co r r a d o IV (imperatore di Germa
nia) - II, 132, 201-203, 252.
Co r r a d o , re dItalia - II, 87.
CoRRAKio, Angelo - II, 274-276, 280,
281.
Co r r e r , Angelo - V. Corrano.
CoRTUsio (storico) - II, 345.
COSROE I - I, 256.
COSROE II - I, 260.
COSSA, Baldassare - V. Giovanni
XXIII.
Co s t a n t e II - I, 408.
Co s t a n t i n o I (imperatore romano)
- I, 125, 146, 196, 283, 287, 289,
297. 299-303, 311, 320, 328, 345,
349, 398, 412; II, 44, 268, 278,
420.
Co s t a n t i n o III - I, 408.
Co s t a n t i n o IV Pogonato - I, 408.
Co s t a n t i n o V Copronimo - I, 311,
324, 408.
Co s t a n t i n o VI - I, 354.
Co s t a n t i n o VII Porfirogenito - I,
354; II, 20, 138.
Co s t a n t i n o IX Monomaco - II, 54.
Co s t a n z a (principessa normanna) -
II, 102, 103.
Co s t a n z a di Arles (regina dei Fran-
cH) - II, 66, 67.
Co s t a n z o I Cloro - I, 288, 289,
366.
Co t t a , Giambattista - I, 105.
Co u r t e n a i , Pierre de - II, 185, 186.
Cr e s c e n z i o (console) - II, 19, 20.
Cr e s o - I, 40.
Cr i s o s t o m o , Giovanni - V. Giovan
ni Crisostomo.
Cr i s t o b u l o (architetto) - II, 410.
Cr i s t o f o r o (re di Danimarca) - II,
221.
CuGNiRES, Pierre - II, 309.
Cu r z i o , Marco - I, 198.
Cu r z i o , Quinto Rufo - I, 69, 70,
174, 17f, 241.
D
D A c h e k y , Lue - II, 216.
D a c i e r , Andr - I, 118.
D a g o b e r t o II il Giovane - I, 342,
414; II, 27.
D a l e , Antonis van - I, 68, 120.
Da m a s o II, pontefice - II, 22.
Da m p i e r r e , Gui de - II, 115.
Da n - I, 36.
Da n i e l , Gabriel - I, 307, 330; II,
125, 211, 217, 311.
D a n i e l e (profeta) - I, 172.
Da r i o I - I, 165, 172, 173, 218,
250.
Da r i o III Codomano - I, 174, 231,
265.
Da r i o O c o - I, 91; II, 392.
Da v i d e (re degli Ebrei) - I, 126,
148, 155, 160, 264, 272, 284,
292, 293, 298; II, 54.
De b o r a - I, 156, 207.
De c i o , Gneo Traiano - I, 286.
D e l l e Vi g n e , Raimondo - II, 270.
De m e t r i o di Paler - I, 188.
D e m o s t e n e - II, 355.
D e n y s le Petit - I, 363.
D e r k e t o - I, 114.
D e s c a r t e s , Ren (Ca r t e s i o ) - I,
111.
D e s i d e r i o (re dei Longobardi) - I,
327, 332, 333.
De s i d e r i o di Montecassino - II, 73.
D e u c a l i o n e - I, 83, 100-102, 243.
D i a n a - I, 294.
D i e g o di Lata - II, 62.
D i o c l e z i a n o , Caio Valerio Govo -
1, 286-289, 304, 347.
D i o d o r o Siculo - I, 57, 67, 75, 90,
139, 175, 199, 371.
D i o g e n e di Sinope - I, 166.
D i o n e Ca s s i o - I, 61, 284.
D i o n i g i , san - I, 201, 297; II, 108,
120.
D i o n i g i (re del Portogallo) - II, 246.
Do m e n i c o , san - II, 210, 213.
D o m i z i a n o , Tito Flavio (impera
436 INDICE DEI NOMI CITATI
tore romano) - I, 130, 192, 284,
293, 298.
D o n a t o il Grande - I , 307.
D r o g o n e dAltaviUa - II, 37.
D r u s o - I, 124.
Du Ca n g e , Charles du Fresne (sto
rico) - II, 27, 357, 358.
D u c a s (storico) - II, 408, 409.
D u c a s , Costantino - II, 41, 42.
D u c a s , Michele (imperatore di Co
stantinopoli) - II, 42.
D u c h e s n e , Andr (storico) - II, 28.
Du H a l d e , Jean-Baptiste - V. Hal-
de, du.
D u m a s - I, 238.
D u m o n t , Jean - I, 346.
D u n o i s , Jean dOrlans, detto - II,
343.
D u p i n (o D u P i n ), Louis-EUies -
I, 153.
D u p l e i x , Joseph - I, 238.
D u p u y , Pierre - II, 246.
D u p u y , Raymond - II, 154.
E d o a r d o il Confessore, sant (re
dInghilterra) - I, 132; II, 48, 49,
109.
E d o a r d o I (re dInghilterra) - II,
220, 235, 295, 296.
E d o a r d o II (re dInghilterra) - II,
295-297, 325.
Ed o a r d o III (re dInghilterra) - II,
51, 272, 295-298, 301-307, 309,
313, 314, 316, 318, 321-325, 331,
360, 366, 369.
E g b e r t o (re del Wessex) - I, 393,
421.
E g e s i p p o - I, 282, 284, 298.
E g i d i o - II, 171.
E g in a r d o (storico) - I, 317, 335,
351.
E g l o n (re dei Moabiti) - I, 156.
E g r e g o r i - I, 185.
E l e a z a r o - I, 35, 401.
E l e n a , sant - I, 289.
E l e o n o r a di Guienna - II, 107, 108,
155, 157, 158.
E l i a (profeta) - I, 164, 186.
E l i g i o , sant - I, 342.
E l i o g a b a l o - I, 285.
E l i s a b e t t a (reggente dUngheria) -
- II, 377.
E l i s a b e t t a Petrovna - I, 70.
E l i s e o (profeta) - I, 36, 164.
E m e r i di Lusignano (re di Gerusa
lemme) - II, 170.
E m i n a - I, 257.
E n o c - I, 124, 184-186, 234, 291
E n r i c o I (re di Francia) - II, 32
34.
E n r i c o III (re di Francia) - II
334.
En r i c o IV (re di Francia) - I, 316
365; II, 88, 244, 305.
E n r i c o I lUccellatore (re di Ger
mania) - I, 201, 328; II, 5, 7, 8
E n r i c o II lo Zoppo (re di Germa
nia) - II, 21 38, 54, 73.
E n r i c o III il Nero (re di Germa
nia) - I, 336; II, 22, 38, 61, 76.
78, 80, 85.
En r i c o IV (re di Germania) - II
20, 39, 41, 76-88, 90, 98, 128
151.
E n r i c o V (re di Germania) - II
87, 88, 90-92, 96.
E n r i c o VI (re di Germania) - II
102-105, 118, 126, 164.
E n r i c o VII (re di Germania) - II
128, 201, 202.
E n r i c o I (re dInghilterra) - II, 107
109, 110.
E n r i c o II (re dInghilterra) - II
98, 108, 110-113, 130, 162, 266.
E n r i c o III (re dInghilterra) - II
106, 123, 126, 177, 181, 203, 204
295.
E n r i c o IV (re dInghilterra) - II
325, 326, 341.
E n r i c o V (re dInghUterra) - II
279, 326, 327, 330-333, 335-337
366, 368, 369, 376, 377.
E n r i c o VI (re dInghilterra) - II
336, 341.
E n r i c o VIII (re dInghilterra) - II
423.
E n r i c o III (re di CastigUa) - II
395.
E p i c u r o - I, 227.
E p i f a n i o , sant - I, 323.
INDICE DEI NOMI CITATI 4 3 7
E p i t t e t o - I, 224, 226, 241.
E r a - I, 129.
E r a c l e o n e - I, 408.
E r a c l i o - I, 260, 264, 267.
E r a t o s t e n e - I , 75, 92.
E r c o l e - I, 37, 111, 112, 132, 273.
E r i c ( re di Danimarca) - I , 388.
E r i n n i - I , 181.
E r m a - I, 124.
E r o d e - II, 140.
E r o d e II il Grande - I, 135, 160,
179, 234.
E r o d o t o - I, 23, 27, 34, 51, 58-61,
75, 90-92, 112, 132, 133, 141,
165, 188, 197, 199, 266, 305.
E s c h i l o - I, 5 1
E s c u l a p i o - I, 113.
E s d r a - I, 113, 135, 171.
E s i o d o - I, 66, 67, 84, 148.
E s o p o - I, 250.
E t e l b e r t o - I, 366, 393.
E t e l r e d o I lo Sconsigliato (re de
gli Anglosassoni) - I, 394.
E t e l v o l f o (re danese dInghUter-
ra) - II, 22.
E t e o c l e - I, 179.
E u c l i d e - I, 220.
E u d e (o O d d o n e i ) U Valoroso (re di
Francia) - I, 386, 389, 390; II,
3, 28.
E u f r a s i a , sant - V. Alessandra,
sant.
E u g e n i o (imperatore dOccideiite) -
I, 195.
E u g e n i o III, pontefice - II, 93, 154,
225.
E u g e n i o IV, pontefice - I, 421; II,
380, 382-384, 398, 400. ,
E u m e n i d i - I, 181.
E u r i p i d e - I, 52.
E u s e b i o di Cesarea - I, 54, 65, 68,
93, 94, 101, 282, 284, 286-289,
292, 297, 298.
Eu t i c h e - I, 307.
E z e c h i e l e (profeta) - I, 164, 167.
