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NUMERO 15: La forma del poema


Editoriale, di Italo Testa 2



IL DIBATTITO

PERCORSI ITALIANI

Pier Paolo Pasolini
di Lisa Gasparotto 6

Vittorio Sereni
di Luca Lenzini 18

Amelia Rosselli
di Antonio Loreto 24

Giovanni Giudici
di Lisa Cadamuro 46

Attilio Bertolucci
e Alberto Bellocchio
di Gabriella Palli Baroni 51
Antonio Porta
di Andrea Gibellini 58

Remo Pagnanelli
di Roberto Galaverni 62

Giuliano Mesa
di Gian Luca Picconi 69

Mario Benedetti
di Tommaso Di Dio 82

Luciano Cecchinel
di Giovanni Turra 93

Giancarlo Majorino
di Biagio Cepollaro 98

Andrea Zanzotto
di Luca Stefanelli 101






FUOCHI TEORICI

Vincenzo Frungillo 131
Niccol Scaffai 138

POEMA E CANONE FEMMINILE

Patrizia Vicinelli
di Matteo Di Meco 151
Patrizia Vicinelli
di Renata Morresi 162
Rosaria Lo Russo 173
Florinda Fusco 199

ALTRI SCENARI

Yves Bonnefoy
di Enrico Capodaglio 204
Durs Gruenbein
di Domenico Pinto 216
Anthony Hecht
di Joseph Harrison 218
Alice Oswald
di Francesca Matteoni 224
W. G. Sebald
di Raul Calzoni 231

INCURSIONI

Giovanna Frene 248
Marco Giovenale 249
Stefano Raimondi 253



LETTURE

Fabiano Alborghetti 260
Dina Basso 264
Francesco Filia 270
Giuseppe Fonte 274
Luca Minola 278
Luciano Neri 281
Gilda Policastro 285
Andrea Raos 289
Viviana Scarinci 295
Fabio Teti 299

I TRADOTTI
John Ashbery
tradotto da Damiano Abeni 305
Francis Catalano
tradotto da Italo Testa 308
Kurt Drawert
tradotto da Anna Maria Carpi 314
Santiago Elordi
tradotto da Matteo Lefvre 323
Charles Reznikoff
tradotto da Andrea Raos 332
Jacques Roubaud
tradotto da Italo Testa 345
Vincent Tholom
tradotto da Michele Zaffarano 348
Nika Turbina
tradotta da Federico Federici 352
EDITORIALE


Il numero 15 de L'Ulisse prosegue il ciclo di indagini sulle metamorfosi delle forme e dei generi
poetici contemporanei dedicate nei numeri scorsi al teatro di poesia (n. 9-10), alla lirica (n. 11) e
quindi alla prosa poetica (n. 13). Mettendo a tema questa volta La forma del poema non ci siamo
interrogati per solo sulle mutazioni contemporanee dell'epos. L'attenzione per l'organizzazione
poematica del discorso in versi, infatti, ci pareva offrire un punto d'osservazione privilegiato su quel
fenomeno di incrocio dei generi che sempre pi avvertibile nella poesia contemporanea e che
muove da un'esigenza diffusa di allargamento degli orizzonti di ci che pu essere detto in poesia.
Per questo motivo L'Ulisse si rivolge sia alla diversificata fenomenologia delle strutture poematiche
(poema, poemetto, long poem, romanzo in versi, serie, ciclo, sequenza per frammenti) sia
all'organizzazione macrotestuale del libro e dell'opera di poesia, con un attenzione privilegiata per
gli ultimi tre decenni.
In Percorsi italiani questo tema affrontato in una serie di saggi monografici dedicati a singoli
autori, seguendo un itinerario che muove dall'eredit della terza e della quarta generazione e dalla
funzione espansiva quivi giocata dalla forma poemetto ; trova poi un punto di snodo negli anni
ottanta, con l'emersione paradigmatica degli approcci epistemologici da un lato della memoria lunga
di Bertolucci la grande mano tesa a catturare il senso del tempo della Camera da letto, secondo
la bella immagine usata da Roberto Galaverni e delle sequenze di frammenti di Antonio Porta
dall'altro i passi passaggi ; e infine si dispiega nei decenni successivi lungo le linee frastagliate
della nuova poesia italiana degli anni novanta, per riaprirsi, a testimonianza del fatto che si tratti di
un fenomeno di lunga durata e intergenerazionale, con le ultime prove di Majorino e Zanzotto negli
anni zero. I saggi di Lisa Gasparotto, Luca Lenzini, Antonio Loreto, Lisa Cadamuro, Gabriella Palli
Baroni, Andrea Gibellini, Roberto Galaverni, Gian Luca Picconi, Tommaso Di Dio, Giovanni
Turra, Biagio Cepollaro eLuca Stefanelli ci accompagnano cos lungo un itinerario in cui dispositivi
poematici, nuclei lirici e strategie narrative si intersecano ed espandono nelle scritture di Pier Paolo
Pasolini, Vittorio Sereni, Amelia Rosselli, Giovanni Giudici, Attilio Bertolucci (con le sue
derivazioni in Alberto Bellocchio), Antonio Porta, Remo Pagnanelli, Giuliano Mesa, Mario
Benedetti, Luciano Cecchinel, Giancarlo Majorino e Andrea Zanzotto.
L'esigenza di condivisione metrica e di spazializzazione del discorso entro macrostrutture forse
uno degli effetti di lungo corso del germe teorico inoculato dalla prospettiva eccentrica e
plurilinguistica di Amelia Rosselli. Il ready-made e la teoria degli spazi metrici di quest'ultima, alla
cui analisi dedicato l'ampio affresco di Antonio Loreto, sono peraltro la premessa di una
ridefinizione dei confini tra i generi anche in un senso ulteriore. Nel Focus, infatti, l'eredit di
Rosselli viene rivisitata secondo una traiettoria che passa attraverso lo snodo, non a caso emerso
anch'esso negli anni ottanta, di un vero e proprio poema di montaggio quale i Fondamenti
dell'essere di Patrizia Vicinelli cui sono dedicati i saggi di Matteo Di Meco e Renata Morresi. Di
qui l'esigenza, maturata nel corpo a corpo con le sperimentazioni dell'arte contemporanea e il
bisogno di poesia totale proveniente dalla poesia visiva, di ripensare la nostra tradizione in un'ottica
che nella riflessione di Rosaria Lo Russo, in dialogo con Florinda Fusco si riappropria del
genere del poema epico come del nucleo di una nuova forma di soggettivazione femminile del
canone poetico.
L'interesse per la forma lunga, nella poesia italiana, anche l'effetto di una serie di escursioni in
altre tradizioni in particolare nella poesia anglosassone che a partire dagli anni quaranta e
cinquanta si veda il caso, analizzato in apertura di numero da Lisa Gasparotto, dell'eredit di Eliot
nel poemetto di Pasolini L'italiano ladro fanno da sfondo ai percorsi italiani. Una prospettiva
comparatistica, nella sezione Fuochi teorici, guida cos l'interrogazione di Niccol Scaffai sul
rapporto tra crisi del soggetto e incroci macrotestuali tra lirica/epica/narrativa (da Montale a
Pagliarani sino all'ultimo Caproni), mentre Vincenzo Frungillo rintraccia nello snodo tra tempo
naturale, tempo storico e tempo biografico la faglia in cui, nel confronto con i modelli europei, si


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incunea la produzione poematica della poesia italiana pi recente, secondo una direttiva post-storica
che sfugge alla tradizione ancora modernista del poema per frammenti, comportando un mutato
approccio alla totalit dell'esperienza. L'incidenza della forma poema nella scritture contemporanee
di autori di lingua tedesca, inglese e francese quindi al centro della sezione Altri scenari, ove il
lavoro di Yves Bonnefoy, Durs Gruenbein, Alice Oswald, W.G. Sebald e Anthony Hech
analizzata nei saggi di Enrico Capodaglio, Domenico Pinto, Francesca Matteoni, Raul Calzoni e
Joseph Harrison. Chiude la parte saggistica del numero la sezione Incursioni, in cui Giovanna
Frene, Marco Giovenale e Stefano Raimondi dipanano i fili poematici del proprio laboratorio di
scrittura.

Ai saggi si affianca, come al solito, una ricca scelta di testi di poeti contemporanei. La sezione
Letture accoglie questa volta Fabiano Alborghetti, Dina Basso, Francesco Fillia, Giuseppe Fonte,
Luca Minola, Luciano Neri, Gilda Policastro, Andrea Raos, Viviana Scarinci e Fabio Teti. Infine,
ne I tradotti, ospitiamo poesie di John Ashbery (tradotto da Damiano Abeni), Francis Catalano
(tradotto da Italo Testa), Kurt Drawert (radotto da Anna Maria Carpi), Santiago Elordi (tradotto da
Matteo Lefvre), Charles Reznikoff (tradotto da Andrea Raos), Jacques Roubaud (tradotto da Italo
Testa), Vincent Tholom (tradotto da Michele Zaffarano) e Nika Turbina (tradotta da Federico
Federici).

Italo Testa




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IL DIBATTITO


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PERCORSI ITALIANI



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La dissonanza del mondo tra passato e presente.
Eliot, Pasolini e la forma poema

These fragments I have shored against my ruins
T. S. Eliot, The waste Land
e puoi ascoltare come un diapason incantato
la vita veramente umana che sale.
P. P. Pasolini, L'italiano ladro

La critica alla societ del dopoguerra, la desolazione e lo sconforto di una civilt rinunciataria
quanto a valori spirituali e disinteressata alla condizione umana; una rappresentazione poetica in cui
passato e presente si mescolano sullo stesso piano, riproducendo una catena isotopica di immagini
che ruotano attorno alla metafora centrale di una terra guasta, in una congerie di sfiducia e
fallimento quanto Eliot ci racconta nella sua The waste Land. Un rapsodo dalla straordinaria forza
intuitiva, che combina soluzioni metriche in bilico tra classicit e sperimentalismo, intertesti della
tradizione letteraria con lo sperimentalismo individuale, in una multitonalit sospesa tra ironia e
parodia, liricit e narrativit, senza mai perdere di vista l'intenzione di fondo tesa alla
rappresentazione della realt o forse meglio della vastit dell'esistenza e della sua aridit.
Erano gli anni Venti, anni di sperimentazione e innovazione. In quel brulichio (europeo) di
inizio secolo le costruzioni poetiche eliotiane si configurano come un coacervo di elementi mitici,
lirici e narrativi, senza tuttavia restituire un vero e proprio racconto in versi.
Ora, quel che preme rilevare, che l'eredit eliotiana sembra venire accolta, a distanza di un
ventennio e sempre in un contesto storico post bellico, come quello del secondo dopoguerra, in un
esperimento poetico mai finito di Pier Paolo Pasolini, risalente al crocicchio tra la fine degli anni
Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta (la prima stesura risale infatti al 1948-1949): mi riferisco
all'Italiano ladro, un testo pubblicato in stralcio su Nuova Corrente nel 1955 e uscito poi dal
laboratorio, in sede postuma, in una forma pi estesa e comunque non-finita(1).
Se il materiale poetico di Eliot era stato attinto dagli sviluppi dell'antropologia inglese a
cavallo tra i due secoli (in specie Frazer e la sua scuola) ricavandone una serie di archetipi mitico-
antropologici, la rappresentazione del reale di Pasolini a cavallo tra i due decenni si fonda invece su
archetipi di tipo storico-politico e ideologico (secondo una base interpretativa fornita da Marx,
Croce e Gramsci ma anche dalla tradizione cristiana) approdando tuttavia, nel testo che qui si
discute, a soluzioni formali non dissimili da quelle eliotiane (quali la suddivisione in sezioni, il
malcerto e elusivo collegamento tra le personae di volta in volta introdotte nei vari episodi, la
variazione del punto di vista, la forma del monologo o del dialogo quest'ultimo sempre riducibile,
in qualche modo, al primo , gli intertesti della tradizione letteraria, e quindi una tessitura fatta di
citazioni e allusioni, il plurilinguismo e la presenza, sebbene meno incisiva, delle note), e a
un'unitariet tematica (forse) pi definita.
Eliot si era sforzato di negare che la situazione da lui descritta fosse (solo) quella del primo
dopoguerra: era piuttosto la crisi originata dalla percezione di una pi generale aridit della
condizione umana a concretizzarsi nel tropo della terra desolata. Si trattava dello sforzo di unire
due mondi, uno reale e contingente e l'altro incarnato nella tradizione (intesa in senso ampio) e nelle
divergenti sollecitazioni della storia e della coscienza, come spiega nel celebre saggio Tradition and
the Individual Talent, del 1919: la tradizione non un patrimonio che si possa tranquillamente
ereditare; chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica. Essa esige che si abbia,
anzitutto, un buon senso storico, cosa che quasi indispensabile per chiunque voglia continuare a
fare il poeta dopo i venticinque anni; avere il senso storico significa essere consapevole non solo
che il passato passato ma che anche presente; il senso storico costringe a scrivere non solo con la
sensazione fisica presente nel sangue, di appartenere alla propria generazione, ma anche con la
coscienza che tutta la letteratura europea da Omero in avanti, e all'interno di essa tutta la letteratura
del proprio paese, ha una sua esistenza simultanea e si struttura in un ordine simultaneo(2). In


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sostanza, Eliot sostiene che in questa tensione dialogica tra passato e presente anche ogni
operazione artistica finisca con l'inscriversi necessariamente nella tradizione, modificandone a sua
volta senso e prospettiva: non pu darsi pertanto nessun tentativo artistico di prescindere dalla
tradizione per fondare una nuova espressione e forma letteraria, se non in maniera illusoria. Tuttavia
The waste land sembra rappresentare una sintesi contraddittoria di questi enunciati: citazioni e note
si disseminano come detriti e frammenti del passato, segno evidente dell'impossibilit di un ritorno
compiuto alla tradizione o, peggio ancora, della mancanza di possesso delle sue strutture. Se,
dunque, per Eliot il senso della storia presume l'inserimento del passato nel presente con una
modalit quasi immanente, e la tradizione si caratterizza in modo acronico, secondo un'esistenza
sostanzialmente ideale, per Pasolini (che ha da poco scoperto Marx(3)) la storia invece
prevalentemente la storia della lotta di classe e quindi della contrapposizione tra due mondi (che poi
sono quello interiore e quello dell'alterit, quello della storia personale e quello della storia
collettiva, quello proletario e quello borghese, e, pour cause, quella della tradizione e quello della
modernit). Raccontare il rapporto tra passato e presente significa pertanto tendere alla
rappresentazione di un conflitto e, per Pasolini, andare incontro a una serie di contraddizioni dovute
alle dissonanze tra visione estetica, ideologia esplicita e ideologia profonda. In quel celebre
segmento di Poesia in forma di rosa Pasolini scrive: Io sono una forza del Passato. / Solo nella
Tradizione il mio amore. / Vengo dai ruderi, dalle chiese, / dalle pale d'altare, da borghi /
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, / dove son vissuti i fratelli(4). E pi tardi, in uno dei
dialoghi con i lettori su Vie Nuove, troviamo un altro noto adagio (che riprende, non a caso, i
versi appena citati), in cui Pasolini si scaglia contro le aspirazioni di coloro i quali (e il riferimento
sostanzialmente alla neoavanguardia) negano il passato, in contrapposizione al suo sogno di una
cosa umanistico-marxista: un'idea sbagliata dovuta come sempre alla mistificazione
giornalistica quella che io sia un...modernista. Anche i miei pi fieri sperimentalismi non
prescindono mai da un determinante amore per la grande tradizione italiana e europea. Bisogna
strappare ai tradizionalisti il Monopolio della tradizione, non le pare? Solo la rivoluzione pu
salvare la tradizione: solo i marxisti amano il passato: i borghesi non amano nulla, le loro
affermazioni retoriche di amore per il passato sono semplicemente ciniche e sacrileghe: comunque,
nel migliore dei casi, tale amore decorativo, o monumentale, come diceva Schopenhauer, non
certo storicistico, cio reale e capace di nuova storia. Mi lasci amare Masaccio e Bach, e detestare la
musica sperimentale e la pittura astratta(5). In questo senso sembra quindi interessante verificare
come e se, in questo testo cos confuso qual L'italiano ladro, sia vero che lo sperimentalismo
pasoliniano non prescinde dalla tradizione, e in cosa consiste dunque la tensione tra passato e
presente.
Nel diario del poema si trova condensata l'indefessa tensione di Pasolini alla ricerca di
chiarire, anzitutto a s stesso, le proprie scelte poetiche, quindi formali, stilistiche e linguistiche, di
definire insomma i propri modelli e la direzione del progetto del suo lavoro. In uno dei passaggi pi
significativi si legge: nella sua Lettera a un giovane poeta (che mi doveva somigliare molto) la
Woolf consiglia che dopo un periodo d'avarizia, di reclusione nella propria cella interiore dove
vengono accumulati i tesori dell'esperienza mistica, irripetibile, conviene venire al balcone,
rivolgersi al mondo, e investire sui propri capitali linguistici. Nel '48-'49 io mi sono trovato
precocemente nel periodo in cui il giovane poeta apre le imposte. Mi occorso per un pretesto;
un elemento che era x, e che si chiama comunismo. Mettete in questo comunismo Cristo, i mistici,
Croce, dell'umanitarismo, dell'esistenzialismo, la scienza (volgarizzata) e lo avrete umanizzato
abbastanza per capire come potesse essere attivo nella mia vita interiore. Cos ho aperto le imposte.
Ma basta guardarlo, il mondo? Chi il mondo? Il mio prossimo (Cristo) la mia storia (Croce), la
societ (il comunismo): tutto questo insieme (il mio demone)(6).
In quel torno di tempo (1949-1955) in cui decide di aprire le imposte, Pasolini sta
lavorando anche alle poesie dell'Usignolo della Chiesa cattolica (1958), al romanzo d'ambiente
friulano Il sogno di una cosa (1948-1950), ai poemetti delle Ceneri di Gramsci (composti tra il
1951 e il 1956) e sono anche gli anni di Ragazzi di vita (1955) e di Officina (1955-1959), per


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quanto riguarda la produzione saggistica, dell'antologia Poesia dialettale del Novecento (1952) e del
Canzoniere popolare (1955): tutte esperienze che si collocano notoriamente sulla stessa linea
stilistica, linguistica ma anche ideologica, che affonda le proprie radici nella regressione
dellautore nellambiente descritto, fino ad assumerne il pi intimo spirito linguistico(7). ancora
nel diario che si chiarisce la portata umana e quindi politica del concetto di regresso: stato il
mondo esterno che ho capito di cui mi sono fatto una competenza, che, un po' alla volta, come un
organismo parassita in un altro organismo, entrata in me, trasformandomi, facendo di me un altro:
cos mi sono trovato gomito a gomito coi miei coetanei poveri, dell'altra classe, ho sentito il loro
odio di classe (che una cosa autentica, necessaria, provvidenziale), ho sentito le loro disperazioni,
il loro complesso d'inferiorit collettiva, il loro disprezzo di s, e poi le loro allegrie accanite e
accoranti... E tutto cos stranamente privo di letteratura; esperienza cos desolatamente umana che
ne ho preso coscienza solo qualche anno pi tardi, quando la competenza mi aveva gi tutto
pervaso e modificato. Possedevo dunque, il mondo di cui parla la Woolf. Ne ero regredito e
riemerso []. Adottata la formula: prestare la mia coscienza e la mia capacit di espressione,
magari squisita, a un mio coetaneo o comunque al mio compagno, dotato solo di un primo albore di
coscienza e infelice perch inespresso, potei compiere l'operazione che per me fin con l'essere una
riscoperta del non-io. Era bastato quello spostamento minimo dell'io, da me a un mio coetaneo
assimilato, perch il mondo mi comparisse in una luce evidenziante quasi facile!(8). Non un caso
che anche luso del dialetto (in chiave mimetica e coerentemente anche diegetica) parta da una
esperienza anzitutto antropologica e quasi sacra qual lesperienza dellaltro, in una dimensione
preculturale, vissuta con un sentimento quasi nostalgico per un passato che si riflette nel presente.
Gi nelle poesie della raccolta Dov' la mia patria, composte tra il 1947 e il 1949(9), il Friuli non
pi rappresentato dal mondo mitico e edenico di Narciso (quello delle Poesie a Casarsa e degli
immediati dintorni, per intenderci(10)), ma popolato dai giovani sfruttati dal potere. Una distanza
incolmabile si frappone dunque tra il poeta e quell'umanit amata e incompresa, una distanza
generata dalle differenze di estrazione che Pasolini sente fortemente, lui, borghese, lui cos altro
di fronte ai contadini friulani (e poi anche di fronte ai borgatari romani). La sua classe lo divide dal
popolo, ma anche l'unica possibilit che ha, attraverso la sua cultura, di avvicinarsi ad esso, di
renderlo oggetto di rappresentazione. La pratica regressiva anzitutto un'azione cosciente,
ideologicamente mediata. esattamente quanto Pasolini afferma ancora una volta nel diario del
poema: Dino chiede al borghese di regredire: atto altamente fantastico, l'unico che autenticamente
trasporti da una classe evoluta a una meno evoluta. I dirigenti di partito non lo capiscono: lo
confondono forse con l'umanitarismo(11). Una dichiarazione che viene ripresa, nel 1958, a
distanza di quasi un decennio, quando l'esigenza narrativa gi approdata a un genere pi
codificato (nel 1955 esce Ragazzi di vita e nel 1959 esce Una vita violenta), a un forma forse ancora
pi adatta a restituire il senso politico della stessa pratica regressiva: nello scendere al livello di un
mondo storicamente e culturalmente inferiore al mio almeno secondo una graduazione razionale,
ch, irrazionalmente, esso gli poi assolutamente contemporaneo, per non dire pi avanzato, nel
suo vitalismo puro in cui si fa la storia nellimmergermi nel mondo dialettale e gergale [] io
porto con me una coscienza che giustifica la mia operazione n pi n meno di quanto giustifichi,
ad esempio, loperazione di un dirigente di partito: il quale come me, appartiene alla classe
borghese, e da questa si allontana(12). Bisogna poi dire che il regresso fondamentalmente una
scelta poetica che diventa quindi anche una soluzione stilistico-formale, una strategia per parlare del
mondo rappresentato, per stabilire il proprio ruolo di scrittore-poeta in rapporto a quel mondo
nellintento pi profondo di legittimarlo. A ben vedere, il sentimento del regresso si configura
proprio come riflesso di quella evoluzione stilistica che consente a Pasolini di lasciarsi penetrare
dalle culture sopravviventi, depositarie (nella sua particolare mitologizzazione) di valori ben
diversi da quelli della cultura borghese, fino ad accoglierne la loro lingua (il dialetto, appunto). Al
regresso da una lingua a unaltra anteriore e infinitamente pi pura corrisponde infatti un
regresso lungo i gradi dellessere, nella ricerca di recupero, o comunque nel tentativo di non
dimenticare la primordiale felicit edenica (prenatale-prestorica e prelinguistica). E non dunque


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un caso che gli esiti della produzione in versi di Pasolini approdino a risultati di poesia narrativa, in
cui si definisce non tanto il sostrato ideologico che governa l'operazione regressiva, quanto le
modalit con cui il regresso, sul piano stilistico e persino su quello sociolinguistico, si realizza, e
quindi le dinamiche attraverso le quali (nella poesia come poi accadr nella narrativa) si esprime
l'intenzione pasoliniana di oggettivare la materia della rappresentazione in quanto riflesso
presuntamente autentico della realt. Una posizione, peraltro, a cui Pasolini rimarr fedele almeno
fino al 1957, quando, in quel noto saggio officinesco che La libert stilistica, una sorta di
dichiarazione a posteriori, si sofferma sulle proprie scelte formali: La stessa passione che ci aveva
fatto adottare con violenza faziosa e ingenua le istituzioni stilistiche che imponevano libere
esperimentazioni inventive, ci fa ora adottare una problematica morale, per cui il mondo che era
stato, prima, pura fonte di sensazioni espresse attraverso una raziocinante e squisita irrazionalit,
divenuto, ora, oggetto di conoscenza se non filosofica, ideologica: e impone dunque,
esperimentazioni stilistiche di tipo radicalmente nuovo(13). La pratica regressiva si manifesta
dunque attraverso una nuova dimensione microstilistica, ma finisce anche con il prediligere
strutture pi apertamente poematiche e (forse) non potrebbe essere altrimenti: c' un conflitto da
raccontare, c' soprattutto un mondo, quello del proletario, quello dell'altro, che deve potersi
esprimere e di cui prendere coscienza. A quell'istanza per definizione monologica della poesia lirica
si sostituisce (o si aggiunge) cos la polifonia, l'intreccio di voci, anche se, a ben guardare, questo
non porta necessariamente a un vero e proprio aumento del tasso di narrativit. Insomma, per
mettere in forma la rappresentazione del conflitto di classe necessario un conflitto di voci: la
poesia deve poter mettere in atto processi di discorsivit e veicolare cos contenuti non solo lirici,
che nell'Italiano ladro non coincidono ancora pienamente con una effettiva romanzizzazione. Ora,
senza scendere nel dettaglio di questioni formali che andrebbero discusse, a fondo e singolarmente,
anzitutto sul piano teorico(14), quello che mi preme rilevare che nell'Italiano ladro ci troviamo
di fronte a elementi di narrativit piuttosto generici e altamente mescidati con forme
tradizionalmente monologiche della poesia. Regredire lungo i gradi dell'essere, significa cos
anche regredire lungo i gradi della storia e delle forme, guardare a generi pi popolari, codificati e
autorevoli: e mi riferisco ad esempio alla tipologia della narrazione breve o brevissima che
corrisponde al genere della ballata (popolare o romantica, in un'accezione rispettivamente folklorica
e letteraria), di cui Pasolini pu aver verosimilmente tenuto conto per il suo poema, nel tentativo di
coniugare appunto popolare e letterario, passato e presente, basso e alto, proletariato e borghesia. A
questo punto, esattamente come accaduto per The waste Land, evidente che anche per questo
testo pasoliniano esiste un problema di forma che induce anzitutto a interrogarsi sul come e
soprattutto sul dove sistemarlo in una classificazione dei generi. Si tratta di un poemetto narrativo,
di un poema epico concentrato, di un romanzo in versi, o di un mosaico disorganizzato di frammenti
di varia provenienza? e poi ancora, si pu parlare di unit poetica e soprattutto formale per
L'italiano ladro? Tutte questioni che, com' noto, anche il poema di Eliot aveva sollevato
nell'acceso dibattito della critica eliotiana vecchia e nuova.
Ora, che Pasolini avesse in mente proprio Eliot per il suo poema dato certo(15). In un
passaggio del diario si legge: dal punto di vista formale: adattamento di brevetti eliottiani-joyciani,
magari di seconda mano (via per es. C. E. Gadda); ingresso del giornalismo in poesia, non senza
sfacciataggine; pastiche prosastico (si veda il principio poetico di Poe) per turgide tangenti liriche.
Contaminazione dispirazione di testa, sconveniente, ingenua e dispirazione di petto sempre
per ingenua, quasi irritante nella sua ingenuit mescolata a uneccessiva dimostrazione duna vita
prossima allintelligentia dei pi aggiornati.[] Per il mio poema mi sono riletto Eliot e varie
antologie di poeti inglesi. Ho reimparato molte cose; prima di tutto a odiare il madrigalismo che,
nelle ben confezionate audacie sintattiche e prosodiche, sa di quella letteratura italiana che non
sbaglia mai; ho reimparato a detestare il gusto del limite, il senso della sconvenienza e della
opportunit. [] Ma daltra parte ho paura dellapprossimativo, che un gran pericolo della tecnica
adottata per Litaliano ladro; temo il prosastico, non tanto perch non mi renda conto che in un
lavoro simile la prosa ineliminabile, fatale, quanto perch sospetto la prosaicit proprio del


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contenuto cio la debolezza del pensiero, il gioco scoperto della tesi; e non tanto le cadute
sintattiche quanto i sintagmi da elzeviro, da prosa rondista [] Un articolo di Eliot su Milton mi ha
chiarito qualche idea. Il mio macheronico mi ha fatta nausea; ho tagliato interi sterpi di versi, ho
fuso insieme pi strofe. [] Nell'insieme ho rinunciato a molto prosastico e molto a malincuore,
poich si tratta in questo senso, di un ennesimo fallimento in favore del poetico(16).
Il faticoso travaglio creativo, mai giunto a una forma definitiva, testimonia quella che
possiamo definire funzione Eliot nella pratica compositiva e di revisione dell'Italiano ladro.
Eliot si era espresso su Milton, per la seconda volta nel 1947, e da quel saggio, in cui paiono
condensati i principi formali a cui Pasolini guarda per il suo poema, vale la pena di citare pi
diffusamente: nella letteratura, non pi che in tutte le altre cose dell'esistenza, non si pu vivere in
uno stato di rivoluzione permanente. Se ogni generazione di poeti si assumesse il compito di portare
il linguaggio poetico allo stesso grado d'attualit della lingua parlata, la poesia mancherebbe a uno
dei suoi doveri pi importanti; in quanto essa deve aiutare non solo a raffinare la lingua dell'epoca,
ma a impedire che questa muti tropo rapidamente. Uno sviluppo troppo rapido della lingua
comporterebbe un progressivo deterioramento, e questo attualmente il nostro pericolo. Se la futura
poesia di questo secolo seguir quella linea di sviluppo che, riesaminando il cammino compiuto
nella poesia degli ultimi tre secoli, a me pare giusta, essa scoprir nuove e pi complesse
espressioni nell'ambito di un linguaggio ormai stabilito. In questa ricerca molto potrebbe imparare
dalla prolungata struttura del verso di Milton, potrebbe anche evitare il pericolo d'un asservimento
alla lingua parlata e al gergo corrente. Potrebbe imparare che la musica del verso fortissima nella
poesia che ha un preciso significato espresso con parole appropriate. I poeti potrebbero essere
indotti ad ammettere che una conoscenza della propria letteratura, e insieme della letteratura e della
struttura grammaticale di altre lingue, una parte preziosissima del corredo d'un poeta. E ho gi
suggerito che potrebbero dedicare un certo studio a Milton, come al pi grande maestro inglese,
fuori del teatro, di libert entro la forma(17). Per il suo poema Pasolini sembra accogliere anzitutto
il suggerimento di esclusivit del codice, perfettamente inscrivibile nel classicismo modernista di
Eliot, senza tuttavia tenere conto del fatto che il pericolo di asservimento era senz'altro pertinente
nell'ambito della letteratura inglese, molto meno nel contesto di quella italiana dove, com' noto, la
poesia non era ancora approdata a esiti di aderenza mimetica al parlato: forse un pretesto per tentare
di riassestare le proprie scelte in direzione, appunto, della lingua letteraria e di quella che nel diario
definisce lingua-musica(18).
Occorre quindi osservare la struttura del poema, tenendo conto di questa spia eliotiana per
verificare cosa accaduto alla tessitura stilistica di questi versi, cos provati da continui
rimaneggiamenti e ripensamenti. Lo sperimentalismo dellItaliano ladro per certi aspetti
ecclettico. Sul piano formale, colpisce anzitutto ladozione (specie nella Redazione Falqui) di quella
rarissima terzina lirica in novenari(19), che va a unirsi alle lasse di versi canonici di diversa misura
e di versi liberi di varia estensione non rimati di cui si compone il poema. Sul piano linguistico poi,
l'ampia geografia dialettale plurilingue si configura nella strana mescolanza di elementi popolari,
marcati diastraticamente, con lessemi appartenenti alla tradizione letteraria o comunque disusati,
con fonti lessicografiche e con veri e propri intertesti letterari, di cui peraltro Pasolini, talvolta, si
preoccupa di riportare in nota anche il riferimento bibliografico: da Euripide (ite, thoai Lyssas
kunes, / iteis oros), alle lettere di Santa Caterina, al Libro de li exempli, sulla base del quale
modella alcuni versi in veneziano antico (e le ysle si muove dal so logo il sole / si oscura e viene
negro de caligine), ai versi in italiano antico che ricalcano una formula di una confessione umbra
dell'XI sec. (Alla prima alba / io me accuso de lo genitore et de la / genitrice mia, killi / me
puosero in ista istoria hora)(20). Da notare che, mentre The waste Land fittamente abitata da
intertesti della grande tradizione europea, quasi a disegnare l'unit linguistica del Sacro Romano
Impero, vista la scelta di codici che appartengono, appunto, alla tradizione (quali il latino, l'italiano,
il tedesco, il francese, l'inglese), nell'Italiano ladro la scelta intertestuale, ad eccezione del greco
di Euripide, riporta prevalentemente alla tradizione popolare e quindi all'utilizzo di codici marcati
diastraticamente (i dialetti della fascia settentrionale e l'italiano popolare). Per contro, per quanto


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riguarda le scelte metriche, la discontinuit introdotta dal verso libero, intervallata dalla terzina, fa
pensare a una sorta di volont a saldare in un certo senso i conti con la tradizione, con il passato,
integrandolo nel presente. In questo, per lo meno da un punto di vista tecnico, Pasolini sembra
condividere fattivamente gli intenti eliotiani. Una volont che spiegherebbe peraltro i numerosi
tentativi di coniugare, proprio e soprattutto nelle terzine, un lessico basso con una struttura e un
tono lirico (azzurri orizzonti che mute Lingue / svelano come un canto danime!, E presso i neri
e gli azzurri / dei tunnel, dei bivii, le Lingue / segnavano Salvenach, Fiume, / su pontebbane dai
cigli azzurri) e di tematizzare la differenza tra lingua e dialetto (Lingua non dialetto il cuore /
dei signori del lungomare, / alla messa di mezzogiorno, in questo senso esemplare il verso in cui
il personaggio del ragazzo ricco associato allitaliano, lingua della burocrazia, ingranaggio che
stritola il povero, Qui Brigadiere Scogna Salvatore / discorre in italiano e io non ci capisco
nulla(21)). Questa contaminazione viene confermata inoltre dall'inserimento dell'elemento corale,
che si impone sulla scena alla maniera aristotelica, come uno degli attori, [che] deve essere parte
del tutto e partecipare allazione(22) e va quindi a realizzare una sorta di pastiche di strutture della
modernit e di quelle della tradizione, in un andamento quasi musicale (per lo meno negli intenti
dell'autore). Scrive Pasolini nel Diario del poema: particolarmente musicale la terza parte, in cui la
Madre si alterna alle Madri [] (con motivi musicali presi dal Settecento, dal Cinquecento, dal
Duecento e dalla musica religiosa gregoriana; e infine il disgregarsi della lingua-musica in
dissociazioni e balbettii carichi del dolore dell'impotenza e del primordiale(23).
Chi parla, dunque, in questo testo dal piano compositivo apertamente diegetico? Per definire
il quadro enunciativo essenziale precisare che L'italiano ladro racconta la storia di due ragazzi
inizialmente cresciuti insieme, il figlio del contadino e il figlio del padrone. Il primo finisce per
emigrare e vive le lotte della propria classe, mentre il secondo si piega al proprio destino borghese.
La condizione di figliolanza dei due giovani resa esplicita dalla presenza di una terza voce, quella
della madre del giovane contadino, cui si aggiunge il coro delle madri, indicativo di una condizione
che non solo individuale ma collettiva e pertanto storicamente situata. Sono voci che, nelle varie
stesure del testo, appaiono e scompaiono di volta in volta a seconda dei tagli e delle aggiunte che
Pasolini compie. Il discorso poetico ruota principalmente attorno al personaggio di Dino, il giovane
contadino che allo stesso tempo protagonista e dedicatario dellopera, e soprattutto figura di tutti i
parlanti che compaiono nelle poesie di Dov la mia patria e quindi di tutta quella classe di
ragazzi poveri e sfortunati che con lui viene portata a un massimo di rappresentanza allegorica.
Osservando le marche pronominali, nellopposizione incalzante tra lio e il tu (io e il
bordelletto del signore, Io e il figlio del padrone, io e te si partiva, tu reggevi la legnola, io la
vermena, mio padre / crepava con tutta lArgentina, il tuo / avanzava di grado(24), ecc..) viene
esemplificata lappartenenza dei personaggi (allocutore e allocutario) a due mondi contrapposti
ideologicamente (il tuo mondo non macell mica il mio mondo, il tuo mondo non scav mica la
fossa al mio, e non marcirono, no, i nostri due mondi, i due mondi si sono scontrati, i nostri
due mondi(25)). Nell'istanza enunciativa rilevante la presenza di una progressiva assunzione del
punto di vista del personaggio da parte dellautore: Pasolini infatti, a un certo punto, si identifica
con il ragazzo povero, inserendo s stesso nel contesto dellazione descritta. Si ha uno spostamento
graduale da una terza persona (i signori e i poveri non si son mica; i signori non hanno) alla
seconda (voi non ci avete mica; tu e quelli come te; voi che nascete). Dai generici due mondi (i
due mondi non si) si passa allincalzante successione degli aggettivi possessivi tuo e mio (il tuo
mondo; il mio mondo; i nostri due mondi). La continuit spazio-temporale di questa
opposizione resa poi con il passaggio dalla prima persona singolare alla prima plurale e dalla
seconda persona singolare alla seconda plurale, dallio al noi e dal tu al voi, che traduce una
progressiva coscienza del s e della propria identit, segno di conquista di un sentimento comune, di
appartenenza sociale e di apertura alla storia collettiva (Oggi ci odiamo, domani ci
ammazzeremo, Io condir il mio pezzo di pane solo / col tuo sangue borghese, perch / i due
mondi non si inzuccavano mica sul Foro, non si sputarono mica addosso, noi poveretti, la
nostra cucina, i padri giovinetti dei nostri bisnonni padani, vi pensate, noi poveri, nostri


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cuori vergini(26)). In altre parole la comunicazione passa da un io, che si tramuta in un noi, e da
un tu che diventa voi nel momento in cui il soggetto partecipa di una sorte comune agli uomini della
propria classe, con maggior forza nel finale. Si attua progressivamente una sorta di rovesciamento
che conferisce carattere di continuit sociale e garantisce levoluzione del senso della narrazione: il
noi assume da un certo momento in poi un significato di azione collettiva e lallocutore un tu che
sembra incarnarsi nella figura del lettore piccolo borghese. Anche la terza voce, che quella madre
di Dino, nel passaggio dallio al noi, diventa un coro che coinvolge, in un lamento collettivo, tutte le
madri di quei figli poveri e sfortunati, accomunate da una condizione di sofferenza e povert (Io
questo Gino o Pirc o Milanese / lho portato nella pancia chera autunno, Dino come suo
zio, / che era il pi bello della contrada(27)). Il coro delle madri che bestemmiano nel dialetto
proletario / dellOttocento, del Cinquecento, del Mille(28) per la morte dei propri figli, un pianto
collettivo. Non c pi lingua per dire il dolore che ha attraversato i secoli, le regioni, i paesi, la
storia:

Noi madri medievali scorriamo
torrenti di lacrime nel tuo ventre silenzioso,
non ci sono pi lingue per dar voce al dolore,
madri?...chi piange mai?...Non foglia pi
lalbero genealogico, non c pi Lingue
Que far eo?...Le madri veneziane
Piangono il loro pianto delle origini!(29)

Nelle battute finali lo scontro tra classi sociali antagoniste appare ancora pi crudele, esasperato
dalla gestione dellistanza enunciativa: lautore si inserisce via via nelle voci sia del figlio del
popolo, sia del figlio della borghesia, sia della madre del ragazzo povero, ma anche dei cori che
partecipano alla scena. Spia dingresso di questa presenza autoriale in particolare un verso, in cui
questa rottura resa esplicita: sulla linea del mio cuore / i due mondi si sono scontrati(30): da
quel momento in poi che sulla scena sembra esserci anche lautore. Si tratta di una
transindividualit che viene anche tematizzata. Si realizza cos un passaggio nodale che consente di
stabilire come Dino non sia di fatto un personaggio, che si pone cio al di l della presenza
dell'autore, ma come, ad un certo punto della storia, diventa una sorta di altro da s. Questo
spostamento confermato da una serie di strategie narrative tra le quali la pi evidente la presenza
di parole bivoche (in senso bachtiniano), ovvero di espressioni linguistiche che, nelle parti gestite
diegeticamente dal narratore, sono da mettersi in carico ideologico ai personaggi o addirittura ai
cori (Scendi gi mamma, scendi gi / nei regni della morte dov' sceso Dino, / ah mamma, voltati
indietro, risali il fiume / dei secoli, al di l, lui quasi Dio, parlante di un'isola platonica / che cosa
facevano in fondo all'albero / genealogico pieno di padri ignoti / le antenate umbre di Dino? (31)).
Pasolini, in definitiva, presta la sua voce a Dino e con la sua voce lo fa parlare (lui e la
classe proletaria), adottando il procedimento regressivo: il poeta, piccolo borghese, esprime cos
anche se stesso, presta la propria capacit espressiva al ragazzo povero. In questo modo anche
autobiografia e scrittura vanno a coincidere, come dimostrano i passaggi in cui sono fortemente
presenti alcuni elementi paesaggistici inconfondibilmente cari al poeta, mescolati a quelle tracce di
storia familiare che prendono forma nei significativi inserti di genealogia familiare, modalit tipica,
peraltro, della narrazione epica:

Quella volta la roggia passava ancora per la piazza
e i Miorin andavano allelemosina
e la Teresa era la pi sgualdrina della contrada
e i nostri cugini avevano ancora la distilleria
e dallaltro secolo tremava ancora una canzone:
Xe morto Radeschi


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Xe messo in pignata
e lAustria era fresca come una rosa,
e la nostra bisnonna fresca come una rosa
veniva gi dalla Polonia col soldato di Napoleone,
freschi come rose morivano i soldati di Osoppo,
fresco come una rosa il nonno
fece il soldato del Re, freschi come rose
sulla roggia che ancora passava per la piazza
freschi come rose cantavano i morti vespri e serenate(32).

A ben guardare, le parti del testo che corrispondono alla cosiddetta digressione epica si traducono,
appunto, nella genealogia familiare, che appare sganciata da una funzionalit specificamente
diegetica, ma che va a legare invece l'attualit dell'azione a un continuum storico, integrandola in un
flusso temporale senza interruzione alcuna. Sono passaggi che rispondono a un bisogno di
autorappresentazione coerente, senza fratture temporali. In questo senso, possiamo parlare di
modalit epica come simultanea integrazione del tempo e dello spazio. Le geneaologie pasoliniane
esprimono infatti il bisogno di radicamento in un passato, esprimono, in altre parole, il tentativo
dell'autore di spiegarsi, nel fluire del tempo e della storia, le cause della propria identit, il senso
della propria posizione nella storia, nella misura in cui, come accade nella modalit epica, si saldano
un passato (che valorosa genealogia) e un presente. Non viene raccontata la storia di una
famiglia a introdurre la psicologia dell'eroe, com' nel romanzo, ma la narrazione si configura come
interfaccia tra la micro-storia della famiglia e la grande storia nazionale, com' tipico del modo
epico. Si chiarisce in questo modo anche il tentativo pasoliniano di dare voce a un eroe proletario e
quindi di uscire dalle strutture tipiche del romanzo borghese mediante l'inserimento di elementi
tipici del modo epico. Nonostante ci sia l'entrata in scena dell'altra classe e l'eroe sia di fatto un eroe
proletario, si tratta di un personaggio che, anche se oggetto di un tensione di ancoramento a un
coro epico relativo alla grande storia, mantiene i tratti psicologici tipici dell'eroe borghese, che sono
un po' la traccia di una soggiacente identificazione dell'autore con il personaggio (autore che presta
la sua soggettivit borghese al personaggio). Non c' quindi un'incorporazione dell'altro,
tipicamente epica, ma un gioco di specchi, borghesemente romanzesco. La modalit epica si
inserisce cos nella struttura romanzesca senza per scalfirne veramente i caratteri e senza davvero
metterne in discussione i presupposti ideologici. Significativa in questo senso anche la presenza di
una progressione del campo verbale, dai tempi narrativi ai tempi commentativi: limperfetto
narrativo diventa presente, in una proiezione che comprende anche il futuro, confermando
lesistenza di una catena isotopica temporale (ma anche tematica e spaziale) che va a rafforzare
ulteriormente il carattere macrotestuale del testo. Un tempo passato (giocavamo gudulando,
mignoli di dodicanni, che daccordo si faceva, tu tenevi le palpebre chine(32)), del ricordo
(mi penso che si telava, e gli uccelli, ricordi?, non ti pensi?, non ti ricordi?, mi penso,
vi pensate compagni?(34)) che si contrappone al presente (Adesso padrone dellaria, vedi
che tutto suo). il passaggio, peraltro coincidente con la vicenda autopoetografica dellautore:
dalla giovinezza quasi a-storica (Ah luccicanti cucurriti dei galli! / io e te si partiva pel sentiero,
sui muschi / e i frondai molli di guazza, / imbarlumiti dallalba, che gioia!, nei dopocena tiepidi
sotto le stelle(35)), alla dimensione della storia (Roosvelt ti sorrideva / i vescovi ti porsero
lanello, A Friburg an parlavi brisa il fransis / a Lubiana non parlavo il sloveno, / e ads qu in
Itlia meglio che stia zitto, / se no puvtt Crist e quella puttana della Madonna(36)), e quindi
alla ormai matura coscienza di classe (cos splende in noi poveri lo Spirito, lumanit che balena
in chiari / frammenti ne buio delle nostre Lingue, lumanit fremente di passioni limpide / che
riluce fra le catene / della nostra esistenza schiva dumilt, oh tu che questa umanit
intravedi(37)).
Anche la scelta linguistica riproduce un intento fondamentalmente ideologico-politico: e non
un caso che la mimesi della realt sociale dei parlanti risulti scandita da una forte e marcata


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escursione linguistica del lessico basso in un crescendo che culmina con la bestemmia, unica
risposta alla crisi di legittimazione della parola, ed espressione essa stessa di uno stile(38). A
bestemmiare con lautore ora una intera classe sociale: quei poveri, con le loro madri (Sentite, ah
sentite, nel ventre dellItalia / le madri che bestemmiano nel dialetto proletario), ai quali il poeta
presta la propria voce, servendosi dei loro dialetti, nel tentativo quasi estremo di farsi riconoscere
come una sorta di matre a penser, di mettersi a loro disposizione, offrendo loro la lingua dei padri,
la lingua del potere, grazie alla quale anchessi potranno avere piena coscienza di s, della micro e
macro storia, e potranno emanciparsi rovesciando a loro volta quello stesso potere che li opprime.
Una conquista che muove la propria ragione dessere dalla dottrina del cristianesimo e dal sogno di
una cosa marxista. Leffetto di questa tecnica di straniamento pi incisivo nella progressione
conclusiva della storia raccontata, che si chiude con tre testi lirico-ragionativi che prendono forma
in un coro politico con un impianto di nobile retorica ideologica. Il finale, tuttavia, sembra
politicamente ambiguo: nellinvocazione del ritorno della lingua di Dino, si realizza una sorta di
identificazione tra preistoria e speranza, regressio intrauterina e alba della presa di potere del
popolo, ideologicamente mediata:

lumanit che balena in chiari
frammenti nel buio delle nostre Lingue,
balbettio, o, se vuoi, canto
dallodola presa da un amore muto
lumanit fremente di passioni limpide
che riluce fra le catene
della nostra esistenza schiava dumilt,
nella bassezza dellanimale,
oh tu che questa umanit intravedi
dietro stupende nostalgie,
e sai che lo spirito del secolo
ne depone nei ricchi solo una pallida schiuma,
che la ragione della classe
padrona dellumano
(mentre ne invece un palpito morente)
arresta il nostro cammino
e puoi ascoltare come un diapason incantato
la vita veramente umana che sale
in spighe non mietute da un seme felice,
e compatire lingenua malvagit
che balbetta come un ubriaco
nei nostri cuori vergini che tremano
davanti allangelo dellannunciazione,
e sai capire le cupe amarezze
che sognano sangue per allattare i figli
affamati oh amico, oh fratello
ritorna con noi
porta tra noi la tua Lingua
donaci la tua Lingua che pianga il declinare
della razza sotto le valanghe brutali
e svisceri dal buio prenatali i rossori
dellalba, e ci guidi come un canto
dincudini lungo la strada
che ci dar il potere sullumano(39).



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Cos, dallo stridere di due mondi, l'uno incarnato in una dimensione esistenziale pregna di
valori che sembrano appartenere solo al passato e l'altro teso alle sollecitazioni del presente,
affiorano le contrapposte spinte della tradizione, imperfettamente e ampiamente intesa. Una
tradizione che anche figura dell'autorit, da cui si scorge un'angoscia esistenziale e politica che
cerca una sua forma e finisce per organizzarsi in discorso poetico.
Come all'intellettuale che si aggirava tra le rovine della tradizione, quasi unica fonte di
speranza nella desolazione e nell'aridit del tempo e dello spazio, non restava che ammucchiarle per
arginare l'incombere della storia, a distanza di un ventennio all'intellettuale che urlava la propria
rabbia e impotenza di fronte alla sempiterna lotta di classe, non restava che puntellare le macerie
della propria esperienza poetica friulana con i frammenti dell'ideologia e percorrere quindi altri
sentieri pi pervi per raccontare il mondo, interiore e storico. Pasolini ne era consapevole: c' un
cattivo gusto del dopoguerra a cui naturalmente non sar riuscito a sfuggire del tutto: ma se in parte
l'ho fatto, lo devo alla sofferenza, all'insofferenza, alla rabbia, alla sfiducia cui sono stato preda
nello scrivere questi versi. Una tremenda voglia di fare e una tremenda voglia di non fare.
Impotenza e ispirazione(40). E se Eliot ebbe al suo fianco Pound, pronto a estirpare con la cesoia
l'eccedente, e a portarlo a una forma (che comunque rimane non unitaria) in cui la tradizione si
integra con la modernit attraverso un evidente artificio metaletterario, Pasolini non riusc
interamente a essere un miglior fabbro di s stesso, non riusc a risolvere il dissidio del conflitto
di classe e la distanza incolmabile tra i due mondi, non riusc quindi a non perdere di vista un
materiale in continua espansione, un non-finito strutturale che nei capoversi in ebollizione(41)
dell'Italiano ladro si traduce nell'incapacit di unire istanze di tipo poematico, con istanze di tipo
narrativo e con istanze di tipo tematico: in definitiva, un sostanziale fallimento, da cui deriva la
volont di trovare altre vie per esprimere, appunto, la dissonanza del mondo.

Lisa Gasparotto

Note.
(1) P. P. Pasolini, Da Litaliano ladro, in Nuova Corrente, I, n. 3, gennaio 1955, pp. 234-239. La redazione del
testo uscita in rivista, accompagnata da ulteriori frammenti, ha visto poi la luce in sede postuma in Id., Bestemmia. Tutte
le poesie, a cura di G. Chiarcossi e W. Siti, prefazione di G. Giudici, Milano, Garzanti, 1993, pp. 1648-1654; un'altra
redazione del testo (la cosiddetta Redazione Falqui) si legge ora in P. P. Pasolini, Tutte le poesie, a cura e con uno
scritto di W. Siti, con un saggio introduttivo di F. Bandini, cronologia a cura di N. Naldini, Milano, Mondadori, 2003
(d'ora in avanti indicato con la sigla TP), II, pp. 793-798.
(2) T. S. Eliot, Tradizione e talento individuale (1919), in T. S. Eliot, Opere, a cura di R. Sanesi, Milano, Bompiani,
1986, pp. 720-721.
(3) Si pensi ovviamente al testo La scoperta di Marx, nell'Usignolo della Chiesa cattolica, in TP, I, pp. 497-503. Si
tenga inoltre conto di quanto scrive Al lettore nuovo: ci che mi ha spinto a essere comunista stata una lotta di
braccianti friulani contro i latifondisti, subito dopo la guerra (I giorni del Lodo De Gasperi doveva essere il titolo del
mio primo romanzo, pubblicato invece poi nel 1962 col titolo Il sogno di una cosa). Io fui coi braccianti. Poi lessi Marx
e Gramsci. La trasformazione e la fusione [] dei miei due filoni poetici, lanti-italiano in falsetto e litaliano eletto,
avviene sotto il segno del mio marxismo mai ortodosso. lentamente che arrivo al poema civile, P. P. Pasolini, Al
lettore nuovo, ora in SLA, pp. 2517-2518.
(4) P. P. Pasolini, Poesia in forma di rosa, in TP, I, p. 1099.
(5) P. P. Pasolini, ...una forza del passato, in Vie Nuove, 42, XVII, 18 ottobre 1962, poi in Id., Le belle bandiere.
Dialoghi 1960-1965, a cura di G. C. Ferretti, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 233-244.
(6) P. P. Pasolini, Diario de L'italiano ladro e appunti (1949-1950), in TP, II, pp. 865-878; pp. 869-870. Cfr, inoltre
V. Woolf, Lettera a un giovane poeta, a cura di M. Premoli, Milano, Archinto, 2000. La Woolf si chiede perch mai la
poesia, dopo essersi onestamente scrollata di dosso certe falsit, non dovrebbe aprire gli occhi, guardare fuori dalla
finestra e scrivere delle altre persone. Per uscire ed entrare nel mondo degli altri il poeta dovrebbe a ogni buon conto
riuscire a trovare il giusto rapporto [] tra il s che conosce e il mondo esterno. un problema difficile, dice
sempre la Woolf, tanto difficile che nessun poeta vivente lo ha ancora fatto. La scrittrice invita cos lamico John
Lehamann, a scoprire il rapporto tra cose incompatibili mentre hanno unaffinit misteriosa, assorbire ogni esperienza
che attraversa la [] strada, senza timore e saturarla completamente in modo che la [] poesia sia un insieme, non un
frammento; ripensare la vita umana in poesia onde darci di nuovo la tragedia e la commedia attraverso personaggi
concentrati e sintetizzati come fanno i poeti. [] Tutto quello che devi fare adesso stare alla finestra e lasciare che il
tuo senso ritmico si apra e si chiuda, si apra e si chiuda, in modo audace e libero finch una cosa non si fonde in
unaltra, finch i tassi non si mettono a ballare con i narcisi, finch da tutti questi frammenti separati non si viene


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formando un insieme. [] Poi lascia che il tuo senso ritmico si snodi tra gli uomini e le donne, tra gli omnibus, i passeri
qualsiasi cosa si presenti lungo la strada finch non li abbia legati in un tutto armonioso (pp. 39-42).
(7) P. P. Pasolini, Il metodo di lavoro [1958], in Appendice a Ragazzi di vita, Torino, Einaudi, 1983, p. 210.
(8) P. P. Pasolini, Diario de L'italiano ladro e appunti (1949-1950), in TP, II, pp. 870-871.
(9) La plaquette, illustrata con 13 disegni da Giuseppe Zigaina, stata pubblicata in 500 copie numerate e non mai
stata ristampata (P. P. Pasolini, Dov' la mia patria, Casarsa, Edizioni dell'Academiuta, 1949). Alcuni componimenti
della raccolta si leggono anche nella seconda sezione (dal titolo Il testament Corn) del canzoniere friulano La meglio
giovent, sebbene con significative varianti di redazione; a questo proposito cfr. Note e notizie sui testi, a cura di W.
Siti, M. Careri, A. Comes e S. De Laude, in TP, I, pp. 1460-1494; in particolare le pp. 1488-1491; si veda inoltre
l'edizione critica e commentata P. P. Pasolini, La meglio giovent, a cura di A. Arveda, Roma, Salerno, 1998.
(10) Oltre alla raccolta d'esordio (Poesie a Casarsa, Bologna, Libreria antiquaria Mario Landi, 1942), il riferimento
anche ai successivi esiti poetici (Poesie, San Vito al Tagliamento, Stamperia Primon, 1945; Diarii, Casarsa,
Pubblicazioni dell'Academiuta, 1945, ristampa anastatica del 1979, con una premessa di N. Naldini ; I pianti,
Casarsa, Pubblicazioni dell'Academiuta, 1946), che entrano in larga parte nella prima sezione del canzoniere friulano La
meglio giovent. Poesie friulane, Firenze, Sansoni (Biblioteca di Paragone), 1954, ora in TP, I, pp. 1460-1494.
(11) P. P. Pasolini, Diario de L'italiano ladro e appunti (1949-1950), in TP, II, p. 876.
(12) P. P. Pasolini, Il metodo di lavoro [1958], in Appendice a Ragazzi di vita, Einaudi, Torino, 1983, p. 210.
(13) P. P. Pasolini, La libert stilistica, in Passione e ideologia (1960), ora in Id., Saggi sulla letteratura e sull'arte, a
cura di W. Siti e S. De Laude, con un saggio di C. Segre, cronologia a cura di N. Naldini, Milano, Mondadori, 1999
(d'ora in avanti indicato con la sigla SLA), I, p. 1233.
(14) Nell'ambito degli studi sulla narrativit nella poesia italiana si vedano almeno M. A. Bazzocchi, Poesia come
racconto, in M. A. Bazzocchi, F. Curi (a cura di), La poesia italiana del Novecento. Modi e tecniche, Bologna,
Pendragon, 2001, pp. 151-185; A. Berardinelli, La poesia verso la prosa. Controversie sulla lirica moderna, Torino,
Bollati Boringhieri, 1994; P. Giovannetti, Modi della poesia italiana contemporanea. Forme e tecniche dal 1950 a oggi,
Roma, Carocci, 2005; L. Lenzini, Interazioni. Tra poesia e romanzo: Gozzano, Giudici, Sereni, Bassani, Bertolucci,
Trento, Temi, 1998; R. de Rooy, Il narrativo nella poesia moderna. Proposte, teoriche & esercizi di lettura, Firenze,
Cesati, 1997; E. Testa, Il libro di poesia. Tipologie e analisi macrotestuali, Genova, Il Melangolo, 1983, Id., Per
interposta persona. Lingua e poesia del secondo Novecento, Roma, Bulzoni, 1999, Id., L'esigenza del libro, in M. A.
Bazzocchi, F. Curi (a cura di), La poesia italiana del Novecento, cit., pp. 97-119, Id., Lingua e poesia negli anni
Sessanta, in S. Giovannuzzi (a cura di), Gli anni '60 e '70 in Italia. Due decenni di ricerca poetica, Genova, San Marco
dei Giustiniani, 2003, pp. 21-43; P. Zublena, Narrativit (o dialogicit?). Un addio al romanzo familiare, in S.
Giovannuzzi (a cura di), Gli anni '60 e '70 in Italia, cit., pp. 45-85, Id., Frammenti di un romanzo inesistente. La
narrativit nella poesia italiana recente, in G. Langella, E. Elli (a cura di), Il canto strozzato. Poesia italiana del
Novecento. Saggi critici e antologia, Novara, Interlinea, 2004, pp. 255-266.
(15) Si tenga inoltre presente che Pasolini stato anche traduttore di Eliot e proprio negli immediati dintorni della
stesura dell'Italiano ladro: nel 1947 esce in una rivista friulana (cfr. Ce fastu?, nn. 5-6, 1947) la traduzione in
friulano della quarta sezione di The waste Land, Death by water (Muart ta l'aga), ora in TP, II, pp. 1462-1463.
(16) P. P. Pasolini, Diario de L'italiano ladro e appunti (1949-1950), in TP, II, pp. 872-873.
(17) Si tratta di un testo che Eliot scrive per la conferenza annuale per l'Henrietta Hertz Trust alla British Academy di
Londra nel 1947; fu pubblicato come volume XXXIII della serie, London, G. Cumberlege, 1947; ripubblicato in
Sewanee Rewiew, LVI, 2 aprile-giugno 1948, quindi inserito come Milton II nella raccolta di saggi On Poetry and
Poets del 1957, ora in T. S. Eliot, Opere. 1939-1962, a cura di R. Sanesi, Milano, Bompiani, 2003, pp. 497-515; p. 514-
515.
(18) Si legge nel diario: e infine il disgregarsi della lingua-musica in dissociazioni e balbettii carichi del dolore
dell'impotenza e del primordiale, P. P. Pasolini, Diario de L'italiano ladro e appunti (1949-1950), TP, II, p. 876-
877.
(19) La terzina lirica in novenari risulta testimoniata in specie in pochi testi quattrocenteschi (con tre terzine giocate su
tre parole-rima, chiuse da un verso isolato finale che riprende la parola-rima del primo verso); si veda S. Carrai, Un
esperimento metrico quattrocentesco (la terzina lirica) e una poesia dellAlberti, Interpres, V, 1983-1984, pp. 34-45.
Pasolini aveva gi utilizzato questa stessa terzina in novenari nelle poesie della sua ultima raccolta friulana, Dov' la
mia patria; sulle strutture metriche pasoliniane, cfr. F. Brugnolo, La metrica delle poesie friulane di Pasolini, in G.
Santato (a cura di), Pier Paolo Pasolini: l'opera e il suo tempo, Padova, Cleup, 1983, pp. 21-65.
(20) Per quanto riguarda la formula adattata dal greco, in nota si legge la traduzione in italiano e tra parentesi il
riferimento alla fonte letteraria secondo questo procedimento: Andate, come i cani di Lissa, andate contro il monte (dal
greco di Euripide); per quanto riguarda le lettere di Santa Caterina, in nota vengono indicati i passi adattati allitaliano
e lindicazione: italiano ispirato a quello delle lettere di Santa Caterina; nelle note relative alle fonti da cui derivano i
versi in veneziano antico e quelli ricalcati sulla confessione umbra si legge, nel primo caso italiano ispirato al
veneziano antico del Libro de li exempli (a cura di G. Ulrich, Bologna, 1891) e nel secondo caso dallitaliano di
una formula di confessione umbra del sec. XI; P. P. Pasolini, LItaliano ladro (Redazione Falqui), TP, II, pp. 844-
845; 849; 850.
(21) Ivi, p. 823.
(22) Aristotele, Poetica, trad.it. di G. Padano, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 41.


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(23) P. P. Pasolini, Diario de L'italiano ladro e appunti (1949-1950), TP, II, p. 877.
(24) P. P. Pasolini, Litaliano ladro (Redazione Falqui), TP, II, pp. 809, 811, 812, 815.
(25) Ivi, p. 819.
(26) Ivi, pp. 819-820, 849, 850.
(27) Ivi, pp. 838-839.
(28) Ivi, p. 847.
(29) Ivi, p. 850.
(30) Ivi, p. 819.
(31) Ivi, p. 844, 848.
(32) Ivi, p. 841.
(33) Ivi, pp. 809-811.
(34) Ivi, pp. 810-813.
(35) Ivi, p. 812.
(36) Ivi, pp. 817 e 821.
(37) Ivi, pp. 861-862.
(38) Nelle teorizzazioni officinesche Pasolini aveva avuto modo di esprimere quanto i primi effetti del dopoguerra
[fossero] stati appunto l'anti-retorica e la mescolanza degli stili; o, insomma, la riscoperta di quello che gli stilisti
chiamano il concreto-sensibile. Nella fattispecie questo concreto-sensibile stata l'Italia, vivente e parlante, che per un
ventennio era sparita. Il neorealismo ha instaurato subito alcuni stilemi, sia pure approssimativi, a rappresentare ai sensi
questa realt (P. P. Pasolini, La confusione degli stili, ora in SLA, I, p. 1080).
(39) P. P. Pasolini, Litaliano ladro (Redazione Falqui), cit., p. 826.
(40) P. P. Pasolini, Diario de L'italiano ladro e appunti (1949-1950), TP, II, p. 878.
(41) Ivi, p. 868.


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Sereni dal libro allopera. Appunti e ipotesi

per Max

Di Vittorio Sereni tra il 1998 e il 2010 la casa editrice Einaudi ha riproposto, nella collana di poesia
Bianca, Diario dAlgeria (1998), Il musicante di Saint-Merry (2001) e Stella variabile (2010).
Solo Frontiera e Gli strumenti umani (libro peraltro accolto nella stessa collana nel 1975, a dieci
anni dalla prima edizione) mancano allappello, per chi non avesse a disposizione le Poesie
nelledizione critica approntata da Dante Isella per i Meridiani Mondadori (1995), o Tutte le
poesie curate da Maria Teresa Sereni (Mondadori, I poeti dello Specchio) apparse nel 1986, a tre
anni di distanza dalla morte del poeta. Si pu pertanto dire che, una volta acquisita lopera in versi
nel suo assetto ne varietur, accompagnata dal ricchissimo apparato filologico e documentario del
Meridiano Isella, e le due antologie fornite di ampio commento del 1990 (Il grande amico, Rizzoli)
e 93 (Poesie, Einaudi), entrambe riedite di recente, la serie di ristampe Einaudi, di larga
accessibilit, segna il passaggio ad una nuova fase nella vicenda editoriale - e critica: si vedano le
introduzioni ai volumi, firmate rispettivamente da Raboni, Mengaldo e Pusterla - del lavoro di
questo poeta, il cui lascito di fondamentale rilievo nel quadro novecentesco, non solo italiano. La
rilettura delle singole opere, in tale cornice (pur in progress, come si spera), fornisce inoltre
loccasione per qualche appunto di ordine molto generale: lo sviluppo della poesia sereniana, infatti,
dagli esordi allultimo libro, stato assai bene illuminato dalla critica, grazie a interpreti
deccezione e comunque ad unattenzione costante, ma vi sono aspetti dellopera, presa nel suo
insieme e sotto il profilo della struttura interna, che meritano qualche ulteriore riflessione.
Il punto di partenza, al riguardo, non pu che essere la puntualissima prefazione di Isella (La lingua
poetica di Sereni) a Tutte le poesie. Questa prende avvio dalla riorganizzazione a posteriori che
tra il 1965 e il 66, allaltezza cio della pubblicazione degli Strumenti umani, Sereni compie di
tutto il suo esiguo ma ben investito patrimonio di poesia [p. XI]: non una semplice introduzione di
varianti, annota Isella, bens un ripensamento che investe la stessa struttura delle raccolte precedenti
(Frontiera, 1941, e Diario dAlgeria, 1947), fatto dal punto a cui era arrivato il suo lavoro,
consapevolmente tanto pi alto rispetto al giro dorizzonte dellesperienza passata. [ibid.]
Lannotazione tocca una questione di grande importanza. Il solo fatto di concepire il proprio
patrimonio non come alcunch di dato e storicizzato, ma come un insieme da riordinare a partire
da un punto di vista considerato superiore o comunque privilegiato, basterebbe gi a differenziare
il modo di operare di Sereni da quello di molti altri autori; ma si tratta, evidentemente, della
conseguenza di unattitudine distintiva che investe la nozione stessa di poesia, nel quadro del pi
ampio rapporto tra io e mondo. Su questultimo aspetto il poeta, pur alieno da dichiarazioni teoriche
e diffidente per natura verso le poetiche, non ha mancato di esprimersi con chiarezza. Ma
ancora Isella, nella breve Prefazione a Poesie, a cogliere con lucidit la portata culturale ed i riflessi
di quellattitudine sul concreto farsi della poesia:

Una posizione gnoseologica come la sua comporta, con la sospensione del giudizio, un incessante
confronto tra lesperienza in atto e i dati gi acquisiti, suscettibili sulla base dei nuovi apporti di
essere continuamente richiamati in circolo, messi in discussione, arricchiti, mutati, in un fervido
andirivieni tra passato e presente e tra presente e passato. [p. 12]

Da sottolineare, in questa calibrata sintesi, sia il richiamo alla gnoseologia sia quello, concomitante,
allesperienza, in sintonia con i termini della stessa formazione di Sereni; ma si tenga altres conto
dellaltrettanto significativa precisazione del poeta, riportata da Isella in entrambe le sue prefazioni,
in merito alle doppie datazioni spesso apposte a singole poesie: la distanza di tempo tra le date (di
partenza e di arrivo), osservava Sereni nella Nota agli Strumenti umani, non rinvia ad una
incontentabilit o ad un rigore considerati dal punto di vista strettamente stilistico, bens ad
una serie di modifiche e aggiunte, di deviazioni o articolazioni successive, dilatazioni e rarefazioni


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offerte o suggerite, quando non importa, dallesistenza, dal caso, dalla disposizione dellora [pp.
XII-XII].
Quanto nella Nota citata affermato da Sereni in riferimento alle singole liriche vale in generale: le
modifiche nellordinamento e nella compagine delle raccolte non hanno un movente di ordine
esclusivamente o prevalentemente stilistico, ma si collocano nella cornice di quanto Isella, sulla
scorta del corpus dei manoscritti, si spinge a definire una visione fluida del mondo, che nella sua
incessante deformazione (in senso etimologico) ha pi lo statuto del sogno che della realt [p.
XIII]. Non c dubbio che una concezione del genere abbia a che fare con il complesso dellopera,
quale si configura a Sereni (incluse le incursioni nella prosa) nel suo farsi e sedimentarsi nel tempo;
opera la cui incubazione, per sfruttare il termine del critico, trova un punto di svolta, si detto, tra
65 e 66. Diamo a questo punto unocchiata, allora, alle deformazioni che Sereni opera sulle
raccolte che precedevano Gli strumenti umani, senza soffermarsi sui singoli episodi ma cercando di
mettere a fuoco la logica che vi presiede.
Per quanto concerne Frontiera, osserva Isella che il poeta punta a redistribuirne le tessere
compositive a partire da un evidente disegno diacronico che conferisce anche alla prima raccolta
un esplicito carattere di diario (e, diario nel diario, le nove poesie legate alla topografia sentimentale
di Luino stanno in una sezione a s, di identica, parallela scansione) [p. XI]; inoltre Sereni opera
nel senso dellarricchimento del libro desordio, ricorrendo al recupero di testi dispersi e creando ex
novo una intera sezione (Versi a Proserpina). Analogamente, sul versante del Diario dAlgeria si ha
laggiunta di una intera sezione, lultima: Il male dAfrica; mentre in parallelo vige il passaggio [di
poesie], come tra vasi comunicanti, dalluno allaltro libro: il che non si limita ai primi due libri
(nei Versi a Proserpina confluivano due poesie del Diario), si noti bene, ma include il travaso di
versi da Diario dAlgeria a Gli strumenti umani (il caso esemplare Via Scarlatti, che dal Diario
passa a testo di apertura degli Strumenti).
Sono fenomeni di cui anche il lettore di Sereni meno attento alle vicende editoriali ed alle
ricostruzioni filologiche si accorto, ma che lesposizione di Isella ha il merito di collocare entro un
quadro dinsieme. A grandi linee, ne viene evidenziato un doppio movimento, che fa capo a ragioni
di spazio/tempo. Da una parte, la disposizione diacronica situa sullascissa temporale la sequenza
diaristica; dallaltra, la collocazione dei testi tiene presente, come criterio operativo, il riferimento
topografico. Spazio e tempo come linee-guida, insomma: come si conviene a chi, sul piano
dellopera, intervenga in chiave narrativa, lavorando sulle categorie prime dellesperienza. E visione
fluida, certo; ma entro un alveo che per lessere di amplissimo respiro non per questo senza precisi
argini e collegamenti. Cos la serie di Luino precede e prepara a distanza la serie dei ritorni che
formano unarchitrave degli Strumenti; mentre Milano, lambito metropolitano, a partire da Via
Scarlatti, si definisce liminarmente come lorizzonte elettivo dellio, in senso esistenziale e sociale,
dopo lAfrica (e la guerra): soglia di una nuova vicenda che approder infine alla Spiaggia, testo
conclusivo della raccolta del 65.
In entrambe le raccolte, si sar notato, unattenzione particolare dedicata alle sezioni conclusive
(che come tali sono appunto concepite): per lesser collegati tra loro, mediante gli interventi
postumi, i singoli libri non perdono la loro autonomia, una scansione che ne circoscriva il
perimetro - tuttaltro. Quanto allAlgeria, il diario vero e proprio costituito dalla seconda sezione,
ed anchesso una suite incardinata in un ambito topografico preciso (con tanto di date e luoghi in
calce ai testi: quelli della prigionia), che in effetti pu leggersi come una sorta di controcanto della
sezione Frontiera del libro omonimo. Ma di particolare interesse appunto loperazione compiuta
con laggiunta del Male dAfrica in chiusa al Diario. Qui Sereni non recupera testi dispersi, ma ne
aggiunge di nuovi e si muove con inedita libert tra versi e prosa: troviamo infatti in apertura di
sezione i Frammenti di una sconfitta, che alterna due composizioni poetiche a due brevi prose;
quindi Il male dAfrica, poemetto che espone in epigrafe la data del 1958; seguono gli Appunti da
un sogno, il pezzo in prosa pi lungo, e infine i versi di Lotto settembre, con le date 43/63.
In altra sede ho insistito sul ruolo cruciale di questa sezione nel percorso poetico di Sereni; qui mi
limito a poche osservazioni, sul filo del ragionamento perseguito a partire dalle note di Isella. Prima


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di tutto, va messo per in forte rilievo larco temporale del Diario dAlgeria: che va dal 1940, data
riportata nel titolo di Periferia, testo iniziale di Ragazza dAtene, al 1963 dellora citato Otto
settembre. Ventitre anni, quindi; dato che offre gi qualche concreta indicazione sullintenzione del
libro, non riconducibile alla sola funzione diaristica (come non lo era, globalmente, Frontiera) ma
che, soprattutto, si estende fino al presente, gli anni 60, dove si situa il punto di vista dellautore del
nuovo libro. In tale contesto, il ventennale dellOtto settembre stabilisce un traguardo la cui valenza
inequivoca: la memoria va ad un crinale storico ed esistenziale ben preciso (Sale macaroni piove
sulla memoria / lo scalpore della solfa ingiuriosa), di umiliazione e oltraggio, che coincide con un
passaggio traumatico della storia nazionale. a quel punto che si chiude il libro apertosi nel nome
della giovinezza e nellappello alla vita ed al futuro (E tu mia vita salvati se puoi / serba te
stessa al futuro / passante ). In modo analogo, i versi del Male dAfrica portano la data del 1958:
riferimento a sua volta non meramente soggettivo, ma che evoca la guerra di liberazione in corso in
quel paese (richiamata allinterno della poesia).
La dilatazione della cornice temporale muta in profondit la struttura del secondo libro, agendo in
pi direzioni: da una parte, ha una funzione distanziante e oggettivante (rispetto alle zone
pregresse), dallaltra (e contemporaneamente) di collegamento tra passato e presente. Le tessere
sono disposte lungo un asse prolungato, la cui zona estrema a contatto con un universo
completamente mutato da quello iniziale; ed infatti, qui la stessa poesia ad essere sensibilmente
diversa, morfologicamente trasformata dalla contaminazione con lambito romanzesco, nel suo
versante psicologico-soggettivo. Il passaggio decisivo anche sul piano stilistico-testuale, e
linserimento di parti in prosa ne solo il segno pi lampante: fin dai primi versi nel Male dAfrica,
infatti, al momento memoriale si accompagna un eloquente diramarsi di piani espressivi, e la
presenza di un filtro ironico di per s in attrito con limpianto lirico tradizionale - rivela un
distacco che rende palpabile lo sfasamento tra lio-soldato e lo sguardo che a lui si volge, dopo
molti anni, ben consapevole dellinsufficiente cognizione degli avvenimenti storici nel momento in
cui essi lo avevano coinvolto. La verit soggettiva dellesperienza della prigionia non ne inficiata,
ma ricompresa in un pi vasto contesto, che ha metabolizzato una vicenda collettiva (lofficina
delle prose narrative, nel dopoguerra, la sede privilegiata della rivisitazione della propria storia
nella guerra); e non bisogna dimenticare, del resto, che quellio-soldato dei Frammenti, che viene
meno sotto il peso delle armi, non (ancora) il prigioniero dAfrica: se la sezione si conclude
sullOtto settembre, nella prima parte del Male le circostanze a cui tornano i ricordi sono quelle che
immediatamente precedono la cattura sul fronte siciliano del 1943. Si tratta insomma di flash-back
che, anche qui con spiccato accento romanzesco, acquistano un significato peculiare proprio per
lesser posti in serie contigua al finale ignominioso della guerra fascista, con un montaggio che
costituisce una precisa modalit di costruzione del senso, tanto pi in quanto esclude il ritorno a
Milano (Via Scarlatti) che dovr essere, nel libro nuovo, una ripartenza e non un arrivo.
Ma di nuovo va notato, a conferma di un far poesia intimamente complesso, irriducibile tanto a
schemi ideologici che a generi prestabiliti, che nel Male dAfrica listanza ironica non si svolge
sul piano espressivo secondo una strategia delegittimante o freddamente storicizzante: anche qui ha
luogo una dialettica resa possibile dal nuovo stile di Sereni, ibrido e disponibile a pi livelli
discorsivi. La scelta del frammento sinserisce in questo quadro, mosso e articolato, che consente
una pluralit di registri e di affiancare sempre di pi alla voce dellio, non pi soggetto univoco ma
anche oggetto di violenza da parte della storia, leco di un noi formatosi nella comune esperienza
di una guerra vissuta dal basso (siamo appiattiti corpi / volti protesi allalto senza onore), in
una condizione dimpotenza e inermit sconosciuta ai generali evocati nei Frammenti
(Dicevano i generali). Non per caso il libro si conclude sullimmagine di noialtri in cenci
(Lotto settembre); ma la stessa dimensione del noi, per poter diventare tramite di senso,
assoggettata ad un confronto con la storia in atto rappresentato nellunico modo concepibile per
Sereni, cio tutto calato nellinteriorit individuale, in strati per definizione soggettivi come il
preconscio ed il sogno. Solo su questo piano pu aver luogo la diagnosi del Male: dunque una
rvrie apre i Frammenti (Ed ecco stranamente simultanee / le ragazze dun tempo), uno stato


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di risveglio ed emersione dal sogno li conclude (Accadeva come dopo certi sogni), nellultima
prosa; e infine tocca agli Appunti da un sogno, il penultimo testo della sezione, appena prima
dellOtto settembre, caricare la resa del 43 (Sento che finita) di una valenza allegorico-
profetica, rovesciando di segno e si potrebbe dire archiviando - lappello iniziale alla giovinezza
(Quanti dispiaceri la giovent (degli altri) ci dar dora in poi.) e facendo dello spazio
dellinteriorit il luogo labirintico, ma anche imprescindibile, di ogni rivelazione. Non solo: tanto
nei versi iniziali dei Frammenti che nel brano in prosa che li chiude a fare da filo conduttore il
motivo erotico, secondo i tempi di una specie di cavalleresca contesa (e di un sofferto congedo-
disincanto) che nello spazio psicologico, con i relativi moti di gelosia, tradimento e abbandono,
ricostruisce e interpreta, esemplarmente, la parabola della sconfitta e della cattura, in modo da
permearla di vissuto e sottrarla alle ipoteche dellastrattezza.
Il passaggio del Male dAfrica ha valore paradigmatico per intendere come landirivieni tra
passato e presente di Sereni sia funzionale ad un tentativo di organizzare il senso di qui
lattenzione privilegiata per le parti conclusive - che esige tanto la presenza della ragione che
lapertura di varchi trasversali (se occorre, manifestamente anacronistici) nellassetto spazio-
temporale implicato nellopera: un lavoro che travalica naturalmente il singolo libro per ascoltare i
battiti della storia dentro lorganismo vivente della poesia, aperto alle rivelazioni, agli anticipi ed
alle illuminazioni retroattive dellesperienza, alle discontinuit, riprese e incrostazioni
dellesistenza. Non era scontato che lautore di Frontiera arrivasse a orchestrare una impresa cos
vasta, e potesse con piena legittimit dare ad un suo libro il titolo Gli strumenti umani, il cui
richiamo alla concretezza, alluniverso dellempiria, si accompagna ad un orizzonte estensivo e
totalizzante. Non era scontato; ma in qualche modo un carattere di scommessa inerente a questa
poesia, che si concepisce come ricerca ed ha come polo magnetico il campo del possibile:
immaginazione e comprensione vanno per questo di pari passo e per questo, anche, dopo la caduta
impietosamente registrata nel secondo libro, il finale della Spiaggia il punto alto da cui lautore
guarda al suo patrimonio, riorganizzandone la struttura. Linclusivit, la porosit e la capacit
polifonica degli Strumenti rispecchiano lampiezza del territorio attraversato, il suo spessore
sociale, collettivo, storico; un viaggio non lineare n omogeneo nel suo sviluppo, ma scandito per
fasi, in cui tra ritorni e stalli, aperto e interno, visioni e scoperte, apparizioni e incontri si d un
orientamento, un apprendistato ed un riscatto: un moto affermativo e finalizzato, che investe le zone
ammutolite, tradite e irrealizzate, tanto della storia individuale che di quella plurale. Le toppe
dinesistenza, calce o cenere / pronte a farsi movimento e luce della Spiaggia riarticolano
fulmineamente, per ellissi, litinerario dellio, nel suo confronto con il passato ed il presente,
ripetendo con laccento proprio dellutopia leredit del futuro (parleranno) da conquistare ogni
volta, generazione dopo generazione.
Quel punto conquistato anche il luogo in cui la poesia ritrova la propria funzione, lincarico
dimenticato e ora, una volta per tutte, riconosciuto. Ma se il movimento utopico immediatamente
rilevato da Franco Fortini che informa la struttura degli Strumenti e si riflette su quanto li precede,
quanto si rivela (impone, vorrei dire) negli Strumenti, qual la allora posizione di Stella variabile,
lultima raccolta di Sereni, nellorganismo che laccoglie, ovvero nellopera che nel corso dei
decenni venuta assumendo la propria forma? E non quello della Spiaggia un punto di non-
ritorno, irrevocabile? E ancora, anzi: proprio in virt del momento utopico che investe lopera nel
suo insieme, non sar che di quella conquista non si d soltanto un effetto retrospettivo, ma anche
come per una sua forza intrinseca - un riverbero su ci che viene dopo, sulla poesia in via di crescita
non solo nei versi ma anche nelle prose che li affiancano e intersecano? In base ad unaccezione
ampia del lavoro dellautore, si pu infatti ipotizzare che dellopera in questione vada considerata
parte integrante la produzione in prosa, da Gli immediati dintorni a Il sabato tedesco fino ai progetti
interrotti dalla morte; e non casuale, sotto questo profilo, che una prima edizione non commerciale
(1980) di Stella variabile comprendesse la (stupenda) prosa Ventisei. Non sono pochi gli indizi che
fanno pensare allultima zona dellopera sereniana come ad un cantiere aperto.


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Ma resta da specificare, comunque, il contributo dellultima raccolta, in cui taluno ha ravvisato un
ritorno alla prima maniera, tra Frontiera e Diario, altri invece hanno visto il prevalere di un fondo
nichilistico (in questo senso, a correzione o smentita del messaggio degli Strumenti), mentre altri
ancora, come Fortini, hanno parlato di tropismo verso la metafisica, incentivato dalla scomparsa
dei significati che fondavano la poesia della precedente raccolta. Ebbene, si pu discutere sul
momento nichilista allinterno della poesia sereniana, come di un suo tropismo che supera il
piano del reale per sporgersi oltre (ma sempre con una base molto terrena, fondata sullErlebnis); in
ogni caso, i tratti di continuit tra Strumenti umani e Stella variabile sono indubbi, e la critica non
ha mancato di rilevarli. Ma intanto, guardando alla struttura interna del libro che si pu fare
qualche rilievo allingrosso: salta subito agli occhi, per esempio, che le cinque sezioni, a differenza
di quanto avviene in tutte le altre raccolte nella versione definitiva, non usufruiscono di titoli atti a
tematizzare o circoscriverne i testi. Solo una scarna progressione numerica - la primissima edizione
di Frontiera lunico caso analogo - fornisce la scansione; il che si pu leggere in rapporto con
quanto osservava, in unintervista del 1980, lo stesso Sereni, annunciando che Stella variabile
sar, credo, un libro privo di unorganizzazione consapevole, di una struttura interna avvertibile.
Un libro, come Il sabato tedesco, che non si pu riassumere o raccontare [p. 664, apparato Isella].
Un libro che non si pu raccontare; senza una organizzazione consapevole. Le due indicazioni
vanno considerate insieme, e quanto si fin qui annotato, se ha un fondamento, sta ad attestarlo, per
cos dire, e contrario. Forse Stella variabile, allora, era ancora in cerca di un suo assetto stabile, o
segnava il ritorno ad un modello tradizionale di album lirico come raccolta di episodi? Questultimo
caso ritengo sia da scartare, proprio per quella visione insieme fluida e organica ben evidenziata da
Isella; piuttosto, c da osservare che nel libro senza avvertibile struttura interna, si d per un
centro, la terza sezione che include Un posto di vacanza, Niccol e Fissit. Senza addentrarci nel
complesso impianto del Posto, possiamo notare che tanto il poemetto quanto gli altri due testi (che
poi in stesure provvisorie ne facevano parte) hanno in comune lo scenario di Bocca di Magra (e
dintorni); ed a sua volta, questo scenario, assieme al tema capitale dei morti, propone un
collegamento diretto con La spiaggia. dunque a partire da questo centro che va misurata la
distanza di Stella variabile dagli Strumenti umani; ed a dir poco arduo sostenere che vi sia una
sensibile discontinuit tra i testi in questione. Del resto, un primo frammento del Posto fu
pubblicato nel 1966 (appena un anno dopo gli Strumenti), e del 1971 lapparizione
nellAlmanacco dello Specchio: insomma nel poemetto che Sereni riprende e sviluppa,
esplicitamente e consapevolmente, il discorso della Spiaggia, in parte ripercorrendo litinerario
interiore di memoria, sogno, agnizione, interferenza passato/presente degli Strumenti, in parte
portandone a convalida e compimento il disegno, o meglio conferendogli nuova scommessa una
trasparenza che valga a futura memoria: del proprio lavoro, della mite e intransigente, tenacissima e
limpida utopia che lo informa, del suo sconfinamento in una dimensione che solo sua, di Sereni, e
nessun altro. La verticalit sur place del Posto di vacanza fa da approfondimento, commento e
variazione al viaggio degli Strumenti, ed proprio in questo movimento verticale e interiore, di
ricapitolazione e al tempo stesso di rilancio - tanto pi necessario e coraggioso: il progetto /
sempre in divenire sempre / in fieri di cui essere parte / per una volta senza umilt n orgoglio di
VI, 21-24 - che va colto lelemento storico, corrispondente ad una situazione di regressione e
chiusura sul piano sociale, di cui lautore intravide la lunga ipoteca.
Da cosaltro, infine, se non da questa sua assoluta verticalit, intrisa di elementi di ordine narrativo
fatti fluttuare nella discrezionalit del monologo interiore, nella relativizzazione del tempo e nel
riflesso onirico, nasce la non-raccontabilit del Posto? Ma c altro, per chi sappia ascoltarne la
musica ultima, e questo vale per il libro intero. Il campo del possibile, ancora il mare a dirlo (III,
30), sempre aperto, la recidiva speranza di Autostrada della Cisa (chiusura ideale del libro) pu
parlare tra un tunnel e laltro; lo stesso itinerario del poeta, di valico in valico e di fronte al vuoto
ed alla fine, una parabola offerta per chi verr dopo, in un nuovo ciclo a cui forse allude il
rapporto di luce/ombra che la stessa Stella, nella sua mobile lontananza e intermittenza, a evocare.
In questo senso, anche la struttura del libro il rispecchiamento di una tale opzione, ed in fondo


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nellintervista del 1980 Sereni laveva pur detto, precisando che Stella variabile dovrebbe
esprimere quella compresenza di impotenza e potenzialit, la mia difficolt a capire il mondo in cui
viviamo e al tempo stesso limpulso a cercarvi nuovi e nascosti significati, la coscienza di una vita
diversa, tanto vaga e sfuggente oggi quanto pronta a riproporsi ogni volta che se ne sappiano
cogliere gli indizi e le tracce umane.

Luca Lenzini

Nota bibliografica
Per i testi e la storia delle raccolte di V.S., come per le citazioni dalla Prefazione del curatore, si rimanda a Vittorio
Sereni, Poesie, edizione critica di Dante Isella, Milano, Mondadori, 1995, nel cui apparato anche riportata (pp. 663-
664) lintervista di Giancarlo Ferretti a Sereni (da Rinascita, a.37, 42, 24 ottobre 1980) qui citata. Per le
interpretazioni delle poesie e per linquadramento dellopera si tengano presenti i commenti delle due antologie
reperibili in commercio, citate in apertura: Vittorio Sereni, Il grande amico. Poesie 1935-1981, introduzione di Gilberto
Lonardi, commento di L.Lenzini, Milano, Rizzoli, 2010 (1990
1
); Vittorio Sereni, Poesie, a cura di Dante Isella con la
collaborazione di Clelia Martignoni, Torino, Einaudi, 2005. Per i riferimenti ai saggi di Franco Fortini vedi F.Fortini, Di
Sereni, in Saggi ed epigrammi, a cura e con un saggio introduttivo di L.Lenzini e uno scritto di R.Rossanda, Milano,
Mondadori, 2003; Id., Ancora per Vittorio Sereni, in Nuovi saggi italiani, Milano, Garzanti, 1987; per lAlgeria il
rinvio a L.Lenzini, Verso la trasparenza, Poetiche, 3, 1999, mentre per gli aspetti legati al romanzo v. Giovanna
Cordibella, Di fronte al romanzo. Contaminazioni nella poesia di Vittorio Sereni, Bologna, Pendragon, 2004. Ometto
per brevit altri rinvii, che il lettore pu reperire nel Meridiano Isella, comprensivo di una accurata Antologia critica
(pp. IX-XCVIII).



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Forma poetica come ready-made. Lo spazio metrico di Amelia Rosselli

1. Allinizio del Novecento le arti visive, in certi ambienti, sembrano voler prescindere dalle abilit
tecniche specifiche, o almeno volerle declassare da principali a secondari parametri di valore. Il
quid dellopera si pretende che stia nel gioco di assemblaggio di elementi secondo unidea
progettuale che diventa catalizzatrice dellinteresse del fruitore molto pi delle qualit sensibili-
corporee. Il primo a operare in questa direzione , si sa, Marcel Duchamp, che con i suoi ready-
made non lavora pi per addizione o sottrazione di materia com nelle arti visive tradizionalmente
intese, ma combina un oggetto gi fatto con altri oggetti (Roue de bicyclette, 1913) o con un nome
(Fountain, 1917), nellambito di una ricontestualizzazione che, di per s e almeno una volta nella
storia dellarte, basta ad ottenere lopera, come dimostra Egouttoir (1914-1916): ad uno
scolabottiglie si aggiunge una breve iscrizione con firma (neppure autentica, essendo stata apposta
dalla sorella Suzanne su indicazione dellartista che ormai, nel 1916, si trova oltreoceano) e lopera
fatta. Al pari di un San Giovannino di Michelangelo Merisi, lo Scolabottiglie significa se stesso,
ma al significato tautologico delloggetto si sovrappone quello delloperazione compiuta, in parte e
forse del tutto traducibile in un concetto (del tipo lartisticit non una propriet intrinseca
delloggetto ma pu risiedere nelloperazione, anche immateriale come quella della scelta, che
qualcuno compie su di esso), ed in questo concetto che risiede il valore o diciamo pi
prudentemente: il significato artistico. unopera che dice qualcosa, nel senso meno metaforico
dellespressione, tant che se ne pu fare esperienza anche indirettamente, tramite una pura e
semplice descrizione ( una condizione che mi pare compresa pienamente a partire da Magritte).
Ci trova conferma in un dato. Pi di un ready-made stato replicato dallautore mostrando
una particolare e nuova indifferenza estetica allunicit materiale dellopera(1), che evidentemente
non appartiene ad un Caravaggio che dipinge due San Giovannini uguali. Di questi si pu
effettuare uno studio comparativo, descrivere differenze e particolarit, mentre per un ready-made
non si fa e non avrebbe senso farlo. Inoltre, tra il 1935 e il 1941, Duchamp realizza Bote-en-valise,
sorta di kit da viaggio che consente di avere con s alcune famose opere dellartista: una scatola di
cartone che contiene riproduzioni miniaturizzate di Fountain, Traveller Folding Item, Nu
descendent un escalier e di altri. La valigia prodotta in trecento esemplari: trecento copie di copie,
tutte rigorosamente autentiche.
La cosa si pu giustificare, e con essa gran parte dei nuovi procedimenti proposti da Duchamp,
se ci si riferisce alla teoria della notazione e quindi alla distinzione tra sistemi densi e sistemi
articolati che Franco Brioschi ha discusso nel saggio Un mondo di individui, riprendendola (cos
come il titolo) da Nelson Goodman(2). Riassumo i concetti che qui interessano: un sistema denso
se non prevede procedure per stabilire conclusivamente lidentit di due, o pi, individui, che
pertanto risultano sempre in rapporto di opposizione e non potranno avere mai copie effettive;
viceversa il sistema articolato se tale procedura prevista e permette di decidere se due oggetti
sono in rapporto di equivalenza o di opposizione, cio se sono copie luno dellaltro oppure no. Da
queste propriet consegue quella di non essere, nel primo caso, o di essere, nel secondo, sistema
utilizzabile come linguaggio in senso proprio.
Quello pittorico si configura tradizionalmente come sistema denso (grazie a ci ha senso il
concetto di autentico) e per questo i due dipinti di Caravaggio non possono che essere considerati
due opere diverse. Il ready-made di Duchamp invece foriero di una lettura propria di un sistema
articolato, essendo la ruota di bicicletta, con il relativo sgabello, potenzialmente sostituibile con una
ruota uguale, o addirittura solamente simile, come di fatto la ruota di bicicletta che ha sostituito
lopera originale dispersa, e come suggerisce Bote-en-valise. Quasi che larte visiva abbia voluto
diventare una disciplina linguistica.
Non a caso in Fountain loperazione si effettua su elementi del linguaggio verbale: il titolo e la
firma. Il titolo consiste nella ridenominazione delloggetto, con cui si va a toccare la gerarchia delle
sue propriet facendo balzare in primo piano lacquaticit e la ceramicit, a tutto discapito della sua
propriet convenzionalmente pi importante che legata allespulsione urinaria delluomo. Con una


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tale modificazione gerarchica si pratica laccostamento e quindi la sostituzione (sintatticamente
legittima in un sistema articolato) dellorinatoio con un altro simbolo che abbia quelle medesime
propriet evidenziate (e che risponda alle intenzioni ironiche, critiche, ecc. dellautore): ecco la
fontana, che poi con la firma si dichiara oeuvre dart authentique et vritable (cos direbbe Piero
Manzoni) e ottiene la museificazione, sempre in accordo questo chiaro con quelle propriet
che loggetto intrinsecamente possiede e che ne hanno permesso tale particolare utilizzo,
concedendo meno rispetto allEgouttoir (o addirittura non concedendo nulla) a quellarbitrariet che
in campo artistico, ma non solo, non generalmente vista di buon occhio.
Il preteso straniamento o la pretesa ricontestualizzazione conducono precisamente ad una
articolazione del sistema dellarte visiva e di l ad una riflessione sulla natura convenzionale della
lettura dellopera. Inoltre, allarticolazione del tutto congruente loperare secondo un metodo
puramente combinatorio di elementi preesistenti, ch sarebbe uno sforzo non necessario quello della
creazione. Sfruttando ancora il saggio di Brioschi, con un passo indietro bisogner chiarire la
nozione di simbolo, inteso nello stesso senso generico di Goodman(3), cio come unit sintattica di
un qualsiasi linguaggio:

Non basta che loggetto possieda le propriet che possiede [...] perch valga come questo o
quel simbolo: occorre anche che sia stabilita una gerarchia di pertinenza fra tali propriet. Il
punto che tale gerarchia [..] non la troviamo iscritta nelloggetto stesso, come un dato
preesistente. Siamo noi a istituirla, nel momento in cui facciamo riferimento alle sue
propriet secondo questa o quella regola. Contrariamente allopinione comune, la nozione di
riferimento riveste pertanto unimportanza fondamentale nella sintassi di un sistema
simbolico, prima ancora che nella semantica. (4)

Brioschi, da buon nominalista, non crede allindipendenza ontologica dei codici linguistici e
rivendica lesistenza di quellhors-texte che Derrida aveva negato, rivendicando con esso il carattere
estensionale della sintassi (oltre che della semantica) di qualsiasi codice comunicativo, sia in fase di
produzione che di ricezione del messaggio. Infatti un oggetto simbolo di un determinato codice
nella misura in cui esemplifica quelle propriet che sono richieste dal gioco cooperativo dello
scambio linguistico, e che il produttore e il ricettore, convenzionalmente, vi riconoscono.
Considerando lopera darte come sistema di simboli e come simbolo essa stessa, dobbiamo vederne
le propriet immanenti passibili di essere organizzate, di volta in volta, in una determinata gerarchia
di pertinenza. Loperazione che Duchamp compie sullorinatoio (firma, ridenominazione,
ricollocazione) genera esattamente una riorganizzazione delle propriet esemplificate dalloggetto.
Ci che andrebbe messo maggiormente in evidenza il fatto che un oggetto, per forza di
consuetudine, pu indurre a non dimenticare le propriet esemplificate in altri contesti, in altri
giochi cooperativi: se su una scacchiera le pedine sono persone (la scacchiera sar la
pavimentazione di una piazza) e in particolare la regina bianca una bella ragazza dotata di insegne
regali, il fatto di essere il giocatore nero, cio di vedere esemplificate nella ragazza le propriet della
regina avversaria e in base a ci di dovermi da lei difendere, non mi impedir di infatuarmene. La
sovrapposizione delle gerarchie, la compresenza di propriet richieste da giochi cooperativi diversi
ci che conferisce la giustificazione di una scacchiera umana, come anche di un ready-made. Per
forza di consuetudine lorinatoio ci induce a tener presente la sua propriet principale esemplificata
abitualmente, pur allinterno di una convenzione che non la richiede. Il gioco cooperativo dellarte
finisce cos per dover fare i conti con i propri simboli, uscendone non completamente intoccato. Ed
precisamente questo che ottiene la fontana di Duchamp: ecco perch egli, al posto dellorinatoio,
non avrebbe potuto usare un oggetto diverso anche se in qualche modo affine (come ad esempio una
vasca da bagno) se non al prezzo di produrre unopera diversa, e magari non altrettanto riuscita.
Tuttavia, anche se non cos permissiva, larticolazione del sistema sembra salva poich Duchamp
avrebbe potuto usare un qualunque altro orinatoio e nulla sarebbe cambiato.
Ma cos che impedisce perch dopotutto e nonostante lazione di Duchamp cos stanno le
cose leffettiva replicabilit dellopera o la sostituibilit delloggetto che la costituisce (nella sua


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totalit o in una sua parte) con un altro oggetto non dico simile ma del tutto identico? Contando
lesemplificazione delle propriet, loggetto deve essere in linea di principio sostituibile con un altro
che esemplifichi le stesse propriet, che cio sia sintatticamente equivalente nel sistema di
riferimento attuale ed in quello (o in quelli) che eventualmente trascina con s, ed una copia
identica delloggetto soddisfa abbondantemente questa condizione. Il fatto che di una stessa opera
lautore realizzi diverse copie e addirittura riproduzioni miniaturizzate, mostrerebbe la
consapevolezza di questa sostituibilit. In realt, esiste una propriet che il mondo dellarte ( il
caso di dirla con A.C. Danto(5)) richiede (o impone?) a qualsiasi oggetto faccia irruzione nel suo
sistema (e solo una volta che vi abbia fatto irruzione, cio a opera completata) e che non ammette
equivalenza sintattica, ripristinando, di fatto, quello che un carattere tipico dei sistemi densi:
lautenticit.
Larticolazione o la densit sintattica di un sistema derivano da una convenzione e non
dipendono direttamente dalla natura degli individui, cosicch secondo quanto spiega Brioschi(6)
possiamo imporre a un sistema denso una qualche forma di articolazione. Allo stesso modo
possiamo prendere un sistema che consideriamo abitualmente articolato, come quello della
produzione in serie di scolabottiglie, e decidere ad esempio che la propriet firmato e collocato da
Marcel Duchamp il tal giorno nel tal luogo pertinente nel definire i rapporti di opposizione-
equivalenza (dinamicamente pertinente, se ad un certo punto si scopre che la firma di Suzanne
Duchamp e lautenticit dellopera pare non risentirne). Ecco perch nelle monografie e nei
cataloghi duchampiani si pu leggere, di certi ready-made, originale disperso.
A questo punto non facile dire se il sistema in cui inserito un ready-made denso o
articolato, se lopera autografica o allografica(7), e vediamo piuttosto ricrearsi una
sovrapposizione tra le due tipologie. Diciamo che si reso articolato il codice che lautore utilizza
in fase di produzione, mentre rimane denso il sistema che accoglie il prodotto una volta che sia stato
concluso, cio quello del mercato dellarte o, meno prosaicamente, del valore dellarte. Ci non
deve sorprendere: anche in un sistema articolato come quello della scrittura letteraria un
manoscritto autentico ha il suo fascino, e il suo prezzo. La densit, per consuetudine, resiste, e
resiste in qualsiasi arte. Si tratta forse, per noi, di distinguere il mercante e il collezionista dal mero
fruitore: i primi saranno sempre a caccia del pezzo originale, di un dattiloscritto o di un cimelio; il
secondo saggiamente si accontenter, in alcuni casi dopo aver opportunamente visitato gli originali,
delle repliche sotto forma di libri, cataloghi, stampe o contraffazioni dichiarate (in Cina esiste una
catena di manovali della pittura che copia in serie le opere pi famose dellarte occidentale). La
densit resiste anche al di fuori delle arti (nella insostituibilit dellautografo di Zico o del coltellino
di mio nonno), e pi che per consuetudine, pu darsi che sia per lumano bisogno di sacro (solo
qualche volta scompagnato dalla pecunia; ma del resto, il sapere un oggetto valutato diversi milioni
di dollari o euro non aggiunge qualcosa a ci che sappiamo di lui e che ci strabilia? non unaltra
delle sue propriet magari non oggettuale, ma certamente oggettiva?), per lumano bisogno di
sacro, dicevo, che lautentico avr sempre il suo bel valore, anche se si tratta di un volgare orinatoio
da pubblica toilette.
Ritornando a problemi strettamente testuali, la consuetudine evidentemente un punto
fondamentale dellattivit linguistica, in quanto convenzione che tende ad assumere le sembianze di
qualcosa di naturale (con un guadagno in termini di efficienza ma anche con alcune note
implicazioni ideologiche) e che quindi non necessita di essere concordata ad ogni scambio
comunicativo. Ora, invece della posizione che vuole lavanguardia genericamente operante contro
la consuetudine, possiamo sostenerne una opposta, secondo cui chiaro come essa consideri e
sfrutti i meccanismi consueti della fruizione artistica e dellattivit comunicativa in generale.
Legando il discorso alla natura trascendentale della gerarchia di pertinenza delle propriet degli
oggetti simbolici, come stato fatto sopra, si comprende che essa gerarchia, quando non sia frutto
di consuetudine o quando non sia comunque attingibile in maniera immediata, richiede di essere
definita esplicitamente per permettere al ricettore di potervi fare riferimento, e questo spiega in


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parte quel fiorire di istruzioni e modes demploi che frequente fenomeno delle avanguardie.
Comprendiamo, insomma, il ruolo dellhors-texte, che si esplicita diventando paratesto.
Ho sottolineato a proposito dellorinatoio di Duchamp come il processo di articolazione del
sistema dellarte visiva fosse passato, sintomaticamente, attraverso il linguaggio per antonomasia,
quello verbale. Ci coerente con il fatto che la visione dellopera possa essere surrogata dalla
lettura di una sua descrizione, e mostra come la parte principale del lavoro sia affidata ad un
elemento esterno al codice proprio dellarte visiva. Se il titolo di una Crocifissione di Antonello da
Messina, ammesso che provenga dallautore, non evidentemente in cima alla gerarchia di
pertinenza delle propriet dellopera, lo stesso non si pu dire per la fontana dadaista. A questo
proposito si legga dal Marcel Duchamp di Arturo Schwarz:

Le dplacement du contexte logique ordinaire est obtenu en rebaptisant lobjet. Le nouveau
titre na alors plus aucun relation vidente avec celui-ci quon le considre habituellement
[...].
[Le ready-made] devait en outre comporter un sous-titre qui, au lieu de dcrire lobjet comme
le fait un titre, tait destin conduire les penses des spectateurs vers dautres domaines,
plus verbaux (8)

correggendo laffermazione secondo cui il nuovo titolo privo di rapporti evidenti con loggetto
considerato abitualmente perch, come gi stato visto, ci non necessariamente vero, ed bene
che non lo sia.
In ogni caso notiamo che il titolo, la firma (per quanto appartenente ad un fantomatico R.
Mutt), non sono pi oggetti extra-estetici ma partecipano direttamente alla costituzione dellopera.
Alcuni elementi apparentemente paratestuali possono essere inscindibili dal testo e farne infine
parte; o perch sono costitutivi dellesteticit del prodotto, o perch forniscono secondo una
possibilit e anzi una necessit indicazioni anche di natura pratica senza le quali lopera sarebbe
fruita in maniera non adeguata, comunicativamente scorretta, analfabetica. Della firma,
provocatoriamente e polemicamente, allinizio degli anni Sessanta, Piero Manzoni riaffermer il
ruolo museificante con le 90 scatolette di Merda dartista o con le Cartes dauthenticit, ritornando
sulla nozione quella di autenticit che pi ha subito stravolgimenti (e chiarificazioni) nellarte
contemporanea, sia per lavvento della riproducibilit tecnica sia per lo sviluppo dellanalisi dei
linguaggi, momenti dopotutto storicamente non disgiunti.
La crescente importanza degli elementi paratestuali in generale e, nelle arti visive,
dellelemento verbale, confermata sia nellambito dellarte concettuale (da Joseph Kosuth e il
gruppo di Art-Language a Jenny Holzer) sia in esperienze di altro indirizzo, come quelle di Ben
Vautier o di Samo Basquiat, ottenendo un completo assorbimento del paratesto, ormai
indistinguibile dal testo.
Tornando al primo Novecento, non bisogna tralasciare i papiers colls di Picasso, Braque e
Gris, ma opportuno ricordare soprattutto Ren Magritte. La sua opera, anche quando non
figurativo-verbale come La trahison des images (Ceci nest pas une pipe), o La clef des songes,
oppure Lusage de la parole tutti dipinti di cui esistono diverse realizzazioni, e la cosa non deve
passare inosservata , sembra puntare pi alla ricerca concettuale che non a quella pittorica, come
conferma unintervista rilasciata a Pierre du Bois nel 1966:

Il mio modo di dipingere del tutto banale, accademico. Ci che importante, nella mia
pittura, ci che essa mostra. [...] Io non vedo la ragione di esprimere dei sentimenti, anche
ammesso che ci sia possibile. Il mistero evidentemente qualcosa di inconoscibile, privo
perci di rappresentazione, n figurata n simbolica. Non dunque una rappresentazione del
mistero quella che io cerco, bens immagini del mondo visibile unite in un ordine che evochi
il mistero. (9)



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Al di l dellelemento arcano, la dichiarazione di Magritte non poteva essere maggiormente utile.
Egli lavora non tanto sul codice pittorico (che comunque, ovviamente, utilizza) e cio sulla fattura
delle immagini che dipinge, quanto sulla loro combinazione, sulla loro sintassi, muovendosi (come)
in un sistema articolato. Del concetto di sistema articolato Magritte dimostra del resto di avere una
buona padronanza:

Non ci sono due cose, o due atti, che possano essere riconosciuti come identici. Ogni atto
uninvenzione. Eppure lintera organizzazione del pensiero e del linguaggio smentisce questa
semplice affermazione di non-identit. Possiamo cogliere luniverso solo semplificandolo
con idee di identit per classi, tipi e categorie, e riordinando linfinita continuazione di eventi
non-identici in un sistema finito di somiglianze. nella natura dellessere che nessun evento
mai si ripeta, ma nella natura del pensiero che comprendiamo gli eventi solo per le identit
che immaginiamo tra di essi. (10)

Nelle opere del surrealista belga ritorna il rapporto gi duchampiano tra rappresentazione e titolo,
che A.M. Hammacher rammenta, pur con una clamorosa amnesia riguardo al celebre precedente:

Magritte fissava di frequente regole nuove a cui i titoli dovevano conformarsi. Si basavano
sulla sua concezione della natura e della funzione del quadro, e sono quindi importanti. I
titoli inoltre, sebbene evocati nei dipinti, sembrano poter esistere separatamente, in modo
parallelo ai dipinti stessi. Il loro carattere, talora provocatorio, consiste in uno strano legame
con limmagine dipinta. Linteresse profondo di Magritte per i titoli, e soprattutto per il
cambiamento della loro funzione, , per quanto io sappia, unico. (11)

In tale ambito lapporto originale di Magritte consiste nel giocare questa relazione anche allinterno
dellopera: in alcuni casi le parole si pongono come contenuto figurativo di macchie informi, in altri
come didascalia incongrua di immagini definite. Tutti rapporti di natura logico-linguistica, e non a
caso lopera di Magritte ha fatto pensare agli studi di Wittgenstein(12).
Per mostrare che tanto la rappresentazione (limmagine) di un oggetto quanto la sua
descrizione (il suo nome) non sono loggetto ma suoi rimandi referenziali, Magritte non esita
forzando qualunque tradizione ekphrastica a sostituire la prima con la seconda sulla superficie del
quadro. Quello che ne risulta un secondo grado di applicazione della lezione di Duchamp: anche
allinterno del suo sistema la rappresentazione pu essere sostituita dalla descrizione. Allo stesso
scopo mostra lapparente incongruenza tra la rappresentazione realistica di una pipa e la didascalia
ceci nest pas une pipe.
Non si deve trascurare il fatto che queste operazioni non siano contenute in un saggio di
filosofia del linguaggio e che quando lo sono, come nel caso di Les mots et les images, esso venga
custodito alla Courtesy Gallery Isy Brachot ma facciano parte di dipinti, cio di oggetti estetici. Di
nuovo elementi estranei al codice specifico della disciplina, in questo caso al codice pittorico,
partecipano dellesteticit dellopera. Di nuovo ci che convenzionalmente , in un dato ambito,
ritenuto extra-estetico assume un valore estetico. Lestetico va assorbendo in s la componente
logica, o meglio esibisce la consapevolezza della sua componente logica accanto a quella
intuitiva(13), e a quella sensibile che le associata.

2. Se dalle circostanze dellostensione di un oggetto consegue unaffermazione circa lidentit di
tale oggetto(14) (tanto questo quanto questo non ), tale affermazione deve essere in qualche
modo plausibile e non del tutto arbitraria, come non deve essere arbitraria la ricezione: accettiamo
loperazione fatta da Duchamp sullorinatoio perch alcuni elementi, s visto, giustificano, rendono
plausibile e infine credibile tale operazione. Un esempio abbastanza istruttivo intorno alla questione
della plausibilit credo possa venire dalla Prose du Transsibrien et de la petite Jeanne de France
di Blaise Cendrars (1913). Il testo, per quanto sia intitolato Prose e per quanto sia dotato di strutture
tipiche della narrazione, non contiene elementi sufficienti a contrastare la scrittura in versi e in


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sostanza a fornire la plausibilit del genere prosa (del resto i propositi di Cendrars erano di
tuttaltro tipo, se nel suo poema mescola il codice verbale con quello pittorico e se lo definisce
Primo libro simultaneo). Plausibilit a parte, con buona pace di chi si attarda nella ricerca della
notoria ma ignota differentia specifica, nel Novecento larte mostra tutta la contingenza del suo
valore e della sua costituzione; si possono magari avere, nel corso della storia, contingenze di lunga
durata (ed per questo che possono dare lillusione della necessit), ma non per questo dovremo
smettere di ritenerle contingenze.
Il problema ha toccato, e non solo tangenzialmente, la teoria del testo poetico e della
versificazione; studiosi e poeti si sono impegnati in discussioni preziose e in indicative resistenze
normative, e il carattere specifico della poesia stato di volta in volta individuato nel ritmo, nel
verso, nel lessico, giungendo solo a tratti a ipotizzare che lunico elemento comune ai testi poetici di
vario tipo stia nellessere percepiti e letti identificati come poesia, rimanendo vero che i segni
che orientano lidentificazione sono diversi e che non detto agiscano tutti insieme; anzi piuttosto
detto il contrario. quanto sostiene Edoardo Esposito, convinto che la ricerca di un unico e
universale indice di metricit sia non solo vana, ma scientificamente ingiustificata; e di seguito:
le scienze umane si caratterizzano [...] per la molteplicit e magari la ridondanza dei tratti che ne
distinguono gli oggetti pi che per linequivocabilit delle loro manifestazioni(15). Bisogna
precisare che una volta innescata lidentificazione che noi saremo, certamente, indotti a leggere
nel testo il metro e ci che lo produce, il verso, perch sul metro e pi ancora sul verso si fonda il
concetto comune e condiviso di poesia, almeno da un punto di vista formale, e dunque se il verso
veramente elemento specifico della poesia ci vero in un senso pi percettivo che costitutivo.
Ad offrire un concreto spunto di riflessione intorno a questi argomenti, con uninvenzione
distante dalle possibilit contemplate tra i professionisti delle lettere e anche per questo densa di
fascino, Amelia Rosselli, che per mezzo dei suoi spazi metrici compie unoperazione inversa
rispetto a quella di Cendrars, scrivendo in forma prosastica (lo si vedr) testi che poi chiama poetici:
in questo caso si tratta di un nomino pienamente plausibile e di fatto largamente accettato da critici
e lettori.
Il libro desordio di Rosselli, Variazioni belliche, esce nellaprile 1964 articolato in tre parti
distinte: Poesie (1959) e Variazioni (1960-61) che insieme formano il testo poetico, e, ad esso
allegato per suggerimento di Pier Paolo Pasolini (sponsor della poetessa presso Garzanti), il saggio
Spazi metrici (1962), che espone alcune riflessioni di prassi scrittoria risolte nella teorizzazione
della nuova forma poetica lo spazio metrico, appunto applicato nella seconda sezione. Oltre alla
netta differenza formale, vi una forte sproporzione quantitativa tra Poesie e Variazioni (32 testi
contro 137), che lallegato sembra giustificare alludendo alle prime come ad una raccolta di
exempla di una poesia superata in quanto scritta in verso libero.
Per entrare nel merito della questione propongo il pezzo che conclude Poesie e quello che d
inizio a Variazioni(16):

o dio che ciangelli
e la tua porta si fracassi - come un
auto che varca il roso cancello, passa la tua
severa ordinanza, ma io non posso! seguirti!
5 tu troppo ti nascondi troppo premi il tuo pistone da pericolo.
Tu non hai dolcezza? Tu non distribuisci caldamente le
Felicit?, come un puro flauto dal becco s sottile
la tua ostilit - tu attiri
per poi ripulsare le gioie barbare.
(VP194)

Se nella notte sorgeva un dubbio su dellessenza del mio
cristianesimo, esso svaniva con la lacrima della canzonetta


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del bar vicino. Se dalla notte sorgeva il dubbio dello
etmisfero cangiante e sproporzionato, allora richiedevo
5 aiuto. Se nellinferno delle ore notturne richiamo a me
gli angioli e le protettrici che salpavano per sponde
molto pi dirette delle mie, se dalle lacrime che sgorgavano
diramavo missili e pedate inconscie agli amici che mal
tenevano le loro parti di soldati amorosi, se dalle finezze
10 del mio spirito nascevano battaglie e contraddizioni, -
allora moriva in me la noia, scombinava lallegria il mio
malanno insoddisfatto; continuava laria fine e le canzoni
attorno attorno svolgevano attivit febbrili, cantonate
disperse, ultime lacrime di cristo che non si muoveva per
15 s picciol cosa, piccola parte della notte nella mia prigionia.

(VV197)

Nel passaggio da una sezione allaltra la metrica subisce un mutamento in direzione della chiusura,
dunque. Ci si accorge presto che, insieme, ci che caratterizza Variazioni un andamento logico-
sintattico che Poesie non conosce, e che ne rende i testi pi vicini a quelli realizzati in altri periodi
(stando alle date apposte dallautrice(17)), come La libellula (1958), e pi vicini alla parallela
produzione di testi privati(18), diversi almeno nellintenzione. Rinvio altrove per un tentativo di
interpretazione complessiva dei dispositivi formali di Variazioni(19), limitandomi qui a dire che mi
pare esservi una precisa convergenza fra il periodo rosselliano pi tipico, esemplificato in VV197, e
lo spazio metrico, teorizzato richiamando quali ideali formali la prosa e il sonetto(20), in maniera
ambigua ma non del tutto incongrua se luna luogo dellorganizzazione razionale del reale e
laltro caratterizzato, per tradizione e per struttura, da una inclinazione sillogistica. Convergenza
che profila la strumentazione di un soggetto, mnesticamente incapace(21), alle prese con la
ricostruzione della propria storia personale (e con essa della propria identit) per via appunto logica,
oscillando fra narrazione e ipotesi(22), e finendo ad armeggiare con paralogismi.
Rimanendo alla chiusura metrica, una simile tendenza non era certo una novit tra gli anni
Cinquanta e linizio degli anni Sessanta. Amelia Rosselli poteva in tal senso essere incoraggiata da
illustri esempi come quelli di Raymond Queneau, di Sylvia Plath e, in Italia, del Pasolini delle
Ceneri di Gramsci, per dire. E anche laddove venivano puntate le accuse di drglement si
manifestava linclinazione verso una forma poetica regolare o per lo meno allusiva di una certa
regolarit: Giuliani, Porta, Balestrini impiegano volentieri distici, terzine, quartine o sestine. Una
volont di recuperare qualche elemento di ordine logico sembra spingere su questa strada, cercando
di maneggiare un materiale che si offre, almeno a prima vista, in regime di disordine. La soluzione
in questi casi non solamente isostichica, ma intende operare anche allinterno del singolo verso
sostituendo lormai obsoleto vers libre con la cosiddetta metrica colica(23). Amelia Rosselli
penser ad una regolamentazione la cui estraneit risulta palese, ma la ricerca di una forma chiusa
che tenga un materiale poetico dalla tendenza informale, di fatto qualcosa che accomuna le
diverse esperienze di ricerca poetica del periodo.
Si legge in Spazi metrici:

Nello scrivere sino ad allora la mia complessit o completezza riguardo alla realt era stata
soggettivamente limitata: la realt era mia, non anche degli altri: scrivevo versi liberi.
In effetti nellinterrompere il verso anche lungo ad una qualsiasi parola, io isolavo la frase,
rendendola significativa e forte, e isolavo la parola, rendendole la sua idealit, ma scindevo
il mio corso di pensiero in strati ineguali e in significati sconnessi. Lidea non era pi nel
poema intero [...], ma si straziava in scalinate lente, e rintracciabile era soltanto in fine, o da
nessuna parte. Laspetto grafico del poema influenzava limpressione logica pi che non il
mezzo o veicolo del mio pensiero cio la parola o la frase o il periodo.


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Quanto alla metrica poi, essendo libera essa variava gentilmente a seconda dellassociazione
o del mio piacere. Insofferente di disegni prestabiliti, prorompente da essi, si adattava ad un
tempo strettamente psicologico musicale ed istintivo.
(SM339)

In via di principio, lallegato a Variazioni belliche pone un problema sia di irregimentazione della
prassi versificatoria sia di unificazione della percezione da parte del fruitore, mostrando una
Rosselli insoddisfatta del vers libre che fino a quel momento aveva impiegato. La soluzione trovata
quella di produrre una forma-cubo(24) che contenga il testo. Stando a quanto dir in
unintervista del 1992, lidea risale ad unesperienza fatta negli anni 53-54 con una cinepresa
noleggiata, in cui linquadratura valeva come non fotografica ma mentale(25). Il seguito di Spazi
metrici spiega in cosa essa consista:

Nello stendere il primo rigo del poema fissavo definitivamente la larghezza del quadro
insieme spaziale e temporale; i versi susseguenti dovevano adattarsi ad egual misura, a
identica formulazione.
Scrivendo passavo da verso a verso senza badare ad una qualsiasi priorit di significato
nelle parole poste in fin di riga come per caso. [...] vera sempre quel punto nascosto del
limite destro del mio quadro, e su di esso poteva cadere, perci chiudendo il rigo, o la parola
intera, o un qualsiasi nesso ortografico anchesso significante in quanto realmente tempo
dattesa sia nel parlare che nel pensare.
(SM340)

In ambito strettamente letterario, sottolineare (esasperandola) la dimensione visiva della scrittura
non una novit almeno dai tempi di Teocrito (si veda il manoscritto della Siringa); passando per il
metafisico George Herbert (con poesie come The Altar o Easter Wings) e per la coda di topo di
Alices Adventures in Wonderland si arriva fino al caso celeberrimo e ben pi complesso del
Mallarm di Un coup de ds jamais nabolira le hasard, in cui si promuove a semanticamente
pertinente il dato grafico del testo senza limitarsi a imitare la forma del soggetto. Su questa stessa
linea si incontrano, varcata la soglia che introduce al Novecento, i vari Marinetti, Govoni,
Apollinaire, Tzara, Breton, fino a Dylan Thomas, Pasolini, Balestrini(26) (e fino, volendo, alle
opere di poesia visiva di Lamberto Pignotti o di Roberto Sanesi).
Si tratta certamente di indirizzi diversi: quello che lavora con i caratteri del testo e con la
disposizione delle parole sulla pagina (ma se, per dirla tutta, la dimensione visuale doveva
consistere nel giocare con i caratteri, nellagire contro la cos detta armonia tipografica della
pagina(27), ci aveva gi pensato Carlo Lorenzini, in arte Collodi, nel capitolo XXXIII di
Pinocchio); quello che ambisce alla dignit di arte visiva (tanto da ricorrere a volte alla
collaborazione di pittori, come Pignotti ricorre a quella di Roberto Malquori); infine quello che si
limita a sagomare i brani secondo forme geometriche. Rosselli appartiene evidentemente a
questultimo genere di visivit, che produce conseguenze sul piano mensurale, metrico.
naturalmente in gioco un tipo diverso di metro, costruito graficamente e non acusticamente
Esposito avverte che lo spazio metrico pi che una metrica, una grafica(28) , per
innegabile che delle misure siano definite.
Due elementi distinguono in maniera sostanziale il lavoro di Amelia Rosselli da quello dei suoi
colleghi: da un lato linsistenza sul significato metrico della forma grafica; dallaltro una certa
discrezione: le losanghe e le ali di Thomas, o le rose e le croci di Pasolini(29) sono
sufficientemente clamorose da pretendere di essere tenute in gran conto, salvo poi verificare che si
tratta della letteratura pi tradizionale, quella cio in cui il primato di significazione appartiene pur
sempre al verbum.
La forma-cubo di Amelia Rosselli piuttosto discreta, dunque, tanto che senza la
pubblicazione dellallegato a Variazioni belliche sarebbe scambiata per una generica versificazione
libera e dal passo lungo (si noti, dopo ci che stato detto sopra, il ruolo del paratesto). La


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discrezione condizione necessaria perch la sagoma del testo produca una impressione logica
che sia la meno eclatante possibile e che quindi agisca in profondit piuttosto che diventare, come
in altri casi, una sollecitazione estemporanea dellocchio del lettore. inoltre, la discrezione,
esigenza esplicitamente dichiarata laddove Rosselli dice che laspetto grafico del verso libero
influenza limpressione logica pi della parola frase o periodo, veicoli del suo pensiero. Ma non si
pensi che sotto ci sia la ricerca della neutralizzazione della forma metrica, di una sorta di epoch:
nella lettera del 28 ottobre 1986 di Amelia Rosselli ad Antonio Porta si parla di immagine della
forma(30), non di un suo preteso annullamento o neutralizzazione, e di quellimmagine si
sottolinea con forza limportanza.
presumibile che, sulla base delle indicazioni fornite, lo spazio metrico insinui diversi dubbi
riguardo alla sua reale capacit metrica. In effetti, si dovr riconoscere che lirregimentazione, che
uno degli scopi dichiarati, viene ad essere nei fatti elusa e la norma costruttiva piuttosto una figura
logico-visiva che ha un ruolo al momento della lettura e non invece nella stesura del testo. Una
prova di quanto si dice, e la si pu ritenere decisiva, proviene dalla comparazione, proposta da
Stefano Giovannuzzi(31), di due distinte pubblicazioni in rivista del poemetto La libellula,
esplicitamente indicato come prima applicazione di quel nuovo geometrismo(32) che Amelia
Rosselli ricercava da tempo e che infine trova nello spazio metrico.
La prima uscita consiste in un frammento, come dice lintestazione, corrispondente a quella
che nel testo definitivo sar la lassa Fluisce tra me e te nel subacqueo un chiarore (vv. 470-521),
ed appare nel fascicolo del giugno 1963 de il verri(33). Alcune porzioni di questo testo verranno
brutalmente tagliate per la pubblicazione del 1966 in Nuovi Argomenti(34). Le asportazioni
intervengono allinterno dei versi provocando, nella preoccupazione fondamentalmente volta al
rispetto dello spazio metrico, contestuali slittamenti allindietro del materiale residuo. E ci avviene
senza badare, ad esempio, a una delle questioni poetiche per eccellenza quale la clausola di verso
(lo dice la stessa Rosselli nel brano riportato sopra), che rientra in quella che Jurij Tynjanov
chiamava legge di evidenziazione semantica della fine di una serie(35). In generale, siamo di
fronte ad una incontestabile indifferenza allistituto metrico in quanto elemento costruttivo del
verso: la funzione dello spazio metrico solo superficiale nella prassi di scrittura, il semplice
andare a capo ad un punto prestabilito. Daltronde molto spesso il testo disseminato di misure
della tradizione metrica, mostrando, una volta di pi, che davvero Rosselli non ha pensato i suoi
versi come segmenti unitari, ma ha accostato stringhe che prescindono dalla misura dello spazio
metrico, stese una di seguito allaltra correndo fino al margine impostato sulla macchina da scrivere
e proseguendo oltre con lunica preoccupazione di non tagliare le parole. Vorrebbe dire grosso
modo che ha scritto poemi in prosa, ma vedremo che le cose non stanno propriamente cos. In ogni
caso non si vuole affermare che linvenzione stessa dello spazio metrico sia un trucco; la si ritiene
anzi una preziosa intuizione proprio nel suo essere un gesto banale, meccanico, solo
superficialmente costrittivo (e costruttivo) e nello stesso tempo gravido di conseguenze sul piano
percettivo e fruitivo (se vogliamo credere alla questione dellimpressione logica, come credo si
debba fare, anche ricordando le pagine di Boris Tomaevskij sulla forma grafica(36)), al modo di
ci che avviene in certa arte davanguardia.
Non del resto alla sola avanguardia che rimanda questo tipo di versificazione. Nella poesia
popolare delle origini il canto riempie un cadre rythmique(37) che gli preesiste, con moduli se non
rigidi per lo meno ricorrenti con un grado di variazione ridottissimo. Con lo spazio metrico si attua
una sorta di ripresa moderna di questo modello: essendosi la trasmissione orale pressoch estinta a
favore degli scripta e sopravvivendo al limite come lettura ad alta voce, evidentemente la funzione
mnemonica potuta decadere, e quindi anche la schematicit acustica, per ambire ad una unit di
impressione logica (non unimpressione logica di unit, del resto, ci che la regolarit acustica
produce?) tramite la compattezza del quadro visivo, trasformando cos il riempimento da ritmico a
grafico. Il verso rosselliano pu rimandare, in secondo luogo, alla battuta musicale che, nella sua
durata prestabilita, accoglie un numero variabile di suoni (e pause) la cui somma resta fissa; e
ricordiamo infine quanto si detto dellesperienza con la cinepresa che Rosselli compie nella prima


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met degli anni Cinquanta. Dove che stia lorigine dello spazio metrico e quale che sia il suo grado
di sincreticit evidentemente riduttivo cercarla, come si suole(38), nel solo ambito musicale, e
dopotutto gli stessi obiettivi che vi conducono attengono ad un orizzonte ben pi ampio(39) il
problema rimane pi complesso della forma che lo produce.
Se in entrambi i momenti della produzione e della fruizione che, solitamente, un principio
costruttivo agisce (la terza rima pone a un Dante Alighieri dei precisi vincoli di scrittura e ad un
Antonio Loreto scandisce la lettura, e lo stesso avviene nel sistema tonale che condiziona la
composizione da una parte e lascolto dallaltra), nella musica dodecafonica esiste un rigoroso
principio compositivo che per non ha ruolo evidente nella ricezione e tende a non essere avvertito
dal fruitore, salvo informare opportunamente questultimo dei presupposti teorico-metodologici in
gioco. Unasimmetria si pu rilevare anche nel modello dello spazio metrico, seppure i termini della
questione vadano rovesciati: la metrica attiva nellimporre un certo tipo di lettura (e il tipo di lettura
un punto che Spazi metrici affronta esplicitamente, certo con qualche contraddizione) non ha
presieduto alla creazione del verso, che neanche come verso stato creato. Rovesciamento che, si
perdoni il gioco, non simmetrico: lasimmetria dodecafonica colmabile con lesercizio della
percezione (che conseguenza della fruizione, quando non sia occasionale), mentre nel caso dello
spazio metrico lesercizio della percezione porta ad un ulteriore divaricamento tra essa e la
produzione del testo. Lallegato daltronde abbastanza contraddittorio da non consentire di
abbandonare la fruizione convenzionale della forma istituzionale del verso: cos lo spazio metrico
sar sempre pi decisamente percepito, con lesercizio, come forma versale, mentre rimarr
prodotto senza nessuno schema costruttivo che possa essere detto metrico, neppure in senso lato.
Amelia Rosselli non rinuncia comunque a lasciar intendere (ma forse a intendere essa stessa)
lo spazio metrico anche come principio costruttivo:

[] come unit metrica e spaziale la parola e il nesso ortografico, e come forma contenente
lo spazio o tempo grafico, questultimo steso per non in maniera meccanica o del tutto
visuale, ma presupposto nello scandire, e agente nello scrivere e nel pensare.
(SM341)

A dire il vero, anche a proposito della lettura la situazione non delle pi chiare, se Rosselli afferma
che la frase era da enunciarsi tutta dun fiato e senza silenzi ed interruzioni (SM340). Una
indicazione del genere esautora listituto poetico del verso anche nellambito della fruizione, oltre
che della produzione, a favore dellunit frase, che propria della forma prosastica. In quel tutta
dun fiato si riconosce lunit versificatoria (si fa per dire) di Amelia Rosselli, che sembrerebbe
voler cos omologare il pi possibile la modalit di lettura a quella di scrittura. Qui sto cercando
invece, propriamente, di mostrare una singolare discrepanza in questo senso, dovuta allimpiego di
una metrica attiva nella lettura e passiva nella scrittura, perch mantenendo consapevolezza di
questa doppia personalit dello spazio metrico, forte col lettore e debole con lautore, che si
sarebbe evitato di incorrere in contraddizioni come quella che manifesta unaltra prescrizione
dellallegato:

Anche nel caso che un verso avesse contenuto pi parole sillabe lettere e punteggiature che
non un altro, il tempo complessivo della lettura di ciascun verso doveva rimanere per quanto
possibile identico.
(SM341)

Il problema sta nel fatto che, inibita la possibilit di segnare nella lettura la fine del verso per
privilegiare una fruizione frasale, inverosimile che si riesca a percepirne la durata e a riproporla
per i versi seguenti. Di questo avviso pare che sia anche Franco Fortini il quale, trascurando pi o
meno avvedutamente lindicazione la frase era da enunciarsi tutta dun fiato, raccomanda: come
la stessa autrice ha scritto, la struttura metrica esige una lettura per la quale ogni verso abbia una
durata identica o ogni altro; e quindi la cesura finale va fortemente scandita(40). La peculiarit


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della metrica rosselliana sta dunque nellimporre due diverse gerarchie di pertinenza delle propriet
del testo, il quale viene scritto per frasi e viene letto per versi. Se si scremano gli elementi di
confusione e di contraddizione dellallegato sembra che lo spazio metrico debba essere inteso in
questo modo.
Ho detto sopra che nei tagli al frammento originario della Libellula ci si preoccupati di
rispettare lo spazio metrico; infatti, se le modificazioni non lo hanno intaccato vuol dire che esse
avevano scopo e pertinenza di altra natura, sintattica o ritmica o semantica, ed erano invece
indipendenti dallo spazio metrico. C un passo di Roman Jakobson che spiega chiaramente il
rapporto tra variante e pertinenza: in particolare quando si confrontano le varianti esistenti di un
poema che ci si pu rendere conto della pertinenza, per lautore, del quadro fonematico,
morfologico e sintattico(41). In questo caso si vede come la forma-cubo abbia scarsa pertinenza
per Amelia Rosselli nella sua funzione di autore, secondo linciso di Jakobson, mentre
fondamentale per Amelia Rosselli nella sua funzione di lettore di s, svelando un metodo poetico
che quantaltri mai gioca con le gerarchie, non solo stravolgendole com proprio delle opere
davanguardia in generale, ma anche differenziandole nelle due fasi della produzione e della
ricezione, come proprio solo di alcune esperienze davanguardia.
Il fatto che la misura metrica sia definita in conseguenza di una misura che solamente grafica
e che risulta da unoperazione meccanica, mostra che la costruzione dello spazio metrico non
richiede alcuna abilit poetica, nemmeno quella che tradizionalmente ritenuta labilit elementare
di un poeta: quella di scrivere versi corretti. Al di l dellemancipazione dallabilit tecnica che le
arti visive hanno conosciuto nel secolo scorso, gi lOttocento dovrebbe aver stabilito col verso
libero che la ragioneria sillabica qualcosa di tuttaltro che consustanziale alla poesia (almeno a
quella moderna); Amelia Rosselli, rispetto al verso libero (a cui del resto va cercando
unalternativa), pone qualche problema ulteriore, utile per una riflessione teorica che gi nel
momento in cui appariva lo spazio metrico aveva bisogno di fenomeni nuovi su cui provarsi, e che
ancora oggi non ha colto lopportunit di un confronto proficuo.