E z z e l i n o da Romano - II, 290.
F a b r i c i u s , Johann Albert - I, 155.
Fa i n a , santa - V. Alessandra, sant.
Fa r a mo n d o - I, 283, 411.
Fa r n e s e , Alessandro - I, 174.
Fa t i m a - I, 259, 263.
F a u s t a - I, 299.
Fa v a r t , Qiarles - I, 173.
F e d e r i c o I U Bello (duca dAustria)
- II, 207, 254, 280.
Fe d e r i c o I Barbarossa - II, 20, 90,
95-100, 102, 103, 106, 130, 157,
159, 162, 163, 183, 345.
Fe d e r i c o II di Svevia - II, 104,
105, 118, 126-133, 173, 176, 186,
201-203, 215, 218, 252, 266, 270,
283, 290, 345, 349, 361.
Fe d e r i c o III (imperatore di Germa
nia) - II, 407, 408.
F e l i c i t a , santa - I, 293.
F n e l o n , Frangois de Salignac de
La Mothe - I, 5S; II, 374.
Fe r d i n a n d o (re dAragona) - II, 279.
Fe r d i n a n d o I il Grande (re di Ca-
stiglia) - II, 60, 61.
Fe r d i n a n d o III il Santo (re di Ca-
stiglia e di Leon) - II, 228-230,
360.
Fe r d i n a n d o IV, el Emplazado (re
di Castiglia e di Leon) - II, 231.
F e r d i n a n d o V il Cattolico (re dA-
ragona e di Castiglia) - II, 334.
Fe r e c i d e - I, 39.
Fe t o n t e - I, 83.
F i a m m a , Galvano - II, 344, 345.
Fi a n d r a , Ferrando conte di - II,
119.
F i c i n o , Marsilio - I, 108.
Fi l a r g i s , Pietro - v. Alessandro V.
F i l i p p o II U Macedone - II, 8.
F i l i p p o I (re di Francia) - I, 316,
416; II, 30-32, 34, 52, 79, 87,
90, 145, 1 5 3 . -
F i l i p p o II Augusto (re di Francia) -
I, 416; II, 113-124, 126, 162-165,
170, 181, 183, 300.
Fi l i p p o III lArdito (re di Fran
cia) - II, 215, 359, 364.
F i l i p p o IV il Bello (re di Francia) -
II, 221, 226, 232-238, 240-243,
246, 296, 298, 299, 301, 346, 359,
361, 364, 365, 370-373, 375.
F i l i p p o V il Lungo (re di Francia)
- II, 254, 300, 372, 373.
4 3 8 INDICE DEI NOMI CITATI
F i l i p p o VI di Valois (re di Francia)
- II, 295, 301-305, 307, 308, 310,
312, 347, 360, 361, 367, 370.
F i l i p p o , duca di Svevia (re di Ger
mania) - II, 104, 105, 126.
Fi l i p p o I a Bello (dAustria) - II,
320.
F i l i p p o II (re di Spagna) - II, 334.
F i l i p p o Ba r d a n e (imperatore dO-
riente) - I, 408.
F i l i p p o , Marco Giulio (imperatore
romano) - I, 285, 286.
F i l o n e E k e n n i o - I, 65, 187, 280.
Fi l o s t k a t o , Flavio - I, 132, 241.
Fl e u r y , Claude - I, 369.
F l o r a - I, 111.
F l o t t e , Pierre - II, 236.
F o c a s (imperatore bizantino) - I,
256, 408.
Fo c i o n e - I, 102.
Fo-Hi - I, 212, 213.
Foix, Raimondo Ruggero conte de
- II, 210.
F o n t e n e l l e , Bernard Le Bovier de -
I, 111, 120.
F o r m o s o , pontefice - II, 3, 11, 12.
F o u q u e t , Jean-Fran?ois - I, 228.
F o u e n i e e , Jacques - V. Benedetto
XII.
Fozio - I, 410, 418-422.
F r a n c e s c o dAssisi, san - II, 166,
171, 172.
F r a n c e s c o I (re di Francia) - II,
180, 312, 375.
Fr i s s o - I, 130.
F r o i s s a r t , Jean - II, 297.
Fr u p a n , Georges - II, 415.
F u r s t , "Walther - II, 249.
G a l e n o , Claudio - I, 270.
G a l e r i o Ma s s i m i a n o (imperatore
dOriente) - I, 286-289.
G a l l a n d , Antoine - I, 55.
G a l l i c a n o , san - I, 302.
G a l l i e n o , PubEo Licinio - I, 285.
G a u b i l , Antoine - I, 211; II, 191.
G e b e r - I, 270.
G e d e o n e - I, 156.
G e n g i s -k h a n - I, 37; II, 152, 174,
187-195, 197-201, 235, 391, 392,
394-396.
G e n s e r i c o (re dei Vandali) - I ,
307.
G e r a r d o , P i e t r o - I I , 290.
G e r b e r t o - V. Silvestro I I .
G e r e m l a (profeta) - I , 34, 35, 163,
164, 166.
G e r o l a m o , san - I , 179; I I , 140.
G e r o l a m o d a Pra ga - I I , 283, 287,
385.
Ge r s o n , J e a n Charlier d e t t o - I I ,
282.
Gh i b e r t o , pontefice - I I , 83.
G i a c o b b e (patriarca) - I , 35, 49, 67,
157, 177, 187.
G i a c o m o i l Maggiore, san - I , 292.
G i a c o m o il Minore, san - I , 124,
371.
G i a c o m o I I (o I V ) il G i u s t o (re
d Aragona) - I I , 220, 228, 232.
G u f a r il Barmecida - I , 270.
G i a n s e n i o , J a n s e n , Cornelius d e tto
- I , 279.
G i n e v r a , Amedeo conte d i - I I ,
272.
G i n e v r a , Robe rto conte d i - V.
Clemente V I I .
G i o b b e (patriarca) - I , 40, 41, 183,
186, 251.
G i o n a t a - I , 148.
G i o r d a e n s - I , 304.
G i o s a f a t t e ( re d i Giuda) - I , 164.
GiosfA (re di Giuda) - I , 113.
G i o s u - I , 66, 68, 94, 112, 142,
153-155, 188.
G i o t t o - I I , 353.
G i o v a n n a d Arco, santa - I I , 337-
340, 343.
G i o v a n n a I (regina d i Napoli) - I I ,
215, 258, 260-264. 271, 272, 293,
294, 327, 350, 353.
G i o v a n n a I I (G i o v a n n e t t a ) - I I ,
293, 294.
G i o v a n n a d i Castiglia - I I , 320.
G i o v a n n i Ba t t i s t a , san - I , 124,
280, 290.
G i o v a n n i Cr i s o s t o m o , san - I , 291,
300.
G i o v a n n i E v a n g e l i s t a , san - I , 127,
283, 290.
INDICE DEI NOMI CITATI 4 3 9
G i o v a n n i II, pontefice - I, 309.
G i o v a n n i V i l i , pontefice - I, 384,
385, 420-422; II, 11.
G i o v a n n i IX, pontefice - II, 12.
G i o v a n n i X, pontefice - II, 12, 13,
19.
G i o v a n n i XI, pontefice - II, 13, 14.
G i o v a n n i XII, pontefice - II, 14,
16-18, 130.
G i o v a n n i XIV, pontefice - II, 19.
G i o v a n n i XVI, pontefice - II, 21.
G i o v a n n i XIX, pontefice - II, 21.
G i o v a n n i XXII, pontefice - II, 222,
254-257.
G i o v a n n i XXIII, pontefice - II, 275-
277, 279-281, 285 , 287, 325, 380.
G i o v a n n i Zi s k a - II, 288, 385.
G i o v a n n i I Zi m i s c (imperatore
dOriente) - II, 138.
G i o v a n n i (re di Boemia) - II, 254.
G i o v a n n i da Procida - II, 207,
208.
G i o v a n n i di Brienne (re di Geru
salemme) - II, 128, 170, 173, 174,
183.
G i o v a n n i II (re di Castiglia) - II,
279.
G i o v a n n i I (re di Francia) - II,
267.
G i o v a n n i II il Buono (re di Fran
cia) - II, 306, 308, 310-312, 314-
316, 318, 324, 361, 422.
G i o v a n n i Se n z a t e r k a (re dInghil
terra) - II, 106, 114, 116-118, 121-
123, 126, 311.
G i o v e n a l e - I , 98, 101.
G i u d a - I , 34, 185.
G i u d a I s c a r i o t a - I , 420,
G i u d a Ta d d e o , san - I, 184, 187,
234, 284, 291, 293, 298.
G i u d i t t a (regina dei Franchi) - I ,
375-377.
G i u l i a n o di Ceuta - I, 399, 400,
404.
G i u l i a n o lApostata (imperatore ro
mano) - I, 54, 110, 206, 304, 410,
412.
G i u l i o Se s t o lAfricano - I , 101.
G i u l i o II, pontefice - II, 290, 416.
G i u l i t t a , santa - V. Alessandra,
sant.
G i u s e p p e - I, 159, 185.
G i u s e p p e , Flavio - I, 40, 103, 105,
119, 135, 136, 160, 171-176, 183,
188, 189, 280, 291.
G i u s e p p e , san - I, 145, 371.
G i u s t i n i a n o I (imperatore roma
no dOriente) - I, 218, 256; II,
307, 410.
G i u s t i n i a n o II (imperatore dO
riente) - I, 408.
G i u s t i n o , san - I, 124, 127, 273,
290, 298.
G o d e s c a l c , Jean - I, 423.
G o d e s c a l c o - II, 144, 147.