3. Il dibattito cui mi riferivo sopra, intorno al vers libre e pi in generale alla specificit della poesia
(ch l conduce la liberazione del verso), pu essere sintetizzato nei due fronti fondamentali di chi,
come Jean Cohen, ritiene che la capo sia il solo criterio per il quale il verso libero si distingue
dalla prosa(42) o, come Beltrami, addirittura vi vede lunico tratto universalmente valido di
metricit(43), e di chi, dallaltra parte, lo chiama indice semiologico (Pazzaglia(44)) o, come fa
Esposito che riepiloga e prosegue il dibattito , afferma che la capo non ha funzioni ritmiche,
[...] non crea n determina la metricit; esso la segnala semplicemente [...], attribuendogli
conseguentemente lo statuto di segno e negandogli quello di fattore di metricit(45).
Di questultima posizione non posso per principio condividere lidea che, in un contesto
linguistico o genericamente comunicativo, un segno non sia di per s fattore, un produttore di
significato (in questo caso di significato metrico); anche perch un simile concetto di segno, che
semplicemente avverte(46) di una data propriet senza concorrere a produrla, implica che essa gli
preesista, idea che lorizzonte nominalista del mio discorso non pu accogliere. Una distinzione tra
fattore e segno si trova anche in Tynjanov, ma egli tende ad assegnare al secondo le stesse
potenzialit costruttive del primo:

[...] il materiale pu essere cambiato fino a quel limite che costituisce il minimo
necessario per un segno del principio costruttivo. Come nel teatro medievale per la scena
che rappresentasse un bosco era sufficiente un cartello con la scritta bosco, cos in
poesia pu bastare, in luogo di un qualsiasi elemento, la semplice indicazione del
medesimo: per strofa si intende magari anche il suo solo numero dordine(47), che dal
punto di vista costruttivo uguale come si osservato alla strofa stessa. (48)



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Cos Tynjanov risolve il problema del vers libre, in cui il metro dato come segno(49), ma
evidentemente come un segno che produce. La distinzione non in ogni caso accettabile
pacificamente, poich non sempre un segno un equivalente (il termine ancora di Tynjanov) di
qualcosa daltro, e pu invece valere per se stesso, come la capo nel sistema del verso libero, e non
solo l. Gi lendecasillabo sciolto, come anche lendecasillabo considerato fuori sistema, ha
qualche esigenza di affidarsi al dcoupage per farsi individuare. Naturalmente vero che un
endecasillabo tale anche se mimetizzato in una stringa testuale di una trentina di sillabe, ma fino a
quando non lo si consideri metricamente, fino a quando non si venga avvertiti che un
endecasillabo o comunque non lo si individui come tale, questo suo essere non vale metricamente:
non si tratta dunque di un endecasillabo.
Certo, nella metrica canonica la disposizione grafica del tutto ridondante e, qui s, si pu
parlare di avvertimento nel senso proposto da Esposito, perch altri segni gi producono leffetto
che il taglio rimarcherebbe soltanto, con la funzione tuttal pi di facilitare la lettura; tuttavia si
tenga presente che nellestetica poetica dellultimo secolo e mezzo la capo conserva anche nei
confronti della metrica canonica un grande potenziale distruttivo-costruttivo nella minaccia di non
assecondare lo schema metrico cui si applica e di disfarlo creandone immediatamente uno diverso,
per quanto derivato dal primo. Possiamo al limite parlare di segni superflui e di segni necessari, ma
la loro superfluit o necessit non sar una questione ontologica bens di contesto, di sistema.
chiaro che nel caso di un fragmentum di Petrarca, di un sonetto per esempio, il dcoupage non
coessenziale al testo, e anche scritto senza i famosi a capo si indotti a leggerlo in endecasillabi
organizzati in due quartine e due terzine. Ma i sonetti e pi in generale le forme regolari non
esauriscono evidentemente la storia della poesia: esiste una vasta produzione di testi poetici che
richiedono altri segni specifici, che si costruiscono cio su altri fattori. Una poesia che sia composta
interamente di parole omoteleutiche non potr fare di uno schema rimico la sua strutturazione
metrica, che sar invece generata da un certo disegno sintattico, o sillabico, o accentuale, o
latamente fonologico, o lessicale, o tipografico (non vedo perch debba essere escluso). Un caso
destinato a diventare classico quello del Sanguineti degli anni Ottanta:

a quella Reginella ridarella, a quella raganella griderella, la bella sopranella
in sottanella, a quella stella bianca, stella nana, unica mia sovrana disumana,
alla sua bianca mano, al piede bianco e stanco, e storto, e morto, a quel suo buco
nero, buco vero, dunque io parlo, e cos parlando dico:
felice la tua faccia
di vinaccia, felici le tue braccia di focaccia, principessina di uvaspina,
manducabile inconfutabile, amabile potabile: felice, mia selvaggia, chi ti assaggia,
candeggiante albeggiante, sola, tra due lenzuola: felice il tuo sensibile cannibale,
felice chi ti inghiotte in una notte, chi ti concuoce veloce, e ti digerisce
e smaltisce, e ti chilifica e chimifica: felice chi ti dice, e ti nientifica: (50)

Su una struttura che si mostra rigorosa e si articola su molteplici livelli, lo schema metrico al
contrario molto flessibile e del tutto irriducibile alla metrica tradizionale, pur facendone ampio
utilizzo. chiaramente avvertibile la presenza dei tre endecasillabi a majore incipitari, rimarcati dal
parallelismo accentuale 2-6-10 in -ella; il quarto endecasillabo, mentre sposta la seconda e la terza
terminazione in -ella rispettivamente in 4
a
e 8
a
sede, privandole cos dellictus che si era consolidato
come loro proprio, e mentre presenta una forte cesura tra primo e secondo emistichio, con la
complicit dellenjambement metrico sopranella | in sottanella (metrico nel senso che spezza
lendecasillabo che ci si attendeva) comincia a decretare la fusione dellendecasillabo in un tessuto
metrico pi complesso: lultima resistenza la fa unica mia sovrana disumana, che per gi muta la
distribuzione degli accenti in 1-6-10, dopodich si percepiscono limpidamente le misure del
settenario e del quadrisillabo o del quinario (sempre, va detto, con la possibilit della sinalefe per
poter essere compreso in un endecasillabo), ma niente ci dice che debbano comporsi


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necessariamente in endecasillabi, e neppure in che altro modo debbano comporsi, del resto. La
lettura dei versi 3 e 4 alla sua bianca mano, al piede bianco e stanco, e storto, e morto, a quel suo
buco | nero, buco vero, dunque io parlo, e cos parlando dico, per le sue molte pause sintattiche che
vanno a cadere nei punti di cesura tipici della tradizione, prevede una tale quantit di soluzioni (da
11+11+7+11+11 a 7+11+11+11+11 a 7+7+5+7+4+4+8), che non si vede ragionando sempre in
termini di misure tradizionali come se ne possa privilegiare una.
Lampiezza dei versi rende la loro percezione unitaria piuttosto difficile, e richiede una
frammentazione che viene sostenuta dalla natura sintattica del testo. Perci si impone una
misurazione a pi livelli, e le osservazioni di Antonio Pinchera a proposito della metrica dei
Novissimi sembrano assolutamente adatte a questo scopo: egli individua una versificazione colica,
cio una versificazione in cui gruppi semplici semantici [...] hanno assunto limportanza che aveva
un tempo la sillaba; sono essi la radice del ritmo(51). La ripartizione in cola costituir allora il
primo livello metrico, mentre il secondo livello sar dato dalle misure di ciascun colon, poich
banale constatare che lunit colon rappresenta un elemento complesso e grandemente variabile per
assolvere, da solo, proprio alla funzione di unit. Solo la combinazioni delle due misurazioni d il
senso metrico del verso e descrive la sua effettiva lettura.
Detto questo, diamo uno sguardo ai primi due versi della poesia di Sanguineti:

a quella Reginella ridarella, a quella raganella griderella, la bella sopranella
in sottanella, a quella stella bianca, stella nana, unica mia sovrana disumana
[...]

Secondo la metrica appena descritta e secondo lassunto per il quale la metricit propriet
posseduta dal testo a prescindere dal dcoupage, che si limita daltra parte a segnalarla, dovremmo
dire che la suddivisione naturale dei due versi sia [...] in sottanella | a quella stella bianca [...].
Cos avremmo tre cola nel primo e tre cola nel secondo, con una buona coerenza delle misure
interne: tre endecasillabi a majore; un settenario e un quadrisillabo, che eventualmente possono
radunarsi in un endecasillabo anchesso a majore, e infine un altro endecasillabo a majore. Ma il
criterio di suddivisione di Sanguineti non evidentemente, qui, quello della regolarit colica n
sillabica, per quanto sia vero ci che abbiamo detto della metrica a due livelli. Sembra piuttosto
chiaro che in sottanella non possa appartenere al v. 1 dove domina il gruppo r-g/d-ella, e debba
invece stare al v. 2 per introdurre la serie del gruppo s-t-ella che, nella cerniera quadrisillabica
stella nana, si accoppia e cede il testimone alla terminazione -ana.
Questa la logica dellorganizzazione metrica del testo, e mi pare una buona organizzazione
sia dal punto di vista della rigorosit costruttiva, sia da quello della godibilit della fruizione
(insomma, sono due versi belli). Ma ci per cui a me qui importa tanto di questi versi, anzitutto
il fatto che essi mostrano come le plausibili possibilit di organizzazione metrica siano pi duna, e
ci basta perch una individuazione che faccia a meno della capo sia in questi casi impossibile. In
secondo luogo tali possibilit metriche, come si vede, possono benissimo dipendere da fattori
tuttaltro che metrici, almeno nel senso comunemente inteso. Allora dobbiamo dire che illegittimo
parlare della metricit come di una propriet del testo che pu prescindere da qualche segno che ci
avverta di essa; e possiamo ribadire che per avere una determinazione metrica anche un segno
grafico (e in generale non-metrico) pu essere sufficiente.
Segni saranno, per il sonetto, le terminazioni rimiche secondo quegli schemi che sono possibili
per i canoni del genere, e saremo in maggioranza disposti a chiamarli fattori. Segni saranno, in una
poesia come Soldati, gli a capo, e dovremmo rassegnarci a chiamarli, comunque, fattori:

Si sta Si sta come
Come dautunno Dautunno
Sugli alberi Sugli alberi
Le foglie Le foglie


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Queste sono due poesie dalla metrica profondamente diversa (affermare il contrario sarebbe
quantomeno ingeneroso nei confronti del lavoro di Ungaretti), e il fattore che subendo una
modificazione ha modificato ipso facto la metrica della poesia la capo.
Un oggetto possiede tutte le propriet che possiede (cito a memoria una espressione ricorrente
di Brioschi), ma finch non le organizzo in una certa gerarchia esso non nulla, o meglio: sempre
qualcosa perch sempre, nel momento in cui lo percepisco, organizzo quelle propriet che di esso
ho percepito in un certo modo. Lorientamento della percezione dipende, oltre che dalloggetto
medesimo, da indicazioni esterne alloggetto che si configurano tramite consuetudine, tramite
istruzioni esplicite, tramite suggerimento allusivo, e insomma pragmaticamente; ecco allora che
bisogna fare attenzione: la gerarchia di propriet non a sua volta una propriet delloggetto, e
quindi neppure lorganizzazione metrica di un testo lo , come gi si detto.
Nella comunicazione ben falso che non ci sia nulla al di fuori del testo, ma anche vero che
lhors-texte c solamente se c il texte, cio il segno (che naturalmente pu essere anche assenza
di segno l dove ce lo si aspetta e quindi ha pertinenza nel gioco comunicativo: si pensi a John Cage
e al suo 433, anno 1952, o alle cancellature di Emilio Isgr, una dozzina di anni dopo). Nel caso
in cui il segno indichi come si deve leggere un altro segno o un insieme di segni, poi, la questione
sembra traducibile nella seguente similitudine: distinguere fattore e segno come dire e forse
dire che linguaggio-oggetto e metalinguaggio sono due cose distinte (come anche Roland Barthes,
seppur con altre mire, vorrebbe(52)), mentre nella lingua naturale, che la lingua della letteratura,
non lo sono affatto. Il linguaggio dicendo fa, mostrando produce, avvertendo crea, e non credo si
possa uscire da questa, peraltro felice, condizione.

4. Il concetto di avvertimento, cos inteso, riconducibile alla quiniana ostensione, e riporta a quegli
episodi della storia dellarte cui si fatto ampio riferimento. Se essi ci hanno indicato come alcune
di quelle che riteniamo propriet appartenenti ad un oggetto (lesteticit o la metricit, ad esempio)
non siano affatto propriet, bens un tipo di organizzazione gerarchica delle propriet, dobbiamo
riflettere sul fatto che lorganizzazione in uno si definisce e si mostra, cos come accade per i nomi
delle cose (ed a questo che inizialmente Quine si riferisce con il suo discorso qui richiamato):
indico e nomino, e, se la mia operazione possiede delle condizioni di persuasivit o almeno di
plausibilit, tutto l.
Avvertire, ostendere, segnalare, non sono operazioni neutre e improduttive, sono piuttosto
strumenti di individuazione, nel duplice senso del riconoscere e del rendere individuo: tra le molte,
se non infinite, possibili gerarchie di propriet di un oggetto ci si riferisce ad una sola di esse.
Avvertire della propriet endecasillabica di una stringa di testo ci che avviene solitamente, nella
poesia moderna, tramite il segno grafico della capo attualizza una certa gerarchia di propriet che
le rende una sua esistenza metrica, una sua metricit; cos come avvertire della divisibilit di un
testo in endecasillabi attualizzare una tra varie possibilit metriche. Una metrica c sempre, anche
nei pomes en prose, anche nella prosa tout court, per lo stesso motivo per cui un endecasillabo
sempre tale. Ma finch qualcosa non ne pone in risalto le propriet che siamo soliti chiamare
metriche (misura sillabica o accentuativa, ritmo, rime, ecc.) si tratta di una esistenza non metrica, il
che per la poesia un problema.
Semplicemente, nella prosa la misura dei segmenti testuali non propriet pertinente, a meno
che le misure si ripetano e che le ripetizioni siano percepibili: in quel caso ci deve venire a sospetto
che anche alla misura, alla metrica, sar bene prestare attenzione. La differenza, ingannevole, tra le
misure della poesia e le misure della prosa sta solamente nel fatto che in prosa la metrica viene
promossa allattenzione del lettore a patto di alcuni accorgimenti (determinazioni) sintattico-
mensurali, mentre in poesia ci avviene automaticamente e meccanicamente e, se si vuole, dato
linflazionamento della pratica del dcoupage, con minore consapevolezza ( un inflazionamento
cui bisogna porre rimedio, come intuisce Amelia Rosselli, cos come il vers libre aveva posto


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rimedio allautomatizzazione dei versi metricamente canonici), bastando il solo taglio a dire qui
poesia(53).
Quanto detto finora dovrebbe aver indicato che anche il fronte Cohen-Beltrami, che appare
rispondente allesigenza di ritenere significante cio produttore di significato, in questo caso di
significato metrico qualunque segno che abbia pertinenza nel sistema linguistico in cui viene letto,
risulta incappare in qualche problema: il segno che avverte della metricit e che nello stesso tempo
concorre a produrla non deve necessariamente essere la capo.
Non un caso che questa concezione vada in crisi davanti allo spazio metrico. Esso si
riconosce meno nella definizione di dcoupage e meglio in una di anti-dcoupage o pre-dcoupage,
poich, pi che segmentare un testo, Amelia Rosselli riempie le sue forme non preoccupandosi
affatto della capo, o preoccupandosene una volta per tutte allinizio del lavoro, e quindi in modo
del tutto astratto e slegato dalla costruzione di ogni singolo verso, come non vorrebbe il galateo
poetico.
Quello che fa Rosselli andare a capo esattamente come in questo momento sto facendo io
che scrivo, inequivocabilmente, prosa. Alla lettura, i versi di Variazioni non si identificano come
tali n per una regolarit sillabica o accentuale, n per quegli spazi bianchi che la capo produce. Lo
spazio metrico, impostando allinizio della poesia il layout della macchina da scrivere (come si fa
nella prosa; mentre un versoliberista in linea di principio medita ogni suo verso, pur con criteri
altri da quello sillabico), radicalizza il dcoupage, rende ancora pi automatica e meccanica
loperazione di taglio fino a farle perdere di fatto la sua funzione costruttiva; inoltre Rosselli,
parallelamente, si accennato, lavora ad una metrica intraversale che sfrutta quegli accorgimenti
peculiari della prosa quando vuole avere, e vuole averla evidente, una sua pertinenza metrica.
Ho detto che nello spazio metrico, ancor pi che nel metodo dodecafonico, c unasimmetria,
unimposizione di due diverse gerarchie di pertinenza delle propriet del testo per cui righi scritti
come non-versi vengono proposti, stampati e letti come versi, piuttosto che come prosa pi o meno
poetica. Che cosa generi questa differenziazione tra produzione e ricezione, che cosa la legittimi e la
renda plausibile il nostro problema.
Siano considerati i due brani qui di seguito:

[] coloro li quali me hanno reputato crudele e iniquo e bestiale conoscano
che ci che io faceva a antiveduto fine operava, volendoti insegnar desser
moglie e a loro di saperla tenere, e a me partorire perpetua quiete mentre teco
a vivere avessi: il che, quando venni a prender moglie, gran paura ebbi che
non mintervenisse, e per ci, per prova pigliarne, in quanti modi tu sai ti
punsi e trafissi.
(G. Boccaccio, Decameron X, 10, 61)

Sebbene fosse in me il travaglio pi rapido che non la
conoscenza: stendevo erbe ai piedi dei grandi (col nome
dorato) e finivo anchio nella cassapanca dei bevitori.
(VV309)

A seconda delle diverse impostazioni tipografiche di ciascuna edizione, i righi di Boccaccio
termineranno con bestiale, volendoti, perpetua, moglie oppure no, indifferentemente.
Quelli di Rosselli verranno invece tagliati sempre su la, nome, bevitori., che siano stampati
sul volume Garzanti o sulle pagine di unantologia Mondadori, Einaudi o Feltrinelli, e se lo spazio a
disposizione non dovesse bastare aprendo una parentesi quadra si ribadirebbe che si tratta
assolutamente di versi. Per quanto abbiamo detto sopra e per quanto abbiamo letto in Spazi metrici,
quellindifferentemente con cui si offre prosa vale anche per Amelia Rosselli nellatto di stendere
i suoi testi, ma non vale per leditore e per il lettore, il cui atteggiamento nei confronti di un testo
che si presenta come poetico rimane necessariamente quello codificato, che consiste nel rispetto per


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quellistituzione fondamentale che il verso.
Convochiamo Fortini con il saggio da cui sopra stato estrapolato il qui poesia, Su alcuni
paradossi della metrica moderna:

Ma quando, al rifiuto dei vecchi metri si aggiunse, da noi, il rifiuto della metrica; quando
cio fu tolto ogni fondamento alla norma metrica in nome della identit forma-contenuto; e
questa nozione costitu il fondo comune della avanguardia e del Novecento, i residui, o
irriducibili, elementi metrici assunsero (e mantengono fino ad oggi) una eccezionale
rilevanza: vendetta della oggettivit respinta dalla soggettivit ritmica, lossequio alla
legislazione metrica si trasfer e mascher nellossequio al genere.
[...] quanto pi la poesia si vuole autonoma e pura tanto pi, al limite, ha bisogno di
qualcosa che la connoti come poesia: lossequio alla legislazione metrica si trasferisce e si
maschera come sopra detto nellossequio al genere. [...] E questo forse il significato
del celebre bianco che avvolge tanta poesia moderna: leffetto di straniamento ottenuto
anche prima delleffato, con un tacito favete linguis, tracciando unorma immaginaria
intorno al testo (a un testo qualsiasi), non diversamente da quanto fecero i protodadaisti con
gli oggetti readymade, che assumevano il loro significato solo se spaesati in una sala
desposizione. Questorma o cerchio la nozione stessa di poesia moderna come soggettivit
(o oggettivit assoluta), nozione della quale partecipano tanto lautore quanto i suoi
presumibili lettori e ad evocar la quale bastano alcuni semplici artifici convenzionali come la
disposizione tipografica, il tipo di volume, ecc. Si accendono dei fuochi di posizione: qui
poesia. (54)

Fortini accosta del tutto opportunamente la forma della poesia moderna al ready-made. Ma da tale
accostamento non trae le dovute conseguenze che riguardano la poesia e larte anche di periodi
precedenti oppure refrattari alla modernit. Non coglie la lezione storica che il ready-made pu
vantare come suo merito principale e che, prendendo punto per punto i problemi posti nel passo
citato, possiamo tradurre cos: la poesia ha sempre bisogno di essere connotata (ostensa diremmo
altrimenti) come tale; lossequio alla legislazione metrica solo un particolare ossequio al genere;
anche la metrica un favete linguis; anche la metrica un (pi o meno semplice) artificio
convenzionale, esattamente come la disposizione tipografica, il tipo di volume, eccetera. Insomma,
non nello spaesamento si pu cercare il principio del ready-made, bens nella prepotenza poietica di
creare nominando, nello sfruttamento del metodo dellostensione, che lo stesso metodo utilizzato
da Amelia Rosselli.
Si accetti che le forme letterarie e in generale i segni devono essere (plausibilmente) esibiti
come tali per essere tali, e allora non costituiranno pi eresia n lo spazio bianco n lo spazio
metrico. Detto questo bene non imparentare troppo luno con laltro, poich tra i due esiste una
profonda differenza che si pu misurare giusto sul principio del ready-made, il quale, se si accosta
con qualche ragione al verso libero, pi propriamente modello del verso rosselliano. Questultimo
non tenta di imitare una forma metrica (e imitando in effetti sarebbe una forma metrica), ma si
limita ad affermare si esserlo. Rosselli, sia chiaro, non rientra nel bersaglio di Fortini anzitutto per
ragioni banalmente cronologiche (quando il critico scrive la poetessa non ancora stata pubblicata),
e comunque dello spazio metrico non si sarebbe potuto dire che miri allossequio del genere poesia,
proprio perch questo viene piegato a soluzioni personali e, piuttosto che tracciare unorma
immaginaria, si cerca di annullarla in nome di unidea del tutto diversa e originale. Lo spazio
bianco, nella misura in cui davvero ci che da Tynjanov ad Esposito viene chiamato segno,
segno della metrica intesa in senso tradizionale, potremmo dire che segno della versificazione; lo
spazio metrico al contrario segno della prosa; e che alla prosa Rosselli stia pensando lo si letto:
la parola o la frase o il periodo sono il mezzo o veicolo del suo pensiero; scrivendo a mano
dovrebbe scrivere prosa(55).
Per forma Rosselli sembra intendere non tanto una funzione materiale alla Reyes(56)
quanto unorganizzazione spaziale estrinseca, applicabile a posteriori su materiale verbale gi


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creato (e le due edizioni del brano della Libellula riportate pi sopra lo dimostrano senza eventualit
di equivoco), e per prosa, conseguentemente, non la scrittura caratterizzata da un principio lineare
e continuo, regolato in senso logico e sintattico opposta alla poesia che ha principio ritmico e
circolare(57) e che gi Hopkins definiva come discorso che ripete totalmente o parzialmente la
stessa figura fonica bens limpostazione tipografica in cui essa tradizionalmente si presenta.
sintomatico che Alfonso Berardinelli segnali la difficolt di distinguere le prose di Rosselli dalle sue
poesie(58) (addirittura Stefano Agosti definisce testo in prosa(59) il poemetto La libellula) ed
chiaro come ci dipenda dalla concezione in primo luogo grafica che ella ha della forma.
Tynjanov lamentava a suo tempo che a ricercare lo specifico della poesia vi ho gi accennato
in un particolare, scelto, lessico poetico, [in] procedimenti di raggruppamento sintattico
particolari delluso poetico, e cos via(60) erano (e vi erano costretti) i fautori della dizione
fraseggiante: evidentemente il problema della dizione legata ad una determinata concezione della
poesia che, eliminando la componente metrica, si deve affidare a fattori di serie diversa da quella
poetica per conservare qualche tipo di specificit. Ci porta a cancellare ogni linea di
demarcazione tra il verso e la prosa darte, come avverte lo stesso Tynjanov, ma si dovrebbe dire
tra il verso e la prosa tout court, perch altrimenti si persevera nel tentativo di definire e distinguere
le forme (in questo caso prosa e prosa darte) attraverso la lingua, cio attraverso una serie diversa.
I testi di Amelia Rosselli esemplificano perfettamente la definizione hopkinsiana di poesia e
quelle che da essa discendono, come quella di Lotman, che vede nella tendenza alla ripetizione il
principio costruttivo del verso e, dallaltra parte, nella tendenza allunificazione e alla metafora (in
un senso che non quello strettamente retorico e si riferisce al livello sintagmatico) il principio
costruttivo della prosa(61). Ma ci non significa nulla dal punto di vista teorico e mostra piuttosto la
capacit descrittiva di quella formula. Rimane in Rosselli una precisa coscienza della forma in
quanto serie autonoma (almeno inizialmente), al punto tale da usarla come contenitore restando ad
aspettare che essa reagisca, che si costituisca in sistema (e che quindi perda la sua autonomia, ma
solo a questo punto) con il materiale verbale che vi viene versato dentro(62). Il fatto stupefacente
che la forma usata sia quella della prosa; del resto lo stesso Lotman, aprendo a una concezione non
solo costruttiva ma anche fruitiva, e quindi considerando il complesso convenzionale che regola il
funzionamento dellarte, scrive:

in quanto la regolarit poetica si presenta dal punto di vista linguistico comune come non
regolarit, sorge (nella definizione del testo come artistico) la tendenza ad esaminare
qualsiasi non regolarit del testo come regolarit di un tipo particolare. (63)

Il che vuol dire, tornando al rapporto tra poesia e prosa (interno al problema del testo artistico),
che il principio della ripetizione e quello della linearit (o della metafora nella concezione dello
stesso Lotman) non vanno considerati esclusivamente da un punto di vista costruttivo, bens anche
ricettivo, in un sistema convenzionale complessivo che si gioca su entrambe queste dimensioni, con
una libert di azione che pu dare luogo ad esiti come dicevo stupefacenti. Ma allora necessario
ritenere il problema del dcoupage solo parziale nelleconomia del testo poetico (ed una
conclusione cui gi eravamo giunti per altra via), e dissentire da Jean Cohen laddove afferma che
la suddivisione del discorso versificato in grado di fornirci il carattere specifico in
questione(64).
Viene il sospetto che qualsiasi tentativo di teorizzazione della forma poetica possa essere
messo in crisi, magari dolosamente, da produzioni concrete: la poesia lirica italiana per secoli
stata (ed stata teorizzata come) sonetto canzone o sestina, poi Leopardi si preso la libert di
utilizzare lendecasillabo sciolto come verso lirico e il concetto di forma lirica si ampliato, come
si ampliato quando il verso diventato libero o quando nato il pome en prose. Un ulteriore
ampliamento proviene dallinvenzione di Amelia Rosselli, che, discendendo pur sempre dalla prassi
del vers libre, elimina lultima presunta differentia della scrittura poetica che in essa implicita.
Non viene invece eliminata, ma anzi sfruttata in tutta la sua potenzialit, quella che Tynjanov


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chiama la cosa pi semplice e fondamentale per la costituzione di un sistema metrico, cio la
designazione di un qualsiasi gruppo metrico come unit [...], anticipazione dinamica di un gruppo
seguente e analogo(65). Rileggiamo:

Nello stendere il primo rigo del poema fissavo definitivamente la larghezza del quadro
insieme spaziale e temporale; i versi susseguenti dovevano adattarsi ad egual misura, a
identica formulazione.
(SM340)

Evidentemente il gruppo che Amelia Rosselli designa come unit metrico in un senso del tutto
inconsueto essendo insieme spaziale e temporale, cosa che potrebbe apparire superficiale se non
tenessimo conto di due punti della lezione di Tynjanov: e cio, da un lato, che il verso non pu
essere concepito come entit solamente acustica ma si devono considerare altre dimensioni quale
quella grafica (lezione chiaramente appresa da Rosselli), ed in questo senso che il formalista parla
di segni e di equivalenti(66); dallaltro lato, che il meccanismo di funzionamento del metro sta
nellanticipazione conclusa, nel caso della metrica regolare, oppure nellanticipazione non
conclusa, nel caso del verso libero. Allora, ci che fa lo spazio metrico sintetizzare la conclusione
spaziale con la non-conclusione temporale, il metro come sistema metrico con il metro come
impulso metrico, la stabilit con linstabilit, in una dinamizzazione che eleva al quadrato la
capacit dinamica attribuita da Tynjanov al verso libero, o che forse solamente restituisce alla
poesia un principio dinamico che luso e il consumo di tale verso, come accade ogni volta che
lirregolarit diviene regola, aveva ottuso.

5. Tutto questo serve a giustificare e valorizzare la dimensione teorica della ricerca poetica
rosselliana, la quale non smette per questo di fondarsi su di una prassi di scrittura prosastica.
Riconoscere questo fatto senza imbarazzi di sorta ha peraltro il vantaggio di permettere laccesso ad
altre implicazioni non prive di interesse: qui, come davanti allorinatoio di Duchamp, il problema
rimane pi complesso lo ripeto della forma che lo produce.
Naturalmente non si voleva trascurare la differenza enorme tra il nomino di Duchamp con il
quale si fa lopera darte in senso pienamente estetico e quello di Rosselli con cui invece non si
fa la poesia se non in senso vuotamente formale quando si proposto tale accostamento. Il valore
estetico questione pi complessa laddove il codice complesso, verbale o figurativo che sia. La
distinzione tra forma e valore tende ad essere superata negli ambiti in cui la complessit del codice
cede ad un ampliamento e ad una maggiore disponibilit verso innesti che lo aggiornino e che, in
definitiva, lo creino nello stesso momento della creazione dellopera. Cos, se Fountain ha
immediato valore estetico, perch si pone gi fuori del codice figurativo della scultura (e dentro di
esso non avrebbe addirittura senso) per collocarsi in un ambiente-codice del tipo descritto.
Sia la forma che il valore passano attraverso il riconoscimento, ma mentre la prima pu
avvalersi dellostensione, il secondo evidentemente no. Bene, con la convergenza tra forma e
valore, questultimo diventa anchesso funzione dellatto dellostendere, e gli esempi in questo
senso non mancherebbero. Niente di male, ovviamente. Ma lidea di centomila miliardi di sonetti
componibili a partire da dieci sonetti base, o lidea di una poesia formata da elaboratori elettronici
proponendosi allinterno del sistema letterario e anzi in quello ancora pi stretto della poesia
risultano essere idee letterariamente povere se non indagano lo specifico della poesia, che se c (e
in un certo senso che abbiamo discusso c) il metro, e il verso che lo determina. Perch si
arricchiscano di significato estetico dovremmo collocarle in un contesto pi ampio, in cui le opere
vogliono tendere a non essere pi appartenenti ad una disciplina artistica particolare bens ad un
concetto generale di arte, in cui il codice di riferimento meno articolato e pi accogliente.
successo pi volte che larte abbia ambito allinterdisciplinarit, ma quello cui si punta in questi casi
non tanto lintegrazione di pi discipline quanto la dissoluzione delle discipline stesse, la
trasformazione dellopera darte in evento, in esperienza estetica il cui codice si scrive con levento


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stesso mediante la mescita di codici artistici tradizionali e comportamenti o elementi artisticamente
non codificati.
Con gli spazi metrici, chiaro, per quanto lautrice mostri un atteggiamento di libera
ispirazione nei confronti delle conquiste estetiche delle altre arti, siamo al di qua di simili ricerche,
ancora ben dentro il giardino della letteratura e dei suoi codici complessi, dove la distinzione tra
forma e valore tuttaltro che superata, per quanto entrambi siano in continua evoluzione, o
modificazione, se si preferisce. In effetti Amelia Rosselli non si limita a sfruttare la lezione
duchampiana, ma la integra con quanto specifico della versificazione, ed grazie a questo tipo di
lavoro che la sua innovazione non appare pretestuosa e che la sua forma appare ancorch
contraddittoriamente persuasivamente poetica.
Contradditoriamente, certo: Rosselli ci sta dicendo che la sua prassi di scrittura in tutto
identica alla scrittura di prosa; allo stesso tempo dice: questi sono versi. Io non so se, e riguardo a
quale punto, bisogna crederle. Se non fosse stato scritto Spazi metrici non vi sarebbe il bench
minimo dubbio sulla natura di quei righi tipografici, anche perch essi giocano astutamente con un
profilo destro che anche se in misura ridottissima rimane irregolare, che continua ad alludere alle
composizioni tipografiche cosiddette a bandiera. Ma contemporaneamente allude alle
composizioni tipografiche della prosa, con tutta lambiguit possibile. a questa ambiguit che
bisogna credere, il che equivale a non credere fino in fondo.
In faccende simili noi non siamo invitati a sospendere lincredulit, come succede per la
buona cooperazione finzionale fra opera e lettore, ma semmai siamo invitati a fare il contrario, a
sospendere la credulit. La credulit, dico, nei confronti di un sistema in cui una affermazione
risulta vera oppure falsa (senza che si dia un terzo, e senza che sia possibile derogare al principio di
non contraddizione, appunto mentre il sistema logico, o meglio paralogico, di Rosselli prevede
questa possibilit, e anzi vi conferisce carattere di necessit); nei confronti di unontologia dellarte
che pretende si realizzino opere in suo ossequio, che pretende di essere continuamente e
tautologicamente confermato, ipostatizzato, naturalizzato. Invece e lo insegna Amelia Rosselli
come gi Marcel Duchamp possiamo tentare ogni volta di rivedere la definizione di verso grazie a
ci che non verso, di arte grazie a ci che non arte. Poi saremo sempre di nuovo tentati di dire
che cosa verso, che cosa arte; tentati di dire, in definitiva, che cosa mondo, e che cosa verit,
anche a proposito della propria storia personale. A quel punto bisogner ricominciare a fare nuove
affermazioni che abbiano tutta laria di essere falsit.

Antonio Loreto

Note.
(1) Caso non considerato da Walter Benjamin nel suo Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen
Reproduzierbarkeit (1936), ma degno di nota come situazione intermedia tra lirripetibilit e la riproducibilit tecnica
dellopera. Si tratta di una riproducibilit solo potenziale, che la mano dellartista pu tradurre in atto conferendole
valore museale, e commerciale.
(2) Cfr. N. Goodman, I linguaggi dellarte [1968], a cura di F. Brioschi, il Saggiatore, Milano 1976 (pp. 111 sgg.), per
la teoria della notazione; cfr. Id., Un mondo di individui [1947], in La filosofia della matematica, a cura di C. Cellucci,
Laterza, Roma-Bari 1967, per il titolo.
(3) Cfr. N. Goodman, I linguaggi dellarte, cit., p. 3.
(4) F. Brioschi, Un mondo di individui, Unicopli, Milano 1999, pp. 48-49.
(5) Larticolo The Art World (pubblicato nel 1964 in The Journal of Philosophy, vol. LXI, n. 19) fornisce lo spunto a
studiosi come George Dickie che prendono a lavorare a una teoria istituzionale dellarte (da cui per la verit Danto
prender le distanze: cfr. lintroduzione di Stefano Velotti a A.C. Danto, La trasfigurazione del banale. Una filosofia
dellarte [1981], Laterza, Roma-Bari 2008, p. XI).
(6) Cfr. F. Brioschi, Un mondo di individui, cit., pp. 33-34.
(7) Cfr. N. Goodman, I linguaggi dellarte, cit., p. 100.
(8) A. Schwarz, Marcel Duchamp, Hacette-Fabbri, Milano 1969, pp. 29 e 31.
(9) R. Magritte, Tutti gli scritti [1979], a cura di A. Blavier, Feltrinelli, Milano 1979, p. 566. In chiusura di una lettera a
Michel Foucault del maggio dello stesso 1966, Magritte scrive: Mi permetto di sottoporre alla sua attenzione le
riproduzioni, qui allegate, di quadri che ho dipinto senza preoccuparmi di una ricerca pittorica originale. Tra le


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riproduzioni, annota lo stesso Foucault, cera Ceci nest pas une pipe (cfr. M. Foucault, Questo non una pipa [1973],
trad. di R. Rossi, SE, Milano 1988, pp. 90-91).
(10) Cito da S. Gablik, Magritte [1985], Rusconi, Milano 1988, pp. 139-142.
(11) A.M. Hammacher, Magritte [1973], Garzanti, Milano 1981, p. 24.
(12) Cfr. S. Gablik, Magritte, cit., p. 124.
(13) Cfr. G. Della Volpe, Critica del gusto [1960], Feltrinelli, Milano 1976
4
, pp. 2-3 e pp. 46 sgg.
(14) Cfr. W.V.O. Quine, Identit, ostensione, ipostasi [1950], in Id., Da un punto di vista logico. Saggi logico-filosofici
[1953], a cura di P. Valore, Cortina, Milano 2004.
(15) E. Esposito, Il verso. Forme e teoria, Carocci, Roma 2003, pp. 19-20. Cfr. anche E. Esposito, Metrica e poesia del
Novecento, FrancoAngeli, Milano 1992, che indica nel verso lo specifico elemento costitutivo della poesia (p. 38).
(16) Mi riferisco ai testi di Variazioni belliche come segue: VP: sezione Poesie; VV: sezione Variazioni; SM: allegato
Spazi metrici. Il numero rimanda alla paginazione del citato A. Rosselli, Le poesie, a cura di E. Tandello, pref. di G.
Giudici, Garzanti, Milano 1997.
Si utilizza qui un carattere monospazio, quello della macchina da scrivere, comera nelle richieste di Amelia Rosselli
presso i propri editori, per le ragioni spiegate in Spazi metrici: Nello scrivere a mano invece che a macchina non
potevo [] stabilire spazi perfetti e lunghezze di versi almeno in formula eguali perfettamente, aventi lidea o parola o
nesso ortografico come unit funzionali e grafiche []. Scrivendo a mano normalmente, potevo soltanto tentare di
carpire istintivamente lo spazio-tempo prestabilito nella formazione del primo verso, e forse pi tardi e artificiosamente,
ridurre il tentativo ad una sua forma approssimata, riportata tramite stampa meccanica (SM341). Fu soltanto Il
Saggiatore (editore di Serie ospedaliera, 1969) a soddisfare le richieste dellautrice, mentre Garzanti e Studio Editoriale
(La libellula, 1985) non ritennero di dover intervenire sullaspetto tipografico dei testi. Ancora nel complessivo e
postumo Le poesie curato da Emmanuela Tandello (1997), Garzanti trascura la questione come lamenta Edoardo
Esposito nella sua recensione al volume (Diario in versi dun destino tragico. Processo creativo e tensioni linguistiche
duna poetessa per pochi, LIndice, n. 6, giugno 1998) rimandandola semmai ad una futura edizione critica (che
pare ormai essere in cantiere, affidata da Renata Colorni alla stessa Tandello e a Stefano Giovannuzzi per i Meridiani
Mondadori).
(17) Per le datazioni dautore, da sempre problematiche in particolare per La libellula ma anche per Variazioni belliche,
cfr. S. Giovannuzzi, Amelia Rosselli e la funzione Campana, Trasparenze, n. 17-19 monografico a cura di E. Tandello
e G. Devoto, 2003, p. 154; Id., Come lavorava Amelia Rosselli, in A. Cortellessa (a cura di), La furia dei venti contrari.
Variazioni Amelia Rosselli, con testi inediti e dispersi, Le Lettere, Firenze 2007.
(18) I testi di Sleep li ho riuniti nel 66, per mostrarli agli amici. Li considero assolutamente privati, intervista di M.
Caporali a Rosselli contenuta in Poesia, n. 28, aprile 1990. Tali testi saranno parzialmente pubblicati in Sonno-Sleep,
versione italiana di A. Porta, Rossi & Spera, Roma 1989, e poi, in misura pi larga, in Sleep. Poesie in inglese, versione
italiana di E. Tandello, Garzanti, Milano 1992. Appartenenti al lungo periodo che va dal 1953 al 1966, nella seconda
fase risentono della stessa evoluzione formale che caratterizza i testi non privati.
(19) Cfr. A. Loreto, Lanti-oracolo di Variazioni belliche, in La furia dei venti contrari, cit., pp. 204-212.
(20) Ma scrivendo a macchina posso per un poco seguire un pensiero pi veloce della luce. Scrivendo a mano forse
dovrei scrivere prosa, per non tornare a forme libere: la prosa forse infatti la pi reale di tutte le forme, e non pretende
definire le forme. Ma ritentare lequilibrio del sonetto trecentesco anchesso un ideale reale (SM342). Linteresse per
la prosa peraltro duraturo se Rosselli nel 1990 ancora scrive, a proposito di Diario ottuso: lo sperimentare in prosa
ci che mattira: ugualmente vero e probabile che si dica di pi in prosa che non in poesia, spesso manieristica o
decorativa (A. Rosselli, Esperimenti narrativi, in Ead., Diario ottuso 1954-1968, Istituto Bibliografico Napoleone,
Roma 1990, p. 48).
(21) Una simile lettura stata in seguito biograficamente confortata dalla corrispondenza di Rosselli a Pasolini, resa
pubblica da Giovannuzzi in qualit di curatore di A. Rosselli, Lettere a Pasolini. 1962-1969, San Marco dei Giustiniani,
Genova 2008: Per fortuna sono stata curata bene e ora non posso lamentare inceppi o accidenti salvo e soprattutto
laver perso del tutto la memoria dogni mio atto o incontro degli ultimi tre mesi (29 ottobre 1962, dalla clinica Villa
Santa Rita in Roma, p. 41). Bisogna dire ma ci attiene di nuovo ai problemi di datazione che Rosselli d per
concluso il testo poetico di Variazioni belliche entro il 1961.
(22) Chiss se Uwe Johnson, con il suo romanzo congetturale (Mutmassungen ber Jakob appare nel 1959 e viene
tradotto in Italia nel 1961; Rosselli in quegli anni frequenta i Ferienkurse fr Neue Musik di Darmstadt, entrando in
stretto contatto con la cultura tedesca), abbia in qualche modo suggerito questa possibilit.
(23) Cfr. A. Pinchera, La metrica dei novissimi (estratto dallomonimo saggio originariamente apparso in Ritmica,
n. 4, 1990), in Materiali critici per lo studio del verso libero in Italia, a cura di A. Pietropaoli, ESI, Napoli 1994.
(24) Intervista di Giacinto Spagnoletti allautrice, in A. Rosselli, Antologia poetica, Garzanti, Milano 1987, p. 156.
(25) Intervista su Roma [1992], a cura di M. De Angelis e I. Vincentini, in A. Rosselli, Una scrittura plurale, a cura di
F. Caputo, Interlinea, Novara 2004, p. 312.
(26) Si vedano rispettivamente Zang Tumb Tumb (1914), Rarefazioni e parole in libert (1915), Calligrammes. Pomes
de la Paix et de la Guerre (1918), Vision and prayer (in Deaths and Entrances, 1946), Nuova poesia in forma di rosa e
Il libro delle croci (in Poesia in forma di rosa, 1964), Ma noi facciamone unaltra (1968).
(27) F.T. Marinetti, Distruzione della sintassi Immaginazione senza fili Parole in libert [1913], in Id., Teoria e
invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Mondadori, Milano 1966, p. 67.


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(28) E. Esposito, recensione a A. Rosselli, Antologia poetica cit., Lingua e letteratura, n. 12, maggio 1989.
(29) La prima edizione di Poesia in forma di rosa, per Garzanti, dellaprile 1964 (in quella immediatamente
successiva giugno 64 la sezione Il libro delle croci sar espunta), in perfetta coincidenza con luscita delle
Variazioni belliche di Amelia Rosselli. Nelle Note e notizie sui testi del Meridiano curato da Walter Siti (Tutte le
poesie, Mondadori, Milano 2003) si legge che Pasolini ha montato in forma di croce testi scritti normalmente (vol. I,
p. 1075): questo metodo non molto distante da quello di Amelia Rosselli, poich in entrambi i casi il verso risulta
essere un residuo grafico e non ununit costruttiva del testo.
(30) In A. Rosselli, Sonno-Sleep (1953-1966), versione italiana di A. Porta, San Marco dei Giustiniani, Genova 2003
2
,
p. 72. Il fatto di utilizzare una lettera degli anni Ottanta per sostenere la mia interpretazione di un fenomeno di oltre
ventanni prima dovrebbe essere reso lecito dalla immutata convinzione di Rosselli rispetto alla validit della sua
sistematica metrica (cfr. A. Rosselli, Introduzione a Spazi metrici, inedito datato 4 febbraio 1993 e pubblicato
postumo in Trasparenze, n. 17-19, cit.; ora anche in Ead., Una scrittura plurale, cit.).
(31) Cfr. S. Giovannuzzi, Come lavorava Amelia Rosselli, cit., p. 27. Paolo Giovannetti riprende la collazione mentre
prova a fare ordine nella congerie di interpretazioni dello spazio metrico avanzate dagli studiosi nel capitolo Il
verso libero del recente P. Giovannetti - G. Lavezzi, La metrica italiana contemporanea, Carocci, Roma 2010, pp.
265-266.
(32) A. Rosselli, Introduzione a Spazi metrici, in Ead., Una scrittura plurale, cit., p. 60.
(33) La libellula (frammento), il verri, n. 8, 1963, pp. 93-95.
(34) La libellula (1958), Nuovi Argomenti, n. 1, 1966, pp. 147-165. Si tratta non pi di un frammento ma dellintero
poemetto nella versione pressoch definitiva; qualche lieve ritocco si avr ancora nelledizione in volume del 1969
presso Il Saggiatore, ma si parla di interventi topici che non modificano il testo nella sua sostanza.
(35) Ju. Tynjanov, Il problema del linguaggio poetico [1924], trad. di G. Giudici e L. Kortikova, il Saggiatore, Milano
1968, p. 87. Una certa attenzione viene invece posta da Rosselli nella conclusione dei componimenti o delle lasse: in
particolare segnalo una frequente marca mensurale che consiste nel dimezzamento della lunghezza dellultimo verso
rispetto ai precedenti, quasi a rendere la figura visiva della strofa saffica.
(36) Cfr. B. Tomaevskij, Teoria della letteratura [1928], trad. di M. Di Salvo, il Mulino, Bologna 1978, p. 105 sgg.
(37) Cfr. P. Zumthor, Lingua e tecniche poetiche nellet romanica (secoli XI-XIII) [1963], trad. di M. Maddalena, il
Mulino, Bologna 1973.
(38) Cfr. ad esempio M. Venturini, Alla luce della critica: la poesia di Amelia Rosselli, Trasparenze, n. 17-19, cit., p.
117.
(39) Da circa dieci anni mi rompevo la testa nel tentare varie possibili formulazioni metriche [...] da potersi
considerare come sistemi non solo metrici ma anche o quasi filosofico-scientifici e storicamente necessari,
inevitabili (intervista di G. Spagnoletti allautrice, in A. Rosselli, Antologia poetica, cit., p. 157).
(40) F. Fortini, I poeti del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1977, pp. 208n-209n.
(41) R. Jakobson, Strutture linguistiche subliminali in poesia [1971], trad. parziale in La metrica, a cura di R. Cremante
e M. Pazzaglia, il Mulino, Bologna 1972.
(42) J. Cohen, Struttura del linguaggio poetico [1966], trad. di M. Grandi, il Mulino, Bologna 1974, p. 92.
(43) P. Beltrami, La metrica italiana, il Mulino, Bologna 1991, p. 204.
(44) M. Pazzaglia, Introduzione a Teoria metrica, prima parte di La metrica, a cura di R. Cremante e Id., cit., p. 17.
(45) E. Esposito, Il verso, cit., p. 21. Tale posizione affermata sin da Id., Metrica e poesia del Novecento, cit. (cfr. p.
37).
(46) Ibidem.
(47) Lautore cita come esempio Pukin.
(48) Ju. Tynjanov, Il problema del linguaggio poetico, cit., p. 33.
(49) Ivi, p. 29.
(50) E. Sanguineti, Lultima passeggiata. Omaggio a Pascoli, 7, in Id., Il gatto lupesco. Poesie (1982-2001), Feltrinelli,
Milano 2004, p. 77 (gi in Giovanni Pascoli. Poesia e poetica, Atti del Convegno di studi pascoliani, San Mauro 1-2-3
aprile 1982, Maggioli, Rimini 1984).
(51) A. Pinchera, La metrica dei novissimi, cit.
(52) Cfr. R. Barthes, Miti doggi [1957], trad. di L. Lonzi, Einaudi, Torino 1994
2
, pp. 226-229, dove si stabilisce in
maniera rigida e pressoch dogmatica che il linguaggio-oggetto ha capacit trasformante ed patrimonio del
proletariato, delloppresso e della Rivoluzione, e che il metalinguaggio al contrario ha ruolo conservativo ed
prerogativa assoluta delloppressore. Un minor schematismo sarebbe richiesto quantomeno dal fatto che la distinzione
tra linguaggio-oggetto e metalinguaggio data effettivamente soltanto nelle lingue formalizzate, mentre in una lingua
naturale esse coincidono in quanto codice e si possono distinguere semmai in quanto funzione, cio uso.
(53) Lespressione di Franco Fortini. Il brano in cui compare citato estesamente nel seguito.
(54) F. Fortini, Su alcuni paradossi della metrica moderna [1958], in Id., Saggi ed epigrammi, a cura di L. Lenzini,
Mondadori, Milano 2003, pp. 811-812, 815.
(55) Cfr. SM339 e SM342.
(56) Cfr. C. Guilln, Luno e il molteplice. Introduzione alla letteratura comparata [1985], trad. di A. Gargano, il
Mulino, Bologna 1992, p. 192. Il saggio di Alfonso Reyes (Las funciones formales de la literatura en general) del
1963.


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(57) E. Esposito, Il verso, cit., pp. 16 e 11 rispettivamente.
(58) Cfr. A. Berardinelli, Prefazione ad A. Rosselli, Diario ottuso 1954-1968, cit., p. 6.
(59) S. Agosti, La competenza associativa di Amelia Rosselli [1978], in Id., Poesia italiana contemporanea, Bompiani,
Milano 1995, p. 133.
(60) Ju. Tynjanov, Il problema del linguaggio poetico, cit., p. 25.
(61) Cfr. Ju.M. Lotman, La struttura del testo poetico [1970], a cura di E. Bazzarelli, Mursia, Milano 1972, pp. 101-
102.
(62) Per lidea della forma come contenitore si legga in chiusura di Spazi metrici: La realt cos pesante che la
mano si stanca, e nessuna forma la pu contenere (SM 342).
(63) Lotman 1970, p. 116.
(64) J. Cohen, Struttura del linguaggio poetico, cit., p. 78.
(65) Ju. Tynjanov, Il problema del linguaggio poetico, cit., p. 35.
(66) Cfr. ivi, pp. 26-33.




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Fortezza di Giovanni Giudici: appunti sulla genesi di una sequenza


Nella poesia di Giudici la propensione alla poematicit si rivela molto precocemente. Una breve
scorsa allindice generale dellopera in versi sufficiente a rivelare la sua tendenza a procedere per
aggregazioni testuali piuttosto che per singole unit(1). Nelle prime opere il grado di ordinamento
minimo, con testi perlopi raggruppati in sezioni prive di titolo e titolati singolarmente(2); da Il
ristorante dei morti, invece, appaiono i titoli delle sequenze e, spesso, i numeri ordinali di serie dei
singoli componimenti. Se questa tipologia quella che ritorna anche negli ultimi libri, un inciso
apertamente poematico costituito da Salutz e da Fortezza, in cui le sezioni hanno un titolo proprio
(nel caso di Salutz la sezione unica e coincide con il libro) e i testi sono numerati ma non titolati
singolarmente. Nei due casi si ha a che fare quindi con vere e proprie sequenze, in cui il discorso
poetico, attraverso una composizione seriale ordinata e chiusa, si orienta alla narrativit(3).
Per quanto riguarda Salutz, il libro rigorosamente costruito(4): si articola in sette sezioni,
ciascuna costituita da dieci componimenti di quattordici versi; in chiusura, lisolato Lais porta a
mille i versi del libro. La forma di Salutz quella tipica del macrotesto(5): vi unit semantica e
metrica, continuit spazio-temporale, omogeneit del soggetto (lio locutore) e della persona cui
egli sindirizza (Minne/Midons); sono in atto molti dispositivi di coerenza del testo(6).
Diverso il discorso per Fortezza. Il libro diviso in tre sezioni: Memoria (con componimenti
titolati singolarmente e scarsa, o quasi nulla, coerenza poematica interna), Fortezza e Frate
Tommaso; soltanto per le ultime due sezioni, che contengono componimenti numerati e molto coesi,
si pu parlare di sequenze. Lanalisi delle carte relative al libro(7) conferma lisolamento della
prima sezione: se il materiale ascrivibile a Fortezza, con la sola eccezione di due dattiloscritti,
contenuto in una sola cartella (mentre del tutto assente la documentazione relativa a Frate
Tommaso), i componimenti destinati a Memoria sono conservati in due cartelle, alternati a molto
materiale extravagante. Memoria, che unisce sotto un unico titolo poesie eterogenee, stata
probabilmente pensata in seguito, a completamento delle due sequenze: le poesie di Memoria
scrive lautore sono note di un preludio o sondaggi in qualche misura collegabili a mie
precedenti esperienze(8).
La meticolosa registrazione della data in calce ai componimenti di Fortezza potrebbe,
genericamente, essere indicativa della genesi della sezione. Lordine progressivo coincide con
quello cronologico, dalla poesia pi antica alla pi recente. Anche dove apparentemente si danno
dei salti e ci accade soprattutto nei casi in cui a essere specificato lintervallo di composizione
e non una data puntuale si nota che almeno una delle due indicazioni continua la linea
cronologica. Da questordine sfuggono soltanto due componimenti: Fortezza-9 e Fortezza-44(9).
Manca, al momento, qualsiasi documentazione riguardo alla seconda poesia, scritta in extremis a
meno di un mese dalla pubblicazione del libro (la data indicata in calce 8-14 febbraio 1990, la
pubblicazione del marzo 1990), mentre molte delle stesure che testimoniano la genesi di F-9 sono
datate al settembre del 1988, e consentono cos di riallineare il componimento agli altri della
sequenza. Una di queste redazioni introdotta da unimportante annotazione a penna: il titolo
Tordesillas. Anche altre carte del fascicolo ascrivibile a Fortezza lo ripetono, seguito o meno
dallordinale di serie: la futura F-5 sintitola nei dattiloscritti Tordesillas, F-6 Tordesillas (2) e F-7
Tordesillas (3). Nellottobre del 1988 pubblicata su Poesia Mia solezza mia, F-6(10); non
indicato il titolo del componimento, ma la dicitura Da Tordesillas, come se si trattasse di una
parte estrapolata da una sequenza almeno in parte composta. Da questo momento in poi ma in
realt gi nelle carte delle poesie scritte nel mese di settembre 1988 qualunque riferimento a
Tordesillas scompare:

Mi trovai alcuni anni pi tardi a scrivere un libro, Fortezza, la cui sequenza centrale era stata
messa in movimento anche dalla lettura di un libro su Juana la Loja, Giovanna la Pazza, figlia di
Isabella di Castiglia e di Ferdinando dAragona e madre dellimperatore Carlo V, segregata per
quasi cinquantanni a Tordesillas, in una sorta di residenza coatta. Il libro sintitolava Un enigma


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della storia, e ne era stato autore verso la fine del secolo scorso Karl Hillebrand; ma esso non ha
molto a che vedere con i miei versi. (11)

A partire, quindi, dal saggio sulla prigionia di Giovanna la Pazza, Giudici aveva probabilmente
concepito una sequenza dal titolo Tordesillas: in seguito, con lesaurirsi della spinta data dal libro di
Hillebrand, il titolo si trasformato in Fortezza.
Il comparire di Tordesillas soltanto da quella che diventer F-5 ha unaltra conseguenza di una
certa importanza sul piano critico: indica che il progetto di sequenza ha avuto inizio in quel punto, e
che i componimenti da F-1 a F-4 sono stati concepiti al di fuori di essa e aggiunti in una fase
posteriore. Questo spiega la ragione dello iato tra i primi componimenti e il resto della sequenza: i
primi quattro testi (le cui datazioni li collocano tra il terzultimo e il penultimo testo di Memoria, e
che hanno la stessa misura ottastica) appaiono come rapide inquadrature apparentemente irrelate
con quanto si svolger sulla scena principale: alla quale forniscono invece [] come i frammenti di
una premessa di potente suggestione(12). anche una nuova conferma, se ve ne fosse bisogno,
che la raccolta di poesia [], oltre al libro di racconti, lunica forma letteraria che pu ricevere a
posteriori (cio in una fase successiva a quella del concepimento e della stesura dei singoli
elementi) un senso per cos dire immanente, attraverso la distribuzione dei testi(13).
Nonostante la genesi disgiunta della sequenza, non c alcun dubbio sulla sua natura
macrotestuale. Il motivo-guida il racconto, quasi diaristico, di una vicenda di prigionia, che
potrebbe stare nei domini asburgici del XVI-XVII secolo (Spagna o Austria o Boemia o Paesi
Bassi o Italia), ma anche nellItalia bizantina dellalto medioevo [], o in una provincia kafkiana
del gi ricordato impero asburgico o del terzo Reich [] (tutto, in fondo, potrebbe svolgersi in una
clinica psichiatrica, o anche solo dentro unanima affannata)(14). Al protagonista-carcerato
appartiene soltanto una delle voci recitanti: vi un vorticoso alternarsi delle persone, dallio
monologante a un lui da referto giudiziario o romanzesco, da un noi che sembra scaturire da un coro
di testimoni-secondini al Lei sinistramente cerimoniale delle suppliche(15). Si gi detto qualcosa
sui segnali dinizio ricordando la funzione di premessa dei primi quattro componimenti. Il testo poi,
nonostante sia ripartito internamente in quarantuno episodi poetici, si sviluppa con continuit.
Segnali di coerenza sono i pronomi dimostrativi (questa prigione, queste ore), i deittici di spazio
(qui a graffiarmi, entri l, starsene l) e di tempo (arrivata oggi, stanotte visione dei gatti), ma
anche le aperture con congiunzione coordinativa (E certe notti un pensiero, F-9; E con un
malizioso sventolo, F-18; E lui di essa sia primo architetto , F-25; Anche da Lei vorremmo
trarre consiglio , F-36) o avversativa (Per una stradina, F-30). Tutti questi segnali
contribuiscono a una progressione di senso: ogni frammento, anche quando paia emergere da un
substrato che rimane inconoscibile, consente di accrescere la comprensione dellinsieme.
Anche la natura di alcune varianti pu diventare indizio di macrotestualit. Talvolta, infatti,
modifiche e correzioni si possono giustificare solo alla luce di una concezione sistemica della
sequenza. Lanalisi delle carte permette di individuare una casistica che si pu schematizzare in
questo modo: I. parole o frasi soppresse perch gi presenti nella sequenza; II. spostamenti di parole
o frasi allinterno della sequenza. Pertanto, si pu affermare che le isotopie riscontrabili nel libro
siano ricercate da Giudici non attraverso riprese precise e ripetizioni puntuali, bens con uninsistita
variatio. Di seguito se ne dar qualche esempio.
I. In una delle redazioni di F-7, si leggono i versi:

Mi sentono nel notturno vibrare?
Il mio sonno il mio sognare
La tenuissima riga
Confine estremo del vegliare
O limmenso intermedio
Questa specie di giorno nella quale
Mi nascondo resisto al tristo assedio?(16)


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I primi quattro componimenti dovevano essere a questaltezza gi inclusi nella sequenza, se Giudici
elimina il riferimento allassedio, che era ai vv. 1-4 di F-2:

Non cos pi probabile
Sia invece che stanchi di studiare tormenti
Tentino amiche fosche per uscirne
Assediati assedianti ;(17)

e la locuzione una specie di giorno, gi ai vv. 4-8 di F-4:

Un forse voler scrivere da dove sta
esiliato da mesi e noi
Senza speranza pi nel ritorno
Che a volte ci domandiamo se l
notte o una specie di giorno.

Una motivazione non dissimile potrebbe essere allorigine della soppressione del primo verso
Duplice aldil del mio straziarmi a te(18) nella stesura di F-21, gi presenti in F-5 i versi
Stupida bestia a sfidare | Laltro S dello specchio nel chiaro aldil | Altrove del cuore di lei
(vv. 10-12). A venire meno non il riferimento allaldil (i versi definitivi recitano: Da insonnia al
sonno e un aldil del vero), ma il legame dellaldil con laltra persona. Prima della soppressione
dellintero verso, si legge la variante: Duplice aldil delle mie spine a te(19); il riferimento alle
spine(20) diventa significativo nellassegnazione di quel pronome te alla donna cui costantemente
va il pensiero dellio nellintera sequenza.
Lelaborazione di F-21 conta pi di sessanta redazioni: poich il tema del sogno, e soprattutto
del delicato passaggio dalla veglia al sonno, gi di altri componimenti, (21) naturale che si
riaffaccino parole gi usate. Unaltra versione del gi citato primo verso contenuta nella redazione
che segue:

Due versanti ha il dormire
Tenue crinale
Da uno la salita
A un non pensiero a un sopore
Alla raggiunta pace
Di quel che muore per resuscitare
A un aldiqu di freddo e di calore
Risveglio alle sue spine e al suo grigiore. (22)

Probabilmente, allorigine della riscrittura successiva stanno questi versi, gi di F-9 (vv. 5-12):

Mio tra crescermi e dormienza
Pulviscolo donnipresenza
Non nato imprendibile spacco
Tra esserci ancora e mai pi:
Di crinale in crinale
Estranei regni a un minimo volare
Bruciare alla speranza
Breve lume, nuda stanza.



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II. Il secondo caso, lo spostamento di parole o frasi allinterno della sequenza, altrettanto
frequente. Tra le stesure complete o interrotte di F-7 si leggono alcuni tentativi di modificare
lincipit: Insetto, notturno tremare, oppure Insetto del notturno tremare(23). Il riferimento
subito abbandonato, ma in F-27 ricompare nella forma kafkiana blatta sul pavimento (vv. 8-9):

Blatta sul pavimento scappo qua e l
Aspetto lo scricchiare delle mie costole.

Ancora tra le versioni che precedono la definitiva F-7, si leggono questi versi (vv.1-4):

Tremore mio compagno fin dentro il dormire
E di l nel sognare antipode alla veglia
Regno e regno impalpabili scernendo
Bave di seta e ragnatele di confini (24)

Il condannato percepisce, nella propria dimensione onirica, che la sua mente infestata da bave e
ragnatele. I carcerieri ne otterranno la stessa impressione (F-36, vv. 5-11):

Ai miei ho ordinato di stargli addosso
Non con mani e catene
Ma giorno e notte nei pensieri suoi fare nido
Che svuotato si arrenda:
Fotografargli dentro la testa
Abbiamo provato era tutto
Fili di ragno e foresta.

Lo spostamento interno alla sequenza pu riguardare anche le spinte neologistiche: in una prova
per F-21 Giudici introduce il composto senzapeso,(25) che si svilupper compiutamente in una
delle stesure di F-28 senzafondo senzatempo(26) e trover sistemazione definitiva nella forma
senzaterra senzatempo.
Lanalisi delle varianti permette, in ultimo, di ampliare i confini del macrotesto alla sequenza
Frate Tommaso. Una semplice scorsa alla data di composizione mantenuta in calce alla serie (5
marzo 1989) consente di collocare la sequenza tra F-28 (22 ottobre 1988 12 febbraio 1989) e
F-29 (30 marzo 1989). Le ultime due composizioni prima dellinterruzione lasciano il segno sul
quarto componimento di Frate Tommaso:

Sbito uno squitto
Implumi da qualche nido
Ma poi tonfi di topi sui legni del soppalco
Sperando che smettano almeno per questa notte;(27)
(F-27, vv. 3-6)

E dove posa gli occhi, che cosa scopre
Nelle croste dei muri
O quelle trine daria, gli umori.
(F-28, vv. 8-10)

Non difficile ritrovare in questi versi la genesi di Ma non aveste voi paura dei topi | E il puzzo
e il gocciare dei muri. Si tratta di un fatto di una certa importanza, perch autorizza a cercare
segnali macrotestuali al di fuori del macrotesto considerato, nellipotesi di individuare una stretta


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correlazione tra le forme poematiche simili allinterno dellopera del poeta; un filo, insomma, che
leghi Fortezza a Salutz e a Frate Tommaso.

Lisa Cadamuro


Note.
(1) Sulle tipologie di strutturazione testuale in Giudici si veda R. ZUCCO, Teatro del perdono. Per Giudici, Lamore
che mia madre, Belluno, Agor Libreria Editrice, 2008, alle pp. 16-21.
(2) La regola presenta, naturalmente delle eccezioni: Leducazione cattolica una sezione de La vita in versi, e contiene
poesie numerate, o numerate e titolate, singolarmente. La Bovary cest moi il titolo di una sezione di Autobiologia che
conta sei componimenti numerati. Inoltre, Autobiologia e O beatrice includono quelle che Zucco (nel saggio appena
citato, a p. 24) definisce sequenze aperte, testi disseminati in vari punti delle due raccolte in cui la ripetizione del titolo
accompagnata da un ordinale di serie tra parentesi tonde.
(3) Cfr. E. TESTA, Aspetti linguistici della poesia italiana dellultimo Novecento, in ID., Per interposta persona. Lingua
e poesia nel secondo Novecento, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 135-157.
(4) Cfr. M. FORTI, Tempi della poesia. Il secondo Novecento da Montale a Porta, Milano, Mondadori, 1999, a p. 316.
(5) Ci si riferisce, in questo e nei casi che seguiranno, al macrotesto secondo la definizione di E. TESTA, Il libro di
poesia, Genova, Il melangolo, 1983.
(6) Lanalisi macrotestuale di Salutz in G. COLELLA, 'Salutz' di Giovanni Giudici. Note sulla lingua e lo stile, Roma,
Aracne, 2007, alle pp. 34-60.
(7) Le carte, custodite in tre cartelle, sono conservate nellarchivio di Rodolfo Zucco e sono al momento oggetto di un
approfondito studio critico da parte di chi scrive. Bench al loro interno presentino materiali eterogenei, la costituzione
dautore dei tre fascicoli ha fatto propendere per la scelta di mantenere intatte le suddivisioni interne e lordine delle
carte.
(8) Epigrafe dautore a G. GIUDICI, Fortezza, Milano, Mondadori, 1990.
(9) Da questo momento in poi i componimenti della sequenza saranno individuati dalla sigla F seguita dallordinale di
serie (F-1, F-2 etc.).
(10) Cfr. A lezione da Giovanni Giudici, Poesia, I, 10, ottobre 1988, a p. 17.
(11) Cfr. G. GIUDICI, Andare in Cina a piedi. Racconto sulla poesia, Roma, e/o, 1992, a p. 37.
(12) Cfr. R. ZUCCO, Apparato critico in G. GIUDICI, I versi della vita, a cura di R. ZUCCO, con un saggio introduttivo di
C. OSSOLA, cronologia a cura di C. DI ALESIO, Milano, Mondadori, 2008, a p. 1669.
(13) Cfr. N. SCAFFAI, Montale e il libro di poesia (Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera e altro), Lucca, Maria Pacini
Fazzi, 2002, a p. 12.
(14) C. DI ALESIO, Parlare in linguis: per una lettura di Fortezza di Giovanni Giudici, in Hortus, 18, II semestre
1995, pp. 82-89, a p. 83.
(15) G. RABONI, Giudici sosia di se stesso, in ID., La poesia che si fa. Cronaca e storia del Novecento poetico italiano.
1959-2004, a cura di A. CORTELLESSA, Milano, Garzanti, 2005, pp. 318-329, a p. 329. Sulla polifonia di Fortezza, e per
unanalisi pi approfondita dellalternanza dei turni di parola, si veda anche R. ZUCCO, Teatro del perdono, cit., alle pp.
37-38.
(16) Si tratta dei vv. 1-7 della settima stesura di carta 7r/I. Nellindicazione di questa e delle altre carte cui si fa
riferimento si indicher il numero del foglio seguito dallindicazione della cartella di afferenza nellarchivio Zucco.
(17) In questo e nei casi che seguono, la punteggiatura in chiusura di componimento non di Giudici, ma di chi scrive.
(18) Cfr. la prima stesura di c. 164r/I.
(19) Cfr. la terza stesura di c. 164r/I.
(20) Sulla centralit della metafora della spina in Salutz cfr. R. ZUCCO, Apparato critico, cit., alle pp. 1585-86.
(21) Cfr.: Intanto che la mente si prepara al distacco | Sogni monatti la scortano, F-6; Tra veglia e sonno esile strada
al tremare, F-7; Mio tra crescermi e dormienza | Pulviscolo donnipresenza , F-9; Steso su un fianco si sporge |
Dal chiuso dellarduo sonno , F-12; E spiavo i rigagnoli del sonno, F-16.
(22) Cfr. la prima stesura di c. 166r/I.
(23) Cfr. c. 8r/I.
(24) Cfr. c. 10r/I.
(25) Cfr. la prima stesura di c. 177r/I.
(26) Cfr. c. 187r/I.
(27) Cfr. la prima stesura di c. 186r/I.



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Sulla via del romazo in versi: Attilio Bertolucci e Alberto Bellocchio(1)

Fu Sereni in Lettera danteguerra(2) a riconoscere ad Attilio Bertolucci il pregio di saper
restituire fedelmente il dono dellaria e delle ore, la verit della vita quotidiana, sfiorata
dallombra della morte, e i colori del paesaggio domestico della campagna e della citt. Fu ancora
lui in lettere private(3) a sottolineare nel Viaggio dinverno(4) e nella Camera da letto la conquista
di un paesaggio, storico, sociale, geografico, persino topografico definito e riconoscibile e di aver
ai vertici unito le emozioni e i bagliori della memoria involontaria e dellevocazione e le forme
del racconto, coniugando poesia e romanzo, fino a trasformare i luoghi conosciuti in patria
poetica, di cui essere, dopo un lungo doloroso itinerario, il sovrano.
Ma fu Pasolini (Sereni non am essere ristretto nella linea lombarda, cos definita da
Luciano Anceschi(5), consapevole dei confini pi vasti cui deve obbedire la poesia) a tracciare per
primo, intorno al nome di Attilio Bertolucci, una linea poetica parmigiana allinterno della pi
vasta linea emiliana, che da Pascoli e da Serra scendeva a Bassani, agli Arcangeli, a Rinaldi, a
Giovanelli e ai pi giovani Roversi e Leonetti. Pasolini indicava in particolare, facendo perno sulla
poesia Emilia di Fuochi in novembre, la raccolta del 1934(6), una perfetta aderenza dei versi alla
figura ambientale e geografica della regione, interpretata geologicamente e fisicamente, coi
torrenti, LEnza e il Cinghio, le campagne, i monti dellAppennino. Evidenziava anche una
tendenza realistica e prosastica coerente a una ideologia conservatrice e illuministica, che solo il
distacco avrebbe potuto incrinare, modificando il rapporto del poeta con i luoghi e con le figure
della sua poesia - citt, campagna e famiglia-(7).
Fu quanto in verit avvenne. Finch visse in Emilia, a Baccanelli e a Parma, il poeta, con
sensibilit fortemente sensitiva e percettiva, aveva illuminato di luce vera le immagini, tanto da
conservare loro lemozione dello sguardo e dellanimo e da trasformarle, con Keats, in visione tra
realt, immaginazione e sogno(8); aveva saputo accogliere, come confess nel diario del 1958(9), lo
strazio e la gioia di cose gi pronte per la poesia, gi belle fatte col simbolo dietro come lalone
che ha la luna. Quando decise di lasciare la sua terra per Roma, citt troppo grande e bella e non
mia(10), ansia e dolore, un sentimento di nostalgia e di esclusione, un cammino di malattia e di
cose durissime senza alone entrarono nella sua opera, dando nuova sostanza di verit
alluniverso abbandonato, chegli sentiva perduto. E se da un lato furono composti i versi
drammatici di Viaggio dinverno, dallaltro ecco il compenso, la chiarificazione e la soluzione dei
propri traumi nel grande itinerario verso le radici testimoniato dalla Camera da letto.
Pi recentemente, in un articolo sullEspresso del 3 marzo 2005, salutando il Libro della
famiglia di Alberto Bellocchio e versi inediti di Bertolucci raccolti sotto il titolo Il viaggio di
nozze(11), Enzo Siciliano ha evidenziato un orizzonte geografico e morale, quello della bassa del
Po, da Parma verso il piacentino e lAppennino, quale legame tra il pi giovane poeta e Attilio
Bertolucci in una continuit di rappresentazione fisica, etica e poetica delluniverso emiliano.
Soprattutto Siciliano ha sottolineato, pur nelle forti differenze dintonazione e di linguaggio,
la scelta di Bellocchio di misurarsi con il romanzo in versi di Bertolucci raccontando, con uno
sguardo alle origini lontane, il romanzo della propria famiglia attraverso alcune generazioni, dei
nonni, dei genitori e la propria.
Il genere fu, come sappiamo, reinventato da Attilio Bertolucci, che, appassionato lettore fin
dalla prima giovinezza della Recherche e assai vicino al metodo lirico-narrativo della Woolf di Mrs.
Dalloway e di To the lighhouse, volle coniugare poesia e romanzo, immettendosi nella tradizione
dei poeti inglesi, da Browning a Derek Walcott. Anche per Siciliano sono la resa trasparente della
realt e il calore della vita che percorre i versi e investe il rapporto del poeta con il suo
paesaggio a caratterizzare larte somma di Bertolucci.
Quando Attilio Bertolucci avvi la sua Camera da letto, si mostr consapevole d aver
scelto di comporre unopera fragile e rischiosa, antica e nuova, fatale e necessaria.
Poe in The philosophy of composition aveva giudicato oramai impossibile il poema e le
lunghe composizioni in versi. Bertolucci volle portare la sua sfida alla grammatica della poesia


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pura e del simbolismo, dellermetismo novecentesco, coniugando lirica e narrazione, convinto che,
per non girare a vuoto, si dovesse cadere nella prosa per rinnovare la poesia, privilegiando il
verso sfiorante la prosa (mais avec les ailes, secondo Sainte Beuve). Se la dimensione narrativa
entra gi nella Capanna indiana del 1951, fu la Camera da letto tuttavia a rivelare pienamente la
novit della poetica bertolucciana, novit felicemente raccolta da Bellocchio nelle sue
caratteristiche pi innovative.
Mantenendosi non sulle strade alte del romanticismo di Wordsworth, poeta da lui molto
amato e tradotto, ma, seguendo Puskin sulle vie della quotidianit, Bertolucci, dopo aver percorso il
tempo antico ed epico della fondazione della casa degli avi maremmani a Casarola, aveva scavato
nella propria storia, famigliare e personale, sino al trasferimento a Roma negli anni cinquanta.
Componendo la propria autobiografia, ma romanzescamente autobiografia in uno specchio
mobile, come la defin in un breve appunto di sapore stendhaliano, aveva cercato di interpretare e
svelare il segreto della propria esistenza e di compensarne i traumi: il distacco dalla madre, la
prigionia in collegio, la perdita dei luoghi amati, la fragilit di una lunga adolescenza. Li
compensava con la bellezza e la forza di un amore tenace e profondo, condiviso (si legga per
cogliere il senso di questa esperienza tra poesia e vita reale Ninetta la bella di Lella Ravasi
Bellocchio)(12) e con il miracolo della poesia, Flauti per cercare un ritmo che duri tutta la
vita(13); della poesia che salva dallassenza e ridona il tempo, con Proust, allo stato puro.
Bertolucci, traducendo in versi i materiali domestici, crea un romanzo esistenziale che parla
del mistero della vita e del mistero della morte, della felicit privata come antidoto alle crudelt
della storia. Crea un romanzo che, partendo da una topografia documentabile dei luoghi e delle
attivit umane e da vicende veramente accadute al protagonista A., allamata N. e agli altri
personaggi, i nonni, i genitori, la sorellina Elsa, gli amici, i figli, Bernardo e Giuseppe, gli zii e le
domestiche, li restituisce fantasticati al modo di Stendhal, rinnovati nella luce della memoria
involontaria. Crea un romanzo che ridona tempo fisico e fisicit, costumi e usi di una borghesia di
montagna, di pianura e di citt, conservando le caratteristiche geografiche, storiche e sociali che
individuano il paesaggio e i modi del vivere del secolo trascorso. Crea un romanzo infine, interiore,
che si regge sui pilastri del Tempo e nel Tempo trova la sua unit e che, pur privilegiando
landamento della prosa, il suo basso continuo, la naturalezza dello svolgersi del quotidiano, la
concretezza della vita pratica, procede sul ritmo poeticissimo dellevocazione e della variazione di
motivi e immagini incantevolmente ritornanti, come li diceva il poeta, di respiri elegiaci o
impennate liriche.
Piace che Alberto Bellocchio abbia raccolto la sfida di Bertolucci e abbia composto, dopo le
prime prove in versi, che, ispirate da dati della vita reale (si pensi in particolare a Sirena operaia,
che porta come sottotitolo un racconto in versi, ma anche alla plaquette Il gioco dei quattro
cantoni)(14), gi si muovono in direzione narrativa, il romanzo Il libro della famiglia.
Il titolo subito segnala, come daltra parte il titolo molto domestico di Bertolucci La camera
da letto, il desiderio dellautore di raccontare, con Bachtin, non il mondo altrui nel tempo
dellavventura, ma il mondo proprio nel tempo della quotidianit(15).
Attilio Bertolucci aveva raccontato di un libro di famiglia, (effettivamente presente nel
suo archivio), Memorie dei fatti straordinari(16) accaduti ai Bertolucci durante un lungo numero
danni e annotati da un antenato. Se da un lato giustificava la presenza, nel pi vasto orizzonte
della storia (uno dei fatti registrati fu lannessione della provincia al liberale Regno dItalia) di
quei particolari eventi riferiti alla campagna, alla societ agricola, alleconomia di una borghesia
agraria, proprietaria di case e terreni, dallaltro, proprio nellaccezione straordinari suggeriva il
valore della memoria famigliare, leccezione nellordine della natura e, pensiamo, lintervento e la
libert dellinvenzione:

Tutte le cose della Camera da letto, salvo il primo capitolo che fantasticheria, sono inventate,
inventatissime.(17)



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I materiali delle mie poesie sono stati da me raccolti quasi esclusivamente in famiglia, quella da
cui provengo, laltra che chiss come, ho, naturalmente in felice collaborazione, formato. Senza
di esse non avrei proprio saputo di che scrivere. Non avrei di conseguenza saputo vivere.(18)

La famiglia dunque al centro dellopera , tema arduo, se vero, - lo ricorda lo stesso
Bertolucci nelle pagine di Aritmie appena citate che dalla scandalosa frase di Gide: Io vi odio
famiglie a quella, non meno sorprendente, di James Joyce: Io non ho amato altro al mondo che le
mia famiglia a Freud(19), la famiglia nodo fondamentale dei rapporti umani, con Virgilio,
semina flammae: ragione dansia, di tensioni, buchi neri, nidi di vespe pungenti e persino di
vipere, ma anche supremo bene-rifugio.

La felicit
privata la sola protezione
che ci sia concessa contro langoscia della storia

abbiamo letto nel Viaggio di nozze, dove il tema dell intima stanza protettrice, luogo simbolo
dellesistenza umana, risuona intensamente, riannodandosi ai sensi che la tastiera della Camera da
letto ci propone continuamente.
La famiglia anche al centro dellopera di Alberto Bellocchio, che ne riconosce il valore
nel suo essere il segno della continuit. lo stesso forte legame chegli rivendica nellepigrafe(20)
del capitolo del Libro della famiglia intitolato Barbara e gli altri, vera e propria dichiarazione di
poetica: la trama che affiora dalle poche carte rimaste prende colore a poco a poco; ma come
penetrare nel segreto degli animi e della vita?

tracce ho trovato dentro me stesso:
pagliuzze doro a volta
e pi spesso fili di ferro,
turbamenti, voglia di perdersi
e una stella polare ferma
inchiodata a capo del letto.

Lampi e intermittenze, dunque, bagliori e legami profondi, forse dolorosi, spesso inquietanti; e
infine la poesia della memoria, stella polare ferma/ inchiodata, che raccoglie il passato e la storia
familiare, la trasmette e la perpetua.
Bellocchio, sulla strada aperta da Bertolucci, verso cui riconosce il proprio debito, sceglie
cos lo strumento del romanzo in versi per la sua storia. Sceglie di raccontarla in versi liberi,
raccolti in sequenze di diversa misura, e di suddividere la sequenze in capitoli, ora lunghi ora brevi,
che raccoglie in quattro parti assai variate, corrispondenti a quattro tempi della vicenda. Ma pi
esposta da subito langolazione, laica e razionale, critica, che si avvale di scansioni e formule
veloci, senza la rverie (la mappa rivelatasi in sogno) o le divagazioni sapientissime e le forme
diramate e ampie di Bertolucci. Dapprima epicamente, per scorci che riflettono il procedere
convulso della storia che scavalla come unombrosa bestia; sempre con un realismo lucido, che
descrive, rappresenta, tiene il passo della prosa, ma sincrina, sinnalza, si modula e si ritma nella
poesia, Alberto Bellocchio rifonda, al pari di Bertolucci, una propria patria poetica, che
abbraccia due spazi, diversi simbolicamente e visivamente, ma uniti dal sentimento e dallo sguardo
che li ripensano.
la storia di una citt, Bobbio, dalla sua fondazione fino al primo piano delle vicende della
famiglia dei Bellocchio. la storia di una citt nobile e antica e austera, petrosa e chiusa, che
sintreccia, attraverso il matrimonio di Bruno con una fanciulla della pianura, Dora(21), alla storia
di unaltra citt, anchessa nobile e antica, ma di costumi pi dolci, di una terra | e di unacqua


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ricca di suggestioni, di lasciarsi vivere, citt risplendente del colore giallo del tufo e che, aerea,
inalbera torri sottili: CastellArquato.
Le vicende dei luoghi e delle genti, della borghesia cui appartiene la famiglia, dellascesa
economica e del declino, scorre dunque sotto lo sguardo partecipe, ironico e acuto del poeta, che
valuta alla luce di salde idee di uguaglianza e di giustizia e che si rivela attento alla vita pubblica e
sociale anche nella lingua, forte e moderna, concreta e incisiva. Qualche specimen: nel capitolo
Benestanti e borghesi una notazione sul potere, il potere si distribuisce. Stanno col nuovo o col
vecchio?; o ancora, un trycolon che potrebbe rimandare a uno stilema costante in Proust e in
Bertolucci, ma con ben diversa valenza, tra i campi assolati infeudati accaparrati ; o la esemplare
sequenza sulla caccia del borghese, sequenza simbolica di quella riserva di caccia che il
censo, riserva di nobili, preti e borghesi.
Bellocchio sa bene che un libro di famiglia, libro di annotazioni, di acquisti di terre e case,
di passaggi di propriet di beni, di piccoli fatti delleconomia della casa, porta con s qualcosa
daltro; se opportunamente indagato e fantasticato, direbbe Bertolucci, porta con s lesistenza e
il destino, porta con s anche la storia pi vasta degli uomini, creando sofferenze e rimpianti,
speranze e slanci verso il futuro.
Per questo quel vento dal soffio lontano dellepigrafe in corsivo, che incontriamo in
limine alla prima parte, Gli antecedenti, limmagine potente e consapevole che ci guida lungo il
destino degli uomini e il destino della famiglia.
un vento di vita e di morte, di rivolgimenti e mutamenti; ora soffia incalzante ora brezza
pi lieve, pausa nel lento snodarsi e svolgersi di generazioni, per rinforzarsi impetuoso, rinnovare e
travolgere e di nuovo placarsi in un volo lieve dali dAngelo. Entra nei versi, anima il ritmo di un
narrare agile, vario e mai statico, appoggiato com su verbi dazione e su rari aggettivi o participi
o voci verbali, che si presentano nelloriginale scansione di coppia separata da una barra obliqua,
che sostituisce la congiunzione e crea una disposizione spazio-temporale mossa e accelerata:
savverte/fluisce; frettoloso/lontano; isolato/ accerchiato; sopravvivere/ crescere;
crudo/esigente; incupito/sbiancato; viziati/svagati; landa brulla/gelata; aprire/ allargarmi
la strada(22). Aggiungi a questo le enumerazioni e le immagini nominali che rappresentano e
incalzano, come nella bellissima sequenza La piazza. Com diversa di voci e di umori(23),
mentre le diverse voci, appoggiate a una sapiente plurivocalit, escono sulla scena, la ricolmano,
modulano e ritmano ora il lento svolgersi dei giorni, ora la violenza degli eventi esterni, delineano
caratteri e atti, facendo affiorare pieghe dellanimo, umori, malinconie di donne volontariamente
sacrificate (Carolina o Laura, ad esempio o la stessa Dora, la madre), tensioni di uomini attivi e
capaci, intrecci stretti con la tradizione o fughe in avanti verso il nuovo o verso il miglioramento
economico e il possesso.
un vento infine che, nel farsi alito soccorrevole o orma lieve pu accompagnare,
elegiacamente nella sottile malinconia della parola che si fa tenera e carezzevole, la fine di una vita,
del padre e della madre, di un fratello, Emilio, fragile e perdente(24):

Pareva che il vento spazzasse assieme alle foglie
la luce, la linfa preziosa.

un breve viaggio. Il tempo
dun colpo leggero di vento tra i noccioli
sulle colline tra le foglie dalloro
nellorto, che lallodola batta due volte
le ali

Lasciando un piccolo segno, lorma
leggera di una carezza, il profilo dun fiore
infilato tra i fogli dun libro. Una traccia


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al tavolo dove tu lentamente leggevi il tuo gioco
nella partita di poker, per ricordare
quel giocatore cui toccarono in mano
non favorevoli carte.

Alla fermata della corriera
una vecchia avvolta di nero.
Come in posa tra le erbe dellorto
una bambina senza memoria
vestita di bianco e di rosa. la Dora
che vola e che torna.

Le piace abitare le stanze dellaria
migrare.

Su tutte, la voce del Narratore, voce di storyteller, che si segnala come personaggio nella
seconda parte, dove la partitura assai composita, anche musicalmente e stilisticamente, poich
allinterno di capitoli fondati su monologhi sinserisce un vero e proprio racconto epistolare. Basti
ricordare lincipit ripetuto della Terra promessa Linizio fu magistrale [] Linizio fu magistrale
e si detto; o le sprezzature rapide che introducono modi popolari, ora conclusivi (riassumendo)
ora proverbiali: Amen; Ci siamo; meglio che vada in America!; Non si vive daria | alla
fine!; un infarto secco e addio! Basta! che giudicare il mestiere di Dio!; la testa sta tutto
l!in quanto, per sua stessa natura, | la testa si fa pane e vino, e lo moltiplica!)(25) per coglierne
la voce antica (anche anagraficamente se Carolina lo interpella vecchio)(26) e nuova nel guidare
le vicende, costruire la rappresentazione, animare la scena.
Mentre Bertolucci aveva scelto di narrare prevalentemente in terza persona, ricorrendo
poche volte a una figura di annalista, testimone-cronista o copista di giornate, e affidando
momenti epifanici e intimi alla prima persona in seguenze virgolettate; Bellocchio, che usa la prima
persona nella prima parte e nellultima, diviene figura autonoma nella seconda e terza, alternando
la sua voce a quella dei suoi personaggi che via via porta in primo piano. Cos la plurivocalit
diviene azione teatrale, rappresentazione, dialogo, improvvisazione e animazione. Si veda come
talora il Narratore si ponga proprio come attore (Eccoti qua, Barburinvieni avanti), ordisca la
trama dei giorni, dia il volto e lanimo dei suoi comprimari. Ma si veda anche come il Narratore si
ritragga quando lintimit dellaltro a dover essere indagata e a dover emergere.
Diceva Bassani, scrivendo della scelta del punto di vista, daver privilegiato componendo le
Cinque storie ferraresi la terza persona, tenendosi celato tra gli schemi tra patetici e ironici della
sintassi e della retorica(27); aggiungeva tuttavia che potevano affacciarsi difficolt anche morali
che impedivano allautore di penetrare nel cuore del suo personaggio. Allora si doveva abbandonare
il realismo affidato alla scelta della terza persona per apparire sulla scena e osar dire finalmente
io. quanto Bellocchio confessa quando si avvicina al padre (Comunque in lui non facile
entrareCe lo dica lui- allora- dove vuole veramente arrivare), introducendo uno dei monologhi
interiori che costituiscono, con la forma epistolare di cui si detto, la struttura fondamentale
dellopera.
Ma prima o terza persona che sia, alla sua voce di cantastorie affidato il significato
profondo di questa storia di famiglia, che si rivela passo passo, ma soprattutto negli ultimi
capitoli dellultima parte, Il libro di Dora. qui che si realizza e si scopre la ragione del romanzo e
il segno della sua unit narrativa e poetica , che riscatto e compenso dal trauma filiale di
unesistenza bloccata, segnata dalla privazione, divisa tra due mondi dissimili, quello paterno e
quello materno, tra il compito di far crescere lalbero della famiglia di Bruno (si veda il bellissimo
Lalbero dei talenti della seconda parte La pietra dei talenti) e la creativit inaridita di Dora, il suo
isolarsi e allontanarsi. Ma dopo la malattia dolorosa e la morte del padre, intransigente e costrittivo


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nella difesa del patrimonio e di uneducazione rigida e tradizionale(28), avviene la sua riscoperta
proprio attraverso la madre. Dora dapprima respira, ritorna la musica/ il canto, ritrova il tempo
dei veli leggeri/ e dei senza pensieri.lo stupidario felice/ dunet che di nuovo le danza intorno.
Poi lei, la madre, a spostarsi

[] al centro del gioco,
e attraverso il suo nutrimento recuperiamo
riaffiora quel genus paterno morto e sepolto-
che avevamo sdegnato di assumere in quanto
Assoluto Bellocchio. Lasciamo filtrare beviamo
dalle due fonti. Quella paterna, fin troppo presente
ossessiva dalla quale ci siamo difesi; ma ora la pietra
riprende a parlareQuella materna, non percepita,
da prima, durante linterminabile attesa nellastanteria
della giovinezza, ma presente in profondo,
venuta alla fine alla superficiefragile, lieve
ma ispirativa, ci attraversa ci permea
con nostra sorpresa. Ha un sapore intrigante,
come il rabarbaro delle sue caramelle.

Allora le dolcezze materne si coniugano con lautorevolezza paterna. Allora pu avvenire la
diaspora dei figli e, mentre giacciono a terra, nelleden fiorito della casa lance spezzate, cavalieri |
disarcionati e morti e feriti tra i fanti | tra quelli pi esposti pi fragili| scesi in campo con un
armamento leggero, ciascuno cerca la propria verit e tutti dicono addio a tutti. Allora nasce
la commozione e la piet.
Ed ecco che anche i luoghi, per un aggettivo ora pi affettuoso ora pi lieve ora pi
visionario, riacquistano quella grazia che riesce a rivestire anche la sofferenza e lorrore ed
propria della tradizione pittorica e poetica emiliana del Correggio, del Parmigianino, di Bertolucci.
La rivolta irrazionalistica contro la norma e la chiusura del vivere borghese famigliare dei
Pugni in tasca di Marco Bellocchio lascia spazio in questo romanzo in versi a una profonda pietas:
criticando dallinterno, alla luce della ragione e del sentimento, quel mondo famigliare e borghese,
paterno e materno, raccogliendone la storia dalle radici, attraverso i passaggi del tempo e del
destino, attraverso i luoghi, la pietrosa Bobbio, CastellArquato della fanciullezza ritrovata (terra
feconda che ha uve amabili e perfino | i salami sono gentili, acque salse e zolle | e colline di rosso e
di oro), Alberto Bellocchio ha saputo rappresentare anche la verit di dolore, di sconfitta, di
speranza, dillusione e di delusione , di nevrosi e dansia di libert che la famiglia aveva racchiuso
nel suo seno. Cos, ricolmando di vita lassenza, lio narrante si svela, non rallenta la spinta
narrativa e prosastica, ma la innerva con le ragioni del cuore, per risalire lungo i sentieri di una
liricit che accoglie le pieghe della tenerezza, della malinconia, della leggerezza, della fedelt.

Gabriella Palli Baroni

Note.
(1) Il presente intervento stato anticipatamente pubblicato su Nuovi Argomenti, n.32, Quinta serie, ottobre-dicembre
2005, pp. 348-362 col titolo Libri di famiglia nel paradiso emiliano: da Attilio Bertolucci a Alberto Bellocchio.
(2) La Lettera porta la data Parma, maggio 1938. Pubblicata in La luna sul Parma, Almanacco per il 1946-47,
Tipografia cooperativa Gazzetta di Parma, 1946, col titolo Per un amico; successivamente in Gli immediati dintorni,
il Saggiatore, Milano 1962 e in Gli immediati dintorni primi e secondi, il Saggiatore, Milano 1983, si legge ora in
Vittorio Sereni, La tentazione della prosa, a cura di Giulia Raboni, Introduzione di Giovanni Raboni, Mondadori,
Milano 1998, pp.9-10.
(3) Si rimanda al carteggio: Attilio Bertolucci Vittorio Sereni, Una lunga amicizia.Lettere 1938-1982, a cura di
Gabriella Palli Baroni, Prefazione di Giovanni Raboni, Garzanti, Milano 1994. Si ricordano in particolare le lettere del
17 settembre 1971 e del 12 gennaio 1980.


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(4) Di Viaggio dinverno (Garzanti, Milano 1971) Sereni scrisse nella lettere del 24 maggio e del 17 settembre 1971.
Della Camera da letto (Garzanti, Milano 1984 e 1988) il poeta conobbe i primi capitoli del poema, ma attraverso la
corridpondenza con Bertolucci aveva accompagnato litinerario compositivo del grande romanzo lirico. Le Opere di
Attilio Bertolucci si leggono ora nel Meridiano Mondadori, a cura di Paolo Lagazzi e Gabriella Palli Baroni, Milano
1997.
(5) Si veda in Una lunga amicizia, cit., quanto scrive a Bertolucci il 22 aprile 1965. La definizione risale a Linea
Lombarda- Sei poeti, a cura di Luciano Anceschi, Magenta, Varese 1952; poi in Del Barocco e altre prove, Vallecchi,
Firenze 1953.
(6) Attilio Bertolucci, Fuochi in novembre, Alessandro Minardi , Parma 1934; lopera stata ristampata nel 2004, a
cura della scrivente, nelle Edizioni San Marco dei Giustiniani di Genova. Per la storia della raccolta si rimanda
allEdizione critica in Attilio Bertolucci, Opere, cit.
(7) Si vedano i saggi Bertolucci e Officina parmigiana , rispettivamente del 1956 e del 1957, presenti in Passione e
ideologia (Garzanti, Milano 1960); si leggono ora in Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla letteratura e sullarte, a cura di
Walter Siti e Silvia De Laude con un saggio di Cesare Segre, Cronologia a cura di Nico Naldini, I Meridiani, Arnoldo
Mondadori, Milano 1999, pp. 1149-1160.
(8) Si segnala linfluenza di Keats particolarmente nei Fuochi in novembre (cfr. la Prefazione all edizione San Marco
dei Giustiniani, cit.).
(9) Il diario, conservato presso lArchivio di Stato di Parma, parzialmente inedito, se si eccettuano alcuni passi
pubblicati nella Cronologia del Meridiano Opere.
(10) un leit motiv nelle lettere di Bertolucci ad alcuni corrispondenti.
(11) Attilio Bertolucci, Il viaggio di nozze, Versi inediti a cura di Gabriella Palli Baroni con Disegni e acquerelli di
Carlo Mattioli, Universit degli Studi di Parma, Facolt di Architettura, MUP, Parma 2004.
(12) Il saggio si legge in Rivista di Psicologia Analitica, n.62, A. 2000.
(13) Il verso appartiene alla prima sequenza del cap. XXXVIII, Metamorfosi del corpo di N.
(14) Il gioco dei quattro cantoni ( Lietocollelibri, Como 1997) anticipa figure e temi dellopera maggiore; Sirena
operaia fu pubblicata dal Saggiatore, Milano 2000.
(15) A. Cicchetti- R. Mordenti, La scrittura dei libri di famiglia, in Letteratura italiana, Einaudi, vol.III, p. 1118.
(16) Il titolo del manoscritto Memorie dei fatti straordinari successi alla Casa Bertolucci ed altri degni di memoria
nelli anni 1837 e negli altri progressivi.
(17) Cos confida Bertolucci a Paolo Lagazzi in Allimprovviso ricordando. Conversazioni, Guanda, Parma 1997.
(18) Cfr. In nome della sacra camera da letto, Aritmie, in Opere, cit., p. 980.
(19) Bertolucci lesse con vivo interesse la Storia famigliare di un nevrotico. I casi clinici descritti da Freud sono
ricordati nel cap.XXVII Le sorelle della Camera proprio per laspetto romanzesco : [] e ancora il dottor Freud
descrive casi clinici | prolungando il romanzo, moribondo genere della sua classe in via dimmolarsi;.|
(20) Il poeta fa precedere la prima e la terza parte e alcuni capitoli da dediche introduttive in corsivo, cui affida il
senso delle vicende. Nella loro forma metrica richiamano gli Epitaffi di In rima e senza di Giorgio Bassani.
(21) Si ricorda che anche nella Camera pianura e montagna sincontrano nel matrimonio del giovane Bernardo con
Maria Rossetti.
(22) Questi esempi tra i molti dello stilema si incontrano alle pp.13; 25; 31; 32; 69; 73; 119; 125.
(23) La sequenza si legge a p. 61 del capitolo I turbamenti di Antonio della II parte.
(24) Le citazioni si leggono alle pp. 72; 185; 271; 277.
(25) Le citazioni portate ad esempio sincontrano alle pp. 62-69.
(26) Il verso si legge a p. 74.
(27) Giorgio Bassani, Laggi, in fondo al corridoio, in Opere, cit., pp. 942-943.
(28) Si colga peraltro, nella sequenza commossa che chiude il capitolo La canzone del salice, la poesia della fine e
della memoria: Il paradiso terrestre |interpretato in questo inizio dottobre |che sempreverdi miscela e alberi spogli |
foglie che volano e frotte di passeri | e il sole caldo del mezzogiorno li fonde | in una perfetta armonia. La montagna | gli
corrisponde, ai nostri occhi | esibisce i rossi cespugli della rosabella| Non farti scrupolo, prendi metti pi luce | che
puoi nel tuo cuore, affrettati | che il pomeriggio precoce| in un momento la collina scomparsa | non vedi che
nebbie.



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Rigenerazione a Kassel:
I l giardiniere contro il becchino di Antonio Porta

1
Una delle utopie possibili quella di condurre l'origine della poesia dal concetto primario di
costruzione linguistica a una forza liberatoria che possa fluire nel poema. La scansione lunga del
testo poetico, con il suo portato di intenzionalit e giustificazione stilistica, una delle prove
estreme a cui il poeta pu essere sottoposto. La poesia dichiarata nella singola verit dell'emergenza
poetica pu trovare destinazione in alcune sequenze poetiche che hanno fatto riflettere alcuni poeti
sul concetto di allargamento dell'immagine della poesia. La poesia come valore di suono di tempo
di immagine prismatici non soltanto attraversata da un tipo di intenzionalit speculativa di stampo
narrativo. Qui si vuole descrivere non tanto l'effetto di una storia su di una singola poesia ma come
questa possa indurre il poeta a creare una situazione stilistica invocante l'accesso a una percezione
ulteriore dalla poesia al poema. La camera da letto di Attilio Bertolucci, con il passo della natura tra
i sentieri e i boschi di Casarola, scritto per sfida al precetto stilistico di Edgar Allan Poe nella sua
Filosofia della composizione sulla non riuscita del poema a causa di una perdita di intensit
stilistica nel corso del tempo della poesia (e di attenzione creativa da parte del lettore), un poema
orientato a coinvolgere in uno spazio temporale, come la Recerche del suo amatissimo Marcel
Proust, i segni precisi di una vita in formazione dall'adolescenza alla maturit del giovane poeta.
Bertolucci non comprime la materia nel restringimento di immagini di verit, focalizzando
l'emergenza della poesia, ma la rivitalizza nella memoria lunga del poema. A Bertolucci paiono
estranei effetti transitori che preparano a una compattezza poematica; il suo sistema poetico tende al
poema, il poema. Invece quelli di Vittorio Sereni Un posto di vacanza, di Antonio Porta La lotta e
la vittoria del giardiniere contro il becchino, Airone, di Zanzotto Galateo in bosco, di Pasolini con
Le ceneri di Gramsci, di Giovanni Giudici La vita in versi, di Mario Luzi Viaggio terrestre e celeste
di Simone Martini, di Giorgio Caproni con Il conte di Kevenhller per giungere a Il disperso di
Maurizio Cucchi, si spostano (e alcuni a strappi, a lampi lirici coinvolgendo un lacerto di tessuto
narrativo) dalla poesia alla frammentazione poematica. Dall'informale decretare uno stato non
confuso, una legislazione della poesia, il fondamento (forse testamentario avrebbe sottolineato
Montale) della rincorsa della poesia verso il fine ultimo del poema. Ma pu esistere una legge della
poesia che da una singolarit di un verso possa ottenere una garanzia futura come richiede
l'escursione verso il poema? Se scalare una vetta poetica un Himalaya, perch si trovano nel
proprio percorso residui altrui immettendoli nella concezione stilistica (nella voce della poesia),
scalare la vetta del poema significa arrampicarsi su tutti gli ottomila del pianeta; e non essendoci pi
una forma acquisita pu darsi che Sereni e Porta si siano trovati di fronte allo stesso problema:
come codificare un'esperienza di poesia nella lunga sequenza poetica senza sprofondare nella
ripetizione patetica della poesia rinvigorendo quella forza che l'ha fatta scaturire.

2
Sia a Vittorio Sereni che a Antonio Porta nel comporre le loro opere-poema non pu apparire
estraneo un vortice di espressioni artistiche rompenti con il figurativo trapassando l'elemento
visibile della natura poetica. La Natura osservata subisce un impatto esistenziale da parte di artisti
come Jackson Pollock o Ennio Morlotti. La loro pittura una pittura drammatica, spacca l'oltranza
spaziale rendendo autonomo un dato emozionale. Francesco Arcangeli in Dal romanticismo
all'informale ha scritto pagine mirabili sull'argomento. Come ci interessa, inoltre, marginalmente
l'uscita del poema inteso come accadimento della storia ( il caso di Roberto Roversi con Dopo
Campoformio). Ci interessa, piuttosto, la ridefinizione di una storia personale, filamento continuo
che intreccia situazioni con suggestioni molto vicine ad una idea di pulsazioni elementari quasi
primordiali. E come da queste ultime nascano altri filamenti creativi ancora sempre in progress,
sempre definiti-indefiniti. Mi interessa la cultura nomade della scrittura. Porta parla di nomadismo


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della scrittura poetica. Paul Celan presentando una scelta di poesie di Osip Mandel'tam in lingua
tedesca scrive di un luogo che pu essere percepito e raggiunto mediante la lingua, questo luogo
un centro da cui si ricava forma e verit. Credo che la lotta del poeta contemporaneo si svolga nel
ritrovare (nel ricercare) il centro del poema, il suo spirito generativo. La lotta sempre la stessa.
Spiega Paul Celan: il poema cerca, credo, anche questo luogo. Il concetto di poema, pi che mai
nella nostra epoca sfrangiata e veloce, sta nella definizione di un luogo irripetibile (una ripetizione
dell'esistere sonda pulsante di verit in Sereni), sapendo per che la definizione di questo luogo
della poesia non pu mai essere stabilito per legge irrevocabile. Il luogo definisce il poema, ne capta
le sue possibilit d'emergenza e d'espressione, come il poema definisce il luogo, il precetto di una
dimora sacra. Questi due elementi, il poema e il luogo, sono due sponde di verit esistenziale, sono
due modi equivalenti di rispondere a una medesima domanda, a una medesima interrogazione.
Scrive Celan: qualcosa accade. E' nell'ambivalenza simmetrica, spaziale, di un pensiero ossessivo
(forsennato nel tempo) come una premonizione che si pu svolgere la voce della poesia divenendo
dilatazione sintattica d'immagini nell'esecuzione del poema. E' il disegno informale, per meglio
dettagliare una stratigrafia esecutiva, che si muove sotto la luce del poema, nella penombra
semilucente di un'altra realt. Quando Antonio Porta spiega la nascita (celebra la nascita) di una sua
poesia osserviamo nelle sue parole l'eccezionalit dell'accadimento-evento. La forma prende
coscienza: nelle sue parole-lingua si formano stratificazioni geologiche dall'immenso potere
elettivo. Nel giovane Porta, in una delle sue prime letture catapulta verso il futuro del poema, c' la
poesia lirico concettuale del romantico tedesco Novalis. Una poesia, quella di Novalis, intessuta di
valori simbolici in cui la natura assume un ruolo di rispecchiamento esistenziale nella mente del
poeta. La poesia lirico-filosofica delle Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke non estranea al Porta
novissimo. Possiamo intravedere nel progetto di poesia si Antonio Porta una tensione verso la
poesia-poema, una fertile materia in movimento, con continue accelerazioni di instabilit lirica. E
con una certa naturalezza e istinto la poesia di Porta rompe il filo della fossilizzazione terrestre della
poesia, la sua compiutezza formale con inclinazioni neoclassiche (il vero spettro della poesia
poematica italiana).

3
Nell'Assia settentrionale ogni cinque anni si svolge la pi importante mostra d'arte contemporanea
in un piccolo paese della provincia tedesca: Kassel. S'intitola Documenta e dal 1955, anno della
sua inaugurazione, richiama da tutto il mondo i migliori artisti di arte sperimentale e, in particolare,
di quegli artisti che con la Natura hanno creato percorsi artistici, opere d'arte. Per LAND ART
s'intendono (cercando una possibile definizione) quelle composizione materiche fatte elaborando
paesaggi naturali, territori, boschi, corsi d'acqua, utilizzando la casualit della natura per eseguire
tragitti sperimentali dove l'uomo sia come assorbito dalla primordialit di un luogo. Un proverbio
indiano dice: gli specchi d'acqua sono gli occhi della terra. Vicino alle cascate del Niagara Nancy
Holt crea una installazione di sei vasche di calcestruzzo, che attigui al corso d'acqua plasmano una
componente armonica di specchi d'acqua artificiali al cospetto di nuvole transitanti nel cielo. Questa
installazione s'intitola Hydra's head. Il termine installazione richiama crediamo bene gli ultimi
progetti infiniti di Antonio Porta. In particolare due poemi: La lotta e la vittoria del giardiniere
contro il becchino e Airone contenuti nell'ultimo libro pubblicato nel marzo del 1988 da Porta
proprio con il titolo Il giardiniere contro il Becchino. All'interno del volume questi due poemetti
(che aprono e chiudono la raccolta) sono divisi da altre lunghe sequenze poetiche che hanno
un'origine poematica e teatrale come si ravvisa dal testo Fuochi incrociati. Quando nella primavera
del 1988 Porta fu invitato a parlare del suo nuovo libro all'Universit di Bologna disse alcune cose a
presentazione del poemetto Il giardiniere contro il becchino: Porta cita Anselm Kiefer visto in una
recente Documenta di Kassel; poi prosegue il suo discorso parlando del maestro di Kiefer Joseph
Beuys:

un artista che, come tutti gli artisti di Kassel, come tutti gli artisti di adesso, credo, va al di l di


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un semplice progetto artistico, caricando il linguaggio di significati anche politici. Di qui, per
esempio, il progetto delle settemila querce: nei Documenta del 1982 Beuys infatti non ha
portato opere ma ha piantato alberi. In quest'ultimo Documenta invece aveva approntato una
sala stupenda con un grande cervo sacrificato con le feci disposte sul pavimento, che io descrivo
nella mia poesia. Il viaggio che mi ha portato a Kassel attraverso la Germania, gli otto/nove
giorni in cui, in macchina con mia moglie, ho percorso questa terra, mi ha consentito di
confrontarmi con le percezioni del viaggio medesimo, ma soprattutto con quelle che ho raccolto
guardando le opere esposte alla mostra, opere quindi gi filtrate, che filtravano un sistema di
percezione: mi sono messo cos a prendere appunti e a scrivere, ho descritto quadri, stati
d'animo, situazioni, portando avanti il progetto di poesia lunga. Cosa significa scrivere una
poesia lunga? Significa non potersi fermare al momento lirico, continuare il discorso e
svilupparlo, perch questo fa il linguaggio della poesia cos come l'ho concepito in questo libro.
(da il Verri, n. 1-2, 1990, Poesia e Percezione, a cura di Niva Lorenzini).

Porta continua a riflettere sulla propria concezione di poesia lunga dicendo: io ho inteso portare
avanti la poesia lunga come un viaggio, ridefinendo una propria poetica come quella di una poesia
in fieri, sempre in viaggio, accentuatamente diaristica. Una definizione della poesia sempre pi
come necessario esperimento esistenziale. Porta insegue dei vasi comunicanti con il pubblico
attraverso un esercizio verbale diretto libero da linguaggi troppo in penombra (oscuri). E' un poeta
che scopre la luce del linguaggio. Porta predilige una contaminazione del suo fare poetico, una rete
quasi nervosa e sotterranea di elementi istintuali, percettivi. La poesia lunga pu essere un poema.
Versi come: Aprile il pi crudele dei mesi, genera/ Lill fuori dalla terra morta, mischiando/
Memoria e desiderio, risvegliando/ radici sopite con la pioggia di primavera; origine della Waste
land di T.S. Eliot (una lettura forte per Porta e per la sua generazione anche per un poeta da lui assai
diverso come Giovanni Raboni), la fiamma illimitata, l'immagine feconda, che alimenta l'inizio e
lo svolgimento del poema. La parola inglese stirring contenuta nel poema di Eliot tradotta (da
Roberto Sanesi e con molta efficacia evocativa) come risvegliando. Pensando alla poesia di Porta si
pu anche unire al risveglio l'eccitazione del risveglio e scrivere: Memoria e desiderio, eccitando/
radici sopite con la pioggia di primavera. L'intrico delle immagini a scalare eliotiane; una certa
laconicit del dettato; la poesia diventa essa stessa documento, referto esistenziale. Forse Porta
voleva, in fondo, dichiarare una certa estraneit della sua poesia rispetto a un tipo di poesia lirica, di
sintesi da stagione petrarchesca. La sua scommessa verso un tipo di poesia sperimentalmente lunga,
asintattica, metamorfica, di forte spessore intellettuale, non narcisistica e documentaria.

4
Nell'aula 3 semideserta Antonio Porta cominci a leggere La lotta e la vittoria del giardiniere
contro il becchino. C'era molto silenzio.

Davanti alla vetrata il tumulo
carbonizzato, travi e cenere,
al di qua della vetrata
la stanza del museo tomba di se stessa
ma il giardiniere tranquillo
comincia a piantare la prima
di 7000 querce in programma
proprio davanti alla porta d'ingresso
dopo averla ostruita con pietre
e tronchi e terriccio e muschio
in memoria del re dei pastori,
del cervo folgorato,
delle feci sparse nel prato.



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La sua figura si stagliava contro l'ombra di una lavagna nera che gli dava le spalle. Si sentiva che
era un eccellente lettore delle proprie poesie. Sapeva essere ironico. Mentre leggeva questa poesia
lunga (o possiamo adesso parlare di poema?) sapeva quando fermarsi, accennare a un sorriso, uscire
dal poema, dire qualcosa, per poi tornare a leggere con indomita freschezza i propri versi. Parl
anche di New York, disse qualcosa su quella citt. Tornano alla mente (siamo negli anni settanta) le
poesie orfiche e poematiche nella costruzione di un personaggio alter ego di John Berryman, e i
notebooks, le poesie cadute sull'istante del sonetto come pagina di diario, evento del quotidiano, di
Robert Lowell. L'immagine che intuivo di Antonio Porta era quella di un poeta non esoterico. Il
poema ultimo di Porta (e lo si nota in Airone) il poema in sequenze di un poeta che cerca altre
modalit dalle consuete espressioni liriche. La stessa figura allegorica dell'airone vuole inaugurare
nuove percezioni e scoperte per la poesia di Porta. Molti appunti riguardanti Airone sono stati presi
in aereo, nella percezione del paesaggio da lass attraversato. La poesia di questo ultimo Porta ha
un atteggiamento verso il linguaggio molto visivo. Nelle immagini coagula una intenzionalit della
poesia che fuoriesce nel discorso sociale e dunque non solamente nella introspezione linguistica.
Penso che in fondo Porta combattesse contro una sperimentazione oscura della poesia. Ci sono
voluti anni a Porta per scrivere questi due poemi contenuti nel suo libro finale. La poesia deve dire
non solo la poesia, ma dichiarare una diversa socialit dello scrittore in versi, un disadattamento
come genetico nei confronti della societ. Mettere in pratica queste parole. Il poema di Porta
diventa un poema della natura, una Poetry Land Art. Sapeva essere ironico Porta. Conosceva, e lo si
percepiva, il gioco splendido e putrido della poesia. Nel mentre leggeva alz gli occhi e si ferm.
Disse con un lieve sorriso come una smorfia addolcita sulle labbra che aveva sbagliato a leggere un
verso ma che cos non ci si pu far nulla perch la poesia sempre in costruzione. Quindi riprese
la lettura quasi con maggiore sicurezza, come se la poesia, proprio come quegli alberi piantati da
Beuys, fosse continua primordialit espressiva, rigenerazione.

Andrea Gibellini



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passi passaggi (e paesaggi)

tutto sembra muoversi ma in fondo tutto fermo
Remo Pagnanelli


Lidea della forma-poema o comunque di una struttura in qualche misura poematica ritorna con
molta frequenza nella poesia italiana degli ultimi decenni. Nei suoi scritti critici Remo Pagnanelli vi
era tornato sopra pi volte, facendola collidere da un lato col progetto del romanzo in versi,
dallaltro col miraggio autoriale del grande libro unico. Pensando subito allepisodio pi eclatante e
anomalo, La camera da letto di Bertolucci, si direbbe che la poesia in vario modo sia stata il tramite
di una ricerca di coesione e didentit, psicologica ed esistenziale, ma anche, pi profondamente,
naturale o biologica, di contro a una pressione della realt che andava invece verso il
disorientamento e la dispersione. Lunit del personaggio e dellopera, dunque; da intendersi questa
non tanto come alternativa formale, estetica, quanto come possibilit di una conoscenza non
episodica, di una diversa formulazione del tempo, se non come aspirazione a un affrancamento dalla
storia e dalla pi superficiale temporalit cronologica. Sulla falsariga, com noto, della memoria
proustiana, nel caso di Bertolucci il poema alla lettera fa centro su ripetizione, identit,
intermittenza, circolarit, a contraddire o piuttosto a irreggimentare il corso narrativo del romanzo
propriamente detto. Linea e circolo riassumono due figuralit, scriveva Pagnanelli riguardo alla
Camera da letto, non conciliabili. Dentro il romanzo, malgrado la progressione dei capitoli, isole e
picchi di senso, avverto nel protagonista un identico comportamento psichico. Ecco allora che il
tempo della Natura, antinomico a quello della Storia, nasconde la concordanza fondante (risultato
del viaggio bertolucciano) con il non-tempo dellEs. Un tendere indifferente e coatto a ripetere
verso la stasi atemporale, cos anche definir il movimento profondo del poema, richiamandosi
subito a Freud di Al di l del principio del piacere.
Pagnanelli, che peraltro un critico notevole, un cacciatore dinvarianti psichiche, di archetipi
antropologici, di costanti poetiche. E questo se per un verso rende le sue interpretazioni oltremodo
suggestive, in quanto sempre riportate a questioni assolutamente radicali ( una critica catartica la
sua: febbricitante, necessaria, ultimativa), per laltro porta almeno tendenzialmente a una sorta di
reductio ad unum degli autori considerati. La sua attenzione ha battuto ossessivamente e insieme
consapevolmente sempre sullo stesso, identico nucleo metaforico e creativo, al punto che nella sua
pratica critico-poetica passione e ideologia non risultano divergenti, come in Pasolini (ch
comunque un suo riferimento importante), ma si sovrappongono fino a coincidere perfettamente.
Nel caso del poema di Bertolucci, ad esempio, questo lo ha forse portato a sottovalutare la ricerca,
da parte del poeta, di un accordo non con la Storia, certo, ma col Tempo della vita in quanto tale, il
tracciato di un destino che tenta di definirsi non contro ma nel tempo, con il tempo, assecondandolo
e insieme impadronendosene, come a trovare un punto daccordo tra il battito della vita e quello del
proprio cuore. Nellalternanza anomala, irregolare, aritmica ricordando ovviamente la poetica
dellextrasistole di sistole e diastole, il poema, per quanto composto in modo spesso sussultorio,
rappresenta anche il momento della distensione, della percezione e dellimmissione nel fiume del
cosiddetto tempo lungo, della possibilit di un senso narrato. Apprendere la disciplina del tempo per
meglio possederla. Piuttosto che un fuga o una sottrazione, i capitoli della Camera da letto sono
come una grande mano tesa a catturare il senso del tempo. Desiderio, egoismo, anche terapeutico
(giusta la leggenda bertolucciana) da un lato, e magnanimit e condiscendenza dallaltro, almeno
nellintenzione sembrano corrispondersi. Bertolucci apre le braccia per catturare di pi e riportarlo
tutto a s. Per accentrare deve aprire la diga. Il grande epos famigliare onnicomprensivo proprio
questo, del resto: qualcosa come laspirazione a una comprensione, forse meglio a una saggezza del
tempo, anche se ovviamente mai del tutto pacificata, perch per un poeta a sangue caldo,
esemplarmente nevrotico come Bertolucci, latarassia resta comunque lontana, estranea, come una
specie di poco umana ibernazione.


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Proprio per questo, pur con tutte le sue sfilacciature e oscillazioni di presa, si pu prendere La
camera da letto come lopera di riferimento in cui il tracciato storico-esistenziale del personaggio e
lorganizzazione narrativa appaiono pi forti, pi strutturati e unitari. Per quel poco che valgono le
periodizzazioni, vero infatti che a partire dalla fine degli anni settanta, e poi pi marcatamente nei
due decenni successivi, istanze e soluzioni espressive che, come ho detto allinizio, si possono
definire in senso lato poematiche, hanno percorso una strada diversa, molto meno unitaria e
conchiusa di quella di Bertolucci, anche se poi innegabili necessit, avvertimenti e percezioni
comuni, prima fra tutte quella di unalterit-alternativa tra tempo storico-cronologico e tempo
naturale, non possono essere considerate qualcosa di soltanto episodico o accidentale. stato
riconosciuto piuttosto concordemente che Passi passaggi, uscito nel 1980, rappresenta una rottura
nello svolgimento della poesia di Antonio Porta e lapertura di una stagione nuova: allontanamento
dalle coordinate della neoavanguardia, nuova attenzione per listanza comunicativa, rapporto pi
frontale e disponibile con la realt, tensione verso nuovi orizzonti insieme esistenziali ed espressivi.
Porta, che prima parlava di aprire ora parla di passare (prima si trattava di fare esplodere un
sistema, ora di trovarne un altro). Togliendosi di dosso gran parte della rigidit e degli schematismi
linguistici per partito preso che ne avevano limitato il cammino precedente, Porta comincia da qui a
scrivere sempre pi marcatamente per sequenze brevi o medio-brevi, a volte anche brevissime,
dando un nuovo impulso energetico e soprattutto una nuova prensilit e mobilit alla sua lingua
poetica, che a questo punto diventa al contempo pi materica e pi elastica. Forzando un po la
contrapposizione, Passi passaggi segna lo spartiacque tra un poeta del linguaggio e uno della
lingua, tra un poeta prevalentemente passivo rispetto allimmagine ed uno tutto desiderio e
penetrazione, o ancora tra un poeta che vede la lingua della poesia, che per questo gli rimane in gran
parte estranea, come uno schermo immobile davanti a s, ed uno che quella lingua capace di
toccarla, di ascoltarla, in un senso quasi esclusivamente fisico di sentirla, facendone allora
qualcosa di suo. Corporeit, plasticit e dinamismo, scorrevolezza, capacit di respiro, sono le
principali qualit che alla sua poesia si sono in genere riconosciute.
Comunque sia, ho fatto riferimento a Porta in quanto mi sembra che questo suo titolo, Passi
passaggi, definisca con precisione non solo il fare poesia dello stesso Porta, ma anche un
atteggiamento poetico trasversale alle generazioni poetiche e piuttosto diffuso dalla fine degli
settanta lungo almeno i due decenni successivi, teso non a un accentramento biografico o
memoriale, ma al contrario ad una inevitabilmente discontinua, oscillante immissione-immersione
nella corrente del tempo, come a cavalcare lenergia delle cose. Sono in molti in quegli anni a
scrivere per passi passaggi, intendendo con questa formula (vado per le generali, ne sono
consapevole) sia un certo modo dellespressione la sequenza, la successione di frammenti o
riprese, un durata coincidente col singolo sguardo, boccata, presa o, pi in genere, appercezione di
realt , sia il senso dellattraversamento, del trascorrimento o appunto del passo passaggio, ora
traguardato su di un orizzonte storico-epocale, ora invece, di solito pi profondamente, riferito al
continuum della natura, al farsi e disfarsi del mondo, allenergia della vita e della nuda materia. Il
frammento-sequenza allude allora a un ingresso provvisorio nel tutto, a una sintonia momentanea
con la durata, con il flusso della vita e la sua capacit ininterrotta di metamorfosi e rigenerazione.
in questo senso che ho parlato di disposizione poematica. Si tratta infatti di un procedimento
sostanzialmente rapsodico non lontano da una sorta di poema musicale e, per quanto riguarda la
visibilit, da talune possibilit suggerite dalla tecnica cinematografica che punta
sullimmediatezza, sul cortocircuito con la situazione contingente, con le risorse, anzitutto fisico-
naturali, disponibili e bruciate nella contatto diretto con la singola situazione di riferimento, che con
la sua evidenza e necessit intrinseca finisce per imporsi, quando vi siano, anche sulle coordinate
ideologiche e sulla predeterminazione conoscitiva dellautore. Di conseguenza ci si trova in
presenza dimmagini fortemente dinamiche, volte a cogliere e ad assecondare, quasi veleggiassero
sulla sua corrente, il trascorrere delle cose. Non un caso che in genere queste scritture risultino
orientate a un allentamento dei legami e delle gerarchie sintattiche, a una prevalere dei gesti e delle
percezioni, a una fluidit che si vuole tuttuno col movimento, con la successione e il non finito.


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Solo qualche esempio. Si va da Ceni, col suo poema visionario e naturalistico costruito dalla
seconda met degli anni ottanta come una successione dichiarata, appunto, di passaggi, oppure dal
Piersanti di Passaggio di sequenza (1986), il suo libro pi ricco dimmediatezza sensoriale
(significativamente, questi sono per lui anche gli anni dei film-poemi), fino alla forma poematica
aperta, strutturata per frammenti come una specie di work in progress, che Riccardi ha cominciato a
ad assemblare (o a raccontare) con Il profitto domestico (1996). Ma si possono pure ricordare certe
riuscite di Conte, tra Lultimo aprile bianco e LOceano e il Ragazzo (del resto, non si d Ceni
senza Conte), ma anche i fotogrammi poetici del pur diversissimo Benzoni, che accompagnava il
suo Fedi nuziali (1991) con lindicazione: Questo libro si pu considerare un lungo piano-
sequenza (dico con il cinema) di tre anni. In pratica un diario senza montaggio. Peraltro anche
LItalia sepolta sotto la neve di Roversi, con uno sguardo stavolta tutto portato sulla storia
(costretto alla storia dallemergenza dei tempi), composto per sequenze narrative di durata
variabile.
Ma comunque a Pagnanelli che voglio tornare, perch credo che nella sua poesia, e in particolar
modo nel suo libro pi alto e maturo, Preparativi per la villeggiatura (scritto tra il 1985 e il 1987,
uscito postumo nel 1988), la formula dei passi passaggi si sia definita in modo estremamente
originale e complesso, attraverso una configurazione dellimmagine e un orientamento del discorso
poetico che, se si torna a pensare a Porta, risultano molto diversi se non addirittura opposti.
Pagnanelli infatti un poeta testamentario, stanziale in senso etimologico, caustrofilico. A
differenza del prometeico Porta, il vento o meglio, visto la presenza onnipervasiva dellelemento
fluido, la corrente della trasformazione non legata in Pagnanelli al potenziamento dellenergia
vitale, allunione-accoppiamento con la forza anche molecolare o linfatica del bos. Al contrario,
qui il transito-passaggio costituisce un progressivo assottigliarsi della vitalit, dello spessore e del
respiro delle immagini; un procedere verso il silenzio e lazzeramento, come si dice in cimitero di
guerra.
Preparativi per la villeggiatura un libro eccezionalmente rapsodico, concepito come lo
svolgimento di pochi essenziali motivi riconducibili tutti allunico grande tema di tutto Pagnanelli:
labbandono della vita vere e proprie linee melodiche (Pagnanelli raggiunge senza dubbio
leccellenza quanto ad orecchio e qualit del suono) di un flusso poetico unitario che simpone sulle
singole unit testuali. Anche qui ci sono ovviamente testi poesie e prose poetiche pi o meno
organici e compiuti, ma il singolo componimento non viene chiamato a rappresentare di per s la
totalit del sistema espressivo del poeta. La corrente, il passaggio (appunto), la sequenza di
attraversamenti possiede comunque un rilievo maggiore delle tappe particolari. Semmai in ogni
poesia si ripete la formula sereniana della ripetizione dellesistere Pagnanelli laveva fatta ben
sua, fino a condurla allestremo e come al di l di se stessa la stessa meccanica di definizione e
negazione, di disegno e cancellazione. Si potrebbe forse parlare di variazioni sul tema, se non fosse
che un progressione quieta, sicura di s e, davvero lo si pu dire, implacabile, percorre il libro
dallinizio alla fine, letteralmente bruciando dietro di s il terreno, passo dopo passo, passaggio
dopo passaggio, paesaggio dopo paesaggio. Del resto, lo stesso titolo del libro, memore della
vacanza sereniana, rimanda s a una sospensione del mero tempo cronologico che potrebbe
coincidere col tempo della poesia, ma insieme con unironia che viene dritto dritto da Leopardi,
filtrata soltanto dallultima stagione poetica di Montale allo scavalcamento di quella soglia che
costituisce il limite del tempo della vita, verso quello che fin dallinizio della sua vicenda di poeta
Pagnanelli ha designato anzitutto come dopo.
Ma vero poi ecco subito il paradosso e la singolare natura di questa poesia che il discorso
poetico nella sua interezza orientato verso limmobilit, linvarianza, verso quella condizione che
Pagnanelli, lo abbiamo visto, ha definito come non-tempo, come stasi atemporale. Anche senza
bisogno di pescare nella sua terminologia poetica e critica (assai nutrita, com noto, di letture
psicoanalitiche e antropologiche), questa una tensione che si pu rilevare a tutta prima dai titoli
delle sue raccolte poetiche, divisi anchessi tra spostamento e chiusura: Dopo, Musica da viaggio,
Preparativi per la villeggiatura, da una parte, Atelier dinverno, Orto botanico, dallaltra. proprio


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su questa particolare, forse irripetibile sovrapposizione di movimento e fissit in Preparativi per la
villeggiatura che intendo fare qualche considerazione. E dunque: sul flusso narrativo o poematico,
ma insieme sul funzionamento intrinseco dellimmagine. Sono convinto infatti che tanto il discorso
poetico quanto le singole immagini siano governati qui da una particolare regola inversa. Pagnanelli
si affida al tempo-movimento per negarlo (questa la sola speranza di cui si pu parlare per la sua
poesia), ma reciprocamente staziona nellimmagine per scavalcarla. Interroga i paesaggi come
fossero specchi, chiedendo loro di parlare del dopo, per il dopo. In una poesia dove tutto, a
cominciare dalla voce di chi parla, appare incredibilmente calmo, misurato, gentile, non esiste da
questo punto di vista alcuna ortodossia (la naturalezza della perversione, la routine dellabnormit:
Pagnanelli sembra avere imparato da Kafka a svegliarsi un mattino coleottero e a non
meravigliarsene affatto). La dirittura consueta del procedimento di significazione viene
strumentalizzata e violata. Pagnanelli un eretico della grammatica del senso poetico, che adotta,
riconosce e fa completamente sua anzitutto per desautorarla e liberarsene. un eretico, dunque,
perch si d una regola e una disciplina, perch fa riferimento a una pratica codificata, a un sistema
espressivo e simbolico ben determinato, a quello che per lui era a tutti gli effetti il grande codice
della poesia, il suo codice (alludo alla lingua, ai moduli espressivi, alle configurazioni tematiche del
Novecento poetico, e anzitutto dei suoi maestri elettivi: Montale, Sereni, Bertolucci, Giudici), che
per intrepidamente utilizza manomettendolo, sovvertendolo, cio deviandone o appunto
pervertendone modo e significato. Lequivoco in cui sono incorsi vari lettori anche attenti di
Pagnanelli stato quello di pensare ai suoi tanti paesaggi, corsi e specchi dacqua, ai giardini-elisi,
alle vacanze e sospensioni semi-oniriche, alle sue musiche sottili sottili e insinuanti, come a una
specie di significante positivo, di miraggio accarezzato, di sotto-realt o oltre-realt o contro-realt
testimoniata e ambita dal poeta. Come una specie di visione o di ultrasuono paradisiaco. Non cos.
Portando anche qui al capolinea una serie di situazioni tipiche della poesia del Novecento inoltrato
il dormiveglia, il mezzo sonno, il mezzosogno, la distrazione, lintravedere, il trasognamento, la
vacanza, ecc., questo scrittore dai modi poetici, lo ripeto, gentilissimi, strappa una dopo laltra
tutte le carte e le rappresentazioni. Nessun paesaggio-illusione, nessun incontro vale ad arrestarlo, a
trattenerlo, ma solo talora a rallentarlo un poco ecco il senso del suo viaggio. Tutte le immagini,
tutte le musiche vengono svelate come pure e semplici contraffazioni, nientaltro che inganni, come
viene dichiarato sempre in cimitero di guerra, lo splendido pome en prose che si trova quasi al
termine dei Preparativi e a cui di recente ho dedicato un ampio commento. Pi si avanza nel libro,
pi le immagini sassottigliano e le musiche entrano in sordina, facendosi al contempo per il poeta
pi accattivanti e lusinghiere, pi perfette (laggettivo suo), poich sempre pi approssimate alla
condizione-silenzio sperata. Ma, alla lettera, non se ne salva una. Nessuna passa la prova. Figlio
dellultimo Leopardi e di Kafka, Pagnanelli non certo uno scrittore negativo (se pure mai tra i veri
scrittori ne sono esistiti), ma uno scrittore della negazione.
Vediamo allora solo qualche esempio di queste immagini e definizioni, sempre ricordando come
lorientamento di Preparativi per la villeggiatura sia estremamente coerente e unitario, il rigore del
suo dispositivo di significazione inflessibile. Non una stazione, non un paesaggio-passaggio, se non
come consapevole e momentanea eccezione-illusione, si sottrae alla legge della processione
dellimmagine dal e verso loblio, la cecit e il silenzio, che costituiscono poi i terminali a cui tutto
viene commisurato, il polo a cui tende lago magnetico della bussola di Pagnanelli. Al che non pu
non risultare paradossale, se non perfino contro-natura, una significazione che ha come parametri
del senso dei non-significanti: ambirebbe le acque inarrivabili, / nonostante la bassezza, e del tutto
incoscienti, / inconsce per opacit, per esilio cromatico (la bocca antiquaria non sillabante). E
dunque: perdita della memoria: la beanza della dimenticanza (Nord), lauspicio di passare la
porta oltre cui si pu dimenticare e essere dimenticati (cimitero di guerra); una perdita che
riguarda direttamente la letteratura, che anche e tanto pi per Pagnanelli proprio della memoria la
depositaria principale: (i detti memorabili linghiotte il sonno, le acque della destinazione non ci
sono state destinate), scrive al termine nellultimo dei (quattro motivi) numerati per in ordine
decrescente, come un conto alla rovescia che procede verso lo zero. Lacqua che ha memoria,


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cos anche la si definisce in come suggerite dallacqua, un breve testo giocato di sponda con la
sereniana Giardini, una poesia degli Strumenti umani. Se questa meta non solo non data ma si
riconosce come inesistente, il senso del viaggio come direzione e come significato viene
letteralmente a mancare, il movimento non conduce da nessuna parte. In Preparativi per la
villeggiatura Pagnanelli sfoglia via via tutti i suoi principali sogni e trasognamenti, le sue
costellazioni simboliche e i suoi paesaggi delezione, ma, come detto, i diversi luoghi e figure
edeniche vengono evocati per essere abbandonati e dissolti, attraversati e consumati, uno di seguito
allaltro. Volta la carta e, ricordando Sereni, un altro paesaggio gira e passa. Per sempre. Tutto
viene scritto per essere cancellato (E tu che sol per cancellare scrivi, si potrebbe dire ricordando
Dante). Tuttavia, proprio questa ultimativa chiamata a raccolta a rendere il libro cos denso per
mobilit e fertilit dimmaginazione, anche se integralmente disposta in chiave di sconfessione, di
palinodia. I Preparativi, in sostanza, sono ricchi e complessi, vividi dattenzione e ingegnosi, ma,
soprattutto, sempre straordinariamente presenti a se stessi.
Lo stesso si pu dire del fondamentale motivo musicale. In Preparativi per la villeggiatura
Pagnanelli suona musiche sommesse e dolcissime, modula come forse non aveva mai fatto il suo
strumento espressivo, la sua lingua lenta e umida, quasi fosse fatta vibrare dentro a un acquario, per
testimoniare anzitutto a se stesso che ogni musica, e cos ogni lingua, ogni scrittura, anche la pi
sommessa e silenziosa, non che unillusione consolatoria, un inganno da scribi per compensare il
disincantamento del mondo il disincantamento, alla lettera: gli uccelli-dei (anatre, cigni, oche,
uccelli di specie lontana) che, in alcuni tra i passaggi pi belli dei Preparativi, se ne vanno
portando con s, non a caso, la memoria (della gioia, verrebbe da dire con Sereni). Un passaggio per
tutti, ricordando soltanto che Pagnanelli stesso a parlare pi volte di passaggio (il passaggio / dei
limpidi cigni che tingono le acque malinconiche):

il cielo che le anatre portano con s,
quando sono la memoria della torba
sporgente a fili sulle labbra
della primavera

quando imbucano le solitudini del mare
e il senso posseggono di essere esil privilegiati
resti del corpo naturale
figlie tutte dellorfanit

Dicevo per del motivo musicale: Ma il silenzio non sapevo / che era loro delle vere bocche,
in A se stesso (contro); oppure, nel modo pi netto e definitivo: la musica silenziosa una
riduzione della lingua, non il suo azzeramento. La morte sta nelleliminazione di ogni suono e
residuo linguistico, ancora in cimitero di guerra. Siamo ormai nei pressi della fine della traversata
e ogni attrattiva, ogni possibile attaccamento stato come svuotato dal di dentro. Anche la musica
pi prossima al grado zero (della morte) non comunque attendibile, affidabile, proprio come non
lo erano le tante musichette, pi o meno perfette, pi o meno incantate e appaganti, che il
protagonista dei Preparativi ha incontrato e salutato lungo il cammino. Il pifferaio magico a cui
ubbidisce questa scrittura non manda alcun suono o rumore, proprio come il suo paesaggio un
paesaggio cieco, un paesaggio senza paesaggio: La musica dei fiati, anche, si dilegua presto. / La
natura ritorna nella pianura (quando sallietano purpurei); o ancora: Siepi e stagni hanno affilato
le geometrie invernali. V chi passa indenne tra paraste spogliate e nemmeno sospetta la musica
mortale. Che poi, ancora una volta, una musica senza suono, una musica senza musica, proprio
come quella che gi Spontini, nella poesia a lui dedicata (lo stilus tragicus non appartiene al genere
della villeggiatura), era stato capace di suonare, nella consapevolezza comico-farseca,
propriamente della vanit del viaggio.


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Prima di concludere, voglio tornare sulla natura integralmente antifrastica di questa poesia, che
riguarda anche, se non anzitutto, la pratica stessa della scrittura poetica. Alcune delle poesie pi
riuscite dei Preparativi come b, non ardono di nessuna giovinezza (gli invisibili), oppure figlia
duna luce increata, imitazione dellamore (se, come mi sembra, i versi sono rivolti alla poesia, a
una poesia la cui esistenza coincide significativamente con quella della vita stessa), o cimitero di
guerra mandano la loro strana, ma irrecusabile luce, proprio dallattrito con il loro stesso
procedimento, e processo, di auto-negazione. Anche qui basta soltanto la conclusione della prima:
nessuno che non sia colpevole, pensa alla trovata della poesia. Del resto, la poesia di Pagnanelli
in quanto tale ad essere impostata sullantinomia e sulla reciprocit inversa tra mito dello specchio
(la situazione-specchio) e mito dacheronte (la condizione acherontica), cio tra paesaggio e
passaggio, pozza e fiume (anche, insistentemente, nella forma del sangue rappreso e
dellemorragia), tra geometria e scorrevolezza, rigore e fluidit, narcisismo e rifiuto di s,
compiacimento e severit, dormiveglia e attenzione, posto del riposo e attraversamento, e cos via.
Una poesia di porte che non sono porte e dimmagini che non hanno un centro; una poesia di
epigrafi incredibilmente morbide, umide, come scritte nellacqua. proprio questo, del resto, a
colpire di pi. Mi riferisco a come Pagnanelli abbia risolto questa sua ambivalenza e potremmo dire
questo suo equivoco costitutivo (e consapevole) in una fusione stilistica che, se ha innumerevoli e
dichiarati debiti, risulta senzaltro unica. Tutti gli elementi della contrapposizione binaria che ho
elencato prima, trovano infatti un equivalente espressivo molto preciso, come dichiarato a tutta
prima nelle auto-definizioni poetiche, tante volte formidabili: eppure lacrime (di coccodrillo?)
correvano, come su fogli di vetro (sono le sue nugae, queste: liquide eppure di ghiaccio); oppure:
lo stilus tragicus non appartiene al genere della villeggiatura, buoni forse gli appunti sulla spinetta
negli scossoni nei sobbalzi del viaggio. Lo stanziamento, anche provvisorio, ha virtualit comico-
farsesche. La commedia lansa che ci contiene; o ancora: le carte arrotolate / di un passatempo
scambiato per valore, / segni (per essere giusti) di un rigore / insanguinato, che poi, almeno da
questo punto di vista, lo stigma di Pagnanelli forse pi noto e citato.
Credo allora che con Preparativi per la villeggiatura Pagnanelli abbia inteso scrivere qualcosa
come un suo poema totale, dove laggettivo non si riferisce allampiezza del raggio dazione
poetica, ma alla particolare qualit espressiva, alla lingua di queste poesie e prose poetiche, ch
insieme, come detto, fluida e ferma (linverno come stagione stilistica su cui pi di tutti Pagnanelli
ha insistito), mobile come limmaginazione e rigorosa come la legge (la Legge, ancora con Kafka).
Totale, dunque, nel senso di una indistinzione tra prosa e poesia. Viene in mente quanto aveva
scritto nei versi iniziali di un testo dAtelier dinverno: rubricato in un blocco bianco lappunto
sottile / graficamente delle fine desiderata degli stili / (Pasolini, forse Passione e ideologia) (il
saggio di Pasolini a cui si fa riferimento credo sia La confusione degli stili); oppure la riflessione
critica sulloscillazione tra tonalismo e atonalismo nella poesia di alcuni grandi antecedenti,
Bertolucci e Sereni, ad esempio; a ancora, sempre riguardo a Sereni poeta e prosatore (o meglio, a
questo punto, poeta-prosatore), le tante osservazioni sul tentativo appunto di una poesia-prosa
totale, tra Stella variabile e Il sabato tedesco. Il probante esempio di una indistinzione, nel nome
della poesia, tra lirica o romanzo o prosa de Il sabato tedesco; la lingua che in Stella variabile
sorpassa la mediet del quotidiano e insegue la lontana perfezione di una prosa da romanzo totale e
conclusivo; le distinzioni di genere scompaiono Bene, qualcosa di simile Pagnanelli lha
perseguito e, con i suoi mezzi, con quello che era, lha sicuramente ottenuto, fondendo tutte quante
le sue istanze e pressioni, dalle pi crudamente esistenziali a quelle letterarie e culturali (che non
erano poche), in un discorso poetico curvo, flessibile, in cui tutto passa come al rallentatore, e in
una lingua liquida, che procede senza strappi, un po colloidale, ma che improvvisamente pu farsi
tagliente come il ghiaccio. Del resto, Pagnanelli questo almeno il mio parere stato lautore
delle ultime generazioni, diciamo delle generazioni seguite ai grandi maestri del secondo
Novecento, che sia riuscito a unire pi efficacemente, con maggiore consapevolezza e qualit di
risultati, la poesia della piccola-grande ironia quotidiana e metafisica (il tardo Montale, Giudici; pi
tardi, ma ormai dopo Pagnanelli, arriver anche lultimissimo Caproni) a quella ancora votata se


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non al grande stile, alloscillazione o al contrasto appunto tra tonalismo e atonalismo (Sereni e
Bertolucci, come detto). La poesia di Pagnanelli in fondo proprio questo: un luogo indecidibile tra
interno ed esterno, tra distacco e passione, tra stanzetta e apertura cosmica, o appunto, ancora una
volta, tra passaggio e paesaggio.

Roberto Galaverni




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Non vorr venirmi a dire che Tiresia Lei?. Tiresia, narrativit e tragico

Le coordinate estreme della riflessione poetica di Mesa e, di conseguenza, della sua prassi
artistica sono state fissate da Mesa stesso nelle righe che seguono: ci si imbatte in una questione
cruciale della letteratura occidentale: il conflitto tra volont-desiderio di autoannullamento, o di
scomparsa, o di socializzazione della creativit di morte dell'arte, per cos dire guidata [] o
di implicita vocazione al monumento, per antonomasia statuario e statuale(1). Poco oltre: se
nell'abbandono dell'arte (reale, non poetizzato, non estetizzato) si annida un demone
teleologico, nell'accettazione del continuare a dire pu sempre insinuarsi ed forse inevitabile
la sindrome (tipica soprattutto del poeta, il produttore letterario pi emarginato dal mercato) da
ambizione [] al monumento(2).
Proprio all'interno di questa dialettica (senza soluzione) tra volont di autoannullamento e
vocazione al monumento si muove dunque l'intera opera dell'autore, sia nel suo complesso, sia nei
suoi singoli episodi. L'opera di Mesa, e in particolare l'opera poetica(3), costituita da una serie di
fondamentali libri di poesia(4), incorpora cos sia la coscienza dell'impossibilit di un'assoluta
compiutezza, sia una determinazione alla perfezione e alla compiutezza monumentale (detto in
altri termini, a una perfetta chiusura formale). Da subito questa scissione inquadrata da Mesa entro
i confini della categoria, storica al massimo grado, di letteratura occidentale: cos da dimostrare
come una simile problematica non sia un universale ma riguardi una particolare episteme
storicamente determinata, la stessa che ospita le riflessioni di Mesa. E proprio questa paradossale
autoinclusione (in una sorta di prigione fatta a forma di mise-en-abyme) la principale causa di una
simile dialettica tra compiutezza e incompiutezza. una dialettica tragica: la letteratura cui si
riferisce Mesa ha senz'altro il suo culmine cronologico nell'epoca del modernismo, in cui anche
Mesa problematicamente sente di situarsi; e gli autori che pi volte ha indicato come canonici per il
suo modernismo sono tragici, come Celan, o annullano la distinzione tra comico e tragico facendo
in modo che il tragico sussuma il comico (Beckett)(5).
Lo sforzo di autocoscienza dell'autore dimostra che in gioco, in questa dialettica, un problema
di verit etica, da Mesa cos definita, attraverso Wittgenstein: L'estremo rigore linguistico di
Wittgenstein rigore etico, verso conoscenze possibili, e un possibile bene. Un linguaggio dove le
parole, non potendo attingere alla verit, cercano la precisione, la sincerit: verit etica(6). La
verit etica dunque un volontario arretramento rispetto all'idea di una verit ontologica, ritenuta
ormai praticamente, empiricamente inattingibile. Si tratta, naturalmente, di una inattingibilit
storicamente determinata, tale da sfociare, ancora una volta, in forme di ineludibile incompiutezza,
cui corrisponde lo sforzo di pervenire a un minimo di senso condiviso: uno sforzo, Mesa lo sa bene,
necessario e destinato al fallimento.

Nella configurazione storica dell'epoca in cui si situa Mesa, ci che soprattutto in gioco la
necessit e l'impossibilit di essere all'altezza dei propri tempi, determinata dalla dimensione post -
storica in cui versano le estetiche contemporanee. Come scrive Arthur C. Danto: si aperto un
periodo definito dall'assenza di unit stilistica, o almeno di un'unit da elevare a criterio e da
prendere come punto di partenza per acquisire una facolt di riconoscimento; vengono meno quindi
le condizioni per un indirizzo narrativo. Per questo motivo preferisco parlare di arte poststorica.
Qualunque forma di arte sia stata prodotta nella storia, potrebbe essere emulata e rappresentare un
esempio di arte poststorica. [] Da un certo punto di vista, quello contemporaneo quindi un
periodo di disordine informativo, una condizione di entropia estetica totale. per allo stesso tempo
una fase di libert praticamente assoluta. Oggi non si pu pi parlare di arte che ricade al di fuori
della storia; tutto permesso(7). Anche Mesa ha sentito questa problematica: ipotizzabile una
scrittura che esca dalle secche endoletterarie e che possa, senza scadere in un neorealismo
massmediatico, rimotivare la produzione di senso proprio nel disincagliarla dalla produzione di
nuovo?(8). Tuttavia, la risposta di Mesa proprio quella di mettere in questione il tutto
permesso (cos simile all'utopia luardiana del pouvoir tout dire, ma trasposta in un fallimentare


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anarchismo al soldo dell'economia di mercato) rilevato da Danto. Lo scrittore deve avvalersi degli
stili di volta in volta ritenuti pi consoni(9), cosciente del fatto che L'agnizione, il ri-conoscere,
riguarda il rapporto tra verit e linguaggio. Riguarda le forme. [] Ogni parola deve essere
ripronunciata, riconnotata. Gli scrittori lo hanno sempre fatto. Devono farlo, [] sapendo che non
basta riconnotare, che occorre anche [] legare: cercare forme...(10). La ricerca di forme, lo si
vede bene, per Mesa tutt'altro che libera: necessitata e vincolata dall'esigenza della verit etica e
dalle risorse del proprio mezzo espressivo. Se molta arte contemporanea sembra volere in qualche
modo non essere interpretata, ma semplicemente rimandare a s stessa, lo statuto dell'arte del
modernismo e in particolare delle opere di Mesa quello, ancora, di opere che richiedono di essere
interpretate, decifrate; non rimandano esclusivamente a s stesse, ma hanno un valore metaforico;
non sono indici, come si vorrebbero moltissime opere contemporanee, ma simboli. E questo anche e
soprattutto perch Mesa ha un rapporto critico con la propria stessa contemporaneit, che mette gi
in conto l'imperfezione statutaria dell'opera d'arte.
La letteratura deve dunque prendere sul serio la particolare congiuntura in cui ci si trova, da un
lato, e dall'altro incamerare al proprio interno gli elementi stessi della discussione della propria
insufficienza, della propria falsificabilit, della propria palinodia: la denuncia stessa della propria
insufficienza a esperire e confrontarsi, anche agonisticamente, con i propri tempi. Gi la scrittura
neoavanguardistica ha perduto la capacit di dialogare con il passo dei tempi: Quello che hanno
fatto le cosiddette neoavanguardie, stato in parte possibile perch esistevano delle tecniche di
potere, comprese quelle fondamentali dell'occultamento e della falsificazione, abbastanza perspicue,
nelle loro forme linguistiche e ideologiche, da consentire il disvelamento e la critica della falsa
coscienza(11). Oggi, evidentemente, sostiene Mesa, la critica della falsa coscienza non pi
possibile.
Se un libro come La condizione postmoderna, da Mesa attentamente preso in considerazione,
anche in modo critico(12), ha potuto raccontare che l'epoca attuale quella di una caduta delle
grandi narrazioni, e quindi, in ultima analisi, post-storica, difficilmente pu sfuggire il fatto che la
poesia di Mesa, a fronte di un'impossibilit di composizione del senso della storia, ormai
frammentata in mille piccole narrazioni prive di ratio apparente e forse situate su livelli di
temporalit differenti e disarticolati, ha sempre di pi accentuato la componente macrotestuale dei
suoi libri di poesia, contestando cos in corpore vili la dimensione della frammentazione del senso.
Del resto, elementi di narrativit, magari sparsa e deflagrata, sono reperibili a pi livelli all'interno
degli opera omnia di Mesa: a cominciare, evidente, da un testo come Poesie per un romanzo
d'avventura, per continuare con personaggi finzionali come il Fredo di Poema provvisorio. E,
ovviamente il Tiresia del poemetto eponimo(13).
Questi macrotesti contengono al loro interno anche il principio opposto, quello della
frammentazione: ma come se si sforzassero di imprigionarlo e sussumerlo proprio attraverso la
costruzione di una totalit (che sia per anche autocritica). Mesa stato, insomma, un grande
inventore di macrotesti; il che lo ha portato appunto a sperimentare all'interno della sua opera una
produzione quanto mai vitale di forme e anche di forme di narrativit. Da questo punto di vista, il
Tiresia forse il suo testo pi esemplare: un libro che rappresenta perfettamente la presenza di
istanze dialetticamente contrapposte, quella verso una radicale organizzazione macrotestuale, e
quella a negarla, a distruggerla, a porla in questione.
Tiresia(14) (titolo perfetto per una tragedia classica), nato e pensato come opera per poesia e
musica elettronica (realizzata da Agostino Di Scipio) in effetti ricchissimo di elementi che
testimoniano uno sforzo di organizzazione macrotestuale estremamente autoconsapevole. A
cominciare dal titolo: che intraprende uno organizzazione del senso del testo a livello della
dimensione intertestuale, pour cause evocando, in absentia, una serie di intertesti tragici, tra cui
spiccano Edipo Re e Antigone, e insieme, proietta sull'opera la presenza di protagonista finzionale
univoco che, imponendo all'opera, pragmaticamente, un certo gradiente di narrativit, funge da
organizzatore macrotestuale. Al titolo segue pure un'indicazione cronologica molto precisa: 22
luglio 2000 24 gennaio 2001 (P, 343), mentre normalmente, in P, i libri raccolti recano la


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semplice indicazione delle annate di redazione (anche per il successivo Nun). Ora, per un autore che
ha collaborato a un volume come Scrivere dal fronte occidentale(15), sottolineare che la redazione
di Tiresia avvenuta prima dell'11 settembre vale a sottoscrivere, per il testo, una petizione di
appartenenza a un'epoca storica distinta dalla attuale, o per lo meno a criticare l'idea che l'11
settembre abbia costituito un reale momento di cesura storica. Resta che l'esperienza dell'intero
libro va inquadrata necessariamente nell'ambito di una lettura critica della storia contemporanea e
del presente che sfoci in una definizione critica dell'idea di contemporaneit.
Il titolo del libro, inoltre, bipartito, presentando quello che con ogni evidenza si pu definire un
sottotitolo: Oracoli e riflessi. Quella del sottotitolo dei libri di poesia una storia tutta
novecentesca, in parte ancora da scrivere; ma si pu tuttavia dire che ogni volta che troviamo in un
testo poetico un sottotitolo, questo testimonia di un tentativo di organizzazione macrotestuale che
attinge a modello altri generi testuali, spesso quello narrativo, talvolta il genere saggistico. Il
sottotitolo del Tiresia non rimanda a una designazione metaforica, cos come avverrebbe se fosse,
poniamo, Romanzo. Con Oracoli e riflessi Mesa fa riferimento a due tipologie testuali
perfettamente riconoscibili: due forme che intervengono a strutturare l'opera; due ulteriori
organizzatori macrotestuali(16). (Ovviamente Oracoli anche termine tematicamente connesso con
lo statuto del protagonista del testo, cio l'indovino Tiresia, il che ovvia e ulteriore testimonianza
di una volont di organizzazione macrotestuale serratissima. Pi difficile invece determinare il
senso di un termine come Riflessi).
Gli Oracoli sono individuati da un titolo, preceduto da un numero romano, e chiusi da un verso
in corsivo; quanto ai Riflessi, si tratta di testi privi di titolo, caratterizzati da una numerazione in
numeri arabi: sicch, nell'economia del testo, evidente che il ruolo di maggior importanza lo
espletano i primi. Gli Oracoli sono tutti costituiti da strofe di 22 versi, seguite da un monostico
finale in corsivo; mentre la misura strofica dei Riflessi pi irregolare. I versi degli Oracoli
eccedono spesso, anche di molto, la misura endecasillabica, raggiungendo con facilit le 16 sillabe,
e superando spessissimo le 12 sillabe (ma scendendo anche fino a 9 sillabe), mentre quelli dei
Riflessi sono di misura molto pi breve, spesso veri e propri versicoli. Il macrotesto presenta,
nell'ordine, due Oracoli, tre Riflessi, due Oracoli, tre Riflessi, un ultimo Oracolo infine seguito da
un testo in corsivo che riprende i corsivi dei monostici isolati che chiudono gli Oracoli. La ricerca
di regolarit evidentissima.
Come si diceva, gli Oracoli sono costituiti da stanze di 23 versi. Ma queste stanze sono
caratterizzate da ulteriori segnali di regolarit: presentano infatti partizioni interne molto simili tra
di loro, e numerosi effetti di simmetria. Per esempio, i primi tre Oracoli presentano una pausa
sintattica forte (punto fermo) in punta del sesto verso, mentre gli ultimi due la presentano alla fine
dell'ottavo. Inoltre, i primi due Oracoli mostrano una struttura versale che aumenta di sillabe fino al
terzo verso, per poi decrescere fino al sesto, con quello che sbrigativamente definir novenario
sdrucciolo (se cos si pu chiamare questa misura versale) e un settenario(17). Allo stesso modo, a
questo primo raggruppamento di sei versi fa seguito un secondo raggruppamento di otto versi, e un
terzo, giocoforza, di otto, senza contare il monostico finale in corsivo separato da un bianco
tipografico. Cos avviene anche nel terzo degli Oracoli. Per quanto riguarda gli ultimi due, la
partizione sintattica del testo fa individuare, come rotture sintattiche condivise da entrambi i testi,
una pausa al termine dell'ottavo verso e una al termine del quattordicesimo (trascurando un'altra
pausa forte posta al termine del settimo verso; mentre il quinto oracolo ha troppe pause forti per
poter essere ricondotto in modo univoco al tipo del quarto, ma ha pause forti dal punto di vista
sintattico in tutte le stesse sedi del quarto oracolo).
Ulteriori effetti di simmetria avvengono sia a livello di significante (ripetizione in posizione
tonica di medesime sillabe), sia a livello sintattico (anafore, riprese lessicali o simmetrie orchestrate
sugli aspetti semantici). Un esempio evidente fin dai primi due Oracoli: la collocazione, in 1.
ornitomanzia, in principio di primo e settimo verso, di verba sentiendi alla seconda persona
singolare dell'imperativo (vedi / senti), cui corrisponde, nel secondo Oracolo, nelle stesse sedi, la
ripresa del lessema fumo (qualcosa che impedisce la visione), in un testo in cui la dimensione della


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vista immediatamente soggetta a una sorta di accecamento (bruciano le mandorle degli occhi).
Anche tra Oracoli e Riflessi notiamo poi simili tipi di legature macrotestuali; un semplice esempio:
se il secondo Oracolo si chiude su un verso come Tu se sai dire, dillo, dillo a qualcuno, il primo
dei Riflessi si apre, con un espediente che ricorda quasi le coblas capfinidas, su a ridirti che
cosa?, sfruttando a fondo l'annominatio del verbo dire anche nei versi seguenti. Ma gli esempi
potrebbero essere davvero molti di pi.
Una simile organizzazione formale del testo (sia a livello di figure del significante, sia a livello
di figure di sintassi, sia a livello di figure di significato) testimonia di una tale ricerca di accuratezza
linguistico-formale da indurre a sostenere, nonostante il lessico appaia antisublime, che lo stile di
Tiresia uno stile sublime. Uno stile sublime che sostituisce al lessico alto tradizionale della
tragedia un lessico corporale o organico (quasi a richiamare i materiali oggi impiegati nell'arte
contemporanea pi tesa e drammatica). E, se si aggiunge che la nota di chiusura rimanda a referenti
extratestuali di tipo luttuoso, la testualit di Tiresia pu senz'altro definirsi, anche se in modo sui
generis, una testualit di tipo tragico.
Gli Oracoli svolgono una narrazione latente, dislocata attraverso una serie di eventi storicizzabili
e storicamente determinati, puntualmente evidenziati nella nota di chiusura: cosicch il testo trova
un'ulteriore elemento di inquadramento macrotestuale negli effetti di soglia (Epigrafe iniziale e
Nota). L'epigrafe sembra suggerire dunque un Tiresia unico protagonista (eterno, sottratto alle
catene del tempo) che accede alla visione di una serie di eventi luttuosi attraverso la storia, mentre
la nota esplica quali siano gli eventi, solo allusi ma altrimenti inattingibili all'esperienza del lettore.
Di questi eventi Mesa ha sottolineato che sono veri, realmente accaduti(18). Dal momento che
l'epigrafe si dimostra, se letta con il testo a fronte della nota di chiusura, anche un modo di
interrogazione sull'essenza del male, storico e non, che Tiresia attraversa, proprio questa epigrafe
a caricare di significazione tragica tutto il testo(19).
Il tu adottato da Mesa nell'epigrafe induce a interrogarsi anche sulla situazione di enunciazione
del testo (altro elemento di organizzazione macrotestuale): in quanto questo tu pare esulare, come
modalit di funzionamento, dalle tante seconde persone della tradizione poetica italiana (poniamo,
Montale), e deludere le attese del lettore di ritrovare, come soggetto d'enunciazione del poemetto,
proprio quel Tiresia che viene eletto a protagonista dal titolo del libro(20). L'apparente continuit del
riferimento alla seconda persona singolare potrebbe far pensare a una unica voce di personaggio
locutore, mentre, in realt, la scena d'enunciazione del tutto, ma coerentemente, frammentata tra
pi voci. Inoltre, il tu, nel testo lirico al contempo finzione primordiale di autointerpellazione e
istituto tradizionale di interpellazione dell'altro (sia esso semblable come l'ipocrita lettore
baudelairiano, sia un interlocutore immediato convocato nel teatro d'enunciazione della poesia),
adottato come modalit di comunicazione anche all'interno dei Riflessi, che tuttavia, con un
continuo passaggio di verbi da una seconda persona a infiniti nominali a terze persone singolari
impersonali, tende a trasformare il dispositivo di enunciazione in qualcosa di spersonalizzato e
plurale, decisamente pi simile rispetto allo stile enunciativo della restante poesia di Mesa, da cui
Tiresia complessivamente si allontana.
In ogni caso, diversamente da come ci si potrebbe attendere, a parlare non , propriamente,
Tiresia: il testo per tutto il tempo mette in scena una voce e un soggetto d'enunciazione (anzi, per
essere pi precisi, pi voci e pi soggetti d'enunciazione) che si rivolgono direttamente a Tiresia.
Chi sia il locutore che indirizza le proprie parole al protagonista del poemetto, sarebbe difficilissimo
dirlo, ma la trascrizione di una lezione tenuta dall'autore in una scuola genovese ci consente di
identificare con certa coerenza i soggetti parlanti nel testo. Mesa infatti afferma, riguardo al secondo
degli Oracoli:

Allora io Tiresia ho pensato dimmaginare che cosa succedeva nella mente di questa bambina
costretta a lavorare per costruire bambole, desiderando magari di giocare con le bambole, e
trovarsi dimprovviso dentro questo rogo e ... per me non stato facile cercare di... . [] sarebbe
stato facile descrivere il fatto cos come lo avevano raccontato, molto pi difficile cercare di


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immedesimarsi in una persona concreta e immaginare di essere una bambina come te, essere l,
costretta a fare quella vita; allimprovviso la tua vita viene davvero bruciata a tutti gli effetti; gi
lo era, perch non era una vita piacevole sicuramente per di pi viene sacrificata in questo
modo soltanto per i profitti di alcuni (Interazioni).

Mesa fornisce anche la razo vera e propria della poesia: un incendio avvenuto a Bangkok, in una
fabbrica di bambole, caratterizzata dallo sfruttamento del lavoro infantile, uccide le operaie
bambine della fabbrica: Nel marzo 1993, a Nakhon Pathom, in Thailandia, si incendia e crolla una
fabbrica di bambole. Cinquecento delle quattromila operaie, tutte ragazze, molte minorenni, che vi
lavoravano in condizioni quasi schiavistiche, muoiono nel rogo (P, 358). Ci che colpisce
maggiormente Mesa che lunica cosa che viene detta dai dirigenti della fabbrica in quel momento
rivolta agli azionisti, e consiste nell'invito a non preoccuparsi perch i loro soldi erano garantiti
(Interazioni). La poesia mima dunque la voce di una delle vittime di questo olocausto anonimo, che
si rivolge direttamente a Tiresia; ma possiamo ulteriormente inferire che sia la voce di Tiresia che
riproduce a sua volta, medianicamente, o meglio, attraverso pratiche divinatorie (in questo caso la
piromanzia), la voce della bambina, insegnandoci con questo a vedere meglio il nostro passato: La
caratteristica di questo Tiresia era che a volte le sue predizioni i suoi vaticini non riguardavano
tanto il futuro quanto il passato (Interazioni). In questa struttura a scatole cinesi, in questa tensione
a inquadrare metatestualmente ogni elemento del testo (addirittura la voce della bambina risuona
attraverso quella di Tiresia, che a sua volta buca lo schermo finzionale per risuonare attraverso
quella dell'autore empirico), possibile ravvisare uno degli elementi di maggior interesse del libro,
assieme al tentativo di svolgere una riflessione, figurata, sull'essenza della temporalit. Del resto
evidente che la tensione metatestuale e l'interrogazione sulla temporalit sono intimamente
connesse: la creazione di cornici metatestuali (quasi concentriche) serve a inquadrare e rilevare
diversi livelli di temporalit e storicit all'interno del testo, spesso irrelati gli uni rispetto agli altri.
ragionevole estendere una simile situazione di enunciazione a tutti gli Oracoli, identificando,
di volta in volta, con una vittima l'enunciatore di ciascuno dei testi (per l'individuazione delle
occasioni si rimanda ovviamente alla nota di P, 358): la vittima si rivolgerebbe dunque direttamente
a Tiresia. C' poi un'identificazione ulteriore che emerge dall'autocommento di Mesa poc'anzi
citato: Mesa stesso si identificherebbe con Tiresia. Ma certo necessario valutare con estrema
attenzione una simile dichiarazione.
La voce di soglia (Devi tenerti in vita, Tiresia, / il tuo discapito), racchiusa tra apici e
rimandante quindi a una situazione di enunciazione differente da quella del resto del testo, adotta
apparentemente lo stesso piano d'enunciazione in seconda persona degli Oracoli, e per di pi in
corsivo, come i versi che chiudono ognuno degli Oracoli stessi. Proprio questo tipo di
organizzazione macrotestuale induce il lettore a disporre su un unico piano le tante voci che si
manifestano nel testo; e ad aprire in un certo qual modo le virgolette su tutta la testualit del Tiresia.
In questo senso, il corsivo serve a inquadrare l'uscita dal lirico verso il metatestuale: serve a
inquadrare metatestualmente ci che appare unicamente lirico, e a problematizzare le frontiere, a
questo punto, tra finzionale e reale-referenziale; rivelando ancora una volta questa struttura a scatole
cinesi cui si fatto cenno prima, e fornendo al lettore delle pinze attraverso cui disporsi a
maneggiare con cautela la testualit di Tiresia.

Tiresia insomma un testo in cui emerge una dimensione finzionale forte, ma connotata da
figure continue di mise-en-abyme vlte a operare uno scarto continuo di significato, nel leggere e
accostarsi al senso dei minimi enunciati. Lo scarto operato serve, ovviamente, a mostrare anche
come e quanto difficile sia, per la poesia, scardinare la dimensione finzionale che vela ogni testo:
non a caso lo stesso statuto dell'enunciazione riproduce una finzione di voce che si rivolge a una
finzione di personaggio.
A voler ricostruire ed esplicitare la finzione narrativa presupposta da Tiresia, dovremmo dire che
nel libro l'indovino, un personaggio, di finzione, e di una finzione antica, lontana nel tempo e nello


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spazio dai casi descritti, muovendosi attraverso il tempo, compie una serie di vaticinii riguardo a
fatti emblematici e rimossi della nostra contemporaneit. Ora, tutto ci, come si diceva, avviene in
una seconda persona che vanifica ogni tentativo di identificazione immediata: Mesa Tiresia, ma
per bocca di Tiresia parla una bambina bruciata in un rogo a Bangkok; e del resto, la voce di Mesa
si rivolge a s stesso, cio Tiresia, in una seconda persona(21) che da subito marca una forma di
scissione riflessiva tra autore empirico e suo portaparola nel testo.
Tutto questo induce a mettere in questione un'identificazione, bench autoriale, troppo diretta tra
Mesa e Tiresia. Inoltre, la compresenza sul medesimo piano temporale di un personaggio del mito
greco classico, con fatti di cronaca rigorosamente documentabili e documentati, ma posti in una
relazione del tutto anacronica con quel mito, rende la narrazione implicita del testo del tutto
implausibile, realisticamente parlando, con l'effetto di spostarne il senso su di un piano ulteriore,
allegorico, che induce immediatamente a operare l'identificazione Tiresia/Poeta, pi che non
l'identificazione Mesa/Tiresia(22).
Infatti, se vero che nel Novecento esistono svariati tipi di rimando allegorico (uno tradizionale,
uno benjaminiano, e uno metatestuale, in cui la costruzione finzionale rinvia alla struttura formale
dell'opera(23)), il tipo di rimando allegorico attivo in questa opera certo quello metatestuale, con
l'ovvio effetto di decostruire e rendere problematica l'identificazione Mesa/Tiresia. Ci avviene da
un lato perch la divinazione di Tiresia rinvia alla poesia in generale e al suo compito nella nostra
societ; dall'altro perch la complessa struttura di finzioni, finzioni di finzioni e verit racchiuse
all'interno di finzioni, che anima il poemetto vuole essere una critica stessa della dimensione
finzionale del testo poetico, nel suo legame con il problema della ricerca della verit etica (una
verit di metodo, in effetti)(24); questa identificazione quindi una tra le finzioni del testo, che deve
essere soggetta a critica.

L'aspetto finzionale (la narrazione implicita che soggiace al testo, e che presupposta dal suo
stesso piano d'enunciazione), cruciale nel fungere da organizzatore macrotestuale, e quindi nel
conferire all'opera una patina di (in)compiuta monumentalit, sempre sul punto di ribaltarsi nel
proprio opposto, e cio in un fattore di disintegrazione del testo.
La presenza di elementi narrativi (personaggi, fatti, discorsi diretti) fa pensare immediatamente a
quelli che barthesianamente potremmo chiamare effetti di realt; ma quegli stessi effetti valgono a
ricordare che ci si trova, a leggere il testo, all'interno di una finzione poetica. Sono dunque, a pieno
titolo, anche effetti di irrealt, che disarticolano e rendono impossibile il progetto di dicibilit
poetica dei fatti, pi che descritti, allusi, all'interno del poemetto. Gli effetti di finzione non rendono
solo evidente la necessit di una lettura allegorica del testo: fanno s che il testo poematico rischi di
non avere senso (ed proprio questo, direbbe Derrida, il senso di ogni testo poetico). Sicch, se
volessimo cercare di rimotivare allegoricamente, per esempio, il senso della cecit di Tiresia
all'interno del poemetto, dovremmo dire che la cecit di Tiresia, in tanto in quanto forma di
separatezza dal mondo, allegoria della separatezza dal mondo indotta dalla dimensione finzionale
dell'opera.
Per di pi, altri elementi del testo, dal canto loro, si rivelano parodici, o per lo meno ironici.
L'insistenza, sempre a inizio di verso, su verbi che indicano la visione o comunque verba sentiendi,
lasciano pensare a un'apostrofe a Tiresia da intendersi ironicamente. Come potrebbe, il cieco
Tiresia, vedere? Si tratta allora probabilmente di una disperata e sarcastica allusione all'impossibilit
della poesia di cogliere e affrontare davvero il racconto, la testimonianza di quanto successo presso
il Sitio Pangako, una ovvia allusione all'insufficienza e alla velleit del poeta, la cui parola profetica
resta del tutto inibita a risolversi positivamente. Questa stessa insufficienza viene poi in effetti
ribadita nel successivo oracolo, con il verso Tu, se sai dire, dillo, dillo a qualcuno, dove
l'impennata patemica della reduplicazione dell'imperativo non ha solo valore ritmico, ma tradisce
come, in qualche modo, sia anche l'indignazione (di fronte alla velleitariet della poesia) a fare il
verso. Sicch, il testimone della tragedia si rivolge, medianicamente, a Tiresia, non solo per
raccontargli l'avvenuto, ma anche e soprattutto per interpellarlo circa l'insufficienza della poesia.


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Solo questa modalit metatestualmente autocritica riscatta dunque il poeta dalla colpa,
wittgensteinianamente parlando, di non tacere su ci di cui non si in grado di parlare.
Va ricordato che Tiresia stato spesso figura di una capacit di visione ulteriore e superiore
rispetto alla vista fisica(25): l'idea del poeta come veggente, che per vedere meglio, rinuncia alla
visione oculare, e dell'occhio del poeta come oculus subsanguineus, dispone di una tradizione
antichissima ma gi dotata di propaggini novecentesche (fino a Zanzotto) ormai assurte alla
classicit. Questo riferimento certo presente, in modo perspicuo, nel Tiresia mesiano, ma in una
sua modalit decostruita dall'interno. In un'ottica macrotestuale, infatti, evidente come tutti i versi
di chiusura degli Oracoli abbiano una valenza fortemente critica e negativa, nei confronti della
velleitaria missione di Tiresia.
Solo la costruzione di una serie di paraventi finzionali, corrispondenti a una serie di inibizioni, e
la critica serrata dei presupposti e degli intenti stessi, sia pur nobili, su cui si basa la poesia,
consente di mettere in scena la tragedia. Insomma, la finzionalit dell'opera di Mesa
contemporaneamente il correlativo, la testualizzazione dell'inibizione a raccontare (un'inibizione di
carattere morale) e il suo superamento, grazie alla sua orchestrazione in una totalit autocritica.
In questo senso, i riferimenti alla divinazione antica mostrano che gli Oracoli di Tiresia non sono
che parodie degli oracoli e delle forme di divinazione dell'antichit(26), di cui, ogni volta, il verso
corsivo in coda svela l'insufficienza, contemporaneamente mettendo in questione la capacit
testimoniale di Tiresia. A vederli in sequenza, il primo di questi versi (prova a guardare, prova a
coprirti gli occhi) sembra alludere ironicamente alla cecit di Tiresia attribuendogli un significato
tuttavia allegorico e nel contempo dichiarando l'impossibilit, da parte di questa figura del poeta, di
conoscere, comprendere, esperire simili eventi luttuosi, al tempo stesso che questi risultano
incancellabile ferita. Allo stesso modo, solo ironicamente pu essere intesa la frase prendi questo
regalo e vattene, ora, ora che sai: giacch il regalo consiste nella conoscenza e contemplazione del
luttuoso, del terribile. pure frase che denota una sorta di esclusione la luce, questa luce, non sar
mai la tua, ancora allusione alla cecit di Tiresia, ma insieme riferimento alle luci di sala
operatoria in cui Tiresia mai si trover a subire l'asportazione della retina. Quanto a ancora non hai
clto il tuo narciso e il croco gi fiorisce, risulta inevitabile peraltro pensare, di fronte a un fiore
sacro a Persefone come il croco, che l'immagine qui evocata non alluda al fatto che mentre il poeta
dedito a coltivare, attraverso l'esercizio narcisistico della poesia, una sorta di tentativo di
monumentalizzazione mortuaria, il luttuoso si gi saldamente assestato sulla scena della vita e
della poesia al contempo, pronto a rovesciarsi in nuova vita(27). Ancora parodica pure l'epigrafe
greca di Oniromanzia, da Callimaco: e la notte prese gli occhi del fanciullo, si trasforma, appunto,
nell'allusione all'espianto degli organi, in una forma selvaggiamente demistificante del poetico, al
limite dell'autolesionismo.
In questo senso, il protagonista del libro anche un protagonista parodico, che mette sotto accusa
il lavoro poetico di Mesa in particolare (ma questa autocritica l'unico modo di assurgere a una
compiuta dimensione di verit etica all'interno e all'esterno del testo), e la poesia modernista in
generale. Infatti, se a un primo livello i locutori che si rivolgono a Tiresia negli Oracoli riproducono
la voce di vittime degli accadimenti luttuosi, a un livello ulteriore non possono che rappresentare
una scissione all'interno della voce stessa dell'autore empirico. Questa scissione vale a sottolineare
dunque, come in ogni palinodia che si rispetti, una presa di distanza dalla poesia, attraverso la
poesia stessa.

Lo stesso spazio in cui l'opera racchiusa, tra epigrafe e il testo di chiusura, entrambi in corsivo,
mette in scena una sottile dialettica. Se Devi tenerti in vita, Tiresia, / il tuo discapito pare
rinviare a una necessit testimoniale di un Tiresia condannato all'eternit, il testo finale, che ricalca
la struttura ciclica di tutto il libro aprendosi e chiudendosi sulle parole Ti lascio qui sembra
suggerire una sorta di congedo (circolare, e quindi forse protratto all'infinito) da Tiresia e da Tiresia.
Mentre, infatti, tutti i versi in corsivo in calce ai singoli Oracoli adottano una modalit di
enunciazione in seconda persona, rivolta a Tiresia, il testo corsivo di chiusura adotta una


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enunciazione in prima persona (Ti lascio qui: che presenta per anche una marca pronominale di
seconda persona), che sembra quasi ridare voce, finalmente, al poeta stesso. Cos, tra corsivo e
prima persona, il testo finale caratterizzato da un procedimento metafinzionale e metatestuale al
massimo grado, l'ennesimo esempio di mise-en-abyme, attraverso il quale l'autore prende congedo
da questa controfigura della poesia che Tiresia, operando (ancora una volta finzionalmente) una
sorta di uscita dal testo, pour cause, per altro, attraverso la soglia di un testo liminare. Nel farlo,
ovviamente, la voce che pi direttamente sembra rimandare a quella dell'autore, si autoinclude,
incripta, seppellisce in quel mondo di macerie che la testualit del poemetto assieme a quel Tiresia
da cui egli stesso tentava di prendere congedo. La funzione del deittico qui, , con ogni evidenza,
quella di un deittico testuale. forse allora l'autore empirico, in questo ultimo testo, che prende
congedo metafinzionalmente e metatestualmente dal suo allegorico protagonista-controfigura. Mesa
prende forse congedo, testamentariamente e allegoricamente, dall'insufficienza della poesia,
consapevole tuttavia che c' un momento nella poesia, prima che questa si trasformi in qualcosa di
consolatorio, in cui la poesia genera una qualche minima presa di coscienza (sappiamo):

lasciare, lasciare intatto
questo momento prima del dolore,
quando il dolore
diventato nenia di conforto
e poi silenzio,
questo silenzio che sentiamo insieme,
adesso adesso che sappiamo,
in questo momento che divide

Un momento che divide: l'immagine di un tempo in bilico e giunto in un arresto, l'immagine
dialettica (di una temporalit dialettica) e forse in questo modo liberatoria l'unica flebile, anzi,
disperata speranza di questo testo, e l'unica possibilit che lo schermo problematico della
rappresentazione poetica ha, di dire una qualche forma di verit poetica. Il momento che divide
certamente il momento che divide la poesia dalla realt, sia in direzione dei fatti raccontati, sia in
direzione della realt dell'autore, sia in direzione infine della realt del lettore; un momento cruciale
tra realt e finzione, ma in cui risultano in ballo forme differenti di temporalit.

Uno dei problemi cruciali che pone Tiresia dunque il problema del tempo: nell'abbandono di
Tiresia in questo momento che ci divide, figura del congedo dell'autore empirico dal suo testo, va
visto anche l'abbandono della specifica temporalit di Tiresia: una temporalit eterna, e come tale,
astorica, cui fanno da contraltare singoli momenti storicizzabili, nei quali il tempo sul punto di
prendere una delle sue molteplici direzioni. La poesia per Mesa una riserva di immagini
dialettiche. In Tiresia, come abbiamo visto, un indovino (uno cio che dovrebbe essere in grado di
essere in anticipo sui propri tempi) si trova a vaticinare tragedie e inferni gi avvenuti, in un tempo
che risulta futuro rispetto all'epoca da cui proviene, ma gi passato rispetto a noi. La
problematizzazione della temporalit (e per conseguenza della storicit) quindi il tema pi o meno
vistosamente centrale all'interno del testo, e il motore del nucleo fondante del libro. Come scrive
altrove Giuliano Mesa: (il tempo passa anche cos, senza rigore di forma, / n vero n apparente
non siamo, certo, / gli ultimi a ripeterlo) (P, 285).
Del resto, parecchi degli istituti formali che percorrono questo testo acquistano senso al di fuori
della possibilit di un nuovo estetismo solo come correlativo formale di dimensioni diverse di
temporalit convocate nel testo. Cos , per esempio, per i numerosi effetti di ripetizione lessicale e
paronomastici, che rinviano a una temporalit eterna, che slitta continuamente dentro s stessa; cos
pure avviene per i tempi verbali stessi, tra cui troviamo presenti, futuri e imperativi, ma mai passati.
La gestione della morfologia verbale, insomma, finisce per eliminare ogni possibilit di scalarit
cronologica, alludendo certo alla temporalit di Tiresia, eterna e non finita. Questo racconto privo di


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scalarit cronologica, dunque, tipico delle competenze di lingua dei bambini, non a caso
protagonisti di pi d'uno degli oracoli, rimanda anche a un confronto agonistico con la tematica
lyotardiana della caduta delle grandi narrazioni(28). Tra le modalit narrative che il nostro tempo
risulta incapace di svolgere c' di certo anche il tragico(29). Mesa, in un rapporto antagonistico con
la contemporaneit, ci dimostra che la dissoluzione postmoderna del tragico nell'epoca della caduta
delle grandi narrazioni non un problema di natura epistemologica (incapacit a identificare e
raccontare il tragico in quanto mancano gli strumenti per farlo), ma ideologica (assenza di volont
di identificare e raccontare il tragico).
Come dice Agamben, tra i vari modi di essere contemporaneo, uno dei pi rilevanti la petizione
di principio della inattualit(30). Mesa, pertanto, per il suo racconto, che, nella disperata necessit di
essere all'altezza dei propri tempi, di prendere sul serio la propria epoca, deve essere tragico,
costretto a spostare lo sguardo verso un altrove del tempo, e a rievocare un personaggio del mondo
della tragedia intento a guardare l'epoca attuale. Ancora una volta, il tempo, perch il tragico possa
essere rappresentato, deve essere out of joint. Di fronte al tempo eterno che di Tiresia, sta un
tempo fatto di attimi e immagini dialettiche, in cui dialetticamente si consuma la storia. La struttura
del tempo che viene fuori da questo libro dunque duplice: quella di una temporalit incompiuta,
circolare, interminata e interminabile (Tiresia), di contro a una temporalit sempre finita e perfetta
(le vittime).
Ora, la rappresentazione di questa duplice temporalit, che impiega giocoforza forme narrative,
non inscena in fondo, sub specie allegorica, la dialettica stessa, (e chi Tiresia, se non la figura
della non-contemporaneit del poeta) tra la pulsione alla monumentalit e quella
all'autoannullamento, cui si faceva cenno all'inizio? Si tratta, del resto, di due pulsioni strettamente
connesse con lo scorrere del tempo e della storia, per il corpo del poeta. Una dialettica tragica, dove
il tragico legato a doppio filo all'economia della temporalit all'interno dell'opera.
Contemporaneit e inattualit, eternit e attimo: tra questi estremi dialettici si consuma il senso
tragico della sua scrittura, a dimostrare che, anche quando si rilevi o tenti di rilevare un nucleo
eterno e immutabile della dimensione tragica del senso, il suo esplicarsi sempre storico, oltre che
storicamente determinato. C' davvero, all'interno della nostra societ attuale, una domanda di
tragico come possibilit di senso e di appercezione della realt: ma Mesa sceglie un personaggio nei
confronti del quale i tentativi di identificazione risultano fallimentari, data la presa di distanza
operata nel finale; tuttavia, se la tragedia di Tiresia non conosce catarsi, la catarsi la possibilit
stessa di poter ancora individuare il tragico.
Secondo Szondi, la tragicit del destino, peculiare dell'antichit, si trasforma in ambito cristiano
nella tragicit dell'individualit e della coscienza(31). E nel mondo di Mesa, quello in cui il tempo
passa anche cos, senza rigore di forma, quale tragicit ci troviamo di fronte? Pare di poter dire, la
totale assenza di una ratio. L'impossibilit minima di additare una ratio del tragico che emerge nello
sguardo impossibile di Tiresia, dimostra che la tragicit odierna sta nella surdeterminazione: nel
riposare del tragico rispetto al restante mondo su livelli di temporalit e storicit discontinui e
distinti, irriducibili gli uni agli altri e a un principio dinamico regolatore. Spicca, in ogni caso,
l'assenza di una causalit trascendente come motore di costruzione della testualit tragica attuale.
Proprio questo fatto, unitamente alla constatazione che la ratio attuale falsifica a proprio uso e
consumo le condizioni del tragico (Mesa cita la reazione al tragico incidente di Bangkok da parte
dei dirigenti della fabbrica) consente di dire che alla base del testo di Tiresia c' un vero e proprio
trauma: Allora, nel 1995, vicino a Bangkok successa una cosa che allora mi colp molto, mi colp
il fatto e mi colp altrettanto che non se ne sia parlato: stato subito dimenticato... (Interazioni) . Il
fatto lo colp molto, in altre parole fu per Mesa traumatico: un trauma certo irrisolvibile, anche nella
misura in cui Tiresia resta oggetto da cui il poeta, alla fine del testo, si distanzia. Anche il trauma,
del resto un momento che divide.

forse opportuno, prima di esaurire il discorso sulla temporalit e sul trauma, soffermarsi
brevemente sulla questione della testualit tragica. Se, nell'epoca attuale, tragico e tragedia si sono


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entro certi limiti dissociati, quali sono gli elementi formali del Nachleben del tragico nei testi non
drammaturgici in cui oggi questo pu sopravvivere? In primo luogo, il testo tragico dovr contenere
un certo sviluppo narrativo, e un adeguato grado di coesione macrotestuale, due caratteristiche che
contrassegnano marcatamente il Tiresia. A questo si dovr associare la presenza di uno stile
sublime: e certo la poesia colta e difficile di Mesa, il suo trobar ric, a livello lessicale, e non solo,
presenta l'apparenza di una lingua antisublime; tuttavia mai come in questo caso l'antisublime
pronto a trasformarsi nel suo contrario. Bisogna infatti rilevare che Mesa ha sempre scritto poesia in
versi (il che produce gi un certo grado di nobilitazione di genere), e una poesia difficile, dotata di
una complessissima gestione della figuralit e di una attentissima organizzazione retorica del testo.
Questa scrittura da subito ha inteso essere iscritta nell'ambito della letteratura alta; d'altronde, le
sfere semantiche e i campi lessicali evocati nel testo, che si riferiscono alla dimensione
dell'organico, rimandano a un universo di dolore e lutto e di minaccia corporea che crea, attorno
all'opera, immediatamente, il richiamo a un contesto espressivo tragico.
Proprio questo stile sublime, per quanto in modo nascosto, evita il rischio che la testualit di
Mesa stemperi la sua tensione in una dimensione elegiaca. Oltre a ci, quello che di certo separa la
testualit di Tiresia da una testualit a pieno titolo elegiaca proprio l'aspetto di scrittura traumatica
del poemetto. In effetti, se l'elegia si confronta con il male e il lutto parlandone a posteriori,
rievocandolo nella memoria, a cose fatte, e nell'ambito di un lavoro del lutto gi in qualche modo
concluso, Tiresia un testo che ci mostra il male, finzionalmente, proprio nel momento stesso in cui
sta avvenendo (non un caso che il tempo dell'elegia sia, tradizionalmente, l'imperfetto, mentre qui
i tempi pi evidenti sono il presente e l'imperativo); anche se, poich il trauma il non-
simbolizzabile, la scena stessa, la visione traumatica, si sfalda in un coacervo di sensazioni
difficilmente collegabile all'evento traumatico descritto. Anche questa impossibilit di rappresentare
il trauma in fondo un altro dei significati allegorici della cecit di Tiresia.

L'evocazione della categoria di trauma non pu non riportare alla mente un libro oggi al centro di
molte discussioni: Senza trauma, di Daniele Giglioli(32). La fenomenologia delle scritture descritte
da Giglioli appunto quella di una serie di testualit che, senza in alcun modo originare da una
dimensione traumatica reale, tendono a fornire una rappresentazione traumatica della realt. Si tratta
in effetti del contrario di quanto avviene nel testo di Mesa: dove a un trauma reale (e morale)
corrisponde una scrittura sublimata, ricca e difficile ma poco incline a indugiare parossisticamente
in un realismo di rappresentazione dell'orrido, cui pure si riferisce. Insomma, si fronteggiano qui il
trauma della rappresentazione e la rappresentazione del trauma (un trauma mai esistito).
Scrive Giglioli: Aristotele diceva che virt propria della mimesis artistica far percepire come
belle anche cose che nella realt ci procurerebbero paura o ripugnanza, come una fiera o un
cadavere. Come sarebbe possibile altrimenti la tragedia? Ma qui si aspira a provocare lo stesso
effetto del cadavere, a far collassare la cosa e il suo ritratto. Il folle, il serial killer, il cannibale [],
il disgustoso, l'abietto si sforzano di non essere pi soltanto oggetti di rappresentazione, tentando di
generare la stessa reazione che scaturirebbe dalla cosa rappresentata. [] Il segno aspira allo stesso
statuto della cosa(33). Proprio il riferimento alla tragedia operato da Giglioli induce a porsi una
domanda: non forse possibile asserire che queste scritture tendono a tentare di occupare,
nell'economia delle arti, quello stesso luogo occupato dal tragico? Non esprimono, questi testi, una
intenzionalit tragica frustrata? Ora, noto che gli elementi fondamentali della tragedia sono tre:
angke, ethos dell'eroe, pathos(34). Non c' dubbio in questo senso che molte delle opere che
Giglioli cita, che dobbiamo ascrivere all'ambito della letteratura di consumo, e che si situano su un
piano, sociologicamente parlando, distantissimo da quello del Tiresia di Mesa, presentino uno
studio su questi tre elementi. Del resto, anche in Mesa presente un impegno a interrogarsi su
questi tre elementi, come da buona tradizione del tragico. Ma, ovviamente, a fare la differenza tra i
due tipi di scrittura, quello traumatico ma senza estremi di tipo espressionistico di Mesa e quello
senza trauma delle scritture dell'estremo individuate da Giglioli sta ancora il discrimine della
funzione del testo: surrogato del tragico, nel secondo caso, assunzione metatestuale e critica del


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tragico nel primo. La funzione prima ancora della questione stilistica: potr forse sorprendere, ma
tra le figure retoriche che Giglioli cita come pi frequenti nelle scritture di genere(35), ci sono figure
di ripetizione lessicale, forse le pi comuni e individuanti, dal punto di vista stilistico, di tutto il
Tiresia.
Ora, non bisogna per forza attribuire alla letteratura di consumo una funzione e un ruolo negativi,
ma bisogna ammettere che questa letteratura opera su un piano spesso totalmente differente rispetto
alla letteratura alta. In questo senso, tra la letteratura del trauma costituita da Tiresia, e quella
Senza trauma, credo si configurino due modalit estremamente differenti di produzione di senso.
Infatti, a occhieggiare la lista degli autori di Giglioli, non si pu non notare che molti di questi, e
segnatamente soprattutto quelli che si possono ascrivere al ct della letteratura di consumo o
midcult (escluderei pertanto autori come Aldo Nove, Tommaso Pincio, Tiziano Scarpa, Antonio
Moresco, per cui il discorso diverso e pi difficile), sono connotati da appartenenze geografiche
ben precise: da De Cataldo a Lucarelli, per esempio, non saremmo in grado di scindere la nostra
esperienza di lettura da un'esperienza del luogo in cui le vicende narrate sono ambientate: che
magari si traduce in un rimando allegorico a un'identit locale pi ampia, come quella italiana. La
scrittura dell'estremo si situa in una territorialit ben precisa, e sarebbe forse impensabile senza
questa dimensione di localizzazione territoriale.
Nel caso di Tiresia, invece, questo si muove in uno spazio totalmente deterritorializzato: tra le
Filippine, gli Stati Uniti, Bangkok, da un altrove del tempo. Anzi, fulcro del libro proprio la
problematizzazione del concetto di tempo. L'ipotesi allora questa: che la letteratura di consumo,
oggi, a livello di produzione di senso, lavori soprattutto a un movimento di produzione di localit,
mentre la letteratura alta, e in particolare il Tiresia, lavori soprattutto a una dimensione di
produzione di temporalit(36).
Basti pensare a Saviano, e alla collocazione geografica e spaziale del tutto priva di qualsiasi
minimo tentativo di deterritorializzazione: un libro come Gomorra produce soprattutto
identificazioni e identit a partire dalla rappresentazione dei luoghi descritti. Al contrario, Mesa
lavora a una intensa deterritorializzazione (ad esempio, saltando da luoghi e geografie molto diverse
ad altre) e inscena correnti di tempo e di storia in dislivello, irriducibili le une alle altre, spingendo il
lettore a riflettere sulla dimensione del tempo, a risignificarla, a riconcettualizzarla. A fronte di uno
spazio unico, cui pu fare seguito solo una dimensione monologica della voce, la testimonianza del
male dataci da Tiresia rappresenta e inscena una temporalit plurale (in cui implicata la
temporalit della rappresentazione stessa), caratterizzata da strati e livelli di tempo di cui risalta la
mancanza di relazioni degli uni rispetto agli altri: una mancanza di relazione che mima
perfettamente la nostra mancanza di reazione rispetto a quante evenienze tragiche occorrono in
strati e livelli di temporalit cui noi, da dietro uno dei tanti nostri schermi, assistiamo come
spettatori inebetiti di un macrotesto tragico.

Gian Luca Picconi

Note.
(1) Giuliano Mesa, Il lavoro letterario, in Altri Luoghi, 10, Nuova Serie, ottobre-dicembre 1992, p. 4.
(2) Ibidem.
(3) Le opere poetiche di Mesa sono state raccolte nel seguente volume: Giuliano Mesa, Poesie 1973-2008, Roma, La
Camera Verde 2010 ('d'ora in avanti indicato con P seguito dal semplice numero di pagina).
(4) Sul concetto di Libro di poesia si veda Enrico Testa, Lesigenza del libro, in La poesia italiana del Novecento.
Modi e tecniche, Pendragon, 2003, pp. 97-119.
(5) Sul tragico in Mesa si veda l'importante testo di Alessandro Baldacci, Il disprezzo del rimedio: (ri)pensare il tragico,
in Parola plurale. Sessantaquattro poeti italiani fra due secoli, a cura di Giancarlo Alfano, Alessandro Baldacci, Cecilia
Bello Minciacchi, Andrea Cortellessa, Massimiliano Manganelli, Raffaella Scarpa, Fabio Zinelli e Paolo Zublena,
Roma, Luca Sossella Editore, 2006, p. 297-306. Anche Paolo Zublena, in Il suono della fine, testo pubblicato su
Alfalibri 5, 7 ottobre 2011, p. 11, ha insistito su questa collocazione e sulla scelta di questo orizzonte di senso per
Mesa.
(6) Giuliano Mesa, Ad esempio. La scoperta della poesia, in La scoperta della poesia, a cura di Massimo Rizzante e
Carla Gubert, Pesaro, Metauro, 2008.


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(7) Arthur C. Danto, Dopo la fine dell'arte. L'arte contemporanea e la fine della storia, Milano, Bruno Mondandori,
2008, p. 12.
(8) Giuliano Mesa, Il lavoro letterario, cit., p.5.
(9) Giuliano Mesa, [Intervento], in 1
o
Quaderno di Invarianti, a cura di Giorgio Patrizi, Roma, Antonio Pellicani, 1989,
p. 118.
(10) Giuliano Mesa, Dire il vero. Appunti, in Scrivere sul fronte occidentale, a cura di Antonio Moresco e Dario
Voltolini, Milano Feltrinelli, 2002, p. 140-141.
(11) Ivi, p. 138.
(12) Jean-Franois Lyotard, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1981. Mesa si occupa di questo libro in
svariate occasioni; ade esempio ne gi citato Il lavoro letterario.
(13) Tiresia. Oracoli e riflessi, si pu leggere in P, 343-358.
(14) Il testo di Tiresia si legge in P, 343-358, ma possibile anche, per chi voglia, leggerlo nella sua integralit, sia pure
con qualche difformit nell'uso dei corsivi, presso questo sito: http://rebstein.wordpress.com/2007/08/11/tiresia-di-
giuliano-mesa/. Su http://gammm.org/index.php/2008/05/18/da-tiresia-giuliano-mesa/ se ne leggono invece alcune
traduzioni. Data la non soverchia lunghezza del testo ometter per lo pi le indicazioni di pagina relative alle citazioni
effettuate.
(15) Si tratta del gi citato Dire il vero, comparso appunto nel volume Scrivere sul fronte occidentale, volume dedicato a
una discussione critica dell'evento 11 settembre e al suo effetto sulla percezione storica attuale.
(16) Per una descrizione pi puntuale e precisa (soprattutto dal punto di vista ritmico, aspetto davvero cruciale del
testo), che i dati qui presenti vorrebbero unicamente integrare, si rimanda a Florinda Fusco, Tiresia: il viaggio negli
inferi della contemporaneit, in Atelier, XVI, 61, marzo 2011, pp. 71-79.
(17) Va per sottolineato che Mesa non compie una ricerca metrica sulle misure versali consuete nella tradizione
italiana (dove gli Endecasillabi risultano essere ormai, con parola d'autore, Reperti); la ricerca metrica di Mesa, in
questo senso pi difficile da analizzare, riguarda l'aspetto ritmico del testo, come ha dimostrato il gi citato articolo di
Florinda Fusco. Cos si esprime l'autore riguardo a Tiresia: La forma di questo Oracolo uguale a quella dei due che
avete gi ascoltato, cio i versi hanno lo stesso tipo di ordine, ogni verso ha lo stesso numero di accenti rispetto
allOracolo precedente, eccetera. Questa dichiarazione stata rilasciata nella trascrizione di un intervento di Mesa
presso una classe della Scuola Media Centurione di Genova, effettuato nel 2002 e quindi a Tiresia ancora inedito,
scaricabile, in pdf, al seguente indirizzo internet: http://rebstein.wordpress.com/2011/08/20/non-predire-il-futuro-ma-il-
passato/. Il testo presente, con corredo di foto anche sulla seguente rivista genovese: Cantarena, VI, 22, giugno
2003, pp. 4-22. Si far riferimento a questo testo con la semplice indicazione Interazioni.
(18) Questa poesia io lho scritta (non ricordo dove lho scritta) pensando ad un fatto realmente accaduto.
(Interazioni).
(19) Zublena ha scritto: Tragedia dolorosa della dialettica, tragedia del soccombente: Tragico soltanto quel
soccombere che deriva dallunit degli opposti, dal ribaltamento di una cosa nel suo contrario, dallautoscissione. Ma
tragico anche soltanto il soccombere di qualcosa cui perire non consentito, dopo il cui allontanarsi la ferita non si
chiude. Cos Szondi nel Saggio sul tragico, e allo stesso modo il Tiresia di Mesa: devi tenerti in vita, Tiresia, / il tuo
discapito (L'ultimo dei modernisti, in Alfalibri, cit., p. 10).
(20) Sulla questione del Tu lirico si veda Jolle de Sermet, L'adresse lyrique, in Figures du sujet lyrique, a cura di
Dominique Rabat, Paris, Puf, 1996, pp. 81-97.
(21) Il tu resta presente anche nei Riflessi, ma in modo molto pi sfumato e irregolare. La testualit dei Riflessi, bench
convochi, come gi detto, strategie anche forti di coesione macrotestuale, molto pi vicina, rispetto agli Oracoli, a
quella di altri esiti di Mesa, quasi rimandasse, intertestualmente, agli altri libri di poesia dell'autore, e ne convocasse la
figura entro il testo.
(22) In La chiave a stella (Torino, Einaudi, 1978, pp. 45-52) Primo Levi operava, in un capitolo centrale dal titolo
Tiresia l'identificazione dell'indovino come figura dell'autorialit stessa.
(23) Si veda in merito Slavoj iek, Luniverso di Hitchcock, a cura di Damiano Cantone, Milano, Mimesis, 2008, pp.
27 e seguenti.
(24) Ecco quanto scrive ancora Mesa sul tema della Verit etica. Ne ho gi scritto (rimando a Frasi dal finimondo,
nel volume Akusma, e a Dire il vero, in Scrivere sul fronte occidentale). Verit etica un sintagma forse un po
troppo austero, o addirittura pomposo. Si potrebbe anche dire: sincerit. Lostacolo principale al dialogo non la
diversit di opinioni ma il comportamento (letica, appunto). Non pu esserci dialogo con chi parla sempre e soltanto
avendo in mente certi suoi fini (secondi, che poi sono primi), che agisce sempre secondo tattiche e strategie, opportunit
e convenienze mentendo, sempre. Sembra che tutti parlino con tutti sapendo, tutti, di avere dei secondi fini (che
sono i primi). Alla spudoratezza del dire chiaramente quale sia il fine vero, ancora non si arriva (e ci si era quasi
arrivati, al tempo della prima guerra del Golfo Persico). Gli scopi e i valori dichiarati devono ancora essere: libert,
giustizia, democrazia, verit, onest, solidariet ecc.. Ci che accade nellmbito dei poteri economici e politici e
mediatici, accade anche in quello della cultura, e in quello della poesia: sempre pi spesso, con sempre maggiore
spudoratezza nel mentire (Tre lemmi, in Per una critica futura, 3, aprile 2007, a cura di Andrea Inglese, pp. 67-68).
(25) In questo senso Tiresia stato letto da Marco Giovenale, Visione, voce, dovere. Il Tiresia di Giuliano Mesa,
leggibile su punto critico al seguente indirizzo internet: http://puntocritico.eu/?p=1213.
(26) Infatti, l'ornitomanzia si riferisce al volo degli uccelli che si posano su di una discarica che franer seppellendo


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Sitio Pangako, la piromanzia si riferisce al rogo di una fabbrica, la iatromanzia all'espianto degli organi, e cos via. Si
noti, tra l'altro, che gli uccelli di 01. ornitomanzia sono folaghe, e corrispondono quindi a uno dei significanti
ornitologici pi famosi della poesia italiana novecentesca, nella fattispecie montaliana: e il sospetto che aleggi sul testo
un riferimento, magari critico, comunque problematico, al vento che chiude Voce giunta con le folaghe e al concetto di
memoria che da questo testo esce non poi forse cos privo di senso.
(27) Una decisiva analisi di questa stanza del poemetto in Fusco, Tiresia: il viaggio agli inferi della contemporaneit,
cit., pp. 74-75.
(28) Su questa questione si veda il libro di Bruno Moroncini, Il discorso e la cenere. Il compito della filosofia dopo
Auschwitz, Macerata, Quodlibet, 2006, in particolare pp. 53-73. Proprio secondo Moroncini, peraltro, la de-
legettimazione dei metaracconti inaugura il tempo dell'etica (p. 73).
(29) Il riferimento va ovviamente al libro di Steiner, La morte della tragedia, Milano, Garzanti, 1999.
(30) Si veda in merito Giorgio Agamben, Che cos' il contemporaneo, in Nudit, Roma, nottetempo, 2009, pp. 19.-20
(31) Peter Szondi, Saggio sul tragico, Torino, Einaudi, 1996, p. 92.
(32) Daniele Giglioli, Senza trauma. Scrittura dell'estremo e narrativa del nuovo millennio, Macerata, Quodlibet, 2011.
(33) Ivi, p. 19.
(34) Si veda in merito Annamaria Cascetta, La tragedia nel teatro del Novecento. Coscienza del tragico e
rappresentazione in un secolo al limite, Roma-Bari, Laterza, 2009.
(35) Daniele Giglioli, Senza trauma, cit., p. 32-33.
(36) Desumo l'idea di produzione di localit da Arjun Appaduraj, mentre quella di produzione di temporalit
rielaborando suggestioni di Toni Negri e Deleuze.



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Dal mito al museo.
struttura e significato in Pitture nere su carta di Mario Benedetti
Le parole hanno fatto il loro corso
M. Benedetti

1.Presupposti: forma, cadavere di un libro e mito

Il problema della forma poematica di Pitture nere su carta(1) ci appare fondamentale per
cercare di comprendere il senso ultimo di quest'opera. Tale problema richiama alla mente subito una
pi vasta serie di questioni, ineludibili se ci si voglia soffermare su un'opera di poesia che tenti una
pi vasta organizzazione la quale dica di pi di quanto possano fare i singoli componimenti. E
sebbene la produzione poetica dell'ultimo secolo sia costellata da tentativi poematici - dal
Canzoniere di Saba al Conte di Kevenhller di Caproni - e sebbene mai si siano interrotti anche in
anni pi recenti, bisogna pur ammettere che il confronto fra queste opere e l'opera di Mario
Benedetti non trovi per lo pi che dati negativi, differenze piuttosto che somiglianze. L'originalit
della macrostruttura di Pitture nere forse da ricercarsi proprio al centro della sua ispirazione,
nell'accanito problema che soggiace alla scrittura di quel delicato e dannato pronome Io, il quale
mai dato per scontato fra questi versi, il cui problema anzi tematizzato e offerto costantemente
alla propria crisi come alla propria salvezza. Una scrittura, la quale fondi la propria possibilit di
esistenza sulla indecidibilit di questo pronome, immediatamente mette in crisi la ragione stessa di
esistere e lo statuto del genere a cui appartiene, il genere lirico, che proprio sulla possibilit di dire
Io trova il proprio sostentamento. L'analisi del valore formale, della struttura di questo singolare
libro di poesie, allora non potr prescindere dal richiamo a valori che esulano dalla forma, che
sconfinano in quell'aperto mondo dell'esperienza che la precede e che la segue: essi soltanto
sembrano i soli a poter giustificare pienamente la struttura che Benedetti ha dato a quei
componimenti raccolti sotto il titolo di Pitture nere su carta.
La forma un dato storico. Ci che delimitato riconoscibile soltanto entro un certo gruppo
che vidima tale limite e si riconosce limitato da esso. Le forme mutano, si diffondono, scompaiono,
sono catacretiche ovvero invisibili sopravvivenze, forme morte; mesmerizzate, semmai, solo da chi
sapr farle risplendere nell'attimo del pericolo(2). Il problema della forma acutamente sentito da
qualunque poeta; potremmo quasi dire che laddove non ci sia riflessione formale non vi poeta.
Egli sente su di s la forma come un dovere. La posta su cui ogni poeta lirico - a maggior ragione
dall'avvento del vers libre - mette in gioco la propria impresa creativa quella che una forma sia
ancora possibile, a patto che questa sia intesa all'interno di un contratto a tre: l'esigenza interiore, il
mondo esterno, la tradizione letteraria. Dire che il poeta senta su di s la forma come un dovere, non
vuol dire nient'altro che egli dovr farsi garante della possibilit di una forma per la parola umana.
Guido Mazzoni, proseguendo un discorso che fu d'altra soluzione in Fortini, ha sottolineato in un
suo recente saggio quanto la catena sociale della parola poetica si sia interrotta, quanto essa non
abbia pi un vasto pubblico n il prestigio collettivo che, un tempo, ebbe(3). Ma il ruolo che la
parola poetica ha nei confronti del mondo esterno non pu essere valutato soltanto nei termini di
successo sociale: esso solo una parte e marginale del legame triadico su cui la poesia fonda
il proprio dover essere. L'esigenza interiore e la tradizione sono l, ancora, a sorreggere pienamente
l'esperienza della parola poetica; e se oggigiorno il legame sociale appare pi lasco, o sembri come
ridotto a mero valore posizionale(4) all'interno della comunit di chi pratica la poesia, esso permane
nella scrittura come ineludibile istanza etica.
Potrebbe il poeta arrestarsi alla sola ricerca formale, allora? La ricerca di una forma non
disgiunta dalla possibilit tout court che esista un senso: anzi la poesia proprio il luogo dove l'asse
semiotico, formale, si coniuga problematicamente all'asse eteronomo esistenziale: se non vi
responsabilit e presenza in quella forma allora non vi niente(5). Quale forma dunque pu
coniugare un Io cos precario al mondo? Quale poteva essere la forma della singolarit alle soglie
del nuovo millennio? Era ancora possibile che l'interiorit trovasse un accordo con l'universale? Era


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ancora possibile per la lirica del 2000 contemplare un modello formale di sussunzione estetica di
ci che privata esperienza? ancora possibile quello che da qualche secolo chiamiamo poesia
lirica?

Su queste domande era approdata la scrittura di Mario Benedetti, dopo l'uscita del suo libro
Umana Gloria(6). Il libro mondadoriano del 2004 stato costruito a posteriori, raccogliendo una
produzione accumulata nei venti anni precedenti e che aveva trovato pochi episodi, tra l'altro
minori, per raccogliersi in una unit(7). un libro che non presenta in s alcuna intenzione
programmatica se non quella di un amorevole erede di se stesso: raccogliere gli sparsi resti di chi
non pi. Potremmo dire che esso - mi si comprenda - sia un libro nato morto, le cui componenti
poetiche non erano pi attive per l'autore che pur le vedeva pubblicate l per la prima volta tutte
insieme. Cos come si compone un cadavere, Mario Benedetti ha dovuto attendere alla vestizione di
questo libro, ripercorrendo con cura e attenzione - con piet - tutto ci che aveva creduto poesia
durante la propria vita.
L'esperienza di Umana Gloria, dico della composizione editoriale di questo libro, ha
assommato in s due stati fondamentali, due stati agogici. Poniamo mente ad essi, perch poi li
ritroveremo, ma resi ormai strategia retorica: da un lato la raccolta, il catalogo, l'elenco di ci che
stato fatto; dall'altro la contemplazione esterna, l'esercizio dello sguardo critico e distante, la
verifica di quanto si stava raccogliendo, elencando, catalogando. Per la prima volta, forse, Benedetti
ebbe la visione di ci che aveva compiuto nel suo lungo percorso di scrittura, ebbe chiara
l'immagine che di se stesso, per riflesso retroattivo, quel libro produceva. Cos come l'utensile, non
sparendo pi nel suo uso, appare(8), la poesia di Benedetti per la prima in tutta la sua ampiezza
sorse nel pallore cadaverico di un libro che la sanciva essere stata viva.
(Incidentalmente occorre qui notare come la copertina di Umana Gloria - la riproduzione
dell'opera Coraggio del pittore Enzo Cucchi - sia particolarmente suggestiva sotto questo aspetto.
Infatti vi vediamo, immerso in un paesaggio montano, in basso a sinistra, l'apparire tra il fitto verde
di un mezzo busto umano alonato da un giallo sporco; una mano bianca da un corpo invisibile si
tende e sfiora il viso dell'uomo che dorme, che muore. la mano del vivo autore che, con coraggio,
si rispecchia acefalo nel corpo morto del libro?)
Ci che era poesia, vita inconscia ma pulsante, la tanta materia diversa come sognata(9),
appare finalmente nella sua reificazione libraria, sfinisce nel suo feticismo cosale mostrandosi bruta
materia, oggetto, volumen. Non credo sia da sottovalutare l'impressione profonda che questo
avvenimento suscit nella mente dell'autore, in quegli anni esasperato per la recente e faticosa
riabilitazione dalla malattia di cui fin da giovane Benedetti sub le conseguenze; e che lo costrinse,
proprio a ridosso della pubblicazione, per molti mesi dapprima in ospedale, poi in uno sfibrante
pendolarismo fatto di analisi e centri di assistenza terapeutica. L'apparizione di Umana Gloria
dovette sembrare, allora, una sorta di congedo, un segnale di separazione piuttosto che di continuit
con quanto la sua vita era stata precedentemente, un addio alle cose che avevano costituito
l'immaginario emotivo fondante della sua scrittura, ormai sorpassate da una vita che
scandalosamente continuava nonostante l'essere stata prossima alla sparizione.
Il primo libro mondadoriano cos densamente mitico che lascia stupefatti. Vi sono raccolti i
luoghi, le persone, gli avvenimenti che costituiscono l'Infanzia irredimibile dell'autore. La Francia,
la Bretagna, il Friuli, la Slovenia, la citt di Milano e di Parigi, i quartieri come gli amici, i quadri,
l'amata, i fratelli, la madre, il padre si fondono in una sintassi liquida, amniotica, come trattenuta in
una continuata gestazione uterina(10). Il poeta vi appare come uno spaesato Ulisse, sempre colto
nella figura emotiva del ritorno cos come la intese Lyotard(11), sempre in ricerca di una
identificazione precaria attraverso l'alterit dei luoghi e delle persone. Questo libro non presenta
un'intenzione poematica forse anche a causa di questa densit mitologica. Il mito, infatti, non ha
razionalit n struttura nel suo originarsi, n del resto ha un soggetto individuale cui riferirsi. Esso si
compone di risposte ad una spontanea quanto impersonale attesa: senza mediazione, il mito si d.
Ovviamente, anche questa immediatezza non altro che mitologia; ma solo dall'interno di questa


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fede che esso pu esistere come spontanea proliferazione(12).
Cesare Pavese stato colui che ha parlato chiaramente del compito del poeta nei confronti
dell'aspetto mitologico del proprio immaginario. Pi volte Benedetti ha dichiarato un debito nei suoi
confronti, debito che agisce attivamente anche in questa raccolta. Benedetti non il solo, del resto, e
se si facesse una ricognizione dell'eredit pavesiana all'interno della scrittura poetica dell'ultimo
trentennio, credo ci si stupirebbe per l'ampiezza e la profondit dei lasciti carsici che la sua opera ha
diramato dentro le intenzioni di molti poeti. Scrive Pavese:
La vita di ogni artista e di ogni uomo come quella dei popoli un incessante sforzo
per ridurre a chiarezza i suoi miti. Ma non si pu fare che in essi non sia il foco
vitale, la ratio ultima perch inconsapevole, della vita interiore. Il tonico potente
che se ne assorbe, l'unica e sola ispirazione degna di questo nome abusato, ne
prova. Soltanto non bisogna vietarsi esteticamente lo sforzo pi assiduo per ridurli
a chiarezza, cio distruggerli. Soltanto ci che ne rimarr dopo questo sforzo (e
qualcosa non pu non rimanere sempre, se vero che lo spirito inesauribile),
potr valere come fonte di vita.(13)
Secondo la parola dell'autore piemontese, i miti permangono come fonte di vita se e solo se si ha
il coraggio di distruggerli, portarli ad una chiarezza superiore. Pavese scrive ridurli a chiarezza,
laddove nella scelta del termine riduzione avvertiamo forse gi la svolta metrica che Pavese stava
sperimentando nella coeva scrittura delle poesie di Verr la morte e avr i tuoi occhi: la scelta per
un metro conciso, essenziale. La chiarezza che il mito richiede a colui che lo pratica, a colui che si
nutre del tonico che da esso scaturisce, di natura catastrofica. La chiarezza un atto disarticolante
ma vitale, violento ma desertico. Chi vuole mantenere in vita la fonte del proprio mito, deve ridurlo,
dominarlo, devastarlo; Pavese usa l'espressione sfondare il mito:
Ma i pi forti, i pi diabolicamente devoti e consapevoli, fanno ci che vogliono,
sfondano il mito e insieme lo preservano ridotto a chiarezza(14)
Alle soglie della scrittura di Pitture nere su carta, Mario Benedetti era ad un bivio. Da un lato
continuare fino all'usura il proprio immaginario, attingervi fino alla ripetizione esausta, fino allo
sfibramento manieristico di s. Dall'altro, invece, ridurre all'estrema chiarezza quei miti che
spontaneamente avevano dato luogo ai testi che compongono Umana Gloria, abbandonare ogni
abito acquisito e andare alla ricerca del punto dove la scrittura sfonda il proprio limite e apre le
porte ad un deserto vitale. Codesta soltanto pu essere la devozione diabolica, secondo l'espressione
di Pavese. Il diavolo, fedele alla propria etimologia, colui che divide, che porta con s la scissione,
la ferita, la diplopia(15); colui che separa il vero dal falso, che rende vero il falso e dunque falso il
vero. Colui che sfonda il mito va letteralmente al diavolo: costretto a stare in piedi, fermo e
immobile, raziocinante e critico, mentre osserva il proprio mito bruciare di verit.


2. Pitture nere su carta ovvero: il museo alla fine del simbolo

Alcuni attenti interpreti hanno fin da subito sottolineato quanto la struttura delle poesie di
Pitture nere su carta fosse assimilabile a quella di un museo. Da un lato Maria Grazia Calandrone
sostiene che ogni testo di questa raccolta sia come posto sotto i faretti, fra le teche; dall'altro
Massimo Gezzi ha parlato di libro-galleria, affermando che le poesie obbediscono a una
strutturazione in otto capitoli che spesso ricordano veri e propri cicli pittorici(16). Italo Testa ha,
dal canto suo, analizzato quanto la parola poetica in questo libro attinga al serbatoio delle arti
visive, sottolineandone per come la tecnica mista cos raggiunta dia luogo ad una poesia di
carattere ultra-figurale(17). I critici hanno utilizzato la metafora museale per cercare di chiarire la
peculiarit architettonica della seconda opera mondadoriana di Benedetti. Occorrer sviluppare pi
approfonditamente questa intuizione. Del resto, sia il titolo della raccolta, sia le citazioni che ne


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fanno da esergo(18), sono dei segnali ineludibili di quanto Benedetti volesse instaurare
un'affiliazione pittorica e visiva per quanto riguarda il proprio libro. Le epigrafi per, se da un lato
sottolineano il carattere generalmente pittorico della raccolta, dall'altro fanno un nome molto
preciso: Francisco Goya. Un'interpretazione della struttura di quest'opera non pu prescindere da
questo nome.
L'influenza del pittore spagnolo ravvisabile all'interno di Pitture nere sotto molteplici
aspetti. Primariamente Goya richiamato all'attenzione per la sua capacit di non indulgere al mito
in un senso estetizzante, neo-classico; come uno dei pochi del suo tempo a vivere il rapporto con
l'origine come un ricorso ad una forza spontanea e non come proseguimento, nella memoria erudita,
di un luogo temporale privilegiato (l'Arcadia) o di una forma immutabile(19). Goya, secondo
l'interpretazione di Starobinski, colui che dipinge la bestia nera che viene messa a morte nelle
piazze dei villaggi mentre l'Europa si attardava ad agghindare il bianco toro della mitologia,
colui che sente un'origine oscura, su cui incombe un rischio mortale. Dunque, Goya sfonda il mito
della sua epoca e riporta alla luce con diabolica devozione l'orrore originale che lo fonda(20).
A quest'ultimo aspetto vanno ascritte anche alcune delle vistose particolarit retoriche che si
notano all'interno dei componimenti di Pitture nere: un certo espressionistico uso del linguaggio che
volge al grottesco il proprio tratto(21). Ma a questa suggestione storico-retorica della pittura di
Goya, si deve aggiungere una suggestione biografica. Abbiamo gi ricordato quanto fosse
essenziale sottolineare la concomitanza fra la pubblicazione di Umana Gloria e la riabilitazione
dalla malattia che aveva costretto Benedetti a lunghi soggiorni ospedalieri; ora dovremo ricordare
che proprio Goya dipinger gran parte delle sue opere pi oscure dopo una grave malattia di natura
sconosciuta che lo colp durante l'inverno del 1792 e che lo menom per sempre dell'udito. La fase
pi acuta lo vide infermo a Cadice, presso la casa del grande collezionista e mecenate Sebastian
Martinez. Il deliri e i dolori presero il sopravvento del suo corpo mentre era attorniato dai muri di
una vera e propria casa-museo che grondava di quasi 750 quadri e migliaia di incisioni(22). La
malattia e la sua parziale guarigione segnano un passaggio importantissimo nella pittura di Goya
che non torner mai pi a dipingere come prima. Los caprichos(23) la celeberrima serie di
incisioni in cui il pittore spagnolo inizia, attraverso l'uso del grottesco, la sua perlustrazione
sistematica dell'orrore. indubitabile che Benedetti sentisse nel tragitto del pittore di Fuendetodos
una somiglianza con il proprio; probabile che la scelta, successiva alla malattia, di strutturare
serialmente i propri lavori incisori abbia giocato un ruolo fondamentale nell'immaginario creativo
del poeta. Entrambi, dopo la malattia, avvertirono la necessit di un'arte che fosse in grado di
rappresentare l'absurde possible(24) di una vita come postuma. Benedetti sembra dirci che se la
fede nel mito procede in maniera spontanea, proliferante, d'altra parte lo sguardo che ha scorto
pienamente l'orrore richiede metodo, struttura. Per chi intenda questo, non pi possibile
abbandonarsi, innocente, al sorgere dei propri miti.
La incisioni di Goya trovano un rispecchiamento dunque nel numero e nella ciclicit del libro.
Mantenendo la propria indipendenza, il numero dei componimenti scelti da Benedetti si assesta
nelle medesime vicinanze delle due pi celebri sequenze del pittore spagnolo: I Capricci sono
composti in totale di 80 incisioni, mentre I disastri della guerra(25) sono 82. Pitture nere su carta,
invece, composto di 79 testi (numero primo), divisi in otto sezioni, aperti da un componimento
singolo(26). I componimenti per sezione non sono mai superiori a 11 e non scendono mai sotto i 9;
il numero di componimenti per sezione decresce a mano a mano che ci si inoltra nel libro, fino a
stabilizzarsi sul minimo dalla quinta sezione in poi(27). Ma seriale anche la titolazione dei
componimenti, organizzata in un parallelismo che divide gli otto capitoli a due a due: nel primo e
nel secondo, come nel quinto e nel sesto, i testi hanno tutti un titolo, seguito dal numero naturale
specifico del tipo; il terzo capitolo e il quarto, come il settimo e l'ottavo, riportano invece soltanto il
numero di riferimento(28).
Il numero complessivo dei componimenti, 79, il numero atomico dell'oro, parola che
compare nel primo verso della poesia liminale(29) e che sembra proprio essere la porta aurea
attraverso cui entrare nel libro-galleria Pitture nere su carta. L'immagine alchemica con cui


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veniva raffigurato l'oro un cerchio al cui centro si trova un punto, segno solare per eccellenza.
L'oro e il cerchio tornano, in concomitanza con l'immagine stellare, nei componimenti Supernove 1
e 2(30); questi due testi fungono da transizione, conducendo il lettore all'ingresso delle due ultime
sezioni della raccolta: a 2\3 dell'opera, dunque(31). Questa insistenza non causale; Benedetti
stesso ci spiega il significato che l'immagine del cerchio solare riveste nella sua poesia, cos come
appare, mediata dalla citazione dantesca, nel verso eco di luce che non da s vera(32):
Osserviamo l'universo con dei filtri, per cui la luce che per Dante era in s, divina,
per noi filtrata da macchinari costruiti dall'uomo(33)
L'autore torna ad insistere sul particolare stato diplopico, doppio, diabolico, che la conoscenza ha
nel mondo contemporaneo. Quella luce che per Dante era una verit oggettiva, che permetteva di
centrare il soggetto mistico e individuale nel medesimo luogo geometrico dei punti, oggi distorta,
fievole, deformata, filtrata ed incerta(34). La carne che s'indora, allora, torna morta nel senso che
non pi in grado di stabilirsi da sola in quella luce dorata che da s vera, ma abbisogna sempre
di uno strumento esterno a cui appellarsi per prendere il malcerto riferimento da cui pur sempre
dipende. Torna morta si intende, qui, l'atto di sfrondare l'oro dal suo mito, mostrar la condizione di
chi non pi persuaso dal mito. La persuasione non vive in chi non vive solo di s stesso,
afferma Carlo Michelstaedter; poco prima, aveva scritto:
Ma l'uomo vuole dalle altre cose nel tempo futuro quello che in s gli manca: il
possesso di s stesso: ma quanto vuole e tanto occupato dal futuro sfugge a s
stesso in ogni presente.(35)
Attraverso le parole del giovane filosofo goriziano, arriviamo ad intuire la ragione ultima
della strutturazione museale di Pitture nere su carta. Egli ci ricorda quanto la condizione originaria
dell'uomo sia tragicamente sempre dentro una rettorica, una struttura mediale, in quanto egli
dipende da strumenti esterni che, nel momento in cui gli danno l'illusione del possesso di s, a s lo
sottraggono indefettibilmente. Come pu sussistere una struttura poematica se il soggetto
continuamente si affida all'incerto esterno, ai suoi filtri, e per conoscere dunque sfugge sempre a se
stesso? Quale architettura pu sopportare il moto violentemente centrifugo, deflagrante che
comporta tale esperienza interiore? Se esso conduce a quella lacerazione del vertice a cui altrove
Benedetti ha fatto esplicito riferimento attraverso la riflessione di Bataille, tale moto non pu
produrre altro se non un'interna distorta musica, interna distorta parola(36). La forma museale,
allora, ci appare come unica struttura che possa mostrare appieno lo sdoppiamento lacerante del
soggetto di cui Benedetti ha fatto esperienza. Il poeta si trova nella situazione - al limite del
possibile - di poter solo catalogare, elencare i neri frattali prodotti da tale lacerazione, predisporli su
lastre, laddove lo sguardo dello stesso poeta vi si pogger allibito cos come lo sguardo di Goya si
poggiava incredulo sulle proprie incisioni.
La struttura museo riesce a descrivere architettonicamente la condizione di un soggetto che
guarda esattamente il punto in cui, lacerato, non pi. Si guarda, esterno a se stesso, come morto, o
meglio: collocato, in maniera indecidibile, before the beginning and after the end(37). questa la
diplopia essenziale, la devozione diabolica: l'unica che esprime la condizione ecfrastica di un
soggetto che se da un lato nella scrittura, dall'altro colui che non pi consustanziale alla
propria scrittura(38). Dall'intercapedine mediale, nel bilico in cui la rettorica si svela come tale, egli
osserva il proprio mito e lo decompone; vi partecipa e nello stesso tempo lo critica e ne escluso, in
quanto vittima sacrificale del senso. Sotto questo aspetto, la scrittura che Benedetti allestisce in
quest'opera lontana migliaia di chilometri dall'usuale trasparenza con cui siamo soliti adoperare il
simbolo linguistico(39). Le parole che la compongono sono sempre parole in crisi,
etimologicamente, separate, staccate dalla vita mentre sono l, sulla carta, opache e nere come
pitture non pi comprensibili. Come dispositivi mal funzionanti, le parole indicano, ma non
simbolizzano pi(40):


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Io mi sento in bilico credo di essere sempre in bilico, anche scrivendo. Esprimo
sempre fratture, scrivo per fratture.(41)
Forse ora riusciamo a rendere ragione di alcuni versi, turbanti e contraddittori, che il libro
continuamente ci propone: Cos le foglie. Cos,\ forse, foglie non sono state(42); Quanto sento?
e come, dove\ onda del mio stare qui e stare via(43); Mondo non mondo, mio mondo nero(44);
[...] e io so dire e non dire(45). La divaricazione contraddittoria e negativa(46) appare fin dalla
poesia liminale: Ma nessuno qualcuno, niente la notte, nessun mattino(47). Ma anche
l'epanalessi nasconde questa funzione avversativa, divaricante: Viti di viti, uova di uova(48). Alla
sinechia mitologica, l'aderenza ingenua che si instaura nel mito fra parola e vita, questo libro
oppone la diaspora lacerante, la coscienza diabolica del limite che il dominio verbale ha sul
mondo(49).
A questo punto siamo in grado di comprendere adeguatamente i nomi delle sezioni. Colori,
Lacrime, Sfarzi, Reliquari, Sacrifici, Sfarzi, Smalti, Supernove; cosa sono? Perch questa
particolare resilienza materiale che avvertiamo in questi termini e che troviamo anche sottolineata
nel titolo complessivo della raccolta? Questi termini non sono simboli linguistici che denotano
referenti. Non sono simboli, abbiamo detto, comunemente intesi; sono semmai ex-voto, cos come
Didi-Huberman li definisce:
Ci che si depone nei santuari per gratitudine votiva sempre un oggetto che
stato toccato da un evento supremo, da un sintomo: disgrazia subita in miracolo,
della malattia in guarigione etc. In breve, quasi sempre un oggetto reliquia, un
resto di prove organiche elaborate psichicamente.(50)
Prioritario nella pratica dell'ex-voto che, prima di rappresentare qualcuno, l'ex-voto rappresenta
[...] il punto in cui esso [l'offerente] soffre e l dove vuole essere trasformato(51). La mediazione
simbolica tocca in questi oggetti un limite peculiare che avvicina spaventosamente i tre poli classici
del simbolo fino a farli deflagrare in una singolarit indecidibile. L'ex voto si colloca infatti l
dove si sente la carne(52), dice Didi-Huberman, instaurando una somiglianza che individua il
proprio criterio in una qualit interna al materiale(53). I componimenti delle sezioni sono seriali
cos come non possono non essere seriali gli ex-voto; in quanto in essi non in discussione lo stile
individuale, giacch l'individuo, nel momento in cui lacerato dal male, semplicemente non pi:
il male. O meglio ancora: il singolo punto organico che dolora(54). E del male si pu fare
catalogo, enumerazione, elenco, variazione come abbiamo visto fare a Goya, come abbiamo visto
fare a Benedetti, come testimoniano nelle chiese e nei santuari milioni di pellegrini; ma di esso,
come ci dice l'immutabilit formale degli ex voto(55), non si potr mai fare storia(56).


4. Vitalit del postumo e conclusione

Adorno, in un celebre saggio, ricordava che le parole Museo e Mausoleo sono connesse da
qualcosa di pi che un'associazione fonetica:
I musei sono come i sepolcri familiari dell'arte. Testimoniano la neutralizzazione
della cultura(57).
Benedetti compone la propria teratologia dolorante allestendo il museo dei propri miti brutalizzati,
che, come le opere d'arte, incarnano una promesse du bonheur soltanto quando sono rivolti sul
sentiero della loro distruzione(58). Il museo di Benedetti testimonia esattamente questa
neutralizzazione, di come, dall'interno della lacerante esperienza interiore, ogni convenzione
umana (e segnatamente: poetica) venga resa postuma a se stessa, sopravvivendo in una vita
sepolcrale. Se per il museo distrugge e neutralizza, esso l'unico luogo in grado di conservare i
resti di una cultura, di garantire loro la durata. Da qui la tenacia citazionistica e il plurilinguismo di


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quest'opera. Molte opere, di pittori e di poeti, di architetti, di artigiani e di scienziati, e le loro
diverse lingue sono racchiuse nelle teche, nelle pagine di Pitture nere su carta(59). Di ogni cosa
umana si vorrebbe rendere testimonianza astorica, preservarla pur nella coscienza della sua
immedicabile neutralizzazione. Il movimento da cui scaturisce la poesia di questo libro s di
carattere distruttivo, disumanizzante; ma fuoriesce dall'umano esattamente per quanto sull'umano
indefettibilmente converge. Trapassato attraverso le pi bestiali e disumane raffigurazioni, l'opera di
questo poeta non pu fare a meno di ritornare a comporre, proprio attraverso la macrostruttura del
museo, un disegno, una traccia percorribile(60).
Sebbene non vi sia in questa opera una vera e propria progressione, l'aspetto poematico
evidente nella struttura del libro ci pare apra alla possibilit di un senso ulteriore. Abbiamo provato
a definire ogni componimento mediante il funzionamento degli ex-voto; ma dobbiamo fare capo ad
un'altra suggestione per definire meglio ci di cui si compone questo museo e per provare, infine, a
tratteggiare l'ipotesi del senso ultimo di tale struttura. Yves Bonnefoy, a proposito di Goya,
individua la presenza di uno stato originario ravvisabile sotto la superficie in tutti i suoi quadri, ma
di cui se ne d piena evidenza solo nelle sue figurazioni pi estreme. Egli propone di chiamare
schizzo questo peculiare stato del segno. Cos scrive:
Lo schizzo, nel senso in cui uso il termine, non il rapporto dell'individuo con se
stesso cos come lo studia la psicanalisi, senza preoccuparsi per l'in pi che vede
pesare sui grovigli della parola inconscia. la reazione di una vita ancora priva di
strutture linguistiche a un immenso fuori che la sovrasta, onda che gi si riversa. Lo
schizzo non obbedienza a un sogno, per la soddisfazione inquieta o meno di un
desiderio, un fatto di coscienza ultima. Un essere agli albori vi percepisce e
affronta l'ignoto, come pure del resto l'impenetrabile.(61)
Per il poeta francese questo stato del segno sintomo della reazione di una vita a un immenso
fuori che la sovrasta. Mi preme sottolineare la vitalit sottesa al termine reazione, all'espressione
affrontare l'ignoto, allo stesso termine schizzo. La definizione che Bonnefoy d davvero ben si
adegua ai componimenti che sono raccolti in Pitture nere, sebbene manchi in essa - ed per noi
aspetto fondamentale di questo libro - la problematica equivalenza fra sintomo e singolarit che
abbiamo cercato di recuperare attraverso la nozione di ex-voto. Eppure le parole che abbiamo
riportato sembrano spingerci ad una definizione del senso complessivo delle Pitture nere, la quale
tenga presente anche la nostra premessa pavesiana. Il risultato dello sfondamento del mito, infatti,
era un effetto tonico: soltanto quanto resta dopo questo sforzo, infatti, potr valere come fonte
di vita(62).
Un museo che si compone di questi schizzi, di questi ex-voto, allora, non indica soltanto la
condizione di totale afasia a cui il linguaggio simbolico (e con esso, tutta la cultura occidentale)
sembra condannarci nel mondo contemporaneo; ma ci invita a partecipare al tentativo eroico - alla
Bruno - di resistere alla crisi del simbolo tarando lo strumento linguistico ancora pi sottilmente di
quanto siamo soliti fare. Se Benedetti ci spinge a visitare il museo dei propri miti decostruiti, ci
accade affinch possiamo ricordare che la parola (e la cultura tutta, che su di essa si fonda) si basa
su di un fondamento tragico a cui si deve resistere rimanendo alla sua altezza e mai cedendo alla
facile ingenuit dei miti consolatori. Pena: un ritorno al neo-classicismo retorico, recessivo,
dimentico che la parola segno inequivocabile della sparizione di una nuda voce che fu viva di vera
vita e che rimane memorabile fin tanto che si pronunci una parola capace di indicarne l'origine.
Oggi che la cultura occidentale ci fornisce cos facilmente strumenti di narcosi e di oblio, di
dilapidazione della memoria e della soggettivit; oggi che quella societ ci appare cos stremata nel
fallimento del suo progetto consumistico e di benessere; oggi che la letteratura cos spesso si
abbandona alla nevrosi di una esperienza impoverita e non sa che ripetere che al vissuto, al centro
esatto del vissuto, manca qualcosa di decisivo(63); ci pare che la parola cos negativa di Benedetti
si ponga, in realt, come strumento positivo, come farmaco che ci riporti all'ascolto di quelle
dimensioni di senso ancora da venire.


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Le ultime tre poesie del libro Le pitture nere sembrano presagire proprio questo. Attraverso la
lingua morta che messa continuamente in mostra nel museo, possibile giungere addirittura a
rievocare l'affetto dentro la carezza della madre, utilizzando la prima persona singolare, il pronome
io, il pi impronunciabile dentro il regime della lacerazione: carezzevole buio, s, sono io.(64).
Se quell'io la madre, l'affetto che di lei pu rivivere a patto che si situi nel buio di ogni cosa,
allora questa lingua morta, lacerata e che porta segno del proprio trauma, pu collaborare a
quell'unicit del miracolo a cui Pavese riconduceva, in ultimo, l'operazione della poesia(65).
L'esclamazione finale del libro, l'Oh che lo termina, la perfetta mimesi della totalit che accade.
Quella parola non propriamente una parola; una physical dimension(66), l'ultima estrema
perfomance concessa dal linguaggio umano. In essa non si dice nulla lo ripetiamo , ma si agisce
lo stupore originario di chi messo al mondo, ogni volta, per la prima volta. Se vero che l'ultimo
verso di una poesia non un verso(67), allora questo ultimo di Pitture nere su carta la porta che
ci conduce fuori dalle sale del museo, all'aria aperta. Nel momento in cui lo pronunciamo, infatti,
siamo fuori dal libro e fuori da ogni libro; siamo nella vita.

Tommaso Di Dio
Note.
(1) M. Benedetti, Pitture nere su carta, Mondadori, Milano, 2008. (1)
(2) W. Benjamin, Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico, in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilit
tecnica, Enaudi, 1966, p. 83: Far agire l'esperienza della storia, che per ogni presente un'esperienza originaria
questo il compito del materialista storico. Essa si rivolge a una coscienza del presente che fa deflagrare l'esperienza
della storia. Ma si veda anche il VI paragrafo delle Tesi di filosofia della storia, in Angelus Novus, Enaudi, 1962, p. 77,
in cui Benjamin sostiene che articolare il passato significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell'attimo
del pericolo.
(3) Si veda Mazzoni, Sulla poesia moderna, il Mulino, Bologna, 2005; soprattutto il fondamentale capitolo conclusivo
pp. 211-248. Per il riferimento a Fortini si veda Al di l del mandato sociale, in Verifica dei poteri, Enaudi, Torino,
1965.
(4) Si veda Mazzoni, dialettica dell'espressivismo, in cit., p. 214-220.
(5) Secondo le parole di Bachtin: Ogni testo veramente creativo sempre, in una certa misura, la rivelazione, libera e
non predeterminata dalla necessit empirica, di una persona, Il problema del testo nelle scienze umane, in L'autore e
l'eroe, Enaudi, Torino, 1988, p. 295. L'affermazione il testo non una cosa (ibidem), equivale a dire che il problema
formale, testuale, non risolvibile senza fare riferimento all'esistenza esterna di un individuo che lo sancisce proprio in
quanto testo, forma. Si veda soprattutto Arte e responsabilit, ivi, pp. 3-4.
(6) M. Benedetti, Umana Gloria, Mondadori, Milano, 2004.
(7) Quattro sono le piccole raccolte prima del libro mondadoriano: I secoli della primavera, Ripatrasone, Sestante,
1992; Una terra che non sembra vera, Campanotto, Udine, 1997; Il parco del Triglav, La Collana:, Varese, Stampa,
1999; Borgo con locanda, Circolo Culturale di Meduno, Pordenone, 2000.
(8) M. Blanchot, Lo spazio letterario, Enaudi, 1967, p.226.
(9) M. Benedetti, Umana Gloria cit., p. 115.
(10) Sulla questione complessa di come la poesia di Benedetti ridefinisca lo statuto ontologico del reale, si veda l'analisi
dell'uso predicativo della copula in Italo Testa, Visivit. Per Mario Benedetti, in www.puntocritico.eu. Il critico sostiene
la capacit della parola di Benedetti di compiere la ridefinizione ontologica delle cose quale forma del loro
compimento attraverso lo sguardo.
(11) F. Lyotard, Il ritorno, in Letture d'infanzia, Anabasi, Milano, 1993, p.16: Noi non concepiamo il ritorno come
l'identit ritrovata dello stesso con lo stesso, ma come l'identificazione dello stesso con s attraverso il superamento
della propria alterit. Per noi alla fine del viaggio la verit di Ulisse non la stessa di quella che era alla partenza .
(12) Jean-Luc Nancy scrive, a proposito del mito: Questa parola non un discorso che risponde alla curiosit di
un'intelligenza: la risposta a un'attesa pi che a una domanda e a un'attesa del mondo stesso, Il mito interrotto, in La
comunit inoperosa, Cronopio, Napoli, 2003, p. 105. Pi avanti: [il mito] non dice altro che se stesso ed prodotto
nella coscienza mediante lo stesso processo che nella natura produce le forze che il mito mette in scena, ivi, p. 106.
Sulla natura a sua volta mitica della nascita del mito, si vedano ivi, pp. 95-99. Anche Cesare Pavese concorda sulla
natura paradossale del mito, fra irrazionalit e storia: Veduto dall'interno, un mito evidentemente una rivelazione, un
assoluto, un attimo intemporale, ma per la sua stessa natura tende a farsi storia, ad accadere fra gli uomini, a diventare
poesia o teoria, con ci negandosi come mito, Il mito, in Saggi letterari, Enaudi, Torino, 1968, p. 319.
(13) C. Pavese, Del mito, del simbolo e d'altro, in Saggi letterari, cit., p. 275.
(14) Ivi, p. 276. Si noti la consonanza fra questa espressione di Pavese e il significato attribuito da Agamben al termine
profanare, in Elogio della profanazione, in Profanazioni, Nottetempo, Roma, 2005.


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(15) Ivi, p. 87. L'accenno alla diplopia ci pare fondamentale sottolineatura dell'incapacit ad affrontare la doppia visione
diabolica di chi vede contemporaneamente il proprio mito e il suo sfondamento.
(16) Entrambe le citazioni sono tratte dal sito: http://www.carmillaonline.com/archives/2009/01/002902.html. L'articolo
di Gezzi porta come titolo Pitture nere su carta di Mario Benedetti; l'articolo di Calandrone apparso con il titolo
Quello che mi pronuncia il nome di tutti: su Pitture nere su carta di Mario Benedetti; pubblicato precedentemente
con lo stesso titolo in Poesia, Crocetti, Milano, 2008.
(17) Si veda Italo Testa, cit.
(18) Le due citazioni, l'una di C. Baudelaire, l'altra di J. L. Schefer, sono: Goya [] l'amour de l'insaissisable; Goya
[] l'absurde possible.
(19) Jean Starobinski, 1789-I sogni e gli incubi della ragione, Milano, Garzanti, 1981, p. 113.
(20) Si notino le consonanze con quanto abbiamo riportato di Benjamin nella nota 2, vedi supra.
(21) Gezzi scrive, a ragione: Benedetti usa le parole e le cose che esse significano come gli espressionisti usarono
il colore: accostandole in modo libero, intenso, energico, talvolta persino violento ed ellittico, senza preoccuparsi di
aggiungere ornamenti retorici o di organizzarle in una sintassi addomesticata, in Pitture nere su carta di Mario
Benedetti, cit. Sebbene sull'uso del termine espressionismo per quanto riguarda questa raccolta nutro delle riserve.
Esso infatti pu apparire fuorviante, in quanto presuppone un movimento che procede dall'interno di una soggettivit
verso l'esterno: vedremo in seguito che questa impostazione totalmente contraddetta dal piano generale dell'opera.
Rimane valido l'uso del termine solo se esso viene circoscritto in una accezione squisitamente retorico-linguistica.
(22) Si veda il libro fondamentale per comprendere l'opera di Benedetti Yves Bonnefoy, Goya, le pitture nere,
Donzelli, Roma, 2006. Nello specifico, per i riferimenti alla malattia di Goya, le pp. 29-43 a cui noi dovremo fare pi
volte riferimento.
(23) La sequenza fu pubblicata nel 1799, a Madrid, ma nacque da una serie di schizzi preparatori iniziati nel 1796,
mentre il pittore soggiornava presso la duchessa d'Alba.
(24) l'epigrafe di J.L. Schefer gi ricordata, vedi supra nota 16.
(25) Pubblicati dal pittore fra il 1810 e il 1815.
(26) Mario Benedetti, Maggio 2009, in Materiali di un'identit, Transeuropa, Massa, 2010, p. 60: [la poesia limitare di
-Pitture nere su carta] L'ho scelta perch ho iniziato a scrivere dopo Umana gloria, che fatto di storie ed totalmente
diverso. Poi, finito il libro, mi sono accorto che era compatto, omogeneo. Ma quella poesia permette un raccordo con
Umana gloria. come se non facesse parte del libro in s, ma lo preannuncia; il brano tratto dall'intervista di
Claudia Crocco.
(27) In particolare: I\II sez., 11 testi; III\IV sez., 10 testi; V\VI\VII\VIII, 9 testi.
(28) I titoli sono: I sez. Colori; II sez. Lacrime; V sez. Reliquari, Sacrifici; VI sez., Sfarzo, Smalto, Supernove. Fa
eccezione il componimento settimo della sezione VI, il quale non riporta alcun titolo ma solo il proprio numero:
vedremo poi perch.
(29) Mario Benedetti, Pitture nere..., cit., p. 7, v. 1: Torna morta la carne che si indora, la muta del sangue nero.
(30) Ivi, pp. 82, 83.
(31) La transizione segnalata anche dal fatto che, come abbiamo gi accennato, eccezionalmente il componimento
precedente alle Supernove non ha titolo. Vedi nota 27, supra.
(32) Il verso chiude identicamente le due Supernove; mutato da Dante, Paradiso, XXXIII, v. 54: dell'alta luce che da
s vera.
(33) Mario Benedetti, Maggio 2009, cit., p. 56.
(34) A tale proposito, si veda l'ultimo testo di Umana Gloria, cit., p. 118. Se da una parte Pitture nere su carta si apre
con un richiamo a Umana Gloria, l'ultimo testo di questa raccolta chiude, forse, anticipando il futuro libro. Il testo porta
il titolo per noi significativo - di Area museale; in esso si tratta della parte vivente dei morti, specularmente a
quanto avviene nel primo testo di Pitture nere dove la carne, invece, torna morta. L'ultimo verso, poi, cos recita:
[...] Vanno i focolari di pietra,\ volante, pietra, focolare, televideo, in fievole istoria; la fievole istoria non forse gi
preannuncio di questa opacit mediatica di cui si parla in Pitture nere su carta?
(35) Entrambe le citazioni da Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, Adelphi, Torino, pp. 41-42. A
margine, ricordiamo che Benedetti svolse sull'autore goriziano la propria tesi di laurea nell'ateneo di Padova.
(36) Mi riferisco a Mario Benedetti, La lacerazione del vertice, in Materiali..., cit., pp. 9-41. La citazione a p.23. Per
quanto riguarda G. Bataille, si fa riferimento segnatamente a L'exprience intrieure, Gallimard, Paris, 2006 (1943),
laddove Bataille svolge fino all'estremo l'esperienza de le dchirement du sommet a partire da premesse simili a quelle
di Michelstaedter. Tra l'altro mi trovo nell'imbarazzo di dover sottolineare che l'autore francese per descrivere la
situazione verticale del soggetto all'interno della dinamica sociale utilizza l'immagine della piramide (Bataille, cit., p.
107); 78 sono i componimenti che formano Pitture nere su carta, se escludiamo la poesia liminale, e tale numero, come
noto fin dai pitagorici, un numero triangolare, cio possibile la sua rappresentazione nella forma di un triangolo:
una piramide dunque.
(37) T.S. Eliot, Burnt Norton, V sez., v. 12, in Four Quartrets.
(38) A questo proposito, Italo Testa descrive il passaggio tra Umana gloria e Pitture nere come il passaggio dall'essere
qualcuno all'esser qualunque. Il punto che tale diaframma viene attraversato drammaticamente in ogni
componimento della raccolta, generando quella particolare radianza che Testa sottolinea scaturire dalle cose nello
stato finale della loro traiettoria. Si veda sempre Italo Testa, cit.


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(39) Sotto questa luce si pu leggere anche l'espressione molto suggestiva di Gezzi, quando scrive che qui ogni poesia
andrebbe considerata come una sorta di poem-painting; e pi oltre specifica: ma in un'accezione pi complessa, per
cui le parole e i versi non mimano quello che intendono significare, ma lo pitturano a colpi di inchiostro, con una
tecnica che riesce a coniugare il massimo di rappresentativit con la massima economia di mezzi; in Gezzi, Pitture
nere su carta..., cit.
(40) Si legga Agamben, Pascoli e il pensiero della voce, in Categorie italiane, Editori Laterza, Bari, 2010 (1982), p. 66.
Il filosofo si interroga sul significato del fonosimbolismo pascoliano e afferma: Non, quindi, propriamente di
fonosimbolismo si tratta, ma di una sfera, per cos dire, al di qua o al di l del suono, che non simbolizza nulla, ma
semplicemente, indica un'intenzione di significato. Si riprender anche in seguito questa citazione. Per quanto riguarda
i rapporti fra Pascoli e Benedetti, sarebbe necessario un libro intero; valga qui questo breve accenno, ma consapevole
che da questa nozione di lingua morta che il lavoro dovrebbe partire. Sulla questione della crisi dell'apparato
simbolico all'interno della cultura contemporanea, il nostro discorso sulla poesia di Benedetti trova un'inedita e pi
vasta risonanza nelle parole dello psicanalista Massimo Recalcati, L'uomo senza inconscio, Raffello Cortina Editore,
Milano, 2010.
(41) Mario Benedetti, Maggio 2009, cit., p. 57.
(42) Mario Benedetti, Pitture nere..., cit., p. 105, vv. 4-5.
(43) Ivi, p. 95, vv. 9-10.
(44) Ivi, p. 21, v. 10.
(45) Ivi, p. 44, v. 3.
(46) sempre Gezzi che ha notato la costante descrizione per viam negationis. Si veda Gezzi, Pitture nere..., cit.
(47) Mario Benedetti, Pitture nere..., cit., p. 7, v. 5.
(48) Ivi, p. 106, v. 7. Ma si veda anche Acquerello opaco, acquerello opaco, Ivi, p. 93, v. 1.
(49) In particolare, la critica al sistema simbolico verbale si pu leggere esplicitamente tematizzata in Mario Benedetti,
Pitture nere..., cit., p. 15, vv. 6-10: Cominciarono sul quaderno\ con la figura copiata. Stupiti\\ segni curvi. Anatra.
Abbecedario.\ Termine. Vai, per sempre avremo,\\ dissero, nozze, tribunali, are. Secondo l'ottica estrema di Benedetti,
l'educazione scolastica fu il primo responsabile dell'illusione di dominio che le parole portano con s; illusione ampliata
e confermata dalle strutture sociali, richiamate attraverso la doppia citazione tratta da Foscolo e da Vico.
(50) G. Didi-Huberman, Ex-voto, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2007, p. 25. Corsivo dell'autore.
(51) Ivi, p. 47.
(52) Ibidem
(53) Ivi, p. 75.
(54) Si veda ivi, p. 57, laddove l'autore si interroga sulle implicazioni di una somiglianza che vede identicamente
assolto il suo ruolo sia da un volto, sia da un dettaglio organico, solo in quanto l'identificazione avviene attraverso
l'equivalenza del male.
(55) Ivi, p. 7-8: gli ex-voto sembrano del tutto inesistenti per lo storico dell'arte; pi avanti, il critico sostiene che le
loro caratteristiche le tengono lontane da ogni grande storia dello stile; esse sono in grado di resistere a ogni
evoluzione possibile.
(56) Non un caso che Claudia Crocco, durante un'intervista con Benedetti, sottolineasse la particolare mancanza del
tempo in Pitture nere, laddove in Umana gloria si riesce a leggere ancora una dimensione diacronica; continua
l'intervistatrice: la dimensione temporale sembra del tutto assente, nonostante l'articolazione in capitoli dia una forma
di architettura e di ordine consequenziale. Il tempo sembra sottratto alla poesia, e alle sue parole; Mario Benedetti,
Maggio 2009, in Materiali..., cit., p. 57.
(57) Adorno, Valery e Proust il museo, in Prismi - Saggi sulla critica della cultura, Enaudi, Torino, 1982.
(58) Ibidem. Si noti la vicinanza con quando sostenne Pavese, vedi supra, nota 11.
(59) Per un elenco di alcune si veda Massimo Gezzi, Pitture nere, cit. e Italo Testa, Visivit, cit.
(60) Si riprende qui una suggestione del poeta Paul Celan, alla cui ricerca profondamente legata la poesia di Benedetti,
sebbene ci si debba qui limitare a questo accenno: come un porsi fuori dell'umano, un trasferirsi, uscendo da se
stessi, in un dominio che converge sull'umano ed arcano il medesimo in cui sembrano essere di casa la figura
scimmiesca, gli automi e con questo... ah, anche l'Arte da Paul Celan, Il meridiano, in La verit della poesia, Enaudi,
Torino, 2008, p. 9.
(61) Yves Bonnefoy, cit., p. 37.
(62) Pavese, Del mito..., cit., p. 275.
(63) Ci riferiamo al saggio, ottimo per comprendere lo stato della narrativa contemporanea, di Daniele Giglioli, Senza
trauma, Quodlibet, Macerata, 2011.
(64) Mario Benedetti, Pitture nere..., cit., p. 106, v. 8.
(65) Pavese, Del mito..., cit., p. 276.
(66) Tale l'epigrafe posta prima dell'ultima poesia, ma al plurale: physical dimensions.
(67) Agamben, La fine del poema, in cit., p. 141.



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BIBLIOGRAFIA

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Ti tu leva l cortel fa n spersrio. Espressionismo e dialetto nei poemata di Luciano
Cecchinel

Luciano Cecchinel poeta plurilingue: scrive nella parlata di Revine-Lago (alto trevigiano, al
confine con il bellunese), in italiano (un italiano di ascendenza illustre, con frequenti tratti
primonovecenteschi) e in inglese (i numerosi passaggi di Lungo la traccia(1) e, nella medesima
raccolta, il componimento Ohio Blues).
Lesordio per in vernacolo, fin dal titolo: Al trgol jrt(2); e il dialetto resta a oggi lo
strumento espressivo per eccellenza del poeta revinese: gli consente infatti di attingere non tanto il
lato aurorale e idillico del proprio immaginario, quanto semmai la rappresentazione pi fedele e
dolorosa della sua vicenda personale e di quella della sua comunit. Da Al trgol jrt:
E cusita no i se mestegha, n,
parlar e na lta, i to sen
[]
E rabioso fa na saca toresta
che la ghe scanpa a man che ia
reltete su i nt
e chi che te ciol sena olrte. (3)
Cecchinel sfrutta al meglio le potenzialit fonico-ritmiche della parlata di Revine-Lago,
affidandosi alla capacit generativa di quei suoni: insiste sistematicamente sui nessi velare-vibrante
e sulle dentali occlusive e fricative. Inoltre, i frequenti monosillabi in fitta successione e le tronche
in consonante, speculari alla natura scheggiosa dei suoi materiali, rendono bene langosciosa
difficolt dellesistere e del dirsi:
Lultima macia e luna fa lat fresc spanest
A str e lonc
vali e crp
par bosc e pr
co quei ndati qua su
Te n coat scur e fien e e stran
Caene e os la tor la not(4)
Su a i so nif de crep
siora fa poje e i so sansr fa cr
co gs de gorghisia e bc de ja
anca noi in ultima scra e scaja
co ci a fret e a scur
on rasp su a str e scondon
roba restaa(5)
Interviene anche limpiego di un enjambement il pi delle volte debole che, isolando a inizio
verso relative attributive, complementi di specificazione, predicativi e simili, provoca uno
sfasamento minimo di melos e logos, bastevole per a una pronuncia davvero alloglotta del mondo.
Il poeta ne ottiene un ritmo continuamente franto (vi concorrono anche lanastrofe e liperbato),
che valorizza al meglio la tessitura irta e zigrinata del suo dialetto:


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Anca oman la not
la intajar su par e l
al so ugtol e ja
E mael al pe al revsa
i bra scanai al scur
e l buligha in tra le batue
strte inbriaghe
l fogo nat l as croste
e enre e e fret. (6)
Quanto finora indicato testimonia del tentativo di ridurre in una nassa di versi e forme pi o
meno regolari le reminiscenze improvvise vere e proprie accensioni mnestiche che visitano il
poeta di continuo:
Ti tu leva l cortel fa n spersrio
come par salvar al to rcol
de storia sbrindolaa che nda.
[]
s al to rcol no l fa pi paura.
L ndat romi in sbrndole de memoria. (7)
Queste sbrndole de memoria non si dispongono secondo un prima e un dopo, ma attuano
forme di caotica compresenza. Di qui il recupero, nella produzione in dialetto soprattutto, della
forma poemetto, che avrebbe proprio il fine di dare ordine e significato a una pluralit di
frammenti. Il poeta perviene cos a una struttura accumulativa composta di una congerie di lirici
precipitati e logoi-schegge, di quanto insomma transita sotto la soglia della coscienza. La figura
dominante nei poemetti di Cecchinel pertanto lenumeratio, e il modello per una precisione
elencatoria che vuole sottrarsi alla pura descrizione potrebbe essere il Walt Whitman di Leaves of
grass(8):
La cara su sote l crcol, la porta e len
vrta, la strisa e sol tel scur fresc,
garni e garni levai che ar,
i resti poai su la batua, la manra
piantaa sul oc, le scaje e i s-ciau su la
manra, al lip sut e piera ola,
i falin picai a la rama el pe, al
furigar el vnt in tra me, laqua
che la sguatara tel cor(9)
La sintassi delle immagini e la rapinosa quanto arbitraria simultaneit associativa dispongono il
tutto a un riferimento pittorico; un quadro della realt distorto in una forma oscuramente
aggressiva (gli esempi ne renderanno conto) anche verso losservatore:
i pra roa e bra sote l iel de
era, sora i bosc enre e
castagnr,
laqua elste, blu, viola in contra le
larghe e oro e le canle col primo
ciaro e el paluc sc e la biava


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fivere e color
a le invierae e bosc screcolosi(10)
Colorazioni fredde e cupe a un tempo, un sole lattescente che va indebolendosi, la
prefigurazione costante e ubiqua della morte autorizzano almeno un rimando alla corrente
poetico-pittorica dellespressionismo primo-novecentesco, italiano e non: da Rebora e vociani a
Trakl e Benn, da Blok ed Esenin a Mandelstm e Jzsef. Due esempi:
Al me can ghe par fursi a strani
che rste n che no l gnessuni
in tra l bosc mort e l lac inja
la sera pi bia e i ultimi ani(11)
Cecchinel inscrivibile nellalveo della poesia espressionistica anche per il ricorso a taluni
procedimenti che posseggono da oltre un secolo una grammatica propria: lassolutizzazione del
sostantivo (privato dellarticolo per accrescerne al massimo le potenzialit semantiche), le
similitudini senza il come (cui nel dialetto di Revine corrispondono fa e cof), le analogie
violente, lellissi dei verbi copulativi et cetera. Alcuni esempi:
la montagna mare bia insonaa,
al sol schirat roat ingel
[]
la manra stela e arnt
i os tirai sache toreste
le vene ven. (12)
Le medesime soluzioni sono presenti nella produzione in lingua:
ordinata catastrofe mi inghiottono
cataste di ferraglie rugginose
la citt ferrovetrosa,
ortogonale ragno rattrappito,
arranca contro la pianura(13)
serpe folgorata,
sbiadisce la saetta
alti anditi fumosi
attaccaticci odori
sudano foschie(14)
Quella di Cecchinel dunque una scrittura che procede per giustapposizioni e aggregazioni di
sensazioni e immagini. I sn sparpagnadi liberati sbloccando al caena ur / el stul
stracolmo e orbo (il catenaccio duro dello stabbio stracolmo e cieco) non riescono per a
comporsi in unit, e gli utensili ormai inservibili divengono il traslato oggettivo dellalienazione
del poeta: resti, manra, faldin, la carucola ondesta, al portante che l pica in calibro sul ei lnc
de la jerta (la carrucola lubrificata, il portante che pende in equilibrio sul ciglio lungo dellerta).
La realt ingigantita con unottica macro che, insistendo per metonimia sui particolari, ottiene
effetti deformanti di chiara matrice espressionistica.
Liperrealismo allucinatorio che investe le cose, e che la parola dialettale provvede a
incrementare, si estremizza quando il poeta batte in ritirata e si rinserra in un angulus inaccessibile
di murate jerte e inferiae (mura ripide e inferriate), in cui realizzare al es-ciorse ultimo


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(lestraniamento ultimo). Egli biascica sen che gnesuni pi romai intenz (segni che nessuno
pi ormai intende), investendo la parola del significato scritturale di signum.
Ma il suo annunzio, per nulla lieto, si riduce a una cadenza martellante:
mi, carl carol de cangola,
fae mam de mi panevn. (15)
Linsistenza allitterante-onomatopeica sulle sillabe -ca- -ro- -ma- -mi- (vi sotteso forse il
petrarchesco di me medesmo meco mi vergogno) simula un balbettio che mima il moto di
ripiegamento dellio su se stesso, esibendo la prostrazione del poeta. Non per nulla Cecchinel si
definisce scora t abot(16) ultimo nato, zoppo e balbuziente. Una balbuzie tuttavia mai
doma, nei sussulti analogici e nelle paratattiche asprezze. Essa altro non se non lostinato
richiamo a un ordine del mondo millenario e a unidea della persona superati e sommersi come
dallonda di un maremoto:
par che la caera svoaa
la cativa
fa la malaiion
e na mare rio nar. (17)
Forme attonite saccampano di getto e impongono il loro silenzio.
Sul soggetto incombe la medesima condanna alla rovina che incalza il suo mondo.
Fissando gli occhi su quanto rimane di quella cosmogonia, il poeta-stregone (strlego stranbo e
romit si definisce Cecchinel) il predestinato a nominare e a evocare definitivamente gli arredi
del proprio universo.
In questa situazione di allarme e delirio, la poesia resta forse l'unica dimensione possibile di
resistenza e sopravvivenza: La mia poesia dimessa, non mai dimissionaria. Una rivendicazione
etica, aperta all'invettiva anche laddove questa solo latente , sempre presente o
rintracciabile(18).
Sincide cos nella pagina, con inedito strazio, limmagine del presente che ci toccato in sorte:
oggi capire vale colpa, esser buoni perdizione. E contro una quiete che fa finire, meglio
allora anche poter morire(19).