G o f f r e d o di Buglione - II, 84, 143-
145, 147, 148, 151, 154, 165.
G o f f r e d o di Viterbo - V. Tineosus
Gottfried.
G o m e r - I, 68, 205, 206.
G o n t i e r - I, 414, 415.
G o n t r a n o (re di Francia) - I, 332,
414.
G o r d i a n o (imperatore romano) - I,
286.
G o s l i n - I, 390, 405.
G o u g u e , Jean de - II, 314.
G r a z i a n o , Francesco - I, 301.
G r a z i a n o , Giovanni - V. Gregorio
VI.
G r e g o r i o I Magno, san (pontefice)
- I, 256, 305, 352, 367, 422.
G r e g o r i o II, san (pontefice) - I,
324, 325, 347.
Gr e GOWo III, san (pontefice) - I,
314, 324, 325.
G r e g o r i o IV, pontefice - I, 375,
376, 413.
G r e g o r i o V, pontefice - II, 20, 31.
G r e g o r i o VI, pontefice - II, 22.
G r e g o r i o VII, pontefice - I, 335;
II, 31, 41, 52, 65, 76-84, 86-88,
100, 104, 128, 147, 233.
G r e g o r i o IX, pontefice - II, 128-
130, 176.
G r e g o r i o X, pontefice - II, 231.
G r e g o r i o XI, pontefice - II, 269,
270.
G r e g o r i o XII, pontefice scismatico -
V. Corrario.
G r e g o r i o di Nazianzo, san - II, 354.
G r e g o r i o di Nissa, san - I, 357.
440 INDICE DEI NOMI CITATI
G r e g o r i o di Tours - I, 197, 199,
299, 312, 332.
Gr o z i o (G k o o t , Huig van) - I, 153;
II, 411.
G u a l t i e r i Se n z a y e k e - II, 144,
145.
G u e s c l i n , Bertrand du - II, 318-
320, 322, 323.
G u g l i e l m o I Braccio di Ferro (con
t e di Puglia) - II, 37.
Gu g l i e l m o I il Conquistatore (du
ca di Normandia) - II, 47-52, 77,
108-110, 146.
G u g l i e l m o II il Rosso (re dInghil
terra) - II, 146.
G u g l i e l m o III (re dInghilterra) -
I, 132; II, 48.
G u g l i e l m o I il Malo (re di Si
cilia) - II, 98.
G u g l i e l m o d i T i r o - II, 142.
Gu i c c i a r d i n i , Francesco - I, 299.
G u i d o d Ae e z z o - II, 351, 353.
G u i d o d i Lu s i g n a n o (re di Geru
salemme) - II, 160, 161, 163.
G u i d o , duca di Spoleto - II, 3.
G u i l l a u m e Le Br e t o n - II, 300.
G u t e m b e r g , Johann Gensfleisch -
1, 218.
G u z m a n , Eleonora de - II, 317.
H
H a a k o n (re di Norvegia) - II, 134.
H a l d e , jean-Baptiste du - I, 87,
217, 225, 228.
H a m e d i -Ke r m a n i ( o Ah m e d d a ' Ca -
RAMAN) - II, 395, 396.
H a r u n -a l -Ra s h i d (califEo abasside) -
I, 239, 269, 270, 338, 352, 404,
410; II, 136.
H e l g a u t (o H e l g a u d ) - I, 131.
R e n a u l t , Charles-Jean-Francois - I,
200; II, 334.
H e r b e l o t d e M o l a i n v i l l e , Bar-
thlemy d - I, 55.
He r ma nN' - V, Artninio. .
H e r m e s - I, 93, 94, 202.
H e s c h a m (sesto califfo) - I, 268.
H i a j a (re maomettano) - II, 62.
H i a o - I, 212, 214.
H i l u d o v i c - V. Ludovico.
H i r a m (re di Tiro) - I , 132, 165,
-188.
H o l s t e n i u s ( H o l s t e , Luca) - I ,
155.
H o l w e l l , John Zephaniah - I , 80,
183, 234.
H o r m i s d I V (o H o r m i s d a s ) - I,
265.
H o v e d e n (o H o w d e n ), Roger of -
11,-266.
H u e t , Pierre-Daniel - I , 68, 105,
112-114.
H u l a c u - I I , 198.
H u m e , David - I , 200.
Hus, Giovanni - II, 283, 285-288,
385, 399, 400.
H u t i n - V. Luigi X il Litigioso.
H y d e , Thomas - I , 59, 79, 181, 254.
' I-' -
I a n n e o (Gi a n n e o , Alessandro) - I ,
160.
I d a m a n t e - l , 140.
I d o m e n e o - I;, 103, 140. =
I e r o n i m o - V. Gerolamo da Praga.
I f i g e n i a - I , 51, 140,
I g n a z i o , sant - I , 418-420.
I g n a z i o d i An t i o c h i a ,' sant t I, 293.
I l d e b r a n d o d i So a n a - V. Grego
rio V I I .
I n a c o - I , 99.
I n c m a r o - I , 316, 423.
I n n o c e n z o I I , pontefice - I I , 45,
46, 92, 226.
I n n o c e n z o III, pontefice - I, 315,
335; II, 104-106, 116, 117, 122,
123, 165, 209, 210, 213, 216, 228,
234.
I n n o c e n z o IV, pontefice - I , 37; I I ,
130, 131, 133, 134, 186, 196,
, 197, 202-204.
I p p o c e a t e - I , 270; I I , 307.
I p p o l i t o - I , 129.
I r c a n o , . Giovanni - I , 159,, 160.
I r e n e (imperatrice di Bisanzio) - I ,
336, 354-356, 404, 408, 409.
I r e n e di Serbia - II, 398.
I r e n e o , sant - I , 127.
I s a b e l l a la Cattolica - l , 265.
INDICE DEI NOMI CITATI 4 4 1
I s a b e l l a di Baviera (regina di Fran
cia) - II, 330, 333, 334.
I s a b e l l a (regina dInghilterra) - II,
296.........................
I s a c c o L An g e l o (imperatore d i Co
stantinopoli) - II, 101, 162, 167.
I s a i a (profeta) - I , 163, 165, 166,
184 234.
I s i d e - I , 36, 40, 66, 96, 99, 100,
104, 116, 133, 143, 147, 163,
168, 226, 2%.
ISIDOEO M e e c a t o r (o P i s c a t o r O
P e c c a t o k ) - I , 357.
I s m a e l e - I , 72, 276.
I s t a s p e - I , 250.
J
J a c o po d a Va e a z z e - II, 74.
J a f e t - I, 205.
J a l d a b a s t - I, 124.
J a r a s l a u ( J a r a s l a v , Giorgio) - II,
32.
J a k e d - I, 185.
J a v a n - 1, 101.
J e j t e - I, 34, .142, 156, 207.
J e r o m b a l - I, 66.
J e t k o - I, 142, 151.
JoiNViLLE, Jean de - I, 364; II,
179, 180, 183.
JORAM (re dIsraele) - I, 158, 168.
JuvNAL DES U r s i n s , Jean - II,
334.
K
Ka l e d - I, 267.
B^t u r a - I, 72.
K i e n l o n g (o Kihan-Lung) - I, 225.
K i r c h e e , Athanasius - I, 94, 229.
K i u m ( o K a i w a n ) - I, 35, 133.
K o r e s h - V. Ciro.
Ku b l a i -k h a n - II, 196, 199.
L
La b a n o - I, 35.
L a Br o s s e , Pierre de - II, 364, 422.
L a Ce r d a , de - II, 310, 422.
L a d i s l a o IV (re di Polonia) - II,
399, 400.
La e n s b e r g , Matthieu - I, 122. . t
La f i t a u , Joseph-Frangois - I, 48,
49.
La F l a m m a - V. Fiamma, Galvano.
La G r a n g e , cardinale de - II, 272,
347.
La Mo t h e -l e -Va y e r , Frangois de -
I, 111.
La n c a s t e r , Edmondo conte di - II,
205.
La n c a s t e r , Enrico duca di - V. En
rico IV.
La n c e l o t (re di Napoli) - II, 275-
277, 279, 293.
La n d o n e , pontefice - II, 12.
La n f r a n c o d i P a v i a - II, 70.
La n z i l a o - V. Lancelot.
La o k i u m - I, 87, 227, 228.
La r c h e r , Jean - II, 334.
L a r c h e r , Pierre-Henri - 1, 61.
La s c a r i s , Giovanni (imperatore di
Costantinopoli) - II, 186, 387.
La s c a r i s , Teodoro - II, 169.
La t t a n z i o , Lucio Cecilio Firmiano
- I, 287. ,
L e B g u e d e Vi l a i n e s - II, 320.
Le Cl e r c , Jean - I, 153.
Le Co m t e , Louis - I, 225.
Le d a - I, 115.
Le o n e I Magno, san (pontefice) -
I, 306.
Le o n e III, san (pontefice) - I, 334,
385.
L e o n e IV, san (pontefice) - I, 404,
405, 413.
Le o n e VIII, pontefice - II, 17, 18.
Le o n e IX, pontefice - II, 22, 38-40,
46.
Le o n e l i lIsaurico (imperatore
dOriente) - I, 323, 325, 354, 408.
Le o n e IV il Filosofo (imperatore
dOriente) - l , 409, 410.
Le o n e V l Armeno (imperatore dO
riente) - I. 408.
Le o n e VI il Filosofo (imperatore
dOriente) - II, 138.
Le o n i d a - II, 418.
Le o n i s , Pietro (pontefice) - II, 92.
L e o n z i o - I, 408.
4 4 2 INDICE DEI NOMI CITATI
L e o p o l d o , duca dAustria - II, 249.