Giovanni Turra


Note.
(1) L. CECCHINEL, Lungo la traccia, Torino, Einaudi 2005.
(2) ID, Al trgol jrt (Lerta strada da strascino). Poesie venete 1972-1992, edizione riveduta e ampliata, Postfazione di
A. Zanzotto, Milano, Scheiwiller 1999. Esso resta, a oggi, lunico suo libro edito interamente redatto in dialetto. Di
Sanjut de stran, laltro lavoro in vernacolo e non ancora pubblicato in un volume autonomo, sono invece uscite due
significative anticipazioni: Sanjut de stran. Singhiozzo di strame, in Cinque poeti in dialetto veneto. Andrea Zanzotto,
Cesare Ruffato, Luciano Caniato, Luciano Cecchinel, Gian Mario Villalta, In forma di parole, XVIII, la quarta serie,
3, 1998, pp. 143-175; e Sanjut de stran (1989-1998), in Poeti in terra veneta. Cesare Ruffato, Luciano Caniato, Carlo
Rao, Luciano Cecchinel, Marco Munaro, Giovanni Turra, Alessandro Niero, In forma di parole, XXVIII, la quarta
serie, 1, 2008, pp. 168-225.
(3) E cos non si addomesticano, no, / parlare di una volta, i tuoi segni / [] / E rabbioso come un virgulto ritorto / che
sfugga a mani che stentano / rivltati sui denti / di chi ti prende senza veramente volerti. L. CECCHINEL, Al trgol jrt,
cit., p. 88.
(4) Lultima macchia di luna come latte fresco versato; Vagando lungo / valloni e dirupi / / per boschi e prati / con
quelli morti qui su; in un giaciglio scuro di fieno e di strame; Catene di ossa torce la notte. Ivi, pp. 15, 57, 82, 89;
il corsivo mio.
(5) Su dai loro nidi di rupe / signoracci come poiane e i loro sensali come corvi; con gozzi di ingordigia e becchi di
ghiaccio; anche noi infine scorza e scheggia / con occhi da freddo e da buio abbiamo raccattato vagabondando di
nascosto / roba rimasta. ID, Perch ancora, Vittorio Veneto, Istituto per la Storia della Resistenza e della Societ
Contemporanea del Vittoriose (ISREV), 2005, p. 103; il corsivo mio.


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(6) Anche domani la notte / intaglier su per di l / il suo giocattolo di ghiaccio; e solitario il pino rovescia / le
braccia spossate dalloscurit; e si agita tra i battenti / storti ubriachi; il fuoco trascorso ha lasciato croste / di
cenere e di freddo. ID, Al trgol jrt, cit., pp. 42, 53, 78, 141.
(7) E tu levavi il tuo coltello come un aspersorio / quasi per salvare il tuo cerchio / di storia a brandelli che andava. / /
[] / / Adesso il tuo cerchio non fa pi paura. / andato ormai in brandelli di memoria. Ivi, p. 72.
(8) Circa lassoluta rilevanza attribuita da Cecchinel al poeta americano, si considerino almeno Addio strada percorsa,
Suite appalachiana, A Walt Whitman e relative note, in ID, Lungo la traccia, cit., pp. 32, 35, 52.
(9) La casera su sotto il cocuzzolo, la porta di legno aperta, la scia di sole nellombra fresca, granelli e granelli levati
che ardono, / i rastrelli appoggiati sullo stipite, la scure piantata sul ceppo, le schegge e i fuscelli sullo spiazzo, il
truogolo asciutto di pietra dolce, / le falci appese al ramo dellabete, il frugare del vento in mezzo, lacqua che
sciaguatta nel bossolo per la cote. ID, Al trgol jrt, cit., p. 21.
(10) I prati rosa e brina sotto il cielo di cera, sopra i boschi di cenere e castagni / lacqua celeste, azzurra, viola contro
le distese doro delle cannelle alla prima luce e dellerba di palude secca e del granoturco; febbri di colori / dalle
vetrate di boschi scricchiolanti. Ivi, pp. 15, 37.
(11) Al mio cane sembra forse strano / che resti dove non c nessuno / tra il bosco morto e il lago ghiacciato / la sera
pi grigia degli ultimi anni. Ivi, p. 27.
(12) La montagna madre grigia assonnata, / il sole scoiattolo rossiccio gelato tra i rami senza una foglia, / [] / la
scure stella dargento che cade sopra la radice; le ossa ridotte virgulti torti / le vene vimini. Ivi, pp. 15-17, 67.
(13) Ivi, p. 31.
(14) ID, Le voci di Bardiaga, Rovigo, Il Ponte del Sale 2008, p. 37.
(15) Io, tarlo tarlato di collare / faccio da me stesso di me un grande fuoco. ID, Al trgol jrt, cit., p. 153.
(16) Ivi, p. 54.
(17) Perch la casera svuotata / cattiva / come la maledizione / di una madre morente. Ivi, p. 125.
(18) Da unintervista inedita a L. Cecchinel, raccolta da chi scrive il 25 marzo 1998, in occasione del quarto
appuntamento della manifestazione culturale LEGGERLE. Cantieri poetici del Triveneto, tenutasi presso la libreria
Becco giallo di Oderzo (TV).
(19) Cfr. ID, I tempi che son dati, in Perch ancora, cit., p. 71.




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Su Viaggio nella presenza del tempo di Giancarlo Majorino


In apertura
Occorreranno anni per metabolizzare sul piano critico un poema cos complesso e stratificato. Ci
che mi sento di dire oggi che sin dallinizio si possono suggerire delle chiavi di indagine, delle
tracce, delle coordinate che, come strumenti di navigazione, possono orientare e indicare dove e
cosa cercare, piuttosto che riferire ritrovamenti o illustrare zone particolari della vasta aerea che qui
si pu solo fisicamente sorvolare. Con queste mie parole riprendo una strada cominciata venti anni
fa, una strada che in modi diversi molti di noi qui hanno fatto, conoscendo Giancarlo da meno o pi
tempo: quella del dialogo e del comprendere, del tentare di accogliere lo specifico pur sentendo
come in un moto di simpatia umana ci che accomuna. Lo sfondo insomma il simil- diverso, o il
simil-dissimile, la relazione che non si crea ma si riconosce giacch data sin dallinizio, presso gli
umani. E con questultima considerazione si gi dentro al poema e ci si gi imbattuti in uno dei
suoi temi preferiti.
Ne esco subito per elencare ci che chiamo campi di tensione e che sono secondo me alcuni
segnali luminosi utili per la navigazione e per la lettura. Un campo di tensione tale perch
scaturito da opposte polarit o da poco riducibili differenze, si fa luogo di elaborazione e di
produzione del senso. Sono convinto che a generare la poesia di Majorino siano proprio questi
campi che nel tempo non hanno mai perso la loro tensione e che appartengono tanto a lui, alla sua
biografia, forse anche alla sua personalit umana, quanto al modo con cui la nostra storia dal
Dopoguerra si raccontata, anche qui un singolare intreccio tra un modo di rappresentarsi e un
fascio di rappresentazioni collettive, in cui poi in definitiva consiste la cultura di unepoca, la st essa
produzione simbolica. E questo intreccio di storie non subto ma costantemente cercato, direi
programmaticamente cercato, rientrando tale ricerca in quella che una volta si chiamava dimensione
etica della poesia e si voleva dire questa storica, attiva eticit. E credo di poter riconoscere questo
carattere perch proprio nel momento in cui stava per dissolversi alla met degli anni 80, almeno in
una sua certa forma, personalmente chi scrive ne veniva a contatto, pieno di curiosit e pronto ad
assumersene la responsabilit.
Dunque i campi di tensione da me individuati, non esaurendone con questo ovviamente il numero
n il tipo, sono relativi sia al piano stilistico-formale, sia a quello dei temi, realizzandosi molto
spesso tra gli uni e gli altri radicate simmetrie.

Splendore e oggettivit della lingua
Il primo campo, per me il pi evidente, quello che viene instaurato ponendo insieme due istanze
per loro natura contraddittorie ma che risultano molto produttive una volta poste a contatto: mi
riferisco alla tensione verso lo splendore della lingua e la tensione verso loggettivit della
lingua.
Da un lato la lingua viene lavorata e slogata perch , per cos dire, fiorisca nella sua autonomia,
perch possa segnalare la libert sensuosa e gioiosa del dire intorno, su, prima, dopo loggetto
significato, dallaltro la lingua viene disciplinata e ritrovata cos com, cos come risulta dal
processo collettivo dei parlanti, e quindi spesso lingua pre-codificata, o dal gergo o dalla filosofia (e
questultimo per la verit gi un altro campo di tensione che con il precedente sinterseca).
E di fatto la mia analisi in campi di discorsi per comodit espositiva procede in senso orizzontale
ma la realt testuale prevede un intreccio verticale tra i campi di tensione che necessariamente una
descrizione, ancorch sommaria come questa, non pu restituire.

Energia e immobilit della lingua.
Il secondo campo di discorso, attiguo al primo, costituito dalla tensione che si genera tra lenergia
della lingua e la sua immobilit, per intenderci: tra il piano pre-verbale che di tanto in tanto muove
il sorgere e il concatenarsi dei versi e quello della citazione, del lacerto, pi o meno adattato, pi o


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meno addomesticato. Tra pre-verbale e gestuale da un lato e campionatura antologica dallaltro, tra
energia e massa verbale.

Realismo e sperimentazione.
Un terzo campo di tensione, connesso profondamente ai primi due, riguarda i grandi progetti
estetici. Da unistanza di partenza che quella del realismo alla dissociazione tra questa istanza e la
poetica corrispondente. Dal momento che Majorino come Pagliarani e Di Ruscio, per citare nomi a
me familiari, hanno in un certo senso dovuto rispondere, in modi diversi, a quellimpasse che si era
creato alla met degli anni 50 tra coloro che insistevano per il primato contenutistico-ideologico e
coloro che sentivano come retorico in quegli anni questo primato. E tra i migliori di quella
generazione c sempre stato del nervosismo testuale, cio la consapevolezza che lo specifico
dellarte risiedesse nellinvenzione di modi non previsti di ri-attraversamento di temi comuni, di
storie concrete, di tangibili umanit. Ed in questa chiave , secondo me, che va letta la componente
sperimentale di Majorino: ladozione del montaggio a freddo o a caldo, luso di pre-fissi e
calembours, lo spaziare tra i diversi registri del colloquiale, fino alla singola deformazione
microlinguistica. Dico componente perch lo sperimentale solo un polo del campo, laltro la
riconoscibilit, lopposta pulsione dellidiolettale, la pedagogia.

Accumulo ed ellissi
Un quarto campo di tensione a livello propriamente retorico. Si tratta di una strategia che permette
di tenere insieme materialmente, cio a livello testuale, sia listanza realistica che quella
sperimentale, realizzando lossimoro della bellezza slogata: laccumulo e lellissi. Accumulo ed
ellissi sono due figure che rendono il dire contemporaneamente sovraffollato e reticente. Accumulo
e reticenza. O, anche, ripetizione e reticenza. La funzione mimetica dellaccumulo viene utilizzata
soprattutto per far muovere le masse allinterno di storie metropolitane, ma la metropoli stessa che
sembra generare per sua natura laccumulo dei nomi e delle situazioni. La funzione mimetica della
reticenza addita al contrario ci che non viene detto, che viene taciuto e che sottende spesso il
movimento di quelle masse, lo snodarsi di quelle storie metropolitane. Per le nuove generazioni
credo risulti quasi incomprensibile il fatto che le generazioni precedenti abbiano sentito nel proprio
dna una spinta utopica, che questo dna sembrava essere confermata dalla storia e dalle illusioni
collettive.

Hegel, Marx, Scuola di Francoforte ma anche Merlau-Ponty e Sartre
Un quinto campo di tensione offerto direttamente dalla storia della filosofia e dalle questioni che
nascevano dal dover correggere il marxismo, o almeno la sua versione economicista, con iniezioni
di esistenzialismo, fenomenologia e psicoanalisi. Questo campo di tensioni codificava a livello
formalizzato e concettuale ci che si andava vivendo. Era in gioco la rappresentazione del collettivo
alle prese con la rappresentazione dellindividuale. Questa tensione sarebbe poi stata spazzata via
dal postmoderno fino a costringerci oggi a parlare di anomia sociale o, anche, a non parlarne pi.
Ma intanto, al di l del particolare periodo storico, la poesia , come sempre, si rivolgeva al versante
di lungo periodo, giungendo a non solo a testimoniare di unesperienza storica ma anche ad indicare
una direzione di felicit. E in tal senso riproponendo come inevitabile la relazione tra i due piani di
rappresentazione. E il tema, appunto, dei simil-dissimili e della necessit di trovare una via duscita
al solipsismo ma anche al conformismo sociale o ideologico.

Poesia e prosa
Un sesto campo di tensione viene instaurato tra poesia e prosa, sia nello sciogliersi per sfumature
tonali delluna nellaltra, sia per giustapposizione. Daltra parte sia il verso che la prosa narrante
sono animate dalla stessa ansia che produce contrazione e andamento sincopato. Ci che fa la
differenza e crea tensione la misura versale che come tale impone una pausa e una concentrazione
dellattenzione e delludito sulle singole parole, sulle singole assonanze o figure fonico-ritmiche.


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Ci che fa la differenza non tanto lintensificazione del dettato quanto la possibilit di introdurre
qualcosa che possa funzionare come lirica o come intervallo riflessivo e meditante.

La formula e il prolisso
Settimo e ultimo campo di tensione mi pare che sia stabilito tra la tendenza a precipitare in formula,
sigla, epiteto e lopposta tendenza ad una sorta di prolissit caotica e divergente.
Da un lato vi come il desiderio di coniare un formulario che possa ridurre la molteplicit ad un
solo termine, spesso composto ma comunque coniato di fresco, dallaltro vi la tendenza a
includere ogni oggetto e quindi ogni termine che limmaginazione onirica propone, stipandolo cos
come affiora sulla soglia della coscienza. Questo campo di discorso evidentemente si connette a
quello dellaccumulo e dellellissi, restituendo sul piano macroscopico ci che avviene sul piano
microscopico della figurazione retorica.

Allaltezza degli anni 80
Pi che concludere vorrei qui indicare alcuni tratti in qualche modo extratestuali ma che ritengo
importanti. Intanto un debito di gratitudine che ho contratto a partire dalla met degli anni 80 con
Majorino. Ed un debito che credo di condividere con molti, soprattutto tra coloro che vivendo a
Milano hanno avuto modo di frequentarlo, magari in anni diversi, ma con la stessa intensit di
scambio. Da sempre si sapeva dellesistenza di questo poema in progress.
Per quanto mi riguarda, lapporto che riconosco proveniente dai suoi discorsi e dalla sua opera
sostanzialmente il richiamo alla dimensione realistica, oggettiva, metropolitana ed etica della
lingua.
Per me, non ancora trentenne, il dialogo con Majorino ha rappresentato laccesso vivo ai nodi
essenziali della poesia e della cultura cos come si erano andati configurando a partire dagli anni 50
in Italia, nellintreccio tra estetica, teoria critica e sociologia. Per me da poco trasferito a Milano,
proveniente da una Napoli che nel corso degli anni 70 aveva proseguito il lavoro della
sperimentazione linguistica, lincontro con Majorino, come con Pagliarani e dopo con Di Ruscio, ha
rappresentato la possibilit di coltivare, allinterno della mia ricerca, la possibilit della narrazione
in poesia, dissociando in modo liberatorio questistanza da certi modi della lirica e da certe
narcisistiche fumosit.
Pi di una volta Giancarlo, riferendosi alle reciproche influenze tra poeti tra loro dialoganti, ha
usato lespressione plasticit. E questa sua notazione aveva sempre nel tono della voce il segno
della meraviglia e della sorpresa. Ritengo che questa plasticit sia anche una qualit del poema e
forse il segreto felice della sua longevit.

Biagio Cepollaro




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Forme macrotestuali nella poesia di Andrea Zanzotto. Da Dietro il paesaggio a
Conglomerati

La poesia e i suoi punti compatti. Resistenza anche
da l. Dalle compattezze riconoscere quanto irradia.
Paul Celan, Microliti

1. Nel volume Attraverso la Belt di Andrea Zanzotto. Macrotesto, intertestualit, ragioni
genetiche
1
, avevo tentato di fornire preliminarmente unindagine comparativa sui fenomeni
macrotestuali nellopera zanzottiana, al fine di collocare il capolavoro del 1968 (La Belt, su cui
sincentrava principalmente lanalisi) in un contesto complessivo
2
.
Per ragioni cronologiche, era rimasta esclusa dal mio studio lultima raccolta di Zanzotto,
Conglomerati
3
. Accingendomi qui a rimediare a quella lacuna, mi parso utile riprendere al
paragrafo seguente, con qualche variazione, la parte dedicata allanalisi di cui sopra.

2. La macrostruttura nelle raccolte zanzottiane: da Dietro il paesaggio a Sovrimpressioni

2.1 A proposito di Dietro il paesaggio (1951), raccolta desordio di Zanzotto, Stefano Dal Bianco
osservava:

Per testimoniare la presa diretta sulle trasmutazioni del paesaggio, lordinamento delle poesie
segue una rigorosa scansione stagionale, che fa aggio sulla cronologia di composizione dei testi.
La prima sezione, Atollo, numericamente la pi cospicua anche perch deve ospitare un ciclo
stagionale completo: dopo una poesia inaugurale e programmatica, priva di tratti stagionali
marcati (Arse il motore), troviamo un ciclo primaverile (fino a Serica), un ciclo estivo (da
Distanza a Notte di guerra, a tramontana) che sfuma nellautunno (Quanta notte, Reliquia,
Assenzio) e infine quattro poesie invernali (da Batte il fabbro a Oro effimero e vetro). La seconda
sezione, Sponda al sole, riprende landamento stagionale dalla primavera trascolorando
gradualmente nellautunno inoltrato di Lorna, che preannuncia climaticamente la terza sezione,
Dietro il Paesaggio, tutta occupata da testi autunnali, e il libro si chiude sulla data precisa del 31
dicembre (Nella valle) [...]. Fin da subito Zanzotto manifesta insomma un considerevole impegno
nellassemblare i propri libri, tenendo in grande conto sia la forma canzoniere (con rimandi
precisi fra testi contigui), sia la sottesa narrativit, a contenere leccesso lirico
4
.

Sempre mantenendosi ad un livello macroscopico, altri fattori di coesione si possono individuare
nella comune matrice del titolo della prima sezione, Atollo, richiamo appena dissimulato
allhlderliniano Archipelagus, e dellepigrafe apposta alla sezione Sponda al sole, Ihr teuern
Ufer, die mich erzogen einst (O care rive che un giorno mi cresceste), desunta questa volta dalla
poesia Die Heimat (Paese natale) del poeta svevo: Come in Hlderlin le alpi sono frontiera che
delimita la terra natale della propria adolescenza e giovinezza, ma anche frontiera che si desidera
varcare
5
. Non c bisogno di sottolineare, inoltre, come latollo e il paese natale rinviino
proprio al paesaggio cui sono intitolate la stessa raccolta e la sezione eponima.

1
Pisa, ETS, 2011.
2
Ibid., cap. II, 2-3, pp. 47-70.
3
Milano, Mondadori, 2009.
4
Le poesie e prose scelte, Milano Mondadori, 1999, a cura di Stefano Dal Bianco e Gian Mario Villalta (dora in avanti
abbreviato PPS), pp. 1400-1 Sebbene non sussista in questa sede la possibilit di discutere in maniera esauriente la
questione, mi pare tuttavia che il rigore della scansione stagionale andrebbe forse lievemente attenuato. Qualche
corsivo esempio: il ciclo estivo di Atollo sembra principiare solo con la poesia eponima, mentre le quattro precedenti
(da Distanza a Le carrozze gemmate) non presentano tratti stagionali determinati. In particolare, in Montana, I, domina
lebriet / di nevi e dacque mentre in III si legge: e perch forse primavera / la tomba tua mha disertato. Nella
seconda poesia della sezione Dietro il paesaggio (L sul ponte), tutta occupata da testi autunnali, si legge nei versi
esplicitari 20-1: e lestate legata dalla neve / non conosce altro frutto che se stessa.
5
Fernando Bandini, Zanzotto dalla Heimat al mondo, in PPS, pp. LXI-II.


102
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Nella silloge successiva, Elegia e altri versi (1954), lo stesso Dal Bianco intravede una ripresa
dellandamento stagionale, a partire dal mese di marzo e insistendo sulla primavera fino allautunno
di Contro monte, mentre Elegia sul finire dellanno, ma guardando allinverno, come lultima
poesia di Dietro il paesaggio, Nella valle
6
.
La prima sezione di Vocativo (1956), Come una bucolica, ancora in qualche modo accostabile
tematicamente ai due libri precedenti. Le variazioni del paesaggio, stagionali e climatiche,
presiedono allordinamento dei testi, che sono in maggioranza di ambientazione estiva, ma coprono
per intero il ciclo ideale di un anno, dallEpifania ritornando allinverno dei Paesaggi primi
7
.

Dopo lo scenario invernale che apre il primo componimento
8
(v. 1: Punge il pino i candori dei colli)
e la disperazione di Fiume allalba (14: Perchio dispero della primavera), si passa al giugno (7) di
Piccola elegia, al luglio (I, 30, 32; II, 1) di Altrui e mia ed Elegia del venerd (I, 21); ancora estivi
sono Esperimento (I, 1-3: Lestate ancora esalta / le recondite lave / della mia mente) e I compagni
corsi avanti (5-6: E va, lestate in guerra, muove al corso / dei suoi dolori le grandi erbe e i fumi),
mentre con Dove io vedo sopraggiunge lautunno (2-4: estate che scuotesti / dal seno aperto di
settembre / spighe ed erbe su tutta la terra) che domina il paesaggio di Nuovi autunni, Quartine del
pioppo (dove lalbero Giallo si fa di deboli / ali e ritorna il lieve claxon di Epifania, 10) e
Colloquio (1-3: Per il deluso autunno, / per gli scolorenti / boschi vado apparendo), componimento
che prelude allatmosfera invernale di Paesaggi primi.

Pur nella permanenza di alcuni accenni stagionali, nella seconda sezione della raccolta il principio
coesivo cessa per la prima volta di gravitare attorno al tema del tempo naturale: come indica il titolo
della sezione, Prima persona, ripreso nel secondo componimento della stessa, dominante diviene la
dimensione (tematizzata) dellio lirico, riconosciuto ormai come puro effetto linguistico-
grammaticale
9
al limite dellinconsistenza.
Ad accennare una continuit fra le due sezioni che risulterebbe altrimenti molto labile, due
espedienti strutturali: la parziale ripresa del titolo della prima sezione nel dodicesimo
componimento della seconda (Bucolica
10
), e la presenza, in entrambe, di una poesia collocata in
quinta posizione, in cui il poeta si rivolge alla madre (rispettivamente: Altrui e mia e Da unaltezza
nuova
11
). Questultimo parallelismo inoltre rafforzato dallincipit del secondo componimento
(Ancora, madre, a te mi volgo), dove lavverbio ancora, con evidente valore logodeittico
12
, rinvia
al contesto allocutivo di Altrui e mia.
Alle due sezioni si aggiunge, a partire dalla seconda edizione mondadoriana del 1981,
unAppendice di sei poesie; la penultima delle quali, L nel cielo, l nel terrore
13
, imperniata sul

6
Ibid., p. 1428.
7
Sempre Dal Bianco, PPS, pp. 1436-7.
8
Tutte le poesie citate qui di seguito si trovano alle pp. 133-57 del volume mondadoriano siglato PPS.
9
Di grammaticalismo parl per la prima volta Michel David in La psicoanalisi nella cultura italiana, Torino,
Boringhieri, 1966, p. 585.
10
PPS, p. 185.
11
Ibid., pp. 138-9 e 169-71.
12
Cfr. Maria-Elizabeth Conte, Coesione testuale: recenti ricerche italiane, in Aa.Vv., Linguistica testuale, Atti del XV
Congresso Internazionale di Studi della Societ Linguistica Italiana, Genova Santa Margherita Ligure, 8-10 maggio
1981, Roma, Bulzoni, 1984, pp. 283-5: Per la deissi testuale (logodeissi) vengono impiegati i mezzi della deissi
spaziale (topodeissi) e della deissi temporale (cronodeissi). A differenza della deissi situazionale, questi mezzi vengono
impiegati in un altro campo indicale []: nel testo, e non nella situazione di discorso. Nella deissi testuale, i termini
deittici indicano segmenti o momenti del testo []. Mentre con lanafora [] ci si riferisce ad unentit extratestuale
alla quale si gi fatto riferimento nel testo precedente, e tra antecedente e successore v un rapporto didentit, invece
con la deissi testuale (logodeissi) il riferimento fatto a un momento o segmento del testo nel suo svolgersi []. La
funzione della logodeissi metatestuale: essa orienta lascoltatore/lettore nel percorso del testo, lo istruisce a mettere in
rapporto parti testuali.
13
PPS, p. 195.


103
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vers-refrain Dissi ieri dal cielo (1, 5, 21) in cui viene citato espressamente il titolo
dellundicesimo componimento della seconda sezione (Dal cielo
14
).

Le IX Ecloghe (1962) segnano labbandono della traccia stagionale per un principio coesivo pi
forte e derivante dal rapporto intertestuale con il genere bucolico virgiliano. Lo spazio testuale della
raccolta circoscritto da un proemio in alessandrini, Un libro di ecloghe, e un epilogo, Appunti
per unecloga, che il surrogato di uninesistente X ecloga, in minore rispetto a Virgilio.

A esclusione di un Intermezzo di sette liriche, lordinamento della silloge procede per coppie:
ciascuna delle ecloghe seguita da un breve corollario che ne specifica e ne commenta il tema.
[...] Le ecloghe vere e proprie sono, in generale, maggiormente impegnate sul fronte innovativo
della scrittura. soprattutto qui che si affronta largomento dominante del libro: la sopravvivenza
e la funzione della poesia stessa. [...] La struttura del libro progressiva: se il primo gruppo di
ecloghe, quelle che precedono lIntermezzo, presenta soprattutto una serie di bilanci negativi, le
ecloghe successive sono animate da una maggiore fiducia nelle facolt di resistenza della
convenzione lirica
15
.

La scansione speculare delle Ecloghe, appena incrinata dal fatto che la sezione successiva
allIntermezzo comprende due poesie in pi della prima (lEcloga IX e il relativo componimento
satellite), senza contare la breve lirica che segue lepilogo (Bleu), ritorna nella Belt, con il
raddoppiamento delle sezioni parallele tra incipit ed explicit, e la ripresa di una simmetria centrale
perfetta, questa volta, sul piano numerico, e imperniata idealmente sullElegia in petl.

2.2 La Belt, infatti, si articola in un componimento proemiale, Oltranza oltraggio; una sezione
anepigrafa che raccoglie tre grandi poemi liminari
16
; una sezione intitolata Possibili prefazi o
riprese o conclusioni, comprendente 10 poesie anepigrafe e numerate progressivamente; una nuova
sezione anepigrafa di sei componimenti, tutti di ampio o ampissimo respiro a eccezione di Al
mondo, poesia di misura pi breve e collocata in terza posizione; un poemetto isolato dal titolo
Lelegia in petl; una sezione di 18 componimenti anepigrafi e numerati progressivamente,
intitolata Profezie o memorie o giornali murali. Infine, una poesia che funge da epilogo: E la
madre-norma.
Il dato di pi immediata evidenza lopposizione che si realizza fra il prologo e lepilogo, i quali
incorniciano specularmente la raccolta, allinsegna luno delloltranza sperimentale e della
poetica dantesca dellineffabilit (oltraggio: cfr., come suggerisce la nota dautore, Par. XXXIII,
57: e cede la memoria a tanto oltraggio), laltro, di una madre-norma la cui ascrizione al
paradigma petrarchesco si dichiara nel riferimento (vv. 17-8) alle dolenti parole estreme di R.V.F.
CXXVI, 13.
Oltre alla posizione strutturale e al rapporto di complementarit sussistente, sul piano semantico, fra
oltranza e norma, a porre i componimenti in una condizione di reciprocit la coordinante
macrotestuale incipitaria nel titolo del secondo (leggi idealmente: Oltranza oltraggio - E la madre-
norma). Contrassegno pertanto i due componimenti, rispettivamente, con A e A1.
Palese anche la relazione fra le sezioni Possibili prefazi o riprese o conclusioni e Profezie o
memorie o giornali murali, il cui titolo costituito in entrambi i casi da un tricolon legato per
polisindeto dalla congiunzione o, dove ai prefazi corrispondono parallelamente le profezie,
alle riprese le memorie, alle conclusoni i giornali murali.

14
Ibid., pp. 182-4.
15
S. Dal Bianco, PPS, pp. 1462-3.
16
Stefano Agosti, Zanzotto o la conquista del dire, in Il testo poetico. Teoria e pratiche danalisi, Milano, Rizzoli,
1972, p. 217.


104
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Prefazi termine liturgico indicante la parte della messa preliminare al mistero delleucaristia,
ma che ritengo innanzitutto mediato da Dante, Par. XXX, 78: Anche soggiunse: il fiume e li
topazi / chentrano ed escono e l rider de lerbe / son di lor vero umbriferi prefazi.
Profezie o memorie o giornali murali riprende invece, variandolo in polisindeto, il v. 17 del primo
componimento della sezione (Anche: profezie memorie giornali murali), la cui struttura
giustappositiva ed elencativa si estende al verso successivo, a indicare nel medesimo tempo
lonnipervasivit della scrittura e il suo poter solo lambire, circoscrivere lineffabile oltranza
(monogrammi plurigrammi dovunque, sfioranti ; cfr. anche i vv. 15-6, con la ripresa del
lemma tematico del prologo oltraggio: E ogni ha in s la sua piccola teodicea; / non mancare
allo show, n poi allo show dei piccoli oltraggi ). Nellinterpretazione di questo titolo soccorre
anche la sintetica nota dellautore:

Le sole profezie che si possano formulare sono naturalmente quelle del fantasioso agricoltore
Nino; le memorie sono piuttosto residui; i giornali murali (tazebao o dazibao, secondo le pi
correnti trascrizioni): bisogner pensarci
17
.

Le profezie di Nino infatti lincipit tematico del III componimento della sezione
18
, vero e
proprio trionfo del ducazio di Dolle che ritorna tra laltro come protagonista nel XVI, dove a
costituire un augurio, una profezia, il gran ridere dei ritrovi conviviali con Nino,
documentato in filmine didattiche, nel ricco ricciolo della pellicola
19
.
I giornali murali o tazebao, infine, compaiono al v. 22 del XVII, intersecando un riferimento al
Castello di Kafka (tazebao di K contro Momus e Klamm).
In senso pi generale, ad ogni modo, i paradisiaci prefazi e le profezie sembrano alludere
allapertura sul futuro compiuta attraverso una riflessione che si colloca nel presente assoluto delle
conclusioni e dei giornali murali, e che ha come oggetto il passato (residuale) delle riprese
e delle memorie: la disgiuntiva, dunque, lungi dal porre le tre dimensioni del tempo in un
rapporto di reciproca esclusione, le include in una prospettiva per la quale esse,
heideggerianamente, si co-implicano
20
.
A segnalare il marcato parallelismo sussistente tra le due sezioni, utilizzer la sigla C per la prima,
C1 per la seconda.
Pi implicito il rapporto fra le due sezioni anepigrafe, la prima e la terza, entrambe contraddistinte
tuttavia, oltre che dalla presenza di componimenti di notevole respiro e impegno, dalla
predominanza del tema storico. Per uno scrupolo legato alla minore evidenza di questo parallelismo
rispetto ai precedenti, denomino le sezioni b e b1. Nel sopracitato saggio Zanzotto o la conquista
del dire (p. 217), Agosti sostiene che LElegia [in petl] situata esattamente al centro della
raccolta: essa infatti preceduta da diciannove poesie pi una introduttiva, ed inaugura una serie di

17
PPS, p. 353. Ci si dovrebbe chiedere se i due punti che precedono la conclusione delle nota (bisogner pensarci)
stiano a introdurre il significato dei giornali murali (in tal senso il sintagma indicherebbe qualcosa che necessita
ancora di unelaborazione riflessiva), oppure, come mi pare pi probabile, una sua maliziosa sospensione.
18
Ibid., pp. 321-2.
19
Ibid., pp. 341-3.
20
Cfr. su questo punto Hermann Grosser, Contributo allanalisi di due raccolte zanzottiane, Acme, XXXII, II, 1979,
pp. 246-7: In IX Ecloghe si ironizzava sul canto che stona e ad altro modo non sa ancora fidarsi, mirando cio alla
propria esperienza poetica passata e presente come corpo sostanzialmente unitario (seppur con i notati sintomi di
mutamento). Ora lobiettivo continuando lintersecarsi di ricerca poetica ed esperienza esistenziale quellio che
gi tra selve e tra pastori: si pone, cio, tra passato e presente una cesura piuttosto netta, sempre marcata ironicamente-
drammaticamente: il presente infatti non pare liberare la condizione esistenziale dal giudizio negativo valido per il
passato. Imperniata in gran parte su questo tema la sezione Possibili prefazi o riprese o conclusioni. Questi testi
potrebbero essere letti pare indicare il titolo come prefazi ad un modo nuovo di fare poesia (Ecco unaltra cosa,
vedine lesordio, II, 22), riprese di quello vecchio (Repetita juvant, IX, 1) per ironizzarlo (si danno anche
autocitazioni ironiche) e concluderlo (luso del passato). Daltronde le o mostrano lintercambiabilit, oltre alla
compresenza, degli atteggiamenti in questione e, in definitiva, alludono gi con moderata ironia allinstabilit-
oscillazione che caratteristica fondamentale, e tematica e linguistica e stilistica, della raccolta.


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105
diciannove composizioni pi una conclusiva. Losservazione corretta anche da un punto di vista
ideale: rappresentando il ritorno allorigine edenica del linguaggio nel momento stesso in cui se ne
denuncia linattingibilit e anzi linesistenza, il poemetto (che contrassegno con D) costituisce il
cuore della raccolta, il trait-dunion fra i due estremi rappresentati da A e A1:

A + b-C-b1 + D-C1 + A1
1 + 19 + 19 + 1

Dal punto di vista del triplice parallelismo che siamo venuti sin qui descrivendo, sarebbe lecito
attendersi una collocazione dell Elegia a cavallo delle due serie regolari A-b-C, b1-C1-A1, invece
che tra b1 e C1, come di fatto avviene. Questa sorta di simmetria suggerita e al tempo stesso
dissimulata, sembra prestarsi a simboleggiare, a livello strutturale, quel contrasto fra circolarit e
linearit che costituisce, in relazione alle serie alltope Natura-Essere-Mito-Narciso vs Storia-
Divenire-Civilt-Edipo, uno dei gangli tematici portanti del libro.

Il medesimo modulo presiede, in una forma pi semplice e assieme pi rigorosa, allarticolazione di
Pasque (1973). la macrostruttura della raccolta si articola in due sezioni di undici componimenti
ciascuna, inframmezzate da un perno o centro prospettico che non una poesia ma la trascrizione di
un sogno
21
.
Il modulo, come del resto il triangolo centrale di Microfilm, ha qui una chiara valenza simbolica di
matrice pitagorico-platonico-cristiana, incrociata con suggestioni ebraico-cabbalistiche
22
. I
componimenti complessivamente sono 22, come le lettere dellalfabeto ebraico, che pure
scandiscono (da Aleph a Mem) le stazioni della Pasqua, secondo il modello utilizzato per
distinguere i versetti delle Lamentazioni di Geremia nei libri di preghiere per il tempo pasquale:
segni di un acrostico che va perduto fuori del testo originario e che in ogni caso qui sarebbe mutilo
(ma non per questo meno incombente)
23
.
Il titolo Misteri della pedagogia, identico per la prima sezione e per la lirica incipitaria della
raccolta, definisce il tema attorno al quale si coagula la serie iniziale di undici componimenti,
quello pedagogico appunto, gi ampiamente attestato soprattutto nelle IX Ecloghe ma anche nella
Belt. Misteri prelude invece alla seconda sezione eponima di Pasque, gravitante anche dal punto
di vista strutturale attorno al motivo del mistero pasquale e alla scansione dei riti a esso collegati
24
:
con leccezione delle ultime tre poesie, la sezione si estende infatti dallEpifania di Lanternina
cieca (1) alladynaton della Pasqua di maggio, attraverso la Feria sexta in Parasceve (cfr. n.d.a:
cos chiamato il venerd santo nella liturgia pasquale), la Pasqua a Pieve di Soligo e il Luned
dellAngelo
25
.
Superata la tappa di Fil (1976), la cui partizione interna legata alle contingenze che ne
determinarono in larga misura la composizione
26
, il modulo a simmetria centrale trova la sua pi
adamantina, complessa espressione nel Galateo in Bosco (1978), dove il manieristico Ipersonetto -
una corona di 14 sonetti preceduti da una Premessa (Sonetto dello schivarsi e dellinchinarsi) e
seguiti da una Postilla (Sonetto infamia e mandala) si dispone tra due serie parallele di 18
componimenti ciascuna.
Di particolare rilevanza, nella seconda sezione (Il Galateo in Bosco) cos come nellultima
(anepigrafa), i grumi di componimenti contigui e accomunati dal titolo ripetuto con minime
variazioni tipografiche (cfr. ad esempio Indizi di guerre civili, Ill Ill, Sotto lalta guida etc.).

21
Cos Dal Bianco in PPS, p. 1539.
22
Cfr. Luigi Tassoni, Caosmos. La poesia di Andrea Zanzotto, Carocci, Roma, p. 27: [il triangolo di Microfilm] forse
richiama il triangolo equilatero della tradizione ebraica atto a rappresentare Dio di cui vietato pronunciare il nome.
23
Cos lautore nella nota alla poesia, PPS, p. 457.
24
Cfr. ancora Dal Bianco, PPS, p. 1539.
25
PPS, pp. 417-42.
26
Com noto, le prime due parti della silloge, Recitativo veneziano e Cantilena londinese, furono commissionate da
Federico Fellini per il suo Casanova; segue il lungo poemetto eponimo della raccolta, in dialetto solighese.


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Opposta, anche da questo punto di vista, al Galateo, la seconda raccolta della pseudo-trilogia,
Fosfeni (1983), unica opera zanzottiana a risultare del tutto priva di una partizione interna
27
.
Lassenza di una strutturazione di superficie tuttavia compensata dal ritorno di una scansione
stagionale
28
a maglie pi o meno larghe.

Nella silloge
29
si susseguono infatti senza continuit il marzo di Come ultime cene (v. 1), la
cinerina quaresima di (Loghion) (25), la Pasqua di Faine, dolenzie, (1), il maggio di La
maestra Morchet vive (10), la data del 9-6-75 in (Carillons) (22, 26-7) e quella, di poco
successiva, del 25 giugno, giorno in cui si festeggia la santa (Eurosia) cui intitolata la poesia
seguente. Con Diffidare gola, corpo, movimenti, teatro e (Da Ghne) si passa allautunno
(rispettivamente, II, 29, e 4); quindi, con Soprammobili e gel, a novembre (28, 50, 60), fino
allinverno di (Anticicloni, inverni); la santa Eurosia ritorna come protagonista di Vocabilit, fotoni,
ma in sovrimpressione con santa Lucia, festeggiata il 13 dicembre; mentre, in maniera molto
simile a quanto avveniva in Dietro il paesaggio ed Elegia, la data del 27 dicembre 76 chiude il
ciclo annuale in Tavoli, giornali, alba pratalia (6), introducendo allatmosfera rarefatta di ghiaccio
e nevi degli ultimi tre componimenti.

A livello macrotestuale, si profila dunque in Fosfeni una graduale fuga verso quel nord che
attraverso altri tipi di movimento collinare sfuma entro lo spazio dolomitico e le sue geometrie,
verso nevi e astrazioni, attraverso nebbie, geli, gelatine, scarsa o nulla storia
30
.
Struttura tripartita, sebbene priva del rigore geometrico proprio del Galateo, presenta invece Idioma
(1986), terza (ma idealmente centrale) anta della trilogia. Le sezioni della silloge, anepigrafe e
numerate progressivamente, si caratterizzano per una distribuzione molto irregolare dei
componimenti (16 nella prima, 28 nella seconda, solo 7 nellultima). La coesione macrotestuale in
Idioma, peraltro calibratissima, determinata quasi esclusivamente dal tessuto di echi e iterazioni
tematiche che attraversano la raccolta e delle quali non possibile, qui, dare conto: mi limiter
dunque a qualche rapido cenno ai fatti pi macroscopici, concentrandomi in particolare sulla
sezione centrale
31
, strutturata come segue.

Due componimenti liminari in italiano, Vorrei saperlo e Nino negli anni Ottanta, che prefigurano i
temi dominanti della sezione: il radicarsi della poesia di Zanzotto nel saliente colloquio
32

hlderliniano con la realt antropologica del paese nato, dove, sebbene trattenute a malapena /
sulla sponda dellaldiqu
33
, cose e parvenze [...] non passano mai / come non passano le loro
cause e ragioni perfette
34
.
Come ben spiega Dal Bianco, ricucire il tessuto antropologico della contrada ricucire lo strappo
del tempo che ci separa dal presente. Per questo limportante sotto-sezione dedicata ai morti della
contrada, Andar a cucire, si apre con un testo in dialetto sulla figura emblematica della Maria
Carpla, cucitrice.
Segue un pi ampio componimento che funge da introduzione razionale, non a caso in italiano,
alla successiva serie Onde li: La contrada. Zauberkraft
35
. Questo titolo allude alla hegeliana
forza magica, alla mania poetica che sola pu reggere la contrada in tutta la sua siderale /

27
Nel suo saggio La sintassi dei Fosfeni, in Filologia e critica, X, I, 1985, pp. 490-503, Mario Martelli ha proposto di
ripartire le poesie della silloge secondo lo schema (peraltro non argomentato): A-a; B-b
1
b
2
; C-c; D-d; E-e; F; G-g
1
g
2
;
H; I-i
1
i
2
; L-l; M-m; N.
28
Cfr. Dal Bianco, PPS, p. 1609.
29
PPS, pp. 652-715.
30
Ibid., p. 713.
31
Ibid., pp. 750-95.
32
Vorrei saperlo, PPS, p. 752, v. 56.
33
Nino negli anni ottanta, PPS, p. 753, vv. 3-4.
34
Vorrei saperlo, vv. 58-9.
35
PPS, p. 1653.


107
107
forza, inattualit, demoralizzazione costituzionale / e sovrumana inerzia di presenza / sempre pi
immagicata in colori linee piani
36
.
La rievocazione delle aneme sante e bone / de la contrada
37
pu cos avere inizio: sei poesie in
solighese, accomunate dallincipit (Onde li, o Onde la, appunto) e dal fatto di essere dedicate
tutte (a eccezione della quinta
38
, dove il poeta si rivolge alla coppia Toni-Neta gi menzionata
39

in Pasque), a personaggi femminili che contribuirono, per qualche loro caratteristica, alla
formazione poetica sul campo dellautore
40
. La serie si chiude con un settimo componimento
(Aneme sante e bone) in funzione di epilogo, dove al dialetto dei primi 23 versi subentra, quasi a
marcare linguisticamente il confine della sotto-sezione, litaliano delle ultime due strofe.
Dedicate rispettivamente a Montale (No te pias vder piver sul bagn), Pasolini (Ti tu magna la
t cipa de pan), Toti Dal Monte
41
(Lera n d de jenaro, de solesel), Charlie Chaplin e Gigetto (E
cuss tu s ndat anca ti, Sarlt: il secondo un fotografo compaesano dellautore), Cecco
Ceccogiato
42
(E sciao), le cinque poesie in dialetto di cui consta la serie successiva sviluppano il
tema del rapporto tra poesia e legami affettivi ormai vivi solo nel ricordo dellautore. A differenza
di quanto avveniva in Andar a cucire, tuttavia, lo sguardo si spinge anche al di l dei confini del
paese: il caso di Chaplin, ma anche di Montale, Pasolini
43
e Cecco
44
.
La progressione dal ricordo personale al mito, e dallancora vivo (la Nene e Nino) al sempre pi
morto e lontano, caratteristica della seconda parte di Idioma, si compie con la sotto-sezione
Mistieri
45
:

Si tratta di dieci lasse irregolari, fra gli otto e i dieci versi, incastonate fra un pi lungo testo
proemiale e uno di commiato [...]. I protagonisti dei quadretti obsoleti vengono come riscattati
dalla loro marginalit per fare corpo con la sublime umilt di ogni poiesis. Come i personaggi di
Andar a cucire, essi costituirono il materiale umano di sostegno alla formazione della poesia
negli anni dellinfanzia
46
.

Complessivamente, la II sezione si suddivide dunque in questo modo: 2 + 9 [2 + 7] + 5 + 12 [1 + 10
+ 1] poesie, raggruppabili alternativamente secondo il modulo A-A1-B-B1 (2 + 2 + 12 + 12) o, in
maniera forse pi congrua alla partizione dautore, A-B-A1 (11 + 5 + 12). Nel secondo caso, ci
troveremmo di fronte a una nuova attestazione di quella struttura speculare che caratterizza le sillogi
zanzottiane a partire dalle Ecloghe fino al Galateo, questa volta declinata al livello della sola
sezione centrale della raccolta. Questultima si trova incorniciata fra le serie di poesie in italiano che
costituiscono la prima e la seconda sezione, e ad esse correlata sul piano semantico, rispettivamente,
da legami di carattere anaforico e cataforico. Un solo, significativo esempio: Toti Dal Monte, figura

36
Ibid., p. 756, vv. 56-61.
37
Aneme sante e bone, PPS, p. 764, vv. 8-9.
38
Ibid., p. 761.
39
Come viene esplicitato dallo stesso autore al v. 2 della poesia citata.
40
S. Dal Bianco, PPS, p. 1654.
41
Cfr. la nota dellautore: soprano leggero, che con la sua voce unica imperson un grande momento dellopera lirica
italiana e che trionf in tutto il mondo nel periodo fra le due guerre. La cantante fu tra laltro compagna di scuola della
madre dellautore.
42
Alias Nicol Zotti, poeta secentesco in dialetto pavano, lodatore delle bellezze del Montello. Se ne parla nel libro Il
Galateo in Bosco a cui questo componimento un addio (cos la nota dellautore, PPS, p. 813).
43
Cfr. i primi versi della poesia a lui dedicata (PPS, pp. 768-9, vv. 1-5): Ti tu magna la t cipa de pan / sul treno par
andar a scola / tra Sazhil e Conejan; mi ere pch lontan, ma a quei tnp l / diese chilometri i era na imensit.
44
La stesura dei componimenti accorpati in questa serie, come avverte Dal Bianco, contemporanea a quella del
Galateo in Bosco.
45
Cfr. la nota dellautore, PPS, p. 814: [Mistieri ] dedicato alla cara e venerata memoria di Angela Bertazzon e
Maria Bon. Pi volte pubblicato in plaquettes, questo componimento in realt stato concepito come parte integrante
della presente raccolta. anche un omaggio alla serie di incisioni Le arti che vanno per via, di G. Zompini, commentate
in rima dal Questini, Venezia 1785.
46
S. Dal Bianco, PPS, p. 1659. Cfr. anche il saggio di G. Nuvoli, Mistieri, in Strumenti critici, 39-40, 1979, pp. 335-
348, risalente allanno della prima pubblicazione dei componimenti in plaquette.


108
108
centrale nel quattordicesimo componimento della seconda sezione (Co l mort la Toti), compare
gi nellincipit della raccolta (Gli articoli di G.M.O, 20, 32), mentre nellexplicit (Docile, riluttante)
torna protagonista il feudo dellagricoltore Nino Mura, cui dedicata la poesia della seconda
sezione Nino negli anni Ottanta.
Se, allinterno di Idioma, il modulo a simmetria ternaria trova una declinazione al livello inferiore
della singola sezione e delle sotto-sezioni in essa comprese (Andar a cucire, Mistieri), va al
contempo notato come esso presieda, secondo una tendenza specularmente opposta,
allarticolazione dellimprobabile trilogia, con la significativa proiezione del principio
macrotestuale di coherence dal piano macrotestuale, attinente alla singola raccolta, su quello, di
ordine immediatamente superiore, dellintertestualit interna: a sud di Pieve il bosco del
Montello, con la sua sanguinosa stratigrafia di natura e storia, a nord lastrazione glaciale delle
dolomiti; al centro, la dimensione sociale ed esistenziale della Heimat, precariamente sospesa fra la
rassicurante misura affettiva dei suoi confini e il rischio, sempre pi incalzante, di una definitiva
estinzione.

2.3 Con Meteo (1996) e Sovrimpressioni (2001), si assiste a una progressiva attenuazione
dellimpegno macrotestuale a livello delle strutture di superficie
47
. Sul piano tematico, invece,
questultimo resta intensissimo, sebbene il fattore coesivo tenda a parcellizzarsi, ora, in una pluralit
di poli gravitazionali, che attirano grumi di componimenti recalcitranti a qualsiasi ipotesi di
annessione a un principio coesivo di ordine superiore. A testimonianza di questa nuova maniera
zanzottiana, si legga la nota apposta dallautore a Sovrimpressioni:

Continua, in questa raccolta, la linea avviata con Meteo. Pi che di lavori in corso si tratta di
lavori alla deriva, che tendono qua e l a connettersi in gruppi abbastanza omogenei. E ci in
controtendenza ma anche in coinvolgimento rispetto allatmosfera attuale mossa da frenesia e da
eccessi di ogni genere che fanno tutto gravitare verso una pletora onnivora e annichilante. Il titolo
Sovrimpressioni va letto in relazione al ritorno di ricordi e tracce scritturali e, insieme, a sensi di
soffocamento, di minaccia e forse di invasivit da tatuaggio. Esistono numerosi altri nuclei
contemporanei a questi, e in parte gi sviluppati.
48
.

A ben vedere, tuttavia, la macrostruttura di Meteo in buona misura riconducibile al modello di
Fosfeni.

In assenza di una partizione interna, nella silloge del 96
49
i componimenti si distribuiscono infatti
secondo una scansione stagionale che si apre nel mese di febbraio (cfr. Morr Sachr, 1, v. 5) e si
chiude circolarmente col cupo che inverno insuffla della penultima lirica (Erbe e Manes, inverni,
9), attraversando il maggio di Leggende (1), il 16 buiogiugno 199... (in epigrafe a Stagione
delle piogge), il giorno di San Rocco, in agosto, quando le nocciole giungono a maturazione (E ti
protendi come silenzio, 26 e nota); il clima estivo di Ticchettio, I e II, il trimestre agostobre 1995
(cos il poeta, in calce a Tempeste e nequizie equinoziali), e infine lautunnale catarsi di Altri
topinambr (5). Ununica eccezione costituita dal componimento Colle ala, la cui ambientazione
autunnale si pone in contrasto con quella, estiva, delle poesie che lo precedono e seguono
nellordine della raccolta (da Stagione delle piogge a Ticchettio, II).
Si osservi, inoltre, come allarticolazione secondo il ciclo stagionale, del resto perfettamente
congrua al titolo della silloge, si sovrapponga un secondo, pi discontinuo principio organizzatore,
che potremmo definire di tipo vegetale: dai Morr sachr (gelsi e salci caprini, secondo la nota
dellautore), ai grun de fen di (Maroti, de matina bonora), dai vari pappi, tarssaci e

47
Per una pi ampia e dettagliata analisi macrotestuale delle ultime raccolte zanzottiane, rinvio al saggio di Clelia
Martignoni Il linguaggio della sovrimpressione. Una poetica?, in Andrea Zanzotto: un poeta nel tempo, Atti del
Convegno di Bologna, 23 novembre 2006, Bologna, Aspasia, 2008, a cura di Francesco Carbognin, pp. 203-15.
48
Andrea Zanzotto, Sovrimpressioni, Milano, Mondadori, 2001, p. 133.
49
PPS, pp. 815-61.


109
109
radicchiette di Lanugini, ai papaveri delle contigue Tu sai che, Altri papaveri, Currunt, fino
alla serie dei topinambr (cfr. Topinambur e Altri topinambr).

Pur presentando, a differenza di Meteo, una partizione piuttosto minuta e articolata (in tutto otto
sezioni), la macrostruttura di Sovrimpressioni ancora in gran parte improntata al tracciato
stagionale, senza che sussista tuttavia una coincidenza fra il ciclo annuale completo e lestensione
della raccolta. Nel complesso, infatti possibile individuare tre cicli differenti.

Il primo, coincidente con la breve sezione incipitaria, inizia con lestate di Verso i Pal (18) e si
chiude con i giorni della bruma di Ligons, III (cfr. v. 22 e la nota dellautore: Bruma: da
brevissuma (dies) il giorno dellequinozio dinverno. In precedenza caduto sulla pagina come
impossibile desiderio-distrazione che ovviamente da ridurre al solito solstizio
50
). Si noti, inoltre,
come alla divaricazione temporale corrisponda la quasi-coincidenza spaziale: i Pal
51
dei primi
componimenti (Verso i Pal e Verso i Pal per altre vie) si indovinano
52
infatti dalla grande
casa-osteria in aperta campagna
53
il cui nome d il titolo alla poesia seguente (Ligons).
Il secondo, pi ampio e completo, copre tutta la sezione successiva: le sei parti della prima poesia,
Sere del d di festa, recano tutte al proprio interno la data del 31 gennaio, ad eccezione della quinta;
linverno inizia a ritirarsi in Adempte mihi, (I, 5), mentre nella seconda parte dello stesso (17) ci
spostiamo ad aprile; il 30 aprile recita ancora Diplopie, sovrimpressioni (5, 10); il fieno e il
periodo della sua raccolta costituiscono il Leitmotiv di A Fan. Con la prima parte della lirica da
Carit romane, entriamo in ottobre (4), per completare il ciclo nelle caine invernali della terza
parte (6).
Lultimo ciclo attraversa la terza sezione per concludersi nel componimento incipitario della quarta,
da (Ore di crimini): si inizia con il trapungere dellautunno (Riletture di Topinambr, 36)
passando poi allinverno di Spine, cinorroidi, fibule (I, 10 e II, 14)
54
, allequinozio di primavera
dellomonima poesia (21/3 Equinozio di primavera), e allo stravolto affacciarsi di luglio di da
(Ore di crimini), 3, in perfetta simmetria con lincipit estivo della raccolta.
Nelle ultime sezioni lordine stagionale viene meno, lasciando il posto a criteri coesivi di carattere
squisitamente tematico.

2.4 A Meteo e Sovrimpressioni dovremo tornare a riferirci pi distesamente quando tratteremo di
Conglomerati, terza raccolta edita da Zanzotto dopo la pseudo-trilogia. Prima di procedere
allanalisi macrotestuale di questa ultima silloge, vorrei per soffermarmi ancora sul quadro sin qui
delineatosi, tentando di ricavarne le indicazioni pi significative.
Innanzitutto, vien fatto di osservare la persistenza, lungo tutto larco della produzione zanzottiana,
di una forte volont costruttiva a livello macrotestuale, la quale si concretizza secondo due modalit
alternative: la prima, che potremmo definire referenziale ed esterna, quella della scansione
stagionale, che informa le prime due raccolte (Dietro il paesaggio ed Elegia e altri versi) con una
propaggine nella prima sezione di Vocativo, per poi riaffiorare in Fosfeni, Meteo e Sovrimpressioni;
la seconda, formale e interna, si traduce nelle varie declinazioni di quella simmetria ternaria che
si perfeziona via via a partire dalle IX Ecloghe, fino a trovare la sua massima espressione al duplice
livello dellopera, con il Galateo in Bosco, e della trilogia, nella quale il principio coesivo travalica
il limite del macrotesto per proiettarsi al livello dellintertestualit interna.
La distribuzione cronologica delle due tipologie macrotestuali dunque relativamente omogenea:
mentre la prima copre tutta la produzione degli anni 50 e, con leccezione di Idioma, quella che va

50
Sovrimpressioni, cit., p. 18.
51
Cfr. la nota dellautore, ibid., p. 12: Pal: chiamati anche Val Bone, sono zone acquitrinose che gi dal medioevo
erano state strutturate in varie forme, specie dai cistercensi, e trasformate in vaste scacchiere di prati circondati da
acque correnti e da alberature di diverso carattere, conservate con memore animo attraverso i secoli
52
Ibid., p. 13.
53
Cfr. la nota dellautore, ibid., p. 13.
54
Cfr. anche le date (8 e 10 dicembre) che compaiono in calce alla nota nello stesso componimento.


110
110
dall83 al 2006, laltra, a prescindere dal caso anomalo di Fil, si attesta con progressiva intensit
nelle sillogi degli anni 60-70, trovando poi unideale appendice nella raccolta dell86, con la quale
si chiude il disegno della trilogia.
La presenza di due modelli strutturali alternativi, qualificati luno come referenziale-esterno,
laltro come formale-interno, e la rispettiva attestazione in fasi ben circoscritte dellesperienza
poetica zanzottiana, pone in secondo luogo il problema del valore semantico e stilistico ascrivibile a
entrambi.
A questo proposito, facile rilevare che nel primo caso lordine della raccolta deriva da un
riferimento alla realt extra-testuale delle stagioni, mentre nel secondo la speculare circolarit che
propria di questultima tende a trasferirsi nella dimensione autonoma della macrostruttura. Si
potrebbe concluderne, quindi, che il passaggio dal primo modello al secondo si attua secondo una
direttrice che va dal concreto allastratto, nel senso di una progressiva riduzione della mimesi,
compensata parallelamente da un incremento della coerenza strutturale interna. In entrambi i casi, la
funzione della forma macrotestuale evidente: nel rinviare, in modo ingenuamente mimetico o pi
sottilmente pitagorico, allordine immutabile del cosmo, essa intende stabilire comunque un
rapporto analogico tra libro e mondo, esorcizzando entro la totalit ridotta e dominabile delluno, la
traumatica infinitudine che propria dellaltro.
In un suo interessante saggio sul rapporto tra forma poetica e figurazione, Andrea Inglese sintetizza
bene il nodo della questione, in un modo che non sarebbe dispiaciuto a Jung:

Langoscia della totalit dunque ci a cui ogni raffigurazione, sia essa religiosa, rituale o
semplicemente artistica, tenta di rispondere. Di conseguenza, il tema principe di ogni
raffigurazione mitica e poetica il mondo, ossia una totalit organica che sia nel contempo
preservata e ridotta. Ogni volta che, attraverso la poesia, il mondo viene posto in figura,
un mostro selvaggio e dalle innumeri membra che viene catturato nel contorno, messo in
cattivit, irretito nella forma, miniaturizzato. La figura come primo compito deve ridurre la
complessit del raffigurato [...]. Il flusso eracliteo dei fenomeni devessere interrotto e al pieno
della percezione deve sostituirsi lo spazio rarefatto della rappresentazione: la figura taglia, isola,
accentra. A questo primo movimento, se ne sovrappone un altro, di carattere illusorio
(illusionistico): ci che stato soppresso in atto, conservato in potenza, la totalit del senso
giace nelle pieghe della figura, che solo parte, frammento del tutto
55
.

A esemplificazione della funzione catartica svolta dal simbolo religioso, il critico fa poi riferimento
ai paesaggi in vasca cinesi (pen-fing) e al mandala, nei quali lintero mondo appare
racchiuso in uno spazio maneggevole, perfettamente dominabile in termini percettivi
56
.
In tal senso lo stesso Zanzotto accostava, nella Postilla allIpersonetto ((Sonetto infamia e
mandala)
57
), la figurazione religiosa buddhista a quel vero e proprio simbolo strutturale
58
che la
forma-sonetto, da lui ripresa e amplificata a livello di macro-struttura nella sezione centrale del
Galateo
59
.
Il rapporto analogico fra libro e mondo, e il trauma che ne innesca la ricerca, sono peraltro
tematizzati esplicitamente nel componimento della Belt Possibili prefazi, IV, 1-26:

55
Andrea Inglese, Ritmo e figurazione. Appunti per una genealogia della forma poetica, in Ritmologia, Atti del
Convegno Il ritmo del linguaggio. Poesia e traduzione, Universit di Cassino, 22-24 marzo 2001, Milano, Marcos y
Marcos, 2002, a cura di Franco Buffoni, pp. 43-4.
56
Ibid., p. 44.
57
PPS, p. 608.
58
Cos Zanzotto nel suo saggio su Giovanni Raboni del 1993, ora in Scritti sulla letteratura, vol. II, Aure e disincanti
nel Novecento letterario, Milano, Mondadori, 2001, a cura di Gian Mario Villalta, p. 373: Quanto al sonetto, risaliva in
primo piano con tutta la sua forza di simbolo strutturale con perfezioni quasi mandaliche, nascente con lalba della
nostra lingua letteraria, e insieme, di immagine divenuta, lungo i secoli, rivomitatura in un infinito autoriciclaggio,
come in una corsa allinezia e al nulla (non soltanto in Italia), pur se con improvvise riprese vitali.
59
Cfr. a questo proposito John P. Welle, The poetry of Andrea Zanzotto. A critical study of Il Galateo in bosco,
Roma, Bulzoni, 1987 .


111
111

1 Larchi-, trans, iper, iper, (amore) (statuto del trauma)
individuato ammonticchiato speso
con amore spinta per spinta
- a luci basse e filo di terra,
5 a sole a sole perfino -
spallate gomitate
come in un pleonastico straboccante
canzoniere epistolario damore
10 di cui tutto fosse fonemi monemi e corteo
in ogni senso direzione varianza,
babele e antibabele
volume e antivolume
grande libro verissimo verosimile e simile,
15 grembo di tutte le similitudini: gremito di una sola similitudine
talvolta unidentit ne effiora
una specie pi specie e suggelli,
e cera in vista tutta una preparazione
un chiamarsi e chiamare in causa: o, O:
20 assodare bene il vocativo
disporlo bene e in esso voi balzaste
ding ding ding, cose, cose-squillo, tutoyables merci,
non le chantage mais le chant des choses,
con crismi eluardiani fortemente amorosi
25 tutte come a corona intorno a noi, note animelle,
e tintinna in eterno la collana
60
.

Si osservi, qui, come il grande libro verissimo verosimile e simile, alla stregua del reale in
Eraclito, si caratterizza ai vv. 12-5 per somma di predicazioni opposte, le quali trovano
composizione proprio nel rapporto analogico che media con crismi eluardiani fortemente amorosi
fra unit e molteplicit: in virt della loro magica force damour, che a differenza del pensiero
logico non pone gli opposti in un rapporto di mutua contraddizione, considerandoli bens come le
polarit di una scala potenzialmente infinita di valori, le correspondances coronano laspirazione a
un possesso erotico del mondo gi prefigurata, allaltezza di Dietro il paesaggio
61
, nelloscuro
matrimonio del poeta con il cielo e le selve.

Ma laspetto musicale del messaggio incide, a ben vedere, anche sul livello contenutistico, dove
detta legge lanalogia. Lanalogia proprio la chiave che consente di capire quella che stata
definita una musica intellegibilis, cio una musica di concetti. I vari concetti vengono accostati in
base a un teorema musicale, insomma, non immediatamente logico. Lanalogia si basa, in fondo,
proprio su questo assunto, ed a questo stesso fenomeno che si riferisce il famoso legame
musaico, impermeabile alle traduzioni, di cui parla Dante: un rapporto tra le parole voluto dalla
Musa
62
.

Sul tema della reciproca implicazione fra analogia, simmetria e circolarit, si legga quanto scrive
Enzo Melandri:


60
PPS, p. 284.
61
Nella valle, vv. 15-16, PPS, p. 107.
62
Andrea Zanzotto, Viaggio musicale. Conversazioni a cura di Paolo Cattelan, Venezia, Marsilio, 2008, p. 72.


112
112
Naturalmente non sempre lanalogia si presenta etichettandosi col suo nome proprio. Dobbiamo
imparare a riconoscerne la presenza da certi sintomi. Due dei pi importanti [...] sono la
simmetria e la circolarit dei concetti ai quali il problema fa riferimento. La simmetria analogica
si distingue da quella logica perch di-polare, cio tensionale, tendenziale e per opposizione dei
contrari anzich duale: ossia dicotomica, rigida e per opposizione di contradditoriet. Quanto alla
circolarit non occorre dire altro, poich largomento logico procede per sequenze lineari ed
esclude come circulus vitiosus ogni retro-azione della conseguenza sulle premesse: in diretto
contrasto con la cibernetica, in logica vige il divieto di feed-back
63
.

In quanto espressione di unistanza traumatica che spinge il poeta a introiettare e a esorcizzare cos
loggetto del desiderio (da sempre la natura, il paesaggio) entro il proprio processo di
verbalizzazione
64
, lo spazio macrotestuale in Zanzotto dunque necessariamente uno spazio
circolare, simmetrico, analogico, dove landata coincide con il ritorno
65
e tutto rima
66
con tutto.
Date queste premesse, si sarebbe tentati di suggerire che limmagine macrotestuale risponde a una
volont, da parte dellautore, di regredire narcisisticamente verso una forma di compiutezza pre-
natale; interpretazione peraltro confermata dal fatto che, nelle raccolte a impianto simmetrico, la
sezione centrale quasi sempre adibita a componimenti che esprimono per diverse ragioni questa
medesima istanza: sia che si tratti della dimensione pre-linguistica, come avviene nellElegia in
petl (La Belt), di quella onirica, come in Microfilm (Pasque), o della madre-norma poetica,
come nellIpersonetto (Galateo in Bosco), o infine del dialetto e della realt antropologica a esso
correlata
67
(Idioma), il centro ombelicale delle sillogi zanzottiane rappresenta un disperato
tentativo di recuperare per via di linguaggio uno stato edenico perduto, rispetto al quale il presente
costituisce una corruzione seriore e irrimediabile.
Si pensi poi alla rosa di simboli e immagini che rinviano, in tutte le opere zanzottiane, a una
condizione di chiusura (auto-)protettiva, quali latollo, luovo, il cocco, la cisti,
lampolla
68
, la bolla fenomenica
69
, il serico bozzolo protettivo
70
in cui il baco-fabbro-poeta si
assenta da una realt minacciosa e assieme la ricrea a proprio uso e consumo nel linguaggio
71
.

63
La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sullanalogia, Macerata, Quodlibet, 2004 (edizione arricchita, rispetto
alla prima Bologna, il Mulino, 1968 da un saggio introduttivo di Giorgio Agamben e da unappendice di Stefano
Besoli e Roberto Briganti), p. 152. Nel corso del saggio, Melandri oppone la logica binaria a terzo escluso, invalsa nel
pensiero occidentale da Aristotele (anzi: da Parmenide) ai giorni nostri, a quella propria del processo analogico, per
definizione polivalente e a terzo incluso. Nella prima, gli opposti stanno fra loro in una relazione di contraddittoriet, la
quale implica che essi non possano essere al contempo predicati del medesimo individuo (ovvero che un individuo, per
il quale ci risulti possibile, non esiste). Nella seconda, al contrario, fra gli opposti sussiste un rapporto di sub-
contrariet, in virt del quale essi vengono a rappresentare i poli di una scala in cui trovano ricetto tutti i possibili
valori intermedi. Solo allinterno di una logica di questo tipo pu risultare fondato un discorso secondo la somiglianza,
che resterebbe altrimenti precluso dallalternativa secca tra identit e differenza intese come valori assoluti.
64
Profezie, XVI, v. 69, PPS, p. 343.
65
Cfr. Galateo in Bosco, Gnessulgo, v. 36, PPS, p. 555: Ammessa conversione a U / ovunque.
66
Cfr. Dietro il paesaggio, Nel mio paese, vv. 16-8, PPS, p. 77: tutta lacqua doro nel secchio / tutta la sabbia nel
cortile / e fanno rime con le colline; La Belt, E la madre-norma, vv. 24-5, p. 348: rileva i raccordi e le rime /
dellabietto con il sublime.
67
Nel saggio del 1960 Lingua e dialetto (appunti), PPS, pp. 1100-3, Zanzotto assegnava al dialetto un luogo analogo a
quello occupato dallinconscio nella topica freudiana: Litaliano, purtroppo, pi di altre lingue, ha dovuto lottare con il
super-io costituito dal latino e con linconscio arlecchinesco dei dialetti.
68
Limmagine delluovo diffusissima, per ovvie ragioni, in Pasque, anche nella variante del lndine, luovo di
pidocchio (cfr., anche per la sovrapposizione simbolica con il cocco, Pasqua di maggio, IV, v. 29, PPS, p. 438:
primavera di cocchi e lndini), ma compare gi sintomaticamente in Vocativo, Esistere psichicamente, v. 21, PPS,
p. 174: chiarore-uovo. La metafora del cocco ha la sua prima attestazione nella Belt, Ampolla (cisti) e fuori, in
concorrenza quasi sinonimica con lampolla e la cisti (oltre al titolo, cfr. vv. 9-10, PPS, p. 297: Ma come si
difesi nel cocco / nella cisti belt). Per quanto concerne la cisti, si legga anche questo brano dal saggio del 1977 Da
Botta e risposta I a Satura (appunti), ora in Scritti sulla letteratura, Fantasie di avvicinamento, vol. I, cit., p. 32:
La lettera-botta dunque una richiesta di spiegamento (spiegazione), di incrinatura o mordente spaccatura, che ledano
una esile oppure durissima bolla di sospensione, torpore sonnambolico, incertezza e confusione da dormiveglia o
risveglio. C qualcuno che non si sentirebbe spinto ad abbandonare la cisti o il carapace della sospensione onirica e del
suo linguaggio perfuso di simboli e Holzwege.


113
113
Come pure in parte si detto, va parallelamente sottolineato tuttavia come questo tentativo di
regressione resti sempre, in ultima analisi, deluso, tanto sul piano semantico attinente ai testi che
dovrebbero agirlo, quanto su quello della struttura che si fa carico di rappresentarlo a livello
macroscopico: quella che da una prospettiva astratta qual stata sin qui la nostra poteva
apparire come una simmetria perfetta, cessa infatti di esserlo nel momento in cui vi si rivolga uno
sguardo pi attento e ravvicinato.
Per portare soltanto lesempio pi palese in senso contrario, nel Galateo in Bosco le serie parallele
di 18 componimenti a precedere e seguire lIpersonetto, si strutturano al proprio interno in maniera
differente, luna ripartendosi in due sezioni dal titolo Clich e Il Galateo in Bosco, laltra, continua
e anepigrafa, scandita solo dai gruppi di poesie con titolo similare.
Il cerchio, insomma, non si chiude, n potrebbe: Zanzotto un poeta troppo consapevole per
abbandonarsi a facili idilli senza patire al contempo i contraccolpi che la storia, anche quella
privata, infligge a chi crede di potersene idealisticamente astrarre. Di qui, il conflitto fra circolarit
narcissica e linearit edipica, ordine e caos, essere e divenire, natura e storia cui avevamo
corsivamente accennato a proposito della Belt. Ed significativo che proprio a partire dalle
raccolte degli anni 60 (IX Ecloghe e La Belt), dove, a livello testuale, lequilibrio fra le due serie
alltope si sbilancia sempre pi a favore della seconda (linearit-caos-divenire-storia), sul piano
della macro-struttura il modulo interno-formale subentri a quello esterno-referenziale, come se
a un incremento del disordine interno dovesse subito corrispondere uninteriorizzazione dellordine
superficiale.
Viceversa, si pu dire che il ritorno, con Fosfeni, Meteo e Sovrimpressioni, a un principio coesivo
pi esteriore, sia determinato dalla volont di arginare una deriva ormai incontrollabile, attraverso
lesile e discontinuo filo dArianna costituito dalla segnaletica stagionale.
Anche dal punto di vista della struttura macrotestuale, dunque, la Belt rappresenta una pietra
miliare nella produzione zanzottiana: con maggior decisione rispetto alle Ecloghe, dove il modulo
speculare, gi abbozzato, deve ancora puntellarsi a un elemento esterno quale il rapporto
intertestuale con le Bucoliche virgiliane, la raccolta del 68 segna il passaggio alla maniera della
piena maturit, culminante nel grande disegno della pseudo-trilogia.

3. Forma, spazio, durata, memoria: la macrostruttura di Conglomerati.

3.1 Tenter ora di delineare le caratteristiche pi macroscopiche di Conglomerati
72
, enucleandone i
tratti di continuit e discontinuit rispetto alle raccolte precedenti (in particolare Meteo e
Sovrimpressioni). Per esigenze espositive, affronter solo successivamente la questione del titolo,

69
Cfr. IX Ecloghe, Ecloga IV Polifemo, Bolla fenomenica, Primavera, v. 27, PPS, p. 214: Non uomo dico, ma bolla
fenomenica.
70
Cfr. Rilettura di un articolo su Le stelle fredde di Piovene [1974], in Scritti sulla letteratura, II, cit., p. 81: [una
forma di vita cosciente che possa resistere sotto le radiazioni delle stelle fredde] appare possibile solo in grazia ad una
forma di narcisismo, per quanto depresso e masochistico. E Narciso mobilita anche qui le sue iridescenze, i suoi
paradisi di autismo, risucchiando residui di linfe vitali dai fondi pi arcaici, quelli in cui la persona, costituendosi,
generava intorno a s una sfera, un serico bozzolo protettivo, trasformava in materiali adatti a produrlo la realt
circostante. Cos io vuole sparire, ma non lontano da quegli elementi cui deve riferirsi a garanzia della sua
operazione. A questo proposito cfr. anche Premesse allabitazione, 1963, PPS, p. 1028: il mio scrivere, altre cose,
solo un modo di essere, nemmeno secrezione o escrezione, come un cemento (o si crede un cemento) che per sisma
sbalzi da strati; un dato che al fondo di tanto stare e muoversi arriverebbe allo spogliarsi lucido e completo di un
grumo, di un nodo. O meglio, autofilarsi in bozzolo, ridursi a realt filata ma compatta senza pi nulla al centro, che
tuttavia sarebbe di un nulla infinitamente definito.
71
Cfr. Questioni di etichetta o anche cavalleresche, vv. 22-32, Il Galateo in Bosco, PPS, pp. 613-4: Pace dunque al
qualunque baco parassita / che si credette fabbro di seta garantita / e sta a ciondolare sulla rama / mangiucchiando
mumble mumble / (con cento occhi ad altrui becchi) / e insieme postulando mezze-piet / per le sue penumbrali colpe il
suo desindacalizzato / totale assenteismo dalla realt // (produzione di massa e / prodotto garantito, per altro, anchessa /
con marchio di qualit). Nel testo originale lonomatopea mumble mumble, qui trascritta in corsivo, racchiusa
nella nuvoletta che indica in linguaggio fumettistico i pensieri dei personaggi.
72
Milano, Mondadori, 2009.


114
114
come di consueto ricchissimo di indicazioni e suggestioni anche intertestuali, le quali permetteranno
di abbozzare un primo (e necessariamente parziale) percorso esegetico della silloge.

3.2 Conglomerati raccoglie, secondo la Nota dellautore
73
, testi per la maggior parte risalenti al
periodo successivo a Sovrimpressioni, ma un cero numero pi antico. La silloge si suddivide in
sei sezioni con titolo in maiuscolo, cui si aggiunge in explicit una piccola aggiunta di due Disperse,
entrambe datate (A Emi che torna da Parigi, 1950, e Sandro Nardi, 1951).
Alcune sezioni sono poi ripartite al loro interno in sotto-sezioni, titolate in corsivo
74
: la seconda
sezione, TEMPO DI ROGHI, si compone di una prima serie di 10 poesie, seguite dalle tredici di Fu
Marghera (?); la terza sezione, IL CORTILE DI FARR E LA PALEOCANONICA, suddivisa in
una serie di sei liriche, cui si aggiungono le tredici di Lacustri e le sei di Euganei; la quinta sezione
infine, ISOLA DEI MORTI SUBLIMERIE, comprende i tre componimenti di Succo di
melograno, a seguire i sedici iniziali.
A questa prima griglia si sovrappone quella determinata dai tre asterischi a pagina nuova, con la
funzione di indicare cambiamenti di luogo, di tempo o di argomento allinterno delle sezioni; e,
secondo un uso che non trova riscontri in altre raccolte (zanzottiane e non), di asterischi (da uno a
tre) posti sopra una poesia, a segnalarne la minore o maggiore distanza dal gruppo in cui
inserita
75
. Gli asterischi sembrano dunque fungere da segni di interpunzione macrotestuale, i quali,
come ha osservato Francesco Venturi a proposito della suddivisione in sezioni sotto articolate in
campiture o serie, rispondono a una esigenza di calare entro una dispositio esterna una materia
multiforme e dissimile
76
.
In una nota apposta alla poesia Misteri climatici, il cui titolo rimanda palesemente al contesto di
Meteo, Zanzotto avverte: continua qui lesperienza del lavoro secondo sporadici nuclei, iniziata
nelle opere successive a Idioma. Correnti minime in rischio di insabbiamento
77
. La posizione della
nota significativa di una continuit solo parziale: rispetto alla citata nota a Sovrimpressioni, di
cui riprende lincipit, essa non riferibile alla raccolta nel suo assieme, ma ad alcuni dei pi
sporadici nuclei che essa accoglie al suo interno.
Se infatti la segnaletica stagionale, pur molto fitta, non introduce in Conglomerati alcun principio
di ordinamento, dal punto di vista quantitativo la ripartizione delle poesie rivela equilibri e
simmetrie s lontane dalla cristallina dispositio della Belt e soprattutto di Pasque e del Galateo, ma
nondimeno interessanti. Un po di conti.
La prima sezione (ADDIO A LIGONS) conta tredici poesie; la seconda sezione (TEMPO DI
ROGHI) si ripartisce in dieci poesie pi le tredici di Fu Marghera (?): si delinea cos un primo
nucleo a simmetria ternaria di 13+10+13 liriche.
Il secondo nucleo comprende le tre sezioni successive: la terza (IL CORTILE DI FARR E LA
PALEOCANONICA) contiene un totale di diciannove componimenti (ripartiti nei sette iniziali, nei
sette di Lacustri e nei cinque di Euganei); la quarta (FIAMMELLE QUA E L NEI PRATI) ne
conta solo tre; la quinta (ISOLA DEI MORTI SUBLIMERIE), complessivamente, diciannove (i
primi sedici seguiti dai tre di Succo di melograno): una nuova simmetria ternaria, quindi, di
19+3+19 poesie.

73
P. 201.
74
Seguo, per chiarezza, gli usi tipografici di Zanzotto, trascrivendo in maiuscolo i titoli delle sezioni e in corsivo quelli
delle sotto-sezioni.
75
Cos la nota dellautore a p. 8.
76
Lettura di Conglomerati di Andrea Zanzotto, in Otto/Novecento, XXXIV, 3, 2010, p. 201. Alcuni cenni sulla
bibliografia critica relativa a Conglomerati, senza alcuna pretesa desaustivit: Res, rovelli, rovine (Alias, 31 ottobre
2009, 43, p. 117) di Roberto Galaverni; Il cosmo in versi (il manifesto, 21 marzo 2010, p. 11) di Stefano Colangelo;
la recensione (Punto, 1, 2001, p. 66) di Salvatore Ritrovato. Mentre mi accingo a licenziare questo saggio, ho inoltre
notizia di un intervento di Niva Lorenzini sul numero di Autografo dedicato a Zanzotto, in uscita a ottobre, dal titolo
Avvolgenti, affilatissimi: i silenzi di Conglomerati.
77
P. 48.


115
115
Segue una coda di quindici poesie raccolte nella sezione VERSI CASALINGHI pi le due
DISPERSE.
Per questo aspetto lultima silloge zanzottiana sembra invertire la rotta rispetto alle due precedenti,
sicch si potrebbe quasi affermare, parafrasando la citata nota a Sovrimpressioni, che i
Conglomerati si sviluppano in coinvolgimento ma anche in controtendenza rispetto allatmosfera
attuale mossa da frenesia e da eccessi di ogni genere che fanno tutto gravitare verso una pletora
onnivora e annichilente.

3.3 Il carattere peculiare di questo coinvolgimento e di questa controtendenza, implicate luno
nellaltra, potr essere chiarito meglio pi avanti. Per il momento vorrei invece procedere
nellesame dei fattori di coesione macrotestuale. Tra di essi, una posizione di primaria importanza
rivestono i rapporti sintagmatici, o di contiguit, che possono essere suddivisi in diverse tipologie,
spesso sovrapposte, e che in genere sono esplicitati nel titolo dei componimenti o sotto-sezioni o
sezioni: continuit di luogo; continuit di tempo; continuit di persona; continuit di una o pi
parole tematiche o addirittura di versi-refrain; infine, un tipo di continuit che definirei
variantistica, e che meriter unattenzione particolare. Solo qualche esempio, nellordine.
In continuit di luogo sono le poesie Crode del Pedr (Prima e Seconda versione) e Giardino di
Crode disperse; la prima serie di componimenti di Fu Marghera (?), contrassegnati da numeri posti
tra parentesi (da 1 a 5), e di Lacustri (Mai delle sere mai, Le notti fremono di ladri e di
ghiacci, Denti di squali e segnali fatali, Sacramento-pericolo, E cos ti rintracciammo), etc.
La continuit temporale lega, allinterno della sezione Addio a Ligons, le tre poesie Inizio 2000, S,
deambulare (in cui compare la data 15-1-2000), Lievissime rotelle del 2000.
La continuit di persona unisce le due poesie che seguono la prima serie di Lacustri: ***Gentile e
forte creatura della Vallalta e Silvia, Silvia l sul confine. Qui i tre asterischi iniziali non segnano
per una discontinuit di luogo (lambientazione resta lacustre) ma di argomento, con lentrata in
scena di una Silvia in cui convergono circostanze reali (cfr. la nota dellautore, p. 106: La giovane
Silvia, gi malata in grado estremo, scelse e riusc a laurearsi in ungherese) ed evidenti
reminiscenze letterarie (ovviamente leopardiane).
Nella stessa sotto-sezione Lacustri, le seconde due poesie (Le notti fremono di ladri e di ghiacci,
Denti di squali e segnali fatali) offrono poi un esempio di ripresa di parole-tema (cfr. i vv. 1 e 5
della prima: Le notti fremono di ladri e di ghiacci; le notti mille zero come pack insqualano,
con la seconda, vv. 1, 4 e 7-8: Denti di squali e segnali fatali; Animarsi, animarsi nello
scricchiolio del pack; ma di ladri che fin lultimo centesimo / aspirano). Fra la prima serie di Fu
Marghera (?) e la successiva, separate da tre asterischi a pagina nuova, vi poi un collegamento
istituito dalla variatio dellexplicit di Muffe (quarta posizione nella prima serie: Grigia scende la
sera e si confonde / col rumore del forno a microonde) in quello di Giorno dei morti 2 novembre
2003 e *Quanti nuovi e ignoti silenzi maspettano (prima e seconda lirica della serie successiva:
Scende la sera sera e si confonde / col rumore del forno a microonde). Collegate dallincipit, oltre
che per evidenti ragioni tematiche, sono invece la seconda e la terza poesia di Euganei (Geometrico
avvenimento, (2) e (3))
Si potrebbe dire che fra questa tipologia e quella che abbiamo definito variantistica sussiste una
differenza di ordine puramente quantitativo, trattandosi, nel secondo caso, di due elaborazioni
diverse di un medesimo nucleo testuale, come avvertono i titoli stessi dei componimenti in
questione (cfr. Crode del Pedr, Osservando dalla stessa china il feudo sottostante; ma cfr. anche le
liriche incipitarie di Succo di melograno, la prima anepigrafa, la seconda intitolata Nel giorno di
Ognissanti, dove il fenomeno non viene esplicitato n a titolo n a livello paratestuale).
A proposito di questultimo tipo di connessione macrotestuale, si potrebbe ripetere quanto aveva
osservato Clelia Martignoni nel gi citato saggio su Sovrimpressioni:

Ho limpressione molto forte, sul tema delle varianti, che Zanzotto, estremamente attento alla
critica e alla cultura francese degli ultimi decenni [] abbia attraversato con particolare interesse


116
116
anche certe brillanti pagine teoriche della critique gntique con il suo culto dellavantesto contro
il testo, della molteplicit contro lunicit, del virtuale contro il ne varietur, del possibile contro il
finito
78
.

E si potrebbe evocare anche il contesto aperto, fluttuante, improvvisato delle jam sessions
jazzistiche e delle riprese alternative (alternate takes) di uno stesso brano o tema che vi hanno
luogo.
Ma il fenomeno, come pure aveva notato Clelia Martignoni, si estende anche da una raccolta
allaltra: esemplare in Conglomerati il caso di E di notte savventa alto il rogo, variazione, come
segnala la nota dellautore, di Primizie del primo mese, in Sovrimpressioni
79
.
Lintertestualit interna alle sillogi zanzottiane, perlopi esplicita, sempre stata fittissima, e in essa
va forse riconosciuto il marchio duna ricerca di durata e omogeneit, listanza unitaria e identitaria
del soggetto in quanto autore (o dellautore in quanto soggetto). In tal senso si potrebbe leggere
quella comparsa autoironica, in Conglomerati (**Milano Bagutta, p. 115), del ritratto dellautore
associato alla materializzazione della sua Opera: il Meridiano / come impropria postura / e un
suo sorrisetto scaleno
80
.
Va inoltre ricordato come luso di varianti, esplicitato nel titolo, sia ben attestato sin dalle IX
Ecloghe (in absentia: si veda 13 settembre 1959 (variante)
81
) e poi ancora in Pasque (in presentia:
cfr. le poesie contigue Feria Sexta in parasceve e Feria sexta in parasceve (variante)
82
)
Non mi soffermer sulle tantissime auto-citazioni disseminate in Conglomerati, che vanno da
Dietro il paesaggio alla Belt, da Pasque alla pseudo-trilogia, e che il lettore non faticher a
riconoscere da s. Credo sia pi interessante circoscrivere lindagine alle ultime tre sillogi, dove non
si tratta tanto (o solo) di auto-citazione e di mise en abme, quanto piuttosto un ritorno su nuclei
tematici e compositivi che vengono ripresi, variati, sviluppati. Penso, per fare solo gli esempi pi
macroscopici, ai vari cicli botanici
83
: la serie dei papaveri, che si apre in Meteo (Tu sai che,
ALTRI PAPAVERI, CURRUNT) e prosegue con una sola attestazione in Sovrimpressioni (da (Ore
di crimini)), per riaffiorare in Conglomerati nelle tre poesie della sezione Fiammelle qua e l per i
prati, lultima delle quali si intitola persino Continuazione di Tu sai che (le prime due sono
Papaveri e Vite giuste ed insigni, papaveri); la serie dei topinambr (cfr. i TOPINAMBR e
ALTRI TOPINAMBR di Meteo con le Riletture di Topinambr e Topinambr e sole di
Sovrimpressioni; il tema ritorna poi in Conglomerati, E l dallinizio dellinfinito slargo, v. 16, e
Sotto i cingoli dei diluvi, v. 5); la serie manes-vitalbe, che chiude Meteo (cfr. Sedi e siti, e, con la
sola interposizione della poesia in dialetto La Taresa, Erbe e Manes, Inverni e ALBE, MANES,
VITALBE), con una propaggine nel componimento Manes ribellioni vitalbe (in Sovrimpressioni); e,
in maniera pi defilata nel Cortile di Farr e la paleo canonica, v. 33 (Conglomerati).
Dai dati elencati e dai molti altri che ancora si potrebbero ricavare anche solo a colpo docchio,
emerge limpressione che le ultime tre raccolte zanzottiane sortiscano come per precari e

78
Il linguaggio della sovrimpressione. Una poetica?, cit., p. 208. Lautrice cita a questo proposito due interventi di
Zanzotto: Europa melograno di lingue [1995], in PPS, pp. 1347-65 (personalmente [], io non sono mai stato
affezionato al concetto di definitivit del testo poetico. Pronunciare il ne varietur mi turba. Ho sempre la sensazione che
si sarebbe potuto compiere un passo [] almeno verso una certa variazione laterale interessante come quella che stata
data per centrale) e Versi provvisori [1992], parzialmente in PPS, pp. 1733-5 (per ogni componimento arriva il
problema delle varianti, che tendono ad essere potenzialmente infinite. questa una sensazione quasi persecutoria per
colui che scrive []. Certo che la variante crea un testo aperto). Molto interessante, nello stesso saggio, anche
lidea che il punto della fluidit testuale trovi un affascinante corrispettivo secondo-novecentesco nella predilezione
dellultimo Sereni, disgregato e aperto, di Stella variabile.
79
P. 49.
80
Si allude ovviamente al citato Meridiano Mondadori delle Poesie e prose scelte e alla foto dellautore riprodotta
sulla custodia del volume.
81
PPS, p. 205.
82
Ibid., pp. 421-2.
83
Cos Clelia Martignoni, cit., p. 209.


117
117
smarginati
84
assestamenti di una materia fluida, di un unico cantiere aperto, o come per quelle
sporadiche diffusioni di piante vagabonde su terreni residuali cui Gilles Clment ha dedicato
alcuni dei suoi pi celebri studi
85
.
Non so se questo autorizzi a parlare, per Meteo, Sovrimpressioni e Conglomerati, di una seconda
pseudo-trilogia, quandanche si sottolineino le profonde differenze che presiedono alla
compaginazione della prima. Di fatto, proprio in una poesia di Conglomerati, Vergogna, Zanzotto
sembra alludere alle tre sillogi con una definizione unificante:

Ora il tempo dovrebbe vergognarsi
di far quello che facciamo
di strampalarsi stralciarsi
sfalciarsi sfidarci infilzarci
ma vergognarsi di esser sempre
gi passato mentre lo nomino. Non c, s c
questo qui di cui
scrivere il continuo
e losco cambio di marcia
tre volte in tre opere di ricordo
macch gi tutto tappeto marcio di futuro
86


Tre opere di ricordo, dice il poeta, promuovendo cos il tema della memoria (impossibile) a
comune denominatore di tre sue opere non meglio specificate, ma che sembrerebbero proprio
coincidere con le ultime raccolte.

3.4 In tutte le sue sfaccettature, il tema amletico del tempo scompaginato-scompaginante e quello
della memoria che si cancella sono in effetti centrali nelle tre sillogi.
In Meteo, si tratta soprattutto del tempo meteorologico, del clima sconvolto dallavanzare della
tecnica e del suo effetto perturbante sul pianeta.
In Sovrimpressioni assumono rilievo centrale il ri-torno, il ri-conoscimento, la re-visione: come
enuncia la nota dautore [], dove chiara la connessione paesaggio/ritorno/scrittura. Se questa
la modalit motivica di base che genera il titolo allucinatorio e sdoppiato, eloquentissimo, esso si
palesa in quelle varie forme morfologiche e ritmiche che segnalano nesso e legame, rivisitazione e
ripetizione
87
.
Per Conglomerati, credo che il medesimo plesso di questioni emerga se passiamo a considerare ora
le isotopie di tempo e luogo che si delineano lungo tutto larco della raccolta.

84
Id., p. 209.
85
Cfr. in particolare Le jardin en mouvement, Paris, Pandora, 1991 e Manifest du Tiers paysage, Paris, ditions
Sujet/Objet (ed. it. Il giardino in movimento. Da La Valle al giardino planetario, Macerata, Quodlibet, 2011. E, in
perfetta tangenza, si legga quanto ha scritto Francesco Venturi sul concetto di rizoma nel suo saggio Dinamismi e
assetti avantestuali attraverso gli autografi della pseudo-trilogia, in corso di pubblicazione sul numero di
Autografo dedicato a Zanzotto: Limmagine fitomorfa risente dellapparato metaforico e concettuale di Rizoma di
Deleuze-Guattari, uscito in Italia nel 77 e che Zanzotto recensisce prontamente con parole chiarificatrici del proprio
lavoro: La polemica [] ha come bersaglio dunque la logica, il discorso, la conoscenza, lazione [] che somigliano
tutti a un albero, pretenziosamente eretto in alto con fusto rami foglie e (massimo inghippo) frutti, oltre che avidamente
diffuso in radici nella terra. Come spiega Jacqueline Risset, prefatrice delledizione italiana: Un rizoma un gambo,
o fusto sotterraneo un vero paradosso vegetale. Sceglierlo come metafora principale della nuova pratica di linguaggio
e di analisi vuol dire (esplicitamente nel testo) ripudiare sia lalbero, simbolo consacrato della produttivit verticale e
normale (normativa), sia la radice, figura di ogni origine e fondamento. Nellappropriarsi liberamente della metafora,
Zanzotto sembra voler quindi esprimere sottilmente limpossibilit del libro-radice, etichetta con cui Deleuze-Guattari
designano il libro classico, come bella interiorit organica, significante e soggettiva, in quanto lalbero gi
limmagine del mondo, o meglio, la radice limmagine dellalbero mondo.
86
P. 73; corsivo mio.
87
Clelia Martignoni, cit., p. 215.


118
118
Quanto al tempo, baster dire che si tratta, con poche eccezioni
88
, dellinizio millennio, quel 2000
reso scivoloso dalle palline o lievissime rotelle dei suoi zeri (cfr. le tre poesie esplicitarie
della prima sezione: Inizio 2000, S, deambulare, **Lievissime rotelle del 2000).
Con Roghi (1944-2001) e Silvia, Silvia si avanza di un anno, di due con Giorno dei morti 2
novembre 2003; in Penso alle volte che noi (tutti viventi) la clausola parentetica domanda: atto
scritto nonostante il dito a scatto 2004?.
Ma al tempo oggettivo si interseca quello privato, esistenziale, della vecchiaia: si prenda ad
esempio De senectute, vv. 1-5 (p. 52): Possibile che non mi sia dato / compiere la pi minuta /
azione senza che il tempo / venga a riscuotere, usuraio atroce / la sua parte; o Candelete, inciampi
(p. 74, vv. 1-6: Candelete, inciampi / venir meno in strappi / e dolori ed escoriazioni / cadute
rattratte di corpi per baricentri sbilanciati / osteoporosi no), dove le Candelete, come suggerito
dallepigrafe-nota, sono le ormai troppe troppe candeline sulla torta di compleanno del poeta. In
Candelete ritorna anche il tema della perdita di equilibrio e della caduta presente nella poesia In
te le peste da distrazhion; tema che concerne s, come accennato, una contingenza autobiografica,
ma anche, pi latamente, la condizione storica e umana che caratterizza il presente: E ades va eco
le calze a scalcn / co la barba de tre d / co la nobil testa (che vol dir toch de cop) / in cerca del
posto par far lultimo rebalton, / co fa quando che quatro olte gir / su de mi sbrissando
diventando perno / de un mondo par mai p fermo (vv. 37-43)
89
.
Nella serie incipitaria di Roghi (Tristissimi 25 aprile, Roghi (1944-2001), Altro 25 aprile), si fa
largo poi il tempo storico nella sua dimensione di rito commemorativo e fondativo di istituzioni
civili e della collettivit che in esso dovrebbe riconoscersi. Cos anche in Grave. Isola dei morti,
intitolata al luogo sulla riva del Piave dove ebbe inizio la sanguinosa offensiva che port alla fine
della prima guerra mondiale, e dove la corrente del fiume deposit le migliaia di cadaveri di giovani
soldati italiani uccisi nella battaglia
90
.

Appoggiandosi ai numerosissimi riferimenti toponomastici contenuti nella raccolta, si pu
circoscrivere unarea geografica altrettanto definita di quella cronologica, che poi come sempre il
bioma della poesia di Zanzotto, lalta marca trevigiana. Pi precisamente: a Sud di Pieve di
Soligo, la linea storico-geografica dellIsola dei morti; le Crode del Pedr, sorta di canyon formato
dal fiume Soligo lungo il tratto che costeggia la villa del soprano Toti Dal Monte
91
.
Nella sezione Il cortile di Farr e la paleo canonica, procedendo verso Nord si incontrano poi il
Pian di Farr (Il cortile di Farr e la paleo canonica fantasma presente), il feudo di Rolle,
sottostante a quella china (ossia Farr: cfr. i due componimenti incipitari della sezione,
Osservando dallalto della stessa china il feudo sottostante, Prima e Seconda versione; Laria di
Dolle
92
, titolo ripreso e variato dallAcqua di Dolle di Dietro il paesaggio, 1951; e ancora Stupende
luci, incoronazioni, v. 1: verso Dolle); infine, verso Est, Mondragon.
A Nord-Ovest troviamo invece Zuel di qua e Zuel di l (A Zuel di qua), Soller ((Borgo)) e il lago di
Rvine (cfr. la sotto-sezione Lacustri). Fuori dal trevigiano, a Sud-Ovest, i rilievi dorigine
vulcanica dei Colli Euganei (cfr. la sotto-sezione Euganei).

88
Con Quanti nuovi e ignoti silenzi ci spostiamo, ad esempio, nel 1993 (p. 65, vv. 28 e 34: vere partorienti 1993
verit -; in verit, in silenzi 1993); poco pi in l con la bella poesia in dialetto In te la peste de la distrazhion, dove
una nota dellautore riferisce loccasione del componimento a unesperienza personale avvenuta nel 1998 (p. 68).
89
E ora vado in giro con le calze a penzoloni / con la barba di tre giorni / con la nobile testa (che vuol dire pezzo di
coppo) / cercando il posto per far lultimo ribaltone, / come quando ho girato quattro volte / su me stesso scivolando e
diventando perno / di un mondo mai pi fermo (pp. 68-9).
90
Nel luglio del 2000 in questo luogo si tenne tra laltro un fortunato recital commemorativo di Marco Paolini e Andrea
Zanzotto.
91
Sia Toti dal Monte e la sua villa, sia le Crode (ma come Grotte del Pedr) sono gi citati nel componimento
incipitario di Idioma, Gli articoli di G.M.O. (PPS, pp. 723-4, rispettivamente vv. 20 e 18). Nella stessa raccolta, al
soprano poi dedicata la poesia Co l mort la Toti (pp. 770-1).
92
Dolle, com noto, la trasfigurazione toponomastica di Rolle.


119
119
Il paesaggio della raccolta sembrerebbe dunque quanto mai compatto, a parte alcune fughe verso
Marghera e Venezia (cfr. la sotto-sezione Fu Marghera (?)) e verso Milano (Milano, Bagutta). Ma
esso ha ormai perso il suo centro gravitazionale, come testimonia lamaro congedo affidato proprio
al testo incipitario, Addio a Ligons, la Grande casa-osteria di Sovrimpressioni. Ligons era
mphalos del Grande Slargo / che per decenni i pi bei cammini resse, ma circondato / ormai
da funebri viali di future imprese, / da grulle gru, sfondamenti di orizzonti / che crollano in se
stessi / intorno ad esso; ora la morsa si serra anche nella sua stessa maniacale / insicurezza di
poter durare / senza il gran verbo delocalizzare (vv. 4-16). In questo contesto, di Ligons resta solo
il nome finalmente espresso / [] dopo tanta latenza: / inutile alzabandiera / in una cosca sera /
che tutto copre in pece di demenza (vv. 17-21).
La delocalizzazione e la maniacale insicurezza di durare che caratterizzano lavanzata del
nuovo, della globalizzazione, con la correlativa estetica da cantiere, incapace di produrre forme
stabili, costituiscono una minaccia per la memoria: si leggano in tal senso i tanti riferimenti
allalzheimer (sempre con grafia italianizzante: cfr. la via Alzaimer di Rio fu, v. 6, con
lantialzaimeriano sole di S, deambulare, 30, e i vecchi partigiani che si perdono coi loro
alzaimer di Tristissimi 25 aprile, 19-20).
Secondo la metafora retorica, i luoghi rischiano di restare loci memoriae, esili appigli nominali cui
aggrapparsi disperatamente, talora abbandonandosi a suggestioni magico-cratiliche di gusto
rimbaudiano e leirisiano, come in Mondragn (da confrontarsi con A Fan, in Sovrimpressioni, v. 1,
luogo anchesso preso in parola, luogo ossitono).
Sembra cos emergere una solidariet funzionale fra levocazione paesaggistico-toponomastica e
larticolazione tendenzialmente simmetrica della macrostruttura.
Forse non si riflettuto abbastanza, qui e in altri saggi dedicati al problema del macrotesto, sul
rapporto (tuttaltro che ignoto allantica retorica e/o ars mnemotecnica) fra dispositio e memoria.
Accanto ai vari altri significati che le forme macrotestuali possono assumere in relazione allo
statuto dellopera poetica, del soggetto e del mondo, alcuni dei quali si tentato di delineare nel
secondo paragrafo, mi pare che lultima silloge zanzottiana spinga a considerare un diverso aspetto
della questione, e cio il nesso sussistente tra il simbolico, la forma (nella fattispecie macrotestuale),
lo spazio e la durata. Si legga questo illuminante brano dallintervista del 1979 sul Galateo in
Bosco:

La storia si risolve sempre in tragica e poi sempre meno significativa geografia, lasciando sulla
pelle della terra i graffi, le tracce dei suoi conflitti o delle sue inerzialit, che diventano sempre
pi equivoci con landare del tempo []. Del resto sembra che geografia e storia abbiano
ugualmente a che fare con il sistema militare [] che orienta i rigiri della prassi umana [].
Tutte le guerre (o varie forme di conflittualit) hanno generato un catasto sempre pi fitto di
segni, dilagato a macchia su tutto il pianeta, e possibilmente fuori []. Pi distruttiva larma in
cui si assommano tutte le motivazioni (storiche), meno essa si pu usare: ma ingombrer i
referenti, i significati e i significanti, o se si vuole il reale, limmaginario e il simbolico,
condensandoli in una sempre pi insopportabile unicit di luogo fatta di non-luoghi, fino a un
non-luogo-a-procedere appunto entro quello che doveva essere il processo storico []. Ogni
libro, a sua volta, non che una riassuntiva, imprecisa icona, o mero indizio, di uno stare in
luogo nel quale, per quanto il referente possa essere esorcizzato o addirittura rimosso, si
verificano fenomeni omologhi a quelli sopra descritti
93
.

Interessante, in primo luogo, la risoluzione della storia in geografia, e cio la spazializzazione del
divenire e dellagire umano. Spazializzazione che, nel passaggio successivo, viene interpretata
come una pratica di incisione, di tracciamento, e quindi di scrittura. La metafora della pelle incisa
e graffiata riporta alla pi volte citata nota a Sovrimpressioni, dove Zanzotto correla il titolo della
raccolta al ritorno di ricordi e tracce scritturali e, insieme, a sensi di soffocamento, di minaccia e

93
PPS, pp. 1217-8.


120
120
forse di invasivit da tatuaggio
94
. Ma la successiva immagine del catasto ci riporta subito a una
prassi archivistica, cartacea e burocratica di gestione-istituzionalizzazione dello spazio.
Nel Galateo, questo processo invasivo che satura e se possibile supera la superficie del pianeta non
pu essere che la guerra; la quale, effettiva o virtuale (fredda) che sia, inscrive le proprie
motivazioni (storiche) ovunque, senza risparmiare nessuno dei tre campi lacaniani (simbolico,
immaginario, reale). Ne deriva allora una soffocante compressione omologante e annichilente che
finisce per negare ci che apparentemente si proporrebbe di istituire, il luogo inteso come luogo
proprio di una significazione autentica. in questo luogo proprio che il libro opera
heideggerianamente la sua sempre asintotica Errterung, proponendosi esso stesso come Ort
(luogo):

Errtern vuol dire qui per prima cosa: indicare il luogo (Ort). E poi significa: osservare il luogo.
Ambedue le cose: indicare il luogo e osservare il luogo sono i passi preliminarmente necessari per
una Errterung []. Il termine Ort significa originariamente punta della lancia. Tutte le parti
della lancia convergono nella punta. LOrt riunisce attirando verso di s in quanto punto pi alto
ed estremo. [] Il poema di un poeta rimane inespresso. Nessuno dei singoli componimenti
poetici, nemmeno il loro insieme, dice tutto. E nondimeno ogni componimento poetico parla
movendo dal tutto dellunico poema []. Dal luogo del poema scaturisce londa che di volta in
volta sommuove il dire in quanto dire poetico
95
.

Nel suo rapporto con lOrt, nella sua tensione geometrizzante-simmetrizzante e unificante, il
libro dunque necessariamente coinvolto con la pletora onnivora e annichilente, ma in
controtendenza rispetto ad essa in quanto, costituendo una riassuntiva, imprecisa icona, o mero
indizio di uno stare in luogo, esprime una modalit diversa di convergenza, il rigore di chi lascia
essere
96
. E, ribaltando specularmente la prospettiva, si potrebbe aggiungere che la sporadicit
compositiva delle ultime sillogi, complementare in Conglomerati alleffort structurel, operi s in
controtendenza rispetto alla condensazione omologante, ma che ne resti coinvolta in quanto
questultima paradossalmente agisce disgregando, polverizzando, disperdendo le trame di senso che
attraversano lo spazio e ne costituiscono lunicit/pluralit di luogo/luoghi.
Anche in Conglomerati le grandi guerre sono ben presenti, la Prima in Grave. Isola dei morti, la
Seconda nella sezione Roghi. per soprattutto di unaltra guerra, di altre distruzioni che qui si
tratta, quelle prodotte dal progresso scorsoio di una globalizzazione forsennata. Tra i due
fenomeni esiste una continuit, che Zanzotto sottolinea nel titolo della poesia Roghi (1944-2001), e
che forse nessun pensatore ha saputo individuare prima e meglio di Ernst Jnger, il quale vedeva
nella Mobilitazione Totale delle energie e delle forze un carattere comune al lavoro tecnico e alla
guerra:

Fra tutte le svolte e le direzioni che possono essere prese nello spazio del lavoro, quella che mira
allarmamento la pi importante. Ci si spiega, se pensiamo che il significato pi riposto

94
P. 133. A questo proposito Francesco Venturi (cit., p. 204) suggerisce giustamente un riferimento allallegoria
kafkiana della Colonia penale. E si noti, in Conglomerati, lora rara (vv. 1-4 lora rara / in cinema biancazzurro /
lora dinverno neve punta estrema del d / ora darrivo di K. al castello) il richiamo a unaltra grande opera kafkiana,
gi citata da Zanzotto nella Belt (Profezie o memorie o giornali murali, XVII): Das Schlo, Il Castello.
95
Martin Heidegger, Il linguaggio della poesia (originariamente apparso in rivista con il titolo Georg Trakl. Eine
Errterung seines Gedichtes, 1953) in In cammino verso il linguaggio, Milano, Mursia, 1984, a cura di Alberto
Caracciolo, p. 45, titolo sotto il quale vengono raccolte tre conferenze tenute fra il 1957-8, confluite nel 1959 in
Unterwegs zur Sprache (il volume, edito a partire dal 1985 nel XII vol. della Gesaumtausgabe, Frankfurt a. M.,
Klostermann, raccoglie una serie di saggi e testi di conferenze apparsi fra il 1950-9). A proposito dei termini Errtern
il traduttore annota: significa, correntemente, discutere, ed Errterung, discussione. Heidegger attraverso
levidenziazione e la valorizzazione dei monemi er e Ort richiamati nel loro significato originario conferisce alla
parola un senso complesso che emerge via via che ci si inoltra nella lettura del saggio. Nessuno dei termini da altri
precedentemente suggeriti (situare, collocare) [] ci risultato utilizzabile (ibid., p. 80).
96
Ibid., p. 75.


121
121
presente nel tipo umano e nei mezzi da lui usati tende al dominio. Qui non c alcun mezzo,
neppure il pi specifico, che non sia nello stesso tempo un mezzo di potere, cio unespressione
del carattere di lavoro totale. Queste qualit assumono evidenza nel forte impulso con cui la
guerra tende a impadronirsi di tutti i campi dattivit []. Analogamente a ci che avviene per la
differenza tra citt e campagna, durante una guerra tende a sfumare la differenza tra fronte di
combattimento e territorio della patria, tra forze armate e popolazione, tra industria in generale e
industria degli armamenti. La guerra come elemento primordiale scopre allora un nuovo spazio
scopre la particolare dimensione della totalit, coordinata ai moti delloperaio
97
.

Conseguenza di questa condizione la trasformazione della superficie terrestre in un paesaggio di
transizione:

A nessuno pu sfuggire che nulla viene prodotto in vista di unesistenza duratura e con quel
carattere di perennit che apprezziamo nelle costruzioni degli antichi []. Ogni mezzo, invece, ha
carattere provvisorio, da officina []. In consonanza con questa situazione, il nostro territorio
appare come un paesaggio di transizione. In esso non esiste stabilit di forme; ogni forma viene
ininterrottamente modellata da una dinamica inquietudine. Non esistono mezzi durevoli; di
durevole non c che il diagramma della potenza []
98
.

In Conglomerati i graffi e le tracce di questo diagramma della potenza sono impresse non
pi (o non solo) dalle armi, ma dal gran verbo delocalizzare e dalla sua lingua (il cancerese, il
cannibalese), che in unonda di speculazione edilizia e finanziaria sormonta tutto ci che con
ogni amore e afrore di paese / doveva difendere lOrt della poesia; dallinformazione che
corre e scorre e fa spaventi sulle sue ali di pipistrello, manifestando lanima torva del
simbolico, di un denaro che, perso ogni contatto con il valore duso, assurto ormai alla pura
dimesione del simbolico (Sulle ali di pipistrello dellinformazione, p. 50); dalle alterne vicende di
Wall Street, il cui nome, tradotto in dialetto (Strada del Mur) e in taliano (STRADA DEL
MURO) con effetti di ironica risemantizzazione
99
, campeggia in Inizio 2000 e Tristissimi 25
aprile.
Per Zanzotto, lo abbiamo visto, la pervasivit delle ragioni belliche (e di altre forme di
conflittualit) determina una condensazione-distruzione culminante in un non-luogo-a-
procedere che interessa il processo storico, un violento arresto, per il quale Jnger aveva
proposto lefficace espressione che d il titolo a uno dei suoi pi interessanti libri, Al muro del
tempo. Ne stralcio alcuni brani significativi per quanto stiamo dicendo:

Non solo il taglio profondo viene percepito in ogni strato della coscienza, e in modo precipuo
mediante il soffrire, ma neppure mancano i segni e gli indizi visibili.
[] La domanda che ora dobbiamo porci se il taglio separi due periodi geologici, e se, in questo
senso, una nuova epoca incomba su di noi con le sue forme.
[] La collocazione della vita nel solco geologico, il senso della terra rimangono, cos come la
maggior parte dei grandi doni, inosservati. qualcosa che si percepisce alle radici come patria
inconscia, e trova espressione nella poesia.
[] Occorre qui accennare almeno a una questione incidentale: lecito far rientrare nella
geologia i cambiamenti provocati dal piano delluomo?
[] Una metropoli sotto il cui asfalto si accumulano catacombe, sepolcri, rovine, macerie e
calcinacci di cinquanta generazioni richiama alla mente una barriera corallina.

97
LOperaio. Dominio e forma, Parma, Guanda, 1991, a cura di Quirino Principe, pp. 261-2 (Der Arbeiter. Herrshaft
und Gestalt [1932], Stuttgart, Ernst Klett Verlag, 1981).
98
Ibid., p. 153.
99
Di analogo tenore, sempre in Inizio 2000, linterpretatio che riduce il nome di Alan Greenspan (a capo fino alla fine
del 2006 della Federal Reserve) ad Alan da Grespan (essendo Alano e Crespano due paesi veneti, come avverte il
poeta in nota, a p. 32).


122
122
[] Ora, questo passaggio a partire dal quale troviamo luomo non solo presente in uno strato,
bens in quanto essere che crea e definisce strati uno dei sintomi della sua uscita dal campo
della storia, a ridosso del muro del tempo
100
.

Siamo molto lontani, sia nel caso di Jnger che in quello di Zanzotto, dalle banali suggestioni
millenaristiche oggi di moda (e che andrebbero tuttavia interpretate come fenomeni sintomatici
della condizione descritta da entrambi gli autori), o dagli affrettati proclami di un certo
Postmodernismo sulla fine della storia. Qui si tratta piuttosto, in un orizzonte anti-umanistico di
ascendenza heideggeriana (ma anche, per Zanzotto, leopardiana), di una crisi epocale della storia
come forma razionale dellagire umano e della posizione centripeta che esso si a lungo attribuito.
Si prendano questi versi di Muffe (p. 58-9, vv. 18-20: - Muffetta del pianeta o grattugiato / pan di
legno munito / di un logos comunque sconfitto) e la nota dellautore alla poesia: Sembra solo,
lumanit, uninsignificante muffetta che appena sopra lo zero (273) ha attecchito sulla terra,
essendosi poi anche rivelata velenosa a s e a tutto.
Constatata la definitiva sconfitta del logos, il tempo storico viene riassorbito da quello, pre- e post-
umano, della geologia. Accanto al titolo, di cui ci occuperemo tra breve, e alla conversazione
Eterna riabilitazione da un trauma di cui si ignora lorigine
101
, giustamente ricordata da Francesco
Venturi (cit.), si pensi a tal proposito agli ammassi delle Crode del Pedr (nelle eponime liriche), al
trascorrere sopra ghiaini di millenni di S, deambulare; alla confusione di storia/memoria e
preistoria/amnesia in (Forre, fessure 2), secondo un motivo presente nella produzione zanzottiana
sin dalla Pace di Oliva, in Pasque (1973); o, infine, ai versi esplicitari di lora rara: In nuove
intersezioni con altre re / altra geometria del freddo / dalle strutture del geologiche / tremolanti del
freddo / ingoiate dal freddo rifatte / in toilettes per serpentine re erose dal freddo / del pi vecchio
cinema sepolto.
Rispetto allepoca storica dei regni, degli imperi e degli stati nazionali, altre sono ora le
impersonali, invisibili, idiotitaniche, telluriche e glaciali potenze che sottraggono agli individui e
alle collettivit qualsiasi forma di controllo sul divenire:

Cammino oggi pian piano sugli esiti di
un nevischio, ghiaccischio che sono i millenni
li concalco dolcemente e cricchiano e ne siamo
i responsabili, dementi impacchettatori o
saccheggiatori, un gioco ne facciamo, n gioie n dolori
n mito, non esiste mito, non esiste ragione
ma soltanto la scheggia ciclabile con le sue
meravigliate, non autocredentesi stazioni
ma che brividi, fin sotterra, di fiducia
102


Eppure, mentre tanfo e grandine e cumuli di guerra // Mentre tutto trema nel delirio del clima / e la
brama di uccidere maligna inventa inventa, ci sono ancora rari luoghi in cui resistere, / luoghi
dove Muse si danno convegno / per mantenere leco di unarmonia / per ricordarci ancora che esiste
il sublime / per risaltare gli antichi splendori ed accogliere nuove vie di Belt; raro persiste e
pur sempre sepolto nelle selve dombra di armi totali / un Luogo: una Ort, una Lichtung (radura-

100
Milano, Adelphi, 2000, pp. 172-87 (An der Zeitmauer, Stuttgart, Ernst Klett Verlag, 1981). E si veda anche di
passaggio quanto Jnger scrive a proposito di un altro grande tema zanzottiano, la meteorologia (pp. 195-6:
Esperimenti che intervengono sulleconomia geologica, e perfino cosmica, sono una novit: mai luomo si era preso
larbitrio di fare alcunch di simile []. Tutto questo ci riconduce a un particolare tipo di inquietudine anteica,
linquietudine meteorologica. quella a cui siamo pi sensibili: quotidiana, di ogni ora. [] La meteorologia rientra
fra quelle scienze ascritte alla terra in quanto tale. [] Il tempo s ovunque diverso e da diversi punti va osservato, e
tuttavia losservazione stessa, per essere proficua, deve presupporre un sistema planetario).
101
Roma, Nottetempo, 2007, a cura di Laura Barile e Ginevra Bombiani, pp. 45-7.
102
Inizio 2000, pp. 30-2, vv. 15-23.


123
123
illuminazione) che ora rinasce e tenta difenderci dallira del cosmo (Mentre tanfo e grandine,
p. 131).
Luogo e libro come fonte-convergenza e durata di senso, come memoria viva di una scrittura e
quindi anche di una geo-storiografia altra: residuale ma resistente.

3.6 Il riferimento alla geologia, come spesso accade nella poesia di Zanzotto, esprime
unambivalenza, parallela a quella che sussiste, a livello macrotestuale, tra sporadicit-virtualit-
deriva e geometria-spazialit-struttura. Da un lato esso indica infatti la sortita del logos storico in
un non-luogo-a-procedere saturo di conflittualit e tensioni telluriche, con la conseguente
avanzata di un morbo alzaimeriano che disgrega qualunque segno geografico-scritturale provvisto
di un senso stabile e come tale trasmissibile, per riaggregare tutto nella poltiglia onnivora di un
generico Junkspace
103
. Dallaltro, la pietra si fa simbolo di una solida persistenza, come il
geometrico avvenimento di Euganei (2 e 3), che toglie / appoggio sotto i piedi ma / che tutto
rid / in uninimmaginabile misura / di tutte le misure (2, p. 111, vv. 1 e 6-9); o come la crosta
di quella gemma cupa o cupissima madreperla fossile che il Lago di Rvine, che con le sue
onde gelate / in pietra blu buca come una macchia di solidit ogni immaginario / o simbolico
(Sacramento-pericolo, pp. 99-100, vv. 2-3, 5-6, 36-7).
Questa ambivalenza si riflette nel titolo della raccolta e in quella che parrebbe aver costituito
almeno in un certo frangente unipotesi ad esso alternativa.
La questione potr essere affrontata con il dovuto rigore quando saranno disponibili i materiali
autografi della raccolta, i quali, per ragioni cronologiche, non sono conservati al Fondo Manoscritti
dellUniversit di Pavia come la restante parte dellopera poetica zanzottiana, acquisita nel 2007.
Per il momento disponiamo solo di una preziosa dichiarazione di Zanzotto in unintervista rilasciata
a Nello Ajello e pubblicata sullEspresso
104
con il titolo Il poeta che parla alle montagne.
Allintervistatore, che gli chiedeva se avesse un nuovo titolo per quello che (sono le
scaramantiche parole dellautore) avrebbe potuto essere il suo ultimo libro, Zanzotto rispondeva:
Inseguo delle ipotesi. Potrebbe chiamarsi, per esempio, Erratici. I massi erratici sono dei blocchi
ciclopici di roccia trasportati dai ghiacciai
105
.
Lipotesi, per certi versi, non era molto lontana dalla scelta definitiva. Come i conglomerati, di
cui condividono lorigine glaciale, gli erratici sono blocchi ciclopici di roccia. Nel caso dei
massi erratici, tuttavia, si tratta di una materia s solida, mastodontica e pesante, ma che partecipa di
un moto casuale, di unerranza o erraticit, con possibile rinvio etimologico allerrore come
forma di devianza dalla regola. Questi massi infatti hanno solitarie, insolite e stranianti collocazioni
nei fondovalle, dove sono stati trasportati da ghiacciai poi ritiratisi. A livello simbolico, quindi, essi
evocano anche un tema molto diffuso nella raccolta, quello del ghiaccio e della glaciazione
come metafora della contemporaneit, e unidea della poesia come fortuito, allucinato-allucinante
effetto di fuga che pure si produce in coinvolgimento con un simile contesto, e anzi ne costituisce
la misteriosa traccia destinata a durare.
I conglomerati sono invece un tipo di roccia sedimentaria clastica, costituita da granuli (i
clasti), tenuti assieme da una matrice (il sedimento: sabbia o argilla) e da un cemento, le
cui caratteristiche variano in rapporto alle soluzioni presenti nel sedimento stesso. Derivanti dalla
disgregazione di formazioni pi antiche e, quanto alla messa in posto, dal successivo trasporto ad
opera delle correnti fluviali, anche i conglomerati posseggono in certo senso una natura erratica; a
livello simbolico prevale per unidea di coerenza (anche in senso tecnico: se il cemento scarso si

103
Spazio-spazzatura, secondo la fortunata definizione dellarchitetto Rem Koolhaas nellomonimo saggio (tra le
moltissime edizioni, cito solo la prima, in Guide to Shopping, Kln, Taschen, 2001, pp. 408-21; nelledizione italiana,
Macerata, Quodlibet, 2006, il saggio fa parte di una raccolta eponima di tre scritti koolhaasiani, e si legge alle pp. 61-
102).
104
15, LV, 16 aprile 2009, pp. 116-8.
105
Ibid., p. 118.


124
124
parla di rocce incoerenti o sciolte, pi comunemente di ghiaia); coerenza legata alla matrice e
al cemento che serrano assieme materiali eterogenei.
Nel passaggio dalla prima ipotesi (Erratici) alla scelta definitiva (Conglomerati), si ha dunque una
significativa virata verso quella compresenza di unit e molteplicit, forze centrifughe e forze
centripete, che avevamo individuato nellanalisi della macrostruttura, e che introduce un parziale
scarto rispetto alle due raccolte precedenti. E il fatto che il principale elemento coesivo nei
conglomerati sia identificabile con la cementazione di una matrice, conferisce nuova attualit a un
tema sempre intensamente presente nella poesia di Zanzotto, quello di una norma materna
106
,
generativa, fonte di una ragione aggregatrice ma aperta.
Come sempre accade per i titoli delle sillogi zanzottiane il titolo nasce [] come individuazione di
una struttura in mezzo a un coacervo
107
, facendosi veicolo di una primaria poetica-lampo
108
che
illumina, per lautore quanto per il lettore, la Gestaltung dellopera.
Ma le ragioni di interesse per i due titoli non finiscono qui: essi offrono infatti il primo in
absentia, il secondo in presentia il capo di una matassa intertestuale che ha centrale rilevanza
nella raccolta, e che riguarda proprio la questione del rapporto con la memoria, su cui gi a lungo ci
siamo soffermati.
noto come, in tutte le sue varianti, il tema della pietra occupi una posizione nevralgica nella
simbologia di Paul Celan, poeta molto caro a Zanzotto, che gli ha dedicato tra laltro lintenso
intervento del 1990 Per Paul Celan:

Per chiunque, e particolarmente per chi scriva versi, lavvicinamento alla poesia di Celan []
sconvolgente. Egli rappresenta la realizzazione di ci che non sembrava possibile: non solo
scrivere poesia dopo Auschwitz ma scrivere dentro queste ceneri, arrivare ad unaltra poesia
piegando questo annichilimento assoluto, e pur rimanendo in certo modo nellannichilimento.
[] Il linguaggio sa di non potersi sostituire alla deriva della destrutturazione per trasformarla in
altro, per cambiarle segno: ma nello stesso tempo il linguaggio deve rovesciare la storia e
qualcosa di pi della storia, deve, pur soggiacendo a questo mondo, trascenderlo almeno
indagandone gli orridi deficit
109
.

Si notino le tangenze tra il discorso sullopera di Celan e quanto, nella pi volte citata nota a
Sovrimpressioni, Zanzotto scriveva della propria poesia: necessit di rovesciare, trasformare in
altro, cambiare di segno (nella nota: controtendenza) allannichilimento assoluto (la
pletora onnivora e annichilente), pur constatando di dover rimanere in certo modo
nellannichilimento, di non poter sottrarre il linguaggio alla deriva della destrutturazione (il
coinvolgimento).
Ebbene. Unesplicito, interrogativo riferimento alla raccolta celaniana Sprachgitter (Grata di
parole, secondo la traduzione di Giuseppe Bevilacqua
110
, 1959) presente in Conglomerati
nellexplicit di Osservando dallalto della stessa china
111
; poesia che, come segnala la nota,

106
Su tutti i riferimenti possibili, si pensi allepilogo della Belt, E la madre-norma (PPS, p. 348), e si osservi come i
versi esplicitari della poesia (25-6 rileva i raccordi e le rime / dellabbietto con il sublime) siano sostanzialmente
ripresi in Conglomerati, Tristissimi 25 aprile, vv. 30-2: Ma nelle immondizie / trover tracce di sublime / buone per
tutte le rime.
107
Da Autoritratto [1997], PPS, p. 1209.
108
Tentativi di esperienze poetiche (poetiche-lampo) [1987], PPS, pp. 1309-19.
109
In Scritti sulla letteratura, II, cit., p. 345.
110
Nel Meridiano delle Poesie, Milano, 1998. Per la problematica inerente alla traduzione del titolo, cfr. lampio
saggio introduttivo, sempre di Bevilacqua, Eros Nostos Thanatos: La parabola di Paul Celan, pp. LIII-LVII.
111
Cfr. su questo punto la gi pi volte citata Lettura di Francesco Venturi (pp. 199-201): Nello Celan di Sprachgitter,
il paesaggio petroso era oggetto di una consimile interrogazione pietosa, poich ogni singola pietra componeva
virtualmente un sepolcro per le vittime insepolte dellolocausto. E, in Fosfeni, Zanzotto aveva ritratto il sovrapporsi e
laccatastarsi degli anni in tarda et come una lapidazione illogica: Accumulati anni, come pietre / tirate a caso laggi
(Periscopi, vv. 1-2). Ma, per circoscrivere meglio il campo semantico del titolo, conviene risalire al primo saggio
montaliano Inno nel fango, del 53, dove, a proposito del tema del ciottolo e del pietrame in Ossi di seppia, Zanzotto


125
125
riprende da Sovrimpressioni il tema delle Carit romane
112
, riproposto in diversa forma nel
nostro tempo anche in Furore di John Steinbeck (The Grapes of Wrath, 1939): cfr. la Prima
versione: Dammi il seno ora, ora, subito, ben puttana, / da dietro la grata, dalla mia passione
generata ed innocente figlia manigolda da dietro la folle griglia sigillata (Sprachgitter?) (e la
nota dellautore: Paul Celan, Sprachgitter), con la Seconda, meno esplicita: il feudo l nel suo
sottrarsi in non luci disperse / divenuto promessa da sempre frustrata / dallincorruttibilit di una
grata.
Per comprendere il rapporto tra la Sprachgitter di Celan e le Carit romane di Zanzotto si legga
la nota al componimento:

Dante, come tanti altri autori, fa spesso ricorso in passi celeberrimi alle muse allattatrici dei
poeti. La loro figura non pu essere sentita come veramente materna ma assume un carattere di
donazione che viene da remote corrispondenze ed intrichi quasi biologici. Esse poi sono di fatto
generate dalla fantasia dei poeti, padri in tal modo nutriti dalle loro figlie []. Nel nostro tempo
la poesia subisce un processo che rasenta lemarginazione (anche se non sparir mai del tutto).
Essa viene da una figura di reietto, necessitato ad assorbire e a saturarsi delle velenose forze che
tendono ad ottenebrare la fisiologia stessa del sussistere. Il padre velenoso in quanto possibile
interprete dei veleni attuali e dei loro linguaggi generer un ghost, una figlia che gli rinvier col
suo latte malsano linsieme ingigantito dei suoi mali. Eppure Se questo scambio si verifica []
forse qualche luce shocking pu apparire
113
.

Il poeta, come Celan, deve farsi interprete e mediatore dei veleni attuali nei confronti di
unimmagine fantasmatica di belt (la musa) che creata da lui, ma che a sua volta lo nutre,
restituendogli s linsieme ingigantito dei suoi mali, ma generando anche in questo scambio un
possibile, luminoso cortocircuito in cui la poesia pu continuare a sopravvivere.
Il linguaggio poetico (Sprache) in questo processo un fattore di separazione, segregazione,
emarginazione:

Materialmente [Sprachgitter] significa la grata attraverso cui avviene il dialogo in un
confessionale o nel parlatorio di un convento di clausura. dunque qualcosa che pone un limite,
un diaframma, un impedimento quantomeno parziale alla piena e libera attuazione di un dialogo,
di un contatto. Forse ci avviciniamo al senso allusivo implicito nel titolo se vogliamo tenere
presente che il tema dominante della raccolta laspirazione, il tentativo estremamente arduo di
istituire un rapporto con i sommersi. E qui pu essere utilmente ripreso il collegamento [] con
luso metaforico che Jean Paul scrittore molto letto da Celan fece in varie sue opere di
Sprachgitter. Cos in Hesperus si legge: il silenzio il linguaggio del mondo degli spiriti, il cielo
stellato la loro grata di parole [].
[] Lipotesi suesposta circa il senso da attribuire a Sprachgitter mi sembra dunque da preferire a
quella, pur sostenuta con ingegnosi argomenti, secondo cui il titolo indicherebbe la griglia
linguistica che il poeta avrebbe inteso gettare sulla realt per dominare il caos che regna in
essa
114


aveva gi enucleato le antinomie umano / non-umano, organico / inorganico, inferendone la nozione di tempo grande
[in Scritti sulla letteratura, cit., vol. I, pp. 15-20]: tutto questo cosmo di atroci entit sotterranee, magmi e fossili,
situati, pure nella loro soffocante vicinanza, a immani distanze di tempo, come le stelle nello spazio, dovevano
contribuire a umiliare luomo sino ad offenderlo, [...] predicandogli con mezzi mostruosamente eccessivi la sua
insignificanza, anzi il suo perdersi gi in atto nel mare magnum dei residui, veri signori del mondo. [...] la scienza aveva
messo in luce i misteri di un paesaggio alienante, denso di pieghe e di strati che parlavano smisuratamente di vita
consunta senza essere umana.
112
da Carit Romane (1-3), pp. 42-6.
113
P. 46. La denominazione Carit romana si riferisce a un aneddoto ricordato da Valerio Massimo nellopera
Factorum ac Dictorum Memorabilium Libri IX (I sec. A.C. I sec. D.C. circa), nel quale si racconta di una fanciulla di
nome Pero che allatta segretamente il padre in carcere, dove questi stato condannato a morire di fame. La storia ha
conosciuto una vasta fortuna soprattutto nel campo delle arti figurative, dagli affreschi pompeiani a Rubens.
114
Bevilacqua, cit., pp. LIII-LIV.


126
126

Nel caso di Zanzotto, perlomeno, credo sia ipotizzabile unambivalenza, e che quella della grata
vada intesa al contempo come necessaria funzione strutturante e ordinatrice, come elemento che
media tra il poeta e gli spiriti, siano essi le sue creazioni fantasmatiche o le reali manifestazioni
dei sommersi, dei morti (i Manes).
In tal senso, mi pare che anche nel titolo della sezione Isola dei morti e in quello, appena variato,
del suo componimento incipitario (Grave. Isola dei morti) emerga una reminiscenza celaniana. Il
pensiero corre infatti allepilogo di Von Schwelle zu Schwelle (Di soglia in soglia, 1955), Inselhin
(Alla volta dellisola):

Inselhin, neben den Toten,
dem Einbaum waldher vermhlt,
von Himmeln umgeiert die Arme,
die Seelen saturnisch beringt:

so rudern die Fremden und Freien,
die Meister vom Eis und vom Stein:
umlauted von sinkenden Bojen,
umbellt von der haiblauen See.