Le o v i g i l d o (re visigoto) - I, 398.
L H o s p i t a l , Michd de - I, 87,
111.
L i a - I, 35.
L i c a o n e (re degli Arcadi) - I, 140.
Li c u r g o - I, 202; II, 419.
Li m o g e s , Guido visconte di - II,
33.
Li n o , pontefice - I, 282, 283.
Li s i m a c o (re deUa Tracia) - I,
188.
Lisippo - II, 415.
Li u t p r a n d o - I, 422; II, 14, 23.
L i v i o , Tito - I, 59, 130, 165, 198,
312.
Lo c k e , John - I, 108, 111, 116.
Lo k m a n (o Lu q m a n ) - I, 250.
Lo n g c h a m p, Guglielmo de - II,
121.
Lo n g i n o , Cassio - I, 113.
Lo k e n a , Carlo duca di - II, 28.
Lo t - I , 76, 114, 182.
L o t a r i o I (imperatore e re dIta-
Ha) - I, 370, 374, 376, 377, 380-
383, 405.
L o t a r i o (re della Lotaringia) - I,
383.
Lo t a r i o II (re di Lorena) - I, 413-
416.
L o t a r i o (re di Francia) - II, 16.
Lo t a r i o II (imperatore di Germa
nia) - II, 45, 46, 92, 96, 97.
Lu c a , san - I, 126, 144, 290, 359;
II, 108.
Lu c i o II, pontefice - II, 56, 93.
L u c r e z i a - I, 59, 399.
L u c r e z i o Ca r o , Tito - I, 422; II,
88, 353.
Lu d o v i c o di Baviera, o il Germa
nico (re dei Franchi orientali) -
I, 374, 379, 380, 384, 415; II,
254-257, 265, 266, 290, 302, 360.
Lu d o v i c o I il Pio, o il Debole (im
peratore) - I, 337, 378-380, 387,
398, 402, 416; II, 15, 24, 27, 80,
88, 136.
L u d o v i c o II (re dItalia) - I, 382,
384, 415.
Lu d o v i c o II il Balbuziente (re di
Francia) - I, 385, 386.
Lu d o v i c o III il Fanciullo (re di
Germania) - II, 4, 5.
Lu i g i , san - V. Luigi IX.
Lu i g i di Taranto (re di Napoli) -
II, 260.
Lu i g i il Grande, dAngi (re dUn
gheria) - II, 260-263.
Lu i g i IV dOltremare (re di Fran
cia) - II, 9.
Lu i g i V (re di Francia) - II, 28.
Lu i g i VI il Grosso (re di Francia)
II, 107, 363.
Lu i g i VII il Giovane (re di Fran
eia) - I, 315; II, 107-109, 111
112, 152, 155, 157, 158, 167.
Lu i g i V i l i , Cuor di Leone (re d
Francia) - I I , 119, 121-126, 163
212, 214, 337.
Lu i g i IX il Santo (re di Francia)
II, 48, 106, 119, 129, 130, 175
183, 186, 196, 201, 204-207, 214
216, 219, 228, 230, 232, 236, 263
293, 328, 334, 360, 364, 368, 370
371, 376, 383, 387, 422.
Lu i g i X, le Hutin (re di Francia)
II, 246, 298-300, 310, 363, 364
Lu i g i XI (re di Francia) - II, 322
342, 343, 375, 406, 423.
Lu i g i XII il Padre del popolo (re
di Francia) - II, 291, 293, 406.
Lu i g i XIII Giusto (re di Francia)
- I, 411.
Lu i g i XIV il Re Sole (re di Fran
cia) - I, 163, 172, 250, 270, 369-,
II, 119, 235, 327.
Lu i g i XV il Beneamato (re di Fran
cia) - I, 395.
Lu i g i XVI (re di Francia) - I, 369.
Lu n a Pietro - II, 274, 275, 279-281.
M
Ma c h i a v e l l i , Niccol - I, 299; II,
256, 290.
Ma g g io r a n o (Ma g g i o r i a n o ), Giulio
Valerio (imperatore romano dOc-
cidente) - I, 199.^
Ma g n o (re di Svezia) - II, 221.
Ma i g e o t , Charles - I, 87.
Ma i m b o u r g , Louis - I, 324; II, 72,
73.
INDICE DEI NOMI CITATI 4 4 3
Ma i m o n i d e , Mos - I, 153.
Ma l e s p i n a - V. Malespini.
Ma l e s p i n i , Ricordano e Giachetto
- II, 208.
Ma n a s s e (re di Giuda) - I, 158,
163.
Ma n c o -Ca pa c - I, 33, 37.
Ma n d o g (re di Lituania) - II, 134.
A a n e s - II, 66.
Ma n e t o n e - I, 40, 66, 75, 84, 92,
93.
M a n f r e d i (reggente di Sicilia) - I,
363; II, 131, 133, 201-206, 208.
Ma n u e l e (imperatore d i Costanti
nopoli) - II, 166.
Ma o m e t t o (profeta) - I, 71, 73,
122, 152, 161, 248, 249, 256-268,
270-278, 346; II, 128, 136, 140,
147, 152, 172, 178, 187, 411.
Ma o m e t t o I - II, 394, 398.
Ma o m e t t o II i l Grande, o Bujuk
(settimo sultano degli Ottomani) -
I, 196; II, 166, 393, 400-402,
405-411, 414-416, 418, 422.
Ma r c e l , tienne - II, 313.
Ma k c e l l o - I, 124.
Ma r c e l l o , san - I, 282.
M a r c i o n e di Sinope - I, 2S0.
Ma r c o Au r e l i o (imperatore roma
no) - I, 241, 285, 304, 365, 410.
Ma r c o P a o l o - V. Marco Polo.
Ma r c o P o l o - I, 232; II, 196.
Ma r c u l f o - I, 359, 371, 372.
Ma r i a (regina di Napoli) - II, 221.
Ma r i a dAragona (regina di Ger
mania) - II, 72, 73.
M a r i a de Medici (regina di Fran
cia) - I, 411.
Ma r i a d i Montpe llier - II, 228.
Ma r i g ny , Enguerrand de - II, 334,
422.
Ma r i o Ca i o - I , 193, 194, 305.
Ma r m o n t e l , Jean-Fran;ois - I, 172.
Ma r o z i a - II, 12-14, 19.
Ma r s i g l i , Luigi Ferdinando conte
di - II, 423.
Ma r t e - I, 36, 198, 213, 329.
Ma r t i n a (imperatrice dOriente) -
I, 408.
Ma r t i n o di Tours, san - II, 67.
Ma r t i n o IV, pontefice - II, 220.
Ma r t i n o V, pontefice - II, 281,
282, 380.
Ma s s e n z i o , Marco Aurelio Valerio
(imperatore romano) - I, 289.
Ma s s i m i a n o , Marco Aurelio Valeria
ne (imperatore romano) - I, 288,
299.
Ma s s i m i l i a n o I (imperatore del Sa
cro Romano Impero) - II, 291,
292, 308.
Ma s s i m i n o , Giulio Vere, il Trace
(imperatore romano) - I, 286,
300.
Ma t i l d e di Canossa (contessa dE-
ste) - II, 76, 77, 79, 81, 82, 84-
86, 90-92, 100, 104, 130, 255, 269,
292.
Ma t r o n a - V. Alessandra, sant.
Ma t t e o , san - I, 160, 179, 180, 290;
II, 108.
Ma u k e g a t (re dOviedo e di Leon)
- I, 401.
Ma l t r i z i o , Flavio Tiberio (iml)erato-
re dOriente) - I, 256, 407.
Ma u r o c o r d a t o , Alessandro - II,
410.
Ma u t io c o r d a t o , Nicola - II, 410.
Me d i c i , Cosimo I (duca di Firen
ze) - II, 334, 343.
AIe f i b o s e t ' I, 158.
Me l e c s a l a - II, 174, 178, 179.
Me l e c s e r a f (soldano dEgitto) - II,
184.
Me l e d i n o (sultano) - II, 171, 173,
174.
Me l i o r a t i (cardinale) - II, 274.
Me n e (re dEgitto) - I, 132.
Me r c u r i o - I, 145, 213.
Me s s i t h P a l e o l o g o (gran visir) -
II, 416.
M z e r a y , Frangois Eudes de - II,
16, 299, 307, 335.
Mi c h e a (profeta) - I, 164.
Mi c h e l a n g e l o (Buonarroti) - I, 134.
Mi c h e l e il Balbuziente (imperatore
dOriente) - I, 404, 408, 409.
Mi c h e l e il Giovane - V. Michele
III l Ubriaco.
Mi c h e l e III l Ubriaco (imperatore
dOriente) - I, 4 0 9 4 1 1 , 418, 419.
Mi c h e l e Paflagonio - II, 138.
4 4 4 INDICE DEI NOMI CITATI
Mi d d l e t o n , Conyers - I, 153.
Mi e c i s l a o (duca di Polonia) - II,
54.
Mi l i t a - I, 61.
Mi l o n e - II, 210.
Mi l t o n , John - I, 234.
M i l z i a d e - I, 102; II, 418.
Mi n e r v a - I, 202, 294.
Mi n o s s e - I, 67, 99, 104, 105, 144,
202.
Mi k z i f l o s - V. Alessio III l Angelo.
Mi t r a - I, 92.
Mo a v i a (califiEo di Damasco) - I,
267.
M o d e n a , Leon - I, 153.
Mo h a m m e d -Be n -Jo s e p h - II, 227.
Mo h a m m e d il Carismin - II, 188,
192, 193.
Mo l a i , Jacques de - II, 244.