Sie rudern, sie rudern, sie rudern -:
Ihr Toten, ihr Schwimmer, voraus!
Umgittert auch dies von der Reuse!
Und morgen verdampft unser Meer!
115


Oltre al primo verso, che palesa subito la contiguit tematica, si noti il connubio Eis-Stein del v.6
(ghiaccio-pietra), diffusissimo in Conglomerati. I latrati dellhaiblauen See (v. 8: mare
color squalo
116
) suggeriscono inoltre un riscontro con le poesie contigue di Lacustri, Le notti
fremono di ladri e di ghiacci (vv. 5-6: le notti millezero come pack insqualano / tetri ruggiti di
urti) e Denti di squali e segnali fatali
117
, dove pure il tema del ghiaccio centrale. Le liriche citate
sono per giunta seguite da Sacramento-pericolo, componimento dove il lago definito
metaforicamente gemma cupa e perla-nera, in possibile riecheggiamento di Aufs Auge
Gepfropft (Innestato nellocchio), vv. 4-5: treibt es die schwarze, / die Knospe (esso getta nera /
la sua gemma)
118
.
E si osservi infine, al v. 11 di Inselhin, il participio Umgittert (imprigionato), che salda secondo
un procedimento tipicamente celaniano la silloge del 55 alla successiva, Sprachgitter, citata da
Zanzotto in Osservando dallalto della stessa china.
Andrebbe indagata anche lincidenza dello stilema iterativo sie rudern, sie rudern, sie rudern (v.
9), caratteristico della scrittura di Celan, con le varie forme morfologiche e ritmiche che
segnalano in Zanzotto nesso e legame, rivisitazione e ripetizione
119
: ma il discorso, formale e

115
Paul Celan, Gesammelte Werke, Frankfurt a. M., Suhrkamp Verlag, 1986, vol. I, p. 141 (ed. it. p. 242-3: Alla volta
dellisola, a fianco dei morti, / fin dalla foresta uniti al tronco scavato, / le braccia attorniate da cieli-avvoltoi, / le anime
cinte da saturnei anelli: // cos, liberi ed estranei, vogano costoro, / i maestri del ghiaccio e della pietra: / fra il clamore
di boe sprofondanti, / fra i latrati del mare color squalo. // Essi vogano, essi vogano, essi vogano -: / Voi, morti, voi,
nuotatori, avanti! / Imprigionato anche questo nella nassa! / E domani svapora il nostro mare!).
116
Letteralmente tinto di azzurro-squalo.
117
Possibile, in sovrimpressione, una eco dagli Strumenti umani (1965) di Sereni, Gli squali, 14-6: E presto delusi
dalla preda / gli squali che laggi solcano il golfo / presto tra loro si faranno a brani.
118
Von Schwelle zu Schwelle, op. cit., p. 106 (ed. it. p. 176-7).
119
Clelia Martignoni, cit., p. 215.


127
127
non, potrebbe estendersi allintera produzione zanzottiana
120
e ad altri fenomeni linguistici
121
,
esorbitando i limiti che ci si imposti qui.
Altri referti tematico-lessicali si incontrano negli ultimi versi di Crode del Pedr (Seconda versione:
peso, peso, peso PESO / peso / contrazioni, krismi di ci che pensi e spargi / TU IO LEI, signore
VOI signorine PESO orbo OMBRA / fratto e irrelato e maciullato e accovacciato / MACELLASTE
ROCCE e ne usc ventomiracolo torvo / diveniste, INCIDENZE DIPERCOSCIENTE /
MEMORIE 3000 o 30000 anni? o appena 30 di / demente, maialesca dimenticanza?), dove, oltre
ai temi celaniani dellombra e della memoria/dimenticanza, il peso ossessivamente evocato e
maiuscolato sembra riferirsi a Das Schwere (Il peso, in Von Schwelle zu Schwelle)
122
, che non
rende leggera la pietra (v. 2: es macht mir den Stein nicht gewogen), e a Es ist nicht mehr (Non
pi, in Die Nemndsrose, 1963), che riproduco qui di seguito:

Es ist nicht mehr
diese
zuweilen mit dir
in die Stunde gesenkte
Schwere. Es ist
eine andere.

Es ist das Gewicht, das die leere zurckhlt,
die mit-
ginge mit dir.
Es hat, wie du, keinen Namen. Vielleicht
seid ihr dasselbe. Vielleicht
nennst auch du mich einst
so
123
.

Ma c anche, in 27 novembre
124
, lo sbadiglio Pallash del selvaggio gatto Utti, che s
hlderliniano
125
, ma che rinvia anche alla celebre clausola parentetica ((Pallaksh. Pallaksh))

120
Aggiungo solo un riscontro fra il titolo di due poesie raccolte in Meteo, Ticchettio (I e II, PPS, pp. 839-42), e lo
splendido epilogo di Sprachgitter, Engfhrung (Stretta), in Gesammelte Werke, cit., I, p. 198, vv. 31-2: [] ich tickte
euch, euer Atem / gehorchte (ed. it. p. 335: vi mandavo un ticchettio, il / vostro respiro si adeguava). Ma cfr. anche
Und mit dem Buch aus Tarussa (E con il libro di Tarussa), ibid., p. 287, vv. 13-29: Von / Wahr- und Voraus- und
Vorber-zu-dir-, / von / Hinaufgesagtem, / das dort bereitliegt, einem / der zigene Herzsteine gleich, die man ausspie /
mitsamt ihrem un- / verwstlichen Uhrwerk, hindu / in Unland und Unzeit. Von solchem / Ticken und Ticken inmitten /
der Kies-Kuben mit / der auf Hynenspur rckwrts, / aufwrts vervolgbaren / Ahnen- / reihe Derer- / vom-Namen-
und-Seiner- / Rundschlucht (ed. it. p. 497-8: Di quel / gi detto per vero / e prima e accanto e a te / allins / che giace
l pronto, uguale / ad una delle pietre del proprio cuore, / che sputammo, assieme al loro in- / distruttibile meccanismo
dorologio, / fuori, nel non-paese e nel non-tempo. Di questo / continuo ticchettare nel bel mezzo / dei cubi di ghiaia
con / la catena di avi / di Nomi-e-Sua- / Forra-Tonda, percorribile a ritroso / su una traccia di jene), dove tra laltro
segnalo: il tema dellUnland und Unzeit (non-paese e non-tempo), che come si in parte visto centrale in
Zanzotto; limmagine dei Kies-Kuben (cubi di ghiaia), molto simile a quella dei conglomerati; infine, la
schlucht (forra) di tante poesie zanzottiane, tra le quali (Forre, fessure 2) in Conglomerati (pp. 133-4).
121
Penso, per fare solo un altro corsivo esempio, alla frantumazione di parole in enjambement, vero e proprio marchio
stilistico di Celan e significativa del suo lallen und lallen, / immer-, immer- / zuzu (Tbingen, Jnner, in Die
Niemandsrose, ibid., p. 226, vv. 20-2; ed. it. pp. 380-1: bal- balbettare / conti-, conti-, / nuamente, mente), cos in
sintonia con la balbuzie-afasia-amnesia zanzottiana (per cui rinvio a Stefano Agosti, Lesperienza di linguaggio di
Andrea Zanzotto, PPS, pp. IX-XLIX). Tra i molti riscontri possibili, cfr., in Conglomerati, Il cortile di Farr, vv. 1-6,
dove la scalatura tipografica dei versi intensifica leffetto di sfasamento: Tu che nelle sfasate / avvisaglie daprile,
alle sere / in cui nubi grigeoro lacri- / marono lacri- / marono / tra i ricci del sole.
122
Ibid., p. 90 (ed. it. pp. 146-7).
123
Ibid., p. 238 (ed. it. pp. 402-3: Non pi / quella / pesantezza che talvolta / con te sprofondava / nellora. /
unaltra. // il peso rattenente / il vuoto / che senn taccompagna. / Come te, non ha nome. Forse / siete la stessa cosa.
Forse un giorno / anche tu mi chiamerai / cos).
124
Conglomerati, cit., p. 149.


128
128
della poesia celaniana Tbingen, Jnner
126
(in Die Niemandsrose), in cui la presenza di Hlderlin
strutturale.
Infine, si pensi alla poesia esplicitaria della penultima sezione (e dellintera raccolta, se si guarda
alle due Disperse come a un corpo per molti versi estraneo alla sua struttura), Parola, silenzio
127
:
due quartine di endecasillabi a rima ABAB seguite da un verso para-endecasillabico isolato, che
paiono dialogare con il celaniano Argumentum e silentio
128
.
E veniamo, dopo questa escursione, al problema del titolo: Erratici, si diceva. Si sarebbe
immediatamente portati a pensare a Erratisch (Erratico, in Niemandsrose), dove Der Stein, /
schlfennah einst, tut sich [] auf (vv. 6-7: La pietra, / stretta prima alle tempie, [] si
schiude)
129
, in maniera non troppo dissimile a quanto accade, nel brano citato (supra), alle rocce
di Crode del Pedr (Seconda versione), dopo che il loro PESO orbo OMBRA stato fratto e
irrelato e maciullato per farne uscire vento-miracolo torvo.
Il tedesco, tuttavia, ha una termine tecnico per indicare i massi erratici, findling (da finden,
trovare), che si riferisce allenigmatico ritrovamento di queste rocce nei campi da parte dei
contadini, e che ha un riscontro preciso nella poesia di Celan. Ecco il testo di Vom groen (in
Atemwende, 1967):

Vom groen
Augen-
losen
aus deinen Augen geschpft:

der sechs-
kantige, absageweie
Findling.

Eine Blindenhand, sternhart auch sie
von Namen-Durchwandern,
ruht auf ihm, so
lang wie auf dir,
Esther
130
.

Il sechs-kantige findling (masso erratico delle sei creste) ricorda anche la Trimurti di
Euganei (2-3), le tre creste montuose che, come gli erratici, costituiscono un geometrico
avvenimento / improvvisamente allucinante / tra tanti segni di intrichi topologici / a una curva di
stradine / che taglia il fiato / che toglie appoggio sotto i piedi (2, vv. 1-6).
Se, inoltre, lipotesi di intitolare la raccolta Erratici viene scartata, lalternativa rappresentata da
Conglomerati non abbandona per la traccia di Celan.
Zanzotto, pur non avendo bisogno di mediazioni per leggere il tedesco, conosce senzaltro la
traduzione dellamico Giuseppe Bevilacqua (cui qui si fatto costante riferimento). molto
probabile dunque che abbia presente la versione italiana dello splendido incipit (di impronta

125
Cfr. la nota dellautore (p. 149): Pallash era una delle parole pronunciate da Hlderlin durante la follia.
Laccostamento sembra rinviare a una qualche misteriosa relazione tra questa animalit folle che ancora crea e il gatto
che si esprime con uno sbadiglio.
126
Gesammelte Werke, cit., I, p. 226 (ed. it. pp. 380-1).
127
Conglomerati, cit., p. 196.
128
In Von Schwelle zu Schwelle, op. cit., pp. 138-9 (ed. it. pp. 236-9).
129
Ibid., p. 235 (ed. it. pp. 396-7).
130
Ibid., II, p. 35, corsivo mio (ed. it. pp. 554-5: Attinto ai tuoi occhi / dal grande / Senza- / occhi: // il masso erratico /
delle sei creste, bianco di rifiuto. // Una mano di cieco, durissima anchessa, / per quellincrociar di nomi, / riposa su di
lui, tanto / a lungo quanto su te, / Esther).


129
129
heideggeriana) Wege im Schatten-Gebrch, Passaggi nel conglomerato dombre
131
, dove per
Bevilacqua sceglie di allontanarsi dal valore tecnico che la parola gebrch (trad.:
conglomerato) ha in tedesco. Si tratta di un termine della caccia, indicante i cumuli di terra che i
cinghiali ammucchiano scavando con il grugno alla ricerca di tuberi, e che si traduce letteralmente
in italiano con aratura. unimmagine di grande intensit e potenza, che richiama il tema di In
gestalt eines ebers (In figura di selvatico porco, in Von Schwelle zu Schwelle)
132
e che potrebbe
suggerire una nuova parziale analogia con i massi / colmi ancora della violenza durto / che li ha
sparsi e resi tali di Crode del Pedr (Seconda versione, vv. 2-4).
C invece un altro luogo celaniano dove il poeta, senza nominarli, sembra quasi dare una
definizione dei conglomerati quale metafora dellesistenza e della poesia. un aforisma del 1956,
pubblicato nel volume postumo Mikrolithen sinds, Steinchen. Die Prosa aus dem Nachla
133
:

Mikrolithen sinds, Steinchen, kaum wahrenehmbar, winzige Einsprenglinge im dichten Tuff
deiner Existenz und nun versuchst du, wortarm und vielleicht schon unwiderruflich zum
Schweigen verrurteilt, sie zusammenzulesen zu Kristallen? Auf Nachschbe scheinst du zu warten
woher sollen die kommen, sag?
134


Al di l del riscontro (i microliti, altrimenti clasti, agglomerati nel tufo denso della matrice
cementata), conta la profonda consonanza tra la poetica celaniana e quella di Conglomerati: la
gravit soffocante dellesistenza, e il poeta che, nonostante sia ormai rimasto povero di parole e
forse gi irrevocabilmente condannato al silenzio, persiste nel tentativo di portare quel poco e quel
disgregato che gli resta alla geometrica connessit e trasparenza del cristallo. Nella disperata
attesa di rifornimenti (da dove?).

Luca Stefanelli


131
Atemwende, op. cit., pp. 524-5.
132
Si confronti inoltre la rete isotopica istituita dalla Vier-Finger-Furche del v. 3 (solco-di-quattro dita) e dal verbo
whlen del successivo, che significa non solo scavare, ma anche, in riferimento al maiale, grufolare: Wege im
Shatten-Gebrch / deiner Hand. // Aus der Vier-Finger-Furche / whl ich mir den / versteinerten segen.
133
Frankfurt a. M., Suhrkamp Verlag, 2005 (ed. it. Microliti, Mori, Zandonai, 2010, a cura di Dario Borso: per le
differenze tra ledizione italiana e quella tedesca rimando alla Premessa del curatore).
134
Ibid., p. 47 (ed. it. pp. 52-3: Microliti sono, pietruzze appena percepibili, lapilli minuscoli nel tufo denso della tua
esistenza e ora tenti, povero di parole e forse gi irrevocabilmente condannato al silenzio, di raccoglierli a cristalli?
Rifornimenti sembri attendere donde dovrebbero venire, di?).


130
130
FUOCHI TEORICI



131
131
I l poema contemporaneo tra bios e Storia

I.
I modelli per la scrittura poematica in Italia, a partire dagli anni quaranta, sono per lo pi stranieri:
The Age of Anxiety di W. Auden, The Waste Land di T. Eliot e i Cantos di E. Pound. Sulla base di
queste nuove spinte, a riparo da equivoci formali nati durante il ventennio fascista, torna anche nel
nostro Paese la necessit di scrivere poemi. Cos nascono le esperienze letterarie pi significative di
Elio Pagliarani, La ragazza Carla, e Giancarlo Majiorino, La capitale del nord; decenni dopo, negli
anni sessanta, Roberto Roversi, scrive Dopo Campoformio, e Giorgio Cesarano d voce ai suoi
paesaggi urbani disperati e raggelati di Il sicario e l'entomologo, Ghigo vuole fare un film e i Poemi
naturali. Una rilettura critica della nostra tradizione poematica stata offerta, invece, negli stessi
anni da alcuni saggi essenziali: tra gli altri, i famosi scritti di Gianfranco Contini. Nel saggio
Un'interpretazione di Dante, uscito la prima volta per Paragone nel 1965, Contini dice qualcosa che
ha ancora una forte attualit teorica: Il segreto, di questo modo biologico di Dante consiste nella
sua ugualmente intensa partecipazione, e addirittura nellidentificazione successiva con gli oggetti,
perfettamente chiari alla coscienza. (1) La capacit percettiva del poeta il mezzo che permette
una poesia "locale", ossia poesia degli spazi e delle concrezioni di realt. Alla base di questa facolt
narrativa c' l'equilibrio tra lo stadio liquido e lo stadio solido della materia (2). Non un'assoluta
liquidit quindi, cosa che porterebbe ad una infernale spirale barocca dell'io che collassa su se
stesso; n un'assoluta solidit, fonte di una confusa indistinzione dalla realt (il rischio cronachistico
del racconto). Contini si riferisce alla descrizione degli eventi naturali, ma il suo ragionamento
appare anche come un monito pi profondo rivolto alle capacit percettive del poeta o del narratore
in versi. Dante, l'autore poematico, deve essere capace di farsi carico e di risolvere formalmente il
contrasto tra il fluire degli eventi biologici, cognitivi, percettivi, e lo spazio condiviso, lo spazio
simbolico o culturale in cui si calati. Si potrebbe aggiungere che le due deviazioni possibili si
scontano nella poesia contemporanea con il biologismo fine a se stesso (e di conseguenza con la
retorica del corpo e della carne che sostituisce quella dell'io e dell'anima) o nella depressione della
parola a favore del reale (il feticcio dell'oggettivit e della realt). L'equilibrio sta proprio nella
relazione tra bios e mondo, tra temporalit del singolo e Storia. L'intento critico di Contini era di
riabilitare il poema dantesco, messo in discussione negli anni addietro dalla critica crociana. Croce
aveva interpretato lelemento descrittivo della Divina Commedia come una cornice (la struttura) o
addirittura un limite della capacit lirica dellautore fiorentino. Le descrizioni del "poeta divino"
erano per Croce un momento di "pausa" dal suo magistero lirico(3). La grandezza di Dante sta
invece, a parere di Contini, proprio nel saper unire la temporalit esistenziale, quindi l'intuizione,
con lo spazio storico. I personaggi e i luoghi danteschi sono il frutto di questo equilibrio; sono il
nodo in cui si innesca, si incardina il rapporto tra vita e mondo, tra vita e storia: La realt su cui la
versatilit e la disponibilit di Dante si precipita storicamente sentita anche quando eterna e
ripetibile, tanto pi manifesta allorch si scende verso le entit individualmente determinate. (4)
Stando alle indicazioni di Contini, Dante riuscito a riscattare il singolo dalla caducit della Storia,
allo stesso tempo per ha sottratto la Storia dal pericolo della monumentalit. La temporalit del
bios e la Storia si attivavano l'un l'altro nella relazione. In questo passaggio del testo di Contini si
intuiscono ragioni politiche oltre che formali(5).
Del resto, gi negli anni venti, il poeta russo Osip Mandelstam, nella sua stimolante
produzione critica, sottolineava un aspetto del poema simile a quello messo in evidenza da Contini.
Mandelstam parlava della "chimica organica" di cui fatto il verso di Dante; definiva Dante un
direttore chimico: nella Divina Commedia non esistono metafore ma condensazioni chimiche,
tutto il poema un organismo vivente che si fa narrazione, le terzine dantesche sono il camminare
stesso del poeta:



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Perfino una sosta una concentrazione di moto accumulato: la piattaforma duna
conversazione viene creata con sforzi da alpinista. Il passo espirazione e inspirazione- il
piede del verso. Una falcata che deduce, vigila, sillogizza. (6)

Per Mandelstam il verso, la forma del poema deve misurare la materia e deve condensarla: il metro,
la scelta formale, deve essere rigoroso perch la posta in gioco la stessa relazione tra bios e Storia:
la forma che mantiene in potenza il rapporto tra temporalit e mondo. Scrive Mandlestam a questo
proposito:

Dante non entra mai in singolar tenzone con la materia senzaver predisposto un organo per
agguantarla, senzessersi armato di uno strumento per misurare il tempo che trascorso goccia
a goccia o si liquefatto. In poesia, dove tutto misura, tutto parte dalla misura, ruota intorno
alla misura e grazie alla misura gli strumenti di misurazione hanno facolt particolari, sono
portatori di una speciale funzione attiva. (7)

LUlisse omerico, nella sua versione dantesco, interpretato come il tentativo delluomo di
afferrare il tempo in quanto Storia. E' biologia del singolo, la parte animale, il nostro limite naturale,
che deve misurare quella simbolica, la deve tenere a bada (e viceversa). Il rimando e l'equilibrio tra
le due sfere permette la scrittura, le d potenza. Solo cos si possono scongiurare le retoriche
totalitarie del corpo idealizzato: Mandelstam era, suo malgrado, esperto di regime totalitari:

Nel canto di Ulisse la terra gi rotonda. E unesaltazione del sangue umano, nel quale
contenuto il sale delloceano. Linizio del viaggio iscritto nel sistema cardiovascolare. Il
sangue planetario, polare, salino. Con ogni circonvoluzione del proprio cervello Dante
disprezza la sclerosi, come Farinata disprezza lInferno.

(8)

Nei personaggi del poema invece la Storia torna ad essere con-divisa esperienza del tempo, la storia
viene messa, per cos dire, "sotto giudizio". Leggiamo ancora nelle pagine di Mandelstam:

Lo stesso metabolismo terrestre si compie nel sangue [] Il tempo per Dante il contenuto
della storia, intesa come un atto unitario e sincronico; viceversa il contenuto della storia un
con-tenere il tempo, un sostenerlo in comune da parte di compagni, co-cercatori, co-scopritori
del tempo stesso. (9)

Ma guardando ancora pi indietro, risalendo agli scritti teorici di Tasso, nel suo Discorso dellarte
poetica e in particolare sopra il poema eroico, troviamo un'esigenza non dissimile. Qui ci viene
fornita un'altra informazione sul poema e sulle sue ragioni politiche, sociali e formali. Tasso
scriveva nei suoi saggi:

Ma si come locchio diritto giudice della dicevole statura del corpo (per che convenevol
grandezza sar in quel corpo nella vista del quale locchio non si confonda, ma possa, tutte le
sue membra rimirando, la loro proporzione conoscere); cos anco la memoria comune degli
uomini dritta estimatrice della misura conveniente del poema. Grande e convenevole quel
poema in cui la memoria non si perde n si smarrisce; ma tutto unitamente comprendendolo,
pu considerare come luna cosa con laltra sia connessa e dallaltra dependa, e come le parti
fra loro e col tutto siano proporzionate. (10)

Di contro Tasso vedeva nel poema che non tiene in considerazione le regole della misura e
dellequilibrio le sembianze di un mostro. Il poema deve avere una sola favola perch le troppe
vicende e le troppo azioni hanno del mostruoso. In questo modo, riprendendo i principi
dellarmonia aristotelica, Tasso fissava i canoni per la composizione del racconto in versi(11). In
base a questo principio le vicende degli eroi cristiani, con le loro licenze amorose, rappresentavano


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la lotta del canone occidentale con la tentazione pagana verso laltro, verso lestraneo, leccentrico.
Per questo motivo Tasso e il suo poema sono "il primo grande esempio, nella letteratura italiana, di
complicit con lAltro"(12). In Tasso c' un'idealizzazione del canone e dell'equilibrio anche se
nella sua poesia (amata proprio per questo dai romantici) le strofe vivono ancora come quadri
mobili del turbamento profondo, della ricerca di un centro: il vero centro tematico ancora la lotta
tra temporalit biologico-esistenziale e Storia. Ma se la Storia va messa al vaglio della critica della
nostra temporalit, e la nostra esistenzialit va accertata ogni volta nella Storia condivisa, anche
vero che la poesia il campo di battaglia su cui si d lo scontro. Qui si decide dello spazio o di un
mondo.


II.
Difficile indagare quanto Dante e Tasso, archetipi della nostra tradizione poematica, vengano
rielaborati dai nuovi autori, ma la percezione che si ha, nel leggere alcuni testi della pi recente
produzione, che ci si imbatta in un ethos vicino a quello messo in luce da Contini o da
Mandelstam. Se negli autori del dopoguerra e degli anni sessanta (Pagliarani, Majorino, Cesarano,
Roversi), predominava la frattura, il frammento, un portare nel testo una dialettica ancora forte con
il reale, gli autori che pubblicano poemi nel nuovo millennio sembrano mossi da un'esigenza
diversa: si parla di una poesia che tenta di dire il mondo, come se lo dicesse per la prima volta. Sono
parole che emergono dal vuoto semantico e dall'aurora delle rovine della societ mediatica.
L'esigenza politica proprio di comparire nella Storia(13). Per questo motivo, dal punto di vista
formale, la tendenza poematica di certa poesia contemporaneo non stabilisce un canone, perch la
stessa forma del testo, il metro, la strofa e il ritmo, costituisce la presenza di un mondo. E' una
prospettiva nuova dello spazio collettiva e un'epifania della storia personale. Come diceva
Mandelstam, "ogni passo sillogizza". Per questo motivo, anche se oggi si parla molto di neoepica,
di romanzo in versi, si cerca una definizione adatta alla tendenza, non direi antilirica (l'anelito lirico
presente anche in queste opere), ma anticonfessionale della poesia italiana pi recente, sembra che
la differenza la faccia proprio il rigore con il quale l'operazione in versi riesca a creare un
meccanismo complesso, che si tenga da s e che sia allo stesso tempo ampiamente metaforico. Qui,
tutt'al pi, si pu solo attestare una esigenza comune che ha dato vita nell'arco di pochi anni ad una
produzione diffusa di opere poematiche.

Si torna quindi a narrare con strutture forti e organiche. In molti autori torna la necessit d'indagare
la Storia. Cos accade con le opere di Luigi Ballerini e il suo poema Cefalonia, tragica e, a tratti,
grottesca metabolizzazione personale e collettiva dell'eccidio dei soldati italiani sull'isola greca,
dopo l'armistizio dell'8 settembre del 1943. Episodio storico e autobiografico che muove dalla
morte di soldati lontani non per costruire, ma per decostruire, grazie al metro e al tono
canzonettistico delle lasse, la retorico di un Paese ancora intriso di cultura degenere di destra. Cos
Federico Italiano, con il suo I mirmidoni, poemetto d'ispirazione audiano, ambientato nella
pinacoteca di Monaco di Baviera, appronta la messa in scena di una nuova arca russa (penso al film
di Sokurov) in cui una faglia storica e temporale permette una riflessione pi ampia sulla
contemporaneit; dove custodi e giovani avventori si mischiano alle vicende dei guerrieri
mirmidoni, colti nel momento di sospensione dalla battaglia. Cos fa Alessandro Rivali, che con La
riviera del sangue e La caduta di Bisanzio, cerca una soluzione messianica agli orrori della Storia
(senza prima averli affrontati ad occhi aperti), partendo dalle catastrofi antiche per arrivare a quelle
a noi pi vicine. Viola Amarelli, invece, in Notizie dalla Pizia d voce alla sacerdotessa prendendo
ella stessa voce, cos come possiamo leggere dalla prefazione di Gianmario Lucini: "Il vero
protagonista del testo poetico si rivela un ambiente sociale e umano senza tempo, quello di una
civilt che si muove molto pi adagio di quanto rappresentino le scansioni storiche contraddistinte
da date, avvenimenti cruciali e grandi eventi che in qualche modo formano e fermano il corso della
storia per tappe e coordinate spesso arbitrarie. Questa narrazione in versi si svolge in monologhi: le
indovine si presentano, raccontando il loro tempo ed esponendo il pensiero magico che attribuisce


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loro un ruolo, una funzione sociale, a prescindere dalle coordinate temporali e persino dalle loro
stesse intenzioni. , insomma, il mondo mitico-magico che crea le profetesse per una sua esigenza
di stabilit volta a evitare la propria dissoluzione"(14).
Ma aldil dei pi smaccati richiami alla storia, esistono altri esempi di scrittura poematica
dove la questione centrale resta la presenza nel tempo con-diviso, la presenza nello spazio. Anche in
quello che sembra essere un canzoniere d'amore, come si dice del poema La divisione della gioia di
Italo Testa. Il titolo del libro, oltre a citare il famoso complesso della scena new wave inglese degli
anni '80, allude al padiglione riservato allo "svago" dei soldati tedeschi durante la seconda guerra
mondiale all'interno dei campi di concentramento, occupato per lo pi da ragazze ebree. I due
amanti protagonisti del libro di Testa vivono le scene del poema come se risorgesse da quel
quadrato di morte; tutta la narrazione, la messa in scena, fondata sulla luce aurorale. Pi che
l'amore, il protagonista di questo testo proprio la gioia, ossia il modo di guardare le cose, sapendo
della loro fine. Luigi Nacci, con il suo Poema disumano, fa un'operazione di metricizzazione della
storia pi recente, calando eventi tragici in un'atmosfera non dissimile da quella delle lasse di
Ballerini. Anche qui c' una percezione fonico sillabica degli eventi condivisi, una
metabolizzazione della storia. Ci che qui manca rispetto ad altre esperienze l'organizzazione
strutturale del poema. La cornice la stessa cantabilit, fruibilit pubblica del testo. Diverso invece
il discorso per il suo lavoro pi recente in cui la fabula il ritrovamento di un manoscritto in Sud
America passato per le mani di ex-nazisti sfuggiti dall'Europa (Mengele, Priebke, Eichmann). In
questo testo troviamo inni, canti e madrigali dei criminali di guerra. Autore della scoperta, della
cura e della traduzione del testo lo stesso poeta che qui compare sotto la firma Dott. Luigi Nacci.
Anche questo espediente il modo di affrontare un'interpretazione diretta con il male e la
Storia(15). Nel poema Le api migratori invece Andrea Raos, attraverso la vicenda dello sciame di
api assassine, parla delle eccedenze della scienza pi recente, unendole ad un immaginario pop,
divenuta vera e propria rtina percettiva della realt(16). Il corpo debordante del testo anche
l'immaginario postremo, che fatica a ritrovare un suo centro. Francesco Filia, con Il margine della
citt, che affronta il corpo a corpo con la realt in una ricostruzione autobiografica che ingloba la
cinta muraria della citt natale con i suoi delitti e le sue offese. Si legge tra l'altro i versi di un
frammento che alludono proprio alla relazione necessaria tra mondo e bios: Dimoro nella lesione
di ogni cosa./ Vuoto logico di questo terrazzo aperto/ su di un balzo di palazzi e voci rabbiose./ Le
labbra si schiudono ancora nella gioia/ di nominare le cose i volti lo spazio/ che si stringe intorno
alla gola,/ nelle pietre di questa citt che continua/ a crollarmi addosso da millenni (frammento
XVIII). (17)
Oltre a questi esempi ci sono altri poemi, si potrebbe fare tanti altri esempi. Ma per tornare
ad un poema che si misura con la Storia, si pu leggere l'opera d'ispirazione eliotiana di Roberta
Bertozzi, Gli enervati di Jumiges. Parliamo di un testo esemplare per come riesce ad alludere,
tramite una vicenda risalente all'alto medioevo, ad una domanda attualissima. La storia quella dei
figli di Clodoveo II, colpevoli di aver cospirato contro il padre e per questo condannati ad andare
alla deriva su una zattera con i tendini delle gambe bruciati. Anche Marcel Proust ne aveva parlato
nel suo Alla ricerca del tempo perduto (anche qui una questione cairologica). La simbologia del
poema gi indicativa: il padre, il Re, che condanna i figli all'ignavia, alla passivit, sembra dire la
condizione recentissima del nostro Paese. La tradizione che schiaccia, annichilisce(18). I versi della
Bertozzi tratti da capitoletto Heimat recitano cos:

Intorno non la decadenza
fino a quando la faglia non prende a puzzare
e ci si chiede quale motivo, dove fa - tarlo.
Dietro il perimetro del labirinto,
dietro le figure-contorno stanno altri muri, altri nomi,
spesso altro e ancora
limo.


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Difficile dire
quale carosello ci si pari davanti.
[...]
Heimat! Quanti ne mancano all'appello - quanti
nel repertorio dell'Istituto Luce ingialliscono trinciati
a tocchetti, a puntate, per le lame della moviola? (19)

La decadenza non tale fino a quando la "faglia non riprende a puzzare". La faglia la stessa
matrice temporale che il nostro organismo porta nella narrazione collettiva dei fatti. La scommessa
se questa temporalit sappia farsi tempo con-diviso, spazio, Storia. In questo incipit c' un vero e
proprio monito. "Quanti ne mancano all'appello?" Quanti vanno salvati dall'ingiallirsi della pellicola
dell'Istituto Luce? Ci si perde gradualmente per "tocchetti", "a puntate": l'anestesia l'indolore.
L'interrogativo resta centrale.

Vincenzo Frungillo

Note.
(1) Contini Gianfranco, Uninterpretazione di Dante, in Unidea di Dante, Einaudi, Torino, 1976, p. 98.
(2) Cfr. ivi, p. 72
(3) Cfr. Ivi, pp. 73-75
(4) Ivi, p. 99
(5) Furio Jesi, Cultura di desta, 2011, Nottetempo, Roma, p. 55, ci ricorda che funzione avesse durante il ventennio
fascista la retorica del milite ignoto. Tra le due guerre il soldato senza nome diventa l'eroe della nuova collettivit. La
ricaduta politica di questo processo evidente: le politiche totalitarie eludono il bios, la temporalit del singolo, per
accomunare la collettivit nella figura di un corpo anonimo, lontano nello spazio, privo di tempo, intangibile e per
questo idealizzabile. Solo cos la politica pu essere trasformata in retorica, la tradizione in kitsch sublimato. Per questo
motivo, ma non solo, tra le due guerra, i poeti italiani hanno guardato con sospetto alla grande tradizione poematica,
hanno adottato misure poetiche volte all'ermetismo e, per cos dire, all'economicit dei mezzi: si sentiva nei poemi della
tradizione, nella narrazione in versi, l'eco della retorica mortifera dell'unit nazionale. Dopo la seconda guerra, i poemi
della tradizione sono stati letti tutt'al pi sotto la luce della nuova ra dei senza patria (Cfr. Giorgio Caproni, Il
passaggio di Enea). Scrive Jesi: Per la stessa ragione il cuore, il nucleo pesante, della Mostra della Rivoluzione
fascista (1932-'35) era il Sacrario dei Martiri che recuperava al regime l'aura sepolcrale della retorica del Milite Ignoto,
ma che nello stesso tempo per una carenza di stile e, se cos si pu dire, di temperatura mitologica risultava molto pi
un baraccone allestito con destrezza di coreografi, che il santuario o la cripta di una religione di morte. Le conseguenze
di questo processo Jesi le indica nel saggio Il linguaggio delle idee senza parole, in Cultura di destra, op. cit. , pp. 158-
159, dove tra l'altro dice a proposito delle celebrazioni massoniche della poesia di Carducci: Cos si estender il pi
possibile il numero degli italiani che avranno come cultura il rapporto con un mucchio indifferenziato e sacrale di roba
di valore, che il passato della patria. Essi stessi diverranno sempre pi culturalmente indifferenziati, massa, e un
sacramento tipico di questa comunione con il valore indifferenziato sar poi tutto il rituale culto del Milite Ignoto,
significativo anche per il fatto preciso di porre implicitamente la coincidenza tra quell'anonimato e la morte.
(6) Mandelstam Osip, Discorso su Dante, in La quarta prosa, Editori riuniti, 1982, Roma, p. 124.
(7) Ivi p. 126.
(8) Ivi, pp. 139-140
(9) Ibidem
(10) Tasso Torquato, Discorso dellarte poetica e in particolare sopra il poema eroico, in Torquato Tasso Prose,
Letteratura Italiana Ricciardi, vol. 22, Treccani, 2005, p. 371.
(11) La favola la forma essenziale del poema, come nessun dubita, or, se pi saranno le favole distinte fra loro, luna
delle quali da laltra non dependa, pi saranno conseguentemente i poemi. Essendo dunque questo, che chiamiamo un
poema di pi azioni, non un poema, ma una moltitudine di poemi insieme congiunta, o que poemi saranno perfetti o
imperfetti: se perfetti, bisogner chabbiano la debita grandezza, e avendola, ne risulter una mole pi grande assai che
non sono i volumi de leggisti: se imperfetti, meglio a far un sol poema perfetto che molti imperfetti. Tralasso che, se
questi poemi sono molti e distinti di natura, come si prova per le moltitudini e distinzioni delle favole, ha non solo
confuso, ma del mostruoso ancora il trapassare e mescolare le membra delluno con quelle dellaltro: simile a quella
fera che ci descrive Dante. Ivi, p. 374.
(12) Scrive a questo proposito Sergio Zatti, Il modo epico, Editori Laterza, Bari, 2000, p. 71: Leredit del mondo
cavalleresco di Boiardo e Ariosto, posta sotto il segno del molteplice narrativo e del pluralismo ideologico, diventa in
Tasso il patrimonio di una sola parte e, quel che pi conta, del nemico musulmano. Genialmente il poeta cristiano ha
fatto coincidere nellazione narrativa il mondo dell errore romanzesco con un mondo pagano che, proprio per questo,


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non cessa di esercitare le proprie lusinghe, sia pure nelle forme della negazione e del represso. Da questo punto di vista,
la Liberata, rappresenta, per la forza della contraddizione che la governa, il primo grande esempio, nella letteratura
italiana, di complicit con lAltro, di solidariet inconscia con le forze del male, con il nemico pagano.
(13) Del resto stato proprio Giorgio Cesarano che, nel suo testo saggistico Manuale di sopravvivenza (anno 1974), ha
profeticamente richiamato l'attenzione su un'epoca abitata dalle "personalit dell'assenza". Cfr. Giorgio Cesarano,
Autocritica della corporeit metaforica, in Manuale di sopravvivenza, Dedalo, Bari, 1974, proposizione 60, cit. da sito
internet www.nelvento.net: "Essere nella cerchia: sussistere nella figura di s, erogarvisi co-edificandola, questo
prodotto collettivo che la personalit dell'assenza". (la societ dello spettacolo era gi in atto, ma non ancora al suo pi
pieno compimento).
(14) Gianmario Lucini, prefazione a Viola Amarelli, Notizie dalla Pizia, LietoColle libri, Milano, 2009.
(15) Luigi Nacci, OdeSS, pp. 117- 166, in Poesia contemporanea. Decimo quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni,
Milano, Marcos y Marcos, 2010
(16) Lo stesso Raos sul retro di copertina, Le api migratori, Odipus edizioni, Salerno, 2007, ci fornisce gli elementi per
interpretare la storia: Nel 1956 alcuni membri della comunit scientifica brasiliana importarono in Amazzonia
dall'Africa api di quel continente, pi robuste, e le incrociarono ad api produttrici di miele, inoffensive, meno
aggressive. L'obiettivo era rendere queste ultime pi produttive dal punto di vista economico e industriale. Una terribile
serie di mutazioni non volute produsse le cosiddette api assassine".
(17) Francesco Filia, Il margine della citt, Laboratorio edizioni, Nola, 2008
(18) Scrive Roberta Bertozzi nel risvolto di copertina del suo libro, Roberta Bertozzi, Gli enervati di Jumiges, PeQuod,
Ancona, 2007: Nel suo significato originario il termine "snervato" indicava qualcuno a cui erano stati tolti o tagliati i
nervi, cos da renderlo apatico, incapace di reazione. Nella disciplina della macellazione l'enervazione consiste nella
recisione del midollo spinale, prassi idonea a provocare pi velocemente la morte dell'animale.
(19) Ivi p. 33


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BIBLIOGRAFIA

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Zatti Sergio, Il modo epico, Editori Laterza, Bari, 2000



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Contro la tirannia dellIo.
Problemi del soggetto e generi del macrotesto nella poesia del Novecento

Questioni aperte
Il modernismo, segnatamente anglosassone, e le 'scuole' del secondo Novecento italiano
(soprattutto la linea lombarda e la neoavanguardia) rappresentano forse le due punte pi avanzate
verso il superamento di alcuni confini di genere e la riconsiderazione dello statuto del
personaggio(1). Non possibile tendere un filo diretto tra i due ambiti, quello modernista
anglosassone ed europeo e quello italiano secondonovecentesco, discontinui per tempi e luoghi di
attuazione. Tuttavia, si pu forse riconoscere a Montale il ruolo di tramite tra l'oggettivit e il
concetto della poesia critica tipicamente eliotiani e modernisti, da un lato, la poetica dell'oggetto e
la spiccata tendenza a mettere in discussione il ruolo della poesia e del soggetto poetico in autori
italiani contemporanei, dall'altro. L'ipotesi di accostamento corroborata, inoltre, dal comune
rifiuto per una poesia orfica, di ascendenza mallarmana(2). La poesia francese, ancora oggi molto
legata a quell'ascendenza(3), sembra meno disposta a investire nella problematizzazione del
soggetto e nell'elaborazione di personaggi alternativi al protagonista lirico (che non siano cio
semplici emanazioni di un io assoluto). Significativi sono, invece, gli esempi che provengono da
altre aree letterarie, europee ed extraeuropee: Pessoa, responsabile di un'estrema estensione della
crisi dell'io dal soggetto poetico all'autore-poeta, frammentato in una molteplicit di eteronimi e di
stili; Benn(4); Borges(5).
Sul piano propriamente storico-letterario, opportuno notare come la problematizzazione
del soggetto sia in gran parte legata a una crisi poetico-ideologica. Ci, in particolare, nella poesia
del secondo Novecento. Al riguardo, sembrano significative le considerazioni di un autore come
Mario Luzi, tanto pi attento a registrare la crisi della soggettivit contemporanea quanto pi
intimamente legato a una concezione 'classica' dell'io lirico (assoluto, come previsto dai canoni
della poesia ermetica, ed egemonico, secondo un habitus ereditato dal modello petrarchesco):

[Il senso del messaggio della poesia] non ha fatto altro che rispettare la sublime tautologia
del sogno umano sognato variamente nelle varie positure che l'uomo stato indotto ad
assumere durante la sua notte. La nostra epoca ne ha conosciute di particolarmente infelici:
il sogno stato attraversato dai mostri del presentimento che il risveglio rivelava poi anche
pi atroci; e solo un supplemento di grazia ha permesso di ritrovare il giusto, l'equanime che
alla poesia sono necessari per esistere. Tutto questo accaduto non senza il sacrificio di una
soggettivit che il clima duro di questa fase della storia faceva apparire egotistica. L'io
infatti che aveva avuto in mano la strategia e la tattica del poema di decennio in decennio si
umilia progressivamente e si riconosce provvisorio, mutuabile con altre entit, privo di
identit vera e di vera sede: un semplice teste vitale. Come auctor l'io che resiste
paradossalmente simbolico e tende a soggiacere alla oggettivit, a rientrare miticamente
nell'ordine impersonale.(6)

Il nesso che Luzi individua tra il sacrificio della soggettivit (cio la sua perdita di
influenza) da un lato, il clima storico dall'altro segna una svolta nella lunga trafila di uno tra i pi
consolidati istituti letterari: l'io dell'autore come frutto di una sostanziale condivisione di valori che
accomuna mittente e destinatari dell'opera(7). Nella letteratura e in particolare nella poesia del
secondo Novecento l'io non solo perde ogni autorit assiologica, la capacit cio di conciliare o
diffondere valori riconosciuti da un'ampia comunit di lettori - processo, questo, gi avviato dal
soggetto della poesia romantica, dotato di intelletto e sensibilit eccezionali(8) - ma si mostra del
tutto privo di stabilit ontologica.


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1. Statuto e relazioni del personaggio
1.1 La prima delle questioni aperte dipende proprio da tale instabilit e coinvolge l'identit
del personaggio poetico e la relazione tra i personaggi all'interno del macrotesto. L'identit,
nell'accezione che si vuol dare qui al termine, non ha a che fare con il referente biografico;
interessa, piuttosto, lo statuto semiotico del personaggio, la sua individualit e la relazione che
intrattiene con altri eventuali personaggi nel libro.
Questa relazione ha conosciuto uno sviluppo parallelo all'evoluzione del genere-libro di
poesia. Il personaggio pieno, indiviso, semioticamente determinato presente nella poesia medievale
e in gran parte di quella moderna lascia il posto a una figura dall'identit pi instabile e
frammentaria, caratteristica della poesia novecentesca (in particolare, del secondo Novecento).
1.2 La formula dantesco-petrarchesca prevede un'interazione tra due figure fondamentali;
l'identit dell'una dipende dalla funzione esercitata rispetto all'altra.(9) Nei canzonieri di derivazione
petrarchesca, la trama segue uno schema in larga misura preordinato (esemplato, cio, sul primo
modello del genere), nel quale i personaggi compongono un sistema geometricamente funzionale.
Non che questi rimangano immobili per tutto lo svolgimento del libro; la progressione, che
costituisce la sostanza narrativa del canzoniere, ne risulterebbe penalizzata. Il punto che
l'evoluzione nel carattere del protagonista e della deuteragonista procede, nella maggior parte dei
casi, entro il solco dell'intertestualit e dell'imitazione; ad un episodio (evento, azione,
atteggiamento) corrisponde una specifica, prevedibile reazione da parte dell'altro personaggio
principale. Cos, ad esempio, il temporaneo allontanamento del protagonista dall'amata, attratto da
una 'donna dello schermo', suscita la rampogna, l'inasprimento, il pentimento; la morte dell'amata ,
invece, una condizione necessaria per la sua celebrazione etico-spirituale. Le identit dei personaggi
subiscono perci delle variazioni di qualit relazionale; tuttavia, a ciascuna svolta nella sorte o nel
carattere di una delle due figure principali corrisponde una determinata reazione nell'altra figura: le
funzioni e, per cos dire, la reciproca distanza rimangono immutate. Il sistema prevede che gli
elementi al proprio interno abbiano un certo margine di mobilit; i binari lungo cui muoversi sono
per gi posati e il percorso semplificato dalla presenza di pochissimi personaggi.
Nel Novecento, il sistema viene sottoposto a delle tensioni che ne alterano la secolare
stabilit. L'identit dei personaggi diviene, oltre che relazionale, dinamica. Ci anche quando la
forma macrotestuale riprende alcuni elementi canonici del canzoniere d'amore. Ad esempio, nella
Bufera montaliana la relazione protagonista/ispiratrice arricchita da una relazione di
sconfinamento e identificazione tra Clizia e Volpe(10): si pensi al tema della continuit e
dell'impossibilit di distinzione in liriche come Iride, L'orto, Se t'hanno assomigliato. A ci si
aggiunge l'incrinatura dell'autoreferenzialit e dell'astrazione dal contesto, con l'attribuzione alla
Storia di una centralit tematico-organizzativa in genere assente dai canzonieri classicistici.
Questa dinamica trova nel libro di poesia un terreno ideale di sviluppo: rientra, anzi,
nell'essenza del macrotesto, poich l'assemblaggio e l'organizzazione dei suoi componimenti sono
soggetti a evoluzioni e mutamenti. I caratteri attribuiti in partenza a un personaggio possono essere
rimessi in gioco dalla dislocazione dei testi; viceversa, la stessa dislocazione pu essere decisa per
modificare la storia del personaggio (di solito, si tratta del protagonista lirico).
Esiste per un canone consapevolmente rispettato anche nella Bufera: la centralit e l'unit
del soggetto lirico. vero che la distribuzione dei ruoli e la distanza reciproca tra i personaggi
vengono resi pi duttili rispetto al sistema tradizionale; vero anche, per, che l'innovazione
coinvolge l'identit della deuteragonista, non quella del protagonista. Certo, Montale e prima di lui i
crepuscolari hanno compiuto un'operazione di ridimensionamento nei confronti dell'io lirico
romantico e dannunziano; si trattato, per, di un abbassamento nel tono pi che di una rivoluzione
nella prospettiva. La dichiarazione di inadeguatezza, tipica del personaggio primonovecentesco,


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comunque un mezzo per affermare un'identit specifica e contraria rispetto a un altro soggetto. Ad
esempio, la celebre conclusione della montaliana Falsetto (Ti guardiamo noi, della razza / di chi
rimane a terra.) non rappresenta una resa ma una rivendicazione di originalit.
1.3 Altri e pi radicali esperimenti, specie nella seconda met del Novecento, hanno
contribuito a scindere anche l'identit del protagonista lirico, mettendone in discussione non pi
soltanto l'attitudine esistenziale ma la stessa natura ontologica. Esemplare, da questo punto di vista,
l'itinerario poetico di Giovanni Giudici; la vena 'umile' e neocrepuscolare delle prime raccolte
viene infatti orientata, almeno dai primi anni Settanta, verso la dissoluzione del soggetto. Il ruolo
del protagonista e, in particolare, la sua centralit conoscitiva e ideologica sono sempre pi incerte.
In O beatrice(11), la riflessione metaletteraria sulla forma prevale, cos, sul racconto dell'esperienza
(ancora decisiva nei due libri precedenti: La vita in versi e Autobiologia). Il prezzo del sublime(12),
terza poesia della raccolta, illustra appunto la frattura tra espressione ed esperienza, la perdita di
controllo del soggetto sulla propria identit, mediante la distorsione logico-grammaticale delle
persone e delle desinenze verbali.

Mi domandi se potrai.
Mi domando se potr.
Io sar non sarai.
Tu sarai non sar.

Per noi sar quello che non potremo.
Quello che non saremo su noi potr.

Non-tu non-io noi remo.

Ma contro la specie che siamo orgoglio estremo
verbi avvento al cliname
che ci rotola a previste tane
umanamente inumane
persone del futuro seconde e prime.

Io r.
Tu rai.

Il niente

il prezzo del sublime.(13)

La prima quartina giocata sullalternanza e sulla corrispondenza pronominale e verbale
tra la prima e la seconda persona singolare: Domandi / domando; potrai / potr; Io sar / Tu
sarai; non sarai / non sar. La relazione tra io e tu non ancora turbata da infrazioni
logiche o morfologico-grammaticali; si potr tuttavia osservare come l'insistente simmetria
(materialmente percepibile anche nella mise en page) allontani la relazione tra io e tu dal piano
della coerenza empirica (attenuando la dipendenza dalle leggi della realt) per avvicinarla a una
dimensione puramente linguistica, assoluta o addirittura onirica.(14)
La struttura simmetrica caratterizza anche il distico successivo: Per noi sar quello che
non potremo. / Quello che non saremo su noi potr. L'espressione arguta e paradossale rende
incerta, anche se non inaccessibile, la parafrasi. Un'interpretazione plausibile sembra la seguente:
sar dotato di valore e richiamo ci che non potr essere da noi raggiunto/compreso/posseduto; su
di noi agir come un condizionamento ci che non riusciremo ad essere. Il protagonista
riconoscerebbe per s e per la figura deuteragonistica dei limiti esistenziali; lanalogia col soggetto


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poetico primonovecentesco (che spesso si proponeva come un personaggio in tono minore, costretto
tra le maglie della perplessit e di una vitalit decurtata) pi apparente e formale che
sostanziale(15). Laffermazione di inadeguatezza, infatti, arriva in Giudici a coinvolgere il piano
ontologico, come pare confermare il monostico successivo: Non-tu non-io noi remo.
Il verso centrale, non solo per posizione, nel testo; vi si illustra, infatti, la precipitazione
della logica entro una dimensione alterata, la cui validit possibile solo sul piano delle potenzialit
grammaticali. Assumono rilievo anche i fenomeni tipografici, come il trattino che unisce gli avverbi
di negazione ai pronomi di prima e seconda persona singolare e che introduce la desinenza assoluta
-remo, orfana della radice verbale, priva di connessione con un atto concreto. Non-io, non-tu
sono coniugazioni del non-essere: la congiunzione di avverbio e pronome infatti non nega
unazione (di cui rimane solo unipotesi nella desinenza assoluta), ma nega proprio lo status di io
e tu, destituiti di autorit e ridotti a una sopravvivenza pronominale (umanamente inumane /
persone del futuro seconde e prime.).
Il paradosso assume evidenza e risalto ancora maggiori se Il prezzo del sublime viene letta
tenendo a mente le osservazioni sui pronomi di mile Benveniste:

Gli indicatori io e tu non possono [] esistere come segni virtuali, ma esistono solo in
quanto attualizzati nella situazione di discorso, dove attraverso ogni singola situazione
indicano il processo di appropriazione operato dal parlante [].(16)

nella situazione di discorso in cui io designa il parlante che questultimo si enuncia come
soggetto. quindi vero alla lettera che il fondamento della soggettivit nellesercizio
della lingua. Se ci si riflette seriamente, si vedr che non ci sono altre testimonianze
oggettive dellidentit del soggetto fuorch quella che in tal modo egli stesso d su se
stesso.(17)

Nel testo di Giudici gli indicatori io e tu sono condotti verso unesistenza virtuale, svincolati
cio da una situazione di discorso standard in cui io non pu non designare un soggetto
ontologicamente (prima che grammaticalmente) definito.
In conclusione, la simmetria nella struttura retorica e loltranza quasi ludica nelluso dei
pronomi e delle desinenze, fenomeni consoni allo stile e allinclinazione metapoetica che
qualificano la raccolta O beatrice, esprimono la perplessit e lincertezza del soggetto nel delimitare
la realt e soprattutto nel riconoscere la propria individualit in relazione all'interlocutore (un tu
parimenti ridotto a unesistenza grammaticale).
1.4 Il personaggio pieno e indiviso, caratteristico del canzoniere, viene cos sottoposto a un
processo di erosione, che pu manifestarsi in varie forme: annullamento dell'io, moltiplicazione del
soggetto, riflessione del soggetto sul proprio statuto, ampliamento e drammatizzazione del sistema
dei personaggi. Tali diverse manifestazioni richiedono profonde innovazioni nell'assetto del
macrotesto. La progressione di tipo seminarrativo, legata all'identit di un io lirico centrale e
indiviso la cui vicenda viene illustrata (sia pure in forma ellittica) all'interno del libro, non infatti
adeguata a un sistema di personaggi rinnovato e pi complesso o, addirittura, alla soppressione di
un protagonista canonico.
Nel prossimo paragrafo osserveremo alcuni esempi di rinnovamento strutturale, ottenuti
soprattutto attraverso l'acquisizione, da parte del genere lirico, di alcuni istituti formali caratteristici
del genere epico, di quello narrativo-romanzesco e di quello drammatico. Si dir, intanto, che tra
l'integrit (cognitiva, assiologica, grammaticale) del protagonista lirico e la progressione di senso
attraverso il macrotesto esiste una diretta corrispondenza. L'unit del soggetto garanzia, almeno
agli occhi del lettore, dell'unit strutturale e tematica del macrotesto; quand'anche non sia possibile,
come spesso accade, integrare semioticamente gli spazi lasciati vuoti in una trama costruita
dall'autore a posteriori(18), la centralit indivisa di un soggetto lirico sufficiente perch il lettore


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formuli un'ipotesi di continuit. Si tratta, in altre parole, di un'illusione referenziale, sulla quale
l'autore conta per orientare l'organizzazione del libro.
L'annullamento, la scissione o la moltiplicazione del soggetto sono, invece, da associare a
forme di macrotesto caratterizzate dall'assenza, o dall'estrema debolezza, della progressione,
sostituita da un opposto criterio di modularit o giustapposizione. Annullando la progressione nella
storia, la modularit rende anche pi sfumata la consistenza di un protagonista, la cui identit viene
anzi ripartita nei vari testi e subisce una sorta di decentramento.
Dal punto di vista storico, il percorso in questa direzione ha avuto varie tappe e gradi. In
Lavorare stanca di Pavese, per esempio, il decentramento non era ancora espresso in forme radicali
(pur avendo profondi legami con l'etica e la poetica dell'autore); nei poeti pi recenti, consapevoli
del processo di erosione e deriva cui stato sottoposto il soggetto nella poesia del secondo
Novecento, il decentramento pu assumere espressioni pi nette. il caso di Gente di corsa di
Tiziano Rossi, in cui il soggetto viene moltiplicato in una serie innumerevole di personaggi e
sopravvive, in pratica, soltanto nell'ironia stilistica.
Un caso ancora diverso quello che prevede non l'indefinita moltiplicazione ma la
scissione dell'io lirico in una serie di personae che rivendicano ciascuno la propria eminenza, in
competizione con gli altri. anche questa una soluzione ironica, postmoderna e insistentemente
metapoetica. La differenza con Rossi (e, prima ancora, con Pavese e con la linea eticamente pi
impegnata nella poesia italiana contemporanea) risiede, per, nella diversa attitudine conoscitiva; se
per gli uni la moltiplicazione del soggetto la condizione per fondare una prospettiva universale e
onnicomprensiva, per gli altri la scissione un'espressione di disorientamento.
Sul piano tipologico, l'annullamento del soggetto rappresenta un grado ulteriore rispetto al
decentramento; ciononostante, sul piano storico, quest'operazione precede di diversi decenni le
sperimentazioni attuate nell'ambito della letteratura italiana. Si devono, infatti, alla poesia di Eliot e
Pound i pi complessi tentativi di liberare la lirica dalla tirannia dell'io, ponendo al centro non una
storia ma un sistema culturale. Di Eliot, come si vedr nel prossimo paragrafo, sono anche le pi
dirette prese di posizione contro l'io in favore di una prospettiva oggettiva e i pi complessi (e
storicamente significativi) tentativi di rinnovamento nella struttura del macrotesto.


2. Incroci di genere
2.1 Se la forma-canzoniere, cos come i libri che abbiamo definito 'di argomento lirico',
rappresentano per tradizione il regno del soggetto o del protagonista quale proiezione dell'autore (a
cui vengono, per questo, concessa un'udienza e riconosciuta una centralit superiori a quelle degli
altri eventuali personaggi), possibile riconoscere in certi esperimenti di genere che riguardano
proprio la forma del libro di poesia novecentesco la volont di sottoporre a un ripensamento l'idea e
la funzione del protagonista lirico. L'incrocio dei generi rappresenta un'espressione di sfiducia nel
ruolo tradizionale dell'io lirico, costretto ad accettare relazioni problematiche con personaggi
talvolta dotati di una propria autonomia cognitiva (non delle semplici persone grammaticali, come il
tu istituzionale su cui gi ironizzava Montale), a cedere il controllo ad altri soggetti e personaggi
che un discorso tradizionalmente lirico non avrebbe potuto accogliere. La tensione verso la
narrativit o verso la teatralit, ben vive nella poesia moderna e contemporanea anche prima - a dire
il vero - che l'io procedesse lungo la via della dissoluzione, disturbano il meccanismo che presiede
alla fondazione del soggetto lirico e a una sorta di identit di genere. In termini lacaniani, potremmo
immaginare la formazione dell'identit dell'io lirico nel macrotesto come un processo che
contempla: 1) in origine, gli io molteplici e frammentari dei diversi micro-testi (le liriche prima
dell'inserimento in raccolta); 2) uno 'specchio' che consente di addensare la pluralit originaria in un
insieme coerente e in un'immagine unitaria del soggetto, specchio rappresentato, in questo caso, dai
modelli tradizionali, dal codice della precedente letteratura; 3) l'Io come soggetto unico. La


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commistione tra i generi infrange lo specchio, rendendo impossibile l'unificazione: di qui l'ulteriore
possibile conferma di una stretta relazione tra la fluidit dei soggetti e la ricerca di una forma-libro
originale.
2.2 Accanto, o in alternativa, alla consueta identit lirica il protagonista e gli altri
personaggi possono acquistare, a seconda dei testi e degli autori, un'identit epica, romanzesca,
drammatica. Il personaggio e il testo in cui questi compare non assumono, beninteso, tutte le
caratteristiche del genere con cui si verifica l'incrocio; la trasmissione di alcuni elementi , tuttavia,
sufficiente per rinnovare sensibilmente le caratteristiche del personaggio lirico.
Nel caso di un personaggio a identit mista lirica/epica, ad esempio, non stupir certo
l'assenza dei tratti eroici che distinguono il protagonista dell'epica propriamente detta. (Questo
riguarda anche le forme dellepica contemporanea, praticata specialmente nellambito della
letteratura postcoloniale di lingua inglese, in cui lepos coerente con una volont di legittimazione
di un patrimonio mitico attraverso linnesto nella tradizione occidentale: penso a due capolavori del
genere come Omeros di Walcott e Fredy Neptune di Les Murray. Nel secondo, il protagonista,
Freddy Nettuno, presenta dei caratteri eroici forza e resistenza fisica sovrumane e compie un
itinerario avventuroso paragonabile a quello di un Ulisse novecentesco; quei tratti epici allusivi
appaiono per straniati dal confronto con la storia contemporanea e dalla degradazione picaresca
del personaggio).
L'attenzione andr piuttosto rivolta ai caratteri (apparentemente) secondari, tra i quali vi
la condizione assiologico-temporale. Il tempo in cui si muove il personaggio irriducibile alle
consuete categorie di passato e presente; questi emerge da una dimensione le cui leggi sono dettate
dal sistema di valori o, in termini lotmaniani, dal sistema culturale: non a caso, esempi di
personaggio 'epico' sono offerti da The Waste Land che, come si visto, non deve la propria
organizzazione alla mimesi dei criteri di ordine validi per la realt esterna al testo. In The Fire
Sermon, il terzo movimento del poemetto eliotiano, il personaggio che si assume provocatoriamente
la responsabilit di dire 'Io' Tiresia:

I Tiresias, though blind, throbbing between two lives,
Old man with wrinkled female breasts, can see
At the violet hour, the evening hour that strives
Homeward, and brings the sailor home from sea,
The typist home at teatime, clears her breakfast, lights
Her stove, and lays out food in tins. (vv. 218-23) (19)

L'ambito mitologico, la natura insieme maschile e femminile, la trasgressione delle leggi del tempo
e dello spazio provocata dall'accostamento dell'indovino alla moderna dattilografa privano Tiresia
di un'identit piena e della centralit dell'io tradizionale.
L'incrocio tra lirica ed epica caratterizza anche la poesia di Yeats. In The Gift of Harun
Al-Rashid, compresa in The Tower (1928), a prendere la parola un esotico protagonista:

Kusta Ben Luka is my name, I write
To Abd Al-Rabban; fellow-royester once,
Now the good Caliph's learned Treasurer,
And for no ear but his. (vv. 1-4) (20)

L'affinit con Eliot discende da una certa analogia nella poetica dei due autori; anche per Yeats,
infatti, la poesia rappresenta una sorta di memoria culturale. Nonostante la riflessione di Yeats sia
attraversata da una vena mistico-esoterica estranea ad Eliot, in entrambi gli autori l'invenzione del
personaggio epico sembra funzionale a un'idea della poesia come voce universale (in Yeats,
addirittura, come 'subconscio storico'(21)) aliena dal personalismo intimistico dell'io lirico


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tradizionale. In Eliot, in particolare, l'istanza di ridimensionamento dell'io si manifesta
precocemente(22), qualificandosi subito come elemento portante di una complessa riflessione
epistemologica e artistica.
2.3 Per quanto riguarda l'incrocio tra lirica e narrativa, necessario distinguere la semi-
narrativit (che , fin dalle origini, tra gli elementi costitutivi della forma-canzoniere) dalla
cosciente imitazione del romanzo (caratteristica del secondo Novecento). Il personaggio lirico
tradizionale pu essere al centro di una vicenda con uno sviluppo nel tempo, con un principio e un
esito; ciononostante, la sua personalit spesso piuttosto ellittica. Come osservava Montale, il
personaggio che appare in una poesia sar assai pi sintetico del personaggio di un romanzo, in
quanto proiezione(23) dell'autore. La possibilit di identificare il protagonista con l'autore
(almeno con l'autore implicito) mantiene la poesia entro la dimensione lirica. Appare perci
superfluo, e anzi fuori dalla norma del genere, illustrare gli aspetti realistici del personaggio,
soffermarsi sulla sua routine quotidiana, sul suo statuto professionale, su tutti quegli elementi
prosaici che l'io romantico aveva bandito dal proprio orizzonte esistenziale. Sul piano strutturale,
come si visto, a questo tipo di narrativit lirica corrisponde una progressione generalmente debole,
con molti spazi vuoti nella trama ideale; della vicenda, come si addice alla lirica, vengono posti in
risalto solo gli episodi eminenti.
Nel secondo Novecento, i confini tra i generi vengono superati con maggior slancio, fino al
limite della sovrapposizione. L'introduzione di personaggi meno direttamente legati all'autore
implicito consente un pi deciso rinnovamento per quanto concerne gli argomenti della narrativit
poetica. Al contempo, si assiste ad un avvicinamento tra lirica e narrativa anche sul piano formale e
strutturale. L'organizzazione del libro pu cos imitare, in certi casi, l'articolazione di un romanzo.
Un esperimento cronologicamente tempestivo viene compiuto da Elio Pagliarani, che nel 1960
pubblica il primo dei suoi due romanzi in versi, La ragazza Carla, iniziato sei anni prima. Lo stesso
Pagliarani ha pi recentemente commentato senso e motivazioni di quella sua prima opera
'narrativa':

Dall'uscita delle Cronache [], mi preoccupava il peso, che mi pareva eccessivo, delle mie
vicende personali sulla mia poesia e m'era diventata pesante nello scrivere la "tirannia
dell'io"; lo avevo gi avvertito nel risvolto delle Cronache, scritto da me anche se anonimo,
dove dichiaravo quella poesia gravata dalla troppa, ineluttabile carit di s e conseguente
bagaglio. Quindi per lottare contro " l'ineluttabile" avevo deciso di comporre un poemetto
narrativo, con la sua brava terza persona, che si occupasse di vicende contemporanee che
non mi riguardassero troppo direttamente. (24)

La scelta della forma-poemetto si lega strettamente alla necessit di reinventare i generi letterari, in
funzione di un ampliamento del linguaggio poetico. Spiega Pagliarani:

Nessun vocabolo ha illimitate capacit di adattamento (e quante pi ne ha tanto pi
avvilito); ogni vocabolo ha i suoi precisi problemi di sintassi, si muove in una sua area
sintattica. [] I problemi di sintassi investono per definizione tutto il periodo, imprimendo
una diversa tensione durata ritmo al discorso. Ma questa designazione di tonalit []
appartiene ai generi. La reinvenzione dei generi letterari cui ora si assiste non dunque che
la necessaria conseguenza dell'ampliamento del linguaggio poetico. [] Strumento di
questa operazione il genre "poemetto", il Kind poesia didascalica e narrativa [](25).

Nello stesso brano, Pagliarani distingue tra un positivo procedimento di 'reinvenzione' dei generi
(da lui stesso messo in atto nel romanzo in versi) e un meccanica operazione di 'riadozione';
reinventare significa anche forzare dei limiti dall'interno, proporre delle forme di incrocio. quanto
avviene nella Ragazza Carla, che alterna (distinguendoli anche tipograficamente in tondo o corsivo)
brani narrativi a brani lirici o commentativi, come quello finale:


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Ma non basta comprendere per dare
empito al volto e farsene diritto:
non c' risoluzione nel conflitto
storia esistenza fuori dall'amare
altri, anche se amore importi amare
lacrime, se precipiti in errore
o bruci in folle o guasti nel convitto
la vivanda, o sradichi dal fitto
piet di noi e orgoglio con dolore. (III, 7, vv. 22-30).

Al riguardo, si deve osservare come l'alternanza coinvolga anche lo statuto dell'enunciatore,
complicando i ruoli e le reciproche relazioni tra la protagonista e gli altri personaggi da un lato, il
narratore dall'altro. Se l'inizio del romanzo (e gran parte del suo svolgimento) in terza persona
(Di l dal ponte della ferrovia / una traversa di viale Ripamonti / c' la casa di Carla, di sua madre,
e di Angelo e Nerina), pi avanti la protagonista si esprime direttamente in prima persona:

Signorina signorina mi dice
mamma io non ci posso pi stare
venuto vicino che sentivo
sudare, ha una mano
coperta di peli di sopra
io non ci vado pi. (III, 1, vv. 16-21)

Ma il brano non corrisponde al semplice monologo lirico. In primo luogo, pur in assenza degli
indicatori grafici altre volte presenti nel romanzo, sono perfettamente distinguibili le parole di un
altro personaggio (Signorina signorina) qui riportate dalla protagonista; in secondo luogo, il
brano a carattere dialogico. Carla si rivolge infatti alla madre, che le risponde alcuni versi pi
avanti (sebbene la 'battuta' che adempie al dialogo, per l'assenza di indicatori e per l'articolazione
discorsiva intervallata da un brano commentativo e da un breve inserimento del narratore
extradiegetico, venga differita e quasi riassorbita):

Non ti ha nemmeno toccata
gli chiederemo scusa
fin che non ne trovi un altro
tu non lascerai l'impiego
bisogna mandare dei fiori
alla signora Pratk. (III, 1, vv. 41-46).

Il tratto che rivela, nella forma pi elementare, l'intenzione di liberarsi dalla tirannia
dell'io la creazione di un personaggio femminile. La sovrapposizione e integrazione della
vicenda del protagonista e di quella dell'autore maschile diviene, per questa via, assai meno
spontanea e automatica; ci anche se, per ammissione dell'autore, tra l'esperienza personale e quella
narrata esistono inevitabilmente dei punti di contatto(26).


2.4

L'identit d'incrocio lirico-drammatica ben illustrata da Il conte di Kevenhller di
Giorgio Caproni (Garzanti 1986), sia perch i principi dell'organizzazione e i temi fondamentali del
libro aderiscono a un immaginario

palinsesto drammatico-musicale

sia perch, pi in dettaglio, il
ruolo e la condizione dell'enunciatore (del personaggio che dice io) si delineano in relazione a un
sistema di personae (personaggi e 'istituti', quali il firmatario dell'operetta e il protagonista) che
intervengono nel testo come farebbero i protagonisti di un dramma.


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Tra i temi del libro, quello dell'io riflesso nella molteplicit degli agenti e dei nomi assume
un rilievo programmatico in Personaggi, componimento-didascalia collocato quasi all'inizio del
libro (terzo elemento di una sequenza che comprende anche Fondale della storia e Luogo
dell'azione: i titoli alludono alle indicazioni paratestuali che precedono, di norma, il testo vero e
proprio):

PERSONAGGI

Alcuni Io.
Quasi mai io.
Altri Pronomi.
Nomi.

Parti secondarie:
le stesse del Discorso.

Grazie all'articolazione pseudoteatrale e, soprattutto, all'accentuazione di alcuni tra gli istituti
fondamentali del dramma (specie di quello operistico-musicale), il soggetto pu essere sottoposto a
un processo di scomposizione e di rifrazione. In luogo di un protagonista lirico, dalla cui integrit
cognitiva dipenda l'unit della storia narrativa o sentimentale, si ha una serie di personaggi che
godono, a vario titolo, dell'autorit di un protagonista o di un autore implicito: parleremo, al
riguardo, di personaggi autoriali. Seguendo l'articolazione del libro, il primo personaggio autoriale
Alesio Leucasio ('bianco fornaio'), a firma del quale posto l'esergo dell'operetta:

Quest'Operetta a brani,
Lettor, non ti sia sgradita.
Accettala cos com',
finita ed infinita.
(Alesio Leucasio)

Dietro il forbito pseudonimo si celerebbe lo stesso Caproni, che avrebbe adottato "Alesio Leucasio"
come proprio nome arcadico(27). Il secondo personaggio autoriale l'eponimo Conte di
Kevenhller, per il quale viene bandita la caccia alla feroce Bestia. La caccia, tema della finzione
operistica, riceve nel paratesto una sorta di autenticazione documentaria (probabilmente fittizia);
prima della sezione Libretto, infatti, viene riprodotto l'avviso a stampa datato Milano li 14 luglio
1792, con il quale il Conte mette in palio la somma di cinquanta zecchini per chiunque liberi la
provincia dall'infestazione(28). Giover osservare come il Conte, nonostante non prenda mai
direttamente la parola nel libro, spesso evocato da un ulteriore personaggio autoriale. A questi
spetta il ruolo di enunciatore (Mi armai anch'io. Anch'io / mi unii alla "generale Caccia"),
direttamente coinvolto nell'azione. Ora, quest'enunciatore quanto di pi simile a un tradizionale
protagonista, se non altro perch la costanza della sua presenza attraverso le due sezioni
drammatiche del libro(29) garantisce la continuit della vicenda e l'unit del macrotesto. Tuttavia,
tra il cacciatore e colui che chiameremmo "io lirico" si crea una sfasatura di tempo e coscienza,
messa in luce gi in Personaggi. Tra i diversi Io (oltre all'enunciatore principale, si contano nel
libro alcuni enunciatori secondari: in Al pi frenetico, Saggia apostrofe a tutti i caccianti, L'abate,
ecc.) e l'io che prende la parola in quel testo esiste una differenza di livello: l'io (con la minuscola)
si pone all'esterno della vicenda, in una condizione di onniscienza e di consapevolezza gnomica; l'Io
invece, come si detto, calato nell'azione. Ad arricchire il gi complesso sistema dei personaggi
autoriali interviene, fuori dall'operetta ma dentro i confini del libro, il protagonista di Paura terza
(nella serie Mostellaria, tra le Altre cadenze). Ebbene, in quella lirica, un personaggio invoca se
stesso, chiamandosi col nome di battesimo dell'autore empirico:



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Una volta sola Giorgio!
Giorgio! mi sono chiamato. (vv. 1-2) (30)

La molteplicit delle personae e degli istituti non pu tuttavia far passare inosservata la singolarit
grammaticale che prevale nel libro; l'io, in altre parole, non ricava un arricchimento della propria
fisionomia dalla relazione con personaggi diversi (con il tu dei canzonieri, ad esempio, o con la
terza persona del romanzo in versi) collocabili sul versante del non-io. Piuttosto, si assiste a una
drammatizzazione interna all'io, ad una sua scissione (talvolta rappresentata, sul piano
dell'articolazione discorsiva, da uno pseudodialogo tra il protagonista principale e gli enunciatori
secondari). Se gi nel primo Novecento la poesia modernista aveva messo in discussione l'egemonia
dell'io, istituendo un complessa mediazione tra autore, io lirico e personaggio, la poesia del secondo
Novecento italiano assume in pieno quell'egemonia, per mostrarne i paradossi e renderla
definitivamente obsoleta, o riproporla in forma critica.

Niccol Scaffai

Note.
(1) Nella drammatizzazione dell'io, convertito da soggetto lirico in personaggio irriducibile a semplice doppio
dell'autore, ha un ruolo decisivo l'esempio offerto dal dramatic monologue di Robert Browning.
(2) Si veda, per questi aspetti, M. A. GRIGNANI, La costanza della ragione.Soggetto, oggetto e testualit nella poesia
italiana del Novecento, Novara, Interlinea 2002.
(3) Sembra eloquente la prefazione di Z. BIANU, IN Une antologie de posie contemporaine francophone, Paris,
Gallimard 2002, pp. 7-8: Car le pome est toujours l'nergie d'une voix - il est chant, il est pouvoir. Pouvoir de
l'incantation, efficacit magique de la parole chez Orphe - auquel, selon Platon, fut rvle la posie. [] Pouvoir du
Livre qui, dans la mystique juive, n'est autre que la matire mme de Dieu, sa "peau sonore", pour reprendre une
expression de Ren Daumal - un infini rythmique. Le pomes choisis ici sont le reflet contemporain de cet infini.
(4) Cfr. G. BENN, L'io moderno (1918-1919), in BENN, Lo smalto del nulla, a c.di L. Zagari, Milano, Adelphi 1992, pp.
21-22: se vi addentrate nella storia del rapporto tra mondo e Io, scorgete con grande chiarezza l'evoluzione seguente: il
rafforzarsi del sentimento di autonomia del soggetto individuale. L'Io [] arriva gradualmente a raccogliere e a
concentrare la sensazione soggettiva del vivere trasformandola nella consapevolezza di un'esistenza individuabile.
L'autonomia del soggetto dal mondo il presupposto perch l'io, libero dalla tutela del contesto, possa espandersi ma
anche disperdersi; dal punto di vista storico, questo l'esito dell'evoluzione illustrata da Benn.
(5) Nella dedica di Fervore di Buenos Aires (1923) Borges scrive: Se le pagine di questo libro consentono qualche
felice verso, mi perdoni il lettore la scortesia di averle usurpate io, previamente. I nostri nulla differiscono di poco;
banale e fortuita la circostanza che sia tu il lettore di questi esercizi, ed io il loro estensore. (citato in N. GARDINI,
Breve storia della poesia occidentale. Lirica e lirismo dai provenzali ai postmoderni, Milano, Bruno Mondadori 2002,
p. 185).
(6) M. LUZI, Osservazioni possibili su un secolo di poesia, in LUZI, Vero e verso. Scritti sui poeti e sulla letteratura, a c.
di D. Piccini e D. Rondoni, Milano, Garzanti 2002, pp. 89-90.
(7) la condizione dell'io illustrata da S. SPENDER, Una breve storia del pronome di prima persona singolare, in
SPENDER, Moderni o contemporanei, a c. di G. De Angelis, Firenze, Vallecchi 1966, pp. 147-48: L'io [] il
segnacolo di una fusione di valori sperimentali che scrittore e lettore hanno in comune, in una situazione nella quale la
coscienza dello scrittore fa le veci del lettore e attualizza l'esperienza creata nell'opera d'arte. Quando scrittore e lettore
appartengono ad una comunit che fornisce, per dir cos, un contesto continuo di valori e convinzioni che li avvolge
ambedue in una rete di referenti simbolici, allora l'Io anche il Noi, il Tu e l'Egli.

(8) Su questi aspetti, cfr. G. MAZZONI, Sulla poesia moderna, Bologna, il Mulino 2005. Nell'ambito della letteratura
italiana ed europea moderna, tra i primi a fondare l'eccezionalit del soggetto lirico vi un autore come Alfieri; in
particolare, nelle prose (Giornali, Vita) e nelle Rime autobiografiche, Alfieri mette in stretta relazione l'unit dell'io e la
propria identit di letterato. Il soggetto, cio, deve la propria coerenza e integrit gnoseologica allo status di artista (si
veda, al riguardo, P. RAMBELLI, La scoperta dellIo e la (ri)costruzione della figura del letterato nelle prose e nelle
tragedie di Alfieri, Critica letteraria, XXX, I, 2002, pp. 35-69). Sul piano storico-letterario, un confronto tra questo
punto della poetica alfieriana e il tema della crisi dell'io nella poesia contemporanea mostrerebbe come ci che gli autori
pi recenti revocano in dubbio sono proprio i presupposti su cui si basava l'unit del soggetto proto-romantico (e poi
romantico).
(9) L'identit di un personaggio legata al sistema dei personaggi di un determinato testo. Dunque l'identit un
fenomeno relazionale (G. BOTTIROLI, Differenze di famiglia, in BOTTIROLI (a c. di), Problemi del personaggio,
Bergamo, BUP-Edizioni Sestante 2001, p. 13).


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(10) La questione della continuit/discontinuit tra le due principali figure femminili nella Bufera di grande momento
dal punto di vista critico-teorico, tanto da sollecitare (idealmente) un dibattito a distanza tra due delle massime
auctoritates negli studi letterari italiani: Fortini e Avalle. Il critico suggeriva di verificare testo per testo quale diversa
funzione e significato avessero i medesimi simboli, usati da Montale sia per Clizia sia per Volpe; il filologo-semiologo,
nel celebre saggio su Gli orecchini (in dA. S. AVALLE, Tre saggi su Montale, Torino, Einaudi 1970), metteva in luce la
tenace riproposizione di un lessico tematico (relativo specialmente alle immagini delle ali e del volo) condiviso dall'una
e dall'altra ispiratrice. Ora, sul piano del metodo, la posizione di Fortini appare del tutto condivisibile; d'altra parte,
'discontinuit' non sembra la parola-chiave per accedere alla Bufera. Credo, infatti, che la simbologia cliziana riferita a
Volpe non vada semplicemente rovesciata di segno, come pare voler suggerire Fortini negando la lettera di Se t'hanno
assomigliatoin virt di una presunta generale legge della lirica [cfr. F. FORTINI, Di Montale, 2. La Volpe e gli
sciacalli (1974), in FORTINI, Saggi italiani, Milano, Garzanti 1987, pp. 160-71], ma valutata nell'effettiva
organizzazione tematica del macrotesto.
(11) 1
a
ed. Milano, Mondadori 1972.
(12) Per uninterpretazione di alcune poesie-chiave nella raccolta (con riferimenti anche a Il prezzo del sublime), si veda
A. PUNZI, La parola e lio franto. Una lettura di O Beatrice di Giovanni Giudici, Anticomoderno, I, 1995, pp. 37-
46.
(13) Si cita da G. GIUDICI, La vita in versi, a c. di R. Zucco, con un saggio introduttivo di C. Ossola, Milano, Mondadori
i Meridiani 2000, p. 243.
(14) Come mostra I. MATTE BLANCO, Linconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica, trad. it. Torino, Einaudi
1981, una logica basata sul principio simmetrico (per cui se, ad esempio, a>b allora b>a) non conciliabile con le
relazioni del mondo reale, ma trova riscontro nelle elaborazioni della retorica onirica (cfr. anche, al riguardo, F.
ORLANDO, Per una teoria freudiana della letteratura, Torino, Einaudi 1992).
(15) Sul piano grammaticale, i due versi in questione possono evocare la notissima formula montaliana: Codesto solo
oggi possiamo dirti, / ci che non siamo, ci che non vogliamo. (Non chiederci la parola, vv. 11-12). Licasticit
assertiva dei versi di Montale (che ne hanno anche indebitamente favorito una ricezione in senso storico-politico)
tuttavia sconosciuta ai versi di Giudici; in questi ultimi, lo stesso uso del futuro al posto del presente sfuma
laffermazione nel dubbio e nella possibilit.
(16) La natura dei pronomi, in E. BENVENISTE, Problemi di linguistica generale, trad. it. Milamo, Il Saggiatore 1990, p.
305.
(17) La soggettivit nel linguaggio, Ibid., p. 314.
(18) Si veda, al riguardo, quanto osservato da C. SEGRE, Testo, in Enciclopedia Einaudi, vol. XIV, Torino, Einaudi
1981, pp. 269-91.
(19) Io Tiresia, bench cieco, pulsando fra due vite, / Vecchio con avvizzite mammelle di donna, posso vedere /
Nell'ora violetta, nell'ora della sera che contende / Il ritorno, e il navigante del mare riconduce al porto, / La dattilografa
a casa all'ora del t, mentre sparecchia la colazione, accende / La stufa, mette a posto barattoli di cibo conservato.
(20) Mi chiamo Kusta Ben Luka, scrivo / Ad Abd Al-Rabban, un tempo compagno di baldoria, / Ora sapiente
Tesoriere del nostro buon Califfo, / E per non altri che lui. (trad. it. di A. Marianni, in W. B. YEATS, La Torre,
Introduzione e commento di A. L. Johnson, Milano, Rizzoli 1999 [1995
1
], p. 175).
(21) Ibid., p. 252.
(22) Gi nella tesi di dottorato, Conoscenza ed esperienza nella filosofia di F. H. Bradley (conclusa nel 1916), Eliot
scriveva: Non abbiamo il diritto, eccetto che in modo estremamente provvisorio, di parlare della mia esperienza,
perch l'io una costruzione al di fuori dell'esperienza, un'astrazione da essa [].; Nel sentire, il soggetto e l'oggetto
sono una cosa sola. L'oggetto diventa tale per la sua continuit sentita con altri sentimenti che cadono al di fuori del suo
centro finito, e il soggetto diventa tale per la sua continuit sentita con un nucleo di sentimenti che non riferito
all'oggetto. Da un certo punto di vista tutto soggettivo, da un altro tutto oggettivo, e non esiste un punto di vista
assoluto da cui si possa enunciare una decisione. (T. S. ELIOT, Opere. 1904-1939, a c. di R. Sanesi, Milano, Bompiani
2001, pp. 54, 57).
(23) Ci sono personaggi caratteristici, particolari della sua poesia, come Arsenio o come il Nestoriano di Iride, nei
quali possibile rintracciare un fondo esistenziale. Ed anche possibile rintracciare, in lei, un costante sforzo di
arrivare alla costruzione di personaggi definiti, ben delineati. Ritiene che questo impegno, cos evidente in lei, sia una
parte importante nel lavoro di un poeta? Che differenza c tra la costruzione di un personaggio in poesia e la
costruzione di un personaggio in narrativa? [] Non saprei che cosa dire sui personaggi poetici, oggi che il
personaggio tende a sparire anche dal romanzo. Arsenio e il Nestoriano sono proiezioni di me. In ogni caso il
personaggio che appare in una poesia sar assai pi sintetico del personaggio di un romanzo. Tuttavia, in certi limiti,
anche il verso pu narrare. (Dialogo con Montale sulla poesia, in E. M., Il secondo mestiere. Arte, musica, societ, a c.
di G. Zampa, Milano, Mondadori 1996, p. 1603).
(24) E. PAGLIARANI, Cronistoria minima, appendice a E.P., I romanzi in versi. La ragazza Carla. La ballata di Rudi,
Milano, Mondadori 1997, pp. 121-22.
(25) Ibid., p. 122. Il brano riprende il passo di un precedente saggio di Pagliarani (Ragione e funzione dei generi,
Ragionamenti, n. 9, 1957).
(26) Il lavoro del personaggio di Carla nel romanzo in versi di Pagliarani fu svolto, in giovent, anche dall'autore.
Pagliarani stesso ad ammetterlo in Cronistoria minima: avevo scritto, nel '47-'48, cio proprio nel tempo del racconto


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della Ragazza Carla, quando ero impiegato come traduttore dall'inglese e dattilografo in una Societ milanese di
import-export, una cartella e mezzo per un eventuale soggetto cinematografico (p. 123).
(27) Cfr. G. CAPRONI, L'opera in versi, a c. di L. Zuliani, Milano, Mondaori 1998, Apparato, p. 1629.
(28) Il Conte di Kevenhller, che d il titolo al libro pur non essendone il protagonista, un personaggio realmente
esistito, firmatario dell'avviso riprodotto in fac-simile [], nel quale esorta la popolazione a una generale caccia contro
una feroce Bestia. Non ho fatto particolare ricerche [sic] sulla figura di questo Conte, ma per primo stato Giovanni
Bonalumi, dell'universit di Basilea, a ricordare recentemente ai distratti che il Parini scrisse la famosa ode Alla Musa
nella primavera del 1795, nove mesi dopo le nozze del Marchese Febo d'Adda con la contessina Leopolda Kewenhller
(una w in luogo di una v non fa testo!). Dir che il Conte di Kevenhller un titolo che mi piaciuto per il suo
sapore operettistico. Che a Caproni non prema, in fondo, sostenere l'autenticit dell'Avviso n la reale esistenza del
Conte confermato poco dopo: [Il bando] potrebbe anche non essere autentico, ma poco importa. L'ho trovato per
caso in un rotolo di manifesti d'epoca che mi regalarono anni fa. Sfogliandoli scorsi in riproduzione l'avviso. (Ibid., p.
1626; da un'intervista rilasciata dal poeta per Unione sarda nel 1986). Nelle note d'autore che completano il volume
del 1986 si chiarisce invece la probabile fonte storico-leggendaria della vicenda: "La BESTIO del GEVAUDAN fut la
terreur du pays du GEVAUDAN de 1764 1767." Cos a tergo d'una cartolina riproducente una stampa del 1765:
"LOZERE - La Bte du Gvaudan." Una bestia orribile, che dopo numerose battute inutili venne finalmente uccisa dal
coraggioso Jean Chastel, durante una caccia organizzata dal Barone d'Apcher. (Ibid., p. 701).
(29) Il Conte di Kevenhller diviso in tre sezioni (Il libretto, La musica, Altre cadenze), ma la terza, a detta dell'autore,
non avrebbe niente a che fare con il titolo: si tratta di un altro libro nel libro. (Ibid., p. 1628). Ci non toglie che
alcuni motivi e immagini tematiche presenti nelle prime due parti tornino anche nella terza, a suggerire l'unit di fondo
dell'intero macrotesto. Lo stesso Caproni, in un'intervista radiofonica, ebbe a dire quanto segue a proposito dell'opera:
Quindi penso che al posto della musa oggi vi sia [] il subconscio, e che il subconscio abbia un suo progetto, e che
quando scrivo inconsciamente vi obbedisca. [] L'esempio pi lampante proprio Il Conte di Kevenhller: il libro
proprio organizzato, ma mentre lo scrivevo no[n lo era], basta guardare le date. (Ibid., p. 1628).
(30) Il personaggio di Giorgio , evidentemente, in strettissima relazione con la figura empirica di Giorgio Caproni.
L'intromissione dell'autore nel testo ribadita, nella strofa successiva, da un'invocazione che replica quella della prima
strofa (Mi venuto in mente "Vittorio"! / Vittorio!"), che allude al nome e a un testo di un altro poeta amico e
contemporaneo di Caproni, Vittorio Sereni (il testo in questione Paura seconda in Stella variabile). L'analogia nei
titoli (Paura seconda per Sereni, Paura terza per Caproni) conferma l'intenzione allusiva che apre, nel libro di Caproni,
uno squarcio metapoetico immettendo tra i personaggi autoriali lo stesso autore (il cui statuto paradossalmente
garantito dalla citazione testuale e personale di un altro autore). Per la corrispondenza tra le due liriche cfr. M. A.
GRIGNANI, Due paure: tra Sereni e Caproni, in GRIGNANI 1992, cit., pp. 133-48.



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POEMA E CANONE FEMMI NILE



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Invadendo di febbre gli elementi:
note di lettura a Non sempre ricordano e I fondamenti dell'essere di Patrizia Vicinelli


1. Una doppia migrazione
Osservando le geografie letterarie (antologie, percorsi di lettura, pubblicazioni in rete) allestite in
anni recenti e meno recenti dalla critica italiana si ha la sensazione del perdurare, pur tra i continui,
trasversali tagli di luce proposti da quelle ricognizioni, di un ostinato cono d'ombra, di una zona
d'indiscernibilit entro cui non sembra lecito addentrarsi, a meno di non disarmare i propri strumenti
interpretativi dalle partizioni che ne orientano le inclusioni e le esclusioni, i giudizi sistematori.
in una zona del genere che devono essersi nascoste la vita e la scrittura di Patrizia Vicinelli,
bolognese di nascita (classe 1943) e cosmopolita per scelta e vocazione, ostinatamente migrante in
vita (prima da Bologna a Roma, per poi toccare il Marocco e ritornare infine nel capoluogo
emiliano) e, dopo la morte avvenuta nel 1991, restia con pari ostinazione ad assumere qualsiasi
definitiva collocazione entro l' altra geografia, quella letteraria appunto, non meno priva di barriere.
Una vita e una scrittura, quelle della Vicinelli, disseminate in un nugolo di carte e faldoni
manoscritti, o precariamente raccolte nelle piccole riviste (Bab Ilu, Ex, Tau/ma) che furono la
fucina di quella scrittura del secondo Novecento che, insistendo a volersi di sperimentazione e
ricerca, ha in primo luogo disperso le proprie tappe, le parziali cartografie dei territori di lingua e di
vita che andava man mano sondando, quasi a suggello di una mappatura dai confini porosi e sempre
oltrepassabili, costitutivamente incerta: come, si direbbe, per un invito al viaggio, alla sua
prosecuzione. Per altro una rimozione cos durevole risulta tanto pi incomprensibile a fronte del
fatto che alcune tappe di quella ricerca la Vicinelli le aveva poi fissate, trovando complice ospitalit
presso alcune indipendenti, meritorie case editrici. del 1967, infatti, il suo esordio in volume con
, a. A per i tipi di Lerici (con la contemporanea uscita del disco per Marcatr), mentre risale al
1985 l'edizione del poema epico Non sempre ricordano uscito presso la casa editrice Aelia Laelia,
esito di una travagliata e continua rielaborazione durata quasi un decennio. Senza contare la solita
capacit ma quanto insolita tra i nostri critici e poeti di ascolto e prefigurazione dimostrata da
Antonio Porta, che proprio di quel poema, ancora in fieri, antologizzava il capitolo H. is my life
nella ricognizione a tutto campo della Poesia degli anni settanta(1).
Tracce a rischio di scomparsa, dunque, cui ha per prestato parziale soccorso l'edizione postuma
delle Opere(2), approntata grazie alle cure dei critici pi solidali con la ricerca della poetessa. Quel
recupero parziale, scontratosi con una dispersione d'opera cos difficilmente perimetrabile, ha
trovato di recente la sua completezza nel volume che raccoglie l'intero corpus, Non sempre
ricordano: Poesia Prosa Performance, che permette finalmente di indagare in tutta la sua
estensione il percorso creativo di Patrizia Vicinelli(3).
Eppure, nonostante le eccezioni appena citate, sembra che la mancata collocazione di questa poesia
entro gli schemi critici di pi larga circolazione possa essersi nutrita anche di altro, di una ragione
che non ha a che fare - non soltanto, almeno - con l'erranza che ne ha caratterizzato i materiali
eterogenei (poesie, collage e assemblaggi grafici vari): il nomadismo che ha tanto inficiato la sua
ricezione piuttosto quello che interessa il corpo stesso di questa poesia; di una scrittura, cio, che
azzera i confini di genere per riaggregarne gli elementi costitutivi in ammassi dalle potenzialit
inedite. Dunque qualcosa di analogo deve essere avvenuto anche forse soprattutto riguardo alla
forma poematica, tanto pi quando questa faccia mostra di s entro un corpo d'opera che di poemi
ne conta ben due, diversissimi esemplari, incastonati come altrettanti corpi solidi nel magma ora
denso e vischioso, ora invece aereo e imprendibile dei suoi libri di poesia visuale e concreta, delle
sue performance vocali.
Nell'avvicinarsi alla produzione di Patrizia Vicinelli in una rapida ricognizione d'insieme, potr
forse apparire strano che un simile percorso poetico abbia trovato la sua massima espressione nella
forma del poema. Chi di quel percorso ne scorresse i capitoli iniziali, infatti, si troverebbe a contatto


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con un linguaggio aggredito nella sua consistenza sintattica, nella tenuta lessicale e frantumato in
una congerie di schegge riaggregate sulla precariet della pagina; il lettore chiamato a percorrerla
con lo spaesamento di chi esperisce un linguaggio cos incerto della propria tenuta referenziale da
riservare soltanto alla propria avventura la possibilit di reperire un senso, di potenziarlo. Tanto pi
che ricerca e investitura nella Vicinelli paiono coincidere, laddove la parola viene atomizzata negli
elementi costitutivi che l'elaborazione grafica della pagina restituisce in forma di pulviscolo
semantico, dotato tuttavia di una ritrovata potenzialit aurorale. E forse a fronte di questi estremi, di
questa polarit all'apparenza non conciliabile, apparir meno impensabile che il percorso creativo
della poetessa abbia dato prova di un'analoga divaricazione interna al genere, tentando una sorta di
coincidenza degli opposti nell'ampia orchestrazione del poema.
In queste pagine vorrei quindi soffermarmi sulla paradossale solidit dei poemi di Patrizia
Vicinelli, prendendo in considerazione i due esemplari citati: in primo luogo Non sempre ricordano
e, a seguire, quei Fondamenti dell'essere che, cronologicamente, si situano nel territorio incerto che
in Italia segue la grande stagione sperimentale, aprendo a una riaffermata concezione della parola
come evento, di una parola innamorata di se stessa, con cui la ricerca pluriennale della poetessa non
sembra avere nulla a che fare. Questa ricerca, piuttosto, in quelle ultime propaggini degli anni
ottanta si configura come lo strenuo, per certi versi solitario tentativo di lasciare aperta una
possibilit inedita, un percorso di scrittura che ha di certo i suoi padri putativi nella stagione
neoavanguardistica e sperimentale, ma poi prosegue e insiste per strade del tutto autonome, per
nulla riconducibili a indirizzi programmatici di scuola, a una poetica che si garantisca ante rem.
Piuttosto, insieme all'altro grande eretico dello sperimentalismo avanguardistico che fu Antonio
Porta, Patrizia Vicinelli ha costretto la poesia a rifondare le proprie ragioni tramite l'avventura
incerta del suo farsi, in pieno azzardo di scommessa e scoperta, nella tensione di un corpo testuale
che affinava i propri meccanismi percettivi nel corso del suo stesso procedere.
un procedere, questo, da intendersi non solo nella sua estensione diacronica, da un testo all'altro,
ma riscontrabile anche e in maniera del tutto particolare nel singolo testo, tanto pi quando si
strutturi nell'orchestrazione ampia e, si diceva, paradossale del poema.

2. Proiettare il samuray
Come accennato, la data di pubblicazione di Non sempre ricordano nasconde un'elaborazione
precedente frutto di tre differenti stesure: la prima tra il 1977 e l'anno seguente, la seconda nel 1979
e la successiva nel 1985. Un'elaborazione discontinua, che accoglie la materia incandescente di una
biografia vissuta all'insegna del rischio, dello spaesamento, e che la scrittura restituisce nelle sue
stratificazioni tramite una pagina organizzata in primo luogo come partitura. Ben poco per
concesso alle fascinazioni della melodia, in un testo che aggrega materiali linguisticamente e
tematicamente divergenti ponendo a contatto, senza soluzione di continuit, fatti di cronaca e
visioni oniriche legate al ricordo, registrazione in presa diretta di soprusi e fascinazioni mitiche.
Eppure di partitura davvero si tratta, non appena ci si renda conto di quanto questi frammenti siano
ricomposti in un amalgama dalla tenuta solidissima, percorso da fenditure del senso e del segno
linguistico orgogliosamente protratte nella densit di un corpo testuale (sempre suscettibile di
trasformarsi in fantasma vocale) che li stringe nella necessit della loro compresenza. Una
compresenza che ha come primo effetto l'erosione dei confini temporali dell'esperienza: alla
registrazione in presa diretta (tramite un imperfetto narrativo che si impone con l'evidenza di un
presente) si affianca, lo si accennava, una dimensione del ricordo (dunque precedente a quel
costante imperfetto della narrazione) che sembra legare gli elementi in un tempo assoluto.
A ben vedere, il ricordo ha una valenza centrale nell'economia espressiva del poema,
configurandosi come suo motore principale fin dalle prime, splendide battute (parte prima, Lontani
dal paradiso. Strada non ancora avvistata):

...TUONAVANO
gli spiriti dei dormienti santi


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fino ad allora in siesta o in passeggiata silenziosa,
veli, camicie, RESPIRI.
:tutt'in torno le valli del desiderio
EMERGONO. (4)

Chi percorra l'inquieta testualit del poema non potr non notare, e proprio a partire da un incipit
come quello appena citato, quanto la memoria agisca dentro una pagina che la convoca al di fuori di
qualsiasi tentazione elegiaca, costringendola a inserirsi nel tessuto vivo del testo, che poi la vita
stessa di un presente che rivendica di continuo, in queste pagine, il diritto alla propria esistenza, alla
registrazione della sua voce sofferta. E cos la violenza, il sopruso, il degrado indotto oppure
liberamente ricercato come fucina di esperienze alternative e potenzialmente liberatrici, si innestano
nei versi come il battito pulsante e senza ritorno del qui e ora, di cui si riconosce l'approdo nella
morte. Un senso di mortalit che pervade il testo dall'inizio alla fine ma di cui si scopre il
fondamento ideologico e normativo nel suo essere usata da sempre come / strumento di dominio
(parte quinta)(5). con tale consapevolezza che Vicinelli imbastisce, tramite l'articolazione
poematica, la propria personalissima concezione del tempo, volta a stornare il presente da ogni
determinazione esterna, sia pure quella di una morte posta al termine di un percorso che il senso
comune vorrebbe lineare e progressivo. Nulla di pi lontano dagli scoscendimenti del tempo che il
poema registra, cos restituendo al presente una dimensione ulteriore (parte prima):

Le facciate erano 4
e hanno formato il cubo della mia memoria scoscesa.
IL MITO S'IMPONEVA OVUNQUE. (6)

Qualora non si voglia assumere il mito nella semplice accezione di ricordo, magari primigenio e
fondativo, cos da assimilarlo al tema memoriale appena sottolineato, dovremmo chiederci quale sia
la sua reale funzione dentro la dinamica temporale di ricordo e realt, che tanta parte sembra avere
nella strutturazione del poema. Strutturazione, conviene ribadirlo, che agisce principalmente tramite
una resa omogenea dello spazio testuale, in cui i passaggi tra la dimensione del presente (di un
imperfetto che finisce con l'assumere lo statuto di un presente) e quella del ricordo di un tempo
precedente avvengono nella continuit di un dettato che non sembra mostrare attriti. Questi in realt
ci sono, ma in una misura e di un'intensit tali da poter essere accolti sulla pagina solo tramite la
costituzione di uno spazio testuale mobile.
Pu forse giovare, per avvicinarsi a tale mobilit interna, riflettere sulla modalit di raffigurazione
cui sottostanno di frequente tanto i ricordi, evanescenti eppure persistenti, quanto gli eventi della
quotidianit pi cruda. Non sempre ricordano mostra di continuo, lungo il testo, una costante
strategia di distanziamento degli avvenimenti narrati, disponendoli su uno sfondo in cui le presenze
evocate, le apparizioni improvvise, e cos pure le pi ampie campiture narrative sembrano prendere
vita sulla pellicola di un film. come se la fucina mentale di una psicologia in continuo fermento
imbastisse una sala di proiezione cui demandare l'oggettivazione dei propri fotogrammi, e dunque
frammenti, interiori (parte prima):

...un colpo secco e strano quella volta,
bussano?
TITOLO: in sovrapposizione: RICOMPARSI,
ALL'ALBA
RISORGENDO
DAI CAMPI
INVASI DA SMITRAGLIATE DI LUCE (7)



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Scorrendo i versi ci si imbatte di continuo, anche in assenza di indicatori tanto eclatanti, in strategie
testuali tese a costruire la pagina come una sceneggiatura, alla quale le improvvise immissioni di
elementi lessicali discordi, la messa in atto di una logica non consequenziale e le relative infrazioni
della linearit sintattica sembrano offrire un'immediata traduzione cinematografica, quasi che alle
didascalie di regia si sostituisse la messa in atto delle stesse: una proiezione, appunto. Il numero
delle occorrenze talmente alto da configurarla come la modalit dominante di messa in figura,
rispondendo a una necessit intimamente radicata nelle ragioni stesse dell' opera. E intimamente
legata, riguardo l'aspetto che qui pi ci interessa, alla scelta di genere in cui quest'opera ha voluto
incarnarsi.
un genere, quello del poema, che gli esempi pi autorevoli della prima met del Novecento
avevano consegnato alla disgregazione dei propri elementi, innescando allo stesso tempo, alla
stregua di un paradossale correttivo, una tenuta formale attuata grazie a quelle stesse caratteristiche
che ne avevano minato la stabilit. Cos se Eliot presente nella formazione della poetessa quanto
nel testo in questione, che fa mostra di parche ma significative allusioni(8) - pot mostrare il corpo
sfinito di una civilt tramite un fondo mitico di cui veniva denunciato l'esaurirsi della spinta
aggregante, lasciando che gli elementi si depositassero come le figure liberamente componibili di
un disegno di cui non si riconoscevano pi i volumi complessivi, pure a quegli elementi residuali, a
quei miti inquinati eppure persistenti aveva affidato il compito di sorreggere l'edifico sul punto di
crollare: these fragments I have shored against my ruins(9).
Ai frammenti, d'altronde, seppure di genere diverso, Eliot aveva fatto ricorso anche prima di
tracciare la mappa di queste terre disertate dal dio, fin dal momento in cui, abbandonando ogni
residuo tardo decadente o, piuttosto, correggendolo con la raffinatezza ironica e disincantata di un
Laforgue, aveva demandato agli oggetti di una trita quotidianit o ai simboli di un esausto istit uto
lirico il compito di rendere manifesta una soggettivit ugualmente sfiancata. Tuttavia l'oggettivit,
quale risorsa estrema di un soggetto in dissoluzione, poteva ribaltarsi nel suo omologo finalmete
reificato, divenire cio l'oggettualit che permette alle cose (e siano pure, queste, simboli ormai
decaduti a simile statuto) di essere manipolate e ridisposte in nuovi ammassi tramite sapienti
operazioni di riaggregazione: Bricolage, dunque; e rifunzionalizzazione, per usare il binomio
formulato a suo tempo da Franco Moretti per descrivere, non a caso, l'anomalia di struttura e
figurazione di un poema tanto fondativo per la modernit letteraria quale il Faust di Goethe(10).
La funzione di tali oggetti - nel doppio significato cui si accennato - sembra dunque essere
duplice, funzionando, da un lato, come la soglia di resistenza e di oblitarazione di quella
soggettivit al limite, in perenne rischio di scomparsa, e che tuttavia proprio negli oggetti trova sia
un'ultima garanzia del proprio esistere nonostante tutto, sia la consapevolezza che quel tutto, quel
gremito di cose in definitiva un nulla; dall'altro, disponendo di quegli elementi come di altrettante
tessere di un puzzle a cui affidare il possibile ripristino di una figura integra. Certo che, tuttavia, la
riscoperta del patrimonio mitologico operata da Eliot, per quanto immessa entro un orizzonte di
disfacimento che ne inficia il potere rigenerante di morte e rinascita, resiste poi con l'ostinazione
della brace soppravvissuta all'incendio, come un lacerto, un frammento, appunto, posto dentro il
divenire della storia con la forza residua di un appiglio: sono comunque punti fissi, attorno ai quali
si muove un mondo fenomenico alla ricerca di un proprio centro di gravit.
questa opposizione tra la sfiancata mobilit del reale e il centro immobile del mito a essere
sottolineata da Cecilia Bello Minciacchi a proposito del poema vicinelliano:

Dunque il mito, che da intendersi sia nel senso di una mitizzazione (e di una vocazione
mitopoietica) privata, sia in quello di una mitizzazione archetipale e collettivamente aperta
in termini junghiani [], si incunea nella prosa bassa del quotidiano e con questa si
scontra fuori da ogni possibilit di pacificazione. (11)
Gli elementi mitici, o una disposizione mitizzante nei confronti delle proprie vicende biografiche,
godono in effetti in Non sempre ricordano di una comparsa discontinua, riconoscibile tramite la
presenza di figure (gli spiriti, gli avi, il samuray, il cavaliere ecc..) che paiono offrire alla porzione
di testo che li ospita un diverso statuto rispetto ai brani di realt, disposti con la crudezza e la


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perentoriet proprie di un vissuto oggettivo, concreto. Eppure, considerando i rapidi passaggi, le
frizioni e le continuit che oppongono e lasciano comunicare gli elementi del poema, sembra che
il rapporto tra la realt quotidiana e il ricordo debba essere pensato come pi dinamico (parte
prima):

...OMBRE
(come cinesi) come riflusso della stanchezza del giorno
LE HA VISTE scorrere sulle fronti
fresche e sudate
- AVVICINARSI -
sul cui tappeto ballano raggruppandosi i sogni
e si increspano alla tempia
suoni mitigati e sottratti al senso eterico
(per non filtrare?)
COMUNQUE ANELANO.
SPIRITI DEFORMI. (12)

Ancora una proiezione, in bilico tra teatrino delle ombre e allucinazione; e ancora uno schermo (la
fronte) che permette l'oggettivazione di elementi altrimenti celati nella segretezza del soggetto, e
che pure al soggetto continuano a rimandare nell'assunzione di quella stessa particolare superficie:
luogo di collegamento tra l'interno psichico e l'esterno del mondo, in cui i due poli della relazione
si confondono incessantemente.
La proiezione, intesa come modalit di messa in figura, comporta un iniziale distanziamento del
magmatico materiale del poema, un suo disporsi finalmente al di fuori di un soggetto che pu in tal
modo consegnare alla nuova oggettivit la certificazione della propria esistenza. A questa, tuttavia,
la modernit inaugurata da Goethe con il Faust chiede il continuo ridefinirsi dei propri attributi,
quasi quella certificazione restasse in perenne attesa di verifiche: da qui la categoria del bricolage
citata da Moretti, cui la frequentazione della Vicinelli con il cinema sperimentale degli anni
sessanta consente forse di sostituire quella omologa del montaggio.
una categoria, questa, che sembra rivestire una medesima funzione di destrutturazione e
ristrutturazione di quel gremito d'esistenza e memorie; eppure essa non perfettamente sinonimica,
la pratica del montaggio potendo infatti godere dell'aleatoriet, dell'impermanenza propria del
fotogramma che lascia il testo in balia di frammenti (come altrettante, fulminanti epifanie di realt)
non ricomponibili. Sono le voci di un coro che sembra aver perso ogni spartito, dovendo cos
configurare la struttura idealmente unitaria della forma poematica (e di un poema, ci avverte il
sottotitolo, epico, e dunque detentore almeno in teoria di un'unitariet specifica) tramite il loro a
solo violento e irrelato, in una vera e propria psicomachia. in questo agone che il soggetto
convoca una nuova figura, di nuovo proiettandola su uno schermo mentale in cui realt e sogno,
presente e passato giocano la loro partita (parte quarta):

INFINE, come quella volta, he need [sic] help,
PROIETTARE, partorito dalla mente,
il SAMURAY, la sua splendente fiammeggiante
scimitarra alla mano,
sospeso in sfera vuota e incolore
SOTTO DI LUI CADEVANO SCRICCHIOLANDO
LE OSSA A BRANDELLI SENZA VOLTO E
VUOTO ATTORNO MOSTRI TRASPARENTI E
INVISIBILI
EPPURE SCHIZZI DI SANGUE BIANCO
(i miei mi avevano accerchiato)
UNA GRANDE SCIMITARRA CHE VOLAVA


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NEL DESERTO
ROTEAVA VOLTEGGIAVA NELL'ARIA
(contro i pensieri)
E IO POCO DOPO ERO SALVA seven days. (13)

Occorreva il verso successivo a suggerirlo - uno schermo ai potenti schemi della / memoria
perch questa figura mitica (di un mito ibridato, sincretico di tradizioni culturali distanti) potesse
entrare in attrito coi lacerti di mondo nel cui attraversamento il soggetto spera di rintracciare s
stesso (p. 91): questa la posta in gioco e il movente dell'intero svolgersi del poema, la forza
propulsiva che ne modula il canto anche nelle note pi discordi. La meta, tuttavia, il viaggio
stesso, in una coincidenza che sancisce la difficolt storica della sfida poematica di Patrizia
Vicinelli e, allo stesso tempo, ne riafferma la necessit di l da ogni immediatezza innamorata tra
parola e realt. Questa, per riprendere la notazione di Cecilia Bello Minciacchi, rimane davvero
estranea al mito, il quale viene cionondimeno convocato, ricercato nelle pieghe e nelle piaghe
nascoste di quella stessa quotidianit, quasi nel tentativo di offrire al mondo uno specchio entro cui
collocare le mutevoli manifestazioni del suo soffrire. Un simile tentativo non va per confuso con la
riduzione delle asperit del mondo fenomenico nella rigida sistemazione dell'archetipo, dato che
quest'ultimo, piuttosto che porsi come la realt prima alla quale il mondo deve il proprio incanto,
viene anch'esso proiettato, configurandosi quale modulo suscettibile di variazioni e combinazioni,
di giustapposizioni stranianti. Davvero, allora, non pu esserci pacificazione in questo incontro
ricercato con ostinata tenacia e, di nuovo, sempre perduto. Agisce, al contrario, una
compenetrazione incessante, in cui i due elementi, realt e mito, sembrano scambiarsi gli attributi:
l'una denunciando, dietro l'apparente multiformit delle proprie manifestazioni, un fondo di
inscalfibile, ottusa immobilit; il mito, invece, dismettendo la propria carica fondativa e normativa
per disperdere le tracce della sua auroralit tra i lacerti di una realt irredimibile.
Quando in questo sfondo scosceso, aspro di memorie e di miti, il soggetto non vorr pi realizzare
soltanto una pratica di liberazione che quei miti sappia soggiogare e convocare in una realt
reincantata, ma ad essa demander la ricerca di una fondazione del s, i suoi elementi vivranno
ancora in questo baluginare continuo e impermanente, che brilla un istante con la stessa transitoriet
del fotogramma cinematografico, vivo e luminoso solo nella misura in cui prepara l'apparire di
quello successivo. Cos una scrittura calata per intero dentro la propria ineludibile materialit,
scopre quanto altrimenti le si sottrarrebbe: un tempo gettato a capofitto nella corsa di un poema che
proprio dentro questa continua addizione di gesti e memorie, di registri e stili, scorge la pausa breve
che ne sospende il procedere.

3. Tutto quello che c'era nel mezzo
dunque il tempo il centro propulsore della scrittura di Patrizia Vicinelli, il movente e la
condizione di possibilit di una forma poematica cos intimamente scissa, combattuta tra le opposte
tensioni della dispersione di senso e del suo agglutinarsi. Un tempo che vede costantemente
interrotto il proprio procedere rettilineo, spaccato dall'irruzione di zone testuali in cui convocare le
figure che la storia avrebbe altrimenti dimenticato: cambiare la prosa del mondo, il suo orologio
intatto, recitava un passaggio folgorante di Amelia Rosselli. E questo orologio va in pezzi in molti
passaggi di Non sempre ricordano, con una perentoriet che ne scongiura ogni possibile
ristrutturazione, decretando, piuttosto, che ogni quadrante sospenda la misurazione fin da subito
nell' altro, conclusivo capitolo del respiro poematico della poetessa.
I fondamenti dell'essere, infatti, sorta di epopea di un soggetto (un cavaliere) alla ricerca di una
redenzione laica, danno corpo a un amalgama temporale che si mostra innanzitutto nella scelta
stessa delle figure mitiche che ne compongono la sostanza e ne determinano il procedere. Nelle
quattro parti del poema appaiono la dea egizia Iside e simboli cristiani mescidati con elementi
favolistici (la coppa del sacro Graal, il drago e la colomba), tra cui si innestano figure dell'alveo
romano come Proserpina e Giano, affiancate da incursiosi nella religiosit greca pi arcaica (Orfeo


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e Pandora). Davvero uno strano parterre per un poema che voglia, come denuncia il titolo, risalire il
flusso del tempo alla ricerca di una sorgente, di fondamenti stabili su cui la storia - sia pure quella
privata di un soggetto investito di funzioni collettive - abbia poi edificato le proprie costruzioni.
Sembra che un sincretismo culturale tanto esibito voglia porsi come il corrispettivo, a livello
dell'immaginario da cui attingere, di una pratica poetica non nuova nel voler trasformare la fissit
del mito in strumento di metamorfosi ed erranza. Una pratica, come si visto, che intende
attraversare la verticalit del tempo tramite l'orizzontalit di una scrittura che ne immetta gli
elementi residuali dentro la cronologia assoluta del testo, la quale sembra essere tale in virt
dell'obliterazione totale di ogni successione. Ed precisamente a uno spostamento nello spazio che
fa seguito, nelle primissime battute del poema della fine degli anni ottanta, una raffigurazione del
tempo scostata dalle usuali configurazioni (parte I, Il cavaliere di Graal):

Da un altro punto furono viste le stagioni
fino l sconosciute
solo allora pot sedersi ad ammirare
il senso dell'alternanza. (14)

Il tempo del mito - o meglio, una temporalit esperita e attivata tramite il mito (il senso
dell'alternanza) - viene assunto nei Fondamenti come lo sfondo, il punto di partenza cui il poema
deve la propria iniziale insubordinazione e la sincretica configurazione degli elementi mitici che in
esso operano. un sincretismo, quello dei Fondamenti, che trova un primo denominatore nella
scelta di personaggi accomunati dalle insegne del passaggio, dell'oltrepassamento del confine, in
primo luogo quello tra la vita e la morte. Figure di morte e resurrezione, dunque, come la colomba e
il Graal, simboli di Cristo e della redenzione; oppure che nella morte transitano abbattendo cos la
barriera opposta al regno diurno dei vivi. Non un caso che il primo movimento del poema
convochi, appena oltre i versi citati, la figura di Iside, moglie di Osiride e lamentatrice della sua
morte, alla quale la dea cerca rimedio tramite una discesa agli inferi. Figura ambigua, tuttavia, che
all'iniziale valenza funebre addiziona presto, nel rimescolio culturale e cultuale del secondo secolo
d.C., diverse e contraddittorie valenze positive, divenendo regina dei morti e dei frutti, presiedendo
alla magia, alle trasformazioni delle cose e degli esseri, agli elementi naturali. Quanto di meglio per
imbastire lo studio alchemico della Vicinelli, il suo fare stregonesco che confonde rigenerazione e
morte in una trasformazione reciproca ostinatamente perseguita: la mia vita e la mia / morte sono
la stessa avventura, aveva scritto al termine della quinta parte di Non sempre ricordano,
nell'ambizione di stornare la linearit di un tempo che vedeva consegnato alla morte e che lei, al
contrario, dispiegava in quella zona di sospensione in cui vita e morte scambiano le maschere delle
loro manifestazioni. Ma questa zona esattamente lo spazio senza tempo del mito, il luogo in cui
gli opposti si toccano e le civilt muoiono e rinascono nello stesso istante.
Ecco dunque la dea egizia, a contatto con una figura femminile che nella prossimit alla sua stessa
ombra sembra annunciare la ricomposizione di una propria immagine intera, non pi scissa, come
il segno della compresenza, dentro il giorno perenne figurato dal poema, di un regno ctonio
attraversato con il medesimo passo con cui si procede oltre:

fusa la donna alla sua ombra
eppure trema al fuoco dell'inizio
cos se li sposta i suoi passi
Iside all'orizzonte mta
ora essa fugge la sua lontananza. (15)

La libert sintattica e l'incertezza denotativa, marchio di una scrittura insubordinata alle norme di
una percezione codificata, dapprima accostano la figura femminile alla divinit, quasi questa le
fosse compagna e sodale, poi la ripropongono (essa) confondendone l'identificazione e delineando


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cos un soggetto che ritiene insieme le caratteristiche di una morte attraversata (Iside infatti colei
che attraversa il regno delle ombre alla ricerca di Osiride) e di un inizio che trema del suo
principiare. Ad essecondare una disgregazione che accenni per segni incerti e deboli a una
ricomposizione, i versi successivi scandiscono una materia refrattaria all'ordine sintattico,
giustapposta in segmenti che il verso lascia nell' indecidibilit della loro concatenazione e dei loro
referenti:

Perch non cola l'attesa profumata
ossia fermarsi
la sua ansia volta avr la fine
di profilo porre cosa la tiene unita
quella che stacca la radice, un alito. (16)

nello stridore del segno linguistico, nella conseguente sospensione del senso, che il cavaliere
batte allora come sul ferro la materia di s (p.207) dando inizio al costante processo di
metamorfosi che investe gli elementi del reale e, con essi, il soggetto che vi si muove
attraversandone gli stadi intermedi, le tappe di una trasformazione mai compiuta. Per Vicinelli ci
che non compiuto spinge / il modo del procedere (p 208), e il singhiozzo di una sintassi spesso
bloccata e aggregata a forza, l'accostamento abnorme di sintagmi logicamente discordi,
l'oscillazione morfologica degli elementi sono la risposta del testo a una realt di cui vengono
saggiate asperit e crudezze, ostruzioni, divieti, col fine di aprirvi gli spiragli da cui un mondo
percepito come infinito possa dispiegare le proprie forme perennemente cangianti.
Il linguaggio, tuttavia, non solo la registrazione di questo magma; ne anche l'artefice, il motore
attivo, in uno scambio tra mondo fenomenico e scrittura del poema che costringe quest'ultima a
inseguire il variare del primo, e questo a modellarsi secondo i voleri di una parola che esercita la
propria forza tramite le ferite da cui lacerata. Si stabilisce uno scambio virtuoso tra la debolezza di
una parola preclusa a ogni possibilit di reperire l'assoluto e un mondo che lascia brillare le proprie
macerie, preludi a costruzioni pi vaste, a mondi paralleli, attriti / posti sopra o sotto (ibidem). Si
istituiscono in questo intrico i paradossi demoniaci (ibidem), la costante ambivalenza di una
scrittura la cui forma, il cui modo del procedere appunto, il referto di uno scontro senza
mediazioni col reale e, allo stesso tempo, la forza che istituisce e trasforma il teatro entro cui il
soggetto mette in scena la ricerca di s:

Gi pensa che il santo graal troppo
lontano, e il bicchiere si sta offuscando
di rosso, - qualsiasi cosa signore, ma spingimi
avanti -, nuovamente il bicchiere brilla rosso(17)

Alle parole dell'invocazione segue immediata la trasformazione della realt testuale, in un'attitudine
alla performativit radicale che ridisegna, tramite le parole che lo nominano, il mondo che il
soggetto attraversa. Un tale soggetto, d'altronde, non ha alcuna consistenza al di fuori di questo
doppio legame, che unisce parola e realt nella loro produzione reciproca: esso fin da subito
conficcato tra lingua e mondo, potendo esperire soltanto la porzione di realt che il linguaggio
dispiega:

I piani del linguaggio
ne avvolto
cos genera le forme della sua ricerca(18)

Ma questa realt poi la medesima che congiura, con la propria rinnovata solidit, a chiudere gli
spazi dell'avventura del cavaliere, del suo perdersi e ritrovarsi il binomio, inscindibile, ancora


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rosselliano che non pu che coincidere, a questo punto, con l'intento di infrangere ci che da
inadeguato / si ricompone ad ogni istante (p. 208).
Immergendosi nel cuore di questa reversibilit furiosa, Guido Guglielmi aveva notato, gi a
proposito dell'incedere fluviale di Non sempre ricordano, quanto per Vicinelli la manifestazione
del mondo coincide con la manifestazione di s, al punto che le circostanze dell'io fanno parte
della sua costituzione: lo invadono, gli lasciano tracce e ustioni(19), in una marchiatura che il
respiro maggiormente concentrato dei Fondamenti dell'essere porta impressa come il suggello di un
destino e di un compito:

egli ha imparato come lasciarsi solcare
ad essere cinto dalle tracce.
Con un colpo d'occhio sentiva
la presenza simultanea di tutto ci
che nella terra cresce
e questa coscienza della situazione attuale
lo aiutava come una disciplina.(20)

La disciplina di questa attenzione spasmodica si attua tramite una mente costantemente percorsa e
ferita, attraversata dalla traccia ustoria del mondo. Essa coincide con un esercizio di sospensione del
tempo, attuata entro quella dimensione del ricordo che Vicinelli, delegittimandola di ogni consistere
elegiaco, richiama piuttosto nel nostro mondo inchiodato alla strategia del tempo(21) per dotarlo
di una zona di quiete:

Scivolando lungamente sul fianco
della piramide atavica
lo blocca quando vuole come esercizio(22)

Ma per chi voglia sbarazzarsi di ogni pretesa normativa inscritta in un ricordo esperito come
tradizione fissa e immutabile (sia pure soltanto personale), la sospensione non realizza una
concrezione immobile, bens crea lo spazio entro cui gli elementi del passato si riposizionano nel
presente, costringendolo cos a destabilizzarsi, a perdere la propria memoria fondativa, per
consegnarsi a un segno linguistico brancolante che recupera la propria valenza aurorale, il reincanto
inarreso, nella sua rabdomanza.
Memoria, dunque, sua permanenza e contestazione alla ricerca di una forma integra del s realizzata
tramite un recupero del tempo trascorso, una volta che questo, piuttosto che precedere l'attuale
secondo una sistemazione lineare della storia, ne sia un piano ulteriore, posto accanto a zone
cronologiche che si rifiutano a ogni disegno rettilineo. Non zone del presente o prefigurazioni di
futuro, ma dimensioni parallele che il soggetto costituisce tramite la lingua, per poi transitarvi.
ancora il transito, dunque, il viaggio, a rendere evidente la propria meta nella mappatura dei
territori attraversati. I Fondamenti realizzano il proprio corpo poematico nell'accumulo, ravvisabile
fin dalla partizione in quei quattro canti che si negano, nel loro succedersi, a ogni sviluppo
narrativo, dovendo invece riattivare ogni volta, e perfino al loro interno, la sfida testuale di uno
stravolto romanzo di formazione che riesca contemporaneamente a dispiegarsi e a coagularsi. Il
risultato il profilarsi di una moderna qute, che lascia tuttavia consistere le sue sequenze sul piano
tridimensionale di nuove geometrie.
Non casuale che un' attitudine tanto generosa nei confronti della lingua poetica, distesa
nell'ampiezza del poema e capace di dispiegare un vocabolario ricchissimo senza alcuna
preclusione liricista, trovi un approdo ogni volta rinnovato nel rigore della forma geometrica. Quasi
il rocambolesco susseguirsi dei canti struggenti e selvaggi di Non sempre ricordano (la definizione
di Leonetti), che appartiene, pur se in forma variata, anche ai Fondamenti, trovi in questi piani
solidamente delineati in uno spazio il proprio risvolto segreto, l'architettura nascosta di un testo che


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in tanta dispersione di lingua e immagini raggiunge la sua certezza nella possibile combinazione di
perimetri e aree, nella loro sovrapposizione (parte II, Il tempo di Saturno):

Dunque il sole era di fuoco in ogni luogo
e risplendeva per sempre nella sua continuit.
Nemmeno un attimo ci fu margine d'errore
ma lodi nella mecanica di nuove geometrie
esse formulavano la quiete di altri sistemi.(23)

Il fluire del poema vocale vicinelliano, soggiogato quasi per statuto al proprio procedere e alla
propria dispersione, trasmuta nel referto geologico della pietra, quella in cui ricordato / il
passaggio(24) finalmente bloccato in densit minerale, per poi riattraversare il sedimento
disponendone le parti infinitesimali, gli atomi di tempo, nello spazio tridimensionale della
geometria. Ma perch ci accada, il poema ha dovuto imbastire ancora una volta i meccanismi della
propria insubordinazione, tra i quali torna quella strategia della proiezione che si era ravvisata in
Non sempre ricordano come il luogo in cui il mito, pur tradendosi, riaffermava se stesso:

Entra il possibile passato nella proiezione
del presente, egli pu scegliere
come entrare da un'altra porta, si avvolge
nel suo scudo atavico, ancora una volta osa
col rischio della fine, camminare sull'orlo. (25)

Il senso e la sfida dei Fondamenti dell'essere stanno in questo camminare sull'orlo. Al di fuori di
un tale bilico poco o nulla si comprenderebbe del suo groviglio di immagini, della sua sintassi ora
fluida e avvolgente, ora al contrario claudicante, sghemba per improvvise pause e ancor pi rapide
riprese e agganci. Bisogna, in altre parole, entrare nella sua cifra conflittuale, in quella che si era
chiamata la sua paradossalit, consapevole che infrangere quello che gi dettato / non lo puoi
tanto a lungo, mia dama, n / lo puoi fuggire di pi, mio cavaliere (parte III, Eros e thanatos, il
canto) (26).
Il dettato parola della tradizione, pu equivalere all'essere detto di un soggetto al quale viene
negata ogni autonoma consistenza. Ma esso, nonostante tutto, fornisce una direzione e lascia
intravedere un cammino. Accenna dunque a una meta, a patto di non considerarla il punto
conclusivo di un'ideale linea di continuit temporale, bens il luogo di una visione restituita alla
propria pienezza:

Cos da lontano vedeva la sponda, anche
tutto quello che c'era nel mezzo.(27)

Nel non potere liberarsi d'un colpo di tutto ci che si vissuto, senza neppure la scorciatoia della
fuga ma con la necessit di stare nel mezzo, si misura l'incontro mai pacificato tra il desiderio che
guida la lingua del poema tra gli oggetti psichici e reali del proprio cammino, soffrendone gli attriti
e le compromissioni, e le precarie anse di riposo in cui quella stessa lingua si articola nella quiete
della lode. Pare essere l'unica religione possibile, questa, per un poeta che nel decennio che voleva
sancire l'inaridirsi di ogni esperienza, ne ha tentato un inesausto reincantamento: non in un
monologare lirico che pretenda di fondarsi sulla solidit di un soggetto dato una volta per tutte, ma
nell'avventura di un poema in cui l'unico approdo possibile coincide con il naufragio tra gli stralci di
mondo che il cavaliere deve comunque, pur se disperatamente, avere amato.

Matteo Di Meco



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Note.
(1) A. Porta [a cura di], Poesia degli anni settanta, Feltrinelli, Milano 1979.
(2) Opere, a cura di Renato Podio, introduzione di Niva Lorenzini, Scheiwiller, Milano 1994.
(3) P. Vicinelli, Non sempre ricordano. Poesia Prosa Performance, a cura di Cecilia Bello Minciacchi e con
un'introduzione di Niva Lorenzini, Le Lettere, collana fuoriformato, Firenze, 2009. Da questa edizione saranno
estrapolate le seguenti citazioni dei versi indicandone la pagina di provenienza.
(4) p. 47.
(5) p. 102.
(6) p. 49.
(7) Ibidem
(8) Citazioni esplicite o allusioni, per quanto sottoposte alla deformazione dell'ironia o risemantizzate, sono ravvisabili
nella quinta parte, I have no time. Versi quali Fu collocato il fifteen number: the devil card, o / the sixteen number: the
fire towers card / [] / quindi, the thirteen number alias the / death card or the mutation (p. 97) sembrano alludere,
quanto meno per il tema analogo della divinazione tramite i tarocchi, alla parte conclusiva del primo capitolo di The
wast land, The burial of the dead, in cui viene evocata la figura di Madame Sosostris, chiaroveggente da salotto che
dispone le figure mitiche del poema; i versi Passi di donne che vanno e vengono / per le stanze di Michelangelo (p.
101) riecheggiano invece il celebre ritornello della Love song of J. Alfred Prufrock, nel precedente libro eliotiano
Prufrock and other observations: In the room the women come and go / Talking of Michelangelo.
(9) I versi, peraltro celebri, si leggono al termine dell'ultima parte della Wast land, What the thunder said.
(10) F. Moretti, Opere mondo. Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent'anni di solitudine, Einaudi, Torino 1994, p.
20.
(11) C. Bello Minciacchi, Il sogno di evadere tutto, in P. Vicinelli, Non sempre ricordano, cit., p. XLV.
(12) p. 48.
(13) p. 93.
(14) p. 207.
(15) Ibidem
(16) Ibidem
(17) p. 210.
(18) p. 207.
(19) G. Guglielmi, La vocazione alla poesia di Patrizia Vicinelli, in Bollettario, 8/9, maggio-settembre 1992.
(20) p. 207.
(21) Second time: a Emilio Villa, in P. Vicinelli, Non sempre ricordano, cit., p. 368.
(22) p. 208.
(23) p. 213.
(24) p. 212.
(25) Ibidem
(26) p. 221.
(27) p. 225.





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Spazio e sconfinamenti in Non sempre ricordano di Patrizia Vicinelli

We can be heroes
just for one day.
D. Bowie, Heroes.


Era il 1977 e Monicelli, Risi e Scola mettevano in scena i nuovi mostri, un variet di tipi umani
cinici, spregiudicati, avidi, superficiali, rassegnati o semplicemente travolti dalla storia, da molti
amato per il gusto amaro e grottesco della rappresentazione corrosiva. Ornella Muti, icona di una
bellezza pura e irrequieta, compariva in due episodi del film, Autostop e Senza parole. Nel
primo, per la regia di Monicelli, una ragazza accetta un passaggio da un rappresentante marpione.
Lei una giovane emancipata, intelligente e interessata al mondo: lo suggeriscono l'atteggiamento
allegro ma fermo, il giornale che ha in mano, il modo sottile con cui porta in giro il suo
interlocutore macho e furbastro. Quando, per evitare i suoi approcci molesti, la ragazza gli fa
credere, ingegnosamente ma ingenuamente, di essere una pericolosa criminale evasa, questi la
uccide. In Senza parole, girato da Scola, una hostess nel giorno di riposo incontra uno straniero
bello e dolce, dalle fattezze mediorientali; i due non parlano la stessa lingua ma vivono una
appassionata notte d'amore. Al momento di ripartire, mentre la giovane si imbarca sull'aereo, l'uomo
compare per un ultimo saluto e le dona un mangianastri con la canzone strappalacrime che ha fatto
da colonna sonora alla loro storia. Nell'ultima scena lo vediamo al bar, mentre segue imperturbato la
notizia di un attentato terroristico su un aereo, messo a segno grazie ad una bomba nascosta in un
mangianastri.
Il 1977 anche l'anno di Mina con bign, l'ultimo disco prima del ritiro dalle scene della voce
iconica della musica melodica italiana. Signora delle scene per molti anni, dentro e fuori il piccolo
schermo, dalla vita sentimentale burrascosa e appassionante, fenomeno di costume oltre che
musicale, Mina aveva fissato uno stile di successo nella femminilit, stile cui molte donne 'normali'
tendevano. Certe messe in piega, certa forma delle sopracciglia, certe linee del fard segnavano il
corpo femminile di una audacia possibile, che risuonava delle ambizioni nazional-popolari alla
modernit: una indipendenza dei sensi e dei consumi che sapeva rimanere familiarmente
accessibile, incarnata in canzoni di gioioso edonismo alternate a motivi di amore melodrammatico.
Ricominciare da capo / sembra facile da fare - canta Mina in una delle tracce dell'album - e io
spreco le giornate qui / tra gli angoli di casa mia (1).
Del 1977 prendiamo, per cominciare, due spunti cos, due narrazioni facili della cultura di massa
fingendo che bastino ad abbozzare le multiformi reazioni alla complessa agitazione attorno alla
questione delle donne e al loro movimento, inteso letteralmente come spostamento nello spazio
geografico, o, metaforicamente, come attraversamento dei tradizionali confini della domesticit e
dell'eterno femminino, o anche, certo, socialmente, come ripensamento di ambiti e posizioni. A ben
guardare, infatti, entrambe le suggestioni qui sopra sembrano proiezioni di un pi generale sospetto
nei confronti di una certa donna pubblica, i cui sconfinamenti nella libert continuavano a
mobilitare disagio e apprensione e si concludevano, da copione, con la morte della giovane, e le cui
rappresentazioni invocavano, sommessamente, un ritorno alla sessualit ammessa ma dominata del
domus: in questa casa che mi opprime / in questa notte senza fine / in questo stato di torpore (2).
Certo, questo il '77, anche il tempo di esperimenti estremi, di adesioni viscerali, di corpi offerti
ad esperienze totali. In questo stesso anno, per esempio, alla Galleria d'arte moderna di Bologna
Marina Abramovi e Ulay allestivano Imponderabilia, una performance che, come le altre loro
opere di relazione, costringeva i due artisti a una situazione limite di esposizione e affaticamento.
Nel lavoro portato a Bologna i due sostavano l'una di fronte all'altro, completamente nudi,
all'ingresso della galleria, costringendo i visitatori che cercavano di entrare ad una scomoda
manovra di strofinamento tra i due, totalmente immobili e immersi nei rispettivi sguardi. Lo spazio
del fare arte coincideva con il corpo, a modo suo indisciplinato, refrattario a impersonare l'artista


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staccato dall'oggetto estetico. Due corpi in esposizione, in tensione, si trasformavano in soglia,
diventavano la cosa con cui lo spettatore doveva misurarsi, e compromettersi.
Era il 1977, dunque: notoriamente uno degli anni apicali della seconda ondata femminista, dei
gruppi di presa di coscienza, delle lotte per il riconoscimento, che naturalmente si accordavano al
pi vasto ed eterogeneo amalgama di contestazioni e richieste di diritti. Per dirla con lo slancio
ideale e assolutizzante di allora, con la sua retorica della 'donna' come entit univoca: [n]on si
tratta soltanto di rivendicare alla donna il diritto di farsi 'soggetto conoscente' []. Non si tratta
soltanto di avviare un processo di revisione dei metodi storiografici che consenta un recupero della
donna come 'soggetto della storia' []. Si tratta piuttosto di convogliare tutti questi sforzi verso un
fine pi generale: la costruzione di una scienza pienamente umana (3). Di contro non meraviglia
che le spinte normalizzanti si innestassero su di una cultura italiana tradizionalmente patriarcale.
in questo intreccio di traiettorie nuove, costumi consolidati, culture pop-sentimentali,
sperimentazioni radicali e soggetti in fieri che ipotizzo riscriversi le grafie dell'immaginario poetico
e lo spazio, della vita e della pagina, trasformato. Spazio mai neutro, mai contenitore assoluto,
creato invece dalle relazioni e da esse mediato, esso configurato (anche) da storiche interdizioni:
al movimento materiale o simbolico, di accesso al sapere, per esempio, all'opportunit e alle varie
modalit della presa di parola pubblica, fino alla avventurosa quest esistenziale. Queste
demarcazioni vengono potentemente rinegoziate. La scrittura delle donne (ma non solo) ne registra
le tensioni, in modi a volte fecondi di risultati straordinari. Ecco, dunque, che da una costellazione
minima di riferimenti ed episodi periferici del famigerato '77 arrivo a Patrizia Vicinelli, che in
quello stesso anno cominciava la stesura di Non sempre ricordano, poema epico (4). I suoi
costituenti primari saranno proprio la molteplicit e lo sconfinamento,

COSI' SGUARDANDO IN PANORAMICA
PLURI-DIMENSIONALE
(129)

Nelle riflessioni che seguono sosterr che nella misura poematica Vicinelli trova una potente
posizione discorsiva, in modi che attivano e danno forma a relazioni complesse tra corporeit di chi
scrive, materialit del testo, storie di fuga e di sfida, tracce biografiche, riaffiorante inconscio
politico, aspirazioni a una rifondazione pienamente umana. una misura che permette di
[m]ixa[re] la sua vita alla leggenda (67), consentendo l'entrata in scena di una pletora di elementi,
modi, argomenti: essi segnalano sia il coinvolgimento nell'accadere presente, sia il desiderio di
rifare la vita su di una diversa frequenza, percussiva, viscerale, mitica. Montando, innestando,
schizzando storie e voci disparate Vicinelli tratteggia un 'noi' che rifiuta di fissarsi univocamente,
che si presenta in una molteplicit di piani, ironici, trasgressivi, lacerati, veementi, parodianti, e che
pure si oppone per intero alla repressiva avanzata di una uniformit omologante, quella
LIHLIPUT che INCREDIBILMENTE SI AVVICINATA / HA INVASO 3/4 DELLO
SPAZIO DI TUTTI (130).
Al tempo stesso l'attenzione onnivora per il circostante, per i suoi moti e le sue manifestazioni,
alimenta l'impulso alla digressione, alla commutazione rapida tra vari personaggi e pronomi
personali, a focalizzare sul singolo dettaglio, sulle umane, eterogenee voci che sempre ci
attraversano. Tutto questo, naturalmente, spinge a riflettere sulla natura epica del testo. Di certo le
voci, delle vittime e degli insorti, delle carcerate e dei poliziotti, delle canaglie, dei marocchini,
degli amici e degli erranti, come pure quella dell'autrice-performer, il cui ritmo, fiato e timbro sono
implicati finanche nella resa tipografica del testo, le voci sono le eroiche protagoniste di
quest'opera:

[]
quelli che ci composero otterranno spazio
lentamente ce li rivedremo ridendo attraverso noi


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noi nella nostra magnifica sentenza di luce
come serpenti a tutto cerchio
concludiamo il senso della successione dei tempi.
Quindi,
arrenditi solo quando pi strategico farlo, Lucia.
Mille battaglie perdute, e infine la guerra,
solo allora, prima santo combattere
anche se l'acqua a volte pu sommergere il capo
la tua maschera di perbenismo SCONFINA
SCONFINA...
l'hanno fotografato il tuo cuore,
la tua maschera graziosa sconfina, e CEDE IN PEZZI.
) comunque, questa solo un'indicazione).
MY GOD! UNO CHE PALPITA!
vorrei... vorrei... vorrei.....
) the next stop, man!)
(62)

La versione definitiva di Non sempre ricordano pubblicata solo nel 1985, per i tipi di Aelia
Laelia, e viene ristampata nel 1994, tre anni dopo la morte di Vicinelli, nell'edizione Scheiwiller
delle Opere, a cura di Renato Pedio. Ad oggi disponibile nel bel volume dallo stesso titolo curato
da Cecilia Bello Minciacchi, una ricca antologia multimodale che comprende quasi tutte le opere
edite e inedite dell'autrice bolognese. Vi sono incluse anche alcune copie anastatiche dei manoscritti
di Non sempre ricordano, che, come sottolinea Niva Lorenzini nell'introduzione, in origine nasceva
su lunghi taccuini e tazebao multicolori, come performance grafica e calligrafica, esplosione
linguistica e sfida ai confini tradizionali del libro. Leggiamo, sparsi sulla pagina, caratteri enormi
scritti a mano, in una sequenza di spazi che le barre della punteggiatura riescono a malapena a
registrare: 4 MURA / [] NASCE INEVITABILE / IL TUO GIGANTE (286).
Sembra lecito affermare che, assieme a un nuovo dettato poetico, Vicinelli reinventi lo spazio stesso
del poetico. Aprendolo, innanzi tutto, portandolo oltre i limiti della pagina bianca e della
subvocalizzazione, e innervandolo di una mobilit, di linguaggi, di voci e di luoghi, che ha molto a
che vedere sia con il problema specifico del poeta donna, ovvero situarsi in una tradizione che si
costituita eminentemente ponendo il femminile come oggetto (ispirazione, simbolo, allegoria) per
eccellenza (5), sia, pi in generale, come per gli altri suoi sodali, con una revisione profonda delle
convenzioni e dei generi.
Non mi soffermer sullo status obliquo della scrittura delle donne rispetto alla poesia lirica, il cui
canone, almeno in Italia, ha a lungo poggiato saldamente sulla costituzione di una alterit femminile
muta (nelle trasfigurazioni poetiche) o ammutolita (negli archivi dimenticati). D'altra parte l'epica
invocata da Vicinelli non costituiva certo un genere 'femminile', n per temi, n per voci. Una
epica nel senso pi vero - scriveva gi Pound - il discorso di una nazione pronunciato dalla
bocca di un sol uomo (6): c' ragione per credere che quell' uomo non fosse applicabile
genericamente, pi ancora per ritenere che i termini politici e storici in cui si dispiegava il
discorso non fossero immediatamente disponibili a una donna poeta. Eppure la strategia epica non
solo autorizza Vicinelli a chiamare all'appello una serie di personaggi, situazioni, registri,
idiosincrasie, residui incontenibili nello spazio angusto di una poesia come istanziazione unitaria,
essa la proietta anche in una matrice di dissenso e costruzione dell'auctoritas che arriva ai giorni
nostri: Rosaria Lo Russo e Daniela Rossi invocano proprio Patrizia Vicinelli, insieme ad Amelia
Rosselli, come figura fondativa del poema epico italiano, con l'intento di ispirare una presa di
coscienza (etica, poetica, politica) specificatamente femminile (7).
Vi , dunque, nella scala de La Libellula di Rosselli e di Non sempre ricordano, come di altri
magmatici assemblages vicinelliani, una potenzialit di argomentazione e di fondazione che li rende


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pi accoglienti alla spinta eversiva e ri-costruttiva di quanto non sia la lirica, pi adatti ad un
discorso politico che rimanga al tempo stesso disponibile alle proprie, singolari psicomachie. Si
tratta di epica, ci dice esplicitamente l'autrice bolognese: ma come viene allestita? Che cosa
organizza? Quali figure dell'umano sono rese possibili dal suo spazio ampio? L'epica di Vicinelli
realizzata per anomalia, attraverso tensioni che distorcono le aspettative relative a questo genere,
associato alle imprese di uomini forti, centrato sul destino della patria, cos pesantemente codificato
al maschile (8).
Va detto che la scelta dell'andamento poematico era funzionale a un pi vasto aggiramento dell'io
lirico intrapreso da molti contemporanei. Le soluzioni formali della poesia canonica non
sembravano pi in grado di contenere il delirio di popoli, razze e trib (9), il rimescolamento
dei confini tra linguaggio 'alto' e 'comune', la vocazione al presente. Pagliarani racconta bene la
scelta della terza persona come una salutare fuga dagli autocompiacimenti della lirica: non si
trattava solo di ampliare il lessico poetico, ma, inevitabilmente, di reinventare i generi (10). La
poesia come scena rarefatta di una illuminazione morale era dunque un problema: troppo limitanti
la sua postura didattica, il postulato distacco dell'oggetto estetico, le sue pretese universalizzanti,
l'istituzione della pagina bianca come macchina creatrice di aura. Altrove si era teorizzata la pagina
come campo di forze, dimensione sensibile del respiro e del gesto; contro l'appagamento di un
soggetto poetico dato per scontato si aspirava a un nuovo realismo, a una nuova oggettivit, per cui
anche l'io era un oggetto, oggetto era anche la sillaba (11). E poi le esperienze del concretismo e
della poesia visiva, della poesia detta e recitata in mezzo agli altri, ibridata con la musica, espansa a
raccogliere pi vivente: tutto questo scompagina una compartimentazione tradizionale. Non sempre
questa aspirazione alla sinergia e alla totalit dava i risultati sperati. Come ricorda Spatola: Spesso
la poesia visiva non altro che poesia incorniciata, che si limita a rifiutare il libro per accettare la
galleria d'arte, e cio ad abbandonare un pubblico di lite per un altro pubblico di lite (12). Di
certo questa nuova attenzione alla materialit dimostrava che neanche lo spazio della pagina era
innocente. Per dirla con Vicinelli: [u]n insegnamento senza via di scampo / aveva bruciato i lembi
della letteratura (79).
Diciamo, dunque, della lunghezza. Pavese, notoriamente, si era soffermato a raccontare il
tormentato rapporto tra respiro e unit poetica, tra autosufficienza di un testo, concatenazione dei
testi ed elemento narrativo. Diceva di convenire con Poe, laddove questi sosteneva che la lunghezza
in poesia non facesse che rovinare l'elemento artistico pi importante, la totalit, o unit di
effetto, e che una poesia lunga, in fondo, non fosse altro che una successione di poesie brevi,
ovvero, di rapidi effetti poetici (13). E lo integrava, specificando: non soltanto una questione di
mole. Tuttavia, rigettando il genere poemetto (che sentivo confusamente condannabile),
descrivendo il suo sforzo nell'inventare una forma della poesia che sostenesse un complesso di
rapporti fantastici nei quali consista la propria percezione di una realt (14), Pavese stesso non
sfuggiva ad una tassonomia basata sulle dimensioni e parlava di lunghezza delle righe e di mole, di
numero di versi e di limiti. Persino Poe, severissimo con la poesia che per ampiezza costringesse a
superare la singola seduta di lettura, e che credeva che il valore di un testo poetico fosse in
relazione matematica con la sua estensione (tanto pi breve quanto pi intenso), doveva
concedere che un certo margine di durata una condizione fondamentale per la produzione di
qualsivoglia effetto (15).
A ben guardare la poesia lunga, se rinuncia ai principi dell'epifania improvvisa e dell'unit, pu
attivarne altri: quelli dell'accumulazione e della molteplicit, oltre che, tipicamente, quelli della
narrazione (con la caratteristica mutevolezza che consente di passare dalla satira alla tragedia al
dialogo e cos via), e, nella fattispecie di Vicinelli, quelli di una sperimentazione sul rapporto tra
linguaggio, mente, corpo e cose immersi in una nuova intimit, revisionante il gi dato. Cambiare
questo rapporto implica trasformare profondamente il soggetto poetico: alla modalit basata su un
io solitario di fronte al mondo in un estatico momento trascendente, si preferisce una enunciazione
frammentata, dislocata, a volte surreale e onirica, a volte contestatrice e punk, con tirate ipnotiche
rifrangenti le deflagrazioni sociali e culturali dell'epoca.


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La quantit di versi, la loro distribuzione, la veste tipografica del testo, la segmentazione, la
suddivisione in parti, la reiterazione, la distorsione sintattica, l'uso della punteggiatura: nulla di tutto
questo innocente o scontato, naturalmente, in poesia. Vicinelli lavora su questi e ulteriori piani
formali perch impersonino (perch risuonino) il singolarissimo percorso epico di Non sempre
ricordano. Re-immagina l'epica investendola dell'ardente qualit dei corpi e della loro mobilit, di
una parlata idiomatica, anti-accademica, franta, dell'incandescenza del tempo presente, di un'azione
che esce dai confini nazionali, fino ad arrischiare la psichedelia: Guarda, / vasto il territorio. Una
lunga mente flessuosa (88).
Sciogliamo il nodo pi scottante: vi narrazione di 'gesta', s, ma certo non nei termini di una
Bildung individuale o di una epopea nazionale. In Vicinelli l'impresa del singolo eroe, impresa dalle
pi ampie implicazioni formative all'interno della cultura d'origine, non si d nei termini statutari
dell'epica. Se vi superamento di una serie di prove tempranti, esso plurale, messo in atto da
variegate schiere di personaggi, sparsi e ricollocati su di un territorio non circoscrivibile dalle patrie
frontiere e dalle sue istituzioni. La tensione qui non verso la raffigurazione di un ordine stabile, n
verso la memorializzazione di una eredit mitica: si sta, piuttosto, nella temperie di un tempo
attraverso una variet di incarnazioni, di inabissamenti psichici, di incontri cruciali. A voler scoprire
o ri-creare un'alternativa condizione umana. Gli stralci di conversazioni, i suoni, le frasi, i gemiti o i
dialoghi afferrati quasi casualmente, dei compagni o dei venditori, dei morti ammazzati o dei
giramondo, sono cos importanti in quest'opera perch segnalano l'inevitabile pluralit e innata
apertura di tale condizione: le voci hanno ragione di essere perch ogni essere umano sta con gli
altri. Ancora prima di una opinione e di una identit esse esprimono, nella loro materialit fonica,
l'unicit di ciascuno. E quando si danno per aprire uno spazio relazionale fra essere unici (16).
Non la voce superiore del bardo o del dio o dell'eroe a fare la comunit.
Se una trama 'classica' rimane inafferrabile, quell'inafferrabilit che dobbiamo interrogare. Il
mondo epico di Vicinelli non una totalit coerente, piuttosto esso forma un orizzonte,
materialmente imprendibile e pur presente. Rimane processo, ricerca verso principi altri, che
riformino le metafisiche, le storiografie, le modalit esistenziali ordinarie. Vicinelli complica la
procedura narrativa sottraendole un valore che altre scritture giudicano indispensabile: un senso
univoco, uno scioglimento finale, un modello morale. Gli 'errori' ne segnalano l'erranza. I subitanei
passaggi tra diversi pronomi personali e tra tempi verbali, per esempio, il plurilinguismo, l'innesto
di memorie personali, l'invocazione di nuovi archetipi, che siano impersonati da Janis Joplin o da
Jean Genet, scombinano le traiettorie puramente omosociali dell'andamento epico, il soggetto
poetico unilaterale, nonch le velleit di una trama unica.

Volevano andare tutti l, lontano
dalle chiazze sui materassi fetidi
di sudore e sangue, questo giudizio che
ci diamo conformi all'apocalisse,
basta disse centrato un punto del silenzio
la perfetta assenza gettando un urlo
che fu udito fino al cielo,
come una meditazione riuscita.
Oh lord, want you buy me a color tv...
chant d'amour,
genet lo sa
voglio cadere dentro il sole
che non resti traccia
le motivazione profonde, s,
d'amore.
(115-116)



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Assistiamo alla epopea della sua fuga (75), che, alternativamente, si riferisce alla fuga di
Ezequiele (74), o a quella di Roberto a Casablanca (110), alla fuga della P., finita con la
cattura, o a quella di certo Benito G. mexicano / e poeta finito a colpi di shock electro (92). Sulle
molte fughe si proietta, s, l'esperienza della latitanza di Vicinelli, del periodo trascorso in carcere,
peraltro su accuse risibili. Ma i tanti personaggi in scena non sono semplicemente alter-ego di chi
scrive, piuttosto alter-dove (17). Luoghi esotici e miti contemporanei, metropoli straniere e
postazioni di provincia, oasi inventate in viaggi fittizi (85), registrano l'aspirazione a fuoriuscire,
in ogni senso. La strategia quella dello spaesamento, linguistico e narrativo. Uno stra-
spaesamento, anzi, che esplode gli asfissianti inscatolamenti culturali nazionali.
Non a caso il poema prende avvio in termini puramente spaziali: il titolo della prima parte infatti
Lontani dal paradiso. Strada non ancora avvistata (45). Essa ci consegna una non-via di uscita: le
morti, per ritorsione e per pestaggio, che sono al centro della sezione d'esordio. Cos attacca il
poema, con le eterne vendette contro i poveracci, con le vecchie omert di altri disgraziati e gli
abusi di potere dei forti, la prevaricazione autorizzata legalmente / dei TUTORI dei CORPI dei
CITTADINI (55). A questa segue una seconda parte che monta frammenti di ricordo, asciuttissima
elegia, moti di denuncia, gli inseguimenti, la vita in carcere. Il poema comincia con degli omicidi,
in una rimessa, in una caserma, nel retro di un bar, ma in galera nella seconda sezione troviamo
Concetta, che compie gli anni 'dentro':

: S, TRENTA CINQUE ANNI CONCETTA,
abbiamo festeggiato i tuoi anni
COME FOSSI A CASA CON NOI
e cos dicendo il marito le aveva spaccato il cuore
dal dolore
per quella accertata solitudine
: per me, si vous voulez, rose di rosso scuro,
le baccar, quelle che preferisco.
(60)

Luoghi fatali e inquietanti questi in apertura, di cui qualcuno potr anche dire MA NON E' MALE
ACCHI' [] / CON IL LUME TONDO D'ARANCIO / CON LE TENDINE
DI PLASTICA / CON LE LENZUOLA DA CASA / CON LA TELEVISIONE
ACCESA (60). Tuttavia, inevitabilmente, con la loro soffocante domesticit, con le
ossessioni dell'ordine costituito, queste scene iniziali istituiscono le premesse all'evasione, al
pericoloso viaggio verso un posto altrove.
Solo nei limiti della relazione dinamica tra due o pi luoghi si pu concettualizzare il viaggio, che
sia edonistico o coatto: esso non si d senza una 'casa' iniziale da cui partire e a cui far riferimento,
che sia luogo verso cui far ritorno o da cui fuggire per sempre. Il viaggio non tale senza che in
qualche misura l'inizio stesso sia perduto. Paradossalmente la 'casa', loikos, un punto di
orientamento utile ad un disorientamento necessario: la sua percezione deve variare perch si
realizzino le condizioni di spostamento e cambiamento inerenti al viaggio. La manipolazione dei
luoghi, nella loro ruvida irregolarit fatta di frontiere, blocchi, paludamenti, dogane, lingue
straniere, alberghi, carceri, paesi stranieri e lattraversamento dei confini del noto attivano un nuovo
rapporto con l'origine e con la meta. La partenza e larrivo, i punti di riferimento dello spaesamento
che il viaggio, non sono dati immobili: lesperienza della loro scabra trasformativit ad essere
qualit precipua del viaggiare. Il luogo non un contenitore di spostamenti, paesaggi o incontri,
bens accade insieme e attraverso quegli stessi, non uno spazio astratto, inerte, ma un prodotto (e
un protagonista) delle umane interazioni (18).
Se l'inizio di Non sempre ricordano sta nella reazione all'imprigionamento, nella ribellione agli
spazi normati, fuggire significa accorgersi ben presto che altri / marciavano nella stessa direzione
(74), verso una destinazione ignota


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META CERCATA
INCOGNITA DA STABILIRE
DIVIENE
DIREZIONE METASTASI IRREFRENABILE
CONGIUNGERE L'ATTIVIT A QUESTA
DINAMICA INTERNA
IN MODO DA PADRONI E PARTECIPI
DELLA PROPRIA CURA
AGGIRARSI DISTENDERSI (E RANNICCHIARSI
NEL BISOGNO)
(129)

Va notato come i protagonisti di Vicinelli si costituiscano per opposizione, ma rimangano
costellazione mobile, mai placati in una configurazione determinata. Non si stagliano mai
personalit a tutto tondo, n compaiono eroi compiaciuti del loro destino. Tutt'al pi lampeggiano
archetipi salvifici, Adamo e Orfeo (74), e figure eroiche, su tutte il samuray, come strategie
proiettive che consentano di ribellarsi. Proiettare il samuray, e io poco dopo ero salva (83): cos si
intitola la quarta parte, in un sol colpo rifiutando lo statuto di vittima inerme canonicamente volta al
femminile e aprendo alle potenzialit sovversive dell'immaginario. Il poema procede
rizomaticamente, opponendosi alla LIHLIPUT (130), alla mediocrit dei cuori scelta / coi tests
preselettivi (55), senza rinunciare alla felice eterogeneit del 'noi' che vi si contrappone.
Rivelatrice questa consonanza tra esplosione formale dello spazio-pagina, nuova tavolozza di
espressioni contro l'anestesia del bianco, scombinamento sintattico, persino contro le convenzioni
della punteggiatura, e tematizzazione della fuga e della ribellione: tutto partecipa al tentativo di
decentrare l'autorit, di mettere in forma una alterit critica. Si investe in una nuova forma di
sophia, che abbia al centro il corpo desiderante, le percezioni, la visionariet. Non sono senza rischi
queste immersioni, queste adesioni che sconfinano nella vita. Neanche in poesia, dove il pericolo
l'eccesso di oscurit. D'altra parte di l c' L'AREA DI DOMINIO (56), l'agevole chiarezza dei
massimi sistemi, la semplice uniformit dell'egemonia in sintonia con lo spirito del club, la
sinistra linearit da Piano di rinascita democratica, con le sue Premesse, gli Obiettivi, i
Procedimenti e Programmi (19). La banalit di questo male riposa sulle tacite connivenze, sulle
rassegnate conformit. Anche di queste Vicinelli sa dire potentemente, con grande sintesi visiva:

SIGILLI, MINISTRI
DALLE GIARRETTIERE ROSSE
ovvero menti contorte, corpi
ristretti, piumosi
mediocrit consentita ai quadri
richiesta: avidit-sottomissione
(amoralit garantita): ognuno ha
il suo prezzo []
(101)

All'ordine dei quadri Vicinelli preferisce un estatico torcere, un intrecciarsi di trame, creando reti
e ragni con tele (99). Scrive cos da disinnescare l'uniformit e far riaffiorare il rimosso, il
marginale. In questo si inseriscono le geo-grafie degli avventurieri spatriati, gli smodati
plurilinguismi delle sessioni marocchine:

c'era una volta in Tangier
tangerine dream


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Morocco nord 'Afrique made
elm, l'acqua
due mari
due lingue
era una questione di radici
una lezione trasversale
spanish french et arabie
(105)

Il dinamismo del materiale lessicale e sintattico e della sostanza fonica fecondo e imprevedibile.
Vividi e alteri insieme i passi che evocano gli inesauribili dialoghi tra le lingue, di seduzione e
scoperta, di estasi e paura. Essi disegnano una generazione che sconfina e aspira: torre di Babele o
la maison de dieu, / (perch noi sappiamo di cielo (97). Vi fierezza senza aulicit, mondo
quotidiano senza minimalismo. Anche qui torna la felice corrispondenza: il motivo della
trasgressione, lo spostamento geografico e il detour linguistico sembrano articolare lo stesso
movimento anti-autoritario.
Come Rosselli, l'altra magistrale manipolatrice di lingue e linguaggi, Vicinelli cerca contaminazioni
e interferenze con le altre lingue, inserisce arbitrariamente alloglotti (Non aveva osato to entry a
Venezia, 87), compone nuove parole (uomolocausto, 51), usa arcaismi e termini mistilingui
(putrefactio inspirata, 99, HEROICO, 129). Mentre la prima se boutt dans l'encre (20),
Vicinelli, sotto l'influsso delle arti visive e della performance orale, adotta anche le possibilit della
grafica (p o v e r i n a, 61, t.u.o.n.a.r.e., 47, nonch il ricorrente maiuscolo), usa inserti
onomatopeici (il suo cuore scoppiava come una molotov / e faceva bang bang vvvv ffff, 98),
impiega refusi nella punteggiatura (virgolette non chiuse, parentesi mai aperte, virgole dopo i due
punti, ecc.), addita alle cadenze enfatiche del parlato (YOU RE-MEM-BE-RRRR?!!! 90), fa
propria una tmesi idiosincratica (tutt'in torno, 47, guard'ia, 101). Caratteristico l'uso estremo,
deviante, dell'iperbato, uno stilema che in special modo riecheggia dell'intreccio di voci e viaggi:
allentando la naturale alleanza sintattica tra varie parti del discorso, come se un cuneo di materia
psichica vivente (111) si innestasse nelle fantasmagorie del mondo. In questo scioccante
avvitamento la sintassi distorta e ri-agglomerata indica possibili discorsi secondi, si apre a ulteriori
percorsi:

egli si apre a questo senso un corpo aperto
l'aria ai fiori sempre sulla terra si ripete
verr e vorrei, superba proiezione d'estati
ATTORCIGLIAMENTO, deglutisce, the queen of
desire
(63)

O ancora:

nel palco di un la preghiera di un
teatro 'Plaza Real' la sola che conosco
santo sconosciuto stava seduta
al centro
(50)

Smontando la sintassi, rimontandola come se le sue parti fossero pezzi di manifesti sovrapposti, un
palinsesto di atti linguistici simultaneamente presenti, Vicinelli d corpo al mostro attorcigliato
(85) di un desiderio policentrico, che sfugga la linearit e le gerarchie, della vita come della
scrittura.


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Come pu il fibrillante divenire di questa poesia dirsi epico? Non erano proprio il plurilinguismo e
la parola colloquiale e contemporanea, come sosteneva Bakhtin, a segnare la fine della scrittura
epica? La distanza da un passato assoluto e compiuto, il mondo eroico degli inizi della tradizione
nazionale: precisamente quella inaccessibilit era la cifra dell'epica classica. L'esperienza
particolare e la conoscenza ne erano escluse, la sua forza creativa era nella memoria di un passato
chiuso, sacro e perfetto. Il presente e il futuro, aperti e transeunti, non potevano farne parte (21).
L'epica di Vicinelli in tensione con questi costituenti primari. Re-immaginando lo spazio della
nazione oltre i suoi confini nazionali e oltre i confini interni delle gerarchie di classe, registrando i
pi svariati colloqui e le pi diverse voci, Vicinelli sottrae il monopolio del discorso rilevante al
bardo unico o alla sua lite di eroi esemplari ed estende la citabilit anche agli altri, tutti quelli che
cercano, quelli che si calano laggi nel pozzo profondo (105). Non storie individuali, n cenni
biografici di alcun tipo, come gi s' detto, nella pioggia di nomi, esclamazioni e dialoghi che
scroscia in quest'opera. Nei repentini passaggi da Casablanca a Gerusalemme, dal deserto berbero a
Firenze, da Ostia al Texas fondata la quest essenziale: non nella specifica realt dei luoghi, ma
nella sacralit della ricerca. Poich santo morire se si stava cercando / qualcosa (110). Se il
passato assoluto era la qualit primaria dell'epica, qui forse l'uso dello spazio e dei luoghi a
consentire il tempo mitico, l'imponenza e l'energia del discorso epico, la fondazione dei nuovi
principi vitali della comunit e l'aspirazione a interrogare e a sfidare i depositati capisaldi della
cultura nazionale. Di questa si chiede non gi cosa sia, ma dove: SE TI CHIEDESSI DOV' LA
NOSTRA CULTURA, / DOV'? diceva il disco richiesta di quel giorno. (123)
Non sempre ricordano esordisce con un imperfetto: ...TUONAVANO (47). I puntini di
sospensione segnalano un discorso che viene da altrove, che continua. Il solenne affresco iniziale,
con tuoni e abissi, crateri e incontri fatali, la scena da cui si parte per l' ULTIMO VIAGGIO
(47). Le ultime pagine dell'opera passano repentinamente da un tempo verbale all'altro, e si
chiudono, alla fine di un muro di maiuscole compatto e inderogabile, con un futuro: NON
AVANZERANNO PI DI UN SOLO PASSO. (131) Se il tempo non pi quello teleologico
della metafisica, ancor meno quello lineare della storiografia positivista, esso si fa epico proprio
nella sua ri-figurazione in termini spaziali, nella simultaneit materica delle presenze. Viviamo
nell'epoca del simultaneo, nell'epoca della giustapposizione, nell'epoca del vicino e del lontano, del
fianco a fianco, del disperso, scriveva famosamente Foucault (22); immaginando il tempo non pi
come una retta continua, bens come un reticolo che si intreccia indefinitamente e come un
palinsesto di eventi compresenti, Vicinelli lo rende disponibile alla presa mitica, ad una visionariet
maestosa e liberatrice dai vincoli:

[] Non c' stendardo che possa
realmente fermarmi, n chiusura di spazio,
n circolo di tempo: la mia vita e la mia
morte sono la stessa avventura.
(102)

Gli ultimi versi sembrano ispirarsi all'amato Eliot dei Quattro quartetti, il cui secondo movimento
esordiva con in my beginning is my end e si concludeva con in my end is my beginning.
Numerosi sono gli echi del poeta americano: nell'accento tedesco di I have no time (99)
ritroviamo la donna lituana de La terra desolata, nei passi di donne che vanno e vengono / per le
stanze di Michelangelo (101) sentiamo risuonare i versi del Prufrock (In the room the women
come and go / talking of Michelangelo). Eliot fu modello ispiratore, ma la sua anti-epica costruita
mimeticamente sul frammento rimpiangeva il tramonto dell'Occidente, la condizione post-bellica di
svuotamento, e l'ordine mitico andava a compensare l'isolamento psichico. In Vicinelli l'instabilit
invece euforica, incandescente anche quando sofferta, e produttiva di revisione. La rivolta ai
monopoli di stato (77), l'espatrio, l'eteroglossia sono anche evasioni dal mondo circoscritto e
ammansito, privato e sentimentale, riservato alle donne (nelle figurazioni letterarie, nelle posizioni


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discorsive disponibili, nelle consuetudini sociali). Se per Eliot le donne erano figure di decadenza,
alternativamente segni sia della corruzione dei costumi che del convenzionalismo culturale, per
Vicinelli loro, i nemici, i reazionari, i tutori, non hanno un genere in particolare, semmai una
statura (quella dei lillipuziani), a volte una divisa (il maresciallo, i poliziotti). Lo iato tra tempo
umano e tempo mitico si colma in Eliot con un movimento trascendente. In Vicinelli la revisione
dello spazio a consentire il salto, l'installazione su di un piano orizzontale di visioni simultanee e
multiformi possibilit, che siano quelle della libera commutazione tra i generi sessuali, del rimpasto
dei generi letterari, del plurilinguismo, o della manipolazione dei materiali poetici. Non a caso,
forse, tra i molti iridescenti luoghi, ad ospitare caleidoscopiche combinazioni sta anche il deserto:

su quell'autobus entrando in uno spazio cos vasto e
illuminato, da allora
c'era tempo per pensare e per non
pensare pi pas penser trop
consigliano, scendi fino al deserto, disse,
i colori si fanno roventi, le case
si abbassano al suolo,
scendi fino ai gin ballerini del deserto,
dove i chicchi di sabbia rullano al vento,
e passeri senza ali cinguettano
dove l'usura crea montagne crepate
e le riduce in briciole,
dove i solchi delle carovane di camions
durano il tempo di una notte.
(112)

In questa nuova manovrabilit degli spazi si mobilita la polifonia che la cifra di Vicinelli. Essa
di certo alimentata dalla vicenda umana dell'autrice, in cui includo le esperienze (materiali, prima
che poetiche) della poesia concreta e della performance orale, come pure la latitanza in Marocco, il
soggiorno nella multilingue, stratificata Tangeri, o il periodo trascorso in carcere. Tuttavia non si
tratta di mera soluzione psicologica, di sintomo. Piuttosto, attraverso il bruciante dato esistenziale,
spazi concettuali e spazi linguistici stanno in tensione con le possibilit della propria creativit. In
Vicinelli la loro relazione abilitante sembra costituirsi nella dialettica tra struttura poematica e
polivocale multiformit, tra autorevolezza del genere epico e sua revisione in una installazione
smottante di frammenti, linguaggi, timbri.

Renata Morresi


Note.
(1) A capo, di Cocciante-Luberti, in Mina con bign, EMI, 1977.
(2) Ibid.
(3) Dalla quarta di copertina del primo numero di DWF, Donna Woman Femme: rivista internazionale di studi storici e
sociali sulla donna (1975), cit. in Catalogo dell'archivio Silvana Donno, stampato per il convegno Scrittura delle
donne fra letteratura e giornalismo, Bari 29 novembre 1 dicembre 2007.
(4) Qui far riferimento all'edizione curata da Cecilia Bello Minciacchi in Non sempre ricordano. Poesia, prosa,
performance, Firenze, Le Lettere, 2009. Il volume contiene un saggio di Niva Lorenzini e un'antologia multimediale a
cura di Daniela Rossi. I numeri di pagina delle citazioni saranno dati tra parentesi nel testo.
(5) Il problema non stato soltanto femminile, se pensiamo a Pasolini che imputa a Petrarca un impiego terroristico
della eterosessualit. Vedi P. P. Pasolini, [In occasione del sesto centenario della morte del Petrarca], 1974, cit. in
Nicola Gardini, Recuperare il corpo: genere e proibizione sessuale nella storia della letteratura italiana, in Trame di
letteratura comparata, 2 (2001): 19-38, p. 36.


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(6) Ezra Pound, Lettera alla madre, cit. in Louis Lohr Martz, Many Gods and Many Voices: the role of the prophet in
English and American modernism, University of Missouri Press, 1998, p. 17. La traduzione, qui e nelle successive
citazioni da testi in inglese, a cura di chi scrive.
(7) Il manifesto Fragili guerriere poepiche di Rosaria Lo Russo e Daniela Rossi si pu leggere su AbsoluteVille,
<http://www.absolutepoetry.org/FRAGILI-GUERRIERE-poepiche-di> (pubblicato il 6 Marzo 2011; ultimo accesso: 3
Novembre 2011), oppure su Alfabeta2, <http://www.alfabeta2.it/2011/03/09/fragili-guerriere-poepiche/>
(pubblicato il 9 Marzo 2011; ultimo accesso: 3 Novembre 2011).
(8) Vedi Susan Stanford Friedman, When a Long Poem Is a Big Poem: Self-Authorizing Strategies in Women's
Twentieth-Century Long Poems, in Dwelling in Possibility: Women Poets and Critics on Poetry, a cura di Yopie
Prins e Maeera Shreiber, Cornell University Press, 1997, pp. 13-37.
(9) Gilles Deleuze, Literature and Life, Critical Inquiry, 2.23 (1997): 225-230, p. 229.
(10) Vedi Elio Pagliarani, Ragione e funzione dei generi, Ragionamenti, 9, 1957.
(11) Penso a Charles Olson e al manifesto di poetica Projective verse, del 1950.
(12) Adriano Spatola, Verso la poesia totale, cit. in Sauro Fabi, L'avanguardia per tutti: concretismo e poesia visiva tra
Russia, Europa e Brasile, Macerata, EUM, 2008, p. 97.
(13) Edgar Allan Poe, The Philosophy of Composition, 1846, in The Oxford book of American essays, a cura di Brander
Matthews, New York, Oxford University Press, 1914, Bartleby.com, 2000, <www.bartleby.com/109/> (ultimo accesso:
3 Novembre 2011).
(14) Cesare Pavese, Il mestiere di poeta, in Le Poesie, Torino, Einaudi, 1998, pp. 105-113. Le citazioni sono
rispettivamente a pagina: 106, 110, 111.
(15) E. A. Poe, cit.
(16) Sulla politicit inerente all'atto del parlarsi vedi Adriana Cavarero, Logos e politica, in A pi voci. Filosofia
dell'espressione vocale, Milano, Feltrinelli, 2005, pp. 200-214.
(17) Pi precisamente, Vicinelli scrive: OH! MIO! ALTER. DOVE? (59) Qui mi concedo il gioco di parole con alter-
ego per introdurre la questione cruciale del viaggio.
(18) Vedi Georges Van Den Abbeele, Travel as Metaphor: From Montaigne to Rousseau, University of Minnesota
Press, 1992, e Henri Lefebvre, The Production of Space, Oxford, Blackwell,1991.
(19) Il testo del Piano rintracciabile su Web, pubblicato e citato da molti siti. Non sorprendentemente non sono
riuscita a trovarne una versione ufficiale.
(20) Il verso di Rosselli da Diario in Tre Lingue, in Poesie, Garzanti, Milano, 1997, p. 88. Daniela La Penna ne
propone una interessante lettura in La mente interlinguistica. Strategie dell'interferenza nell'opera trilingue di Amelia
Rosselli, in Eteroglossia e plurilinguismo letterario II, Atti del XXVIII Convegno interuniversitario di Bressanone (6-9
luglio 2000), a cura di Furio Brugnolo e Vincenzo Orioles, Roma, Il Calamo, 2002, pp. 439-456.
(21) Vedi Michail Bachtin, Epos e romanzo, in Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1983, pp. 445-482.
(22) Michel Foucault, Eterotopia: luoghi e non-luoghi metropolitani, Mimesis, Milano, 1994, p. 11.




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I l (dis)Sacrato Poema

Io non Enea, io non Paulo sono
Dante

Elettra , le tue universit!
A. Rosselli


Sarebbe interessante iniziare a tracciare la storia della letteratura italiana femminile dal Novecento
ad oggi. Emergerebbe un continente sommerso, all'interno del quale, nella seconda met del secolo,
la forma-poema mostrerebbe di avere un particolare rilievo, declinata, come si suole in ogni
preistoria, nella sua accezione originaria di poema di fondazione, il cui statuto eminentemente
orale-vocale, a trasmissione performativa, lo ricongiungerebbe alle ragioni vitali profonde del suo
nascere e imporsi sociale, fenomeno ancora criticamente non osservato e in quanto tale non
studiato.
Le pagine che seguono non hanno questa pretesa, ma l'attivit di performer della sottoscritta s,
intendendo tale attivit testimoniare di una grandezza letteraria incompresa e anche travisata, negli
anni delle prevalenze minimaliste, della asocialit della poesia e delle persistenze maschiliste in
ambito accademico e non solo, ch perfino i sodali di autrici quali Patrizia Vicinelli ed Amelia
Rosselli non colsero l'aspetto letterariamente rifondativo della loro scrittura, limitandone l'orizzonte
alle vaghe somiglianze con gli esperimenti testuali e performativi della neoavanguardia.
E invece i poemi epici di Vicinelli e Rosselli in particolare il capolavoro del '58 di Amelia
Rosselli, La libellula, hanno rappresentato un nuovo inizio per la poesia scritta dalle donne in Italia.
Ho gi tributato il mio omaggio e ringraziamento implicito a queste due autrici in vari luoghi, per il
reperimento dei quali rimando alla bibliografia finale.
Qui intendo riproporre un mio saggio specificamente autoesegetico scritto qualche anno fa in
occasione di un convegno in Argentina, - al quale fui invitata in quanto poetisa contemporanea che
molto doveva al buon Padre Dante -, estremamente dettagliato nei riferimenti, e, per converso,
alcune mie note, brevi e incomplete ma appassionate e a caldo, sul lavoro di Florinda Fusco, le cui
uscite editoriali molto recenti ne fanno l'ultima e straordinaria rappresentante di una genealogia che
ritengo molto vitale e attiva.
La tesi fondamentale questa: il soggetto del poema scritto dalle autrici italiane dalla fine degli
Anni Cinquanta ad oggi, un Io Esperienziale che tende a diventare un S Transpersonale. L'Io
Esperienziale procede ad una ricerca basata sull'Esperienza (inteso come termine specifico della
mistica) e in quanto tale la sua scrittura necessariamente sperimentale: Io sono una che
sperimenta con la vita scrive a nome di tutte le successive - Amelia Rosselli ne La libellula. Tale
scrittura non aspira ad essere una narrazione autobiografica, infatti si serve dello strumento-poesia
proprio perch una modalit di ricerca di un S transpersonale (e lo sesso fenomeno avveniva
contemporaneamente negli Stati Uniti, si vedano i rimandi bibliografici), che un Attante narrativo
storicamente determinato, che comprende l'Io esperienziale delle singole autrici ma lo trascende,
servendosene esperienzialmente, per fondare un canone altro poematico che si situi nella tradizione
letteraria italiana sovvertendola e parodiandola sia nelle forme che nei contenuti, dunque
sostanzialmente mettendola in crisi e innovandola.
Questo lungo grido, questo lungo sospiro ed espiro, questo lungo Appello, questa flussuosit
dirompente che risuona e si trasmette da oltre mezzo secolo viene bellamente ignorata dai critici e
dagli storici della letteratura italiana. Provo, da dilettante qual suono, a porre fine a questo
affossamento niente affatto casuale in maniera volutamente antiaccademica e militante, sempre
nella speranza che le autrici si riconoscano nella mia impostazione o desiderino controbatterla ad
armi pari.



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Comdia&Comeda
(Anonimo Fiorentino)


Tutto verr tralasciato di quanto concerne i riferimenti non danteschi nei testi poetici che
commenter e molto verr tralasciato, in queste pagine, di quanto intercorso fra Dante e Me, fra il
Padre della Poesia Italiana e una Figlia Incestuosa di essa, fra dettatura amorosa e dittatura della
tradizione dantesca nella mia poesia. Ma la messa a fu(o)co dellessenziale poietico, e quindi del
suo valore precipuamente testimoniale, mi inducono a rinunciare allesaustivit filologica a favore
di un rilievo ideologico del discorso, che intende essere adeguato ad una militanza poetica
sottomessa allattualit dello stato presente della poesia femminile, non fossaltro perch da anni se
ne fa un gran discorrere generico (ovvero con lapprossimativit di molti, troppi, studi cosiddetti di
genere), appunto, senza per quasi mai soffermarsi, qui, s, filologicamente, ovvero in medias res,
sugli elementi propriamente letterari di quanto vagola in tali studi, genericamente femministi, sul
monstrum detto poesia femminile: i grandi temi della ricerca dellIdentit poetante (che poi si
riduce tristemente e troppo spesso a generici autobiografismi che sconfinano nella pseudopoesia
dello sfogo emotivo) e quindi del Corpo, in primis. Mi tenter di verificare la presenza di alcuni
motivi ascrivibili a queste tematiche, altrimenti generiche, facendo atto, umilmente puntuale, di
autopoietica, ovvero prendendo alcuni miei testi a prestesto per un discorso che, fra le righe,
vorrebbe essere transpersonale, come avrebbero detto le poetesse americane della met del secolo
scorso, quando la poesia delle donne cominci a diventare un fenomeno di massa (contestualmente
al femminismo mondiale), sia per quantit che per qualit, attestandosi fortemente attraverso il
lavoro di Sylvia Plath ed Anne Sexton, giusto per citare le due che conosco meglio e che sono le pi
rappresentative, data la scelta confessionale, delle macrotematiche di cui sopra. Ma concludo subito
con le generalizzazioni storico-geografiche avendole citate come riferimenti a miei interventi
pregressi (cfr. bibliografia finale) e per eventuali interventi futuri - e delimito loggetto della ricerca
presente ad alcune mie modalit di sperimentazione circa lidentit-identificazione/costituzione
poetante femminile allinterno della Tradizione Letteraria Italiana in relazione a ci che la
rappresenta antonomasticamente, il Poema del Pater Patriae.
Trattando precipuamente della nascita e del costituirsi del mio poetare in quanto soggetto femminile
attestantesi, attraverser, per summa capita, il mio rapporto con la Sua/Nostra lingua letteraria come
essa originariamente fu ed , originariamente, in ogni atto realisticamente poietico ovvero un
fatto di in-formazione orale. In quanto tale latto poietico (e metapoetico, in questo caso) si basa
sullantico stilema delle modellizzazioni, sulla prevalenza degli exempla dei parlar materni-
paterni: in pratica emerger dal mio discorso come rimodellizzo stralci del poema di Dante che
modellizza la lingua poetica in base al suo stilema principale, la mimesis orale (del volgare, guarda
caso, muliercolo, che doveva farsi illustre), sorretta dalla mnemotecnica degli exempla, da
intendersi come citazionismi sperimentali e modelli autoriali. Dunque la lingua-poema di Dante
per me lExemplum su cui modellare la lingua poetica come imitazione orale, il mio idio-dialetto
fiorentino. Valse per Dante, vale per me per presa di posizione performativa: comica, teatrale. Ma
poich non si tratta (ovviamente!) di unoperazione-posizione di riscrittura nonostante e anzi
proprio a causa del fatto che il libello da cui traggo quasi tutti i testi che presento sintitoli Comdia
il mimetismo orale-vocale dantesco della mia poesia da ascriversi in un metaforismo allegorico-
parodico globale che rinvia vettorialmente, cio a perdere (ad infinitum, ad eco orale) oltre che a
recuperare, a loci della Comeda centonizzati per ragioni semantiche spostate metonimicamente
rispetto al dettato dantesco e - ci che pi conta pro-vocatoriamente desemantizzate-
decontestualizzate. LAmore per il Padre Dettatore-Dittatore non solo non sordomuto (come tanta
pseudopoesia infestante le patrie lettere dal dopo-Petrarca al Novecento, perch infestata dal
Modello Linguistico per eccellenza memorizzando e memorizzato, e perci sempre pi


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scolasticamente esausto-esaustivo, molto presto deteriorato in stilnobbismo patriarchista: dal cui
misfatto deriva che l80% della lingua poetica italiana non si scostata di un ette dal volgare illustre
che invent Dante, a ben sentire) ma non neppure cieco: anzi, quel che nella mia poesia sinscena
linguisticamente e concettualmente, proprio unincessante dialettica informativa del ricantare
parodicamente la Voce Creatrice del Padre Orante come certificato di nascita di una lingua poetica
altra perch dellaltra, della Femmina Fonica (come mi ha gentilmente definito un giovane critico,
Marco Simonelli) che impara a parlar dalla Voce del Padre/Lingua Madre, divorandola ed
espellendola, una volta metabolizzata, modificata attraverso luso straniante e pervertito della
centonizzazione (come vedremo desemantizzata e perci risemantizzante), che pertanto assurge a
stilema retorico-semantico fondamentale. La poesia femminile se vuole esistere come fenomeno
storico-letterario deve attestarsi nel Canone (volente o nolente: non c Arte senza modelli e
tchne precostituiti), trovando prima una propria ubicazione, dunque un ubi consistam, se vuole poi
trovare una voce propria. In mancanza di una tradizione propria, essa va inventata, va rinvenuta
nella sua lingua, prima ancora che nei suoi contenuti (anche perch temi e lingua, significati e
significanti, in poesia non possono scindersi): la lingua, il corpo del testo, non pu che essere il
primo oggetto, lOggetto Primario, kristevianamente, di ogni possibile discorso sul fare (poiin) del
soggetto femminile, nel mio caso scrivente in italiano. La poesia del soggetto femminile italiano
ancora allo stadio vegetativo, storicamente parlando, dato che le nostre poetesse, fino al Novecento
inoltrato, sono state perlopi (intendo quantitativamente e qualitativamente) riducibili al canone
sonettistico petrarchista (e dopo il 500 alle sue progressive degenerazioni di massa nel comune
poetese versoliberista moderno e contemporaneo). Di tale vegetativit tratter, muovendomi fra
sprazzi e stralci di versi, avendo a che fare con questa macroallegoria doppiamente originante
perch legata allanfibologia della parola poetica, del segno linguistico in poesia del processo di
costituzione (concepimento, nascita e vita nuova) del dictatum femminile e della sua specificit in
un ordine dialettico-concettuale rispetto al (ai) Padre/i.
Prima di passare alle puntualizzazioni autoesegetiche e per contestualizzarle adeguatamente,
delimito il campo semanalitico fondante. Il Padre, i Padri, sono Maschi e quindi la Lingua Madre,
elaborata in poesia, diventa Lingua dei Padri. Dunque il Soggetto Poetante Lui mentre lei, ab
origo, un Tu Angelicato (asessuato, de-genere, madre quindi solo nel senso metaforico del
termine), pi che donna un Travestito, un travestimento dellanima di Lui, una non-lei. Insomma il
punto di partenza e anche il nodo centrale della mia poietica ruota intorno alla vexata quaestio della
dialettica, monovocativa a favore di Lui, fra lIo lirico-poematico del Poeta e il Tu femminile,
invocazione-vocazione-evocazione su cui si fonda e prospera tutta la poesia italiana dalle origini al
Novecento. Da questa presa di coscienza poietica prende forma la questione centrale dei miei due
libri, due capitoli di un unico romanzo poematico di (in)formazione autobiografico-transpersonale:
linterrogazione sulla musivit (intesa come presenza ineludibile della Musa e poeticit in s) nel
rapporto speculare Io-Tu e poi per forza di cose nel rapporto intraspeculare lei-Lei, quando a
scrivere sia un Soggetto poetante femminile. Su questultimo punto focalizzata lintera operazione
de Lo Dittatore Amore, in quanto secondo momento, altrettanto parodico, del poema-romanzo di
formazione Comdia, centrato piuttosto sulla questione primaria della formazione del Soggetto
poetante dal punto di vista femminile. In sintesi sto per ritrattare, ritratteggiandoli, (de)gli argomenti
cruciali del Libello bignamico della Tradizione Letteraria: il rapporto fra la Poesia Stessa (nella sua
solita e ormai insolente e insolvente quidditas) unico Soggetto del contendere poetico di sempre
e la Donna (il Bello della Donna), suo Oggetto di sempre per i fabbricanti del bello di sempre, ma
dal punto di vista rovesciato (parodico e, in quanto tale, comico) di un Soggetto scrivente donna che
finalmente prende la parola ovvero interloquisce col Padre in quanto Soggetto Maschile scrivente
da sempre intorno alle due Lei: Poesia e Madonna. Dialettica oramai emunta, e non da poco tempo,
se gi Dino Campana, geniale sovvertitore di questa funebre tendenza (la Musa per necessit
Morta o almeno Assente in quanto donna, da Dante-Petrarca a Montale ed epigoni), ebbe a scrivere
in un frammento dei Taccuini intitolato Nel portamento della testa: Nata morta Troppo a lungo


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dur la commedia della poesia italiana. Desidero puntellare con questa annotazione di sgomento
funebre il mio tentativo di entrare in arte in lingua italiana. Gli esiti - sterili o prolifici, costruttivi
(sperimentali) o meramente decostruttivi della mia ritrattazione poietica, discanto, odioso
disincanto, amoroso ricantare, non mi dato conoscerli, anche se spero per me, ovviamente e
dantescamente, nellopzione innovatrice-sperimentale a sfondo politico: il mio contributo alla causa
femminista lannuncio-denuncia dellavvenente (azione del Soggetto Femminile Poetante in
processo linguistico dal dittato del Padre) poetricio, scambio meretricico della Figlia Poetante con il
corpus poematico del Padre, btte e risposte fra sentenze versali gi dittate ma si spera altrimenti
ridicibili. Alle postere, in ogni caso, altre sentenze palingenetiche, che magari sostituiscano la
marca orfica campaniana con una sorta di superamento, nel dittato, del lutto orf(an)ico.
Per ora vediamo come e da chi-cosa nasce e come e da chi-cosa impara a parlare, cio a sonare un
poco in versi, una lei non maiuscolata, una autrice in lingua italiana: guardiamo al teatro delle
metafore del linguaggio poematico che entrano nellagone comico che sinstaura fra lIo-Lui, lIo-
lei, il Me-Lui e il Tu-Lei nel tentativo di un approdo psicagogico finale (non so se raggiunto n
raggiungibile) ad una Lei-lei o forse ad un S-Me autonomato dal vincolo incestuoso dellipse dixit
del/dei Padre(i) sul Bello della Donna, che nega alla donna laccesso al Bello, a meno che non si
comporti esteticamente e retoricamente come Lui. Lazzardo poietico di cui mi fo carico,
affrontando lodiosamato Padre, ha per antecedente exemplum glorioso un poemetto del 1958: La
libellula di Amelia Rosselli. Lincipit la dice lunga: La santit dei santi padri era un prodotto s/
cangiante chio decisi di allontanare ogni dubbio/ dalla mia testa purtroppo troppo chiara e
prendere/ il salto per un addio pi difficile (). Momento felicissimo della poesia italiana,
purtroppo la testa troppo lucida di Amelia si perse nella battaglia poematico-politica e ricadde in
tentativi meno ideologici, perdendo loccasione per il salto cruciale nel difficile addio al dominio
dei Santi Padri della Tradizione Nostrana. E sappiamo a quale pi triste salto si destin la persona
Amelia, pochi anni fa. Ma quel che pi conta per me, in questo discorso, sottolineare il valore
ermeneutico del titolo: per la trilingue Rosselli, autrice di lapsus - come giustamente rilev Pasolini-
la libellula non linsetto volante della lingua italiana ma uneccellente pseudotraduzione
paraetimologica e diminutiva del latino libellum, termine che, oltre che diminutivo di liber, anche
decodificabile come libellum volto al caso femminile per incriptamento: La libel(lu)la. Un Senso di
Colpa Incestuosa Originaria nei confronti del Padre causa di questa diminuzione sminuente il
piglio eversivo dellesito soggettivante femminile che pervade il poemetto-libello/libella proprio a
partire dalliperconnotativit semantica del titolo. Il sottotitolo del poema lo comprova: Panegirico
della Libert: Amelia Rosselli ha dato labbrivio al discorso che tento di ereditare. Per
lemancipazione dellio-Tu in Lei-lei, come Soggetto poetante dialetticamente allinterno della
Tradizione Letteraria Italiana (tutto il poema rosselliano cita parodicamente il dittato dei Padri, da
Dante a Montale), La libellula rappresenta linizio della Vita Nova della poesia femminile italiana,
la prima dichiarazione dindipendenza dalla fertile filiazione dalla Lingua dei Padri, non
rinnegandola o abolendone lefficacia, ma rimetabolizzandola (anche alla luce fertilissima della
vocalit multilingue dellautrice) e con ci appropriandosene e cos dandosi la possibilit di
superarne i limiti ideologici.
Dunque Comdia, che esordisce con un trittico intitolato Tre variazioni sulla nascita, il libro che
inscena la nascita al linguaggio poietico della Femmina fonico-scrivente, e il suo primo canticare
allegorico (modello adottato come prevalente) allegoricamente in rapporto di filiazione con il
macrotesto per eccellenza della Tradizione Poetica Italiana, il sacrato poema, che tutta
statisticamente e potenzialmente la ingloba e promette, come in una circolare enorme variatio,
almeno stando alle percentuali di alti tassi lessicali e morfologico-sintagmatici - fino addiritura al
modo di dire della lingua parlata, in essa, danteschi di cui dicevo -, ovvero il Verbo Eterno del
Santo Padre della Lingua Italiana, suo serbatoio enciclopedico totalizzante. Devo, anche se per
inciso, far almeno presente limportanza determinante, sia nella mia scrittura che in quella della
Rosselli (e non solo!), della letteratura mistica femminile nuziale (molto fiorente fra Medioevo e


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Controriforma), sottolineando che, collusa la lingua dantesca, o della tradizione letteraria dei Padri,
con tale contesto linguistico-tematico, la filiazione si associa ad uno sposalizio con il Padre
(ovviamente qui Dio Padre) da cui deriva il conseguente macrotema psicolinguistico della scrittura
Femminile come Incesto col Padre, connubio mortifero in quanto sacrilego, peccaminoso, marchio
dinfamia infera, penalizzante in sul nascere gli esiti purgatoriali, ma mai paradisiaci, finora, del
peccato della lingua poietica, peccato lussurioso di gola, se la poesia qui intendendo quella
femminile in particolare - sempre un fatto carnale (Maria Zambrano) in quanto movimento
ancestrale di immissione-emissione che confonde le funzioni infero-infantil-glossolaliche
dellapparato fono-articolatorio-alimentare, la gola, in quanto luogo di formazione o accoglienza,
elaborazione, espulsione del cibo e della voce (Julia Kristeva). E siccome il rapporto parola poetica-
voce-cibo-sensualit un campo semantico fortissimo e frequentissimo nelle metafore dantesche in
Comeda, farsi corpus poematico in Comdia dalla Lingua-Voce del Padre Dante, che per ogni
poeta nostrale (maschio o femmina che sia) detiene ancora lo ius primae poesiae, implica un atto
edipico contronatura per un Soggetto Femminile Poetante, per motivi storico-psico-biologici: il
Peccato della Lingua poetica che trasmessa oralmente dal Padre diventa, per la Figlia, Peccato
di Gola Profonda, di gola lussuriosa, di avaritia-avidit del Cibo-Linguaggio. Nelle pagine
successive approfondir, sostanzialmente, questa tematica, rilevando le centonizzazioni semantiche
che provengono prevalentemente da due zone purgatoriali ad alto tasso di metafore sensual-
alimentari paterno-materni: i canti XXI-XXVI e XXIX-XXXIII.
Parto dallinizio della fine, ovvero dalla prima poesia del secondo capitolo di questo dittico
definitivo in quanto annunciante la morte-rinascita dei Soggetti-Oggetti della poesia femminile. Se
Comdia rappresenta la nascita e i primi vagiti-sgolamenti della In-fanta Orante, i trittici melologici
(il ragionar cantando) de Lo Ditttatore Amore (il cui testo conclusivo, Epitaffio, ci fulmina in
clausola con la dichiarazione apocalittico-apodittica smetto di masturbarmi allo specchio del
Padre) rappresentano la compiutezza perci tale finale (teleologica) - della Parabola del Viaggio
intralinguistico del Soggetto Femminile Poetante, una Poetrice, tanto per coniare unalternativa
parodica al personaggio, declassato nel linguaggio corrente a anima bella e belcantistica, della
Poetessa (non meno Angelicata e quindi moribonda Assente, Demente- della Musa). Lei-lei,
Autrice e personaggio ri-definentesi a partire da unabborrita Assenza (che non avendo del divino,
per lei, soltanto inesistenza), Attrice e Viatrix, gemella in-desiderata come sposa grottesca di
Lui Auctor/Actor, nel paesaggio teatralmente claustrofobico e maraviglioso delle retoriche e delle
tematiche che la Nostra Signora Poesia apre sugli inferni paradisiaci o sui paradisi infernali del
purgante e purgato amore dellAmore, sua croce e delizia perpetuamente autoproducentesi, e
quindi a tutti i consumatori di Essa ben noti, il primo Soggetto-Oggetto da porsi in questione.
Allegoria sullo sfondo cartapestaceo della poesia mistico-amorosa dellIo-Tu allo stato felice
delle Patrie Lettere: nellatto della Cacciata di Lei-lei dal Paradiso Terrestre, dal nirvanico Parnaso
di Quelli che Anticamente Poetaro, si tratta di avviare e condurre vettorialmente (a fondo perduto,
ripeto) un Corpo a Corpo fra il Soggetto e lOggetto, lIo e il Tu, della Tradizione Canonica. Chi e
quindi cosa Poetante, chi e quindi cosa Poetato (prepotenza da strapotere dellImago come
emanazione del Dio Padre Poeta Platonico: Ma Donna pu mai essere poetante oltre che poetabile)?
Si potr mai finalmente de-sacrificare lImago Femminile? Metterla a non sublimante morte? Farla
finita con la Commedia di Madonna?
A proposito della semantematicit del titolo del secondo libro (in riferimento a Purg., XXIV, 49-
59): come scrivono le penne, non gi piumosamente metaforiche ma concrete, delle donne
smaiuscolate che hanno Intelletto dAmore, ovvero virt poietica, a-spirante alla mimesis orale?

Da Lo Dittatore Amore. Melologhi, Milano, Effigie, 2004:



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DEDICA


Lei che non fu manco soggetta a corpo sodo,
L'incoronasti dominetta d'un egotico ergastolo.
Ma se s'ammusano adesso commilitoni in desiderando
si avvedono dell'errore trasmesso dalle veneree congiunte,
dell'avverarsi fatidica batosta di losco gemellaggio:
travaso o sbocco, insomma, quel ch' mio, caro Lei, tosto s'intuia!
Eccovi allora esito fabuloso di sadomaso di madonna:

Ora sovrasta Lei, Lo monta, Gli sta col fiato addosso,
si prepara la risposta, sentenzia in appello, va in ricorso,
Lo scudiscia perbenino con gli occhi Lei, L'aizza flabello,
e Lui zitto - lo stronzo - Le ammicca, qual fusse Lolita novella.
Lei Lo fiammeggia nel caldo d'amore, Gli leva 'l fiato,
inciampa Lui, e pronto e prono piano se la canta dentro
- ma mente, come sempre -, mortificato tanto dalle di Lei refulse.

Poi quasi si perdono amendue
con gli occhi chini, dopo tanto abbaglio.

Quanto scritto sopra gi sufficiente commento, intro a questIntro. Aggiungo alcune minime
chiose. Corpo sodo, minima citazione paradisiaca, ivi incastonata in una perifrasi astronomica il
cui locus non ricordo, qui, oltre che decontestualizzata rispetto alla fonte in riferimento al primo
livello di lettura del poema tripartito che commenter maggiormente, Gli angoli della bocca,
costituente la gran parte di Comdia, poema nel poema dedicato allanoressia, storicamente sacra
(malattia tipica delle mistiche esiste ampia bibliografia in proposito - due per tutte Santa Caterina
da Siena e Santa Teresa dAvila) e transpersonalmente profana (malattia adolescenziale della
Scrivente ma soprattutto transpersonalmente tipica delle Poetesse, due per tutte la gloriosa
patriarchista Gaspara Stampa anchessa assai centonizzata nel mio poemare morta giovanissima
di consunzione astenica, come poi, in pieno Novecento, una delle ingiustamente neglette femmine
poetanti, Antonia Pozzi). Intuia: attesto, risemantizzandolo, il neologismo paradisiaco, per
introdurre gli esiti sado-maso-mistici dellammusarsi, come azione neologistica del corpo a corpo
Io-Tu/Lui-Lei in condizione di gemellaggio incestuoso di cui sopra (la fabula mistica abbagliante
dellImago), che accade nella sacrata-esecrabile lussuria (pornografica) dellAmore dittatoriale-
dettatoriale della seconda strofa, in cui il finale refulgere di Lei da intendersi, per minime
commutazioni foniche, come rifiuto del suo arcano risplendere. Che gli Occhi di Madonna la
facciano da Padrone del Padre fatto repulsivo per Lei-lei, che intende prendersi il diritto di
sguardo, di guardante al reale e non pi di Sguardata-Travi(s)ata/trasfigurata: Amen-due, se i
due si perdono abbagliati nella con-fusione della Poetica dello Sguardo Novecentesca al suo
spegnersi. A Lei-lei quel che preme guadagnare il diritto alla parola automusiva: Musa a me
stessa sintitola il poema che consegue alla dedicatoria, parodia della Tragedia della Poetrice che,
sadomasochisticamente dittatoriale andando di retro al Dittatore Padre, inscena attorialmente
come le vanno strette le di Lui-Loro penne, sineddotiche di una forma-linguaggio di cui intende
destituire la claustral-claustrofobica struttura mirante alla catastrofe. Abbandono qui il discorso
sulla catastrofetta della figura femminile ridotta a parodia di Madonna, destrutturazione che
sorregge il secondo libro, volto infine al tentativo come accennavo di una rifondazione
annullante (del)limmagine, dellapprodo alla donnit della scrittura poetica come risultato della
quste. Malvolentieri, perch sta qui, per me, ora, la domanda vivida.


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Ma ho da tornare agli inizi del Viaggio, allaurorale vegetativit della Nascita della Comdia dalla
Comeda per fago-citazioni. E anche qui parto dalla nota finale: in fondo al primo libro si legge, a
mo di glossa paraetimologica, allapparenza sfacciatamente parodico-grottesca, Comedia, com
ovvio, dal latino comedere: mangiare. Mangiare la lingua poetica: ecco lo stadio retorico della
vegetativit, la manducatio. La memoria orale dellexemplum. Sempre per amor di mimesi mi
avvalgo del fatto originante che il Grande Padre abbandon la prosa compta del Convivio per
incarnare i fatti linguistici di cui tratta il trattato, ovvero del parlar materno e muliercolo che
descrive, commenta, di cui auspica il prevalere nelluso autoriale in versi a lui contemporaneo, nel
crogiolo volgarmente stra-italiano (dialettale, paesano) in statu nascendi dellinvenzione versale in
terzine, prima forma metrica originale della Scrittura della Manducazione della lingua volgare.
Atto questo da inscenare poeticamente, pi che da de-scrivere, se la lingua poetica , com,
inscindibile dalloralit primaria, cosa che Dante sapeva e diceva prima che lo dicesse la semiotica a
noi contemporanea. Mimesi orale: spessissimo Dante in Comeda quando metapoeteggia, quando
tratta del suo poetare o del poetare in genere, fa uso di metafore alimentari e perlopi coinvolte con
lalimento materno. Allegoria metaforica: quando nomina per la seconda volta Omero, gi poeta
sovrano (in Inf. IV, 88), lAuctor Per Eccellenza (Auctor del Suo Auctor, Virgilio, quindi da
intendersi come metonimia del S Poetante), lo omaggia come colui che le Muse lattar pi ch'altri
mai (Pur. XXII, 102): kristevianamente, voce e latte materno fluiscono dentro e fuori la Bocca
Poetante felicemente come un unicum imprescindibile nella metaforesi dellatto scrittorio-orale.
Secondo la regola aurea medioevale dellipse dixit delle Auctoritates, il rapporto fra Autore e
Autore, in omnia saecula saeculorum, per lAntico Padre serenamente simbiotico. Quindi il
passaggio del testimone, nel Canone poetico, avviene amorevolmente, da un Padre/Madre allaltro,
senza collusioni con la configurazione psicologica personale. Nella Fabbrica Poetica del Parlar
Materno, cui Dante inneggia in pi loci, ma in particolare nei canti purgatoriali dellincontro con i
poeti maestri e sodali (dal XXI al XXVI), avviene linveramento degli auspici poietici conviviali.
La Grande Poesia lAlimento Vitale per eccellenza, e in quanto tale la Via per la Salvezza
(laccesso alla Verit). Il Poema del Padre/Madre (Virgilio) di un Padre/Madre (Stazio) del
Padre/Madre sovrano del Canone Letterario Italiano (Dante) Cibo che passa di Bocca in Bocca,
perpetuamente metabolizzabile dal latino al volgare illustre: lEneide, dice Stazio, fummi mamma
e fummi nutrice, poetando (Pur. XXI, 97-98), e qui Stazio anche allegorico Alter Ego di Dante,
che con Stazio condivide serenamente tale fratellanza. Il latte della Mamma Nutrice Virgilio, tanto
per fare della psicoallergologia da strapazzo ma non perci meno esemplare nel mio caso -
allegoria di ci che perpetuamente manca o avvelena lIo anoressico femminile, che prende la sua
parola da Lui per colmare (sempre kristevianamente) il vuoto cruciale di dolce/aspro cibo materno.
Mancanza di cibo-parola che solo un Padre/Madre pu colmare poetando, avviando un poetare
che per avviene contronatura, nel caso in cui lexemplum trdito sostituisca un tradimento materno
nel setting psicolinguistico originario, mediante contraffazione delle figure degli attanti: il
Padre/Madre della Figlia si configura come una Mamma/Nutrice. Se un Padre Musivo latta la
Figlia, allontanata nei secoli la modalit delle Auctoritates e divenuta quindi farsa grottesca
lallegoresi esemplare di unAutorialit anacronistica (io non Enea io non Paulo n Dante sono, ma
una scrittrice, piccola cos, di fine Novecento), il meccanismo della Maternit del Padre pu
inverarsi solo come per-versione, modalit per (scrivere) versi: insomma, se il meccanismo
piuttosto psicagogico (nel senso contemporaneo del termine, magico-incantatatorio, orale anche in
questo senso: rituale con cui si evoca lanima dei defunti per ottenerne responsi, o perch la morta
poes resurga) che allegorico in senso stretto (perch parodico di unallegorizzare), questo latte
coler oscenamente dagli angoli di una bocca deviata dal materno verso un allattamento paterno,
che altro non pu essere se non una incestuosa fellatio, non per imitazione degli schemi medioevali
ma per bisogni primari mancanti; daltronde non possibile eludere lo psicologismo della
Letteratura Poetica dagli inizi della Modernit in poi, da cui non ci siamo ancora liberati. Da qui la
centralit della Parodia dellAllegoria alimentare come Incesto col Padre, chiave di lettura de Gli
angoli della bocca, di cui adesso trascrivo i brani a cui mi sono fin qui riferita e di cui non mi


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rimane che glossare gli spruzzi di lattazioni dantesche nellordine psicoretorico e semantico che le
ha determinate.
Ma prima, riassumendo e concludendo: tutto il discorso verte intorno alla identit-identificazione
originaria del corpo biopoetico della poetante come corpus linguistico originato dallactio retorica
della manducatio in quanto metabolizzazione, per fago-citazioni desemantizzanti e risemantizzanti,
del poema dantesco come exemplum della summa della tradizione letteraria di appartenenza,
nellintentio di riscattare, per ribellione edipica, latavico mutismo del corpo del Tu Femminile,
che da Imago del poetare maschile si trasforma, comicamente (parodicamente e grottescamente), in
presenza della scrittura vocale di un S-Me che prende la parola. Centonizzare i canti purgatoriali
dellincontro con i poeti, Padri/Madri e Fratelli sodali del Padre e quelli delle rampogne della
Madre Cattiva Beatrice (trasformata, nella metabolizzazione, da Musa beatificante in madre
punitiva dellIncesto Poetico della Figlia), ha senso e ragion dessere nellordine psicagogico-
analitico del poemare della Figlia come Simia del Padre. La mimesis qui principio (atto iniziale)
di identificazione del S. Il poema che fa macro il Padre fa magra la Figlia/Amante, suo
virileggiante alter ego: il poemare intorno alla parola lattante del Padre/Madre, costitutiva del S
poetante, , gi alla fonte, per il Padre della Lingua Poetica, anoressante. Si aggiunga, nel caso
della Figlia della Lingua del Padre, la dimensione sessuale contronatura dellIncesto orale con il
parlar materno dei Padri/Madri e lulteriore conferma della per-versione nella protesta del Tu-
Musa-Beatrice che rivendica il suo ruolo primario di nutrice della voce poetica: fatto che salva il
Poeta, dopo averlo dannato come In-fante, approdandolo, con la sua Voce-Guida, finalmente
sostitutiva dei Padri-Poeti (il dolcissimo padre Virgilio sparisce quando appare lasperrima
Pietra-Beatrice) al Vero ver della Teologia che assorbe la Poesia annullandone la necessit, ma
che con-danna ulteriormente la Figlia a restare In-fanta, bloccandone la voce al conato
citazionista non approdante ad alcuna beatitudine che superi lo dittato poetico in Altro da S
(laico, non divinizzante). Innanzitutto perch esclusa edipicamente da tale felicitante glorioso
connubio, la Figlia si autodestina non gi allidentificazione impossibile, in-desiderabile con
Tale Madre rivale, e quindi non-guida alla Vita Vera ma spauracchio di Musa a Morte, ma alla
presa di posizione di Soggetto vocatorio auto-nomantesi, rispetto ad un Tu-Amata che non la pu
rispecchiare (pena il mutismo mortale di cui sopra), ovvero allidentificazione di un S-Me
esorbitante la ditta-dettatorialit educativa del rapporto Io-Tu, dominato dalla Voce lattante del
Tu-Madre, monstrum di ogni setting lirico-poematico da Dante a Caproni et alii, la cui struttura
sarebbe destituenda, pena la non-in-formazione del Soggetto femminile Poetante stesso in quanto
in-dipendente e innovativo rispetto al Canone. Questa parodica allegoria de-lirante pu essere
ritenuta esemplare di un processo storico-letterario finora rimosso e dunque inevitabile, come
rimossa stata lidentit femminile fino al movimento storico femminista, che ancora non ha
liberato la realt femminile da ben pi cogenti, socio-ideologicamente parlando, anacronismi
legati ai luoghi comuni dellImago. Per cui c poco da scandalizzarsi e molto da stupirsi che
ancora certe dinamiche letterarie a sfondo divistico-pubblicitario, non siano state rilevate come
distruttive dei s femminili reali. Lattentato e lattantato della mia poesia giustificano la presa di
posizione letteraria contestualizzandola mediante una retorizzazione speculare rispetto al dettato, e
dunque, filologicamente pertinente ad essa letterariet: il metaforismo-allegorismo metabolico
(perlopi anche tematicamente alimentare-vocale) mima loralit e le ragioni profonde stesse del
cantare del poema-fonte, del Dante conviviale e comico. Specularmente Comdia&Comeda sono
entrambi luoghi retorico-stilistici di purificazione innovatrice di un In-fante (e unIn-fante) che
prendono la parola dal linguaggio parlato (lidioma, lidioletto) per farne atto di poietica, di
poesia etico-politica: in questo senso, senza anacronismi, loperazione linguistica del S-Me
speculare a quella di Dante, naturalmente come scommessa pro-vocatoria e con le dovute tare
quantitativo-qualitative. Nel mio caso, nel caso della mia fiorentinit biografico-linguistica, si
tratta di affondi leciti e libiti nell esemplarit vitanovistica transpersonale del poetare femminile,
per un tentativo, ripeto, esemplare, di scrivere dei dis-sacrati poemetti avanguardisticamente
decostruttivi ma orf(an)icamente necessitati. E se si considera lin-genuinit della motivazione


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profonda, psicolinguistica, di cui ho trattato sopra (lanoressia come impedimento alloralit
primaria e metaforicamente secondaria dello scrivere in versi), la lectio facilior avanguardistica
dovrebbe cadere a favore di una valenza sperimentale, virt virtuosistica rilevabile nel superfetante
kitsch de Lo Dittatore Amore, in cui si concreta, dispiegandosi oltre la frammentarit
novecentesca, un ragionar melologando (speculare parodicamente allantico ragionar dAmore
come prassi stilistica dei Padri/Madri) avviato nella frammentariet di Comdia - fondativo di
una poesia femminile che attesti la propria consapevolezza storico-tematica radicale, avviandola
alle sue inevitabili conclusioni, appunto, storico-letterarie.


Da Gli angoli della bocca, in Comdia, Milano, Bompiani, 1998:

VEGETATIVA
(I)

Fami freddi vigilie nervi
per i versi soffersi
l'inganno dei sensi. Amari passi di fuga

Adesso l'altra origine
altra causa d'avaritia m'adesca
e ciao mi scappi sul motorino (s'alza un polverone)
in pieno inverno anche tu mi lasci
o mio bel Sanfrediano e anch'io son per la Fiore!
E mi da una spuma gialla da 50
tnnano a i' barre i bicchieri lustri
(cencino molle cencino molle)
tnnano lustri occhi-monetine nel piatto delle mance:

la porti un bacione a Firenze cantavamo.

Adesso clo clo manca manca
si giocava a soffino alle medie
girando a vuoto s'alzava un polverone
e in avaria and il motore.

Piatto, piatto d'un encefalo, onfalo bianco
girando a vuoto ancora pi ampio mi spazia
in sin dentro l'odore greve
del soffritto della Graziella che mi manca manca
l'odore del mio bel Sanfrediano adesso mi ripesca (che nausea la mattina)
- e parlo come magno -
a destra
e a manca

e ancor pi gie gie
clta in flagrante l all'accesso
del panificio aulente ove un bel d s'innesca (che buco allo stomaco)
la vita infanta
l'amor polenta.


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A mo di protasi, Vegetativa, labbrivio del poema della vita infanta che inizia a prendere la
parola, ha luogo, parodiando la Tradizione, con linvocazione alle sacrosante Vergini, le Muse, le
lattarici, le nutrici di Linguaggio Poetico. Fami freddi vigilie versi soffersi (Purg. XXIX,
37-42): linvocazione alla Musa Lattatrice avviene per mancata soddisfazione dei bisogni biologici
dellinfanta, cio della Figlia allo stadio orale primario, mancanza del materno, di cui si invoca la
sostituzione (metafora allegorica in funzione metonimica) mediante attuazione dello stadio orale
secondario, la scrittura poetica (laltra origine) come oralit secondaria elargita dal Padre/Madre
Dante, il cibo amoroso (lamor polenta un dolcetto fiorentino e Dante appare nel centro storico
di Firenze in lapidi consolatorie, come un dolce esposto nella vetrina di un panificio). La citazione,
risemantizzata dal punto di vista della Figlia Poetante, racchiude anche una allegorizzazione di
secondo grado: il canto XXIX prelude a un momento cruciale per il Viator e perci vi si invocano
le Muse al ritorno-parusia di Beatrice, avvento in cui per Madonna appare sorprendentemente
non pi come fanciulla angelicata ma sadicamente come Madre Punitiva, la Madre Cattiva che non
latta, anzi il cui latte amaro, argumento velenoso. Gli amari passi di fuga sono uneco che
riecheggia Purg. XIII, 118-119: citazione a reminescenza, puramente evocativa, perch
decontestualizzata e desemantizzata rispetto alla fonte, malinconicamente anticipatrice delle parole-
latte velenoso che la madre beatrice-dannatrice elargir nei canti successivi. Laltra origine
vegetativa dal Padre/Madre-Musa causa, causante e causata, davaritia: avarizia (Purg.
XXII, 23), ma subito dopo, e contestualmente, peccato di gola, avidit di cibo spirituale, Fame che
incita al peccato della lingua poetica in quanto abbandono dal/del materno a favore di un paterno
nutritivo, che nella Comeda inscenato nel canto in cui non solo si nomina Omero come il pi
lattato dalle Muse, ma in cui compare Stazio, per eccellenza Poeta Alter Ego dellAutore, Fratello in
quanto Figlio dellEneide proprio come lui, nonch compagno di viaggio per un bel pezzo.
Entrambi lattati dal Padre/Madre Virgilio, il loro sodalizio qui emblema della avidit della gola:
condivisa avidit di cibo-linguaggio poetico, se tutta la commozione dei due gemelli simbiotici
rivolta enfaticamente allAutore dellEneide come loro comune modello poetico assoluto.
Spaziando pi ampiamente, nel tempo, questo gemellaggio di nascituri al linguaggio poetico del
Padre/Madre lo faccio proprio, mutuandolo e allargandone il senso: pi ampio mi spazia (Pur.
XXVI, 63) citazione, lievemente variantata, e completamente risemantizzata, da un contesto
intertestualmente cruciale. Il canto XXVI probabilmente la fonte pi importante per la questione
centrale de Gli angoli della bocca: il canto in cui Dante, accompagnato dal Padre/Virgilio e dal
Fratello/Alter Ego Stazio, incontra Bonagiunta (il Precursore dello stile Paterno/Materno),
Guinizzelli e Daniel, il padre di Lui-Autore, ovvero di tutti coloro che usano rime damor, cio
degli sperimentatori dello stile novo e dolce, dei dolci detti(Guido) mutuati dal miglior
fabbro del parlar materno (il Padre delleuropeismo dello Stile Nuovo che accende a Vita Nuova la
Tradizione Letteraria, il provenzale Arnaut). Sciogliendo lallegoria, qui LAutrice trova conferma
che il dolce alimento materno dittante proviene dai Padri del Padre, si trasmette di Padre/Madre in
Padre/Madre fino a fare del loro Cibo-Linguaggio alimento tradizionale anche per la Figlia
Mimetica della Tradizione Occidentale. Accenno appena al fatto che nel XXVI le metafore
alimentari sovrabbondano in una sorta di soddisfazione orgiastica e orgastica e, a tal riguardo,
sottolineo che il Peccato di Gola-Lingua della poesia al suo insorgere orale si macchia della colpa
della Lussuria, da cui si purgano i Poeti: Gola (dal XXII al XXIV) e Lussuria (XXV-XXVI), ovvero
Fame Erotica in-estinguibile (lo Dittatore Amore) sono alla fonte dellAvidit linguistica del
Poetare come fatto della carne, ritmo sonoro che riproduce i ritmi sensuali (il Senso,
barthesianamente, in quanto sensuale) dellallattamento e della copula.


LA PARTE OFFESA

Io non so perch la mente


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non so come s'indementa

(Opalina opalina, liscia pietra capricornina
uh! pissi pissi bau bau
uh! pizzicorino in onfalo bianco piatto
piatto, piatto d'un encefalo
girandolona di una mamma divertinga)

Tanto fu dolce suo vocale spirto
mamma fummi poetando dramma
e lasci il corpo vilmente disfatto

Fra punto morto superiore
e punto morto inferiore
in avaria and il motore. Nessuno aveva i suoi occhi e il suo odore

Tutto fu stucco e biacca, grave abbaglio (LUCE!)
malinteso, malefatta (ti sculaccio, oh, guarda!)
- s'intenda - al momento dell'incaglio
d'un rigurgito violento di presame
presa me da te per fame.


(E qual indulto beata sentenza m'ingiunse):

LE PAROLE SONO UN MOTO CHE VA

DALL'INTERNO

VERSO L'ESTERNO


Continua, in questo come in un testo successivo che non riporto, il dialogo fra Me/Dante/Stazio in
quanto allegoria dellAlter Ego del S Poetante nascente alla Vocazione. La fonte Pur. XXI, il
canto dellincontro col Poeta (potenza del lapsus in poesia: qui addirittura, allegorizzando a maglia
larga, Lapsus sullOrigine!) tolosano, da cui vengono centonizzati, con sostanziali varianti
desemantizzanti e risemantizzanti il Soggetto Poetante e lOggetto Poetato (e il luogo di formazione
del poiin, i versi 31-32: ampia gola/dinferno, sintagma che torna due volte pi oltre ma che
commento qui per puntualizzare metaforicamente e concludere circa il Luogo Generico Originante
del Peccato della Lingua-Gola-Voce) soprattutto i versi 88-99. Beatitudine delloralit primaria che
si fa in-felicemente secondaria in quanto elargita dal Padre sostituente la mamma distratta-assente
nellonfalo-encefalo (luogo carnale da cui fuoriesce il poetare: la mente de-mente vocata e
vocatrice, ventriloqua, lallatrice, gode kristevianamente e barthesianamente producendo Senso
Sensuale, Suono e Ritmo) piatto: leccitazione sessual-alimentare data dal Padre/Madre tramite
la Voce come contatto primario-secondario, in assenza della quale lonfalo-encefalo rimarrebbe
anoressicamente piatto, morente, in presenza della quale il piatto diventa recipiente di Cibo Orale
Informativo. Tanto fu dolce mio vocale spirto ()() mamma/ fummi, e fummi nutrice,
poetando:/() dramma; lo spirto vocale, la virt poietica, Suo, di Dante/Stazio come
Padri/Madri Alter Ego del S Poetante originantesi nella gola infernale del poiin orale, fummi
mamma poetando e perci dramma: se le prime due citazioni sono semanticamente parallele
alla fonte, la terza attua una deviazione semantica, rispetto al locus testuale, virando la ri-


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conoscenza verso le fonti in una desemantizzazione-risemantizzazione che la deflagra, con un coup
de thatre repentinamente decontestualizzante, in Tragedia Esistenziale. Loperazione sublimante
del passaggio di testimone dalla Tradizione Comica del parlar muliercolo-nutriente dei Padri che
non fermano peso di dramma senza la dipendenza simbiotica dal Poema Madre - arriva alla Figlia
dal dramma dellassenza di mamma: per-versione che ha ben maggior peso di una dracma.
E lascia il corpo vilmente disfatto (Pur XXIV, 87), citazione decontestualizzata, variantata e
risemantizzata: disambiguando le allegorie, latto nutritivo che sinscena facendo il verso al Poema
Madre del Padre non pu dissimulare fino in fondo lopera di contraffazione dei Soggetti Attanti,
altrimenti teatrale, tragica, che esige. La scena allegorico-reale del corpo della Figlia Anoressica
vilmente disfatto dalla Madre Cattiva, che lascia il corpo (anche tu mi lasci, in Vegetativa)
dellin-fante a bocca asciutta - macro fa il corpo il poema, e cos le stratificazioni e i cortocircuiti
sensoriali del dittato inseguono il senso per fini compensativo-dissimulatorii - metonimicamente
assai prossimo alle terzine che nel XXIV, nel canto della santa greggia dei Padri Poeti Materni,
inneggiano alla gloria del Dittato Amoroso Salvifico dello Spiro, della Voce che si fa Nutrice, per la
Figlia, sostituendo il di lei corpo morto che cade nel di Lei Corpo Vocato. Frana rumorosamente su
se stessa lopzione de-sublimante? E il rischio che ho corso ne Lo Dittatore Amore, melologando a
perdere la Voce dei Padri. Nel finale il testo denuncia il quando e il come del misfatto incestuoso
(malinteso, malefatta) della presa di posizione di Lei scrivente-orante nellassunzione del Latte
Paterno come nutrimento costitutivo del S-Me poetante a de(-nu-)trimento del soggetto femminile
reale: nel momento dellincaglio, della formalizzazione, di un rigurgito (le citazioni del Poema
tornano a gola) violento (contronatura) di presame (lin-caglio poetico del dittato del Padre)
presa me da te per fame. Chi si prende in affidamento la Figlia, al-levandola alla Madre Cattiva
il Padre-Corpus poematico. Questione cogente del prossimo frammento.


BOCCHINO

Come il presame fa nel latte
coagula colloso sperma in bocca - ingoio, sorrido -
il sangue mi s'incolla nel cervello (sorriso opalescente)
e dove coli sboccian le boccgnole I Con gli angoli della bocca cadenti

o fuoco di Sant'Antonio da preziosissimo sangue.

Comparsa nel segno dell'eccitamento :sciagura I
la pappa in capo ella mi manduca
mostrandomi il partito preso delle cose,
cosa succede cosa succede, oh Sacrocuore,
se si sposa la luna.

Ma chi la vendica, chi la vendica ora la mendica,
la luna?
Questa sboccata boccalona
questa simpaticona
che attonita ti chiama, (per nove giorni, per nove notti
- finch non fece la luna -)
o scemo della luna,
il mezzo sorriso che schiocchi
che mi schiocca ogni morino quando abbocca.

Poi per nove giorni per nove notti
ti mangiasti un bigoncio di suppa


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secondo l'usanza d'omicida Cupido
ti mangiasti la suppa cupidigia,
biasciavi come un vecchio sdentato,
o scemo della luna, succhiando ti colava
dagli angoli della bocca, biasciandomi
me pappa, scemo della luna sdentato (ingoiavi, sorridevi)
e abbioccato sulla mia tomba mamma (sorriso impeccabile:
c' una LUCE! sul tuo volto)
rumorosamente t'ingoiasti impunito - ingoio anch'io sorrido -
la vita infanta
il cuore infranto.

(Moderare con quiete)

Finch non si spense la luna


(pispigliando) CHI CERCA NUTRIMENTO CHE NON NUTRE
BARCOLLA DA BRAMA A VOLUTTA'
E NELLA VOLUTTA' LA SETE DI BRAMA LO CONSUMA.

Il titolo, iperconnotativo, e i primi versi, allegorizzano, stigmatizzandolo con un termine fra i pi
volgari per designare la fellatio ma scelto per indicare che essa lavoro di una piccola bocca, di una
bocca in-fantile, esemplarmente che il concepimento del linguaggio poietico in atto avviene tramite
rapporto orale con il Padre, il cui nutrimento poetico-vocale , appunto, latte paterno, sperma: per-
versione del normale meccanismo con-fusionale latte-voce che origina latto poetico al suo
insorgere. Per circuire allegoricamente questo luogo del testo poematico, vertiginosamente cruciale,
torna il termine desueto, arcaico come il processo stesso di cui si parla, presame, gi in clausola
del testo precedente. Il luogo di riferimento per questa designazione metaforica una postilla tratta
dal commento dellOttimo, o dellAnonimo Fiorentino, a Purg XXV, 37-59, in cui Stazio apre una
parentesi dottrinaria prescientifica circa le credenze partenogenetiche dellatto concezionale e
quindi dellorigine dellanima umana, secondo cui la generazione dellhomunculus-seme opera del
solo padre, essendo la madre-matrice mero ricettacolo e luogo di sviluppo di esso. Il sangue-
sperma, coagulando con il mestruo materno non sgorgato, come il presame fa nel latte
(Anonimo Fiorentino), comincia ad esercitare la sua virtute informativa, virt ch dal cor del
generante, ovvero linsufflazione nel feto dellanima vegetativa. La Virt In-formativa,
scientificamente cos definita dai teorici contemporanei dellOralit Secondaria come specificit
della scrittura poetica contemporanea, arriva qui a coincidere alla lettera, con il modello
prescientifico allegorizzante la coincidenza perversa fra oralit primaria e secondaria dal cor del
Padre generante! Figlia di Solo Padre: potenza delle simbologie partenogenetiche nella cultura
occidentale, cos testardamente misogina Alla costituzione dellanima vegetitiva segue la
manducazione del Verbo, ormai concepito oralmente e cordialmente, passando da Padre a Figlia di
bocca in bocca, in un bocchino che succhiando metabolizza i coaguli versali, colati e digesti nella
lattazione, dal Poema del Padre (boccgnole ec-citazionali) e cos facendo la Figlia della Tradizione
si fa sboccata boccalona, cresce in poetricio (meretricio poetico incestuoso). Ma chi spiega il
processo Stazio, il Fratello, emblema, qui diminutivo, di un fratellino reale la cui nascita sottrae la
mamma sadico-fallica, anoressando ancor pi la bocchina della sorella I processi metabolico-
metamorfici del linguaggio si sviluppano rapidamente come le evoluzioni di una morula
linguistica eccitata geneticamente in contenuti riferentesi a gelosie transbiografiche che cagliano
nella tripla ripetizione, in funzione decontestualizzata, rincontestualizzantesi in mini-invettiva,
ingiurioso-esorcizzante, volta alla presenza di un fratellino rivale in lattazioni, tramite una


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minicitazione dantesca, anchessa incagliata in una perifrasi parascientifica di tipo astronomico, lo
scemo della luna (Pur X, 14), che non la letterale mezzaluna ma il nuovo cocco di mamma, la
cui nascita infranse il cuore appena in-formato dellin-fanta. Ahi! Lo Dittatore Amore!


COM'E' COM'E' QUESTO DIMAGRIMENTO?

Ad un tratto s'incupisce e fa boccuccia
e scoppio di pianto violento (VAMPATA)
vacilla e brocciolando cocciuta
balza en travesti sull'infame boccascena
della vita infanta testarda.

Eppur non tragge, no, la voce viva ai denti
la voce vaca nella sede sua,
la voce spenta - e s'impappna, traballa -
ch nella bocca secca tranquirisce la mente
per il sapor della pietade acerba.

Indi si morde le mani fino all'osso a sangue
e proprio non sa come non sa come come
la sua mente trastullando
trastullando s'indementa
quand' vacante la sintassi di sue vaghe membra
sparte nel profondo della testa.

Onfalo bianco, piatto piatto d'un encefalo,
mi mostri il partito preso delle cose:
la costrizione della mente (onde mi struggo ed ardo
per chi arsi ed ardo ancor
canto e cantai)
la coscrizione della mente (onde mi snervo e spolpo
onde mi snervo e 'mbianco
sudo e addiaccio)

di cui conven che sempre scriva e canti.

Ed in guai si converte ogni mio gioco: (CALDANA)

alla mamma piacciono i maschi
odiamo i nostri poveri amanti.

Data la conclusione della precedente, lazione anoressante pienamente avviata a recepire le sue
concause. La boccuccia dellin-fanta grida la mancanza della gest(az)ione materna nonostante la
sostituzione partenogenetica. Qui non il Padre/Madre Dante ma la Madre Cattiva Beatrice il
personaggio principale del referente poietico: linf-anta che resta a bocca asciutta pertanto
condannata alla frammentariet del discorso per secchezza di fauci da terrore abbandonico. E Dante
fantolino ammutolito dal respitto inibitorio al cospetto della mamma proterva Beatrice
(Purg XXX, 44; 70) qui il modello del performante del dramma (Ivi, v. 46) del Me poetante-
balbettante, castrata nel crescere del canticare, ridotta ad una sorta di fantozziana diminuzione
dellIo scrivente-orante, condannato, dallassenza del materno, al non essere, impedita a godere il


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Sommo Bene Vocale elargito dal Padre. Da eppur non tragge a pietade acerba i luoghi
parodicamente centonizzati e risemantizzati sono tratti da Purg XXX, 79-81 e XXXIII 25-33, luoghi
testuali puntualmente riferentisi agli effetti di paralisi vocale, poietica, che riconducono il corpo del
S Poetante al corpo muto dellio femminile, cui la dipendenza dalla Madre Anoressante
destinerebbe. Corpo muto e smagrito che smarrisce la sintassi delle sue membra allegoriche,
poematiche e anatomiche: il corpus an(im)atomo-poematico promesso e non mantenuto dal
Padre/Madre. La maschera del Me in continuando a poemare qui un altro Alter Ego Fraterno di
Dante, il sodale Forese, le cui fattezze corporee si disfano nella magrezza cui lo condannerebbe il
suo peccato di gola-lingua per-verso, allegoresi senza tregua del destino che congiunge in Comda
cibo (mancanza di) e poesia. Purg. XXIII, 40-44: disfatto nellaspetto corporeo, sparito come corpo
reale e ridotto a qualcosa di riconoscibile solo nel profondo della testa nel messaggio inviato
dallencefalo non piatto, ma parlante, puranco se purgatorialmente dis-onfalato dalla pena
dellaffamamento perpetuo che lo consumer fino a purgazione avvenuta -, Forese riconoscibile,
in quanto quel poeta che fu, solo dalla voce, nuovamente extrema ratio di futuro riscatto. Perch
proprio la Voce Poetante, per la virt Mistica che Dante le conferisce, lo salver, in quanto
appartenente alla santa greggia (Purg XXIV, 73) privilegiata metafisicamente, quella della Santit
Poietica dei Fabbri del Volgare (fra cui anche il bcero Forese: salvati dal turpiloquio!), molto
vicini, per la teoresi dantesca, alla Voce Dolce del murmurare divino (si pensi soltanto alla
vertiginosa estasi mistica che permea laudizione dantesca della Voce ossimorica, dolce/aspra
dellaguglia-alodetta nel Cielo di Giove, che premia la Giustizia Ideologica Poietica per
Dante -, ben pi misticamente, a mio modesto avviso, della Visione Trinitaria Tutta Luce del gran
finale del Sacrato Poema).


RECITA DI FINE ANNO AL RONDO' DI BACCO

Infarinato capo di penitente vglia
indi balzai sul boccascena
in fin di vita infanta (LUCI DELLA RIBALTA!)
io fui alle medie
la Contessa Maffei Claretta
monologante in vesta iettatoria violetta
sola scrosciata d'applausi (fui lieto calice io, proprio io)
io proprio io
l'acclamata Claretta fra grida e schiamazzi
delle compagne tutte e anche de' maschi.

La Contessa Claretta Maffei - va' pensiero cantavamo -
Rosi la pasionaria (va' 'ia va' 'ia)
io fui alle medie appena sessantenne
qual sessantenne illibata in menopausa
da tutti a gran voce prescelta:
per voto unanime della classe
l sola sul boccascena a scaniconi
col tombolo in mano l (- anche tu mi lasci -)
tomb la mia carcassa su una sedia, stravaccata
vglia io fui burattina tutta fiacca
- rilasciata -
tranne il tentennante testoncino
di cocco e biacca
(- tnnano i bicchieri lustri):
libiam nei lieti calici! -


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(LUCE!) e (VAMPATA!)

Cos furon distrutti li miei spirti
tutti tranne li spiriti del viso - facciona di luna -

Poi si spensero le luci (ECCESSO)
(: ma la virt quello sguardo m'indulse).

Da allora le mense bruttate
e gola d'inferno teatro.


SIPARIO

Si conclude cos il primo capitulum del rito diniziazione al linguaggio del Padre. In fin di vita in-
fanta il Soggetto Poetante Femminile veste la maschera del suo S-Me transpersonale, o meglio
prende finalmente corpo, corpo di parole, il S-lei come voce in maschera di una Poetrice, Viatrix-
Attrice sul boccascena, attante nella scena della bocca poetica, collusa col teatro, della Poesia del
Padre/Madre Fiorentino. Maschera, Simia del Padre, sua grottesca con-sorte: cocco e biacca
(prelievo da Purg. VII, 73, desemantizzato rispetto alla fonte) sono emblemi della sua, di Lei -lei,
maschera teatrale melo-drammatico-logica: la gola dinferno, matrice poietica, diventa teatro
delle mutazioni dellIo-Tu in S-Me. Ma siamo appena agli inizi questo processo avver
propriamente ne Lo Dittatore Amore : bisogna fare ancora i conti con il retaggio linguistico del
padre reale, altra origine dialettale che non commenter, attenendomi a quanto di ancora dantesco
affiora nel secondo capitulum del poemetto, il cui abbrivio riconferma il discorso sulle origini
partenogenetico-incestuose dellanima poetante allo stadio oral-vegetativo.


VEGETATIVA
(II)

Ma ancor pi gie gie
l dove pianto e stridore di denti
nella natura amorale dell'estate Du'lucertole s'appiccano in corsa
larghe gambette in fuga per otto
ha' voglia a sterpagliare ogn'anno
Versailles se la rimagna la natura Per tomolate, a perdita d'occhio

E vedo che gi non son n un n due a mischiar lor colore
mentre ti faccio ancora le sguerguenze (anchggio anch'io, saltello)
falsificando me in altrui forma.

Ha' voglia a disterpare a diserbare
tutt'intorno ci smangiucchia la natura
e vedo gi che non son n due n una
ma bimba rossa alfine, certo, rossa malpelo tacco-punta
tacco-punta
anchggio anch'io, saltello

S'abbarbica la buganvillea
e le sue foglie di foglie


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i fiori suoi di foglie sanguisuchi - sto sulle spine io, ti spio -
tutto ti rimagnano lu Filiciaru
tutta ti risucano la casa della mente
cinico re, mio possidente.


La metamorfosi allegorizzata dellIo-Tu nel S-Me che consegue allinizio del processo di
metabolizzazione della Lingua dei Padri riecheggia inevitabilmente il canto per eccellenza del
metamorfosarsi dei corpi in altri corpi in maniera virtuosisticamente teatral-linguistica: il XXV
dellInferno, in cui lapice del virtuosismo Dante lo raggiunge a dispetto dei Padri Classici nei
momenti magmatico-grotteschi in cui la Creatura non n un n due: fuor di metafora si tratta del
trapasso dellIdentificazione del Soggetto Femminile Poetante da un Io-Tu ad un S-Me che, per
attestarsi, veste la Maschera della Figlia Incestuosa, pi unica che rara maschera nella letteratura
nostrana (figura altamente censurata dal moralismo ginofobo del Canone Patriarchista): Mirra.
Falsificando me in altrui forma sostituisce metonimicamente, risemantizzandolo contestualmente
alla presa di parola della Figlia Incestuosa, Inf. XXX, 41: falsificando s in altrui forma. Tragica
allegoria: questo peccato di contraffazione dellIo femminile (del Tu!), della presa di posizione
come Personaggio Auctor-Actor della Femmina Fonica (La Poetrice) , secondo la lezione-
interpretazione del Padre Dante, paradossalmente, pi grave addirittura dellatto di lussuria
incestuosa della ragazza. Inf. XXX, 37-41: Mirra scellerata non tanto perch divenne/al padre,
fuor del dritto amore, amica quanto perch venne a peccar con esso cos celando la sua vera
immagine, il suo viso, il visus spirtal-spirituale del Tu femminile! Velato per commerci carnali: per
prendersi dal Padre il corpus poematico; lhomunculus vegetativo sottratto a tale amplesso, il
concepimento generativo che ne deriva, giace taciuto nel tenebroso sottotesto ovidiano (in cui si
narra che dallamplesso di Mirra col padre Ciniro che qui si trasforma a lapsus in cinico
possidente sort una gravidanza) che qui, scelleratamente, il poemare della Figlia rimette in
funzione, ignobilmente smadonnandosi:


LE PARTI IGNOBILI

Ma ancor pi gie gie
ubi non trovo dante ubi consistam
l dove l'altra origine m'appesta Le parole tendono ad essere
inadeguate al tanto temuto
contenuto
una sbiobbina cammina tutta di trache,
non sar mica la storpia
di quella poesia di mio padre? (mi lusso anch'io, anchggio)

E vedo che gi non son n un n due
mentre cresce di grano e io non granisco. Per tomolate, a perdita d'occhio

Che il gemellaggio improbabile
lo rivelano le proporzioni, Nessuno aveva i suoi occhi e il suo odore
se l'una si china sull'altra (anch'io m'inchino a te, mi chino)
per sganciarle i bottoni.

Ma come La Vecchia anche lei
di grossa caviglia
e tutta a lui centimane s'appiglia



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(pispigliando) ADOPERANDO PER LA PRIMA VOLTA LE MANI FINALMENTE CAPII
PERCHE' MIO PADRE ERA STATO UN UOMO FELICE.

Dove Dante non pi donante lubi consistam informativo, nellinferno dellincesto reale
dissimulato in poemando i primi versi auto-nomantisi del S-Me transpersonale che inizia a
registrarsi in quanto voce propria, la Poesia del Padre/Madre viene detonata in poesia di mio
padre, accidente autobiografico trascurabile, rimovibile a petto della futura melologia della Vita
Nova poietica del S: il gemellaggio che fin qui ha funzionato fin qui Autorizzato diviene
ormai improbabile, letterariamente improponibile. Bisogna passare ad altro, prenderSi un Nome
Proprio, iniziare a far coincidere il Me Poetante con la Dittatrice del S:


NEI COLORI PRIMARI - COME DICEVA LA DUSE - OGGI REALIZZO

Toh!, una btta sulla coscia
ergo esisto, dunque sono: questo:
terra grassa, campagna
occhio e cuore di bue.
Esisto e dunque sto
intr'a ddu' alivari
Donna Rosina s'annoda languida treccia
e guarda gemere il miele dai fichi,
mmhh... gua' che goduria (che giulebbe)
intr'a ddu' alivari cc
c' lei proprio lei lei
lei poppone lei scarponcelli slacciati
lei di caviglia pesante lei
la nobil contadina d''a Poria,
chidda c''u ficu se ll'ingoia intero,
'u ssai? Glop, intero!

Il latte di fico mi brucia il labbro (spia rossa s'accende)
dunque esisto e sono
in cassetta di sicurezza
l'anello il bracciale e la spilla R
l'eredit dell'ava platinata e brillante R
che qui giace in pace sorridendomi mesta
acquitrinosa livida ametista R

E allora un'altra btta sulla coscia e via
mi strofino mi scortico un polpaccio,
arrossisco tutta e sono ancora e sempre
ancora e sempre ancora e sempre (VAMPATA!)
Donna Rosarina dei Porio (- Quando era sbronzo concionava come il
celebre avvocato di Casabona, almeno
cos gli pareva, poeraccio -)

Donna Rosarina la Paccia - vino, vino per tutti, offro io! -
Donna Rosarina 'u Poeta - offro io! -
l'orator di piazza, l'orator latinorum,
che di necessit qui si registra


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anche se credo invero non esista.

Lui cresce nel grano mentre granisco:
'u pane 'e Capizzaglia
affogato nel vino
mi gonfia la panza.

Nel non-Nome del Padre, per irrisolta inibizione partenogenetica, lIn-fanta Innominata diventa
finalmente, nel mezzo del cammino del S nascente, Donna Rosarina Poeta, Donna e Poeta, un po
perch, come vorrebbe la letteratura femminista, Poeta in latino femminile (anche se non siamo
ancora esentate, nonostante tutto, da un complesso narcisistico di virilit), un po perch la
definizione Poetrice non giustamente esentabile da parodizzazioni grottesche; A(u)(t)trice, che di
necessit qui si registra (Purg. XXX, 63) anche se credo invero non esista in quanto Io, Lei -lei
essendo, beckettianamente, s-faccia-tamente/teatralmente un Not I, una Bocca Anonimamente
Transpersonale. Come il Padre/Figlio al cospetto di un S/Madre del proprio dire paradisiaco
destituisce, per esaustione di mitopoiesi stilnovistica, il potere inibitorio del Tu/Madre-Musa
Angelicata, purgandosi del peccato lussurioso che in giovent lo travi(s) dal Sommo Bene
Teologico, il S della Figlia di solo Padre abbatte il di Lui narcisistico Io Lirico-poematico
esclusivamente fallico-nutritivo, che per Lei-lei, in quanto tale, semplicemente non avr pi
necessit teleologica di sussistere, se lei infine si assume la responsabilit poietica di un proprio S
corpo-linguistico. Ora che il concepimento e la filiazione orale (mi gonfia la panza) del di lei
linguaggio poietico, sia pur concresciuto partenogeneticamente da quello di Lui/Loro, stato in-
formato dal dante, pu attendere ad ulteriori sviluppi poietici, arrotandosi i denti (granire: verbo
che indica movimenti della bocca infantile in fase incipiente di dentizione) in vista di altre
manducazioni. Ahi! Lo Dittatore Amore!





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Su Thrse di Florinda Fusco


Nell'attualit porta ad un suo straordinario esito il processo di scrittura poematica di Florinda Fusco,
in cui l'autorizzazione del S-corpo alla scrittura epica diventa presa di possesso, accesso e
dilagazione dello spazio grafico del poema 'in lungo e in largo', abolendo la schiavit metrica.
Abbandonate le categorie canoniche versali del Poema dei Padri, abbandonate le controfigure
metriche e/o parodiche di Rosselli-Vicinelli-Lo Russo-Valduga, la forma poema al contempo si
disgrega definitivamente rinunciando alla tentazione della canonizzazione patriarchista fra le fila
dei Santi Padri e finalmente osando dare corpo testuale alla Santit delle Sante Madri tramite il farsi
parola del S-corpo femminile a prescindere dal canone poematico maschile.
La Santit del corpo-voce-scrittura-immagine della Fusco ha per vessillo un titolo ipertestuale che
dichiara implicitamente il modello testuale di riferimento: Thrse il nome delle due mistiche
scrittrici pi feconde, famose e amate dalla tradizione canonica (in questo caso in senso
ecclesiastico oltre che letterario, ma evidente che storicamente le poche donne non analfabete
appartenevano alla societ ecclesiastica, visto che la secolarit riduceva le donne al rango di mogli o
amanti, annullandone la personalit), la Grande Teresa d'Avila e la Piccola Teresa di Lisieux, un
Nome, insomma, quello di Thrse, che copre emblematicamente l'intero arco della spazialit e
temporalit po-epica femminile dal punto di vista storiografico della scrittura come autonarrazione
(la ricerca del S) che precede la recentissima nascita della poesia poematica delle donne,
poematica, ovvero svincolata dalla gabbia lirica amorosa di maniera e volta alla ricerca di modelli
altri.
La sacralit del nuovo modello testuale esalta la ricerca del S corpo linguistico nello spazio
dilatato della scrittura, dove il bianco lungo e largo che circonda il flusso po-ematico diventa luogo
di espansione, appropriazione a abbandono al linguaggio del S come corpo poematico, luogo
fecondo di dissanguamento e dissipazione dell'antica unit versale fonoritmica del poema classico
in un continuo decentramento atono/aritmico/telegrafico di linee (cos Fusco definisce i suoi versi)
esplose dal quadrato rosselliano (di cui la stessa Fusco ha trattato criticamente) e dalla
compattezza fonoritmica del (dis)sacrato poema Sequenza orante ne la Comdia del S tracciata
dalla sottoscritta. Si tratta dunque di tutt'un'altra storia rispetto a presunte matrici
neoneoavanguardistiche (di cui gi si lamentava e a ragione Rosselli, ma tant', il Gruppo '63 e
successori hanno tentato di inglobare noi femmine poematiche nel loro discorso, un'operazione
criticamente inaccettabile dal punto di vista storico-letterario, anche se va riconosciuta agli
esponenti del Gruppo '63 la bont di averci benedette autrici).
Nelle linee-vettori della esplosione del versificare poematico di Lo Russo (Lo Dittatore Amore.
Melologhi in particolare) e di Fusco viene meno la necessit del verso tradizionalmente inteso, che
collassando si trasforma in extensions di un S corpolinguistico da inventare, un'eroina epica che
abbandona la pesantezza (in senso weiliano) dell'Io poematico canonico a favore
dell'invuotamento (parola usata da Fusco ne La signora con l'ermellino) dell'Io, sostituito dalle
tracce trapelanti, flebili e rigogliose al contempo, della grazia (nel senso weiliano del termine) del
S, piuttosto imparentato, se proprio vogliamo trovare un antecedente fuori dal canone poetico
italico, al monologante Not I di Beckett piuttosto che alle scomposizioni teatsuali delle
neoavanguardie.
Le matrici poematiche femminili di Fusco, piattaforme di lancio testuale per l'inveramento nella sua
scrittura del S-corpo di linguaggio, sono filosofiche: i nuclei aforistici di Weil e Arendt compaiono
nel bianco della pagina come puntelli di sostegno ideale e ideologico; e poetiche: le sue linee sono i
vettori che il quadrato armato della Rosselli di Variazioni belliche da lei criticamente scassinato
dirama nello spazio bianco del suo impaginare l'esperienza. Ma non meno presenti alla sua scrittura
forse solo come adesione al progetto-poema, mi paiono i panegirici della libert dei libella di
Rosselli e della sottoscritta, che hanno dato l'avvio al trangugiamento e rimetabolizzazione delle
fonti poematiche canoniche, facendo da apripista a questa scrittura che si liberata dal versificare in
antiche lingue toscane definitivamente archiviando la parodia del colosso patriarchista.


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Ma una per tutte, attestandolo con estrema lucidit nella grande intrapresa ipertestuale e
multimediale del poema (che ormai gi scrittura altra, oltre ogni genere) Thrse, Fusco esplicita
che il modello per la nuova Santit non sono i Santi Padri, ma le Sante Madri, le mistiche scrittrici.
Il modello storico del poema nella nuova accezione di autonarrazione sperimentale ed
esperienziale del S Femminile la testualit scritta-orale delle Sante, attive testualmente dal
medioevo ad oggi, quindi una vera e propria tradizione canonica che le poetesse fanno propria: la
vera e propria fonte canonica. La scrittura mistica femminile europea il modello del poema
italiano femminile dal secondo Novecento in poi; lavora nel sottotesto e nel linguaggio della
Rosselli, esplode in Sequenza orante, struttura e dilaga nell'ipertesto di Fusco, dove per lascia
decantare il piglio eroico e, recuperando il vecchio stratagemma manzoniano del manoscritto
ritrovato ma parodicamente e paradossalmente rivendicandone il piano di realt! - lo trasforma in
diario di una qualunque, una donna comune, una donna socialmente diversa ma non pi identificata
con l'icona della poetessa epica, orante alle folle, come ancora ingenuamente aspirava Rosselli.
Dunque, se la scrittura delle sante era storicamente autorizzata dai Padri (i confessori, Dio), se la
scrittura delle poetesse poematiche era testualmente autorizzata dall'obbedienza alla Santit dei
Santi Padri del canone letterario a dire il S scrivente in versi (parodicamente in Rosselli-Lo Russo,
acquiescentemente imitativo nel caso della Valduga che neometricamente fa il verso ai Padri per il
puro piacere del testo, senza smarcarsi dall'obbedienza), Thrse il personaggio-autore del proprio
macrotestuale Diario, in cui si canta e in cui si narra, si disegna e si fotografa la conquista di un S
Transpersonale sperimentato in tutte le sue declinazioni, dall'Io Esperienziale dell'Autrce, al Noi
della ragazza ignota del manoscritto ritrovato: l'Io-S si consegna alla scrittura: questa la resa
poematica della flussuosit di Florinda. Se l'Autorizzazione (= l'essere autrice) delle progenitrici
proveniva non dall'Io-S ma dall'Altro da S (l'Io/Dio), se il modello di Auctoritates viene
rovesciato dalla rivoluzione poetica del secondo Novecento, l'Autrice del Duemila pu spaziare fra i
molti Io e i molti S in vertiginose espansioni dilatazioni contrazioni e dissanguamenti mistici di un
Grande Corpo Testuale che si confessa liberamente scegliendo la sua tradizione, le sue fonti, i suoi
modelli multimediali. La confessione, nel senso letterario anglosassone del termine, resta per un
modello valido per la scrittura. Cantare-narrare la propria e altrui storia femminile rimane, in Fusco,
un atto del donare: la scrittura visiva del poema, il suo spazio di immagini, una vestizione
divinizzante del corpo femminile al fine di farne (=poiin) un S corpo.orante/scrivente. Un donarsi
espropriante eppure per-formativo nello spazio letterario: qualcosa di simile accade nelle due
boschive Biagini e Pugno, Io altrettanto S/lvaticamente accorpantesi nel testo, nelle formule
dissipative del testo in quanto continuit poematica del proprio darsi-disintegrarsi-disseminarsi
corporeo. Ci che mi sembra accomunare queste poetesse di inizio millennio la presa di poessesso
dello spazio letterario del poema in quanto risultante di un'Autorizzazione del S Corpo da parte di
un S Intellettuale liberato, tanto per usare un'espressione veterofemminista, ovvero non pi
soggiacente alle regole mistiche dello scrivere per bocca e mano dell'Altro, ma non immemore di
ci la Fusco per bocca e mano di un S collettivo femminile cui viene riconosciuta l'Auctoritas.
Non saprei se nel caso di Biagini e Pugno agisca questa consapevolezza, e neppure se le
Auctoritates Femminili siano le stesse mistiche e filosofe della Fusco, ma l'importante segnalare
che il modello del poema attuale non pi il canone letterario italiano.
Dopo la decostruzione delle auctoritates poetiche novecentesche operata dal poema rosselliano del
'58, si aprono gli spazi per nuove auctoritates nel poema femminile e queste nuove auctoritates non
appartengono pi al canone letterario bens al canone mistico. Il nuovo riferimento, gi adombrato
in un folto grappolo di lessemi rosselliani facenti riferimento all'ambito linguistico della mistica
medioevale, sono i vari libri dell'esperienza delle autrici mistiche, uno per tutti l'antonomastico
Libro dell'esperienza della medioevale francescana Beata Angela da Foligno, ipotesto di Sequenza
orante. Nel caso di Thrse antonomastico invece il titolo, che riunisce sotto un unico cartello
l'esperienza corporea e spirituale delle mistiche (dalle oranti peruviane in lingua quechua a Simone
Weil), attestando senza remore che i nuovi modelli da cui la scrittura femminile pu svilupparsi e
andare oltre il corpus poematico strictu sensu appartengono alla grande tradizione mondiale, oltre


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che europea, dell'orazione femminile, l'unica pratica scritta-orale delle donne lungo i secoli che
abbia creato un corpus solido, pur ricevendo fin qui dall'Altro (dall'Alto) l'autorit. Il S corpo-
linguistico lo spazio tempo sacralizzato di un dentro autoriale che inizia a farsi spazio verso un
fuori da modificare mediante il dilagare di estensioni verbo-visivo-sonore delle proprie reliquie
corporeo-esperienziali, alla ricerca delle configurazioni identitarie di una generazione nata dal S
partenogenetico invocato come risolutivo del conflitto autoriale dall'ultima lassa de La libellula
rosselliana: l'identificazione del nuovo Sole di un S che si autogenera scrivente-orante-
autoraffigurante la propria genealogia di autrice. Panegirico della libert, il giro del pane lo
spazio aperto di questa scrittura che sperimenta il luogo-poema, lo spazio immenso della scrittura e
del suo silenzio bianco, come tmenos, luogo sacro e territorio vergine dove pu liberamente
accadere (vigilanti le auctoritates mistiche) il parto fluido di un S Femmina rossellianamente
bellicosa anche se non meno bellicosa e misticamente abitante la ricerca del Santo Graal
dell'esperienza fu la poematicit di Patrizia Vicinelli nei confronti del nemico che non pi il
Demonio ma la sua incarnazione mediocre, la Signora Borghese, gi ampiamente vituperata dalla
letteratura primonovecentesca ma soprattutto vero e proprio feticcio del S Negativo pugnalato
dalla grande poesia femminile in lingua inglese, dalla Sexton alla Duffy, e in Italia dalla Rosselli
alla Vicinelli fino a noi: la Signora come bieca caduta dell'immagine femminile di Madonna il
Travestito ovvero della donna come proiezione passiva del S maschile. Ecco, il poema femminile
contemporaneo sta tentando di disegnare altri modelli femminili, e com' ovvio non affatto facile
trovarli ed imporli al pubblico. La nostra ricerca si configura come un processo esponenziale di
Alterit, ma il nome-titolo Thrse suscita in me l'esultanza di un approdo stabile, di un punto di
arrivo e di risposta all'invocazione disperata delle madri Rosselli-Vicinelli: la Santit della Fragilit
Guerriera, la debolezza forte, l'inermit imbattibile, dono della flessuosit e flussuosit di questa
scrittura. La scrittura di Florinda Fusco ha rotto un argine, ha oltrepassato un no trespassing ancora
inibitorio nei miei poemi (gi dilaganti oltre la versificazione e verso la ritmicit) Musa a me stessa
e Sequenza orante, ampliando la frontiera della nostra ricerca ancora in corso e molto lontana, mi
pare, dall'epilogo, avendo solo ora acquisito, la creatura, un nome proprio, l'assunzione di un
Modello-Autrice, di un exemplum forte in quanto gi in partenza ipertestuale.
Il Non Io che sfonda l'orizzonte lirico, che diventando S Transpersonale rifonda il poema
radicandolo nei piedi saldamente ancorati alla terra della quotidianit e nei capelli elettrizzati verso
l'Altrove di Anne Sexton, filamenti espansi verso l'Oltre, la Santit delle Sante come sublime
zavorra di un corpo-qui-e-ora, assunto su di S e al contempo rigettato lonano, oltre i confini della
quotidianit, le Madonne Celestiali che Rosselli e Lo Russo hanno parodicamente assunto a
contromodello di denuncia si sono trasformate nel loro negativo fotografico ne Il libro delle
madonne scure, primo passo di una riappropriazione della storia del proprio S (autobiografico in
senso transpersonale, ripeto) a partire dal riferimento implicito alle acque scure di un parto difficile:
la partenogenesi dell'Immagine di un S inquinata dall'onnipotente denegatore e denigratore
dell'esistenza intellettuale e fisica, e anzi intellettuale in quanto fisica della femmina, della portatrice
di vagina (con eufemismo intesa handicap, mancanza) come luogo di pensiero non come non-luogo,
vuoto di passivit da riempire. Il luogo della femminilit diventa luogo di scrittura che si produce a
partire dal e nel vuoto solo apparente del bianco della pagina: si tratta di capire, leggendo Fusco,
che per la gemmazione verbale pi importante il pieno-vuoto del supporto-libro-pagina che la
freudiana penna-pene che la riempie. L'aspetto paradossalmente bellicoso sta nel porre
implicitamente fine al mito cattolico della Dormitio Virginis come Assunzione al cielo della
Scritttura della Femmina Narcotizzata, ovvero nel ridisegnare la Santit Femminile come
Oblazione, una bellicosit tutta generatrice, nel segno della scrittura come espansione di questo S
Vergine, neonato e partoriente al tempo stesso. La santit di Madame grazia e oltrepassa la Sposa
dalle ovaie di ferro? Quale S scrivendo la sostituir? Thrse oltrepassa Madama La Signora e la
sua faccia di uomo truccata, la mia Madonna come Travestito in Musa a me stessa. Il centro
della carne ancora vuoto: ancora sono esposti rossetti, trucchi, extensions, cappelli, scarpe,
rivestimenti della carne se non pi Vestizioni delle Sante Suore Scrittici per mano di Dio-Auctor. Il


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suo martorio (come direbbe Iolanda Insana, altra Grande Madre della scrittura poematica femminile
contemporanea) di Ragazza Cristica ancora agisce ne Il libro delle madonne scure, ancora vi insiste
a dominare la figura della Mistica espropriata del S dall'Altro da S maschile, insiste ad esistere
come Amata Modella anche se alternativa alla Madonna Stilnobbista.
Anche Silvia Cassioli, in Unghie, plantari, gambe di legno e altri ex-voto fantastici (Napoli, d'if,
2009), ha esposto in lasse poematiche, con sapiente leggerezza comica, grazia e potenza, questa
msse reliquiaria dell'antico oblato S-corpo femminile duro a morire nella (in)coscienza collettiva.
Il modello identificato come identitario del S ma da superare la figura emblematica della
Ragazza Cristica, dell'agnella espiatoria della colpa di fare il verso ai Padri, la sacrificata tragica del
poema epico, dei frammenti sparsi e persi del grande genere poema nel crogiuolo dei generi
novecentesco: il Corpo come dono-sacrificio di S, del S ancestrale da espiare, espletare, espirare
in versi. Il Libro delle madonne scure conclude cos: questo il mio corpo cucilo senza memoria.
La Donna Assenza il Santo Graal delle linee di Fusco, lanciate alla ricerca del Corpo S da cucire-
costruire, quella che nei miei Melologhi si autoproclamava ad alta voce me madonnara folla.
Madame de Il libro delle madonne scure la stessa dramatis persona in tutt'altre modalit
espressive di Madonna-Musa de Lo Dittatore Amore. La mia parodia troppo a tesi - frutto
ipermaturo di una decadenza tardonovecentesca? - superata dalla scrittura del nuovo millennio di
Florinda Fusco, che ne sposa gli Oggetti, i desiderata: liquidare il S Corpo come Assenza,
divenirlo materia ovvero spirito della terra, Grande Madre di un ritorno che si dilata verso il futuro
percorrendo la via piccola della Santa Teresa francese e la via grande della Santa Teresa
spagnola, entrambe diversamente eroine, Modelle di Santit, Atlete del Cuore, Madonne del
Carmelo che da sempre rincorre la costruzione di un S Donna-Verbo (specialmente nella vasta
dottissima scrittura della carmelitana fiorentina Santa Maria Maddalena de' Pazzi). Co(s)micit del
gap maddalenico l'autodefinirsi Amante dell'Amore di Cristo; Simone Weil citata dalla Fusco:
Sapere che come essere pensante e finito io sono Iddio Crocifisso. La Ragazza Cristica, morendo
al mondo (e che altro resta da fare se non morire ad un mondo, ad una societ, che nega alle donne
l'appropriazione del proprio S tuttora?!), diventa S tramite l'identificazione con il Verbo, ovvero
tramite la Scrittura: e qui affiora il lato meno urlante e pi radicale della parodia: il (dis)Sacrato
Poema delle donne ha da affermarsi come Auctoritas se vuole affermare un'altra immagine sociale
dell'esser femmina. Ma finalmente nella scrittura di Fusco deceduta la dura necessit storica di
ionizzare (forza e limite della retorica parodica che ha dovuto assumersi la scrittura delle donne fin
qui, fino ad ora per ragioni eminentemente storico-sociali) sui concetti patriarchisti di Bellezza e
Verit (pilastri del Canone): Florinda pu finalmente scrivere far dire a Thrse - : padre perch
non mi hai abbandonato?

La formula orante come esclamazione e invocazione, lo strillo d'angelo della Rosselli, ci
accomuna tutte: scaturisce dalla voce di un corpo collettivo che insisto a chiamare Poema perch ha
avuto l'ardire eroico di rivoltarsi all'angelismo senile del canone.
In Thrse l'eroina epica (l'attante) si confonde con l'autrice, ovvero con colei a cui viene attribuita
dall'autrice reale l'autorialit, l'auctoritas di fonte: l'autrice reale, l'autrice fittizia e l'attante
collaborano alla messa in opera del poema, il cui vero Autore dunque un Noi, quello che ho fin
qui chiamato il S collettivo, transpersonale: abolita la sottomissione gerarchica del Tu femminile
ad un Io autoriale onnipotente, il conflitto con l'idea di Auctoritas si risolve nella flussuosit
ipertestuale che insisto, forse ormai solo per comodit, a chiamare poema. Diciamo insomma che la
ricerca del S, vera giustificazione del poema di fondazione, si articolava nella forma parodico-
interrogativa rispetto all'Auctoritas nelle scritture di Vicinelli-Rosselli-Lo Russo, mentre in Fusco,
data per acquisita l'entit autoriale collettiva Ragazza Cristica, il tono pu cominciare a farsi
assertivo, tanto da sfociare addirittura in un inno weiliano della Ragazza Cristica: L'Inno di Thrse,
un peana della scrittura femminile contemporanea, un inno generazionale alla rigenerazione del
canone, senza schermi ironici, senza paura, con pthos massimalista, di dire un S quasi
zarathustriano per assertivit: generiamo un Padre nuovo, una creatura che generi un creatore,


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la lingua che pronunci il Verbo, la Sposa della terra, il Cantico della nuova Sposa,
controcanto solenne del mio parodico melologo Causa di beatificazione, non meno avvinto al
solenne linguaggio mistico ma filtrandolo attraverso una non coincidenza fra l'Io e il Tu, fra
l'Autrice e la Santa. Nella reiterata pratica della scrittura esperita come liquidit mistico-cosmica del
grande corpo della generatrice, Mater, Filia, Sponsa, ovvero della generatrice come creatura e
creatrice al pari del Padre (ch tale l'icona della Ragazza Cristica) ha preso finalmente Corpus
una genealogia di poetesse, anzi di autrici oramai alla ricerca solo di un nome identificativo, ch
poetessa termine avvertito come obsoleto, poeta al femminile come veterofemminista, e poetrice
come scherzando dico da qualche anno decisamente non accreditabile. Ma del resto se nemmeno
il poema pi poema anche la poetessa pu non essere pi poetessa. Siamo di fronte ad una nuova
testualit e dunque ad una nuova autorialit, esito di una innovativa genealogia poematica
femminile.
Il classico espediente letterario del manoscritto ritrovato allude alla seriet filologica con cui
l'Autrice ipertestuale d corposit e concretezza figurativa al concetto fondamentale della
collettivit del S poematico femminile in continuit con la tradizione delle scrittrici mistiche. Ma
forse definitivamente di un S transgender dell'autorialit: non assolutamente detto che questa
genealogia infatti non includa autori maschi perch, sia chiaro, quando parlo di poesia femminile
intendo dire che esistono delle tematiche e delle formule stilistiche e di genere che hanno
interessato alcune autrici rendendo possibile un discorso critico che coinvolga pi soggetti in un
medesimo percorso esperienziale definibile poema. Anzi, la nuova frontiera autoriale l'anonimia
(che non l'anonimato...): l'ipertesto, poematico o no, da tempo la sperimenta. Il nobile espediente
del casuale e falso reperimento di un manoscritto si ribalta in Thrse e con questo torna a farsi
sentire la forza della retorica parodica nel reale dato di fatto esperienziale del reperimento, casuale
ma vero di un manoscritto che forse di una donna, in quanto che l'autrice del diario si nomina
Thrse: la liberazione del S unitario coscienziale passando attraverso la forma-diario (gi esperita
dalla Rosselli in varie modalit), e per di pi diario mistico (il diario la forma preferita dalle
autrici mistiche), passando quindi attraverso una tradizione cristiana gnosticamente e
multiculturalmente rigenerata, diventa apocrifa, anonima, transgender e sovverte il macrofenomeno
dell'angelicazione del Tu oggetto dell'Io Autore soggetto: l'auctor dell'ipertesto non n maschio
n femmina. Si realizza il sogno della Ragazza Cristica/Anne Sexton che nella poesia (ipertestuale
ante litteram in quanto frammento di un suo copione teatrale oltre che parte della raccolta Live or
Die con cui l'autrice vinse il Pulitzer nel 1969) Frequentando gli angeli asserisce, in clausola, non
sono pi una donna/ di quanto Cristo fu un uomo (il testo del '63!).
Thrse, nome e appellativo, operosa opera a pi mani di una suororit arcaica e contemporanea,
piccola e grande, bambina ragazza e donna, n angelo n madonna, come gridavano le femministe
in piazza negli Anni Settanta, Thrse opera multimediale, multicentrica multi-, un approdo
letterario certo e un incoraggiante inizio, un'apertura felice.