Mo l a n d , Louis - II, 328.
Mo l i n a , Luis de - I, 279.
Mo l o c - I, 35, 133.
M o l o n e - I, 188.
Mo n a l d e s c o , Ludovico - II, 256.
M o n f e r r a t o , Bonifacio marchese di
- II, 165, 167, 168.
Mo n s t r e l e t , Enguerrand de - II,
338. '
Mo n t a g u , Jean de - II, 422.
M o n t a i g n e , Michel Eyquem de -
L U I .
Mo n t e s q u i e u , Charles de Scondat
barone de - I, 111, 222; II,
421. .
Mo n t f o r t , Amaury conte de - II,
125, 214.
M o n t f o r t , Simone conte de - II,
169, 211-213, 228.
Mo n t f o r t , conte di Bretagna - II,
303, 315.
Mo r t i m e r , conte de La Marche -
II, 297.
Mos - I, 35, 36, 67, 68, 76, 94,
104, 105-107, 112-114, 118, 137,
142, 146, 149-154, 156, 177, 182,
187, 188, 207, 291, 323; II, 128,
158.
M o t a s s e m - II, 136.
Mo u s k e s , Philippe - II, 216.
Mu l e i , Ismael (imperatore del Ma
rocco) - II, 172.
Mu r a t o r i , Ludovico Antonio - I,
335-, II, 120, 256, 344, 345,
347.
Mu s a (o Mo s , sultano di Bursa)
- II, 393, 394.
Mu s s i s , Giovanni de - II, 347.
Mussus - V, Giovanni de Mussis.
Mu s t a f - II, 393.
N
N a b o n a s s a r (re di Babilonia) - I,
5 5 , 5 7 . .
Na b u c c o d o n o s o r II - I, 36, 91,
114, 135, 167, 175; II, 111.
Na d i r s h a (re di Persia) - I, 246;
II, 392.
N a r s e t e - I, 309.
N a s s a u , Adolfo di - II, 221, 252.
Na s s a u -Or a n g e , Maurizio di - I,
423.
N a s s e r (caMo) - II, 192.
Na v a r r e t e , Fernndez - I, 226,
229.
N e e m i a - I, 135, 160.
N e r o n e , Lucio omizio (imperatore
romano) - I, 119, 146, 280-283,
292; II, 19, 101.
N e r v a , Marco Gocceio (imperatore
- romano) - I, 284.
Ne s t o r i o - I, 194.
N e t t a r i o - I, 364.
N e v e r s , conte di - V. Giovanni du
ca di Borgogna.
N e v e r s , Herv conte de - II, 115.
Ne w t o n , Isaac - I, 111, 153, 154,
212.
N i c e f o r o I (imperatore dOriente)
- I, 404, 408.
N i c e f o r o Botoniate - II, 42.
Ni c e f o r o Focas - II, 23, 138.
N i c e t a s Acominate, detto Conia
te - II, 140, 167.
N i c o d e m o - 1, 125.
N i c o l a II, pontefice r II, 40, 43,
92.
N i c o l a IV, pontefice - l i , 220.
N i c o l a V, pontefice - II, 361, 384.
N i c o l I, san (pontefice) - I, 414-
416, 418.
N i n o - I, 56.
INDICE DEI , NOMI CITATI 4 4 5
N o - I , $4, 101, 104, 112.
N o g a r e t , Guglielmo de - II, 239,
240.
N o n n o t t e , aaude-Fran?ois - I, 300.
N o r a n d i n o (soldano <fi Aleppo) -
II, 161.
N o s t r a d a m u s (N o s t k e d a m e , Michel
de) - I, 40, 123.
N o v a z i a n o - I, 322.
N u g n e s (Nu n e z ), Ferrn - I, 153.
N u m a P o m p i l i o (secondo re di
Roma) - I, 152, 202.
Nu n - I, 142.
N u s h i r v a n - V. Cosroe i l Grande.
o
Oco - V. Dario Oco.
OcoziA (re di Giuda) - I, 158.
Ocozu (re dIsraele) - I, 186.
OCTAI-KHAN - II, 196-198.
Oddo ne i - V. Eude.
O d i l o n e , sant - II, 72, 77.
O d i n o - I, 37, 365.
O f i o n e o - I, 39.
O g i g e - I, 100, 101, 103.
O l d e n Ba k n e v e l d t , Jan van - I,
423.
O m a r , I b n -a l -Kh a t t a b (secondo car
Mo arabo) - I, 91, 95, 162,
259, 263-268, 279; II, 140.
O m e r o - I, 31, 34, 39, 104-106,
109, 120, 140, 145, 148, 177, 217,
266, 267.
Om m i a d i - I, 268.
O n o r i o Fl a v i o (imperatore romano
dOccidente) - I, 193, 195, 306,
322.
On o r i o II, pontefice - II, 51.
On o r i o III, pontefice - II, 128,
185.
O r a n g e , Guglielmo principe d - II,
335.
O r a z i - I, 59.
O r a z i o , Quinto Fiacco - I, 69, 118,
138, 199, 208; II, 36, 354.
O r g a n o - II, 388, 398.
O r e s t e - I, 179, 263.
O r f e o - I, 99, 104-106, 109, 112,
145, 202, 241.
O r i g e n e - I, 99, 143, 187, 285.
O r l a n d o (o R o l a n d o ) - I, 331;
II, 120.
O r l a n s , Carlo duca d - II, 330,
340.
O r l a n s , Luigi I duca d - II, 282,
328-330, 333, 334, 377, 389.
O r o ma z o - I, 40, 255, 256.
O r o s i o , Paolo - I, 175.
O r t e n s i o , Ortalo Quinto - I, 305.
O r t o -Gr u l -Be g (o T o g r u l -Be g ) -
II, 137.
O s e a (profeta) - I, 158, 164, 168.
O s i r i d e - I, 92, 104, 113, 140,
226, 256.
O s m a n l i (o O t t o m a n i ) - I, 264.
O t m a n (o O t h m a n ) (terzo califfo
degli Ommiadi) - I, 267.
O t t o c a r o (re di Boemia) - II, 218,
219.
O t t o m a n o (imperatore) - II, 388.
O t t o n e I U Grande (imperatore
germanico) - II, 8-11, 14-19, 21,
23, 35, 38, 95, 97.
O t t o n e II (imperatore germanico) -
II, 19, 20, 35.
O t t o n e III (imperatore germanico)
I, 366; II, 19-21, 31, 33, 57, 72,
73, 292.
O t t o n e IV (imperatore germanico)
- II, 104, 105, 118-121, 126.
O t t o n e , conte Palatino - II, 97.
O t t o n e d i Br u n s w i c k - II, 262,
263.
O t t o n e , duca di Sassonia - II, 5.
O v i d i o , Publio Nasone - I, 111,
114, 241.
P a c h i m e r e , Giorgio - I, 235, 371.
P a l e o l o g o , Costantino (imperatore
dOriente) - II, 405, 409.
P a l e o l o g o , Giovanni I (imperatore
dOriente) - II, 388-390.
P a l e o l o g o , Giovanni II (impera
tore dOriente) - II, 381, 382,
390, 398, 404.
P a l e o l o g o , Manuele (imperatore
dOriente) - II, 389, 390, 395.
P a l e o l o g o , Michele (imperatore dO
riente) - II, 186, 387.
4 4 6 INDICE DEI NOMI CITATI
P a l e o l o g o , Michele V i l i (impera
tore di Nicea) - I, 235, 420.
P a l l a d i o di Galazia - I, 82, 241,
242.
Pa m)ORA - I, 40, 256.
P a o l o , san - I, 124, 126, 137, 179,
185, 291, 300, 302, 306, 335,
342, 359.
P a o l o E m i l i o - I, 192.
P a e e n n i n (Pa r r e n n i n ), Dominique
- I, 220.
P a r i s , Matthew - II, 205, 216.
P a r m e n i o n e - I, 175.
P a s c a s i o , Radberto - II, 69.
P a s q u a l e II, pontefice - II, 90,
91, 128.
P a s q u i e r , ti e n n e - I, 200.
P a t r o c l o - I, 140.
P a u s a n i a - I, 106, 140, 145, 147,
390.
P e l a g i o - I, 279, 366.
P e l a g i o (re visigoto delle Asturie)
- II, 408.
Pe l a g i o , Albano - II, 172.
P e l a g i o , Teodomero - I, 400, 402.
P e l o p e - I, 129.
P e m b r o k e , conte di - II, 112.
P e r s e , Alix - II, 316.
P e r s e o - I, 37, 102, 113.
P e t e a u , Denys - I, 101, 102, 214.
P e t i t , Jean - II, 282, 329.
P e t r a r c a , Francesco - II, 258, 350-
353, 355.
P i a n d e l Ca r p i n e , Giovanni da -
II, 197.
P i c a t r i x - I, 139.
P i c c o l o m i n i , Enea Silvio - II, 385.
PiCROCHOLE - I, 90.
P i e r D a m i a n i , san - l , 31, 72,
359.
P i e r d e l l e Vi g n e - II, 131, 270.
P i e r r e l a Ch t r e - II, 109.
P i e t r o d a Ca p u a - V. Raimondo
delle Vigne.
P i e t r o rEiemita - II, 142, 144,
145, 147-150, 153, 155.
P i e t r o il Grande (dAragona) - II
208, 212, 213, 227, 232.
P i e t r o il Crudele (re dAragona) -
II, 232.
P i e t r o il Crudele (re di Castiglia)
- II, 317-320.
P l e t r o I il Grande (zar di Russia) -
I, 26, 70, 202; II, 335, 408, 425.
P i e t r o , san - I, 124, 282, 283, 292,
302, 306, 313, 315, 318, 319, 335,
415.
P i l a d e - I, 263.
PiLATO, Ponzio - I, 291, 298.
PiLPAY (o Bi l p a i ) - I, 231, 232.
P i o II - V. Piccolomini, Enea
Silvio.
P i p i n o I il Vecchio - I, 343.
P i p i n o I dAquitania - I, 337, 374,
379, 380, 389. _
P i p i n o II di Hristal, il Giovane -
I, 342, 343.
P i p i n o III il Breve - I, 313-320,
326-328, 331, 333, 339, 342, 345-
347, 355, 379, 381, 413-, II, 8,
15, 39, 90.
PiRiTOO - I, 263.
PiRRA - I, 101, 102.
P i r r o (re dellEpiro) - I, 193.
PisucA - II, 189.
P i t a g o r a di Samo - I, 77, 96, 108,
220, 224, 231, 232, 238.
P i t t o r e , Quinto Fabio - X, 197.
P i z i a - I, 121, 163.
P l a t o n e - I, 32, 96, 108, 110,
144, 181, 209, 233, 234, 241;
II, 67, 418.
P l i n i o il Giovane - I, 285.
P l i n i o il Vecchio - I, 30, 130, 206.
P l u t a r c o - I, 42, 96, 140, 145.
P o g g io Br a c c i o l i n i , Gian Francesco
- II, 287, 384.
PoiTlERS, conte di - II, 179.
P o l i b i o di Megalopoli - I, 198,
312.
P o l i c a r p o , san - I, 293.
P o l i n i c e - I, 179.
P o l i z i a n o - II, 254.
POLLIONE, Asinio - I, 124.
P o l l u c e - I, 37, 102, 198.
P o l o , Marco - V. Marco Polo.
P o m e a u , Ren - I, 53, 54, 80, 110,
127, 153, 175, 178, 181, 228,
241, 284, 311, 343, 359.
P o m p e o Ma g n o , Cneo - I, 138, 160;
II, 265.
INDICE DEI NOMI CITATI 4 4 7
POPPONE - V. Datnaso II.
PoKFiRio di Tiro - I, 66, 82, 241.
P r e t e G i a n n i - II, 190.
P k e t e s t a t o , Vettio Agorio - I,
303.
P k i a po - I, 63, 113, 114, 118.
F r i g n a n o - II, 262.
P r i g n a n o , Bartolomeo - V. Urbano
VI,
P r i n c i p e Ne r o - II, 303 , 304, 312,
313, 316, 317, 319-322, 324, 338.
P r i s c i l l i a n o - II, 67.
P r o b o - II, 7.
P r o c o pi o di Cesarea - I, 304, 327.
P r o c o p i o il Rasato - II, 385.
P r o m e t e o - I, 101.
P u l c i , Luigi - II, 352.
P u l z e l l a d i O r l a n s - V. Gio
vanna dArco, santa.
Q u i n a u l t , P h i l i p p e - I, 111.
Qu i n t o Cu r z i o Ru f o - V. Curzio
Qui nt o Rufo.
R
Ra b e l a i s , Francois - I, 139.
Ra c h e l e - I, 35.
Ra c h i (duca del Friuli) - I, 326.
Ra h a b - I, 142.
Ra i m o n d o (principe dAntiochia) -
II, 157.
Ra m i r o (re dAragona) - II, 226.
Ra m s e t e II - V. Sesostri.
Ra n i e r i - II, 209, 210.
Ra p i s a r d i , Mario - I, 69.
Ra t r a m n o - II, 68-70.
Ra u l i n , Nicolas - II, 334.
R e c h a b (re dIsraele) - I, 292.
R e f a n - I, 35, 133.
Re g i n o n e (o Re g i n o ) - I, 343, 384.
R g n i e r , Mathurin - I, 388.
Re g o l o , Marco Attilio - I, 198,
199.
Re m i g i o , san - I, 315, 342.
Re n a u d o t , Thophraste - I, 224.
Re t z , Gilles de Montmorency-La-
val, sire de - II, 339.
Ri c c a r d o I Cuor di Leone (re dIn
ghilterra) - II, 103, 113, 114,
120, 163, 164, 183.
Ri c c a r d o II (re dInghilterra) - II,
321, 324, 325, 328.
Ri c c a r d o d i Ca p u a - II, 38-40.
Ri c h e l i e u , Armand-Jean Duplessis
de - I, 174.
Ri c h e m o n d , conte di - II, 337, 368.
Ri e n z i , Nicola (Cola di Rienzo) - II,
258, 259, 261.
R o b e r t o I, duca di Normandia -
II, 48.
Ro b e r t o II, duca di Normandia -
II, 110, 146.
R o b e r t o , Elettore Palatino - II,
275.
R o b e r t o d An g i il Saggio (re di
Napoli) _- II, 253, 260, 264, 350.
R o b e r t o il Cordi^ere (inquisito-
re) - II, 216, 217.
Ro b e r t o il Guiscardo (duca di Pu
glia) - II, 37-43, 86, 146.
Ro b e r t o I - II, 28.
Ro b e r t o II il Pio (re di Francia) -
I, 131; II, 30-34, 66, 67, 72.
Ro c h a , Jean de - II, 282.
R o d o l f o duca di Svevia (imperato
re di Germania) - II, 83, 84.
Ro d o l f o d A s b u r g o - II, 218, 219
221, 230, 248, 252.
Ro d r i g o , don (re visigoto di Spa
gna) - I, 399, 400; II, 226.
Ro l l i n , Charles - I, 40, 174, 175
350.
Ro l l o n e (re normanno) - I, 391
392; II, 358.
R o ma n o II (imperatore dOriente)
II, 138.
Ro ma n o IV, Diogene (imperatore
dOriente) - II, 138.
R o m o l o - I, 37, 113, 192, 196.
R o t a r i , duca di Brescia (re dei
Longobardi) - I, 310, 397.
Ro u s s e a u , Jean-Baptiste - I, 242.
Ro u s s e a u , Jean-Jacques - I, 43.
Ru b e n - I, 185.
Ru b r u q u i s , Guglielmo Ruysbroeck
detto - II, 196.
Ru g g i e r o (duca di Puglia) - II, 43.
Ru g g i e r o I (conte di SicUia) - II,
41, 43-45.
4 4 8 INDICE DEI NOMI CITATI
Ru g g i e r o II ( re di Sicilia) - II, 45,
46, 92, 97, 102.
Ru i n a r t , don Thierry - I, 295.
Ru s s e l , Edward - I, 238.
R u i z DE Ma r t a n z a - II, 74.
Ru y s c h , Friedrich - I, 26.
Sa b a (regina) - I, 165.
Sa d i - II, 355.
Sa f a d i n o - II, 170, 171.
Sa l a d i n o - II, 152, 159-164, 169,
170.
Sa l a h e d d i n - V. Saladino.
Sa l e , George - I, 257.
Sa l o m o n e - I, 54, 65, 118, 132, 135,
148, 158, 165, 180, 188, 232, 272;
II, 140, 154.
Sa l o m o n e (re di Bretagna) - I,
384.
Sa l o m o n e (te dUngheria) - II, 84.
Sa m m o n o c o d o m - V. Budda.
Sa m u e l e (profeta) - I, 137, 142,
148, 314.
Sa n c h u n l a t o n - I, 54, 59, 64-68,
84, 94, 103, 139, 144.
Sa n c i o I U Grosso (re di Leon e
delle Asturie) - II, 59.
Sa n c i o II (re di Castiglia) - II,
61, 62.
Sa n c i o III (re di Castiglia) - II,
230, 231.
Sa n c i o III il Grande (re di Na-
varra e dAragona) - II, 60.
Sa n c i o VII (re di Navarra) - II,
226.
Sa n s o n e - I, 156, 178.
Sa r a - I, 186.
Sa t u r n o - I, 52, 63, 140.
Sa u l (re dIsraele) - I, 137, 148,
156, 158, 314.
Sa v o i a , Amedeo V i l i duca di -
II, 384.
Sc a n d e r b e g - II, 402-404, 408, 415,
416.
Sc a n d i a n o , conte di - II, 352.
ScHWARTZ, Berthold - II, 304.
Sc i p i o n e , Publio Cornelio, detto
l Africano - I, 191, 192, 196.
Sc o t o E r i u g e n a , Giovanni - I,
279; II, 68, 70.
Se d e c i a (re di Giuda) - I, 163.
Se d e c i a (pseudo profeta) - I, 164.
Se g n i , Reginaldo conte di - V. A-
lessandro IV.
Se l i m I (sultano ottomano) - I,
91; II, 410, 422.
Se m i r a m i d e (regina assira) - I, 55,
114.
Se n e c a , Lucio Aimeo - I, 291.
Se n o f o n t e - I, 58, 59, 197.
Se n u s k e t III - V. Sesostri.
Se r a p i s (o Se r a p i d e ) - I, 97, 131.
Se r g i o II, pontefice - I, 382, 384.
Se r g i o III, pontefice - II, 12, 13.
Se r s e - II, 419.
Se s a c I (re d E gitto) - I, 238, 246.
Se s o s t r i - I, 65, 90, 91.
Se s t o E m p i r i c o - I, 61, 252.
Se t - I, 124, 184, 185.
Sf o r z a , Francesco - II, 294.
Sf o r z a , Giacomuzio - II, 293, 294.
Sh a -Ab b a s - V. Abbas I.
Sh a k e s p e a r e , William - I, 106.
Sh a m m a d e y - V. Asmodeo.
Sh a -Na d i r - V. Nad ir Sha.