Rosaria Lo Russo




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Bibliografia di riferimento di Rosaria Lo Russo:


Sequenza orante implorazione derelizione derelizione implorazione, Firenze, Gazebo, 1995.
Comdia, Milano, Bompiani, 1998 (ristampa anche Sequenza orante col titolo cos semplificato).
Lo Dittatore Amore. Melologhi, Milano, Effigie, 2004 (contenente il testo e la performance vocale in cd
audio Musa a me stessa).
Comdia & Comeda (annimo florentino), in AA.VV., Dante en Amrica Latina,. Actas primer congreso
internacional sobre Dante Alighieri en Latinoamrica. Salta 4-8 de Octubre de 2004., al cuidado de Nicola
Bottiglieri e Teresa Colque, 2 voll., Edizioni dell'Universit degli Studi di Cassino, 2007, pp. 1023-1044,
ristampato, in traduzione italiana, Comdia & Comeda (anonimo fiorentino), in AA. VV., La scoperta della
poesia, a cura di Massimo Rizzante e Carla Gubert, Pesaro, Metauro, 2008, pp. 61-92.
Acque paterne. Sylvia Plath Full Fathom Five, in "L'Area di Broca. Semestrale di letteratura e conoscenza",
XXII, 60, luglio-dicembre 1994.
Figlia di solo padre, in "Semicerchio. Rivista di poesia comparata", XI, 1/2, 1994.
Per Amelia Rosselli, a due anni dalla morte, invitandola a d esistere, in "Via Dogana. Rivista di pratica
politica", 42, febbraio 1999.
I Santi Padri e la Figlia dal cuore devastato, in AA.VV., La furia dei venti contrari. Variazioni Amelia
Rosselli, a c. di Andrea Cortellessa, libro + cd + dvd (cd e dvd a c. di Rosaria Lo Russo), Firenze, Le Lettere,
2007 .
Il canto della Libellula, in AA.VV., Scrivere chiedersi come fatto il mondo. Per Amelia Rosselli, Atti
del Convegno Universit della Calabria 13 dicembre 2006, a cura di Caterina Verbaro, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2008.
Lattante di Vicinelli-Rosselli un cavaliere antico, in AA. VV., La repubblica dei poeti. Gli anni del mulino
di Bazzano, a cura di Daniela Rossi e Enzo Minarelli, Udine, Campanotto, 2010.


Altri riferimenti bibliografici:

Roland Barthes, Il piacere del testo. Contro le indifferenze della scienza e il puritanesimo dellanalisi
ideologica, Torino, Einaudi, 1975 (titolo delledizione originale Le plaisir du texte, Editions de Seuil, Paris,
1973).
Julia Kristeva, Materia e senso. Pratiche significanti e teoria del linguaggio, Torino, Einaudi, 1980.
Eric A. Havelock, Cultura orale e civilt della scrittura. Da Omero a Platone, Bari, Laterza, 1983; 2003
(titolo delledizione originale Preface to Plato, Harvard University Press, Cambridge, Massachussets, 1963).
A.A.V.V., Scrittrici mistiche italiane, a cura di Giovanni Pozzi e Claudio Leonardi, Genova, Marietti, 1988.
Corrado Bologna, Flatus vocis. Metafisica e antropologia della voce, Bologna, Il Mulino, 1992.
Walter Vandereycken Ron Van Deth, Dalle sante ascetiche alle ragazze anoressiche. Il rifiuto del cibo
nella storia, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1995 (titolo originale From Fasting Saints to Anorexic Girls,
1994).
Anne Sexton, Poesie damore, a c. di Rosaria Lo Russo, Firenze, Le Lettere, 1996.
Amelia Rosselli, La libellula, in Le poesie, Milano, Garzanti, 1997.
Anne Sexton, Lestrosa abbondanza, a c. di R. Lo Russo, A. Satta Centanin, E. Zuccato, Milano, Crocetti,
1997.
Gabriele Frasca, La galassia metrica. Per un ulteriore scienza nuova, in Moderna. Semestrale di teoria e
critica della letteratura, I, 2. 1999.
Gabriele Frasca, Le forme fluide, in Moderna. Semestrale di teoria e critica della letteratura, III, 2. 2001.
Anne Sexton, Poesie su Dio, a cura di R. Lo Russo, Firenze, Le Lettere, 2003 (si veda in particolare la
postfazione La ragazza cristica).
Florinda Fusco, Amelia Rosselli: la propagazione bloccata, in AA.VV., Trasparenze. Supplemento non
periodico a Quaderni di poesia, Genova, San Marco dei Giustiniani, 17-19, 2003.
Patrizia Vicinelli, Non sempre ricordano. Poesia prosa performance, a c. di Cecilia Bello Minciacchi, con un
saggio di Niva Lorenzini e con un'antologia multimediale a c. di Daniela Rossi, Firenze, le Lettere, 2009


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Julia Kristeva, Teresa, mon amour, Roma, Donzelli, 2009
Manifesto politico-letterario Fragili Guerriere di Daniela Rossi e Rosaria Lo Russo, reperibile in vari siti
web.
Florinda Fusco, Tre opere. La signora con l'ermellino, Il libro delle madonne scure, Linee, Roma, Odipus,
2009.
Florinda Fusco, Thrse, Roma, Edizioni Polimata, 2010.



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La nascita del canone femminile


Esiste un canone poetico alternativo a quello che Amelia Rosselli attribuiva ironicamente, nel
poemetto la Libellula del 58, ai Santi Padri della tradizione letteraria italiana? Esiste cio un
canone unico e maschile nella nostra letteratura o lecito parlare dellesistenza di un canone altro?
Ovvero di un canone femminile nato e sviluppatosi nella scrittura delle donne?
Rosaria Lo Russo con grande coraggio discute, nel saggio uscito in questa sede, una questione
lasciata ai margini dal dibattito intellettuale italiano.
E doveroso parlare di coraggio, perch questo della Lo Russo il primo saggio italiano che
affronta tale discorso con grande risolutezza, addentrandosi pienamente in una questione oltre che
complessa, scomoda: scomoda perch tacitamente mette in discussione limpostazione e le scelte
autoriali delle storie delle letterature italiane dei nostri santi padri critici, e perch un simile
discorso, fatto da una donna, potrebbe essere facilmente e banalmente giudicato come un atto di un
femminismo retr o come una rivendicazione di categoria o, ancor peggio, personale. E cos,
tranne piccoli accenni trovati qua e l, la questione generalmente taciuta. Colpisce, dunque, il
tono sicuro e assertivo della Lo Russo, il tono di una voce pronta a dire tutto ci che pensa, a
mettere per iscritto ci su cui ha meditato evidentemente per anni, e che non teme alcuna risposta
critica perch fortemente consapevole di ci che scrive.
Per affrontare la questione del canone femminile vorrei partire da unaffermazione innegabile,
ovvero che negli ultimi sessantanni proliferata in Italia una scrittura poetica femminile di
notevole interesse e di grande spessore.
Parlare di poesia femminile non significa ghettizzarla, come qualcuno teme, significa al contrario
riconoscerle ci che le proprio, sia dal punto di vista culturale che biologico, significa poterla
leggere con lenti nuove e non con le lenti consunte consegnateci dalla tradizione critica italiana e
modellate unicamente sulla letteratura maschile. La scrittura poetica femminile non pu pi temere
di essere ghettizzata, dopo il suo debordante irrompere nella scena letteraria di questi anni. La
poesia femminile ormai mostra di avere una grande consapevolezza di s ed arrivato il momento
che anche la critica affronti la questione con forza e con chiarezza.
Se in alcuni paesi, come gli Stati Uniti, si forse ecceduto negli studi di gender, di contro, nel
nostro paese ve ne sono toppo pochi, come ha giustamente sottolineato Paolo Giovannetti in una
discussione milanese avvenuta in margine a letture poetiche del settembre passato. E tutto ci
dimostrato dal fatto che in Italia, anche istituzionalmente, non esistano cattedre di genere . Oserei
parlare di un assenza del discorso critico di gender, specialmente se il settore preso in esame
quello letterario.
La tesi portata avanti dalla Lo Russo che a partire dalla Libellula del 58 di Amelia Rosselli,
erompe con forza nella letteratura italiana un canone femminile, che si distanzia per le sue
specificit da quello della tradizione letteraria. Lo stesso canone si riafferma con la poesia della
Vicinelli e pi tardi con quello della Lo Russo stessa, e si definisce sempre pi nella poesia
femminile degli ultimi anni.
In particolare per la Lo Russo tale canone si articola una scrittura dominata da unIo Esperienziale,
ovvero un io femminile che fa piena esperienza di s sino a divenire un S trans personale
(attingendo ad una definizione delle poetesse americane della met del secolo scorso), ovvero un S
che comprende lesperienza di ogni singola autrice, ma al contempo la trascende, arrivando ad
affermarsi come un S collettivo femminile.
Questo corpo collettivo femminile sceglie la forma che gli pi congeniale per esprimere la propria
esperienza biologica e culturale, ovvero una nuova forma poematica con uno statuto orale-vocale.
E cos in una scrittura cantata sgorga un epos che racconta la storia e la contemporaneit dal loro
punto di vista, che consegna alla letteratura un nuovo sguardo sulle cose.
E in questo senso la Lo Russo pone in stretta relazione la Libellula rosselliana, con i poemetti della
Vicinelli, ovvero Non sempre ricordano e I fondamenti dellessere della Vicinelli, Comedia e Lo
Dittatore Amore della Lo Russo stessa, e infine il mio poemetto uscito recentemente, Thrse. Ma


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la sua analisi, sinora concentrata in primo piano su tali lavori poetici, ambisce chiaramente ad un
proseguimento di studi critici su altre opere poetiche femminili contemporanee.
Il S collettivo femminile che la Lo Russo scorge in queste opere, da pi di cinquantanni, come lei
stessa sottolinea, emette un potente e ardito grido, che sovverte e innova la tradizione letteraria e
culturale italiana, grido che sia la critica accademica che militante fa finta di non sentire.
Allinterno di ogni opera vi sono, nonostante tratti comuni fondamentali, delle marcate differenze e
una segnata indipendenza. In particolare ci terrei a sottolineare il peculiare percorso della Vicinelli
che giunge nei Fondamenti dell essere, a mio avviso il suo capolavoro, ad un ulteriore passaggio
da un S collettivo ad una completa desoggettivazione del racconto: il racconto non ha pi un S,
ma ha un mondo che si racconta da solo. Lattenzione al quotidiano e alla cruda realt sociale di
Non sempre ricordano, qui si estinguono a favore di una tensione cosmologica e di una totale e
liberatoria consegna al suono come fondamento cosmico. Lampiezza cosmologica con personaggi
mitologici, allegorico-cristiani e apocalittici rimanda, inoltre, fortemente agli scritti di una delle pi
grandi mistiche europee Ildegarda di Bingen. I cerchi, le sfere, le colombe, le nuvole in movimento,
le ruote, la luce in alternanza alle tenebre,le volte stellate, le stelle raggianti, le geometrie celesti, le
distanze perfette, le fiamme, gli angeli, gli specchi e gli abissi fanno parte di una visionariet che si
fa tuttuno col suono e che comune ad entrambe. Scrive Ildegarda di Bingen: Allinterno degli
spazi aerei del mezzogiorno, ecco apparire una ruota [] nella parte superiore appariva un cerchio
di fuoco chiaro che dominava un cerchio di fuoco nero. []. Al centro della sfera daria sottile si
distingueva unaltra sfera, la cui circonferenza era in eguale distanza dallaria densa, bianca e
luminosa [].La figura delluomo occupava il centro di questa ruota gigante. Il cranio era in alto, e
i piedi toccavano la sfera dellaria densa, bianca e luminosa. (da Il libro delle opere divine di
Ildegarda di Bingen).
Thrse riprende il passaggio compiuto dalla Vicinelli da un S femminile collettivo ad una
desoggettivazione in senso cosmologico, ma proprio tale passaggio, nella Vicinelli implicito e
taciuto, qui assunto a nodo tematico fondamentale.
Il canone femminile che la Lo Russo coglie e che non concerne loggetto del racconto, ma i modi e
la lingua di questo, non nasce dal nulla, come lei stessa intuisce, ma ha una sua preistoria: i suoi
fondamenti sono forgiati dalla scrittura mistica femminile sin dal Medioevo.
Le vecchie auctoritates maschili sono distrutte parodicamente dalla Rosselli e dalla Lo Russo e
sono soppiantate da nuove auctoritates che appartengono, appunto, al canone mistico femminile.
Non un caso che vi siano testi di Amelia Rosselli o della stessa Rosaria Lo Russo abbiano come
ipotesti due grandi mistiche, rispettivamente Maria Maddalena de Pazzi e Angela da Foligno. N
un caso che il mio poemetto Thrse prenda il nome da due grandi mistiche Teresa dAvila e
Thrse de Liseux, due volti in un certo senso opposti, che si fanno portavoce di unesperienza
mistica femiminile plurivocale e secolare, e molto articolata e differenziata al suo interno. E i
rimandi prima fatti dei Fondamenti dellessere agli scritti di Ildegarda di Bingen hanno forse in
questo senso un significato.
E nella letteratura mistica femminile che nasce la parola femminile. Ed sorprendente come
questo nodo critico nel nostro paese sia stato ignorato, cos come sono state ignorate le
meravigliose pagine di tante mistiche che hanno scritto per secoli chiuse nelle loro stanze, nelle loro
celle monastiche o in piccole comunit terziarie.
Il fatto che la parola femminile abbia origine nella mistica ha delle ragioni storico-sociali solide. E
infatti la religione, e in particolare, il loro rapporto diretto con Dio, che sia in epoca medievale che
moderna riesce a conferire alla donna quellautorit e insieme quellaudacia, negate loro dal tessuto
sociale in cui vive, per potersi esprimere. Esprimersi significa non solo e non semplicemente
riuscire a parlare autorevolmente agli altri o dare vita a documenti scritti, ma comporta finalmente
limporsi, nel tessuto sociale e culturale, di un nuovo punto di vista, che un punto di vista
eccezionalmente trasgressivo rispetto al sapere dominante.
Mistica femminile sinonimo di trasgressione sociale e insieme letteraria. Allo statuto sociale della
donna costretta alla marginalit e al silenzio, le mistiche oppongono un modello di figura


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femminile protagonista dello spazio sociale in cui vivono e padrona della propria parola. Per la
prima volta nella storia della donna, le mistiche hanno la forza e il coraggio di rompere lo spazio del
silenzio: supportate e incoraggiate dallidea di un mandato divino che permette loro di infrangere le
regole imposte dagli uomini, esse riescono ad esprimere le proprie idee religiose, filosofiche e
sociali, a raccontare la propria esperienza, a raccontare la propria realt, la propria esperienza,
dando vita ai primi documenti di scrittura femminile che appaiono nella storia europea. La scrittura
delle religiose costituisce un atto di autonomia e dindipendenza ostinata da parte della donna, che
spezza i canoni tradizionali sia del sapere che della letteratura maschile.
Ed al loro urlo ostinato e sconvolgente che la poesia femminile contemporanea si riallaccia con
forza: l che trova le sue radici, i suoi fondamenti.
Soffermiamoci adesso su alcuni di questi testi di mistica femminile che formano insieme a tanti altri
un corpus letterario secolarmente accantonato e che costituisce la culla della parola femminile: qui
che la donna inizia a guardare consapevolmente se stessa, inizia a raccontarsi, a gridarsi.
Scrive Maria Maddalena dePazzi: Dico cos che prima nel piede sinistro il sangue annichilava e
lanima acquistava la cognizione di s. Nel pi desto il sangue purificava e lanima si fortificava.
Nella mano sinistra, il sangue illuminava, e lanima acquistava la cognizion di Dio. Nella man
destra il sangue illustrava e lanima si edificava nella carit. El costato nutriva e lanima si
transformava nel sangue, tanto che non intendeva poi altro che sangue, non vedeva altro che
Sangue, non gustava altro che sangue, non gustava altro che sangue, non sentiva altro che sangue,
non pensava altro che di sangue, non parlava e non poteva pensare se non di sangue. E tutto ci che
operava la sommergeva e profondava in esso sangue [] (dai Colloqui di Maria Maddalena de
Pazzi). Ci che colpisce la forte corporeit dellesperienza che si racconta, l incisiva ritmicit del
discorso che diviene un vero e proprio canto e la violenza della parola come dellesperienza.
A tal proposito Amelia Rosselli, che attinge in pi parti, al repertorio di Maddalena dePazzi ha
affermato in unintervista del 91:la donna con la sua fisiologicit corporale []ha qualcosa non di
diverso da scrivere, ma di pi fisiologico da distinguere anche sul piano contenutistico.
Ma la violenza e la corporeit non sono tratti che appartengono a pieno anche alla poesia di Patrizia
Vicinelli e di Rosaria Lo Russo? Maria Maddalena dePazzi, inoltre, usava con naturalezza una
forma poematica orale (le sue consorelle trascrivevano ci che lei urlava) con un uso poetico della
lingua e dei ritmi, scelta che accomuna la grande mistica cinquecentesca ad opere poetiche
femminili contemporanee.
Si legga ancora da Angela da Foligno, la cui scrittura aveva gi folgorato Battaille: talora lira
cresce talmente che a malapena mi posso astenere dal farmi a pezzi; e mi sono procurata
tumefazioni al capo e altrove. [.] Allora urlo verso Dio, e ad alta voce gli dico pi e pi volte
senza pausa-figlio mio, figlio mio, non lasciarmi, figlio mio-[.]Sono sprofondata in questa
orribilissima tenebra[]. E allora urlo, chiamo la morte. [] Gridavo di voler morire. E tutte le
mie giunture si disgiungevano. []Fu allora che mi chiam e mi disse che dovessi mettere la mia
bocca nella piaga del suo fianco. E mi sembrava di scorgere e di bere il suo sangue [.]E pregai
Dio che mi facesse spargere tutto il mio sangue[]mi spogliai di tutti i miei vestiti e mi offrii
totalmente a lui
(da Angela da Foglio, Il Libro dellesperienza). Anche qui siamo sconcertati dal suo urlo di tenebra,
dalla fisicit e insieme dalla violenza dellesperienza e della scrittura che si fanno un tuttuno.
Credo che sia innegabile la potenza letteraria di queste pagine. Ed accanto a queste ve ne sono in
Italia molte altre dimenticate come, per citare solo qualche nome, Domenica del Paradiso, Caterina
da Genova, Veronica Giuliani o Caterina Ricci (lunica mistica studiata in Italia Caterina da
Siena), che insieme ad altre mistiche europee formano un corpus letterario esorbitante. Come
possiamo averle negate alla nostra tradizione culturale e letteraria?Perch ce ne siamo
espropriati?Occorrerebbe guardare con sguardo rinnovato alle impostazioni critiche predefinite e
aprire le nostre storie letterarie a questo capitolo sorprendente della letteratura italiana ed europea.
Rosaria Lo Russo, con forte consapevolezza letteraria, attinge per la sua Sequenza orante in
Comedia, ad Angela da Foligno, una delle iniziatrici della lingua poetica femminile. E unendo la


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sua voce a quella di Angela, sovrapponendo le due voci, non fa che ripercorrere la storia della
parola femminile. Lavorando in modo dissacrante sulla lingua dantesca, La Lorusso permette alla
propria lingua di nascere: una lingua senza padri, una lingua che pu riconoscere solo delle madri.
La sua Comedia, che Pagliarani ha definito giustamente grandioso concerto vocale, espressione
imponente di una parola femminile corale. La sua voce diventa il suo corpo, il suo corpo diviene la
sua voce. E il corpo canta. Ma il corpo di Comedia i corpi di tutte le donne e canta con le voci di
tutte le donne. E a noi arriva questo dono, voci angeliche e voci terrene che ci attraversano, ci
accerchiano. Rosi, rosicchia/canta e canticchia: Rosaria sa che non pu raccontare lidentit
femminile se non con il canto, estremizzando in senso musicale ci che Amelia Rosselli aveva fatto
con la Libellula.
La poematicit epica nella Lo Russo si consegna completamente allaspetto fonico: il suono
stesso che si fa epico. Canto ed epos divengono sinonimi. La scrittura deve impossessarsi
pienamente dellidentit femminile per potersi fare portavoce di tutte le identit femminili. E in
questo processo non pu che partire dal proprio corpo. Allorigine del canto vi la formazione del
corpo: E fui fatta femmina,\ mollemente uscita viva dal guaio della nascita. Ed il corpo stesso
che si fa Parola, invertendo il percorso dellIncarnazione del Verbo.
Ma tutta nuda\ rivestita di Cristo\ che godimento essere sbranata: la donna-Cristo deve donare
tutto il suo sangue per permettere alla parola di nascere. E solo dalla sofferenza vissuta col proprio
corpo, che brandelli di carne si fanno suoni, parole.
Cos come Angela da Foligno aveva donato il suo corpo a Cristo, chiedendogli di martirizzarlo,
Rosaria Lo Russo consegna il suo corpo alla parola, chiedendole di farlo proprio, smembrandolo
con violenza:tu schizza e strappa e straccia e strazia me lemoroissa io cosa biondina e tutta monda
tutta bocca io tutta cavernosa carnosa io spasimo convulsa io sponsa spossata spossessata []
annientami sperperami scutuiami le ossa i denti le membra mie tutte inermi inerti!. Ed proprio
nel dolore del proprio corpo che risuonano i canti stonati della folla femminile: tutte le stonature
delle abbandonate. Ritornando alla questione centrale del canone femminile, come nel caso di
Rosaria Lo Russo e Angela da Foligno, arrivato il momento dintraprendere un percorso critico
incrociato che va dalla poesia femminile contemporanea sino alle origini della parola letteraria
femminile e al contempo dalle origini della parola letteraria femminile sino alla scrittura di oggi.
E solo in questo modo, ovvero scavando nelle radici e nei fondamenti della scrittura, riusciremo
probabilmente a capire a pieno la poesia femminile contemporanea: voci possenti come quella di
Amelia Rosselli e di Patrizia Vicinelli, cos come la grande forza poetica di Rosaria Lo Russo, che
ha segnato incisivamente la poesia italiana contemporanea, e insieme la strenua ricerca poetica
femminile che in questi ultimi anni sta sgorgando in Italia con notevoli risultati.

Florinda Fusco




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ALTRI SCENARI



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Ascoltando Le fleuve di Yves Bonnefoy


Le fleuve

Mais non, toujours
Dun dploiement de laile de limpossible
Tu tveilles, avec un cri,
Du lieu, qui nest quun rve. Ta voix, soudain,
Est rauque comme un torrent. Tout le sens, rassembl,
Y tombe, avec un bruit
De sommeil jet sur la pierre.

Et tu te lves une ternelle fois
Danse cet t qui tobsde.
nouveau ce bruit dun ailleurs, proche, lointain;
Tu vas ce volet qui vibre Dehors, nul vent
Le choses de la nuit sont immobiles
Comme une avance deau dans la lumire.
Regarde,
Larbre, le parapet de la terrasse,
Laire, qui semble peinte sur le vide,
Les masses du safre clair dans le ravin
peine frmissent-ils, reflet peut-tre
Dautres arbres et dautres pierres sur un fleuve.
Regarde ! De tout tes yeux regarde ! Rien dici,
Que ce soit cette combe, cette lueur
Au fate dans lorage, ou le pain, le vin,
Na plus cet jamais de silencieuse
Respiration nocturne qui mariait
Dans lantique sommeil
Les btes et les choses anuites
linfini sous les manteau dtoiles.
Regarde
La main qui prend le sein,
Et reconnat la forme, en fait saillir
La douce aridit, la main slve,
Mdite son cart, son ignorance,
Et brle retire dans le cri dsert.
Le ciel brille pourtant des mmes signes,
Pourquoi le sens
A-t-il coagul au flanc de lOurse,
Blessure ingurissable qui divise
Dans le fleuve de tout travers tout
De son caillot, comme un chiffre de mort,
Lafflux tincelant des vies obscures ?
Tu regardes couler le fleuve terrestre,
En amont, an aval la mme nuit
Malgr tous ces reflets qui runissent
Vainement les toiles aux fruits mortels.



205
205
Et tu sais mieux, dj, que tu rvais
Quun barque, charge de terre noire
Scartait dune rive. Le nautonier
Pesait de tout son corps contre la perche
Qui avait pris appui, tu ignorais
O, dans les boues sans nom du fond du fleuve.

terre, terre,
Pourquoi la perfection du fruit, lorsque le sens
Comme une barque peine pressentie
Se drobe de la couleur et de la forme,
Et do ce souvenir qui serre le cur
De la barque dun autre t aux ras des herbes ?
Do, oui, tant dvidence travers tant
Dnigme, et tant de certitude encore, et mme
Tant de joie, prserve ? Et pourquoi limage
Qui nest pas lapparence, qui nest pas
Mme le rve trouble, insiste-t-elle
En dpit du dni de ltre ? Jours profonds,
Un dieu jeune passait gu le fleuve,
Le berger sloignait dans la poussire,
Des enfants jouaient haut dans le feuillage,
Rires, batailles, dans la paix, les bruits du soir,
Et lesprit avait l son souffle, gal

Aujourdhui le passeur
Na dautre rive que bruyante, noire.
Et Boris de Schloezer, quand il est mort
Entendant sur lappontement une musique
Dont ses proches ne savaient rien (tait-elle, dj,
La flte de la dlivrance rvle
Ou un ultime bien de la terre perdue,
uvre transfigure ?) derrire soi
Na laiss que ces eaux brles dnigme.
terre,
Etoiles plus violentes nont jamais
Scell lore du ciel de feux plus fixes,
Appel plus dvorant de berger dans larbre
Na jamais ravag t plus obscur

.

.

Terre,
Quavait-il aperu, que comprenait-il,
Quaccepta-t-il ?
Il couta, longtemps,
Puis il se redressa, le feu
De cette uvre qui atteignait,
Qui sait, une cime


206
206
De dliements, de retrouvailles, de joie
Illumina son visage.

Bruit, clos,
De la perche qui heurte le flot boueux,
Nuit
De la chane qui glisse au fond du fleuve.
Ailleurs,
L o jignorais tout, o jcrivais,
Un chien peut-tre empoisonn griffait
Lamre terre nocturne.

Le fleuve il primo poemetto di Dans le leurre du seuil (1975) di Yves Bonnefoy, uno dei libri di
poesia pi intensi del secondo Novecento, il che mi d confidenza a scriverne, se la bellezza un
incoraggiamento a conviverla. Mi riprometto di coglierne il senso con unattitudine filosofante,
dandone anche un saggio di traduzione. Prima leggo la poesia in francese, poi nella versione italiana
di Diana Grange Fiori e infine la ritraduco, non perch essa non sia fatta al meglio, ma perch
tradurre in modo proprio indispensabile per capire una poesia.

Ma no, sempre
Dispiegando lala dellimpossibile
Ti svegli, con un grido
Dal luogo, che soltanto un sogno. La voce, subito,
roca come un torrente. Il senso, radunato,
Vi cade, con un rumore
Di sonno gettato sulla pietra.

Ti svegli. Prima ancora di poterci pensare quel tu sono io, e insieme lio dellautore rivolto a
se stesso. Soltanto in un secondo tempo mi domando se non sia la voce di un personaggio che si
rivolge a qualcun altro in carne e ossa. Ma per ora non importa saperlo.
Il risveglio un passaggio, repentino e brusco, da un mondo a un altro. Mentre il sonno infatti una
giacenza nella natura animale, e quindi nel piano dei viventi pienamente coerente, il risveglio
lingresso fulmineo, scioccante, dellanimale dormiente nel mondo umano che, mentre non smette
di essere animale, si accorge svegliandosi di essere anche extranaturale, nel senso che la coscienza,
mentre dispiega la sua ala, attinge la sua potenza proprio allimpossibile di quellala, cio al suo
essere, da uomo-uccello, un vivente razionale e animale al contempo.
Ti svegli da un lieu qui nest quun rve, da un mondo fisico reale nel sonno. Che cosa significa
allora il sogno? Sappiamo per certo che anche gli altri animali sognano, e quindi esso pu ancora
essere una rielaborazione che la natura fa attraverso noi. Mi immergo infatti in questa poesia come
in una prima esperienza e in una prima lingua, neanche del tutto e solo lessicale, senza nulla voler
ricordare della psicoanalisi e dellinterpretazione dei sogni di Freud. Prendo cio sul serio che la
poesia sia una forma diversa di pensiero, o addirittura dal pensiero, non necessariamente sempre
culturale, bench non saprei dire che cosa esattamente sia naturale. E quindi per me il sogno
soltanto un sogno, e cio nulla che significa simbolicamente qualcosa del mio inconscio, ma
soltanto un luogo che non esiste pi, ma nel quale pure io vivevo, e il tema del quale forse non
mai davvero esistito.
E quindi quel tu, quel risvegliato, al quale lautore si rivolge, se ancora un autore, e che
comunque non pi soltanto un autore, io lo prendo per me, se la voce si rivolge a me, tanto pi in
quanto riconosco che ogni volta che mi sveglio di fatto un cri, cio la sovversione di un ordine, e
uno choc, una rivoluzione dellanimale nellumano.



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207
II

Ignorando la mia cultura e storia intellettuale per smemorare in questo poemetto, non intendo infatti
ignorare la mia esperienza di vivente, cio di un essere che vive il risveglio proprio come dice la
voce che sto ascoltando, e cio come unapertura alare dellimpossibile, in un gesto in cui
limpossibile accade e d a questo uomo-uccello la spinta a vivere. La mia voce roca quando mi
alzo dal letto e mi gratifica leggere che lo sia come un torrente, come uneco naturale, e non come
un semplice difetto di nitidezza civile, segno di un fiotto vitale che scroscia dal sonno.
Una voce dentro la quale il senso cade in un torrente vocale, avec un bruit De sommeil jet sur la
pierre. La mia voce, ancora animale, non riesce ad avere un senso da me elaborato, ma il fatto che
sono sveglio e aprente lala dellimpossibile, prima ancora di esserne cosciente, una pietra, una
cosa dura, nella quale il senso rassembl. Con finezza la Grange Fiori traduce adunato, il che
comporta una concertazione, quasi la preparazione di un assalto deciso contro di me, in conformit
a un linguaggio lontanamente militare (leurre, avance) non assente dal poemetto. Ma ho preferito
radunato, essendo per Bonnefoy la vita una radunanza che non consegue a un ordine. Il senso
cade dentro di me nel flusso animale che si ridesta, per fortuna senza rompermi, preso com nelle
mie acque scroscianti di vita, pi potente dellimpossibile dellala.

E tu ti levi uneternale volta
In questestate che tassilla.
Di nuovo questo rumore dun altrove, da presso, da lungi:
Vai a questa imposta che vibra Di fuori, senza vento,
Le cose della notte sono immobili
Come unavanzata dacqua nella luce.
Guarda,
Lalbero, il parapetto della terrazza,
Laria, che sembra dipinta sul vuoto,
Le masse di zaffera chiara nel vallone,
Appena fremono, riflessi forse
Daltri alberi e daltre pietre su un fiume.

E tu te lves une ternelle fois. Eternelle vale eterna ma in francese la voce non ha un suono
secco, semmai infinitivo, e quindi la tradurrei eternale, con una parola pi fluida. E infatti mi levo
non gi per lennesima volta n una volta per sempre, bens, in un paradosso non solo
grammaticale: una tantum eternalmente, nellistante semper nunc, non gi in una dimensione
atemporale.
Finalmente, appena lucido, grazie al rumore di quella pietra che mi ha fatto rendere conto che sono
un uomo, non pi un animale dormiente. E in realt siamo dei centauri, nel sonno e nella veglia, ma
mentre nel sonno, da animali, non sappiamo che vagamente di essere uomini storici e civili, nella
veglia, da uomini, sappiamo di essere animali.
Quella pietra di senso mi ha fatto accorgere che listante non solo lo choc, la rivoluzione
sensoriale, la sovversione del sonno animale, ma che sono nellora-sempre, sempre per una sola
volta: e per fortuna sono pur sempre un animale, bench cosciente, appartengo a un tutto non fatto
da me. Altrimenti mai avrei clto quello che Nietzsche chiama, dialogando con il Canto notturno di
Leopardi, il piolo dellattimo, al quale la pecora del pastore legata: il sempre qui e ora
dellanimale.

Scopriremo nel corso della poesia che quel tu si riferisce a un uomo, Boris de Schloezer, per il
quale questo stato lultimo risveglio, e quindi lultima-prima volta, grave di uneternalit
speciale, visto che egli morir alla fine della poesia. E quel cri acquista un pi crudo senso. Ma la
poesia non un requiem solo per Boris, come accade dal punto di vista narrativo, che non il pi


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profondo, giacch pur sempre cronico, anzi non proprio un requiem, bens laffacciarsi sulla
soglia insidiosa del senso nel risveglio e nella morte di ciascuno in lui.
Non si tratta allora di immedesimarsi, gesto sentimentale ed empatico, bens di identificarsi, gesto
tragico, nel senso della seriet radicale del processo, possibile solo poeticamente, e mai solo
liricamente. Liricamente infatti godiamo il contrasto tra la nostra vita reale e la situazione narrata
nella poesia, commuovendoci perch a noi e di noi che si parla, ma senza che ne subiamo le
conseguenze. Poeticamente invece siamo sempre noi realmente in gioco: Tu sei io.


III

Il senso, prima caduto sulla pietra con un rumore di sonno, cade ora nella veglia, proche, lointain.
Limposta, questo battente della finestra (ce volet), vibra ma non c vento. Cosa insolita, questa,
che ci mette in guardia sul carattere della finestra, di questa soglia insidiosa. Il titolo del libro dice
infatti: Dans le leurre du seuil e io che, come il passeur, il traghettatore, o, meglio, il traghettante,
di cui si parler, passo, traducendo, dal francese allitaliano al francese, intuisco cosa significa
trovarsi davanti a una finestra che vibra anche se non c vento; cosa significa, visto che tutte le
parole del poemetto, in quanto stampate sulla carta, sono immobili come ora le cose. Eppure la
soglia vibra. Leurre della soglia tra i due luoghi, tra le due vite, tra le due lingue, eppure senza
vento, immote. Questa finestra vibrante nellimmoto allora unesca, s, insidiosa, in quanto ci
porta fuori dalla casa, ma non con lintenzione di farci del male. Siamo noi che diventiamo
fortunosamente preda, come nel mito di Diana e Atteone, caro a Giordano Bruno, da cacciatori che
pretendiamo di essere. Non una disfatta ma una ventura e una tentazione vitale, tuttaltro che un
semplice tranello insidioso, almeno per il momento. Anche se, come si vedr, nellordine fattuale
sar una trappola a tutti gli effetti.

Le cose della notte sono nere e immobili e richiamano invece il contrario: une avance deau dans
la lumire, unavanzata dacqua nella luce. Non siamo nel paesaggismo sensoriale e musicato, alla
Dbussy. In un simbolismo capovolto, cio, nel quale, sia pure, la superficie conti pi del
significato alto e nascosto, in quel mistero in piena luce di cui parla Janklvitch a suo riguardo.
Dove siamo allora? Come pu la notte immobile evocare la luce che avanza? Come la notte fisica
pu essere unalba spirituale per me? Io mi sveglio e il senso la morte! Sono io che svegliandomi,
e non appena albeggio, gi vengo colpito, come da una pietra, dallavanzata dacqua nella luce che
la notte nera e immota.
Nellossimoro, si invertono i segni del fisico e dello psichico, in una mistica terrestre, e tutto ci
non pi cos drammatico, anzi diventa addirittura una grazia tragica: vedo la buia luce, vedo
limmobile vibrazione.
Si arriva cos a un passaggio artistico: Laire, qui semble peinte sur le vide, Laria, che sembra
dipinta sul vuoto, il che potrebbe essere una notazione pittorica: impresa di quella maestra degli
artisti che la natura. Ma si tratta altrettanto di un passaggio filosofico, in quanto la natura si apre
nellevidenza del suo darsi vuota, cio non riempita da di, increata. E tuttavia dipingente la vita
che laria ci d.


IV

Anche i versi che seguono partecipano di questa pittura notturna, quasi extrasensoriale, non nel
senso che si dia un realismo metafisico, bens, credo, in quello che questa pittura daria sul vuoto
che la parola poetica ha il potere di consentire, nella sua ek-stasis, nel suo essere fuori di s, facolt
sua propria, pi raramente attinta dai pittori, se non sommi.



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Guarda! Con tutti gli occhi guarda! Nulla di qua,
sia questa valle, sia questo lucore
In cima al temporale, o il pane, il vino,
Non ha quel per sempre di silente
Respirazione notturna che maritava
Nellantico sonno
Le bestie e le cose annottate
Allinfinito sotto il manto di stelle.

E infatti si tratta di guardare, non del noein rispetto alleidos, non con lo sguardo intellettivo
puntato sulla forma pura platonica, sullIdea metafisica invisibile, ma di guardare con tutti gli
occhi in unintuizione ottica sub specie aeternitatis. Non del lucore, del lampo, visto come segno
di Grazia. Il pane e il vino, che vengono nominati, forse alludendo a una incarnazione cristiana e
sacrificale dei beni primi della vita, non sono essi per Bonnefoy a suscitare il momento ispirato,
bens questa respirazione, di uno pneuma, spiritus, flatus, soffio della notte, che sponsale,
anticamente maritando le bestie e le cose allinfinito manto delle stelle.
La natura terrestre e la celeste, in un luogo che non so quale sia (non serve il nome, visto che in Le
fleuve non c), ma certo remoto dalle luci e dai rumori della citt, nella memoria dellantica
respirazione della campagna, quando gli animali dei contadini dormienti, ora ritrovati, essendo
anche noi uno di quegli animali, di colpo si svegliano. Siamo infatti in una trance tuttora animale.
E continuando nellascolto di questa voce:

Guarda,
La mano che prende il seno,
Ne riconosce la forma, ne trasale
La dolce aridit, la mano salza,
Medita il suo scarto, lignoranza.
E brucia ritratta nel grido deserto.
Il cielo brilla intanto degli stessi segni

La mia sensazione, non so quanto fondata, mi porta a vedere non un uomo che tocca il seno di una
donna bens una donna che tocca il proprio, avendo intuito quella respirazione di bestie e pensando
alle sue mammelle, perch per lei si tratta di respirazione generativa, di parto e nutrimento materno.
Si riconosce donna, madre, parente di quelle bestie e ritorna, con un altro choc, pi personale, a
quello scarto tra s e loro, alla sua ignoranza, al suo impossibile, non si sa se di non avere avuto
figli, di non averli pi con s, di non essere pi giovane. Fatto sta che si ritrae scottata (brle) ripete,
ora volontariamente, il grido del suo risveglio mentre il cielo, prima matrimoniale, ora che annuncia
il deserto della donna, si manifesta nondimeno nello stesso identico modo.

Perch mai il senso
Al fianco dellOrsa hai coagulato,
Ferita inguaribile che spartisce
Nel fiume di tutto attraverso tutto
Col suo grumo, come una cifra di morte,
Lafflusso scintillante delle vite buie?
Tu guardi colare il fiume terrestre,
A monte, a valle nella stessa notte
Malgrado questi riflessi che riuniscono
Le stelle invano ai frutti mortali.




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210
V

Io non so se la voce di questa poesia riconosca gi a fondo, nel 1975, la presenza di Leopardi ma
non cos decisivo saperlo. La domanda che pone infatti vibra di un comune bisogno di verit, che
si pu dire poeticamente, ma non spiegare con una parafrasi, giacch invece la poesia a spiegare
(ex-plicare, spianare le pieghe) quello che il mio pensiero complica (complico, cum-plico),
sventagliando essa il suo senso nella dizione e nellascolto incantatorio spirituale che, pensandoci
io, sia pure in modo intuitivo, avvolgo pur sempre nelle pieghe di un mantello critico. Come se
temessi che la poesia prendesse freddo senza di me o io, piuttosto, senza di lei.
Ed per assurdo che la interpreto, non per complicarla a me o ad altri, secondo il mio cono
esistenziale, ma per convincermi una volta per tutte che ascoltare un tale poemetto gi una
occasione di conoscenza, di fronte alla quale il commento non che un modo per sbendare gli
occhi, per dire il da me dicibile in vista di un aldil indicibile, ma indicibile sulla scala del dicibile,
giacch poeticamente in atto nei versi. Come se ci fosse una scala che allimprovviso non ha pi
pioli, e che ricomincia ad averli pi in basso, al punto che io possa scendere a patto che sia disposto
a fidarmi, poggiando sullinvisibile.
Va da s che mi si potrebbe chiedere di domandare allautore stesso a che cosa alludesse, dicendo
ad esempio: Perch mai il senso Al fianco dellOrsa hai coagulato? E se il soggetto del verso sia
la ferita, autrice del coagulo, o sia un tu indefinito. Una tentazione alla quale resisto. In una
scrittura poetica infatti possibile che siano entrambi i soggetti, e simultaneamente.
Nel fiume del tutto attraverso tutto, dove ogni cosa attraversa ed attraversata, nessuna essendo il
mezzo o lo scopo dellaltra, il senso, che al risveglio cadeva nella tua voce con un rumore di sonno
gettato sulla pietra, ora un grumo coagulato (da chi?) a fianco dellOrsa. Che cosa c al fianco
dellOrsa, cio di una costellazione tra le pi care ai poeti, forse il buio nero e vuoto che c tra
stella e stella, cifra di morte nello afflusso scintillante delle vite buie?
Ricordiamo lossimoro della notte luminosa, tipico della lingua mistica, intesa come lingua della
pienezza nellimmanenza radicale, e che sono ora le vite buie a scintillare, non le stelle bens le
nostre vite dormienti che respirano. E pensiamo che tu, ossia che Je, fissando un punto a fianco
dellOrsa, un solo punto, un grumo di sangue, nel fiume del tutto sciamante (malgrado le nozze tra
le bestie e le stelle, della terra e del cielo) vedo una ferita inguaribile che spartisce le cose. In essa il
sangue non si raggruma, se non per poco, eppure io ci vedo un grumo che spartisce tutto. Forse
perch esso fa coagulare la ferita, che quindi dovrebbe restare aperta per non spartire e disunire la
realt? Ecco una domanda che bene resti aperta, perch si risponda con un gesto. Alla domanda:
chi sono allora io? Io che respiro nellimmensa notte con ogni altro animale? Rispondo fissando
quel fianco: Sono io quel grumo nero o quella ferita che spartisce il fiume scintillante delle vite
buie, colui che perde lossimoro vitale e mistico della morte-vita, della notte-luce.
C uno sradicamento nel mio guardare, al momento in cui guardo me nel cielo, mi stacco di colpo
quale coscienza lucida dalla trance geniale della natura. Sono un uomo che si sa mortale. Il mio
risveglio un impossibile che si rivela cruento. Ecco che linsidia della soglia si manifesta, aprendo
la finestra e guardando fuori:

E tu ben sai, gi, tu che sognavi
Una barca carca di terra nera
Scostarsi da una riva. Il nocchiero
Pesava con tutto il corpo sulla pertica
Puntata non sapeva dove
Nei fanghi senza nome in fondo al fiume.

Vado avanti a guardare, ma gi pi dentro me, non sapendo ancora il mio nome ma vivendo la mia
ferita come separazione di me dal mondo e, molto peggio, delle cose del cielo e della terra tra loro.


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211
Mi ricordo il sogno che stavo facendo, e che ora si rivela invece una realt. Sognavo una barca
carca di terra nera scostarsi da una riva. Laggettivo dantesco che ho usato, carca, mi fa scoprire
che la strofa mi richiama il nocchiero di Dante, unaltra insorgenza della mia memoria culturale, ma
fatta tuttuno con la nostra immaginazione della morte.
Il nocchiero pesava con tutto il corpo: siamo gi nel mondo fisico della gravit, del peso delluomo
che punta nel fango la pertica, non sa dove, daccordo, ma che importa?, visto che ora quello che
conta lesito: lavviare alla morte. Non la morte vitale, la fecondit matrimoniale notturna, ma la
morte che cade in me, direi rubando un verso dal contesto, come per acqua cupa cosa grave
(ancora Dante, Paradiso, III, v. 123), come il senso che, allinizio del poemetto, cade sulla pietra.


VI

O terra, terra,
Perch la perfezione del frutto, quando il senso
Come una barca appena presentita
Si sottrae al colore e alla forma,
E donde il sovvenire che ti stringe il cuore
Della barca dellaltra estate a raso derba?
Donde, s, tanta evidenza attraverso
Tanto enigma, e tanta certezza, e cos
Tanta gioia, preservata? E perch limmagine
Che non apparenza, che non
Neanche il sogno torbido, insiste
Bench ci neghi lessere? Giorni profondi,
Un dio giovane passava a guado il fiume,
Il pastore sallontanava nella polvere,
Bambini giocavano in alto nel fogliame,
Risa, battaglie nella pace, i brusii della sera,
e lo spirito aveva col il suo soffio, eguale

Leopardi si ripresenta, non tanto perch sento nominare lOrsa delle Ricordanze, il pastore del
Canto notturno, invocare i Giorni profondi, che mi richiamano, pi che gli anni profondi di
Baudelaire, let fiorita (per Charles fiorente il male) del garzoncello scherzoso de Il sabato del
villaggio, vedendo bambini giocare; non soltanto per linvocazione: O terra, terra ma perch
Bonnefoy in questi versi Leopardi o, se si preferisce, Leopardi Bonnefoy. Insomma quando si
attinge lilluminazione notturna di questo poetare ciascun poeta laltro, compartecipa della vita
dellaltro, a distanza di decenni e in luoghi remoti, prima che laltro esista.
E insorgono gli stessi interrogativi, sia pure rifratti nel proprio sentire e filosofare diverso, ora
inconscio. Leopardi invoca la luna e Bonnefoy la terra. Entrambi domandano, ma a chi si
rivolgono? Nessuno dei due crede esista un dio. Nessuno dei due accetterebbe si parlasse per loro,
in modo sia pure tutto proprio, di spirito religioso. Nessuno dei due pensa che una filosofia possa
darci la verit ultima delle cose.
Entrambi domandano, e non pongono gi quesiti, ma invocano. Leopardi si riferisce alla luna, a una
pietra lucente, Bonnefoy alla terra. Leopardi ha un movimento ascensionale, dalla terra verso
linfinito, escluso e consentito da questa siepe, Bonnefoy vive un moto gravitazionale. A vedere
bene, in questa luce notturna, dentro questa respirazione di bestie, la terra non realmente invocata,
in una prosopopea, da Bonnefoy, serbando un eros laterale di sorella, mentre in Leopardi molto
forte la spinta filiale e ribelle verso la madre natura madre di parto e di voler matrigna. Brutta
cosa il volere, e di pi in questa notte, quasi diventando matrigna la volont di per s.


212
212
Non c la dea madre terra, n lalma Venus di Lucrezio, per Bonnefoy Ma solo Bonnefoy?
solo lautore della poesia che parla? O questo tu, che sono ormai io, almeno finch dura il filtro,
che chiama la terra a testimone, non come fonte rivelativa, non come depositaria di un segreto -
questo il punto - nessuno per il poeta possedendone la chiave nella natura stessa.
Perch allora la perfezione del frutto? La perfezione cio di una vita che si compie fino a dare il suo
frutto completo, quando il senso, la morte, come una barca che, appena presentita, leggerissima,
si scosta dalla vita, anche se il nocchiero pesa con tutto il corpo sulla pertica, e Se drobe de la
couleur et de la forme, si sottrae al colore e alla forma: scivola nella morte incolore e amorfa?

Donde tanta evidenza attraverso Tanto enigma. La vita sempre evidente, di giorno o di notte. Il
significato allora non : evidente che tutto un enigma (Tutto arcano fuor che il nostro
dolor, scrive Leopardi nellUltimo canto di Saffo), non si tratta di un enigma di pensiero annodato
nella natura (che solo un dio potrebbe sciogliere o che resta tragicamente stretto) n di un trionfo
dellevidenza sullenigma, infatti notte di morte.

Anche la morte sempre evidente. Proprio le due evidenze contrastanti generano un enigma
essendo esse tuttuno. Io mi sarei aspettato magari, lo confesso, il contrario: Donde tanto enigma /
attraverso tanta evidenza, ma proprio la mia aspettativa segnala che sarei disposto a cedere le due
evidenze, della vita e della morte, in cambio dello scioglimento dellenigma, magari in unaltra vita,
oppure in unilluminazione che avessi in questa. E Yves Bonnefoy no, proteso com a tenersi
saldo e convinto, senza resisterle, alla finitezza, unico modo di attingere lattitudine poetica la
quale, prima ancora che filosofica o di pensiero, un bisogno di verit e di dire s alla vita-morte
radicale.
A Bonnefoy sta a cuore non retrocedere mai dallavamposto dellevidenza, affrontando a pi fermo
linamabile enigma. Da solo, se necessario, ma solo se necessario. Ci che egli chiama la
presenza infatti proprio il convivere levidenza, accettandola poeticamente nella vita-morte, con
un altro: quale rara occasione, che ci attesta che senza Boris questa poesia non avrebbe potuto
esserci. Operazione tuttaltro che immediata, giacch nella vita o nella morte, per s naturalmente
prese, non c nessun enigma, finch una persona spirituale e pensante non costretta a metterle in
relazione, quando muore un amico.

Levidenza originaria, soltanto dopo giungendo il nostro pensiero enigmatico e spirituale, che il
pensiero stesso della morte, e perci anti-poetico. La presenza poetica non mi salva dalla mia morte,
dice quel pensiero, che ne per me la fine assoluta, il limitare nero, ma pu attraversare lenigma
della morte di un altro? Solo a una condizione: se questo altro, poeticamente (e cio in verit), sono
io. E sono io se lamo. Non dimentichiamo che si tratta dellintuizione di un io-tu: che ho ormai
fissato io quel grumo di fianco allOrsa, che ho gi perso la respirazione concorde della natura e,
pur trovandomici in mezzo, e respirando quasi grazie a essa, ho ormai diviso le cose terrene e le
celesti, e mi sono diviso io stesso.
Svegliandomi, infatti, io sono gi preso da vivo nel sogno di quella barca acherontica nella quale
traghetter. Ecco allora che il pensiero, gi nel suo risveglio, alleato della morte. Il pensiero
molto pi naturale di quanto non si pensi, addirittura troppo naturale, quasi la natura animale
stessa si trovasse a pensare la morte in noi. La poesia non allora per Bonnefoy alleata della natura,
anzi unimpresa civilizzatrice e illuminata, legata a unattitudine antropologica di educazione
fraterna allevidenza, come ne La Ginestra leopardiana.
Si comprende perch per Bonnefoy poesia non sia solo letteratura e arte ma lattitudine decisiva
verso la vita e la verit. Che questo , se non lunico modo per essere poeta, il pi potente e
generoso. E questo spiega anche quanto Bonnefoy perseveri nel sostenere la verit civilizzatrice
della poesia, in vista di una societ pi vigorosa, limpida e fraterna.
Significativo mi sembra allora anche il fatto che il poeta conduca da decenni la sua campagna
contro i mali del pensiero concettuale, proprio lui che cos intensamente e intuitivamente pensa, ma


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non mai contro la saldezza di una paideia etica, premessa a priori del poetare inteso come potenza
di civilt, e ora, in Le fleuve, espressa nellamore fraterno pi duro e meno vile, quello che non si
arrende davanti alla morte dellamico, anche se sa che egli non vivr pi.


VII

Limmagine delle cose non semplice apparenza, non illusione, e non neanche quel sogno
torbido acherontico che ho fatto, visto che sono vivo su questa soglia, quanto insidiosa, ma senza la
quale non esisterebbe poesia. E allora? Allora nei giorni profondi un dio passava a guado il fiume,
un pastore sallontanava nella polvere, bambini giocavano nel fogliame. Tutto qua? S, di, pastori,
bambini gi erano un tempo, nel passato, nellelegia, nella pastorale del passato. Allora colui che
separa gi dopo, gi nel tempo cronologico, gi fuori del transtemporale poetico? La battaglia si fa
cruda. Dobbiamo infatti rispondere di no: egli sogna con la pi umane delle nostalgie un eden lirico
in quanto non cosa facile entrare in carne e ossa nel poetico, che sempre contemporaneo, sempre
ora.
Egli domanda, invoca, pensa il paradosso, sia pure, vive il contrasto vitale connaturato al mondo,
mondo tuttora aperto, che la mia morte e nessuna morte potr mai chiudere e recingere. Ma
separato, sdoppiato, capovolto dal risveglio, di nuovo verso il sonno e il sogno. E non trova altro
che un tempo perduto, divino, pastorale, infantile, ridente, non perch armonico - tale mondo non
mai esistito - ma perch le battaglie erano nella pace, perch la pace era il concerto dellarmonia e
della disarmonia, come in Eraclito.
Eppure le stelle sono le stesse, la natura la stessa, nella respirazione vasta delle bestie che
continuano gli sponsali con le stelle.

Oggi il traghettante
Altra riva non ha che rumorante, nera,
E Boris de Schloezer, quandegli morto
Udendo sul pontile una musica
Ai prossimi inaudita (essa era gi
Il flauto della libert rivelata
O un bene estremo della terra persa,
Opera trasfigurata?) dietro di s
Non lasci che le acque bruciate denigma.
O terra,
Stelle pi violente mai non hanno
Sigillato lempireo di pi fissi fuochi,
Appello divorante di pastore nellalbero
Mai devast unestate pi scura.

Il traghettatore sognato, sogno non era, lui stesso, prossimo allunica riva che gli resta bruyante,
noire. E il risveglio, nellinsidia della soglia, risveglio di morte. E quel tu allora, poich non c
la morte ma solo gli uomini che muoiono, compare di colpo con un nome: Boris De Schloezer.
Ora, in questo trasvenare continuo delle persone e delle figure luna nellaltra, Boris stesso diventa
le passeur, ma allora non pi il traghettatore di anime dantesco ma lo stesso traghettante, passante
tra le sponde della vita e della morte.
So ben poco di Boris de Schloezer, ho letto che Bonnefoy lo stim un uomo cos intimo alla poesia
e generoso da presentarlo a Paul Celan, ma in realt so lessenziale di lui da questa poesia, perch
lamore che il poeta gli porta non si chiude con lui ma scorre verso ogni suo ascoltatore. Lamore
infatti sempre transitivo. Giacch limmedesimazione, lho detto, qualcosa di empatico e di
sentimentale, di lirico, se vogliamo, mentre lidentificazione loperazione specifica della poesia.


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Completa ma intermittente, per me, in questo caso, prima essendo io tutto nellaltro e poi tornando
me, e infatti ecco che non sono pi io transtemporale, perch il est mort e io sono vivo. Eppure
poeticamente, nel, io, Bonnefoy, io Boris, e io, lascoltatore, siamo i destinatari dellesortazione:
Regarde! De tout tes yeux regarde ! E non mi distinguo pi dallio Boris il quale, in quel punto di
separazione, con lenigma di traverso allevidenza, ascolta una musica inaudita.
Musica delle sfere? La musica che secondo il pitagorico Simmia nel Fedone quella dellanima che
promana dal corpo ma che, rompendosi il corpo, pur essendo essa lo scopo dello strumento fisico,
non potr pi risuonare? Musica che realmente egli ascoltava prima di morire? Rivelazione
dellenigma, che non una cosa pensata o detta, un vero concettuale, ma la libert stessa? Oppure
un bene estremo della terra persa, lultima fascinazione di unevidenza enigmatica, che tuttora
un bene perch, non essendo libert, impossibile, tuttavia ancora quel torrente roco?

No, Boris morto non lascia tale e quale a prima lenigma dellevidenza. Un uomo amato che muore
brucia quelle acque. Non intendiamo noi allora continuare a respirare nel concerto, vederlo come
uno degli infiniti morti, condizione di una vita infinita e impersonale che trasmuta attraverso noi, in
un meccanicismo impietoso, perch quel morente, ogni morente, unico, la persona che amo,
sono io. Le stelle fisse sigillano lempireo (che cos traduco in termini solo astronomici), il limitare
del cielo, come prima. Ma noi non siamo pi gli stessi. Esse ci appaiono ora con una violenza mai
sperimentata, e lappello del pastore, il richiamo di unarmonia di di e di bambini che giocano ci
suona tremendo: mai devast unestate pi scura.
Non la morte propria, mai presente, ma quella dellamico, la morte in vita, convissuta. La cosa pi
violenta che ci sia, precipitata infatti nel passato-presente. La morte che sempre stata, nel sempre
passato, origine prima dellevidenza, non sua clausola e sigillo. Sigillo ne sono semmai le stelle,
violentemente. La morte di prima che tutto esistesse, dalla quale siamo nati. Nella quale torniamo
perch non ne siamo mai usciti.
Ecco che ascoltando questi versi, tornato io luomo mezzo prosastico che scrive, gi un po
dimentico della visione, e un po barcollante col mio moi che si rimpossessa del Je, mi dico, in una
risonanza di ci che ero, che la poesia pu essere non solo una forma di conoscenza e di
rigenerazione, ma laccompagnatrice, lo spirito, amoroso e rischioso, dellincontro tra due esseri,
quasi unallenatrice assai severa dellanima, che tu puoi versare in un ascolto a oltranza della nostra
finitudine, come in Bonnefoy, o in una fede impossibile, che chiede pari coraggio e piet, vivendo
la stessa esperienza Ma luomo semipoetico dice alluomo semiprosastico che la poesia fa la tua
esperienza, non essendo essa un fine ma nemmeno un mezzo, non essendo passata n futura ma in
atto.

Seguono ne Il fiume due file di puntini che non staccano ma sospendono la musica, in una pausa
lunga di silenzio. Quasi una punteggiatura ritmica, una gestione artigianale e tipografica del silenzio
tra materia e spirito. E di nuovo la voce:

Terra,
Che aveva scorto, che comprendeva,
Che accett?
Egli ascolt, a lungo,
Poi si raddrizz, il fuoco
Di questopera che attingeva,
Chi sa, a una cima
Di scioglimenti, di ritrovamenti, gioie
Illumin il suo volto.

Brusio, chiuso
Della pertica urtante il fiotto di fango


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Notte
Della catena che slitta in fondo al fiume.
Altrove,
L dove ignoravo tutto, dove scrivevo,
Un cane forse avvelenato graffiava
Lamara terra notturna.

Ancora una chiamata a testimone della terra, pi che unallocuzione rivolta a essa, se la senti di
fianco e non la guardi. Vi fu una chiara rivelazione, una visione, e soprattutto unaccettazione, un
consenso di Boris? Forse gli schiar il volto il senso che la sua opera puntasse alla sua cima proprio
sciogliendosi, ritrovandosi, gioendo nella morte? Colui che scrive la poesia non pu saperlo, non
pu che sentire un rumore chiuso, la pertica del nocchiero nel fiotto fangoso o la catena che slitta:

L o jignorais tout, o jcrivais,
Un chien peut-tre empoisonn griffait
Lamre terre nocturne.

Enrico Capodaglio



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Un lontano saluto

Dresda come appare prima che sia distrutta, nel fotogramma aereo da ovest, un radiante traversato
dai ponti Augustus, Albert e Carola; lesse dellElba la taglia, quasi scaturita dalla mente di un
geometra taoista. A quellaltezza il braille dellabitato, in legno dolce, era ancora fittissimo.
Dallisola ferroviaria, che non vediamo, a Racknitzhhe, oggi vi sono cinque fermate di tram: Gret-
Palucca-Strae (dal nome della ballerina amica di Beckett, che lintrodusse in citt quando egli vi
giunse nel gennaio del 1937); Lenn Platz, dove si apre a due passi il giardino zoologico (come i
pachidermi in fiamme di Berlino, raccontati da W.G. Sebald, qui morirono tutti coloro che
cercavano scampo, mentre gli struzzi invece fuggirono); poi Strehlener Platz, la lunga salita fino a
Zellescher Weg, infine Racknitzhhe. Abbiamo percorso questo tragitto tante volte, il selciato
produce un rumore, in macchina, che da bambino sai subito di essere a Dresda.
Questo fotogramma aereo lapertura del Porzellan di Durs Grnbein (Suhrkamp, 2005), lui che ha
mandato a memoria ogni tavoletta pretoriana della sua citt: Chiudi gli occhi, e la prima cosa che
vedi: rovine / Ancora dopo quarantanni, impresse a fuoco sulla rtina. / Conosci la pianta della citt
come le linee della tua mano.
Dal fascio di binari della stazione di Dresda lentelechia di varie poesie in Zona grigia, mattina
(raccolta desordio di Grnbein, concepita fra il 1985 e il 1988) Jakob Abs a proiettare, sopra i
grafici della cabina di scambio, tutti i transiti futuri, anticipandone la presenza; faceva aggetto, sui
versi di questo primo volume, un metodo che diresti congetturale, intessuto di particole del
discorso, di mosaici vocali, di una verit da rinvenire in rebus (nel dialogo a distanza fra Johnson e
Gadda la cerniera del poliziesco epistemologico), e che ora, in Porzellan, conduce per forza di
scrittura alla ricostruzione di un luogo nella memoria, unarea urbana fragile e non pi esistente
(Beckett aveva battezzato la citt porcelaine Madonna). Di quanto spazio ha bisogno, nella
memoria, unassenza? Tale questa sovrapposizione impossibile, con la bisettrice della Prager
Strae, i nuovi centri commerciali, gli Hertie, i Karstadt, gli Huser des Buches, e che porta dritto
allAltstadt, lincisione su rame della citt vecchia, alla collezione di porcellane, al fiume.
Con Porzellan viene interrotta la persistente sonata cartesiana (il lare di La Haye en Touraine vivo
in ogni forma allinterno del mondo poetico di Grnbein, fino allultima raccolta di saggi Der
cartesische Taucher) per volgere, dopo i 33 epitaffi di Den Teueren Toten (1994), allelegia e al
planh pi doloroso.
Il poemetto della fine della mia citt, come nella campitura del sottotitolo, attraversa la
distruzione di Dresda con un sistema di 49 strofe, nel solco dei Tableaux parisiens di Baudelaire,
composte da dieci versi lunghi dandamento trocaico, variamente rimate, sviluppanti una rete di
responsioni ritmiche a largo raggio. Lincordatura di questi versi, quasi tesa da un Ercole al trivio
facciamo man bassa di una formula di Gabriele Frasca, anchegli pienamente inscritto, dagli anni
ottanta, in una parabola estetica che attrae i relitti della tradizione nella centrifuga della modernit -,
d nuova prova del furibondo culto formale che gi ne contrassegnava il ductus. Il loro smalto
retorico il referto duna cristallografia pi che decennale (il poema stato pensato fra il 1992 e il
2005): lalessandrinismo armato di Grnbein, per la sua citt, stende un encausto su carta.
Linnesco dellopera dato dallesperienza degli anni successivi allannientamento di Dresda, in
qualit di testimone secondario: [...] un severo grigio unificato / chiuse le ferite, e dellincanto
rimase amministrazione. / Non perch necessario fu macellato, il pavone sassone. / I licheni
crebbero, inestirpabili, sulle fioriture darenaria. / Elegia, ritorna come singhiozzo. A che pro
rimuginare?. E tuttavia si tratta di una memoria che non potr consolare (No, il ricordo, la
provvista di leggende / da lungo tempo esaurita, e ogni nostos viene punito) n potr farlo una
memoria meccanica del verso, perch il rituale magico che trapiantasse gli oggetti in una teca di tesi
e arsi, pietrificherebbe a non opporre uno scudo di scepsi e ironia quale testa di Medusa della
classicit. Ora flneur ora archeologo, cronista, geografo e storico, lio lirico di Porzellan non
conosce sdegno per la distruzione n ripicca sentimentale, i suoi metodi, stato detto, sono quelli


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dei sondaggi, della descrizione, dellerosione di strati e lanalisi di fonti e resti materiali (Friedmar
Apel).
Walter Kempowski, il grande custode di cose tedesche, avrebbe contrappuntato, dalle pagine del
suo Der rote Hahn (*Banderuola rossa, 2001), ovvero, comera suo uso, dai pochi pungenti fogli a
prefazione dei propri collage: Non la smetteremo mai di meravigliarci della mancanza di scrupoli
di coloro che schiacciano i pulsanti rossi, e del coraggio e dellenergia di quelli che devono sempre
mettersi a riordinare tutto.
Grnbein aveva gi disegnato, in Lezione sulla scatola cranica, una Dresda che aggalla come in un
tardo fissaggio, un puzzle, tutto regale, con cui la guerra pot disinnescare gli orrori di un mondo
di distruzione (nella traduzione di A. M. Carpi); adesso egli muove, a sessantanni dai
bombardamenti effettuati tra il 13 e il 15 febbraio 1945, verso la compresenza dei tempi, e dunque
in quel camminamento che non guarder alla storia se non a partire da unidea del presente: Una
fine simile, che porcata da melodramma. / Quanto tempo sar passato? Ragazzi, e chi se lo ricorda. /
Per il non ritorno conosco solo una parola: oggi. lo stesso disincanto, alimentato dal senso di
postumit dellesistenza, che si ha quando il greenhorn domanda, in un luogo del poema, se la
memoria sia ancora lancinante: Se tutto ci faccia ancora male? Solo uno spettatore pu chiederlo,
citt nella valle forse qualcuno riconoscer lepiteto, greenhorn (pivello), che Karl May attribu a
una sua figura prima che questa divenisse il temibile Old Shatterhand della saga di Winnetou;
presso Dresda, a Radebeul, v il museo dedicato a questo scrittore, fortezza dinfanzia negli slarghi
aperti dalla guerra aerea. Qui il genius loci, lui che tutto restaura, non ha mai cessato di riattivare,
in quieta maniacalit, interi blocchi di passato: la nuova apertura della Frauenkirche (nel medesimo
anno di pubblicazione di Porzellan), chiesa andata distrutta in quei giorni, come quasi tutto resto,
pone ufficialmente termine alle ricostruzioni del dopoguerra.
Una memoria biologica, preconscia, respinge dai versi di Porzellan latrabile del Diavolo (Passato!
Che parola sciocca! Perch passato? / Passato e puro nulla: identit completa Faust II, vers.
Fortini), tale che il vecchio abitante di Dresda pu asserire: La memoria, altroch. Proviene da
certe regioni del cervello / E poi vi fa ritorno. E lorigine, la casa sono / un mucchietto di sabbia in
una duna mobile di neuroni [...] come una lettura del pensiero, quando dalle grondaie, / di notte al
bancone Dresda risorge un lontano saluto, / attraverso lo spazio e il tempo dallipotalamo.
Con queste schegge sotto la palpebra per una vita intera, Grnbein ha fissato lo sguardo su un
intervallo temporale da dove dirama ogni strada dei nostri giorni, e da cui sembra provenire il
sorriso ionico, forse anche eginetico, di una Sibilla che ripeta lacuminato responso: ibis redibis non
morieris in bello.

Domenico Pinto


[Questo articolo apparso su Alias, supplemento del quotidiano il manifesto, sabato 2 agosto
2008.]




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Ritmi in chiaroscuro:
Le polarit de I vespri veneziani di Anthony Hecht

Per tutta la sua lunga carriera poetica, lo statunitense Anthony Hecht (New York, 1923
Washington D.C., 2004) ha intrattenuto un profondo e fruttuoso rapporto con la storia e la cultura
italiana. Molte delle sue poesie pi notevoli ad esempio A Hill, Behold the Lilies of the Field,
Ostia Antica, The Cost, See Naples and Die, per nominarne solo alcune da una lunga lista
fanno uso di temi e situazioni italiane e di epoca romana. Nessun poeta statunitense ha scritto in
modo pi ricco o pi stimolante di quello che per Hecht era diventato il paese adottivo della sua
immaginazione. Si tratta di un rapporto cominciato nel 1951-1952 alla American Academy di
Roma, dove trascorse un anno avendo ricevuto la prima Rome Fellowship in Literature, e
conclusosi con una residenza presso il Liguria Study Center for the Arts and Humanities a
Bogliasco nell'anno della sua scomparsa, il 2004, dove scrisse le sue ultime poesie. Allo stesso
modo, l'effetto dell'Italia sulla sua invenzione poetica pu essere rintracciato dalle pirotecnie
barocche di In the Gardens of the Villa d'Este nel suo primo libro, A Summoning of Stones (1954),
fino ai finissimi accenni in poesie come Long-Distance Vision e The Darkness and the Light Are
Both Alike to Thee, tra le liriche sommesse e perturbanti del suo ultimo libro The Darkness and
the Light (2001).
Al centro del canone italiano di Hecht, e in verit vicino al centro della sua intera opera, si
colloca il magnifico monologo drammatico in pentametri giambici non rimati, suddiviso in sei parti,
intitolato I Vespri Veneziani, la poesia che d il titolo alla sua quarta raccolta, apparsa nel 1979.
Con i suoi quasi 900 versi con ampio margine la poesia pi lunga di Hecht, a meno che non si
voglia considerare (come si potrebbe) l'esuberante e macabra sequenza The Presumptions of
Death, dal volume Flight Among the Tombs, come un'unica poesia. Si potrebbe parlare a lungo
della relazione tra I Vespri Veneziani e il resto dell'opera di Hecht, in quanto si tratta di una
poesia cruciale per capire l'ampiezza dello spettro e l'entit del suo lavoro; come a lungo si potrebbe
parlare della relazione di questa poesia con il ricco corpus di opere letterarie in lingua inglese che
trattano di Venezia, del quale costituisce un elemento di assoluto rilievo. Ma mi limiter ad alcune
brevi notazioni, dopo qualche osservazione preliminare, che possano essere d'aiuto al lettore
italiano che ancora non conosce Hecht ad apprezzare alcuni degli aspetti splendidi e terribili del
capolavoro italiano di Hecht, in cui sono intessuti inestricabilmente sfavillanti passaggi lirici di
elaborata tessitura e sbalorditiva limpidezza con i fili pi tenebrosi di un racconto tragico e
sgomentante.
Forse la prima cosa che colpisce il lettore de I Vespri Veneziani la cornucopia di
abbacinanti brani descrittivi. Ad esempio, vicino all'inizio della prima sezione, troviamo

[...] la vista, un mattino uggioso,
sotto il corrimano di una ringhiera in ferro
verniciata di nero lustro, di sei gocce dacqua
appese, sospese, che succhiano in se stesse,
come malsano nutrimento, il nero
cascante della ringhiera stessa,
ma coronate di semilune brillanti di cromo
in cui il mondo veniva splendidamente sfigurato,
come volti visti in cucchiai, come riverberi
in figliazioni gelatinose, nella bottarga di bollicine,
quel minuto wampum argenteo lungo gli steli,
ingialliti e ingranditi, dei fiori vecchi
chiusi nella lente dacqua marcia e vetro
nelle stanze di sopra, quando qualcuno morto.


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Ci troviamo di fronte a un'osservazione perfetta, in cui il mondo viene reso nuovo dall'occhio
penetrante del poeta. Ma porta con s anche delle risonanze tematiche che verranno sviluppate nel
corso della poesia: esperienze visionarie come questa esistono sospese, suscitate da una specie di
malsano nutrimento, e il mondo visto attraverso una tale brillantezza sfigurato, per quanto
splendidamente; inoltre, le similitudini ci conducono a quella nota elegiaca conclusiva alla quale
il poemetto torner dopo poco, quando comincer a fornire alcuni dettagli narrativi (Era mia madre
che era morta. / Dopo lunga malattia, tanto tempo fa). Oppure, per fornire un altro esempio di tour
de force descrittivo, si veda questo resoconto dell'inizio di un temporale:

[...] I lampioni pubblici
si accendono fievoli nelloscurit raccolta dellinverno.
Il brontolio del tuono cominciauna valanga
che rotola lungo corridoi levigati di rumore,
traballanti carri di condannati a morte che brancolano
nello spazio vuoto e petroso di una cantina. E poi
come un sussurro di foglie secche, comincia la pioggia.
Macchia il selciato, forma un pulviscolo
di cristalli lucenti smorzati da toni plumbei
a dieci centimetri da terra. Scialli ventosi di pioggia
rabbrividiscono e velano la facciata della cattedrale
di trine sferzanti mentre i lampioni trattengono
globi immobili di bruma rifrangente alti nellaria
e lasfalto nero corso da rughe doro
in pozze e dispersioni di umori, rivoli svelti
di rame liquido, di ottone fuso che si attorce.

La sinestesia qui sbalorditiva, con il passaggio che si sposta dalla vista all'udito e poi di nuovo alla
vista, come anche da effetti delicati a effetti drammatici all'interno di quei sensi, con modulazioni
calibratissime: l'accendersi dei lampioni precede il tuono, e una volta che quel brontolio si spento,
il sussurro della pioggia si trasforma in macchie sul selciato, che presto saranno cancellate dai forti
rovesci. Ma la poesia continua sottolineando che momenti del genere, in cui lanima [] intrisa di
impalpabili particolari, costituiscono una fuga da tutta langoscia di questo mondo / nel rifugio
del tempo presente: il presente lirico esiste in una relazione di contrappunto con il passato
narrativo che deve essere misericordiosamente dissolto. Oppure, per citare un esempio ancora pi
scintillante, troviamo questo climax orchestrale, vicino alla fine del poemetto, in quella che
potrebbe essere considerata la pi spettacolare raffigurazione di un cielo in tutta la letteratura in
lingua inglese:

Sullo sfondo di un diorama del celeste pi tenue
cagli di nuvole, cumuli di nuvole, cespugli di nuvole sassolano.
Enormi torte nuziali, meringhe impossibili,
soffici barriere coralline e tumuli friabili
passano in auguste processioni e calme greggi.
Immensi stadi, tribune e anfiteatri,
sembrano le opulente lettighe ornate di nappe
degli dei; o fasce da neonato lavate, parrucche bien coiffes,
raccolti bianco-latte, peonie cinesi
che visibilmente rimproverano la nostra grettezza.
Nonostante tutte le loro presenze spettrali, esse
di sera assumono una nobilt multicolore.


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Verso est il cielo comincia a volgere
a un lilla cos esangue da sembrare un umore del grigio,
gradualmente, come la morte di un uomo virtuoso.
Strie di argentana bordano sfarzose
le lente chiglie a fondo piatto, quei lobi ondeggianti
tra i quali piume e fasci di luce sventagliano
rossi e arancio-pesca sfumati in cornalina,
che approssimano al centro un fulgore cedrino,
la fornace ardente nella gola del forno
che infuoca e fonde nuvole di moscatello
con pennellate doro.

Ma immediatamente la poesia sottolinea di nuovo la distanza ironica tra una tale corroborante
meraviglia e la tenebra indifferente del narratore: Io guardo e riguardo, / come se potessi essere
salvato solo col guardare.
Salvato da cosa? Solo gradualmente, a spizzichi e bocconi, ci vengono presentati i dettagli
della vita del narratore. Sua madre morta che lui era bambino. Lui un espatriato americano che
abita grazie a una rendita annuale a Venezia, citt dalla quale stato attratto per la sua peculiare
commistione di bellezza e decadenza. Viene da Lawrence, nel Massachusetts. Ha prestato servizio
come paramedico nella Seconda Guerra Mondiale, dove stato testimone di orrori indicibili. Nelle
prime tre delle sei sezioni del poemetto, questi sono tutti i fatti che ci vengono forniti. Poi le
informazioni cominciano ad accumularsi pi rapidamente. cresciuto nel negozio dello zio. La sua
famiglia era costituita da immigrati lituani. Il padre, venuto in America con la giovane sposa per
raggiungere lo zio, poco dopo il suo arrivo part verso il west da solo, e non sarebbe pi tornato. Lo
zio venne sconvolto dalla morte della madre del narratore, che ebbe luogo quando questi aveva sei
anni. Quando raggiunse i diciotto anni, il corpo del padre venne rispedito a casa dall'Ohio: poco
dopo la sua partenza, il padre era stato derubato, colpito in testa, e internato come pazzo, prima che
qualcuno si accorgesse che quello che diceva non era il blaterare di un folle ma un normale discorso
in lituano; lo zio, contattato dalle autorit e preoccupato del possibile scandalo, e forse anche per
motivi ancora pi sinistri, aveva lasciato che il fratello rimanesse in manicomio. Lo zio aveva avuto
grande successo nelle sue attivit commerciali. Il narratore si era arruolato nell'esercito
immediatamente dopo il funerale del padre, e in seguito era stato congedato per debolezza
mentale. Nel tempo, era arrivato a sospettare che lo zio, che l'aveva nominato suo erede, fosse in
realt il suo vero padre. Il narratore vive disprezzandosi profondamente, sentendosi il suo
colpevole erede, il beneficiario / dei suoi soldi e dei suoi crimini.
Un riassunto succinto come il precedente presenta in modo pesante quello che Hecht espone
con lentezza, con grande arte e notevole suspence, quando questi fatti emergono sullo sfondo di
meditazioni sui pi vari argomenti, quali la durata della vita dei virus e i pi fini dettagli del galateo
codificato da Emily Post. Perch ci che messo in mostra lungo tutto il poemetto naturalmente la
sensibilit del narratore: colto, raffinato, capace di percepire le pi sottili nuances visive e sonore,
ma anche amaro, fatalistico, attratto dai foschi lati oscuri delle cose. Ma qui, necessariamente, ci si
avvicina al paradosso che chiunque commenti un monologo drammatico si trova ad affrontare.
Quanto della tessitura della poesiale sue visioni rapsodiche o da incubo (per quanto le epifanie
che ho citato in precedenza dimostrino la grande bellezza del poemetto, vi si trovano delle
immersioni opposte a queste nel deforme e nel grottesco), le sue ossessioni, le sue evasioni e
circonlocuzioniva attribuito alla voce narrante e quanto all'autore? Se nei brani critici finora
disponibili su questa poesia si pu trovare un difetto comune, sta, secondo me, in una tendenza ad
accettare la finzione che muove il poemetto alla lettera trattando X (cos i critici hanno
denominato il protagonista) come se fosse quasi il creatore della poesia, invece di esserne l'entit
creata. I monologhi drammatici, nei grandi maestri del genere vissuti nel diciannovesimo secolo,
Browning e Tennyson, come nei loro eredi del ventesimo secolo, quali Frost ed Hecht, sono sempre


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uno stampo, una maschera della voce che permette al poeta di dire ci che intende dire con la libert
fornita da una tale presa di distanza, ma quasi sempre con vestigia di identificazione sotterranea fra
poeta e personaggio. Cos l'abilit di Browning a rappresentare le articolazioni dei mondi interiori
dei suoi personaggi sia storici che immaginari trova un corrispettivo nell'insistenza di Fra' Filippo
Lippi nel collocare persone reali nelle sue raffigurazioni sacre, sorprendendo gli osservatori e
spesso raccogliendo la disapprovazione dei suoi superiori. Quindi le visioni attenuate di Titone, la
cui maledizione era l'immortalit, riecheggiano l'ambivalenza dello stesso Tennyson riguardo al
prolungare la tradizione visionaria romantica della quale egli stesso erede. E quindi le oscillazioni
di X tra le squisite descrizioni del mondo che vede attorno a s, colme di elaborati ornamenti
retorici, e le inquietanti meditazioni sulle forze malefiche che modellano le nostre vite e i nostri
caratteri, portano con s pi che una limitata corrispondenza con i ritmi in chiaroscuro della poesia
matura di Hecht, che passa da una polarit all'altra di tenebra e luce, e che tiene in equilibrio lo stile
alto della sua arte lirica le sue eleganti e complicate forme strofiche e la sua musica composta e
risonante con il torvo e impervio materiale che coraggiosamente, e ripetutamente, sceglie come
proprio argomento quando contempla gli episodi de-umanizzanti e sconsolanti del lungo catalogo di
atti inumani compiuto dall'uomo nei confronti dell'uomo.
Hecht stato pi chiaro di alcuni dei suoi criticie considerevolmente onesto, come
poetariguardo a tale demarcazione. Nell'ottimo libro che raccoglie una lunga intervista di Philip
Hoy, nella collana Between the Lines, Hecht scrive:

I Vespri Veneziani parlano di un personaggio inventato, in gran
parte si tratta di un uomo che ho conosciuto a Ischia, ma in parte di
mio fratello e, necessariamente, in parte di me. Ma per lo pi, il
personaggio inventato. un uomo profondamente travagliato,
nevrotico, disadattato, e la sua infelicit non fa altro che aumentare
la sua introspezione. [p. 64]

Questo commento si trova nel contesto di una spiegazione sulla distinzione tra il narratore de I
Vespri Veneziani e il narratore di Green: An Epistle (una poesia pubblicata nella sua raccolta
precedente, Millions of Strange Shadows), rispetto al quale Hecht prova un livello assai maggiore di
identificazione: Io stesso, sia come voce riconoscibile che come presenza sono di gran lunga pi
coinvolto in 'Green' di quanto sia consapevole di essere nei 'Vespri'. Tale distinguo importante,
ma lo sono anche altre ammissioni (necessariamente in parte me; di quanto non sia consapevole
di essere). Poco oltre, nella stessa intervista, Hecht parla pi ampiamente sia delle origini della
poesia che del ruolo del narratore:

C'erac' la citt stessa, lo splendore decaduto, ora centro di
pellegrinaggio turistico come in passato era stata centro di
pellegrinaggio religioso e di commercio, con questi due aspetti
intimamente interconnessi... Volevo scrivere una poesia che
catturasse un po' di questa brillantezza e decadenza, e pensandoci
su mi venne in mente la storia di un uomo, che adottai come voce
della poesia. Era una persona che avevo conosciuto a Ischia, un
uomo profondamente tormentato e moralmente angosciato la cui
storia famigliare sostanzialmente quella raccontata nella mia
poesia... Mi era parso che quest'uomo, senza nome nella mia
poesia, con il suo malessere e il suo riserbo stoico potesse essere
una specie di raffigurazione della citt in rovina, della sua
sospensione tra grande potenza e attrazione turistica, eppure ancora
dotata di un'innegabile bellezza. La mia intenzione era di
intrecciare questi due elementi, uomo e citt, in modo che il lettore
li potesse ritenere adeguatamente accostati. [p. 77]


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Non si pu fare a meno di notare il leggero spostamento d'accento tra le due dichiarazioni
precedenti. Il personaggio che era stato detto per lo pi [...] inventato viene adesso identificato
come fermamente basato sull'uomo conosciuto da Hecht a Ischia (anche se nella seconda citazione,
in passaggi che non ho riportato, Hecht dice comunque che le sofferenze del fratello e le proprie
esperienze di guerra sono incluse nella persona del narratore). Non voglio qui stare a sofisticare
sulle dichiarazioni di Hecht, n sull'approccio dei suoi commentatori, ma semplicemente
sottolineare che ci si trova su un terreno altamente instabile quando si cerca di delineare la voce
parlante di una poesia distinguendola dall'autore, territorio in cui perfino uno scrittore puntiglioso
come Hecht si trova a scivolare nella direzione dell'auto-contraddizione e dell'evasivit. Per quanto
strettamente il narratore de I Vespri Veneziani sia modellato sull'uomo di Ischia, egli esiste solo
nella, e per la, poesia a cui serve in un certo senso sia da veicolo che da soggetto (cio sia come
immagine che contenuto della metafora). E se Hecht in massima parte mantiene le distanze da lui, ci
sono dei momenti in cui quella distanza si riduce. Si pu leggere, ad esempio, un verso come Io
sono il capo sfibrato di una lunga linea, senza avvertire un accenno al sentimento di essere un
superstite nel mondo poetico da parte di un poeta assolutamente consapevole della tradizione in cui
si colloca e che scrive negli ultimi decenni del ventesimo secolo, un'epoca in cui la sopravvivenza
dello stile alto splendidamente esemplificato nelle poesie di Hecht arrivata a essere seriamente
minacciata?
La descrizione delle origini di questa poesia da parte di Hecht pone l'accento principale non
tanto sulla voce narrante ma sull'ambiente: Venezia stessa stata la principale ispirazione di Hecht.
Non ho qui lo spazio per tratteggiare in dettaglio il ruolo che la citt svolge nella poesia, n sono il
critico pi adatto a farlo: il lettore interessato potr consultare i saggi illuminanti di Gregory
Dowling e di Jonathan Post. Ma dovrei, per quanto di sfuggita, accennare almeno ad alcuni degli
antecedenti letterari, la maggior parte dei quali si intreccia con l'ambiente evocato da questa poesia
altamente allusiva: forse il pi importante Le pietre di Venezia di John Ruskin, citato in una delle
epigrafi del poemetto; Morte a Venezia di Thomas Mann; i vari romanzi di Henry James che
raccontano le esperienze dei vari espatriati americani in Italia; Volpone di Ben Johnson; e,
ovviamente, come sempre con Hecht, Shakespeare in particolare Otello (pure fonte di una delle
epigrafi), Il mercante di Venezia, e, per quanto concerne la storia incestuosa sullo sfondo, Amleto.
Diversi di questi nessi intertestuali potrebbero da soli giustificare un intero saggio dedicato a
ciascuno di essi. Vorrei, invece, suggerire un'ulteriore relazione letteraria, per quanto generale, alla
luce dei versi conclusivi della poesia, una connessione che illumina per contrasto la natura della
caratteristica giustapposizione della poesia (e del poeta) per quanto riguarda presente e passato,
lirica e narrativa, luce e tenebra.
Dopo lo spettacolo delle nuvole ispirato da Tiepolo, descritto con una bravura che lascia
senza fiato, la poesia finisce:

[...] Io guardo e riguardo,
come se potessi essere salvato solo col guardare
io, che non mi sono mai guadagnato il pane, che
non sono meglio di un virus parassita,
o della feccia del sottomondo veneziano,
istupidito e confuso nei miei ultimi anni,
che mai, nemmeno una volta, fui un bimbo assennato.

L'ultimo verso ovviamente riecheggia il proverbio Il bimbo assennato conosce il proprio padre.
Ma io credo che vi sia un pi profonda risonanza semi-sepolta l, che costituisce una variazione
raggelante su uno dei testi fondamentali della poesia inglese moderna, le meditazioni di William
Wordsworth sulla relazione tra bambino e uomo adulto in poesie fondamentali come Versi
composti alcune miglia a monte dell'Abbazia di Tintern, Ode: premonizioni di immortalit nei


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ricordi della prima infanzia, e Il preludio. In queste opere e altrove, Wordsworth insiste
sull'influenza salutare delle esperienze dell'infanzia sullo sviluppo del senso morale dell'adulto, e Il
preludio pone in particolare rilievo l'idea dei punti del tempo, momenti di rivelazione epifanica
che, per quanto spesso conturbanti nel loro contesto, contribuiscono a guidare la crescita della
mente del poeta. Questi momenti elevati danno centro e direzione all'intero arco narrativo della
vita del poeta, e la relazione tra lirica e narrativa, passato e presente, bambino e uomo adulto,
dialettica: l'entusiasmo infantile per la natura, e le prime percezioni giovanili del bagliore
visionario, per quanto si rivelino effimere, trovano risposta in seguito nella piena ricompensa
dell'amore verso l'umanit dell'uomo pi maturo, amore pi misurato e che rende pi misurati. E la
pi grande poesia di Wordsworth, in effetti, serve da terzo termine in questa dialettica
equilibrando e riconciliando gli altri due termini. Ma ne I Vespri Veneziani (e anche altrove
nell'opera di Hecht) l'infanzia non affatto fonte di benessere: anzi, i motivi pi bui de I Vespri
Veneziani cominciano nella losca storia d'amore famigliare di cui il bambino diviene consapevole
solo in retrospettiva. Per quanto il poemetto sia ricco di momenti che assomigliano ai punti del
tempo di Wordsworth, tali momenti non hanno alcun effetto benefico (se non che a volte
provocano un sollievo momentaneo), e in alcun modo contribuiscono alla formazione positiva del
narratore, anche se talora possano brevemente rallegrarlo. Perci le polarit di questa poesia
esistono non in termini di una dialettica, che deve essere elaborata per arrivare a una conciliazione,
ma come motivi contrappuntistici la cui giustapposizione non fa che sottolineare la differenza tra il
rifugio del tempo presente, con i suoi dettagli fini, e la meditazione sul passato (o sul futuro), con
le sue ambiguit torbide e insolubili. Per quanto meraviglioso il mondo vivo che i nostri sensi, al
massimo della loro raffinatezza, imparano ad apprezzare, la storia delle nostre vite materia da
incubo. E se ci specialmente, e in modo magistrale, vero de I Vespri Veneziani, qualcosa di
simile si potrebbe dire di altre pietre di paragone hechtiane, quali A Hill, Green: An Epistle e
Apprehensions.
Circa vent'anni fa, a un congresso di scrittori, un mio amico si imbatt nel poeta Howard
Nemerov, che stava leggendo I Vespri Veneziani. Quando il mio amico gli chiese cosa stesse
leggendo, Nemerov rispose: La pi grande poesia lunga dei nostri tempi. L'amico, curioso, chiese
il motivo di tale affermazione, al che Nemerov si limit a sospirare e disse che la sua opinione era
basata pi su una sua convinzione che su una teoria. Vi sono, senz'altro, poesie lunghe e anche
molto lunghe con cui sarebbe difficile confrontare I Vespri Veneziani, come ad esempio The
Changing Light at Sandover di James Merrill, che si estende su decine di migliaia di versi: la poesia
di Hecht pi un epillio che un'epica. Ma, questo detto, data la maestria tecnica e la sbalorditiva
commistione e complessit dei temi, lo sfolgorio dello stile e l'austerit e la rilevanza della sostanza,
l'opinione di Nemerov andrebbe presa seriamente in considerazione.

Joseph Harrison

[Postfazione a: Anthony Hecht, I vespri veneziani, LObliquo, 2011. Traduzione di Damiano Abeni]

NdA: Il lettore interessato potr consultare le seguenti opere che mi sono state straordinariamente
utili nel formulare i miei pensieri su questa poesia: Anthony Hecht in Conversation with Philip Hoy,
Between the Lines (Londra, 2001); Gregory Dowling, Calm Suspension, Capitolo 5, Someone's
Road Home: Questions of Home end Exile in American Narrative Poetry (Udine, Campanotto
Editore, 2003); Jonathan F. S. Post, The Genesis of Venice in Anthony Hecht's The Venetian
Vespers (Baltimora: The Hopkins Review, Spring 2010).


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Seguendo il Dart

Nel 2002 Alice Oswald pubblica Dart (Faber y Faber), un lungo poema ispirato al fiume omonimo
che scorre nelle terre sud-occidentali della Gran Bretagna, e attraversa la brughiera a cui d il nome,
Dartmoor, un altopiano disseminato di grandi torrioni granitici, verso il mare. In cosa meglio di un
fiume si rivela un territorio: esso contiene tracce dei vari paesaggi, percorre zone sconosciute, parla
con il timbro delle terre che spezza, conosce e trasporta in s una mappa di voci. Questo poema
fatto del linguaggio di tutti coloro che vivono e lavorano sul Dart, spiega la Oswald nella nota
introduttiva. Per due anni la poetessa ha registrato conversazioni con persone che si sono trovate a
coabitare con il Dart: naturalisti, nuotatori, addetti alla manutenzione degli impianti fognari,
stagnini, pescatori, turisti, operai di vario genere, osservatori di anguille, barcaioli, bracconieri,
raccoglitori di ostriche, e poi sognatori, ninfe arboree, individui notturni e pericolosi, i vivi come i
morti. Lopera si sviluppa come il corso della corrente, dove tutto - materia residuale, ricordi,
sporcizia, animali, riflessi, radici perdute - si mescola in modo caotico, trovando poi una direzione.
Le cose si adattano le une alle altre, apparentemente indistinte nei colori acquatici, da cui il ritmo
poetico deve nuovamente trarle. Il poema quindi si struttura in modo complesso e frammentario
come un discorso nellacqua: non un ennesimo testo sul fiume quale metafora della vita, piuttosto
tende a divenire un dato fiume. Ne emergono brani di monologhi pi o meno articolati; a parti
maggiormente versificate seguono stralci di prosa; a pagine quasi prive di punteggiatura altre dove
le parole sgocciolano, si riducono al bianco del silenzio, dando limpressione esatta di rivoli che
filtrano per i passaggi stretti nel pietrame. Il Dart che canta, il Dart che avanza nellimpeto della
piena, in secca nella stagione calda, allimprovviso profondo o accogliente in un bozzo per i
bagnanti, d la forma poematica ai contenuti, allentrata in scena dei vari attori. Si pu avere spesso
limpressione di trovarsi nel mezzo di una conversazione gi avviata, che velocemente si fa brusio e
scivola in unaltra storia; noi lettori dobbiamo orientarci da soli, avendo come unica bussola le
epigrafi sulla destra che indicano luoghi e personaggi, recuperare il nostro proprio respiro nel
continuo sciabordio, nellaccumularsi dei rumori nella scrittura. La ricerca di memorie, lo scandirsi
delle identit fluide e interconnesse, lo scrollarsi del fiume dai ciottoli e dai corpi attraverso
queste fasi Dart si scrive e si interroga, come il camminante in apertura del testo:

Consulta la sua mappa. Una vasta landa selvaggia color della pioggia.
Queste devono essere le pietre, il movimento improvviso,
il verso delle rane che cantano nel nuovo anno.
Chi che fuoriesce dalla terra?

Il Dart, che giace nelloscurit, grida: Chi ?
cercando di evocarsi on la parola (1)

Pensando la Oswald come poetessa della natura, del paesaggio con le sue molte anime, inevitabile
non ricondurla alla lezione di Ted Hughes, e in particolare al suo River (1983), dove compare lo
stesso Dart presso cui il poeta era solito andare a pescare. Tuttavia le poesie di River sono pervase
da un misticismo biocentrico: celebrano lessenza divinizzata del fiume Caduto dal cielo, giace
sopra/ il grembo di sua madre, spezzato dal mondo ()/ Cos il fiume un dio/ Alle ginocchia tra
le canne, guardando gli uomini,/ o spenzolante dalla porta di una diga/ un dio, e inviolabile./
Immortale. E si purificher di ogni morte. (Fiume). O ancora, in Dart occidentale lacqua ha in s
spirito e sangue, la forza fisica e il fiato invisibile dellesistente. Il territorio abitato dalle acque
fluviali supera lInghilterra, portando tracce di fiabe e leggende antiche, dalle estremit
settentrionali dellAmerica al Giappone, configurandosi in una mitologia personale, che va oltre il
contingente dei luoghi e del vissuto. Diversamente Dart della Oswald un essere vivo che si muta
sempre in qualcosa daltro, ma questo avviene proprio in virt delladesione ad un territorio


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specifico, allinteragire con lumano. In altre parole: laddove i fiumi di Hughes creano il mondo
circostante, Dart lo determina fortemente, ma a sua volta evocato, reso riconoscibile
dallavvicendarsi di coloro che lo popolano. Questo fiume non un dio, ma a suo modo lo diventa
supera i limiti temporali delle vite che raccoglie, nel loro intrecciarsi attraverso i racconti. Cos
perfino il soprannaturale sempre in stretto dialogo con luomo, rispettando in questo la tradizione
folklorica del paese per cui lambiguit e il pericolo, ma anche il fascino di certe creature del
destino, non sono mai troppo lontani dalle residenze umane, e il remoto e il fantastico dimorano
negli elementi. Un buon esempio lincontro con Jan Coo, creatura che, come suggerisce il nome
onomatopeico, nasce dal soffio prolungato del vento, assimilabile ad un monito, una voce
piangente. Folletto della brughiera o fantasma di un annegato, si aggira nel Dartmoor come un
presagio funesto, annuncia la sete del fiume, che inghiotte coloro che vi cadono.

Pioggia. Non un granch di mattinata. Jan Coo il suo nome
lavoro di routine, svuotare i secchi significa Lo Sconosciuto dei Boschi,
e pascolare le mucche ti conosco, frequenta il Dart
Jan Coo. Un soffio sopra un pozzo profondo.

Le mucche lo conoscono, quando cerca il forcone nel buio.
Sanno la verit su di lui un uomo strano -
Sono fradicio, al diavolo queste mani intorpidite.
Una scossa nei boschi. Un salmone sotto una pietra.

So chi sono, vengo
dal piccolo cumulo di pietre su a Postbridge, Postbridge dove
tu mi avrai visto nutrire il bestiame, puoi capire che sono io la prima strada attraversa
dal logorarsi dellacqua sullosso. il Dart

Sono lento e malato, sto
cercando di convincere me stesso a lasciare questo posto,
ma le radici crescono sulla mia bocca, il mio piede
dentro una latta arrugginita. Una notte lo far.

E cos una notte scivola via gi lungo il fiume,
ci disse che poteva sentire le voci uoooou
noi sappiamo cosa significa, Jan Coo Jan Coo.
Una piuma asciutta, bianca sullacqua.

La mattina dopo torn a casa era annegato.
Non avrebbe mai dovuto nuotare da solo.
Ora cos magro che puoi vedere la luce
attraverso la sua pelle, puoi vedere lo sporco nel suo diaframma.

Ora lo sposo del Dart lho visto
prendere la forma del cielo, un uccello, una lama,
una foglia caduta, una pietra, possa giacere a lungo
nel nodo inesplicabile del corpo del fiume(2)

Vivere con il fiume, significa essere consapevoli della sua forza necessaria come delle sue trappole,
del mistero che sta in lui e che non ha niente di trascendentale lumidore di una pietra notturna
su cui scivolare accidentalmente, lingorgo dacqua e di melma che impedisce di vedere il fondo.
un pescatore stavolta a parlare:


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so come muovermi nelloscurit, ci vedo la notte, sono stato qui sveglio nelle ore piccole
aspettando che qualcuno mi randellasse ma

non fa paura se sai quello che stai facendo. C un cordone di sabbia litorale, ci puoi camminare
superando i gorghi ma

ho preso allamo un braccio una volta, pietrificato, ho sollevato lentamente un corpo, era solo un
maglione(3)

Attraverso lalternarsi del naturale allultraterreno nelle vicende del fiume, si riconquista un
equilibrio per cui il Dart non solo la massa acquosa, la freccia, lo strale, traducendone il
nome, che fende la terra verso il mare, ma la linfa che anima il tutto, il connettore di ogni passato
con il futuro. Una sezione dedicata dunque agli stagnini morti, un incedere di nomi e domande che
rammenta lapertura dellAntologia di Spoon River di Edgar Lee Masters -

Dov Ernie? Sottoterra.
dov Redvers Webb? Pure lui.

Tom, John e Solomon Warne, Dick Jorey, Lewis
Evely?

Alcuni sono fotografie, altri polvere.
Si dirigono da Est a Ovest lungo le vene di stagno
venticinque metri sotto Hexworthy, ognuno con una candela di sego
sul cappello. (4)

Le identit si fondono con i toponimi, le esistenze concluse ritornano nei luoghi del lavoro, come se
il procedere contrastato delle acque fosse la folla dei defunti, che solo qui ancora si pu ascoltare.
Subito dopo viene svelato che Dart lantico nome devoniano per quercia, epigrafe che introduce
una guardia forestale e una ninfa dacqua. Tendendo lorecchio c qualcun altro che parla sotto la
voce delluomo; sotto il bosco fisico che cambia ci sono leggende, desideri, memoria - la ninfa nel
segreto dellalbero, la guardia al suo esterno, entrambi parte di uno stesso sistema; la prima scandita
dal ritmo franto dei versi, il secondo dal distendersi della prosa dove gradualmente entra il pensiero
dellaltra -

Alberi come quello, quando cadono lintero posto diverso, aria diversa, creature diverse
riempiono il vuoto (). Dicono che tutti i fiumi erano alberi caduti una volta.(5)

Tendendo lorecchio si scende e si trasformati, come succede al giovane nuotatore che avverte
tutto se stesso farsi pesce e liquidit, tuffandosi nel Dart -

Menyahari gridiamo a mezzaria.
Saltiamo da un albero in uno stagno, diventiamo
grandi come pesci. Tutti nuotano qui
sotto Still Pool Copse, di sabato
colpendo lacqua con le mani nude, bello una volta che sei
dentro.

fredda? tagliente?

Sto fermo guardando gi attraverso i faggi.


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Quando getto un sasso posso contare fino a cinque prima
dello splash.

Poi salto, un guizzo dorato nella testa,
attraverso il nero e il freddo, il rosso e il freddo, il marrone e tiepido,
dando allacqua il mio peso e la mia taglia cos da
immaginarla,
acqua con le mie ossa, acqua con la mia bocca e la mia
conoscenza
quando il mio corpo era a suo modo unonda in cui nuotare,
una lunga pinna da capo a coda(6)

A coloro che fanno esperienza del fiume per pura passione o ai suoi molti echi leggendari,
subentrano gli operai, per cui il Dart necessit primaria da sfruttare, prima che da ammirare,
godendo della sua pulizia o bellezza. Gli uomini del lanificio, ad esempio, che attingono lacqua del
fiume per lavare la lana e creare le varie tinte

William Withycombe, Alex Shawe, John Dawe,
William Friend

ed io. Custode del lanificio, unoperazione completamente
verticale,
si aggiunge una certa quantit di detergente, non-ionico,
ragionevolmente biodegradabile,
perch necessario, quando vedi come arriva la lana,
unta di pittura bluastra, merdosa e sudata con escrementi
che pendono ovunque.

Sfortunatamente le pecore non usano carta igienica.

Va sempre tutto bene, si lamentano i pescatori
ma io ci vedo come cormorani che vivono del fiume.
Dipendiamo da lui per via della sua acqua leggera
perch scorre sopra il granito ed relativamente priva di
calcio
mentre invece i pescatori per cosa per divertimento(7)

Oppure operai dellindustria casearia, dato che lacqua veniva usata per raffreddare il latte, o
loperatore degli impianti fognari,

Mi occupo dellintero Dartmoor, il metabolismo di tutto il Sud-Ovest, che inizia con le nuvole e si
scarica gi per gli edifici e i corpi fino a questo reticolo di tubi sotterraneo, e tutto che finisce con
me qui sopra il mio ponte(8)

la cui testimonianza si lega al racconto medievale del nipote di Enea e dei suoi compagni in esilio,
guidati da una dea verso unisola di boschi indisturbati, che remarono risalendo il Dart per divenire
i primi re della Britannia.

Il fiume dunque anche la grande dimenticanza che permette di proseguire, sapendo che ogni volta
che una storia verr raccolta da un mucchio di cose inutili e nuovamente raccontata, le parole si
cuciranno in modo diverso sia per chi le ascolta che per chi le produce, reinventando una stessa


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materia originaria. Una singola immagine capace di avvicinare epoche ed individui diversi, dalla
fogna a ci che in basso, sotto molti strati di coscienza come un mito, allapprodo in una landa
ignota dove avanza un gigante armato di pietre e riporta al momento attuale, ad un costruttore di
muri di sassi, uno stonewaller, che si aggira per lestuario del Dart cercando le pietre ideali,
levigate e depositate dalla corrente. Forse occorre procedere lungo il poema come in uno stato di
sogno, in cui ci che ci sembra di riconoscere assume una consistenza imprevista e un altro aspetto
appena lo si tocca. Non , a mio avviso, un caso se tra le varie apparizioni quasi centrale vi un
sognatore, buona parte del cui discorso tra parentesi, come in un bisbiglio:

Il sonno era allopera e dalla mente la foschia
si distese come tornasole verso la luna, la pioggia
pendeva luminosa a mezzaria quando scesi
e trovai un cumulo di scisto infranto
sotto laffrettarsi tremante dellacqua.(9)

Nelle visioni del sognatore lo stesso s-sognante del fiume avanza e allora le sue acque potrebbero
non essere che la foschia in cui, smarrendoci, siamo guidati a scoperte inattese, siamo sopra una
cartina tornasole, che mostra i contorni dei personaggi - omini del sonno, che ci sfiorano un attimo,
ogni grano di sabbia uneco, prima di immergersi ancora nel buio dellonda. Procedendo verso la
fine, dove il fiume si congiunge al mare, sono i costruttori di barche, i naviganti che ci
accompagnano e tutto quello che dicono, per quanto veridico, sembra straordinario, accresce
atmosfera incantata del poema. Dart partecipa infine della pi pura arte orale, si muove tra storie
condivise, quelle storie che sono realmente accadute e che proprio per questo hanno realmente
qualcosa di stupefacente, diventano nostre nonostante non fossimo l. Non mai prevedibile dove
ci coglier la meraviglia. Come il racconto di scampata morte (e ritorno da una sposa rossa come le
donne delle fate) di un traghettatore:

Lavoravo la notte che la scialuppa di salvataggio del Penhilly
affond:
fradicio, terrorizzato, congelato lultimo uomo l fuori sul fiume.
Ma non ho mai visto fantasmi. Tornai a casa che annegavo.
Entrai nella casa e cera la mia bella moglie dai capelli rossi,
non cera uomo sopra i venticinque che non la
desiderasse.

Penso a lei in autunno, quando gli alberi prendono questo
colore stupefacente dalle parti di Old Mill Creek.
Vado laggi e spengo il motore. Silenzio.
Dopo un po puoi sentire i rumori tenui della bassa marea.
O in inverno, puoi sentire steli di ghiaccio che si scheggiano sotto
la barca.(10)

O la voce dei vecchi pescatori di granchi, che ricordano la loro giovent scapestrata, ma anche la
bellezza delluscire per mare, incontrando ogni tipo di animale nascosto:

Avevamo una cattiva fama, facevamo un po di casino in citt, ma che potevamo fare? A quindici
anni avevamo un sacco di denaro, era come se i granchi fossero merce gratis, potevamo andare
avanti a tirarli su dal mare anno dopo anno, era come una trappola per far soldi. Per non parlare di
cosa certi pescatori tirano su, non che mettono sempre i loro cesti dove sono i granchi.

()



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Ma dimmi un altro lavoro dove puoi vedere laurora intera ogni mattina. Nessun cartellino da
timbrare, nessuna campanella. In estate puoi tuffarti, vedere le balene che saltano, prendere
tartarughe grandi come un dory.(11) Dai una pacca sul lato della barca e dimmi un altro lavoro
dove un delfino ti spaventa, ti guarda dritto negli occhi e poi si lascia toccare. Non sai cosa sei
finch non lo hai visto(12)

Balene, delfini, tartarughe. Animali che segnano la conclusione di un percorso terracqueo, per
aprirsi a ci che vasto e incontenibile allocchio umano - quando sei per mare tutto mare. Oltre
la foce del Dart, su quel confine suggestivo, fatto di insenature e piccole grotte, bocche di un paese
infero al cui ingresso si ammassano pelliccia, peli, unghie, ossa, si spinge sul suo wave-ski,
losservatore di foche:

ogni inverno si riuniscono qui,
venti foche in questo spazio dietro il mare, tutte avvolte
e al caldo nel grasso, come lanima nel suo cilindro di carne.

Con le loro bocche di nonna, con il loro occhi languidi di cane
che chiedono
chi che si muove nelloscurit? Io.
Sono io, anonimo, soliloquio dellacqua,

tutti i nomi, tutte le voci, Muta-Forma, sono Proteo,
chiunque egli sia, il pastore delle foche,
che guida i miei molti s da caverna a caverna (13)

Nel folklore celtico, sebbene in altre isole pi a nord, le foche sono magiche. Lasciano sulla
spiaggia le loro pelli per danzare in forma di donne, hanno qualcosa di noi. Melanconici mammiferi
marini, cercano la terra per riprodursi, abitano due mondi. Il Dart si abbandona a loro, le conduce,
divide il suo carico di tempo nei loro corpi tra le onde il viaggio che ora comincia tutto da
immaginare.

Francesca Matteoni


Note.
(1) He consults his map. A huge rain-coloured wilderness./This must be the stones, the sudden movement,/the sound of
frogs singing in the new year./The Dart, lying low in darkness calls out Who is it?/Trying to summon itself by
speaking
(2) [Jan Coo: his name Means So-and-So of the Woods, he haunts the Dart]Rain. Not much of a morning./Routine
work, getting the buckets out/ and walking up the cows I know you,/Jan Coo. A wind on a deep pool./ Cows know him,
looking for the fork in the dark./ They know the truth of him a strange man / Im soaked, fuck these numb hands./A
tremor in the woods. A salmon under a stone./[ Postrbridge is where the first road crosses the Dart].I know who I am,
I/come from the little heap of stones up by Postbridge,/ youll have seen me/ feeding the stock, you can tell its me/
because of the wearing action of water on bone./ Oh Im slow and sick, Im/ trying to talk myself round to leaving this
place,/ but theres roots growing round my mouth, my foots/ in a rusted tin. One night I will./ And so one night he
sneaks away downriver,/ told us he could hear voices woooo/ we know what means, Jan Coo, Jan Coo./ A white feather
on the water keeping dry./ Next morning it came home to us he was drowned./ He should never have swum on his own./
Now hes so thin you can see the light/ through his skin, you can see the filth in his midriff./ Now hes the groom of the
Dart Ive seen him/ taking the shape of the sky, a bird, a blade,/ a fallen leaf, a stone may he lie long/ in the
inexplicable knot of the rivers body
(3) I know my way round darkness, Ive got night vision, Ive been up here in the small hours waiting for someone to
cosh me but/its not frightening if you know what youre doing. Theres a sandbar, you can walk on it right across the
weirpool but/ I hooked an arm once, petrified, slowly pulling a body up, it was only a cardigan


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(4) wheres Ernie? Under the ground./wheres Redvers Webb? Likewise./ Tom, John and Solomon Warne, Dick Jorey,
Lewis /Evely?/ Some are photos, others dust./Heading East to West along the tin lodes,/ 80 foot under Hexworthy, each
with a tallow candle in/ his hat./
(5) Trees like that, when they fall the whole place feels different, different air, different creatures entering the gap. ()
They say all rivers where once fallen trees.
(6) Menyahari we scream in mid-air./ We jump from a tree into a pool, we change ourselves/
into the fish dimension. Everybody swims here/ under Still Pool Copse, on a saturday,/ slapping the water with bare
hands, its fine once youre/ in./ Is it cold? Is it sharp?/ I stood looking down through beech trees./ When I threw a
stone I could count five before the/splash./ Then I jumped in a rush of gold to the head,/through black and cold, red and
cold, brown and warm,/ giving water the weight and size of myself in order to/ imagine it,/ water with my bones, water
with my mouth and my/ understanding/ when my body was in some way a wave to swim in,/ one continuous fin from
head to tail
(7) William Withycombe, Alex Shawe, John Dawe,/ William Friend/ and I. Keeper of the Wollen Mills, a fully vertical/
operation,/ adding a certain amount of detergent, non-ionic,/ reasonably biodegradable,/ which you have to, when you
see how the wool comes in,/ greasy with blue paint, shitty and sweaty with droppings/ dangling off it./ Unfortunately
sheep dont use loopaper./ Its all very well the fishermen complaining/ I see us like cormorants, living off the river./ We
depend on it for its soft water/ because it runs over granite and its relatively free of/ calcium/ whereas fishermen for
what for leisure
(8) Im in charge as far as Dartmoor, the metabolism of the whole South West, starting with clouds and flushing down
through buildings and bodies into this underground grid of pipes, all ending up with me up here on my bridge
(9) Sleep was at work and from the mind the mist/ spread up like litmus to the moon, the rain/ hung glittering in mid-air
when I came down/and found a little patch of broken schist/ under the waters trembling haste.
(10) I was working in the night the Penhilly lifeboat went/ down:/ soaking, terrified, frozen the last man out on the
river./ But I never saw any ghosts. I came home drowning./ I walked into the house and there was my beautiful/ red-
haired wife,/ there wasnt a man over twenty-five that didnt fancy/ her. / I think of her in autumn, when the trees go
this/ amazing colour round Old Mill Creek./ I go down there and switch off my engine. Silence./ After a while you hear
the little sounds of the ebb./ Or in winter, you can hear stalks of ice splintering under/ the boat.
(11) Il dory una piccolo barca da pesca, issata a bordo di alter barche: http://www.nautica.it/info/cultura/dory.htm
(12) We got a reputation, smashing up the town a bit, what could we do? Age fifteen we were big money, it was like
crabs were free commodity, we could go on pulling them from the sea year after year, it was like a trap for cash. Not to
mention what some crabbers pull up, they dont always set their pots where the crabs are.
()/ But tell me another job where you can see the whole sunrise every morning. No clocking in, non time bell. In
summer you can dive in, see whales jumping, catch turtles the size of a dory. You slap your hands on the boatside and
tell me another job where a dolphin spooks you, looks you straight in the eye and lets you touch him. You dont know
what you are till youve seen that
(13) each winter they gather here,/ twenty seals in this room behind the sea, all swaddled/and tucked in fat, like the soul
in is cylinder of flesh./ With their grandmother mouths, with their dog-soft/ eyes asking/ whos this moving in the dark?
Me./ This is me, anonymous, waters soliloquy,/ all names, all voices, Slip-Shape, this is Proteus,/ whoever that is, the
shepherd of the seals,/ driving my many selves from cave to cave




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Poema degli elementi, della catastrofe e del progresso:
Secondo natura di W.G. Sebald

Nel 1975, Hans Magnus Enzensberger pubblica una storia del progresso e del pensiero occidentale
in 37 ballate alla quale d leloquente titolo Mausoleum. Lopera ripercorre il destino di altrettanti
individui che, fra la met del Trecento a quella del Novecento, hanno contribuito allo sviluppo del
pensiero filosofico, politico e scientifico occidentale. Il poema in stazioni di Enzensberger muove
da Giovanni de Dondi (1318-1389) per giungere a Ernesto Guevara de la Serna (1928-1967),
ripercorrendo le gesta dei corifei di un progresso iniziatosi nel Medioevo grazie alla realizzazione
dellAstrarium, un complesso orologio astronomico creato dal medico e astrologo:

Un assoluto prototipo, insuperato
per quattrocento anni.
Un meccanismo plurimo, di ruote
ellittiche e dentate,
connesse ad ingranaggio,
e il primo bilanciere;
uninaudita fabbrica. (1)

Il tentativo di dominare il tempo, bench vano, si configura come il primo passo delluomo verso il
progresso e ad esso, per limitarsi alle sole prime ballate di Mausoleum, (con)seguono linvenzione
dellarte / dello scrivere artificiale di Gutenberg (1395-1468), lelaborazione del pensiero politico
di Niccol Machiavelli (1467-1527), le inchieste sugli aztechi del primo antropologo della storia
dellumanit, Bernardino de Sahagn (1499-1590), nonch le scoperte astronomiche di Ticho Brahe
(1546-1601). Il De viris illustribus di Enzensberger non per un mero encomio della scienze e
della tecnica create dalluomo, quanto piuttosto unattenta critica del progresso e dei suoi esiti pi
aberranti, poich lo angry young men(2) delle lettere tedesche appare ben consapevole che Il
sogno della ragione genera mostri(3). Le ballate sono, cos, un teatro di esposizione delle creature
prodotte dalla ragione umana lungo lasse del tempo. Inoltre, Mausoleum offre una messa in scena
della storia del progresso strutturata a guisa di percorsi museali che

non sono quelli ben ordinati a cui siamo abituati nella vita reale; essi vanno al contrario
pensati come spazi plurimi, non lineari ma labirintici. In verit, a ben vedere, se si volesse
trovare una metafora davvero calzante, non bisognerebbe neanche parlare di loci memoriae,
ma di loculi, nel senso cimiteriale del termine: il mausoleo, non ci dimentichiamo, non
che una tomba, per quanto prestigiosa o riccamente adorna. Fuori di metafora, intendo
riferirmi alla possibilit che la poesia, intesa come spazio di memoria, possa disattendere al
suo compito di riattivare un sapere critico, diventando invece uno spazio di non-dialogo o
un reperto archeologico di una comunicazione ormai inerte(4).

Nella metafora del mausoleo si coagulano molteplici significati: da un lato, essa rimanda al luogo in
cui la poesia, ormai incapace di dialogare e comunicare, giace nel secondo Novecento, dallaltro
lato, limmagine del mausoleo funzionale alla volont del poeta di lanciare il proprio memento
mori ad unumanit che persegue ciecamente il mito del progresso, non accorgendosi che, come si
legge nella ballata dedicata allamericano economista del lavoro Frederick Winslow Taylor (1856-
1915), lo sfruttamento della scienza diventa scienza dello sfruttamento(5).
Per dimostrare questa teoria, la storia del progresso di Enzensberger coinvolge i maggiori
astronomi, filosofi, scienziati ed esploratori della storia occidentale dellumanit, i quali hanno
elaborato sistemi di pensiero sempre pi complessi, con lintento di dominare la natura. Al centro
della riflessione di Enzensberger si trova qui il concetto di Bewutseins-Industrie, che d il titolo a


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un celebre saggio dello scrittore apparso nel 1962 e con il quale viene designata quella industria
della coscienza nella quale sono dialetticamente implicate la sfera pubblica e la coscienza
individuale. Sensibile qui linflusso della Dialettica dellilluminismo di Th. W. Adorno e M.
Horkheimer, della quale Enzensberger condivide la tesi che vede nella tecnologia e nei mezzi di
comunicazione uno strumento affinatosi nel tempo per manipolare la verit storica, ma anche per
emanciparsi dalla natura, ampliando i confini della concezione della Kulturindustrie (industria
culturale) offerta dai filosofi di Francoforte(6). Scienza e coscienza diventano con Mausoleum i
poli della dialettica m(a)useale di Enzensberger relativa alla storia dellindustria culturale e dello
sfruttamento naturale, di cui la poesia caduta vittima. Qui non si pu peraltro dimenticare che,
ancora allaura inattuale della poesia nella societ di massa, Enzensberger ha dedicato dieci anni
prima di Mausoleum la raccolta Museum der modernen Poesie (Museo della poesia moderna,
1960), il cui titolo rimanda ancora alla condizione antica, frusta e museale dellars poetica nella
contemporaneit, dove la poesia, non appena viene prodotta, diventa subito un vuoto oggetto da
museo incapace di insegnare alcunch, ma solo spendibile come object trouv da esposizione.
Nel solco di queste riflessioni di Enzensberger sul progresso, sulla societ e sulla poesia si
collocano anche i tre quadri lirici rispettivamente strutturati in 8, 21 e 7 brevi componimenti di
Nach der Natur. Ein Elementargedicht (Secondo natura. Un poema degli elementi, 1988), opera con
cui W.G. Sebald ha ripercorso la vita di altrettanti individui, incastonandone il destino nella storia
europea delle idee. Queste tre elegie postmoderne, dominate da un sentimento di ineffabile
malinconia, svelano al loro lettore quella medesima concezione labirintica della storia che soggiace
alle ballate di Enzensberger e induce Sebald a ricercare le anse del tempo(7). Esse sono spazi al di
l del tempo cronologico, chiamati dallautore anche vortici della storia, in cui si esperisce una
percezione a tale punto intensa del reale da esorbitare in una vera e propria illuminazione. Si tratta,
per il nostro autore, di un sentimento di assoluta assenza, unimmagine post-storica, e non si sa con
precisione in quale direzione il vortice ti porti, indietro nel passato, oppure avanti nel futuro. Ma si
sa che ci che viene indicato come destino collettivo dellumanit ha molto a che fare con queste
cose, con questa follia organizzata della nostra specie (8).
A fronte degli sforzi compiuti dai pi illustri esponenti della filosofia e della scienza occidentale per
dominare lo spazio e il tempo, questi vortici permangono incastrati nelle stereometrie(9) di
questultimo come macchie di nebbia che nessun occhio dissolve(10). Cos, recita lesergo posto
da Sebald a epigrafe del secondo dei quatto racconti lunghi di Die Ausgewanderten (Gli emigrati,
1996), intitolato Paul Bereyter, personaggio dietro al quale si cela Armin Mller, il maestro
elementare dello scrittore suicidatosi nel 1984. Leggendo il motto, la mente sarebbe tentata di
correre allo schopenhaueriano velo di Maya, ovvero al fenomenico tessuto di apparenze che
avvolge la realt e cela il noumeno. Non si tratta per in questo caso di unindiretta allusione a
Schopenhauer, quanto piuttosto di una delle molte citazioni nascoste, tratte da Sebald dalla
tradizione letteraria e filosofica tedesca, che nutrono la trama delle sue opere narrative, liriche e
saggistiche. Infatti, lautore bavarese attinge dal paragrafo 14 della Vorschule der sthetik
(Iniziazione allestetica, 1804) di Jean Paul Richter(11). In questopera il romantico tedesco si
produce in larga misura in una discussione concernente il genio artistico, richiamandosi nel passo
in questione alle figure di Socrate, Jakob Bhme e Georg Hamann. Ponendosi lobiettivo di
confutare i fondamenti razionali della filosofia kantiana, Richter traccia un percorso nella storia
della ribellione geniale al primato della ratio la quale trova i suoi punti pi alti nella lotta di
Socrate al pensiero sistematico della tradizione antisofistica del V sec. a. C., nel misticismo tedesco
del XVI secolo di Bhme e nella filosofia irrazionale e visionaria di Hamann. Perci, a proposito
dei tre illustri personaggi, nellIniziazione allestetica si legge:

A qualche indole divina imposta a forza una forma informe, come a Socrate il corpo da
satiro; perch alla forma e non alla materia interiore che il tempo reagisce. Cos lo
specchio poetico, con cui Jakob Bhme riflette il cielo e la terra, stava appeso in un luogo
oscuro; e al vetro manca anche in qualche punto la lamina. Cos il grande Hamann un


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cielo profondo colmo di stelle telescopiche, e ci sono macchie di nebbia che nessun occhio
dissolve(12).

Pare dunque che Sebald non abbia consacrato la propria narrazione al pessimismo di Die Welt als
Wille und Vorstellung (Il mondo come volont e rappresentazione, 1819), ma abbia deciso di porre
le vicende di Bereyter, il quale pure jeanpaulianamente un collezionista di oggetti, sotto legida
della speculazione romantica sul genio. Cionondimeno, la concezione romantica della natura, della
storia e della metafisica giocano un ruolo importante nella produzione lirica e narrativa di Sebald.
Gi il rimando allIniziazione allestetica ci riporta sulle tracce delle speculazioni hegeliane,
relative alla necessit di fondare nellOttocento una nuova mitologia occidentale capace di
esprimere laccordo profondo tra la vita delluomo e le forze della natura, abbozzate nel
paradigmatico Das lteste Systemprogramm des deutschen Idealismus (Pi antico programma
dellidealismo tedesco, 1797) e esplicitate nelle dense Vorlesungen uber die Philosophie der
Geschichte (Lezioni sulla filosofia della storia, pubblicate postume nelledizione dei Werke del
1848) pure con lintento di dibattere la questione dellesistenza dellanima e superare una visione
melancolica della storia occidentale(13).
Le tre lunghe liriche di Secondo natura possono essere iscritte sia nellalveo della speculazione
concernete il genio e la peregrinazione dello spirito occidentale dalla Grecia alla Germania,
dibattuta agli albori della Moderne anche da Friedrich Nietzsche, sia nellambito della hegeliana
necessit di elaborare una nuova cio moderna e contemporanea mitologia capace di esprimere
il rapporto delluomo con la natura. Non a caso, infatti, Sebald traccia con questopera un percorso
attraverso tre epoche storiche, dalle quali si evince il tragitto seguito dal Geist tedesco dalla gotica
oscurit del Medioevo alla bulimica follia del vedere dellet barocca, dalla volont tassonomica e
razionalista dellilluminismo fino alla postmoderna dialettica negativa del personalissimo mito della
distruzione elaborato dallo scrittore e inscenato nelle sue opere(14).
Nach der Natur gi dal titolo un manifesto di poetica, poich esso fornisce al lettore una precisa
indicazione per lermeneutica del testo. La preposizione nach possiede in tedesco un valore modale
e temporale, perci Secondo natura una valida traduzione italiana del titolo, che veicola lintento
dellopera di celebrare in versi liberi le distruttive leggi naturali, ma Dopo la natura sarebbe stata
una scelta altrettanto possibile, perch Sebald restituisce in particolare nellultima parte del poema
limmagine di una creazione resa esangue e post-naturale dallazione della civilizzazione e della
tecnicizzazione. Nutrono qui il pensiero sebaldiano le teorie sul tramonto dellOccidente elaborate
da Oswald Spengler negli anni Venti del Novecento, le quali rimandano per filosofico giocoforza al
pensiero nietzscheano sul tramonto degli idoli e sulla fedelt alla terra di Also sprach Zarathustra
(Cos parl Zarathustra, 1883-1885), mentre nellultima parte del poemetto sono chiari i richiami ai
capisaldi della Dialektik der Aufklrung (Dialettica dellilluminismo, 1947) di Th. W. Adorno e
Max Horkheimer.
Bench nella presente lettura di Secondo natura si sia volutamente deciso di lasciare al margine
della riflessione il pensiero dei maestri della Scuola di Francoforte(15), ancora da unopera di
Horkheimer possibile muovere per comprendere il significato profondo di Secondo natura, il cui
sottotitolo pure incentrato su una significativa duplicit semantica che si lascia difficilmente
incanalare. Sebald ha scelto come sottotitolo del trittico lindicazione di genere Elementargedicht:
si tratta di un neologismo che non trova riscontri nella tradizione letteraria tedesca e, gi per questo
motivo, richiede unattenzione particolare. Loriginalit dellopera infatti tutta contenuta in quel
termine che si colloca sul crinale di due significati: da un lato, poema degli elementi e, dallaltro,
poema elementare. Se il primo significato del composto tedesco, scelto anche come sottotitolo
della traduzione italiana, il pi immediato e ha caratterizzato diverse letture di Secondo natura
nellottica di un poema dedicato, sulla scia del De rerum natura di Lucrezio, ai quattro elementi che
sostanziano il creato, la seconda accezione del termine non stata sinora oggetto di particolare
attenzione(16). Eppure, la dicotomia semantica veicolata dal sottotitolo del poema di per s
eloquente delle intenzioni che hanno mosso la penna di Sebald nel momento in cui ha composto le


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sue tre elegie postmoderne, affidando ai loro protagonisti il compito di ricostruire lalternarsi delle
fasi di declino e ascesa dello spirito tedesco lungo lasse del tempo. Qual quindi il significato del
composto poema elementare e perch Sebald lo ha posto a sottotitolo di Secondo natura?
Innanzitutto, necessario contingentare il momento storico in cui Sebald colloca Come la neve sulle
Alpi, il primo dei tre poemetti che compongono il trittico, il cui protagonista il pittore Matthias
Grnewald (c. 1475-1528). Esso pervaso da una religiosit medievale scandita da riti cristiani,
magistralmente riprodotti dallartista nelle sue tavole, che rendono manifesto il profondo
ancoramento alla religione e alla trascendenza dellepoca in cui egli visse e oper, ossia durante il
nascere e laffermarsi della riforma luterana. Il periodo storico in cui si snoda il primo medaglione
biografico del poema quindi centrale per lo spirito tedesco, poich la biografia di Grnewald si
incrocia con almeno due eventi che hanno comportato profondi cambiamenti nella Germania del
Cinquecento: laffissione delle tesi da parte di Lutero al portone del Duomo di Wittenberg il 31
ottobre 1517 e il cosiddetto Bauerkrieg, la guerra ingaggiata dai contadini tedeschi del sud contro lo
status quo dei Principati che raggiunse il proprio acme fra il 1524 e il 1526. Se questultima, infine,
si concluse con la repressione e lordine precedente venne ristabilito, la riforma luterana, le cui
ricadute sulla forma mentis del vecchio Continente fu pari solo alla riforma anglicana, impresse un
andamento nuovo al corso della storia tedesca ed europea. Sul versante delle scoperte geografiche e
scientifiche non va, inoltre, dimenticato che solo venticinque anni prima della scomunica di Lutero,
Cristoforo Colombo aveva scoperto lAmerica, e che trentun anni pi tardi sarebbe nato Tycho
Brahe, lastronomo che, dopo avere studiato a Wittenberg, fece costruire sullisola di Hven della
natia Danimarca il palazzo-osservatorio di Uraniborg. Pur restando fedele al modello astronomico
geocentrico, bench il suo principale allievo che rispondeva al fatidico nome di Keplero cercasse di
persuaderlo in ogni modo ad adottare la pianta eliocentrica del sistema solare, Brahe confut la
teoria aristotelica sullimmutabilit delle sfere celesti universalmente accettata sino ad allora.
Gli anni in cui si consum la vita di Grnewald furono, perci, di centrale importanza per la storia
economica, politica, sociale e scientifica dellOccidente, perci nel poema gli eventi chiave
dellepoca sono ricordati in versi fulminei, che condensano in una semplice pennellata di parole
interi archi di tempo:

Della sesta tromba
gi sintende il suono, e la povera lettera
ha da esser pronunciata. Con tintinnare di sonagli
sannuncia festa solenne, Pentecoste,
la piena delle acque
sapprossima, spumeggianti
si uniscono i pianeti
nella casa dei Pesci, lastro
rosso entra in congiunzione
con Saturno, il segno dei contadini, e un fuoco fantastico
risplender quando sannuncia,
un miserabile arruffone verr riconosciuto
come il Messia Septentrionalis. (17)

Durante la vita del pittore avvenne quel cambiamento epistemologico e antropologico ossia il
passaggio dal Medioevo al Rinascimento tedesco, ricondotto nella citazione tratta da Secondo
natura anche ad influssi astrali che Max Horkheimer ha descritto in un modo particolarmente
significativo, se si considera la seguente citazione in relazione agli intenti che hanno mosso la penna
di Sebald durante la stesura di Come la neve sulle alpi:

Nel Rinascimento furono poste le fondamenta della moderna scienza della natura. Il senso
di questa scienza consiste nel rilevare, con il ricorso sistematico allesperimento, talune


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regolarit nel corso della natura, per esser in grado, in virt della loro conoscenza, di
provocare o evitare a proprio piacimento il prodursi di determinati effetti; in altre parole:
per dominare nella misura pi larga possibile la natura. Mentre nel medioevo il
comportamento intellettuale degli uomini era diretto essenzialmente a conoscere il senso e
lo scopo del mondo e della vita, per cui esso si era in larghissima parte esaurito
nellinterpretazione della Rivelazione, oltre che dellautorit della chiesa e dellantichit, gli
uomini del Rinascimento, in luogo di ricercare quel fine trascendente che si voleva
individuare a partire dalla tradizione, comunicarono a interrogarsi sulle cause terrene,
accertabili mediante losservazione sensibile(18).