Si b i l l a Cu m a n a - I, 123-125.
Si b i l l a E r i t r e a - I, 123, 124.
Si g h e b e r t o - I, 332, 341, 414.
Si g i s m o n d o (imperatore d i Germa
nia) - II, 264, 276-280, 288-290,
366, 379, 380, 389.
Si g n i , Rinaldo (^ - V. Segni Regi
naldo.
SiLLA, Lucio Cornelio - I, 123, 190.
SiLVERio, san (pontefice) - I, 309.
Si l v e s t r o I, san (pontefice) - I,
301.
Si l v e s t r o II, pontefice - II, 28, 31,
Si m e o n e , san - I, 292, 293.
Si m m a c o , san (pontefice) - I, 309.
Si m o n , Richard - I, 153.
Si m o n Ba r i o n e - V. Pietro, san.
SiMONE Ma g o - I, 282, 283, 292,
298.
Si m p l i c i o , san (pontefice) - I, 52.
Si n f o r o s a , sa nta - I, 293.
Si s t o V, pontefice - II, 423.
Sm e r d i - I, 51.
INDICE DEI NOMI CITATI 4 4 9
So c r a t e - I, 108, 131, 132, 192,
241; II, 287.
So f i a d i Ba v i e r a - II, 285.
So f o c l e - II, 418.
So l i m a n o (soldano di Nicea) - II,
138, 145, 150, 153.
So l i m a n o II detto il Magnifico -
I, 172-, II, 393, 394, 422.
Sp i n a , Alessandro - II, 344.
Spo r c o , Ottaviano - V. Giovanni
XII.
Sq u i n d e F l o k i a n - II, 243.
St e f a n o (re dInghUterra) - II, 107,
110.
St e f a n o , santo - I, 35, 133.
St e f a n o II, pontefice - I, 311, 314-
319, 345, 376, 385, 414.
St e f a n o VI (o VII), pontefice -
II, 11, 12.
St e f a n o V i l i , pontefice - II, 14,
130.
St i l i c o n e , Flavio - I, 195.
St e a b o n e - I, 62, 82, 166, 241.
St u a r t , Roberto (re di Scozia) - II,
321.
SUGER (reggente) - II, 155.
Su i d g e r - V. Clemente II.
Sv e t o n i o , Gaio Tranquillo - I, 130,
131.
T
T a c i t o , Publio Cornelio - I, 69,
208, 422.
T a i d e - I, 250.
Ta l e t e di MUeto - I, 108.
Ta m e r l a n o (o Ti m u r ) - II, 199,
390-396, 398, 412, 414.
T a n f a n a - I, 329.
T a n c r e d i d Al t a v i l l a - II, 37,
39, 47, 102, 103.
Ta n g i t a n e (principe di Mauritania)
- I, 406.
T a n n e g u y d u Ch a t e l - II, 275,
333.
T a r e - I, 75.
Ta r q u i n i o , Lucio, detto Prisco
(quinto re di Roma) - I, 123.
T a r q u i n i o , Lucio, detto il Superba
(settimo e ultimo re di Roma) -
I, 130, 165.
Ta s s i l i o n e - II, 7.
29/CII
Ta s s o , Torquato r i , 266; II, 36,
350, 352..............................
T a t a r -k h a n - II, 188.
Te c u s a , santa - V. Alessandra, sant.
Te l l , Guglielmo - II, 249.
Te m i s t o c l e - I, 102.
T e m u g i n - V. Gengis-khan.
Te o d e b e r t o I (re dAustrasia) - I,
327.
Te o d e t t e di Faselide - I, 189.
Te o d o r a (reggente di Michele III)
- I, 409, 411.
T e o d o r a (imperatrice dOriente) -
II, 410.
Te o d o r a - II, 12.
T e o d o k i c o (re degli Ostrogoti) -
I, 309, 313, 334.
T e o d o s i o I il Grande (imperato
re romano) - I, 195, 304, 306,
340, 378, 408.
T e o d o s i o II (imperatore romano)
- I, 126, 194, 195, 301, 307,
419.
T e o d o t o , san - I, 293-295.
T e o f i l o (imperatore dOriente) -
I, 409.
Te o p o m p o di Chio - I, 189.
Te r t u l l i a n o , Quinto Settimio Fio
rendo - I, 127, 146, 284, 298.
T e s e o - I, 263.
T e u t e b e r g a (regina di Lorena) - I,
370, 414, 415.
Th o d o r e t (Te o d o r e t o ) - I, 66.
Th o t h - I, 93, 94, 113, 152.
T h o u , Jacques-Auguste de - I, 200;
II, 334.
T i b a l d o di Champagne (le di Na-
varra) - II, 174.
Ti b e r i o , Claudio Nerone (impera
tore romano) - I, 281, 291, 298.
T i e n - I, 86, 223.
T i e r r i c o (re dei Franchi) - I, 199,
347.
T i e s t e - I, 255.
T i f o n e - I, 40, 64, 113, 256.
T i n e o s u s , Gottfried - II, 20.
T i t o , Flavio Vespasiano (imperato
re romano) - I, 119, 135, 161,
171, 173, 212, 284, 298; II, 4,
404.
T o b i a - I, 59, 181, 182, 186.
450 INDICE DEI NOMI CITATI
T o l o m e o - I, 99, 104.
T o l o m e o , Claudio - I, 269, 270; II,
229.
T o l o m e o II FUadelfo (re dEgitto) -
I, 112, 188, 265.
T o l o m e o V Epifane (re dEgitto) -
I, 159.
T o l o m e o VI Filometore (re dEgit
to) - I, 136.
T o l o s a , Bertrando di - II, 153.
T o l o s a , Raimondo conte di - II,
62, 146, 149, 210-214.
T o l o s a , Raimondo il Giovane con
te di - II, 214, 215.
T o m a c e l l i , Perin - II, 274.
T o m i k i (regina dei Massageti) - I,
71.
T o m m a s o d Aq u i n o , san - I, 229,
27S, 364.
T omm a so d i C a n t e e b u h y , san - V.
Becket Tommaso.
T o m m a s o d a P i z z a n o - II, 361.
T o s c a n a , Gmdo marchese di - II,
12, 13.
T r a i a n o Ulpio (imperatore romano)
- I, 72, 161, 173, 212, 266, 282,
284, 293, 298, 338, 407; II, 4.
T k a n s t a m a r e , Enrico di - II, 318-
. 320.
T r i f o n e - V. Giustino, san.
T r i t t o l e m o (re di Eieusi) - I, 145.
T r u s s e l , Guglielmo - II, 297.
T u b a l - I, 68.
Tu c i -bcha n - I I , 198.
Tu c i d i d e - I, 197.
Tu r p i n o - I, 331.
T u t i -k h a n ( o T u l i -k h a n ) - II, 198.
u
U g o - I, 383.
Ug o il Grande, detto l Abate - II,
9, 28.
Ug o il Crociato - II, 145, 148, 153.
Ug o (re di Arles e di Lombardia)
- II, 13, 14.
Ul i s s e ( re di Itaca) - I, 32.
Ul u g b e g -k h a n - II, 396.
Um f e e d o d Al t a v i l l a - II, 37,
38.
Un i a d e , Giovanni Corvino (princi
pe di Transilvania) - II, 400,
408, 414.
Ur b a n o II, pontefice - II, 32, 44,
63, 87, 97, 128, 142, 144, 147,
151.
Ur b a n o IV, pontefice - II, 205, 222,
275.
Ur b a n o V , pontefice - II, 284, 388.
Ur b a n o VI, pontefice - II, 262, 271-
274, 2S4, 384.
U r i a - I, 166.
Ur r a c a - II, 62.
Us s u m -Ca s s a n - II, 414.
V
Va l a - I, 374, 375, 377.
Va l e n t i n a di Milano - II, 328.
Va l e n t i n i a n o III (imperatore ro
mano) - I, 306.
Va l e n t i n o - I, 2S0.
Va l i d - V. Al-WaHd.
Va l o i s , Henri de - I, 300.
Va l r a d a (o Va l d r a d a ) - I, 414-
416.
Va m b a - I, 314, 378, 398, 399.
Va r i l l a s , Antoine - II, 334.
Va r o , Publio Quintilio - I, 328,
329.
Ve l l y , Paul-Frangois - I, 330, 334;
II, 237.
Ve n c e s x -AO (re di Boemia) - II,
268, 269, 285, 288, 289, 325,
366, 379.
Ve n e r e - I, 61, 111,
Ve r t u m n o - I, 113.
Ve s p a s i a n o , Tito Havio (imperato
re romano) - I, 119, 130, 131,
161, 284; II, 101, 404.
Ve s t a - I, 67.
Vi e n n e , Jean de - II, 306.
Vi l l a n i , Giovanni - II, 257.
Vi l l a r e t , Foulques de - II, 415.
Vi r g i l i o , Publio Marone - I, 113,
124, 125, 137, 138, 144, 178, 226;
II, 71, 354, 424.
Vi s c o n t i (famiglia dei) - II, 268,
290-292.
VismJ - I, 78.
Vi t e l l i o , Aulo (imperatore roma
no) - II, 19.
Vi t i c h i n d o - I, 328-330.
INDICE DEI NOMI CITATI
4 5 1
ViTiZA - I, 398, 399.
ViTRUVio, Marco PoUione - I, 57,
136.
Vi t t o r e II (o IV), pontefice - II,
99.
Vi t t o r e III, pontefice - V. Desi
derio di Montecassino.
VOLODIMER (Vladimiro I il Grande),
san - II, 54.
Vossius, Gerhard Johann - I, 224.
Vu l c a n o - I, 133.
XiMENES (reggente di Castiglia)
II, 229.
Xi x u t r u - I, 53.
Yo - I, 213.
Yo n t c h i n - V. Yung-Cheng.
Y u (o Yii) - I, 220.
Yu n g -Ch e n g - I, 215, 225.
w
W a l t e r , Richard - I, 222.
W a e b u k t o n , William - I, 66, 106,
110, 145, 146, 162.
W e n -Ti - I, 222.
WiCLEF, Giovarmi - II, 284-286,
385.
X
Xa n t e - I, 130.
XiMENES DE CiSNEROS, Francesco
(primate di Spagna) - II, 229.
Za c c a r i a - I, 124.
Za c c a r i a - I, 158.
Z a c c a r i a - I, 166.
Za c c a r i a , san (pontefice) - I, 314,
339.
Z a g a t a i -k h a n - II, 198.
Z a l e u c o - I, 109, 110.
Za m o l x i s - I, 67, 202.
Za s i e l -Pa k m a r - I, 185.
Ze f i r o - I, 111.
Ze r d u s t - V. Zoroastro.
ZOEOASTRO - I, 36, 74, 99, 113, 143,
152, 187, 242, 249-251, 253, 255.
ZOROBABEL - I, 172.
ZOSIMO - I, 146.
INDICE GENERALE DEL SECONDO VOLUME
XXXII. Condizione dellimpero dOccidente alla fine del IX secolo 3
XXXIII. Dei feudi e deUimpero................................................ ..... . 6
XXXIV. Di Ottone il Grande nel X secol o..................................... 9
XXXV. Del papato nel X secolo, prima che Ottone il Grande
si rendesse padrone di Roma................................................ 11
XXXVI. Seguito dellimpero di Ottone e della condizione del-
ritaUa................. ....................................................... 15
XXXVII. Degli imperatori Ottone II e III, e di Roma . . . . . 19
XXXVIII. Della Francia intorno al tempo di Ugo Capeto . . . . 24
XXXIX. Condizione della Francia nd X e nellXI secolo. Sco-
mimica del re Roberto . ...................................................... 30
XL. Conquista di Napoli e della SidHa da parte di genti
luomini normanni ...................................................................... 35
XLI. Della SicOia in particolare, e del diritto di legazione
in questi s o l a ........................................................................... 43
XLII. Conquista dellInghilterra da parte di Guglielmo du
ca di Normandia........................... ..................................... 47
XLIII. Della condizione dellEuropa nel X e XI secolo . . . 54
XLIV. Della Spagna, e dei maomettani di questo regno, fino
allinizio del XII s e c o l o ......................................................59
XLV. Della religione e deUa superstizione nel X e XI secolo 66
XLVI. Dellimpero, dellItalia, dellimperatore Enrico IV e di
Gregorio VII. Di Roma e deUtmpero nellXI secolo.
Della donazione della contessa Matilde. DeUa misera fine
dellimperatore Enrico IV e del papa Gregorio VII . 76
XLVII. Dellimperatore Enrico V e di Roma fino a Federico I ; 90
XLVIII. Di Federico Barbarossa. Cerimonie dellincoronazione de
gli imperatori e dei papi. Seguito delle guerre della li
bert italica contro la potenza tedesca. Bella condotta
del papa Alessandro III, vincitore dellimperatore con
la politica, e benefattore del genere umano..................... 95
XLIX. Dellimperatore Enrico VI e di R o m a........................... 102
L. Condizione della Francia e dellInghilterra durante il
XII secolo fino al regno di san Luigi, di Giovanni Sen
zatetta e di Enrico III. Grande cambiamento dellammi
nistrazione pubblica in Inghilterra e in Francia. Assassi
4 5 4
INDICE GENERALE
nio di Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury.
LInghEterra divenuta provincia del dominio di Roma,
ecc. Il papa Iimocenzo III raggira i re di Francia e
dIngidltetra.................................................................................106
LI. Di Ottone IV e di Filippo Augusto nel XIII secolo.
Della battaglia di Bouvines. DellInghilterra e della Fran
cia fino alk motte di Luigi V i l i , padre di san Luigi.
Potenza singolare della corte di Roma: pi singolare
penitenza di Luigi V i l i , ecc................................................... 119
LII. Dellimperatore Federico II; delle sue contese con i papi,
e dellimpero tedesco. Delle accuse contro Federico II.
Del libro De tribus impostoribus. Del concilio gene
rale di Lione, ecc. ........................................................... . 1 2 6
LUI. DellOriente ai tempi delle crociate e della situazio
ne della P a l e s t i n a ................................................................ 136
LIV. DUa prima crociata fino alla presa di Gerusalemme . 142
LV. Crociate dopo la presa di Gerusalemme. Luigi il Giovane
prende la croce. San Bernardo, che daltronde fa mi-
coli, predice vittorie, e si viene sconfitti. Saladino pren
de Gerusalemme; le sue imprese; la sua condotta. Come
fece divorzio Lmgi VII, detto il Giovane, ecc................... 152
LVI. Di Saladino ........................................... ................................159
LVII. I Crociati invadono Costantinopoli. Sventure di questa
citt e degli imperatori greci. Crociate in E^tto. Sinplare
avventura di san Francesco dAssisi. Disgrazia dei cristiani 166
LVIII. Di san Luigi; suo governo, sua crociata, numero dei suoi
vasceUi, sue spese, sua virt, sua imprudenza, sue
s v e n t u r e ......................................................................................176
LIX. Segdto della presa di Costantinopoli da parte dei cro
ciati. Quello che era allora l impero greco........................... 185
LX. DellOriente e di Gengis-khan........................... 188
LXI. Di Carlo dAngi, re ddle Due Sicilie. Di Manfredi, di
Corradino e dei Vespri siciliani........................................... 201
LXII. Della crociata contro gli Occitani......................................209
LXIII. Stato dellEuropa nel XIII s e c o l o ......................................218
LXrV. Della Spagna nel XII e XIII secolo . . . . . . . 224
LXV. Del re di Francia Filippo il Bello e di Bonifacio V i l i . 233
LXVI. Del supplizio dei templari e dellestinzione di questor
dine ...................................... . . . . . . . . . . 242
LXVII. Della Svizzera e della sua rivoluzione allinizio del
XrV s e c o l o ........................................... .....................................248
LXVIII. Seguito deUa condizione in cui si trovavano l impero, l Ita
lia e il papato nel XIV s e c o l o ........................................... 252
LXIX. Di Giovanna, regiaa di N a p o l i ........................................... 260
LXX. Dellimperatore Carlo IV. DeUa bolla doro. Del ritorno
della santa sede da Avignone a Roma. Di santa Cateri
na da Siena, ecc. . ........................... .......................... . 265
LXXI. Grande scisma dOccidente................................................ 271
LXXII. Concilio di Costanza . . . . . . . . . . . . . 278
LXXIII. Di Giovanni Hus e di Gerolamo da Praga......................283
INDICE GENERALE 4 5 5
LXXIV. Della condizione dellEuropa intorno al tempo del con
cilio di Costanza. DdlI t a i a ................................................ 289
LXXV. Della Francia e ddlInghUterra al tempo di Filippo di
Valois, dEdoardo II e dEdoardo III. Deposizione del re
Edoardo II da parte del parlamento. Edoardo III, vin
citore della Francia. Esame della legge salica. Dellarti
glieria, ecc.....................................................................................295
LXXVI. Della Francia sotto il re Giovanni. Celebre seduta degli
stati generali. Battaglia di Poitiers. Cattivit di Gio
vanni. Rovina della Francia. Cavalleria, ecc.................... 310
Del Principe Nero, del re di Castiglia don Pedro il Cru
dele e del conestabile du G u e s d i n ................................ 317
Della Francia e deUIngHlterra al tempo del re Carlo V.
Come qusto principe abile spogE gli Inglesi delle loro
conquiste. Suo governo. Il re dInghUterra Riccardo
II, figlio del Principe Nero, detronizzato........................... 321
Del re di Francia Carlo VI. Della sua malattia. DeUa
nuova invasione della Francia a opera di Enrico V, re
dInghilterra ........................................................................... 327
Della Francia al tempo di Carlo VII. Della Pulzella e
di Jacques Cceur......................................................................337
Costumi, usanze, commercio, ricchezze intorno al XIII e
al XIV s e c o l o ........................................................................... 344
Scienze e belle arti nel XIII e nel XIV secolo . . . . 349
Affrancamenti, privilegi delle citt, stati generali . . . 363
Taglie e m o n e t e ......................................................................367
Del parlamento di Parigi sino a Carlo VII . . . . 371
Del concUio di BasUea tenuto al tempo dellimperatore
Sigismondo e di Carlo VII nel XV secolo......................379
Decadenza dellimpero greco, cosiddetto impero romano.
Sua debolezza, sua superstizione, ecc....................................387
Di Tamerlano........................................................................... 391
Seguito deUa storia dei Turchi e dei Greci, fino alla
presa di Costantinopoli ......................................................398
Di Scanderbeg........................................................................... 402
DeUa presa di Costantinopoli da parte dei Turchi . . 404
Imprese di Maometto II e sua morte................................ 414
Situazione della Grecia sotto il giogo dei Turchi; loro
governo, loro c o s t u m i ........................................................... 418
Indice dei nomi c i t a t i ......................................................................................427
LXXVII.
LXXVIII.
LXXIX.
LXXX.
LXXXI.
LXXXII.
LXXXIII.
LXXXIV.
LXXXV.
LXXXVI.
LXXXVII.
Lxxxvni.
LXXXIX.
XC.
XCI.
XCII.
XCIII.

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