Di questo epocale momento di passaggio sono testimoni le opere di Grnewald, di cui non a caso
Sebald propone estese kphrasis in apertura di Secondo natura. Esse denunciano lirrequietezza di
uno spirito nobile del tempo, capace di sostanziare la propria oggettiva osservazione sensibile del
creato con quello che, parlando della pittura di Jan Peter Tripp, Sebald ha definito il sostrato
metafisico della realt (19). Dinnanzi alle scoperte scientifiche e geografiche del tempo, che
misero in scacco le credenze religione di Grnewald, larte pot ancora fornire al pittore un ubi
consistam grazie al quale sublimare le proprie angosce e paure. Cos, lesordio di Secondo natura
pare annunciare unopera ageografica, il cui ecfrastico incipit si configura come lestremo tentativo
di Sebald, attuato grazie alle opera di Grnewald, di salvare dalliconoclastia protestante le
immagini del Cristianesimo e, con esse, la medesima religione della Salvatore. Sebald descrive
unintera teoria di Santi avvalendosi dellkphrasis della pala daltare di Lindenhardt dipinta da
Grnewald nel 1503 circa. Questa piccola tavola costituisce, inoltre, il pre-testo dellintero
poema(20), poich racconta quella storia naturale della sofferenza propria dellumanit che percorre
tutta lopera dello scrittore in un intreccio fra pessimismo cosmico e storico, dove al mattatoio
della distruzione, in cui si manifesta quellinsano bricoleur che la natura, fa da contrappunto lo
sventurato corso della storia con le mille declinazioni della volont di potenza(21).
Nelleconomia del poema, la descrizione della pala daltare di Lindenhardt prelude allkphrasis del
vero capolavoro di Grnewald: unimponete opera di pittura e architettura realizzata nel monastero
di SantAntonio a Isenheim e costituita da quattro grandi ante mobili, dipinte su entrambi le facce,
da due sportelli fissi e da una predella dipinti su di ununica faccia. Grnewald lavor circa quattro
anni a questa pala alta tre e larga sei metri, sulla cui prima faccia sono raffigurati, da sinistra a
destra, San Sebastiano, la Crocefissione e SantAntonio, mentre nella predella rappresentato il
Compianto sul Cristo morto. La seconda faccia, visibile aprendo i primi sportelli della pala,
presenta la Annunciazione, la Allegoria della Nativit e la Resurrezione. La terza faccia, che appare
dopo aver aperto ulteriori sportelli, presenta al centro le statue lignee di SantAntonio abate,
SantAgostino e San Girolamo, mentre nella predella si trovano le sculture del Cristo fra gli
apostoli, eseguite da Niklaus Hagenauer di Strasburgo e da Desiderius Beychel nei primi anni del
secolo, fiancheggiate da due pannelli ancora dipinti da Grnewald, raffiguranti i Santi eremiti
Antonio e Paolo e le Tentazioni di SantAntonio(22).
Al cospetto di questa storia del cristianesimo e dellumanit, Sebald rimane per colpito da un
particolare non certo trascurabile per chi, come il nostro autore, ha da sempre posto il concetto di
sventura (Unglck)(23) al centro delle proprie opere liriche, narrative e saggistiche:

Ma la vita in quanto tale, cos come raggiunge
ovunque e inesausta spaventoso compimento,
non compare mai sulle ante dellaltare,
le cui figure gi sono affrancate
dalla sventura dellesistenza, se non in quella
tregenda irreale e folle che Grnewald,
ha costruito intorno al SantAntonio della Tentazione,
per la chioma trascinato a terra da un orrido mostro. (24)



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Le dettagliate kphrasis delle opere di Grnewald, attorno alle quali Sebald struttura le otto liriche
di Secondo Natura dedicate al pittore bavarese non senza indugiare su particolari della vita del
maestro, adombrano cos linsorgenza di una concezione non religiosa, se non gi nichilistica, del
creato. Grazie ai suoi dipinti, secondo Sebald, infatti possibile maturare la convinzione che
Grnewald non concepisse la creazione come opera di Dio, ma con orrore come l

immagine della nostra insana presenza
sulla superficie terrestre,
di una rigenerazione che corre
lungo ripidi tracciati,
le cui forme parassitarie,
avvinghiate luna allaltra e
luna allaltra dipartite e gi concresciute,
come infero sciame irrompono,
nella quieta dellanacoreta.
Cos Grnewald descrisse,
usando tacito il pennello,
le urla, le grida, i gorgoglii
e i farfuglii duna recita patologica,
alla quale, come ben sapeva, lui stesso e la sua arte
appartenevano. (25)

A sua volta luomo, come emerge chiaramente dal poema sebaldiano, una forma parassitaria della
creazione e, perci, cerca di ricondurre la natura al proprio dominio, poich ignara di equilibri e
cieca essa

compie, luno dopo laltro,
esperimenti privi di costrutto
e, come insano bricoleur, ecco
distrugge quanto appena ha creato.
Sperimentare fino al limite postremo,
lunico suo scopo, germinare,
perpetuarsi e riprodursi,
anche in noi e attraverso di noi, e mediante
i congegni nati dalle nostre menti,
in ununica accozzaglia,
mentre, alle spalle, gli alberi verdi
gi perdono le foglie e,
nudi, come spesso di vedono nei quadri
di Grnewald, svettano incontro al cielo,
ricoperti i rami morti
duna stillante materia paludosa. (26)

I dipinti di Grnewald sono come tavoli autoptici sui quali luomo viene sezionato e scansionato in
profondit per pervenire alla verit dellesistente. Come chi cerca di scoprire cosa sia il tempo
smontando un orologio, Sebald attraverso le opere del pittore bavarese penetra nella carne
delluomo nel tentativo di comprendere, infine, il significato della creazione. Anche a questo
obiettivo mira il poema, che proprio perci si pu definire elementare: Secondo natura si snoda
attraverso i tre fondamentali ontologici delluomo (la nascita, la vita e la morte) cercando di
individuare gli elementi portanti di unantropologia etica che distingua luomo dagli animali.
Sempre agito dai suoi elementi, come suggerisce gi intuitivamente il titolo del poema, lessere


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umano ingaggia in ogni istante della sua vita una lotta antagonista con la natura attraverso la quale
emanciparsi dalla sua azione, pur nella consapevolezza che infine sar essa a predominare. Al
centro di questa lotta si trova il tempo, la divinit della modernit come lha definita Sebald(27),
alla cui azione anche i tre protagonisti di Secondo natura cercano di opporsi.
La sfida contro il tempo e la lotta contro la sperimentazione della natura trovano il proprio esito
nellidea di progresso germinata nel Medioevo dalledificio di una metafisica(28) definitivamente
sgretolatosi. La consapevolezza del di Grnewald di vivere in momento di svolta per la storia dello
spirito occidentale si lascia cogliere appieno dallosservazione delle sue opere, tutte immerse
nellestremo bagliore della luce / che strapiomba nellAldil(29). Un oscuramento
catastrofico(30) avvolge i dipinti di Grnewald, cosicch su di essi si allunga sempre lombra
lunga della distruzione: qui dipinta in uno stato di erosione grave / e di abbandono leredit del
logoramento / che alla fine divora anche le pietre(31). I paesaggi naturali che fanno da sfondo alla
storia del cristianesimo raffigurata dal pittore sono perci statici, immobili e colti nellistante in cui
loscurit non si dirada, anzi si fa pi fitta al pensiero di quanto poco riusciamo a trattenere, di
quante cose cadano incessantemente nelloblio con ogni vita cancellata, di come il mondo si svuoti
per cos dire da solo, dal momento che le storie, legate a innumerevoli luoghi e oggetti di per s
incapaci di ricordo, non vengano udite, annotate o raccontate ad altri da nessuno(32).
La poetica del ricordo e la storia naturale della distruzione che soggiacciono alle opere di Sebald
trovano perci il proprio precipitato visuale nelle tavole dellaltare di Isenheim, le cui descrizioni
sono pure funzionali, nelleconomia di Secondo natura, a narrare la storia del progresso. A tale
proposito, la pala di Isenheim si dimostra essere profetica degli esiti pi aberranti e distanti dalla
natura cui luomo pervenuto nel XX secolo attraverso il culto dissennato di una tecnologia ispirata
allideale di un progresso in continua evoluzione. Come ha magistralmente scritto Elias Canetti,
autore molto amato da Sebald, riferendosi alla pala di Isenheim nella sua autobiografia Il frutto de
fuoco:

Troppo spesso, forse, il compito pi insostituibile dellarte stato quello dimenticato: non
la catarsi, n la consolazione, n il talento di disporre ogni elemento in funzione di un lieto
fine. Perch il lieto fine non ci sar. Ma peste, e piaghe, e tormento, e orrore - e se la peste
ha smesso di infierire, al suo posto inventiamo orrori pi atroci [] Tutti gli orrori che
incombono sullumanit sono anticipati in questo dipinto. (33)

Alla luce di questa citazione, si pu concludere che la prima elegia di Secondo natura possa essere
considerata anche il pre-testo dellintero poema elementare di Sebald, i cui due successivi
medaglioni lirici intitolati E se trovassi dimora sul pi lontano dei mari e La notte oscura
prende il largo proseguono lepos in versi della storia naturale dellumanit, dello spirito
occidentale e del progresso.
Il secondo viaggiatore dello spirito di Secondo natura lesploratore e medico Georg Wilhelm
Steller (1709-1746); egli si pose al servizio di Vitus Behring, seguendolo nella spedizione del 1741
in Siberia, durante la quale questultimo incontr la morte. Con Behring ma come noto con lo
stesso Sebald , Steller condivide quella passione per la catalogazione e larchiviazione
dellesistente, figlia del culto illuministico della ragione, dietro la cui tassonomica ossessione si
spalanca lhorror vacui congenito a qualsiasi concezione meccanicistica e nichilistica delluomo
che esclude lesistenza del divino. Profondamente illuminista, perci votato alla causa
dellesplorazione razionale del mondo come espressione del progresso e del processo di
emancipazione delluomo dalla natura, Steller , infatti, ossessivamente alla ricerca di costruzioni
della scienza nella sua mente, / miranti a porre un limite / al disordine del mondo(34). Dopo avere
rinnegato la teologia / per abbracciare le scienze naturali(35) in giovane et, egli matura una
percezione del mondo retta da uno sguardo catalogatore che trova nella letteratura tedesca
ottocentesca un nobile esponente, esplicitamente ricordato da Sebald nel secondo medaglione di
Secondo natura. Si tratta di Adalbert von Chamisso che, nel 1815, venne nominato botanico della


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nave russa Rurik, a bordo della quale intraprese un viaggio scientifico intorno al mondo. Per
raccontare le tappe dellesplorazione dellartico intrapresa da Steller, Sebald si avvale dei diari di
viaggio di Chamisso e del resoconto ufficiale della spedizione, sempre a firma dellautore
romantico, Reise und die Welt (Viaggio attorno al mondo, 1836) (36). Grazie al metodo del
bricolage associativo e allusivo che regge la struttura del poemetto sebaldiano(37), la spedizione
di Steller e il viaggio di Chamisso, pur cronologicamente inconciliabili, non solo vengono associati,
ma persino assimilati e sovrapposti luna allaltro. Steller come unombra del passato che si
proietta su Chamisso, il quale parla [] della macchina a vapore, / come del primo animale a
sangue caldo / uscito dalle mani delluomo(38). La continuit umbratile fra Chamisso e Steller
induce a ricordare lopera pi celebre dello scrittore romantico: Storia straordinaria di Peter
Schlemihl (1814), il cui povero protagonista vende la propria ombra a un misterioso uomo in grigio
in cambio di una magica borsa, dalla quale si possono estrarre in continuazione monete. Dopo una
serie di traversie fantastiche, Peter Schlemihl getta la borsa magica e dona le proprie ricchezze al
fedele servitore Bendel, decidendo di abbandonare il mondo civile, in cui lassenza dellombra gli
crea difficolt insormontabili, per intraprendere un viaggio attraverso il mondo; dopo avere rifiutato
il baratto con luomo in grigio della propria anima con lombra, Schlemihl inizia lesplorazione del
mondo con lausilio di aiuti magici, nello specifico degli stivali dalla sette leghe. Se nellelegia che
Sebald dedica a Steller nulla riemerge del meraviglioso dello Schlemihl, ma anzi questo aspetto
rifiutato a priori dalla mentre razionale dellesploratore settecentesco, nella chiusa del quadro lirico,
non viene certamente dimenticata la conclusione della storia straordinaria del personaggio di
Chamisso. Egli, infatti, alla fine del racconto trover la serenit nello studio delle scienze naturali
lontano dalla societ. Parimenti, Steller compie nella chiusa del secondo quadro lirico del poema un
atto di regressione nella natura, sulla quale condurr negli anni che lo separano dalla morte uno
studio scientifico del tutto paragonabile a quello schlemihliano descritto nella conclusione della
Storia straordinaria di Chamisso ci tanto nei mezzi, attraverso i quali esso condotto, quanto
nel fine, la felicit, che esso si prefigge:

Steller colleziona materiale botanico,
riempie cartocci di semi gi secchi,
descrive, classifica, disegna,
seduto nella sua nera tenda da viaggio,
per la prima volta, in vita sua, felice. (39)

Una volta rifiutata la cosiddetta civilt, Steller diviene un naturalista, ma anche un antropologo ante
litteram che scrive memoriali in difesa / delle popolazioni indigene e comprende appieno la
differenza tra natura e societ(40). Cos, il cerchio della ricerca di se stesso, di cui le
peregrinazioni di Steller sono espressione, si chiude: lesploratore settecentesco, dopo avere
abbandonato la metafisica e intrapreso la strada del naturalista, approda a una nuova e pi profonda
consapevolezza antropologica e scientifica grazie allincontro con laltro da s reso possibile dal
viaggio stesso(41). Grazie allexemplum di Steller, Sebald ha evidentemente voluto rendere
omaggio a quegli antropologi e scienziati di epoche diverse che hanno influito in modo decisivo
sulla sua formazione e sul suo metodo letterario, come Chamisso, Alexander von Humboldt e
Claude Lvy-Strauss. Eppure, ma anche perci, la lettura di Secondo natura non pu essere
semplicemente incanalata nei rigidi binari della celebrazione della scienza e delle sue scoperte,
perch anche laddove il poema pare concedere tutto alla ragione e al freddo calcolo, intesi come
viatici per comprendere la struttura profonda della natura, il sentimento e la fede si manifestano
come possibili alternative gnoseologiche del creato. Cos, ad esempio, il monologo interiore che
accompagna luscita di Steller dalla societ civile per abbandonarsi romanticamente alla natura
potrebbe persino disorientare, se messo in quadratura con lapproccio razionale al mondo al quale
lesploratore stato sino a quel momento fedele:



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Se Ti compiaci di questo viaggio,
egli diceva fra s, sii Tu
sprone dei nostri passi,
conforto lungo il cammino, ombra
nella calura del meriggio,
luce nelle tenebre,
riparo dal gelo e dalla pioggia,
veicolo nellora della stanchezza,
aiuto nel bisogno,
cos che sotto la Tua guida
giungiamo indenni
al luogo che ci destinato;
abbi cura Tu, Signore,
affinch sopra di noi sia propizia
la congiunzione astrale. (42)

Ritrovata nel Signore la propria e ancora schlemihliana ombra, Steller pu finalmente
comprendere la natura nella sua complessit, divenendo il simbolo di una riuscita sintesi fra
ragione, fede e sentimento(43). Una magia inspiegabile circonfonde daltronde lintera storia di
Steller: dallesergo tratto da Klopstock che introduce al lettore il medaglione lirico ai diversi
rimandi alla pittura romantica di Kaspar David Friedrich presenti nei versi(44), la natura si
manifesta a Steller nel kantiano sublime dinamico e statico, mentre la volont dello scienziato di
comprenderla razionalmente si infrange, come la nave sulla quale egli viaggia verso la Siberia, sugli
scogli posti alla ragione dallistinto e dal sentimento. Come Grnewald, lo Steller che attraversa un
unico grigio / senza meta, senza n sopra n sotto, / la natura in un processo / di distruzione / in uno
stato di pura insania(45) assurge a testimone della tragica consapevolezza che attanaglia lo
Zeitgeist dellepoca cui vive: a prescindere dalla fiducia nella ragione, impossibile comprendere
solo per suo tramite la natura(46).
Il sentimento, rappresentato anche dallombra di cui Steller si riappropria nellestrema parte della
propria vita, necessario per approcciare con il cuore la natura e pervenire a una profonda
conoscenza dellumanit. Questa sebaldiana convinzione, veicolata da diversi passi di Secondo
natura(47), riemerge anche dalle opere in prosa dello scrittore, come gi dal titolo dalla raccolta di
quattro racconti Schwindel. Gefhle. (Vertigini. Sentimenti) apparsi nel 1995 nella collana Die
andere Bibliothek diretta da Hans Magnus Enzensberger. Ascrivendo al sentimento un ruolo
centrale nel processo di conoscenza della realt, essi offrono una rappresentazione del passato,
contemporaneamente fittizia e documentaria, che non esita a confrontarsi con i balenii dellirreale
nel mondo reale (48). Il sentimento assume, perci, una valenza duplice nellopera di Sebald: esso
traduce, a livello emozionale, la vertigine evocata dal ricordo e assume al contempo un valore
consolatorio, innalzandosi a strategia di salvezza psicologica di un soggetto che non in grado di
affrontare un lavoro di memoria dominato dalla melancolia. La scrittura di Sebald si concreta,
infatti, in biografie melancoliche che rendono lo spazio lirico e narrativo un luogo delegato allo
scavo archeologico nella Storia e nella memoria collettiva europee condotto nella consapevolezza
che il passato possa essere falsificato e manipolato. Come scrive Enzensberger nella ballata di
Mausoleum dedicata a Piranesi, larcheologia non , infatti che un nuovo concetto in Europa,
una nuova follia. Il passato vien salvato, depredato. Lantichit una utopia. Da riesumare e
riprodurre. [...] Dalle cave della storia sgorga un fiume di falsi(49).
Perci, la terza sezione di Secondo natura si configura come spazio di evocazione dei tab collettivi
della Germania del secondo Novecento, in cui lelemento autobiografico soltanto un punto di
partenza che viene relativizzato dalla sapiente arte di perdersi e di ritrovarsi nella coscienza
altrui (50). Questo procedimento retorico, posto da Sebald a fondamento della terza stazione del
suo poema elementare, rappresenta la prospettiva da cui lautore si avvicinato nel 1999 ai traumi


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rimossi della collettivit tedesca con Luftkrieg und Literatur (trad. it. Storia naturale della
distruzione, 2004), contestato saggio in cui il germanista ha affrontato la questione dellassenza
nella letteratura del dopoguerra di rappresentazioni estetiche convincenti della guerra di
bombardamento perpetrata dagli alleati sulla Germania durante la seconda guerra mondiale. In
questa circostanza, lelemento biografico ha consentito cio a Sebald di mantenere loggettivit del
reporter e, al contempo, di muovere dal proprio vissuto(51), enucleando gli eventi del passato che
hanno gettato unombra lunga sulla sua vita, come si legge in Storia naturale della distruzione:

Ho trascorso linfanzia e ladolescenza in una zona che si estende lungo il margine
settentrionale delle Alpi, zona largamente risparmiata dalle immediate conseguenze delle
cosiddette operazioni militari. Alla fine della guerra avevo appena un anno ed quindi
difficile che, di quellepoca segnata dalla distruzione, io possa avere serbato impressioni
fondate su eventi reali. Eppure ancora oggi, quando guardo fotografie o documentari del
periodo bellico, ho come la sensazione di esserne il figlio, come se di l, da quegli orrori
che non ho vissuto, cadesse su di me unombra alla quale non potr mai sfuggire del tutto.
(52)

Di ombre che riemergono dal passato, Sebald parla diffusamente nella terza parte di Secondo
natura, il cui esergo, tratto dalla prima Egloga delle Bucoliche di Virgilio, gi allude esplicitamente
al ritorno del rimosso che esse rappresentano: et iam summa procul villarum culmina fumant,
maioresque cadunt altis de montibus umbrae(53). Sebald parla nel terzo medaglione lirico
dellopera delle ombre del proprio passato attraverso la restituzione letteraria della propria memoria
individuale: La notte oscura prende il largo, cos il titolo della terza sezione del poema, si apre con
il tentativo dello scrittore di restituire attraverso lausilio di fotografie non riprodotte in Secondo
natura, che il solo testo dellautore privo di apparato iconografico la storia della sua famiglia a
partire dal 9 gennaio 1905, quando il nonno e la nonna / in una carrozza aperta / partirono, nel
freddo pungente, / da Kloster Lechfeld alla volta / di Obermeitingen, per convolare a nozze(54).
Sebald ricostruisce poi, avvalendosi sempre di una tecnica associativa, la propria infanzia e il
proprio peregrinare nella seconda met del Novecento attraverso i resti e le rovine dello spirito
occidentale, ricordando i propri viaggi in Europa e il suo trasferimento in Inghilterra, dove visse dai
primi anni Sessanta sino alla morte(55). Dinnanzi al definitivo tramonto dello spirito occidentale nel
secondo Novecento, causato dal colpo mortale del nazionalsocialismo agli ideali etici che lo
sostanziavano, lautore non pu che affidarsi ai capisaldi della tradizione nazionale per
intraprendere un progetto di ricostruzione dalle fondamenta della cultura tedesca per la salvezza
dellOccidente(56). Anche perci, nella terza lirica di Secondo natura espliciti sono i rimandi a
Paracelso, secondo il quale da septentrione nulla giunge di buono(57), sebbene il riferimento
allalchimista pi celebre della tradizione germanica riconduca, al contempo, il poema nellorbita
della magia e dellascendenza degli astri sul destino individuale e collettivo. Lattenzione in diversi
passi di Secondo natura ai quadri astrali e alle costellazioni, sotto i quali si sono svolti eventi
decisivi della storia europea, ribadita da Sebald sin dallincipit della seconda lirica che compone il
terzo quadro del poema:

Quando il giorno dellAscensione
dellanno quarantaquattro io venni al mondo,
davanti a casa nostra stava giusto passando,
al suono della banda dei pompieri,
la processione propiziatoria diretta ai campi fioriti
del maggio. La mamma, sulle prime,
lo ritenne un buon auspicio, ignara
che la costellazione di quellora
fosse sotto legida del freddo pianeta Saturno
e che sui monti


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gi sannunciasse il temporale, destinato
a disperdere gli oranti e a fulminare uno
dei quattro, intenti a portare il baldacchino. (58)

Riti ancestrali e tradizione ermetica sono qui chiaramente evocati, inducendo anche ad una lettura di
Secondo natura come un poema elementale. Oltre a ad essere elementare e relativo ai quattro
elementi, la cui azione costituisce il basso continuo della storia naturale della distruzione, si
potrebbe, infatti, leggere questopera come un poema riconducibile alla cultura ermetica, alchemica
e misteriosofica di Paracelso e dei suoi successori, che scorge nel creato la presenza delle
leggendarie creature elementali costituite da uno dei quattro elementi: aria (silfidi), acqua
(nereidi, ondine e ninfe), fuoco (salamandre) o terra (elfi, gnomi e driadi). In questa prospettiva
elementare ed elemantale trova una spiegazione anche il misterioso Ttaro lillipuziano che nella
terza parte di Secondo natura puntualmente si manifesta in occasione di una catastrofe:

In antropologia,
questa figura, spesso associata a certe forme
di automutilazione, coincide
con quella delladepto, che
scala il monte innevato e lass
resta a lungo, si dice, fra le lacrime. (59)

Questo personaggio riemerge dallinfanzia bavarese di Sebald e ricorda il manichino vestito da
turco guidato da quel nano gobbo che, nella prima Tesi sul concetto di storia di Walter
Benjamin, si configura come prefigurazione della rammemorazione, oltre a rappresentare la verit
delle cose che sfugge a un approccio completamente razionale alla natura:

noto che sarebbe esistito un automa costruito in modo tale da reagire ad ogni mossa di un
giocatore di scacchi con una contromossa che gli assicurava al vittoria. Un manichino
vestito da turco, con un narghil in bocca, sedeva davanti alla scacchiera, posta su un ampio
tavolo. Con un sistema di specchi veniva data lillusione che vi si potesse guardare
attraverso da ogni lato. In verit cera seduto dentro un nano gobbo , maestro nel gioco
degli scacchi, che guidava per mezzo di fili la mano del manichino. (60)

Emblema di una catastrofe silenziosa che si compire, / priva di echi, davanti allo spettatore, come
Sebald lo definisce rendendo implicitamente omaggio allopera fondamentale di Hans Blumenberg
Katastrophe mit Zuschauer (Catastrofe con spettatore), il Ttaro lillipuziano parla infatti di una
pietra della memoria, / della meta di un pellegrinaggio e di un cubetto / di ghiaccio, colorato con
uno iota di blu di Prussia(61). qui allusa una posizione sopraelevata da cui osservare la catastrofe
dello spirito occidentale dopo il nazismo avvalendosi anche di quella metafisica del ricordo
segnatamente sebaldiana(62), che ancora trova un suo presupposto fondamentale nella convergenza
fra ragione e sentimento, fede e materialismo proposta da Benjamin nelle Tesi sul concetti di storia,
allorquando il fine della rammemorazione, di cui il nano gobbo prefigurazione, viene
individuato come segue: la rammemorazione pu fare dellincompiuto (la felicit) un compiuto e
del compiuto (il dolore) un incompiuto. Questa teologia; ma nella rammemorazione noi facciamo
unesperienza che ci vieta di concepire la storia in modo fondamentalmente ateologico (63).
Grazie alla vertigine della rammemorazione possibile raggiungere la postazione sopraelevata dalla
quale Sebald ha guardato, come langelo della storia di Benjamin, la catastrofe verso la quale
inesorabilmente scorsa la storia del progresso, nella quale si sedimentata una

lunga serie dinfinitesime paure
dal passato prossimo e remoto,


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non traducibili nella lingua parlata
del presente [].(64)

Obiettivo della terza sezione del poema sebaldiano stata perci anche la ricerca di una lingua della
sventura (Unglck) sospesa fra parola umana, elementare ed elementale, oltre che basata sulla
dialettica della memoria. Tale lingua del fuoco(65) ha reso possibile una poetica del ricordo
capace di gettare uno sguardo sulla civilt contemporanea e sulla catastrofe dello spirito
occidentale, il cui estremo referente nel ventesimo secolo lOlocausto, e il cui paradigma
interpretativo continua ad essere determinato dal precetto di Adorno relativo alla poesia dopo
Auschwitz(66). Secondo natura, richiamandosi alla parola poetica della tradizione letteraria
tedesca in particolare, nella terza sezione del poema a Friedrich Hlderlin, Albrecht von Haller,
Adelbert von Chamisso e Franz Kafka rappresenta, quindi, il laboratorio di sperimentazione in
vitro di una lingua della sventura e della distruzione di cui Auschwitz lestremo indicibile. La
macchina della morte nazista, frutto aberrante del progresso, rivela emblematicamente che lo
sviluppo della tecnologia pu ingenerare il regresso morale e generare mostri indomabili dalluomo.
Cos, non stupisce constatare che, ricordando il momento in cui giunse a Zurigo, lo scrittore
restituisca in versi il proprio incontro con un ingegnere, il quale si confida a Sebald con queste
parole:

Quante macchine
avevo costruito, quanti impianti,
progettato, finch non persi
la fede nella scienza, al cui servizio
tutta la vita avevo speso.
Ero giunto in una morta
ansa del tempo, come quel Ttaro
rosso bendato e dalla ricurva penna bianca
avevo vinto la montagna,
e di lass guardavo la citt
che, immagine sbiadita
del gran diluvio, si stendeva l
davanti a me.(67)

Richiamandosi implicitamente alla speculazione di Lvy-Strauss sulla cultura e sulla
civilizzazione(68), il bricoleur Sebald ha cercato con il suo poema degli elementi di fissare i limiti
di una poetica della catastrofe naturale e, al contempo, dellapocalisse cagionata sulla terra
dallinsania di unumanit votatasi al culto del progresso tecnico-scientifico e ormai incapace di
vivere Secondo natura. Si tratta di una lingua imperscrutabile agli occhi della ragione, ma forse non
a quelli del genio, i quali grazie al sentimento possono spingersi oltre le macchie di nebbia che
nessun occhio dissolve.

Raul Calzoni


Note.
(1) Hans Magnus Enzensberger, Mausoleum. Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso, trad. it. di V. Alliata,
Torino, Einaudi 1979, p. 5.
(2) Sulla camaleontica figura di Enzensberger nella letteratura tedesca del dopoguerra sino alla caduta del Muro di
Berlino, cfr. M. Kane (a cura di), After the Dead of Literature. West German Writing of the 1970s, Oxford University
Press, Oxford 1989.
(3) Hans Magnus Enzensberger, Mausoleum. Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso, cit., p. 27 [Corsivo
originale].


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(4) R. Concetti, M(a)us(ol)ei delle scienze. Riflessioni sulla lirica di Hans Magnus Enzensberger e Durs Grunbein, in F.
Montesperelli (a cura di), Tra Frankenstein e Prometeo. Miti della scienza nellimmaginario del 900, Liguori, Roma
2006, p. 216
(5) Hans Magnus Enzensberger, Mausoleum. Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso, cit., p. 95.
(6) Sul concetto di industria della coscienza nei suoi addentellati con la riflessione della Scuola di Francoforte, cfr. S.
Mamprin, Tra letteratura e giornalismo. La produzione saggistica di Hans Magnus Enzensberger, Campanotto, Pasian
di Prato (UD) 2009, in particolare p. 15 e seg.
(7) W. G. Sebald, Secondo natura. Un poema degli elementi, trad. it. di A. Vigliani, Einaudi, Milano 2009, p. 93.
(8) Cos Sebald nellintervista Hitlers pyromanische Phantasien: W. G. Sebald, in V. Hage, Zeugen der Zerstrung.
Die Literaten und der Luftkrieg, Fischer, Frankfurt am Main 2003, p. 278.
(9) La concezione stereometrica del tempo nellopera sebaldiana stata oggetto di diverse letture, che sono perlopi
germinate dallinterpretazione del seguente passo dellultimo romanzo dellautore, Austerlitz: A mio giudizio, disse
Austerlitz, noi non comprendiamo le leggi che regolano il ritorno del passato, e tuttavia ho sempre pi limpressione
che il tempo non esista affatto, ma esistano soltanto spazi differenti, incastrati gli uni negli altri, in base a una superiore
stereometria, fra i quali i vivi e i morti possono entrare e uscire a seconda della loro disposizione danimo, e quanto pi
ci penso, tanto pi mi sembra che noi, noi che siamo ancora in vita, assumiamo agli occhi dei morti laspetto di esseri
irreali e visibili solo in particolari condizioni atmosferiche e di luce; W.G. Sebald, Austerlitz, Adelphi, Milano 2002, p.
199. Con Enzensberger, Sebald condivide una concezione del tempo di matrice benjaminiana, che non lineare, ma
appunto stereometrica e il cui simbolo pi esemplificativo la Brezel di cui Benjamin cos parla in un articolo del
1916 steso per la Literarische Welt e poi raccolto nelle Illuminationen: Il tempo si inarca nella natura come una
Brezel, W. Benjamin, in Gesammelte Werke,

a cura di Rolf Tiedemann e Hermann Schweppenhauser, Suhrkamp,
Frankfurt am Main 1980, vol. IV/1, p. 432. Sulla concezione del tempo nellopera di Sebald, cfr. E. Locher, The Time
is out of Joint. Gli spettri di W.G. Sebald, in Cultura Tedesca, n. 29 (2005) (W.G. Sebald. Storia della distruzione e
memoria letteraria, a cura di W. Busch), pp. 67-91.
(10) W.G. Sebald, Gli emigrati, trad. it. di A. Vigliani, Milano, Adelphi, 2010, p. 6.
(11) Questa sorprendente ascendenza stata rilevata per prima da E. Agazzi in La poetica di Jean Paul allepoca di Das
lteste Systemprogramm des deutschen Idealismus. Questioni aperte e risposte possibili sul rapporto tra morale ed
estetica, in Cultura tedesca, n. 27 (2004), pp. 63-79.
(12) Jean Paul, Vorschule der sthetik, in Id., Gesammelte Werke, a cura di N. Miller, Hanser, Mnchen 1996, Parte I,
vol. 5, 14, p. 64.
(13) Si tratta di uninclinazione della cultura occidentale che nei suoi intrecci con la magia e la scienza trova
espressione lungo la tradizione letteraria ed artistica tedesca sino ai giorni nostri, come emerge in modo perspicuo e
con particolare riferimento allopera di Thomas Mann dallaffascinante e denso studio di L. Crescenzi, Melanconia
occidentale. La Montagna magica di Thomas Mann, Carocci, Roma 2011.
(14) Cfr. Sulla genesi e sugli esiti del mito e della distruzione nellopera W.G. Sebald, cfr. R. Calzoni, Poetica della
distruzione e culto delle rovine in Austerlitz di W.G. Sebald, in D. Borrelli P. Di Cori (a cura di), Rovine future.
Contributi per ripensare il presente, Lampi di stampa, Milano 2010, pp. 113-128.
(15) Lermeneutica dellopera sebaldiana attraverso il pensiero di Adorno ed Horkheimer stata dominante nella
ricezione critica di Secondo natura. Pur non tacendo in questa sede limportanza del pensiero dei francofortesi sulla
poetica della memoria e della natura sebaldiane, si operata la scelta di concentrarsi sugli aspetti antropologici di
Secondo natura, mentre per una riuscita lettura in chiave adorniana del poema si rinvia a P. Wampfler, blind /ein
wstes Experiment. Bricolage und Experiment in W.G. Sebald Nach der Natur, in M. Bies M. Gamper (a cura di),
Es ist ein Laboratorium, ein Laboratorium fr Worte: Literatur und Experiment III 1890-2010, Wallstein, Gttingen
2010, pp. 202-233 (in particolare, cfr. pp. 202-216).
(16) Cfr. G. Bond, On the Misery of Nature and the Nature of Misery: W.G. Sebalds Landscapes, in Jonathan J. Long -
Anne Whitehead (a cura di), W. G. Sebald. A Critical Companion, Edinburgh University Press: Edinburgh 2004, pp. 31-
44. Per una lettura del poema segnatamente orientata dalle teorie delletica eco-centrica, cfr. C. Riordan, Econcentrism
in Sebalds After Nature, ibidem, pp. 45-57.
(17) W.G. Sebald, Secondo natura, cit., p. 35. Sullinflusso melancolico di saturno sul temperamento individuale e
collettivo, non si pu dimenticare qui il fondamentale R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melanconia.
Studi su storia della filosofia naturale, medicina, religione e arte, trad. it. di R. Federici, Einaudi, Torino 1983, per la
cui non trascurabile genesi dai fondamentali scritti di Carl Giehlow, cfr. L. Crescenzi, Melancolia occidentale. La
montagna magica di Thomas Mann, cit., pp. 27-37.
(18) M. Horkheimer, Gli inizi della filosofia borghese della storia. Da Machiavelli a Hegel, trad. it. di G. Backhaus,
Einaudi, Torino 1978, p. 2.
(19) W.G. Sebald, Wie Tag und Nacht ber die Bilder Jan Peter Tripps, in Id., Logis in einem Landhaus, Fischer,
Frankfurt am Main 2003
4
, p. 181.
(20) Per una cartografia dei pre-testi sebaldiani, cfr. S. Schedel, Wer wei, wie es vor Zeiten wirklich gewesen ist?
Textbeziehungen als Mittel der Geschichtsdarstellung bei W.G. Sebald, Knigshausen & Neumann, Wrzburg 2004, p.
36 e seg.
(21) A. Vigliani, Storia naturale della sofferenza. Tracce di pessimismo cosmico nellopera di W.G. Sebald, in Nuova
corrente, n. 146 (2010), pp. 291-292.


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(22) Sulla centralit del Polittico di Isenheim nella tradizione letteraria tedesca fra Espressionismo e secondo
Novecento, cfr. M. Cervi, Il Polittico di Isenheim nella poetica di Erik Neutsch, in R. Calzoni (a cura di), Forme del
sacro. Numero monografico della rivista Elephant & Castle. Laboratorio dell'immaginario, n. 2 (2010):
http://cav.unibg.it/elephant_castle/web/saggi/il-em-polittico-di-isenheim-em-nella-poetica-di-erik-neutsch/35
(23) Il termine si esplicita in Die Beschreibung des Unglcks, il titolo di una raccolta di saggi dedicata da Sebald nel
1985 alla letteratura austriaca che si richiama al romanzo del 1972 Wunschloses Unglck di Peter Handke (Infelicit
senza desideri, trad. it. di B. Bianchi, nota di G. Cusatelli, Milano, Garzanti 1976). Volutamente si rende qui il tedesco
Unglck con sventura (in luogo di infelicit, sciagura, disgrazia), poich in questo termine italiano si ravvisa
una stratificazione semantica che bene si accorda alla poetica elementare di Sebald. Sventura raccoglie in s
linfelicit quasi ontologica dei personaggi del trittico lirico e, al contempo, veicola il fatalismo che caratterizza la
percezione della storia dello scrittore e dal quale dipendono pure le sciagure e le disgrazie di cui cadono vittima i
protagonisti delle sue prose.
(24) W.G. Sebald, Secondo natura. Un poema degli elementi, cit., p. 28.
(25) Ibidem, p. 29.
(26) Ibidem, pp. 29-30.
(27) Come nella mitologia classica, il tempo si configura ancora in Austerlitz come una divinit: nella modernit esso
la divinit attorno alla quale Sebald costruisce il proprio mito della distruzione in immagini e parole. Sin dallinizio del
romanzo lattenzione dellio narrante si rivolge a questa divinit, sulla quale Austerlitz e il suo interlocutore si
confrontano durante il loro primo incontro nella stazione di Anversa. Da esperto di storia dellarchitettura, Austerlitz
conosce nel dettaglio le fasi di realizzazione della stazione, nei punti elevati della quale - egli osserva - vengono
introdotte in ordine gerarchico le divinit del XIX secolo: la miniera, lindustria, il traffico, il commercio e il capitale
(W.G. Sebald, Austerlitz, cit., p. 109). La lunga descrizione dellampio atrio della stazione si conclude con un
riferimento allorologio della stazione, attraverso il quale Austerlitz propone un significativo parallelo: E fra queste
figure simboliche, disse Austerlitz, quella che sta al vertice il tempo, rappresentato dalle lancette e dal quadrante. Una
ventina di metri al di sopra della scalinata a forma di croce che unisce latrio ai binari (unico elemento barocco
nellintero complesso), l dove nel Pantheon si poteva vedere limmagine del sovrano a diretto prolungamento del
portale, proprio l si trova lorologio; in quanto governatore della nuova onnipotenza, esso situato ben al di sopra dello
stemma reale e del motto Eendracht maakt macht (ibidem, p. 112).
(28) Ibidem, p. 33.
(29) Ibidem, p. 32.
(30) Ibidem, p. 30.
(31) Ivi.
(32) W. G. Sebald, Austerlitz, cit., p. 31.
(33) E. Canetti, Il frutto del fuoco: La scuola dellascolto. Vienna 1926-1928, a cura di G. Cusatelli, Bompiani, Milano
1993, pp. 1031-1032.
(34) W.G. Sebald, Secondo natura, cit., p. 60.
(35) Ibidem, p. 42.
(36) Sui diversi significati del viaggio nellopera di Sebald e sul rapporto dellautore con la tradizione della letteratura
odeporica tedesca, cfr. M. Zisselsberger (a cura di), Undiscover'd country: W.G. Sebald and the poetics of travel,
Camden House, New York 2010.
(37) Sulla tecnica poetica associativa e la bricoleur di Sebald, cfr. B. Hutchinson, W. G. Sebald, Die dialektische
Imagination, Walter de Gruyter, Berlin 2009, p. 54 e seg. e S. Seitz, Geschichte als bricolage W. G. Sebald und die
Poetik des Bastelns, Vandenhoeck & Ruprecht Unipress, Gttingen 2011.
(38) W.G. Sebald, Secondo natura, cit., p. 58.
(39) Ibidem, p. 70.
(40) Ibidem, p. 70-71.
(41) Cfr., a tale proposito, R. Bonadei, I sensi del viaggio, Franco Angeli, Milano 2007, in particolare p. 21 e seg.
(42) W.G. Sebald, Secondo natura, cit., pp. 68-69.
(43) Steller diventa, cos, antesignano di un metodo scientifico improntato allideale della Humanitt che pi tardi
Goethe, pur nellassenza di una prospettiva teologica, avrebbe saputo elaborare compiutamente per condurre uno studio
della natura rispettoso della molteplicit dei sue manifestazioni fenomeniche. Mi permetto di rimandare, a tale
proposito, a R. Calzoni, Lesperimento di Goethe fra scienza e Humanitt, in Testi e linguaggi, n. 5 (2011), pp. 81-
96.
(44) Lesergo tratto da I mondi (1746) di Frierch Gottlieb Klopstock recita: In alto, sempre pi in alto, onda, tu ti
innalzi! / Ah, lultima sei, lultima! La nave sinabissa. / E mentre continua cupa nel canto suo di morte, / Sullimmane
fossa, sempre aperta, va ululando la tempesta .
(45) Ibidem, p. 61
(46) Cfr., a tale proposito, T. van Hoorn, Auch eine Dialektik der Aufklrung. Wie W.G. Sebald Georg Wilhelm Steller
zwischen Kabbala und magischer Medizin verortet (Nach der Natur), in Zeitschrift fr Germanistik. Neue Folge, n.
19 (2009), pp. 108-120.
(47) La contrizione del cuore e la melanconia come forma di resistenza al tempo e alla distruzione emergono
esplicitamente come Leitmotiv delle interpretazioni sebaldiane dellopera di Peter Weiss, cfr. Die Zerknirschung des


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Herzens. ber Erinnerung und Grausamkeit im Werk von Peter Weiss, in Orbis Litterarum: International Review of
Literary Studies, n. 41 (1986), pp. 265-278; reprint in W.G. Sebald, Campo Santo, a cura di S. Meyer, Hanser, Wien-
Mnchen 2003, pp. 128-148.
(48) Cfr. W.G. Sebald, Asuterlitz, Adelphi, Milano 2002, p. 104: E proprio in questi fenomeni irreali [] in questo
balenio dellirreale nel mondo reale, in questi particolari effetti luminosi nel paesaggio che si stende davanti a noi o
nello sguardo di una persona amata, proprio qui si accendono i nostri sentimenti o, in ogni caso, quelli che noi riteniamo
tali.
(49) H. M. Enzensberger, Mausoleum. Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso, cit., p. 33.
(50) E. Agazzi, Il collezionista di ricordi. La lotta contro loblio nella scrittura di W. G. Sebald, in Id., La memoria
ritrovata. Tre generazioni di scrittori e la coscienza inquieta di fine Novecento, Bruno Mondadori, 2004, p. 58. Si veda,
con particolare riferimento alle descrizioni delle opere darte offerte in Secondo Natura intese come espediente retorico
autobiografico, C. Albes, Portrt ohne Modell. Bildbeschreibung und autobiographische Reflexion in W.G. Sebalds
Elementargedicht Nach der Natur, in C. hlschlger M. Niehaus (a cura di), W.G. Sebald. Politische Archologie
und melancholische Bastelei, Erich Schmidt, Berlin 2006, pp. 47-75.
(51) Sebald assume cos nella narrazione i tratti riconosciuti da Bachtin allautore dialogico che, allinterno di un
testo polifonico, non rinuncia alla propria superiorit articolato ria: Il nostro punto di vista non afferma affatto una
passivit dellautore, il quale non farebbe altro che operare un montaggio degli altrui punti di vista, delle altrui verit,
rinunciando del tutto al proprio punto di vista, alla propria verit. Non si tratta affatto di questo, ma di uninterazione
completamente nuova, particolarmente tra la propria e laltrui verit. Lautore profondamente attivo, ma la sua attivit
ha un carattere particolare, dialogico. [...] Si tratta di unattivit che interroga, provoca, risponde, acconsente, obietta
ecc., cio di unattivit dialogica, non meno attiva dellattivit che conferisce compimento, deifica, d spiegazioni
causali e uccide, cio soffoca la voce altrui con argomenti sprovvisti di senso. [] per cos dire lattivit di Dio nei
riguardi delluomo che permette alluomo di svelarsi da solo fino in fondo (nello sviluppo immanente), di giudicarsi da
solo, di confutarsi da solo, M. Bachtin, Lautore e leroe. Teoria letteraria e scienze umane [1979], trad. it. di G.
Garritano, Einaudi, Torino 1988, p. 322. Per una articolata definizione di superiorit articolatoria dellautore, non
solamente in riferimento alla teoria letteraria di Bachtin, cfr. G. Bottiroli, Teoria dello stile, La Nuova Italia Scientifica,
Firenze 1997, pp. 236-242.
(52) W.G. Sebald, Storia naturale della distruzione, trad. it. di A. Vigliani, Adelphi, Milano 2004, pp. 74-75.
(53) W.G. Sebald, Secondo natura, cit., p. 75 (e gi fumano i tetti dei casolari che spuntano in lontananza / e pi grandi
calano dallalto dei monti le ombre).
(54) Ibidem, pp. 77-78.
(55) Per unarticolata biografia dellautore, cfr. J. Catling R. Habbitt (a cura di), Saturns Moons: W.G. Sebald A
Handbook, Legenda, Oxford 2011.
(56) W.G. Sebald, Secondo natura, cit., p. 102.
(57) Ibidem, p. 90.
(58) Ibidem, p. 81. Lattenzione posta da Sebald alla propria carta astrologica ricorda segnatamente lesordio di Aus
meinem Leben. Dichtung und Wahrheit, lautobiografia di Goethe del 1811, in cui si legge: A mezzogiorno del 28
agosto 1749, con il dodicesimo tocco della campana, venni al mondo a Francoforte sul Meno. La costellazione era
favorevole; il Sole si trovava nel segno della Vergine e aveva raggiunto lo zenit nella giornata; Giove e Venere lo
guardavano amichevolmente, Mercurio senza ostilit, Saturno e Marte tenevano un contegno indifferente. Solo la Luna,
che in quel momento era piena, esercitava una forza contraria tanto maggiore, in quanto allo stesso tempo era entrata la
sua ora planetaria. Essa si oppose quindi alla mia nascita, che non pot avvenire se non dopo passata tale ora. A questi
aspetti favorevoli, di cui in seguito gli astrologi seppero valutare lalta portata, devo probabilmente la mia salvezza.,
J. W. von Goethe, Dalla mia vita. Poesie e verit, trad. it. e cura di A. Cori, 2 voll., UTET, Torino 1957, Vol. I, p. 63.
Si tratta di un riferimento nascosto che conferma lattenzione di Sebald per lopera di Goethe e per la cultura ermetica,
che lo stesso autore di Dalla mia vita. Poesia e verit frequent in giovent, cfr. M. Freschi, Goethe. Linsidia della
modernit, Donzelli, Roma 1999, p. 9 e seg.
(59) W.G. Sebald, Secondo natura, cit., p. 82.
(60) W. Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Rachetti, Einaudi, Torino 1997, p. 21.
(61) W.G. Sebald, Secondo natura, cit., p. 82.
(62) Esemplificativo di questultima , nellultimo romanzo di Sebald, il modo in cui Austerlitz costruiva i suoi
pensieri nellatto stesso di conversare, come riuscisse a sviluppare le frasi pi armoniose da una sorta di svagatezza e
come la trasmissione delle sue conoscenze attraverso il racconto rappresentasse per lui lavvicinamento graduale a una
sorta di metafisica della storia, in cui il ricordo tornava ancora una volta a vivere, W. G. Sebald, Austerlitz, cit., p. 19.
(63) W. Benjamin, Sul concetto di storia, p. 121
(64) W. G. Sebald, Secondo natura, p. 83.
(65) Sullelaborazione sebaldiana di questa lingua della sventura, che trova i suoi presupposti nel culto
hofmannsthaliano della tradizione esicastica dellortodossia, basata sulle tecniche esoteriche incentrate sul cuore e
sulla conoscenza del cuore (M. Freschi, La Vienna di fine secolo, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 48), cfr. R. Calzoni,
La lingua del fuoco di W.G. Sebald, in Nuova Corrente, cit., pp. 225-257.
(66) R. J. A. Kilbourn, Catastrophe with Spectator: Subjectivity, Intertextuality and the Representing of History in
Die Ringe des Saturn, in A. Fuchs J. J. Long (a cura di), W.G. Sebald and the Writing of History, cit., p. 141.


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(67) Ibidem, p. 93.
(68) Innegabile, nellultimo passo citato, linflusso sul poema sebaldiano del Pensiero selvaggio di Claude Lvy-
Strauss che, per enucleare le caratteristiche del bricoleur, mette come il nostro autore questultimo in relazione
allingegnere: il bricoleur capace di eseguire un gran numero di compiti differenziati, ma, a differenza
dellingegnere, egli non li subordina al possesso di materie prime e di arnesi, concepiti e procurati espressamente per la
realizzazione del suo progetto: il suo universo strumentale chiuso, e, per lui, la regola del gioco consiste nelladattarsi
sempre allequipaggiamento di cui dispone, cio a un insieme via via finito di arnesi e materiali, peraltro eterocliti,
dato che la composizione di questo insieme non in rapporto col progetto del momento, n daltronde con nessun
progetto particolare, ma il risultato contingente di tutte le occasioni che si sono presentate di rinnovare o arricchire lo
stock o di conservarlo con i residui di costruzioni e di distruzioni antecedenti, C. Lvy-Strauss, Il pensiero selvaggio,
trad. it. di P. Caruso, il Saggiatore, Milano 2010, p. 30. Si ricorda, inoltre, qui che lo stesso Sebald in unintervista ha
dichiarato di lavorare secondo il sistema del bricolage nel senso di Lvy-Strauss (S. Lffler, Dienst unter dem
Schlot. Ein Schriftsteller wird entdeckt. Mit Interview: Wildes Denken, in Profil, n. 19 (1993), p. 106.




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INCURSIONI



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Nota su Spostamento, una piccola Georgica per la memoria

In Spostamento Frene manifesta in modo particolarmente profondo il collassare dellanimo con la
tragica scomparsa di un parente carissimo, quasi nel percorso di una paventata a pur necessaria
maniera di sincrono annichilimento. Gentile e improbabile 'psicopompo' il suo animo accompagna
quella discesa che pur non pu non avere in filigrana una scommessa di rivalsa o addirittura una
furia nel confronto con la testa di Medusa che rimane allangolo, non eliminabile relitto, ma pur
confinato in una marginalit. Queste parole di Andrea Zanzotto, che risalgono a circa dieci anni fa,
descrivono alla perfezione la tensione che aveva mosso la mia mano, alla fine degli anni Novanta,
nel momento in cui iniziai la scrittura di questo testo, che reca per sottotitolo Poemetto per la
memoria, pubblicato nel 2000. Nella mia memoria culturale, in quel momento stavano agendo i
ricordi di testi poematici essenziali nella mia formazione, come Dei Sepolcri e The Waste Land, ma
devo dire che quello che pi mi ha mossa stato il ricordo della IV Georgica, con la carica possente
della bugonia, laddove si realizza al massimo grado la capacit virgiliana di trasformare l'elemento
didattico-didascalico in elemento ontologico. La bugonia ritorna come citazione in maniera esplicita
alla fine di Spostamento, precisamente nel testo X. Finali, dove appunto parlo di un'ape lucigufa
che finge per ognuno il regno futuro; ebbene, quell'ape anche la stessa, per, che l'apicultore
deve spostare dall'arnia quando questa invasa da parassiti (lucifuga infatti designa la malattia
dell'ape, diventata fotofobica), che a qual punto va trattata in maniera specifica. Dunque, alla fine
che risulta chiaro come io esprima una speranza-disperata o un disperazione-sperante, per ci che
concerne la materia trattata - morte e resurrezione. Non a caso ho iniziato dal fondo del libro, per
parlare del suo contenuto, perch questo libro stato progettato come struttura vuota in maniera
precisa, e le sua varie parti, numerate con numeri romani, non sono state scritte in ordine; avevo
solo presente una struttura speculare con un picco centrale, corrispondente in questo caso al testo V.
Dell'irradiazione, vero fulcro tematico del poemetto con la sua focalizzazione sulla luce, attorno al
quale andavano via via a formarsi, o incasellarsi in maniera tematica e formale, gli altri testi: il IV
che richiama il IX (sono le due sequenze del libro, entrambe polifoniche, accomunate da una
particolare vicinanza, o empatia, col soggetto descritto), il III che richiama l'VIII (comune il
richiamo al superamento, all'altezza, al concetto dell'andare oltre), il II che richiama il VII (che
parlano entrambi dell'impatto simbolico del tempo, cronologico e meteorologico), l'I che richiama il
VI (due riflessioni, particolari e generali, sull'esistenza); il testo V, invece, insieme centro del
poemetto e speculare al testo X (ritornano, tra l'altro, parole chiave come luce e cranio opaco);
infine, la Definizione in apertura speculare alla Clausola. Attorno alla classicit del poemetto
virgiliano, ho imperniato tutta una serie di altre citazioni classiche, usate per ancora in maniera pi
spinta, nel senso che il retroscena ironico ancora pi esplicito: penso per esempio al tacitiano
orme del vincitore, ma anche al Seneca dell'epigrafe finale, o all'Orazio del monumento pi
immortale della carta in Clausola, e via dicendo. In questo senso, Spostamento nato come
poemetto didascalico, ma anche ipertestuale, citazionista; insomma, nato come un vero e proprio
palinsesto. Scrivo tutto questo per significare che nella mia poetica la forma poematica corrisponde,
in definitiva, alla massima tensione compositiva, perch la esprime all'ennesima potenza, direi in
una sorta di moltiplicazione speculare; e in questo senso da sempre presente, a pi riprese, nella
mia scrittura, se non altro come frutto del tentativo di fissare almeno qualcosa di quella terribile
fluidit che il reale. E proprio ora che purtroppo la testa di Medusa mi ha sottratto la persona a cui
dissi quelle parole, su questo fatto privato non rimane ormai se non la discesa del giusto silenzio, un
pudore che apertura al mondo.

Giovanna Frene




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I n dialogo con Marco Giovenale

Alessandro Broggi: Come hai strutturato le tue raccolte recenti, per esempio La casa esposta o
Criterio dei vetri o Shelter ?

Marco Giovenale: Rispetto a La casa esposta e Shelter, di fatto Criterio dei vetri si presenta come
una raccolta strutturata secondo una non imprevedibile struttura a sezioni definibili in linea di
massima progressive: da ambienti interni a esterni e di nuovo a interni (ma la descrizione
incompleta). Questo tipo di struttura si ripeter in altre opere in uscita prossimamente. La stessa
disposizione dei materiali in sezioni ha in generale, a prescindere dalla funzione che si attribuisce a
ciascuna sezione in particolare, qualcosa che offre da una parte organizzazione e dallaltra
fissazione in forma nota. Le sezioni sono insomma vulnerabili a una precisa critica: quella di
funzionare da facili scatole ordinatrici, eventualmente anche estrinseche rispetto al complesso (e
alla complessit) dei materiali che ordinano. Possono essere sprovviste di quella plasticit in grado
di replicare o mutare o contrastare su un piano architettonico alcune peculiarit testuali.

Detto in breve: in generale ci possono essere partizioni interne ai libri che specchiano le scelte
formali di questi; e ci sono invece partizioni che funzionano come lineari pareti divisorie. Criterio
dei vetri si avvale di questultima modalit. Diverso il caso de La casa esposta e di Shelter. Non so
quanto (entrambi i libri) possano cadere nella definizione di poema; certo sono opere (o fotografie
di esplosioni di opere).

La casa esposta costituita da una sequenza di sezioni di poesie e (poche) prose, seguita da una
sequenza di fotografie priva di titolo, e si conclude con delle note esplicative, per poi riaprirsi (come
un arco che si stacca da una struttura apparentemente finita) con una sezione ulteriore ed estrema di
prose di diverso font scalene e fortemente spiazzanti rispetto allorganizzazione sintatticamente
meno franta e disorientante del resto del libro. La forma del poema o meglio la forma dellopera
in questo caso ad arcate successive, tutte diverse e in sostanza pensate per disegnare una figura
incompiuta, addirittura fallata, aperta su un fianco (di conclusione che non conclude) o pi fianchi
(se pensiamo pure alla sezione muta di fotografie).

Shelter presenta una macrostruttura ancora diversa: si tratta di una serie di sezioni tutte
invariabilmente intitolate clinica 1. Ci sono s tre blocchi principali, segnati con numeri romani.
Ma la scansione vera (non una banale sottoscansione) data dalle ricorrenze, entro i blocchi, di
clinica 1.

Questo ritorno-fuga ingabbiante nella clinica (sempre 1, sempre prima, senza progressione
dunque) ha dellisteria, della disperazione e dissipazione. Sisifo occupa uno spazio orizzontale. Non
ha rupi che ne elevino lo sguardo pi di tanto. Il tema dello shelter, ossia riparo ma anche
prigione cos esibisce in unaltra accezione la sua tastiera: non solo le poesie parlano di questo, di
chiusura entro cliniche, luoghi ostili o salvifici e comunque imprigionanti, ma anche le fughe di
stanze che a loro volta imprigionano le pagine e il flusso completo del libro traducono un ritorno
nellidentico. (E non un vero eterno ritorno dellidentico, perch in verit ancor pi disperante
che variazione si dia, esista, entro i confini del cerchio, delliterazione, del tornare ossessivo).

AB: Le strutture che descrivi sono nate come griglie preesistenti rispetto ai testi, o si sono fatte a
loro volta modificare dai materiali? E quelle intervenute erano modalit organizzative a cui
pensavi da tempo oppure sono stati proprio i testi a richiederle?

MG: La casa esposta era un libro in fondo gi pronto da qualche anno, o formatosi come classica
raccolta a sezioni, come Criterio dei vetri. Allaltezza del 2005 circa era diverso da come poi


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divenuto. Al tempo era principalmente testuale. Sono state da un lato la nascita delle fotografie che
ne costituiscono la parte centrale, e dallaltro la nascita e crescita delle prose (contrastanti,
diversissime da quel che il libro gi era), a rivoluzionare tutto. Foto e prose hanno scardinato la
struttura costituendone unaltra. Riformulando il libro. Alcune foto del resto erano gi entrate come
parte di una piccola sequenza pubblicata come plaquette a fogli sciolti (o cartoline) indipendenti per
la Camera verde nel 2006: Superficie della battaglia. Quindi un concorso di cose, lemersione di
differenti materiali, visivi e testuali, ha oggettivamente riorientato il libro; che, per inciso, non
sarebbe nato se non avesse avuto lopportunit di venir ospitato dalla collana fuoriformato diretta da
Andrea Cortellessa per Le Lettere. Proprio linteresse di Cortellessa per le fotografie ha anzi, e
gliene sono tuttora grato, innescato il progetto che diventato poi il libro La casa esposta.

I testi fondanti di Shelter sono nati nel 2003, e a quellaltezza lidea della clinica 1 non si era
presentata allorizzonte. Ma gi tra 2004 e 2005, con laumentare del numero dei testi, quella
soluzione mi sembr il criterio di ordinamento e proprio di strutturazione forte del libro. Anche in
questo caso i testi hanno agito da codificatori e co-edificatori della struttura entro cui si sarebbero
trovati raccolti. Ma appunto il criterio stato interno. I testi del libro hanno portato a pensare le
sezioni dello stesso. Mentre per la Casa erano state foto e prose in qualche modo esterne a
modificare la macrostruttura.

Se passo a uno sguardo complessivo, pi ampio, devo dire che poi delle costanti o isotopie
tematiche (che sono in quanto isotopie strutturali e strutturanti) attraversano molti dei testi scritti
a partire dal 2000-2001 e molte delle raccolte che li tengono assieme (uscite fra il 2003 de Il segno
meno, il 2007 di Criterio dei vetri e La casa esposta, e il 2010 di Storia dei minuti e Shelter): la
malattia mentale e fisica, lo spostamento forzato da abitazione ad abitazione (ma come scasamento,
rivoluzione, non banale trasloco), linappartenenza a certi luoghi, la clinica, la chiusura o
reclusione, il senso di separazione ma anche la necessit di separazione dai simili e pure dal simile
in generale come categoria. Queste le isotopie tematiche, le ricorrenze a loro volta ossessive.

AB: Pensi che ci sia dialogo e comunicazione tra i vari modi tuoi di strutturazione dei libri? I tuoi
vari libri, in qualche modo, comunicano fra loro, e a che livello? Tematicamente la cosa
chiara, ma formalmente?

MG: Una forma di comunicazione tra modi o tempi o libri, comunicazione assolutamente non
progettata ma che vedo perfino con una certa sorpresa attuarsi a ogni nuovo volume,
linclusione ogni volta di uno o perfino pi testi appartenenti ad altro libro precedente. Lesempio
pi cospicuo potrebbe essere Il segno meno, che pressoch integralmente riportato nella Casa
esposta e ne diventa sezione quasi davvio. Ma da quel punto in avanti gli esempi si moltiplicano.
In ognuno dei libri che seguono ci sono prestiti, ritorni, echi, variazioni rivariate, eccetera.

Su un piano forse pi ampio, e da rilievi meno meccanici, una serie di dati costanti nelle cose che
vado scrivendo soprattutto dalla fine degli anni Novanta a oggi certo rilevabile. Riguarda la
sintassi costantemente spezzata-ricostruita, lombra o latenza e il non detto, il procedere cos per
lacune, la modalit di scrittura che ho pensato di definire (altrove) delle allegorie cave,
liperframmentazione narrativa, la tendenziale riduzione della presenza grammaticale dellio, e altri
dispositivi su cui il troppo autoannotarmi fin qui dimostrato mi impedisce di insistere. (Solo una
postilla, per: le opere che ho fin qui citato non sono opere di cut-up: nessuna. Lo ripeto perch mi
sono trovato di fronte a fraintendimenti spesso di recente. Nessuno dei libri citati fin qui, esclusa
la sezione intitolata tranne un oggetto, ne La casa esposta, sono esito di cut-up, sought poetry,
eavesdropping, e di tutti i meccanismi che invece un libro come Quasi tutti, pubblicato da Polimata
nel 2010, raccoglie).



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AB: Le singole raccolte tue si inseriscono in un progetto pi ampio? E come comunicano, sia le
raccolte singole, sia il progetto (se c), con i modi di costruzione del macrotesto che pensi di
riscontrare nella poesia o nella prosa contemporanea italiana?

MG: Il progetto ampio a cui penso ha un nome, per certi aspetti, paradossale: Delle restrizioni. Il
paradosso apparente, se si pensa che la variet di stili in campo, le tante o troppe linee aperte (da
una parte lasse Criterio-Casa-Minuti-Shelter, dallaltra Numeri primi, in altro versante ancora
Quasi tutti, e poi ancora LIE LIE) configurano una raggiera di limiti, non di accumuli. Di negazioni
di quel motto che dice che tutto permesso, solitamente attribuito/riportato alle scritture di
ricerca o perfino di avanguardia. So e sento che davvero tutto permesso (avendo criteri nel
permettersi tutto o troppo). Allora la poetica consister precisamente nellapplicare delle restrizioni
al tutto. Farne un complicato quasi tutto. Dove il quasi dirimente. Ma il titolo Delle restrizioni
non (solo) tendenzialmente metatestuale. Le restrizioni anzi sono principalmente di carattere
biografico, reale: ti stringe e blocca un luogo, un dolore che indissipabile, soffocazione.

Mi sento in frontale contrasto con i modi di costruzione di raccolta di gran parte dei materiali che
vedo uscire in lingua italiana. Ma su questo aspetto preferisco non diffondermi.

AB: A tuo modo di vedere, una persistenza e rinascita di epica e narrativit investe le forme (e la
plausibile sostanza) della poesia e/o prosa contemporanea italiana? Vedresti collocato in qualche
modo il tuo lavoro, anche a contrasto o in posizione defilata, in quegli ambiti? Come,
eventualmente?

MG: Daccapo preferirei glissare. Dico solo che non mi interessano tante forme neoepiche,
neonarrative, neomelodicanzonettistiche e neopoematiche. Non dico che certo a mio gusto in
tutte sia ravvisabile una contrazione e castrazione di ogni possibile nuovo o inedito o sensato. Forse
per s.

AB: Ci sono esperienze e scritture recenti non italiane che ti hanno influenzato, o verso i cui
risultati guardi con interesse, in questo senso? E sul piano progettuale, sia in rapporto al contesto
italiano sia in rapporto a quello in altre lingue, a cosa stai lavorando? Quali direzioni ti sembrano
prendere le (nuove o rielaborate) strutture e scritture tue in fieri?

Devo dire che poche volte mi sono sentito altrettanto libero (e confermato nella mia ricerca-
attestazione-felicit di libert), e contemporaneamente grato e in sintonia, come nelle ore di lettura
di Rodrigo Toscano, Christophe Tarkos, Jean-Marie Gleize. Tuttavia questo senso di libert (e di
assorbimento di suggestioni) riguarda, devo dire, principalmente la prosa. Come autore di versi non
penso di aver fatto molto altro, negli anni, che modificare (e perfino corrompere) una certa mia
ricezione di Eliot (e Ashbery), imprinting di troppi anni fa.

Sulle direzioni imminenti della scrittura e della ricerca, posso dire che la forma avviata con LIE LIE
(La camera verde, 2011) ossia la forma del poemetto-prosetto apparentemente dislessico e proprio
come tale fortemente politico, sembra funzionare per me come possibile nuova traccia di ricerca.
Tanto che un secondo testo, scritto in omaggio a una ancor pi estrema poetica delle lacune, nasce
in queste settimane recenti precisamente nella stessa direzione. Ed fra laltro legato (dunque
sottoposto a una ulteriore restrizione) a/da una sequenza di composizioni e video di un musicista
che stimo molto: il mio testo ne deriva. Per scriverlo ho lavorato sia con testi pensati=nati
direttamente, cio non citati, non prelevati da alcuna fonte, sia con ricerche su google, ma con una
particolarit: ho ogni volta omesso il centro della ricerca stessa, nei materiali (e nelluso dei
materiali) in campo. Lacuna, mancata nominazione, deviazione di itinera narrativi: sono questi i
modi e moti che formano-deviano il testo (quello, almeno).


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Accanto a una maniera simile, nellintendere e praticare il googlism statunitense (molto poco flarf
in verit), continuo a scrivere poesie direttamente, o a raccoglierne di scritte e pubblicabili in
future sistemazioni di sequenze passate. Altrettanto, continuo a lavorare a frammenti (ipercolti, e
brevi) che ho chiamato Ossidiane, e che costituiscono un libro parallelo e un costante a parte di tutti
questi anni, avendo iniziato a raccoglierne nel 2001 e avendone accumulate molte, meglio
moltissime, in questi dieci anni. Ma questa vicenda ancora diversa, di cui ho parlato in sedi come
questa oppure questa.










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Pensare in poema
Un cerchio in forma di parole


Dal momento in cui lintelletto chiamato in causa, tutto in causa; tutto disordine
ed ogni reazione contro il disordine della sua stessa specie. Del resto questa
confusione la condizione stessa della sua fecondit: ne contiene la promessa poich
questa fecondit dipende dallinatteso piuttosto che dallatteso, e per il fatto stesso che
lignoriamo, piuttosto che da ci che sappiamo. [] Mi sforzo di non dimenticare mai
che ciascuno la misura delle cose.
Paul Valry(1)

[] sospetto perfettibile qualunque cosa venga di getto. Lo spontaneo, anche se
eccellente, anche se incantevole, non mi sembra mai abbastanza mio.
Paul Valry(2)

Si pu dire senza esagerare che il linguaggio comune il frutto del disordine della vita
in comune []; mentre il linguaggio del poeta, per quanto utilizzi necessariamente
elementi forniti da questo disordine statistico, costituisce, invece, uno sforzo
delluomo isolato per creare un ordine artificiale e ideale, per mezzo di una materia di
origine ordinaria.
Paul Valry(3)

Ho sempre fatto i miei versi osservandomi farli [] (TDP,p. 49)

Il poeta ha essenzialmente lintuizione di un tipo di combinazioni a parte. Una certa
combinazione di oggetti (di pensiero) che non ha valore per luomo comune, ha per lui
unesistenza e si fa notare. (TDP, p. 47-48)

[] personaggi, paesaggi, aspetti, atteggiamenti; le altre, voci informi, note
Le parole per ora non sono altro che cartigli.
Altre parole o brandelli di frasi non hanno un loro ruolo, ma vogliono essere utilizzati
e fluttuano.
Vedo tutto e non vedo niente.
Altre immagini mi fanno vedere condizioni del tutto diverse. Sembrano presentare gli
stati di un individuo che subisce la poesia, le sue illuminazioni, le sue attese, le sue
ansie, i suoi presentimenti che devono essere creati, stimolati, ingannati o soddisfatti.
Ho quindi diversi livelli di idee, le une di risultato, le altre di esecuzione; sopra di tutte
lidea dellincerto; ed infine quella della mia attesa, pronta a cogliere gli elementi gi
realizzati, scrivibili, che si concedono o si concederebbero, anche se non limitati
allargomento. (TDP, pp. 41-42)

Esiste quasi sempre un primo stato, una fase emotiva che non tende ad alcuna forma
finita, determinata e organizzata, ma che pu produrre elementi parziali di espressione,
frammenti, che troveranno, un giorno, - o forse mai - il loro tutto In questo stato
appaiono una parola, una formula, unimmagine, un dispositivo, che, ritrovati pi
tardi, verranno a collocarli in una composizione, a servire inopinatamente da genere, o
da soluzione posso chiamare questi frammenti: resti del futuro
Paul Valry(4)

Ordine/disordine
Spontaneismo
Linguaggio
poetico
Fare della
poesia
Intuizione
Intenzione
Lincerto
dellopera che
viene
Resti del futuro


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Il potere del cerchio, la forza del limite, lequilibrio degli estremi sono i punti sui quali la
progettualit del poema si fonda. Una misura che sfida linconsapevole e limpreciso con la
testimonianza e lazione di un fare, che si concretizza lentamente nellopera a venire. questo per
me il senso di un pensare in poema, o meglio di un dettare in poematicit.
Ho sempre pensato/costruito/architettato le mie raccolte poetiche seguendo la misura della
poematicit, percorrendo la strada lunga dellassemblaggio e del montaggio, pi che quella della
raccolta di poesie. Ho sempre realizzato il libro di poesia pi che una silloge di poesie, cercando di
restare fedele al mio respiro che, nella lunghezza dellespressivit, pi che nella agilit delle
correlazioni oggettive o soggettive, si fatto concreto.
Lavorare nellidea del poema come restare in compagnia di un evento creativo che lascia
connesso lautore al proprio progetto costantemente, perpetuamente, dandogli lopportunit di
agire e realizzare il proprio principio di realt, comunque e dovunque. Lavorare per poema non
cercare di perpetuare un tema, non restare ancorati passivamente ad un argomento scelto, ma
lasciarsi trasferire dalla scrittura e dalla poetica, tra gli innumerevoli strati dellesperienza che si
depositano intorno e tra i fatti emotivi e concreti della vita di tutti i giorni, innestandovi
particelle/bolle di grazia che determinano quello stato poetico che produce piacere.
Il poema e lidea di poematicit ha quindi a che fare, nella mia operativit scrittorea, con una sorta
di stato emotivo/percettivo, che si rende fattivo per quiete e passione, ma anche reale per pensiero e
progetto.

Lavorare in poema significa dunque presentare/rappresentare una visone laboratoriale della poesia e
del suo linguaggio; come ebbe a dire pi volte Antonio Porta: Mettersi a bottega. Un'officina
scritturale e operativa, dove la materia e il materiale sanno come essere compresenti sul tavolo della
lingua e del linguaggio, sparsi e impilati tra gli attrezzi del mestiere, che ogni poeta dovrebbe
possedere e saper adoperare. proprio un dedicare tempo anche alla lingua poetica di farsi pi
aderente a ci che si dovr portare alla luce, che dovr mostrarsi.

Pensare in poema significa anche rimanere connessi al luogo dell'elaborazione, in quell'esatto
punto in cui la lingua e il linguaggio si installano e precisamente, tra l'esperienza e la sua
decifrazione/trans-posizione in parola.

La lunghezza, la misura, il tema come la vita esperita e la sua stessa storia/narrazione, sono gli
elementi principali con i quali il poeta ha che fare.
Un fare che si concreziona proprio in virt di quella speciale connessione al proprio stato
ispirativo ed esperienziale che, insieme, fanno da eco alla dettatura poetica che accade, o meglio che
a- venire.

Non sono mai riuscito ad esaurirmi/terminarmi in una singola poesia, in un unico testo. Preferisco
lo spazio poematico, dove la lunghezza e la durata del testo mi corrobora, collocandomi in un tempo
sempre in movimento, in un tempo narrativo capace di resistere alla sua stessa consapevolezza.
Antonio Porta maestro a cui devo molto scriveva cos a tale proposito:

Cosa significa scrivere una poesia lunga? Significa non potersi fermare al
momento lirico, continuare il discorso e svilupparlo, con gli stessi
personaggi, con le stesse situazioni, ricavarlo e svilupparlo, perch questo fa
il linguaggio della poesia cos come lho concepito [].(5)

Il bisogno di spazio e di tempo hanno sempre avuto per me la necessit di una connessione, sia di
tempo che di spazio.
Feci un sogno molto tempo fa; un sogno ad occhi aperti. Uno di quegli strani momenti in cui sai che
a rivelarsi sono delle intenzioni, pi che delle evidenze: una sorta rverie.


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Lavoravo in un campo di fogli come fossi in un campo seminato a grano, al tempo della mietitura.
Percorrevo dunque con un rastrello l'intera area, facendo mucchi/covoni di fogli che poi,
diligentemente, ponevo sopra un carro e li trasportavo in una sorta di fienile rialzato, quasi un piano
da terra.
Quel luogo era per me il fogliaio: un posto asciutto dove stipare quella strana raccolta/raduno di
fogli che, presumibilmente, mi sarebbero serviti per l'inverno, per il tempo della non raccolta, per
riempire lo spazio della mancanza o della futura assenza.
Al risveglio da quella blanchottiana rverie, mi risultato chiaro il disegno/significato ultimo di
quell'esperienza onirica e fantasmatica: era il mio modo procedere nella creativit poetica, era il mio
metodo di scrittura, era il mio fare poesia.
Raccogliere frammenti e stiparli in un luogo sempre possibile, riparato, al sicuro.
Raccolgo infatti frammenti, resti, residui di ispirazione e di idee in un quaderno/fogliaio che porto
sempre con me, ovunque vada, riparandolo e proteggendolo gelosamente.
Da questo magazzino riprendo, risistemo, riguardo, ma soprattutto rimonto la consequenzialit
della parola depositata, dei frammenti salvati dal loro stesso corrompersi.
Questo materiale fatto di urgenze emotive, sbadigli lessicali, interruzioni filosofiche, lapsus volitivi
e parole trascelte, decantate nel tempo, lo centellino/assaporo, sapendo che in realt esso non altro
che un distillato d'esperienza, colto nell'angolo esatto di un'intersecazione tra il caso e il puntuale,
tra la volont e il desiderio, tra il rumore e il silenzio di una parola originaria che rimpatria.
Un angolo d'incidenza come ebbe a dire Vittorio Sereni tra la vita e la poesia su e col quale
gestire tutto lintero dettato poetico che accade nel passaggio del mondo.
Un passaggio che si far inquadratura del vero e che implica realt ed esistenza, respiro e fiato,
azzardo e paura.

Alla domanda Come scrive le sue poesie? amo rispondere: Come un regista con la sua macchina
da presa. Non scrivo poesie ma giro poesie. La teoria del montaggio di Sergei M. Ejzenstejn o la
maestria cinematografica di Jean-Luc Godard, mi hanno sempre affascinato, diventando questi
riferimenti, i cardini portanti che da sempre abitano la mia poesia, scorgendo in loro il fulcro del
mio discorso poematico.
C un testo, nel mio ultimo libro Interni con finestre (ed. La Vita Felice, 2009), nel quale il nome
di Godard compare come elemento tracciante, lasciandolo gravitare nei versi come un omaggio, un
segno di riconoscenza e di ammirazione:
*
Sapevo come diventare
grande, come stare qui. Lo
dicevo alla luce e al buio e
neanche sottovoce.
come abitare una camera oscura. Ci si fa
notte intorno e un occhio solo fruga la via, la
scuola, il parco e in lontananza, il cubo bianco
della casa appena fatta. Cerano gli orti qui,
le strade senza uscita, il doppio senso delle
macchine. Sono cos le due o tre cose che so di
lei: le prove accumulate, prese di mira, le
scene montate fuori, portate dentro. E intanto
dalla stanza Godard fuggiva via.



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Il montaggio dunque per me, il terreno soggiacente al pensare in poema. Un terreno sul quale
impostare un lavoro di assemblamento riflessivo ed emozionale, oltre che percettivo, che sappia
farsi carico sia del materiale, che della materia alla quale si deve riferire/ancorare.
Il pensare in poema chiede coerenza e durata. Saranno queste le sue marche e le sue misure prime.
L'idea centrale di una raccolta, infatti, ci che ossessiona e preme al poeta alle prese con la sua
opera. Un'idea che non un tema da svolgere o un compito da eseguire, per forza e a tutti i costi,
ma una sorta di predisposizione intenzionale/percettiva, ma anche uno stato dell'animo colto in un
preciso momento ed in una precisa epoca della propria vita.
Il pensare in poema porta/trascina con s tutta unoperativit che lo sostiene e lo corrobora nel
tempo.
Una prima fase inizia con una raccolta di dati, impressionismi, stupori che diventano elementi
concreti o metafore di istanti quotidiani, ma anche riflessioni, capaci di costruire il perimetro
circolare del poema e infine, ma non ultimo, la gestione dell'incerto che sostiene sempre un'opera
che avviene.
Posizionando tali paletti/confini il creatore del poema si abbandona all'invasione del mondo e alla
cosiddetta ispirazione poetica, procedendo poi nell'affondo verticale della temporalit e della
profondit emotiva, che sapr come distillarsi in parola. Attraverso questi due stadi del pensare in
poema lo spazio creativo incomincia la sua sedimentazione, partecipando a quello che Maria
Zambrano ha definito essere uno stato di grazia.

in questo processo che poeticamente abito il mondo, entrando in diretta compagnia con le parole
che sanno come restarmi accanto e leali. Parole capaci di farsi interpellare, rispondere, mettere in
forma. Parole in grado di restare ospiti e rendere ospitalit al senso e a una lingua che, nella sua
dinamicit, operer nel suo dettato scritturale, inverandosi.

Una seconda fase del pensare in poema proprio il lavoro di montaggio, la parte che considero
essere la pi decisiva e la pi creativa.
La moviola - che nel lavoro cinematografico era il quaderno/video operativo del regista, lo
strumento magico per la resa finale (purtroppo ormai obsoleto) - anche in poesia e in chi pensa in
poema mentale; come se girasse alla velocit desiderata e i frammenti di versi radunati e
trattenuti da un'intenzionalit operativa e scrittorea, si installano uno nell'altro e uno dopo l'altro
creando l'immagine, raccontando una storia, facendo una narrazione capace di rendere in chiaro la
soggiacente idea originaria.
Il montaggio la resa del pensare in poema; il suo mantenimento: la sua sfida.
dunque lintenzionalit ad essere il motore della creativit poematica, il suo adamitico gesto
iniziale al quale prestare fede e attenzione. Un ascolto che riesce addirittura ad essere rintracciabile
nel tempo. sempre Porta che rende chiaro quanto detto:

Ecco io non potr mai spiegare che cosa significa la mia poesia, ma vi
posso dire invece con che intenzione nata, con che intenzionalit, quale
progetto le sotteso e che tipo di organizzazione della percezione ho
scelto. (6)

dunque unorganizzazione della percezione questa, che si procura il tempo e il corpo del tempo,
facendo del linguaggio una taratura esistenziale necessaria e utile alle sua tracciablit.
Ma anche il corpo della resistenza dei versi che si fanno via via espressione, senso e significato di
ci che l'opera compone: mette insieme.
Il poema gestisce la forza di una natalit continua, festeggia al suo interno, una ricorrenza
battesimale.
Esso porta in s anche la forza continua del rimpatrio, la determinazione del riconoscimento e della
sua memoria, innestando nella sua progettualit una narrazione incessante, proprio tra il suo restare


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in connessione con il poema e il suo allontanarsi per sussistenza e cio nel procedere fattivo e
quotidiano di una vita activa in movimento. Nel poema infatti, lautore opera una serie di
avvicinamenti e allontanamenti continui dai propri temi e dalle proprie impressioni, restituendoci
poi una serie di visoni e punti di vista cariche del loro stesso deambulare.
Il poeta infatti deve potersi portare lontano da s, dalla sua terra, dal suo orizzonte percettivo per
poterli realizzare e ancora scrutare, inverando in s la radicalit del movimento stesso, il dolore
della lontananza e dellallontanamento e il piacere del ritorno. Un piacere questo che la
realizzazione di un ritrovamento memoriale della parola esatta. Una parola capace di farsi testimone
e testimonianza nella carit del suo rimpatrio.
Egli nel suo ritorno a casa opera una scelta di dati e provviste colte durante il suo viaggio/viaggiare.
Nella raccolta dei dati sar dunque - oltre lesperienza vissuta, e la vita - anche lesperienza della
letteratura a farsi vivente ed agente. Molte sono le fonti che in questa procedura del pensare in
poema rientrano a far parte del corpo centrale dellopera messa in poema.
Molte sono le guide, in stile zambraniano a fare di questo procedere per stratificazioni, una via
dove installarsi per illuminare e condurre. Autori, passi, citazioni che accanto a i miei versi
proemiali, diventano stati di meditazione allertati, capaci cio di recuperare uninformazione, un
accenno che sappiano predisporre lintenzione, accomodare la comprensione del testo che si
squaderna.
Ma un punto chiave del pensare in poema proprio ci che Antonio Porta minsegn essere: il
potere della progettualit.
Una condizione dello scrivere e del pensare la scrittura poetica che Antonio Porta sottolineava
essere un tipo di organizzazione, un modo di orientare il materiale percettivo del reale. A
proposito del suo poemetto Airone dice:

[] un tipo di progetto, un tipo do organizzazione, che consente un
orientamento preciso, un modo di orientare il materiale che la mia
percezione raccoglie, o ha raccolto in un lungo periodo. (7)

Ma soprattutto il potere della sua bellezza nel fare del procedere, la compagnia del suo
pensamento, ma anche la sua sana difficolt di resistere nel tempo, ad essere unevidenza positiva
per comprendere la concretezza del suo fare e loperativit del suo lavoro artigianale: un autentico
andare a tentoni tra le intenzioni, ma anche quellandare in bottega, quale luogo della formazione
della vita.
In questo luogo/fucina del fare della poesia ci sono attrezzi sparsi sul banco dellartigiano, vicino
al tornio, alla grata, al foglio bianco, al lapis: il diario di lavoro.
Un quaderno nel quale e con il quale poter gestire il progetto e il suo concrezionarsi nel tempo e
nelle idee. Un luogo della laboriosit, dove trovare e governare limpianto emotivo della lingua e la
sua devozione grammaticale nel senso.
Un diario che nella sua quotidianit e nella sua costante connessione al reale, permette che il
mondo della vita proceda senza farsi interrompere. proprio il potere della progettualit a creare
quello spazio esatto della sopravvivenza, il calco misurato nel quale poter restare ed avere sempre
unimmedesimazione nel testo. Un collegamento che si concretizza nellidea del poema e che pu
continuare la sua ruminazione, nonostante il quotidiano fare delle cose e della vita posti altrove.
Infatti il progetto permette la conservazione del poetico in ogni istante, in ogni momento, inverando
il mantenimento di quello stato di grazia, nel quale la visone dinsieme si carica di istanti fondativi
di pensiero e sensazioni, di esperienza e desiderio, di azione e utopia.
Il poema si pone dunque in ascolto e si direziona allascolto, impostando traiettorie pensabili,
portando alla luce una scrittura che Roland Barthes definirebbe essere un compromesso, un atto di
libert e un ricordo, che si realizza in definitiva, in quel segno che impone la sua forma col senso
e il suo contenuto col suono di un puro dire per necessit e verit: la parola.


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Una parola messa appunto in forma di poema, capace di espandersi e incamminarsi scalza in un
cantiere aperto, coraggiosa e decisa a fare di s, qualcosa di stabile e visibile: portare da s a s la
testimonianza del suo passare e del suo essere ad un interlocutore: allAltro.
Il pensare in poema ha in s, infatti, una carica e unimpostazione intenzionale, che lo rende sempre
in movimento verso qualcosa, verso qualcuno, sia esso una visone, una cosa, un affetto o solo
unidea. Esso si pone in movimento per trovare e mai per cercare. Trovare ci che si dispone e non
cercare ci che non si conosce. Infatti proprio nel trovare che si va a creare quellorizzonte
dattesa che lopera invera facendosi, restando nella cerchiatura dellintenzionalit creatrice, capace
di saper gestire anche la parola poetica nata dalla sua fuga.
Dice Jos Angel Valente in Letteratura e ideologia:

Loggetto della poesia impone alla parole capace di ospitarla la sua
condizione di legge. In definitiva, ci che chiamiamo forma non altro che
il destino che la realt impone alla parola. [] Il tema intenzionale, si
cerca, si propone o si impone. Loggetto sovraintenzionale, si incontra,
la zona di realt che la parola inventa, cio, trova. (8)

Nel poema, dunque, ma soprattutto nel pensare in poema tutto parte e inizia con un salto
spericolato, per concludersi con un balzo saldo a terra e questo perch, pensare in poema, anche
un estremo tentativo di ordine e misura; un porsi nella mediazione tra due termini decisivi: luomo
e il reale.
in questo spazio che il pensare in poema attualizza un incamminamento capace di diventare una
presa visone sui resti di un futuro ancora posto alle spalle. Di un tempo che restando indietro, resta
infarcito di passato e memoria. Ma in realt esso gi un residuo di avvenire che fa capo alla sua
possibilit desistere oltre s e mediante s. Un residuo gi parlante e ancora dicente che si fa carico
di una storia che dal proprio territorio interviene, per penetrare nello spazio che ancora deve
avvenire, come un accadimento improvviso.

Pensare in poema un po come restare allertati dallo stupore; uno stupore che deve esplodere
nellimmediata prossimit e che ancora non prossimo a nulla. Ladiacenza la strada del poema,
ci che ci pone vicino alla storia e alla narrazione di una condizione, che fa del parola una poesia
connessa al proprio tempo e al proprio stupore: unattesa.
Pensare in poema porsi in attesa dunque, lasciando che il tutto accada nella sua destinazione e
causa, trovando nella sua tracciabilit esistenziale, un senso possibile come impossibile, credibile
come incredibile capace di farsi ascoltare ma soprattutto, in grado di farsi credere.

Stefano Raimondi


Note.
(1) Paul Valry, Prima lezione del corso di poetica in La caccia magica, Guida Editori, Napoli 1985, p. 144.
(2) Paul Valry, Intorno al Cimetre marin in La caccia magica,op. cit.,p. 78.
(3) Paul Valry, Taccuini di un poeta in La caccia magica, op. cit., p. 57. Per comodit dora in poi le citazioni
provenienti da questo testo saranno segnalate dalla sigla TDP con la relativa numerazione di pagina.
(4) Paul Valry, La creazione artistica in La caccia magica,op. cit.,p. 34.
(5) Antonio Porta, Il progetto della poesia, in il Verri n.1, nona serie. p. 21.
(6) Antonio Porta, Il progetto della poesia, in il Verri n.1, nona serie. p. 19.
(7) Antonio Porta, Il progetto della poesia, in il Verri n.1, nona serie. p. 19.
(8) Cfr. in Maria Zambrano, I luoghi della poesia, Bompiani, Milano 2011, p. 153.



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LETTURE



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Fabiano Alborghetti

SEZIONE DEL LAVORO

"Gondrano era sempre stato un forte lavoratore, ma ora sembrava che in lui vi fossero non uno ma tre cavalli: vi erano
giorni in cui tutto il lavoro della fattoria sembrava pesare sulle sue possenti spalle. La sua risposta a ogni problema, a
ogni difficolt era: "Lavorer di pi!" frase che aveva adottato quale suo motto personale."
G. Orwell, La fattoria degli animali.

La vita atomi e vuoto
di cui non dovremmo temere ()
Tony Harrison, Vuoti.

Quanto sei piccolo, quanto infantile al confronto
con lui, la sua maest, la ricchezza.
Hans Magnus Enzensberger, Aesculus hippocastanum.


anni 72, ex perito meccanico

Ogni tanto sta a Mendrisio
per trovare un po di pace:
con le Benzodiazepine sta tranquillo

fino a che non sale lansia
e si mette a far qualcosa, ogni cosa
a dire il vero e una volta lhan trovato

che spostava le panchine perch fossero ordinate
e parlava con la gente
per spiegare dettagliato come fare quel lavoro

come senza un buon lavoro
ogni uomo non niente.
Dirigeva con le mani una squadra di persone.

Sono scesi in ambulanza per convincerlo a tornare
stare fermo, riposare. Ripeteva: la pensione!
la mensa dei battuti ed arrendere

un morire, il perdere s stessi, impazzire.

*

anni 52, impiegata dufficio

Hai la testa come un ceppo di castagno
te lo dico onestamente
che non puoi ogni week-end ammazzarti di lavoro

ramazzare il giardinetto, fare almeno tre bucati
ripassare i pavimenti riordinare nellarmadio
ogni tanto puoi star ferma ma come un dire al muro


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anche se laltra domenica di lavori non ce nera
e sei stata sul divano a guardare fissa il niente
come chiusa in una gabbia come se subissi un torto.

Ripetevi un po scontenta: ma qualcosa c da fare

*

anni 37, operaio

Posso fare ci che vuole assicuro allimpiegato
mentre scorre il mio C.V. e rispondo pertinente
a ogni sorta di domanda, mentre fingo sicurezza

e mi spingo appena indietro, accavallo anche le gambe
mentre so che la cravatta perfetta col vestito
mentre so che lapparenza il biglietto del successo

e nascondo il tremolare delle mani, per la fame.

*

anni 31, montatore elettricista e custode

No, non sogno la pensione
n una rendita sommaria
sogno proprio desser ricco, cosi ricco

da far schifo, suscitare delle invidie:
per questo che io gioco, gioco tutto
quel che posso. Ogni sabato c il Lotto

lEuromillion, il Totogoal e se posso a Ponte Tresa
vado poi alla sala corse.
La domenica a Lugano vado al Kursaal per il poker

a Mendriso per le Slot ma non vinco mai abbastanza
troppo spesso anzi perdo e mi sono indebitato.
Ora faccio due lavori

per coprire il buco in banca ma lo so che manca poco
tra non molto sar ricco
credo proprio sia stasera

ma stasera faccio il tardi. Da domani mi rifaccio.

*





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Anni 22, accompagnatrice

Da sei mesi sono in proprio
sono in tutti i siti web
con le foto fatte bene da un fotografo mio amico

che ho pagato con lamore
ma non un mio cliente. Ora alzo mille franchi
ogni giorno di lavoro

e met va dritta a casa, dove studiano i miei figli
un pochino nei vestiti, nellaffitto e nei locali
dove vado per lavoro perch il business va cercato.

I mie figli stanno bene e li chiamo ogni sera
gli ripeto che poi torno ma che devo lavorare
e poi chiudo col magone, e poi bevo del liquore

che mi aiuta a mascherare quella voglia di star sola
senza un corpo che mi preme che mi spinge dentro il seme
ma poi penso che ogni colpo fa star bene i miei bambini

ed allora io sorrido e al cliente questo piace
sembra quasi che io godo, sembra tutto naturale.
E per questo che lavoro molto pi di altre amiche:

quel sorriso cambia tutto, sembro quasi la ragazza
sembro amica o fidanzata, sembra tutto naturale
sembra che c un bel rapporto e non sia a pagamento

sembra che io son felice, e il cliente pi contento

*

anni 24, ricezionista dalbergo

Mentre provo luniforme guardo attorno il guardaroba
con le pile di tovaglie ed i sacchi di lenzuola
e le donne affaccendate che discendono dai piani

e qualcuna mi saluta con lo sguardo indagatore
per sparire appena dopo e lasciarmi alla misura
a quel panico sottile di chi inizia un posto nuovo

alle cose da imparare per far parte del sistema.




Notizia.
Fabiano Alborghetti nasce nel 1970, vive in Cantone Ticino. direttore artistico di PoesiaPresente
per la Svizzera e del festival MONZAPOESIA; cura la sezione poesia del Magazine UNO; ha


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creato e conduce il programma La Voce di Gwen per Radio Gwen (lunico programma di diffusione
della poesia in una web-radio svizzera).
Ha pubblicato Verso Buda (LietoColle2004), Lopposta riva (ibid. 2006 in traduzione per la
Marick Press di Detroit, USA), le plaquette darte lugano paradiso (Osnago, Pulcinoelefante, 2007)
Ruota degli esposti (Mendrisio, edizioni fuoridalcoro, 2008, con chine di Gianni Bolis), Registro
dei fragili (Bellinzona, Edizioni Casagrande, 2009 prefazione di Fabio Pusterla - in traduzione
francese per le Editions DEn Bas di Losanna) e Supernova (Forl, LArcolaio, 2011). Sue poesie
sono state tradotte per rivista in una decine di lingue. Grazie a Pro Helvetia, ha rappresentato
ufficialmente la Svizzera negli USA, in Slovenia e in Colombia.



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Dina Basso


Aju mmiscatu bbadduzzi i ciraponga
ppi capiri cch culuri niscissa
'mmiscannu i nostri occhi:
mi vinna na cosa
ca para un griggiu streusu,
u stissu 'i ma nanna.
Ci fussa cch scantarisi d'on figghiu
ca ancora a nnasciri e gi sapemu
c'avissa chiummu e ciniri 'nta l'occhi.

Ho mischiato palline di plastilina / per capire che colore verrebbe fuori / mischiando i nostri occhi: /
mi venuta una cosa / che sembra un grigio strano / lo stesso di mia nonna. / Ci sarebbe da
spaventarsi di un figlio / che ancora deve nascere e gi sappiamo / che avrebbe piombo e cenere
negli occhi.

*

Nun mi jettu mai a mmari
de scogghi
ca ma scantu ca lacqua
nun mi vola e mi sputa
e nun sapennu mancu
natari
provu a ghittarimi
sutta u piumoni
supra di tia
e arrivari di testa
malacav, di panza.
Ppi fortuna nun si mari
e nunnaju murutu
ancora
arrestu sulu sciancata
di na jamma
e di lautra
macari.

Non mi tuffo mai nel mare / dagli scogli / ch ho paura che lacqua / non mi voglia e mi sputi / e
non sapendo nemmeno / nuotare / provo a buttarmi / sotto al piumone / sopra di te / e arrivare di
testa / mal che vada, di pancia. / Per fortuna non sei mare / e non sono morta / ancora / resto solo
zoppa / da una gamba / e dallaltra / pure.

*

Tassumigghiunu lomini
ca ncontru ppa strata
ti fazzu tutti
assumigghiari:
suddu avissa a varva


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forsi locchi cchi scuri
putissa essiri iddu
e unu ava i ta scarpi
unu a ta bborsa
u barista u ta accentu
mentri mi duna u rrestu;
aju ttruvatu macari
i ta stissi ucchiala,
nta fotu di unu ca morsa
cumbattennu no quarantacincu.
Mammanca sulu
di dariti na ucca
e poi quasi quasi
taju ricugghiutu tuttu
suddu nun fussa ca
a mo addizzioni
nunnarrisulta
mancu unu.

Ti assomigliano gli uomini / che incontro per strada / te li faccio tutti / assomigliare: / se avesse la
barba / forse gli occhi pi scuri / potrebbe essere lui / e uno ha le tue scarpe / uno la tua borsa / il
barista il tuo accento / mentre mi porge il resto; / ho trovato anche / i tuoi stessi occhiali / nella foto
di uno che morto / combattendo nel quarantacinque. / Mi manca soltanto / di darti una bocca / e
poi quasi quasi / ti ho raccolto tutto / se non fosse che / alla mia addizione / non risulta / nemmeno
uno.

*

A Renata

tuttu
un rapa e chiuda
di cirneri, u campeggiu
a tenda un furnu
o centru o cauru
niautri fatti i crita
(di quali costa na staccammu?)
ni lassamu cuciniari
ma nuddu ni misa accura
n prima n ddopu.
Ninnaccurgemu
niscennu allaria
allacqua e o ventu
ca moddu u intra
ma fora cchi ddura
e bbruciata e sarbaggia
a peddi supecchiu
sha fattu crusta.
Coccadunu ni parra
ggiustu ppi dirini
ca ni sta troppu bbona


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266
labbronzatura
ma cchi ca autru fujunu
appena capisciunu
ca chidda ca toccunu
terracotta.

tutto / un apri e chiudi / di cerniere, il campeggio / la tenda un forno / nelle ore centrali / noi
fatte di creta / (da quale costola ci siamo staccate?) / ci lasciamo cucinare / ma nessuno ci aveva
avvisate / n prima n dopo. / Ce ne accorgiamo / uscendo allaria / allacqua e al vento / che
morbido il di dentro / ma fuori pi dura / e bruciata e selvaggia / la pelle in eccesso / si fatta
crosta. / Qualcuno ci parla / giusto per dirci / che ci sta troppo bene / labbronzatura / ma pi che
altro scappano / appena capiscono / che quella che toccano / terracotta.

*

Sudili sula
suda i linzola
sbatta u peri
cerca di nesciri
da visioni
ca torna a uastari:
u ventu malignu
ca isa a vistina
i culonni, cchi dduna
lassati a mit
u diavulu cancia
faccia tri vvoti
(du omini prima
e ppoi si fa nicu)
cancia culuri
partennu do iancu
i ssorba tutti
anzemi o caudu
e nun si po teniri
mancu nt vrazza
e nun si po mancu taliari
ma cunta
cuntulu a ttutti chiddu cha vistu
ca nun si dicissa
ca hai sulu u bbeni
e ccu samprissiona
sarripassassa
u signu da cruci
e ppi precauzioni
ccaricchi ntuppati.

Sudali sola / suda i lenzuoli / sbatte il piede / cerca di uscire / dalla visione / che torna a guastare: / il
vento maligno / che alza il vestito / le colonne, pi duna / lasciate a met / il diavolo cambia /
faccia tre volte / (due uomini prima / e poi si fa piccolo) / cambia colore / partendo dal bianco / li
assorbe tutti / assieme al caldo / e non si pu prendere / nemmeno in braccio / e non si pu
nemmeno guardare / ma racconta / raccontalo a tutti quello che hai visto / che non si dicesse mai /


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che hai solo il bene / e chi simpressiona / si ripassasse / il segno della croce / e per precauzione /
con le orecchie tappate.

*

Tagghiu a striscia di Gaza
ca a to strata:
furtinu addiventa u quartieri
carru armatu lautobussu
e surdati i kebabbari
ca tenunu a ccura
u ta purtuni
e u ta silenziu
cingolatu.
Ma u ma arsenali chiddu
de surdati simpliciunazzi:
cioccolatta
un pezzi i sapuni
i ggettoni da ggiostra
a sciallina niura
ca quannu unu morsi
daveru, n Palestina
sarraccumannau
darristani cristiani
e ju dda matina
taliannuti bbonu
mi misi anticchia a chianciri
e u pigghiai n parola.

Taglio la striscia di Gaza / che la tua strada: / fortino diventa il quartiere / carro armato l'autobus /
e soldati i kebabbari / che fanno la guardia / al tuo portone / e al tuo silenzio / cingolato. / Ma il mio
arsenale quello / dei soldati semplicioni: / cioccolata / un pezzo di sapone / i gettoni della giostra /
lo scialle nero / che quando uno morto / davvero, in Palestina / si raccomandato / di restare
umani / e io quella mattina / guardandoti bene / mi sono messa un poco a piangere / e lho preso in
parola.

*

Hanu dittu i colonnelli
a tilivisioni
ca sta brruciannu tuttu
e i previsioni su
di ventu ca scunocchia:
cancia sulu a ddirezzioni
poi u stissu
u fetu i stirpagghia
cocca caserma
ppi fari, macari i fimmini
u militari
i tagghi de provincii
ca aju ncuminciatu


268
268
livannu a to supra a cartina
e ripizzannu u vacanti
cca masticogna
ca i moli stissi asputunu:
narrinesciunu
a maciniari;
no senti u caudu?
sulu u gestu fa sudura!

Spartemuni lurtimu
muccunieddu i bbirra
e suddu arresta
un muzzicuni i ventu.

Hanno detto i colonnelli / in televisione / che sta bruciando tutto / e le previsioni sono / di vento da
spezzare le gambe: / cambia solo la direzione / poi uguale / il puzzo di sterpaglia / qualche
caserma / per fare, anche le donne / il militare / i tagli delle province / che ho cominciato / togliendo
la tua dalla cartina / e rimpiazzando il vuoto / con la gomma da masticare / che i molari stessi
sputano: / non riescono / a macinare; / non senti il caldo? / solo il gesto fa sudare! // Dividiamoci
lultimo / sorso di birra / e se ne resta / un morso di vento.

*

Tavanzunu
i mo jammi
chiddi ca ora cchi nun sentu
e ogni passu para ca nunn u mia.
U rrestu, nveci mu tegnu
ca cc dda linia
supra cui nun si va
allaltezza di nossu
- u nnomi dillu tu:
na specii i duana
di dda si passa
a nautru statu
e i forzi armati su sparmati
mura mura
isati nta na para duri.
U sacciu ca a mappa
nunn u territoriu
ca lAfrica nunn
spartuta cca squadretta
ma cu studia a cartina
e poi nun parta
saccuntenta da latata
unni cumparunu
sulu i cunfini.

Ti avanzano / le mie gambe / quelle che ora pi non sento / e ogni passo pare che non sia il mio. / Il
resto, invece me lo tengo / che c quella linea / sopra cui non si va / allaltezza di un osso / - il
nome dillo tu: / una specie di dogana / da l si passa / a un altro stato / e le forze armate sono


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spalmate / lungo i muri / alzati in un paio dore. / Lo so che la mappa / non il territorio / che
lAfrica non / divisa col righello / ma chi studia la cartina / e poi non parte / si accontenta del lato /
dove compaiono / solo i confini.



Notizia.
Dina Basso nata nel 1988 ed cresciuta a Scordia, in provincia di Catania. Nel 2002 ha pubblicato
alcune sue poesie in dialetto siciliano sulla Gazzetta ufficiale dei dialetti per la casa editrice Prova
dAutore; l'anno dopo ha curato, sempre per la stessa, il volume di fotografia O scuru, di cui stata
autrice di didascalie e di una poesia. Sue poesie sono state pubblicate dalle riviste Le Voci della
Luna, Tratti, Periferie, Fermenti, La Terrazza. arrivata seconda al Premio
MezzagoArte 2009 e i suoi testi sono stati pubblicati nell'antologia del premio Questo dolore che
mangia. Con la sua opera prima, Uccalamma Bocca dell anima (Le voci della Luna, 2010) ha
vinto per la sezione Autore Giovane il premio Gozzano 2010 e la IX edizione del Premio D. M.
Turoldo, sezione under 25. Dal 2007 vive a Bologna, dove lavora e studia Scienze dell'educazione.



270
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Francesco Filia

Da La neve

(I frammento, Napoli 2007)

noi siamo gi quel che voi
sarete domani.

La neve, quella vera, non labbiamo mai vista
se non nella bocca a nord del vulcano
nei pochi giorni di cristallo dellinverno come una minaccia
che ricorda quel che non abbiamo temuto abbastanza
ma il gelo, quello s, dentro di noi fino alle ossa
e lo sentiamo che morde le giunture e crepa le ossa
fino al midollo. Ce ne accorgiamo dai sorrisi tirati
dei passanti, dai gesti circospetti di chi vive per strada
dalle urla dei ragazzi impresse nellaria, dal nostro esitare.
E non ci sono di conforto i nostri sogni agitati in piena estate
lo scambiare la notte per il giorno o il ricordo di una madre
il tepore della sua ombra. E se anche qualcuno di noi
si chiede qual il respiro di queste strade, del loro teso
vibrare, della luce che apre spazio tra palazzi e i nostri
incerti passi affrettati rimarr come un brusio di fondo
tra risate e un colpo di clacson. Tra misericordia
e cielo non c pi tempo per esitare. Lassedio
dentro le case. E tra la mano e il buio di stanze abbandonate
e non serve ritrarsi di scatto, anche le mura sapranno chi siamo
scrutando la paura nei nostri occhi e allora potremo solo obbedire
ascoltando il silenzio che si insinua tra il vocio e il magma di piazze
e strade, che invade portoni e giardini a mezzacosta, che copre
frammenti di dialoghi affamati di bocche e cuori e allora, tra vestiti
gettati e lodore di arance cadute, saremo veri e senza et
come chi dovr morire sul serio.


(XXII frammento, Napoli 2007)
Una riflessione

In attesa che i conti tornino, moriremo, lo sai
aspettando la risacca del nuovo giorno saremo
condannati a raccattare unombra che custodisca
i nostri passi, dal rumore di serrande abbassate.
In attesa che laria faccia di nuovo attrito
con la nostra pelle bruciata, con il respiro
soffocato di ogni cellula non potremo che annuire
al pi lento dei nostri esitare, allo sbaglio
che sapevamo di compiere, che non abbiamo
evitato. Ogni gesto il suo contrario come
un mai e un sempre, le due facce di un foglio
soffiato, del rumore e del silenzio, da due labbra


271
271
che non possiamo separare che non sanno
intonare neppure un tenue canto di morte che
non sanno pi consolarsi con un lontano
cera una volta


(XXV frammento, Napoli 2007)
La madonna della neve

C giunto in sogno con la forza di un respiro brinato
il luogo delle promesse non mantenute dei prodigi
mai compiuti, di una rosa che sboccia di sole spine.
Che ad agosto non nevica si sa, i miracoli non esistono
se non nella gioia dei semplici, di noi che aspettiamo
un passato che riscatti il perimetro delle nostre attese.
Con uno scongiuro non riuscito abbiamo predisposto
il rituale per salvare le nostre facce davanti, quelle
che abbiamo offerto alloffesa di ogni giorno al rito
di sangue e purezza di ogni nascita allattimo che trasforma
il pi nudo dei casi in ci di cui non si potuto mai fare a meno.
La cenere dei fal i copertoni delle auto abbandonate
la scaramanzia dei nostri cellulari accesi tutto pronto
per un oltre di forme geometriche e cristalli da sciogliersi
al sole per essere nel silenzio di esagoni poggiati uno
sullaltro di fiocchi che definiscano il recinto
delle nostre preghiere, per un dono che non chiede
nulla in cambio, se non lultimo dei nostri respiri.


(XXVI frammento, Napoli 2010)
Desiderantes

Osserveremo il colmo di questo cielo, il silenzio
graffiato di stelle, la carovana dei pianeti, il buio
al bordo di un desiderio senza rimedio.
Attenderemo i tanti non pi tornati, anche per chi
non attende pi, nessuna promessa nulla
restituir le parole mai dette, la linea
che ci congiunge allo strappo
in fondo a questo gelo, che ci lega
al vento che ci travolger, a questimperio damore
e morte, al respiro che scende sempre pi al fondo
di strade impazzite tra porfido e sangue, allofferta
quotidiana di ferite senza redenzione. Non c pace
che tenga tra le ombre di questa piazza
che scivola lungo mura sprofondate, un buio
di costellazioni abita nascosto tra conchiglie
e pietre, tra sentinelle e un domani che sfugge
alle nostre spalle. Fiocchi si sciolgono tra le dita
un ultimo barlume nel fondo di questa pupilla.



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272

da Gli anni sottratti

Aprile 2009 Aprile 2010

Prima o poi pagheremo per questo silenzio
Di fogli bianchi e posate. Pagheremo
Per non aver detto la parola che ci avrebbe
Salvato, urlare lerrore che ci ha trascinato
Al fondo di noi stessi, tra strade
Interrotte e una carezza. La gioia sarebbe
riascoltare la mia voce senza vergogna.

Un muto assenso o un mugugno, il non detto
Da noi condiviso, un affondo nel nero di fari
E siepi, nel pasto comune di madri e figli.
Porto tutto alla bocca come un bambino
Che impara a conoscere. Ricordo solo
Un monologo senza senso di lalie e parole
Spezzate, un nemico senza volto, un buio.

Continuo a tormentare con i denti la lingua
Quel pezzo di vita tra una poppata e un letto
Di formiche e non potr che essere travolto
Da una valanga di coperte e buio e cadere, ancora,
Cadere, dove un viso non ha pi contorni ma ghigni
Fino a quel centro di fuoco e luce, di sangue
E mito, quel centro che chiamano inizio.

Dove tutto iniziato, quando un prima e un dopo
Coincisero. Ogni cosa in ordine: il grigio
Scrostato di queste mura, la bolla daria
Sotto al pavimento, la morte composta
Di un padre in un letto. Ci sono cose
Che non simparano. E adesso ricorda
Di nuovo, cosa significa gioire.

La pietra viva delle ore taglia
Memoria e pelle ustionata.
Implode largento dei minuti
Non averlo capito lo chiamo colpa
Lo spazio vuoto tra un desiderio
E la sua immagine. Unattesa
Una vertigine di sedimenti e vie di fuga.


(epilogo)
Ogni tentativo dordine fallito
Viger un ricordo, unattrazione
Limature di ferro polarizzate
Un non luogo a procedere


273
273
Il profumo di un ospite andato via.
Linquietudine sar un domandare
Ulteriore, forse un riserbo.



Notizia.
Francesco Filia vive e insegna a Napoli, dov' nato nel 1973. stato vincitore della sezione inediti
del premio Dario Bellezza (edizione 2001) e finalista di altri premi, tra cui il premio Citt di
Tortona 2008. Sue poesie e recensioni dei suoi testi sono apparse sulle riviste La Clessidra,
Capoverso, La Mosca di Milano, Trimbi, Poesia e su vari blog e riviste on-line, tra cui
Nazioneindiana, VDBD, Poiein, Poetrydream, Poetry Wave, Sagarana e Sinestesie;
nelle antologie "Periferie", a cura di Michele Sovente (Napoli, 2004); "Citt sotto l'apparenza"
(Milano, 2004); "Armi di pace" e "Oltre la pace" (Il Laboratorio, 2005 e 2006); "Subway- Poeti
italiani Underground", a cura di Davide Rondoni e con introduzione di Milo De Angelis (Net,
2006); nell'antologia "Da Napoli, verso", a cura di Antonio Spagnuolo e Stelvio Di Spigno (Kairos,
2007); nel catalogo di artisti e poeti per i sessant'anni della Repubblica Italiana (Il Laboratorio,
2006), con una poesia visiva in collaborazione con Gabriele Illiano; nel libretto "La citt comune"
(Il Laboratorio, 2007); nell'antologia "Il miele del silenzio", a cura di Giancarlo Pontiggia
(Interlinea, 2009); nellantologia Parole in circuito, a cura di Raffaele Piazza (Fermenti, 2010).
Ha pubblicato il poema in frammenti "Il margine di una citt" , con prefazione di Raffaele Piazza e
dieci tavole di Pasquale Coppola (Il Laboratorio, 2008).



274
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Giuseppe Fonte

Da Ruggero

IV

Ruggero dintanto, ignaro dei fatti,
bazzica ancora lontano dagli altri.
Appena il vecchiardo scompare lontano,
indossa i calzoni tenendoli in mano.

Adesso un sollievo, neanche a sperarlo,
rinfresca ancor pi il suo docile sguardo.
Non ha pi problemi, non ha impedimenti,
pronto a battaglie e a combattimenti.

Eppure nel mentre cercava le braghe,
fuggendo da donne, fuggendo da spade,
dimentico era di una grande questione:
aiutare di certo, ma quali persone?

Appurato che guerra vuole portare
a padroni dispotici e briganti fermare,
riman da chiarire chi sia chi tra molti
ferito di pi e abbisogna soccorsi:

Il mondo in pericolo sempre costante,
ma io sono solo, e da solo so errante.
Il mondo mi cerca, di eroi ha bisogno,
ma solo non posso, altrimenti mi infogno.

Occorre capire, il pi presto che posso,
chi bene che aiuti, a chi dare soccorso.
Gi unesperienza mi ha fatto capire
che a caso, cos, non si pu intervenire.

Certo non posso soccorre i bruti,
il premio sarebbe una pioggia di sputi.
Ma come riuscire, ma come si sceglie?
qui accade che notti diventino veglie!

E preso da questi pensieri che ha in mente,
ritorna a far cerchi con passo furente.
Cammina nervoso, e sta sulle sue,
tant che alle dieci si aggiungono due.

Intanto allopposto di quella vietta,
quella in cui sapre la chiesa che svetta,
una donna leggera, vestita di fiori,
arriva col passo ch dei corridori.



275
275
Ha capelli ondulati, castani e vivaci;
occhi gentili, ma occhi rapaci.
snella, elegante nel modo di fare,
sotto quel sole onde nel mare.

In mano trasporta, e sono ingombranti,
cartoni con scritte, non certo pesanti.
Ruggero pensoso, Ruggero cammina,
non nota la dama che gli si avvicina.

Invero la dolce e leggera ragazza,
anchessa impegnata, diretta alla piazza.
Per questo anche lei, che certo in ritardo,
cammina veloce ed basso lo sguardo.

Non nota Ruggero finch non ci sbatte,
i cartoni che cadono simili a carte.
Persino Ruggero, che ha in mano lo scudo,
cade per terra sbattendoci il muso.

Gli sanguina il naso, e lelmo gli casca,
una scena mai vista da torre Velasca.
Senza pensarci nemmeno un istante
si leva di colpo e si mostra prestante.

Alza lombrello, per fare spavento,
il sangue gli cola a fiotti sul mento.
Vorrebbe dar pane per quella focaccia,
lavare loffesa e spaccare una faccia.

Ma i conti che ha fatto non tornano tutti,
non sa che davanti non ha farabutti,
ma una dolce donzella, serena e leggiadra,
il cui intento non era sbarrargli la strada.

Quando saccorge di quel lieto volto,
non pensa pi al naso, ma resta sconvolto.
Creatura pi bella, pi chiara, pi lieve,
visto non ha, in trentanni di pene.

come stordito, che dico ammattito,
la bocca spalanca ed ammutolito.
Il sangue continua a sgorgare copioso
e a terra egli cade, con botto mostruoso.

Non sa quanto tempo rimasto sdraiato,
ma appena apre gli occhi cos illuminato;
non tanto il sole, che pure di fronte,
ma quella splendida, candida fronte.

La povera donna un po imbarazzata,


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sventola carte per laria strozzata,
appena Ruggero si desta stordito,
lei subito china, con fare impaurito,

con un fazzoletto lo asciuga dal sangue,
la mano gli pone a sfiorargli le guance:
Ti prego perdonami, sono distratta,
oggi fa caldo e la testa mi smatta,

poi sono in ritardo e non ti ho notato,
scusami, scusami, se ti ho calpestato.
Ruggero che ancora non pare ripreso
dallurto, dal sangue, dal naso ormai offeso,

non sa cosa dire, e non dice niente,
la guarda arrossendo, incredulamente.
Oddio che sbadata che sono, perdona.
Ma qui non accade che passi persona,

cos io correvo, correvo veloce,
ahim ceri tu, ti ho colpito feroce.
Ma adesso che c che non parli, che hai?
Oddio! Oddio! Che guai! Che guai!

No, prego, tranquilla, non certo niente
Ruggero ormai desto si alza imponente.
Cerca lo scudo che insanguinato,
riprende la lancia e lelmo piumato.

solo un graffietto, non fartene cura,
son altre le cose di cui avere paura,
dice cercando di dar limpressione
di esser guarito, ma la confusione

si affolla continua per quelle cervella,
peggio di un fabbro che forte martella.
Allora la dama, che si sollevata,
gli tende la mano e gli dice ammantata:

Piacere, mi chiamano tutti Isidoro,
un nome gentile, fa rima con oro.
Sai, stavo andando, e molto di fretta,
qui dietro, sai, dove c una piazzetta

Cos si interrompe, non chiude la frase,
qualcosa la svia, la cambia di fase.
Che stupida sono, non ho fatto attenzione,
forse anche tu sei pronto allazione.

Bene! E che bravo, ci hai proprio azzeccato,
un elmo, una lancia, uno scudo ammaccato.


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tutto appropriato alla nostra battaglia,
forse ti manca una corazza di maglia.

Eccola tieni, non molto dorata,
ma certo alle vesti che porti adeguata.
Gli dice porgendogli due larghi cartoni,
annodati con spago con su paroloni:

in uno c scritto con nero dinferno:
Precario sar chi detiene il governo
Nellaltro di contro, scritto di rosso:
Precario vuol dire abitare in un fosso

Ruggero la indossa, leggera armatura,
con questa non pu pi temere paura.
Nel mentre Isidoro con alta protesta:
Evviva! Evviva! Si va in manifesta!

Ruggero non sa che cosa accaduto,
se un sogno, se sveglio, se ancora svenuto.
Eppure una cosa gli appare lampante
ha capito che aiuto portare allistante.

Sar paladino di queste persone,
alle quali appartengo per mia vocazione,
che ormai mi son posto, che lieta fortuna!
Arrivo schiavisti, abbiate paura!

Mentre a ci pensa la dama lo prende,
lo porta con lei dov laltra gente.
Ruggero di fianco a quella donzella,
non pu non notare che il sedere scodella.

Assieme si partano, lascian la chiesa,
che povera, sola, da anni indifesa,
in Ruggero sperava di avere un amico,
ma in lei sfuma il sogno, poich si partito.



Notizia.
Giuseppe Fonte nato a Vimercate nel 1987. Studia Lettere Moderne a Milano. Nel 2008 ha
partecipato al concorso Subway-Letteratura con la poesia Ultima tratta, classificandosi secondo.
Ha collaborato con lassociazione A.P.E. alla stesura e alla realizzazione di spettacoli-lezione gioco.
Nel 2010 ha pubblicato, per AbsoluteVille, Il poema di Isidoro (un estratto) Giuseppe Fonte e la
nuova narrazione in versi, a cura di Vincenzo Frungillo, contenente anche un componimento
poetico intitolato Oltre la siepe.



278
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Luca Minola


Il silenzio dei grigi
da ascoltare.

La sera e gli strappi
dei colori, un tramonto.

Liscia la mano
lisce le dita che muovono
i pastelli.

La punta che vedi,
sei cielo a secondi.

*

Mattino sulle labbra.

Apri le finestre,
gli anni sbocciano
in superficie.

Vivremo respirando
va sempre lunghia a scavare.

Terra su terra.
Radice su radice.

Sar eterno il nostro mattino.

*

E quando la luce nelle insegne luminose
esplose, ci fece di cera il petto

(tornando da occidente, i fuochi
di una guerra ingiusta).

Dai sensi persi a raffica
la sabbia di cui mi lavo
ancora solo.

Come la nascita.

Lelettricit delle foglie in autunno.

*

Parola cortese si dice il buio


279
279
con le spalle a punte
di stelle illuminate.

Il tavolo della cucina:
misura umana.

Cicatrici dei punti, spazi
aperti nelle frasi,
il tempo offeso
lasciato con lo sguardo.

*

Dei propri polmoni fumare
la cenere residua,
inalati i gesti.

Secondi da buttare
gli orologi fissano tempi nuovi.

Ti crescer nella testa
la luna e vissuta e nel profondo
e mangiata avrai la lingua.

*

La lingua mancata,
carta vetrata dei sogni.

Il taglio delle cartilagini,
ai piedi i cuori del combattente.

Il battere armato della sveglia
( tutto esplode).

Viene gi la terra.

*

Dopo c la stanza dei ricami,
la toppa del maglione
da ricucire ( il tuo incubo),

lacci, cotone, il viso che hai
mostrato per rendermi
le ossa al tempo, credi

la frammentazione della lana.

*



280
280
Donami uomini
da illuminare

nelle bombe dei mercati

resi luce dalla luce.

Miccia accesa, rumori
di corpi che strisciano
sul balzo della strada.

Ancora ali fatte di cera,

si fa ancora la carne.

*

Scheletri dei corpi.

Il ribollire dellautunno
negli abiti il cotone freddo.

Mani di garze, foglie
di garze: i castagni.

*

Non ero io
oltre la penombra
a portarti le mani l,
verso il seno
stupendo e rifatto.



Notizia.
Luca Minola nato a Bergamo nel 1985, dove tuttora vive. iscritto alla facolt di Scienze
Umanistiche ad indirizzo letterario nella stessa citt. Ha pubblicato alcune sue poesie sulla rivista
Poeti e Poesia. Altri suoi lavori sono apparsi su riviste on-line quali Absolute Poetry, La
Recherche e Poetarum Silva.



281
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Luciano Neri

PRIME FIGURE MANCANTI


I.

(scontri ad Exharia)

La loro testimonianza una casa diroccata,
ad ogni rincorsa una stanza buia: immagini
perse senza commento mentre ai colpiti
unoffesa vera, la morte di un innocente.


II.

(espatriati)

Fuga dai luoghi, dal collasso bianco.
Non si riusciva a trovarli nella memoria urbana
dei disarmi. Era necessario vagare per i vialetti alberati
nelle vicinanze di Ermou, oppure il tragitto partiva
dagli scavi del quartiere fantasma di Omonia.
In aiuto potevano arrivare i cani di strada
dal Pireo, tracce infantili marine come argine
senza adulti.


III.

(giorni a Berlino con D. nel 97)

Si parlava di venire allEvangelico a trovare un simulacro.
Questa la scena vera: nel circolo sanguigno un cimitero
di globuli rossi, una memoria zuppa di nutrienti ospedalieri
in un corpo quasi luce. Tra il respiro e le vene uninfermiera
di guardia: dal greto inquinato della rimozione fino alla veglia
un sentiero funereo. Ogni avventura rianimata cambiando ago
nel sangue, scenario, da l passa la voce.


IV.

(timidezze di D. e rimozione fino a Kreuzberg)

dal greto del fiume fino al sentiero funereo
della rimozione una dama in pelle nera
mentre quellaltra gente a chiedere dove era finita
e noi italiani a dire la povert ti tramortisce
al buio del quartiere orientale ma quelli ci guardavano


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fissi anche anni dopo denutriti perch avevano fame,
il carrello della spesa vuoto, senza promemoria.


V.

(partita a scacchi)

Le stagioni rigenerate sul corpo della povera Ana,
il mondo esterno a scrutare un dolore ormai autoimmune
una scacchiera a grandezza duomo al centro del parco.
Ai quattro lati panchine gremite e dietro solo di pochi anni
tribune di soldati e civili i confini presidiati dalle armi
a 30 Km, intorno leconomia della ricostruzione,
mentre poco pi lontano, lungo i binari, il tunnel
sotto colate di cemento le mosse dei fanti nel pensiero
comune di ogni giocatore, il rancore sepolto nellaria
attraverso il cifrario degli scomparsi.


VI.

(primo viaggio di Leo)

Sei in ogni bambino, al parco con la mamma
dentro un aneddoto a colori dellHaggadah,
al Consiglio di Jajce: esatte le parole a una terra
lontana. Ora tra le memorie adulte un sonno pesantissimo
lo distoglieva, i passeggeri impietriti. Vedeva la rotta
marina irreale nelle loro pagine deserte, un fantasma
alla ricerca di luce. Il labiale degli insonni era la lettura
scomparsa che preferiva, sembianze bianche inconsolabili
private di corpo.


VII.

(correzione del tema)

Nel luogo della fuga e in quello della cattura
posto di blocco e fine della corsa. Ecco lepilogo:
scambio di persona nella cella di un camion.
Poi i chilometri fino allItalia. Ora la sembianza
del morto nel corpo del giovane un campo minato
di segni nel bianco del racconto un trasporto dacqua,
una vita al buio.


VIII.

Una casa in piedi per miracolo, ancora segnata


283
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dai colpi di mortaio, le rose sui muri, il suo scheletro piegato.
Ora il tema di quelle memorie scontato senza velature
fino al riparo della scrittura, tanto che il loro confine
si riduce a una fiammella di candela, giusto per lo sguardo
dei senza perdono gli interni muti rassegnati dei paesaggi.


IX.

(il fuoco amico)

Malgrado due figli vitali e una casa ricostruita
fa fatica a ricordare i nomi sotto i colpi
del fuoco amico il mio affittuario era tra gli ottimisti
pensava che lassedio sarebbe durato poche ore.
Ora non distingue il presente dal passato,
quello che dice dal futuro. La sua vita una linea
stesa disarticolata: senza inizio n fine come fosse
gi morto senza il conteggio di tempi, luoghi e ricordi.


X.

(itinerario e mappa con ritratto)

Ragazza russofinnica in partenza
nel soggiorno il deserto delle ombre
in mezzo alle ombre il giovane soldato
luce bassa itinerario interno mappa
dopo anni di assedio tutto come prima
inalterato dallanticamera risvegli
e fughe, scarpe disordinate di bambini
e adulti. Il soggiorno comunicante
con la cucina isolata (strettoia ospitale)
intorno le camere, tre, a ripostiglio.
Dalla cucina una fabbrica abbandonata,
pozzanghere e fango, due macchine bruciate,
altre ombre profughe appartate da l
la vista dei fumatori (marca Drina)
e le colline sovrastanti intorno ancora
la natura, oltre le finestre e le fessure
delle crepe nel bianco di notte soldati
fantasmi odorano di grappa imbracciano
fucili, camminano dispersi senza confini.



Notizia.
Luciano Neri (1970) vive a Genova, dove lavora come insegnante. Ha pubblicato Dal cuore di
Daguerre (Firenze 2001), La spedizione del controtempo (in Nono quaderno italiano di poesia
contemporanea, Milano 2007) e Lettere nomadi (Novi 2010). Suoi testi sono presenti su varie


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riviste e blog di letteratura. I testi qui proposti sono parte di una raccolta inedita dal titolo Figure
mancanti.


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Gilda Policastro

I cari altri

Non come vita

Gli altri sono:
mangiare il panino a morsi,
gridare al telefono e
sputare
mentre lo fanno

I gesti che non durano,
la bambina dire ciao dalla porta,
e lui che ci hai dormito, una notte,
la mattina non ne sai il nome pi
- ma non come pensi

Gli altri sono:
il ventre che spinge
sotto le calze, e sopra i seni
le mani,
ma pensare che non resiste,
e okey, ci sentiamo domani

Ununica forma, o misura, ha il fare,
il resto represso
dal vestito di madre,
dal divieto,
e pi chiedono, gli altri, pi ingombrano,
meno ci stai

con gli altri sono:
i figli, morire, tu-figlia-loro-morti,
e le coperte, e il velo
e i pigiami e le giacche
gli altri le porteranno, le butteremo,
e quel giorno non verrai
nel sogno a rimproverare

non come vita, ma pi di dormire o meno,
adesso non ricordare, non dire il nome, che non sai
degli altri, che a te chiedono, loro,
di non andartene

e che hanno paura,
non vanno a letto, non si sdraiano come damore,
eppure non passa, non va-e-non-viene, e sono a met

*



286
286
Allombra

non eri quando hai
chiamato che
il resto dellattendere,
o lombra,
che risana
di poco, ancora Non fa
ponti, ma barriere
landarsene

stabile, stabilire la cura se
dura chiamami, quando sai
qualcosa, anche tardi

ho spento o si spento:
nel cellulare dei morti
arrivano i messaggi
e nei messaggi dei vivi,
le condoglianze

ne conto trentacinque,
di amici che stringono forte,
che abbracciano stretto,
che comprendono
la pena e noi

mangiamo il riso al buffet dospedale,
guardiamo nei piatti, ridiamo
perch se n andato il rantolo,
i piedi a terra
come fanno,
tutti, ha detto la zia, che piange

Che piangono gli altri, sempre,
e non vedi che hai bloccato la fila,
allamica, che muoiono sempre
gli altri
e noi, a consolarci

*

Il conto dei morti

Seconda, la nonna Sabella ch dritta
di fronte al fuoco:
lhanno imbalsamata nella coperta di pelliccia,
se no ci ricasca
come le ruscedde
per il nonno Peppino,
ch primo, e che siede di spalle


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287
di fronte al tigg delle sette
le sere, e nessuno pu andarci davanti
tranne le volte che chiede Ma li compri i carciofi,
tu, a Roma,
che sono grandi, e se ci vado
la domenica a passeggio
in via Nazionale
che pure quella
grande,
ma dopo
lo zio che spinge
davanti al tigg delle cinque, mentre
la nonna, per dormire, si prende la ragazza
Marianna, poi lultima lha fatta cadere
dentro al bagno del femore rotto,
e la madre si depressa di quei pomeriggi
che sedeva sul portico
al mare,
che i morti sono statici,
non si muovono mai
dalle foto dal basso,
in mezzo ai fiori, e sopra ai lumini
- li cambia il padre ogni cinque giorni, regolare-
Ma che dopo cambia i treni,
o gli auto, a tre per volta,
e quando scendi, ancora viali,
e corridoi,
lunghissimi - Percorso giallo-,
fino alla sera che in un posto fuori dal Gra,
che si va:
ci arrivano in tre, con la Clio rotta
e che cosa ce lavete portato a -
poi muoiono anche altri, certi che non conosci o parenti degli amici
(il padre Simone, la mamma Dora),
che questo che dicono vivere,
quando certe volte ti scrivi con qualcuno:
sai chi morto

*

La cottura del pesce

ti odiano perch sei viva
le ottantenni delle amiche, in eurostar, e
a una certa et tutto invidiabile, aggiunge, mentre
dei figli si raccontano poi o del pesce, che va bollito
nella sua stessa acqua, per insaporire:
le ascoltiamo ne ridiamo,
continuiamo lui a leggere io a dormire,
guardando i prati, le montagne, i porti
coi primi bagnanti al sole di pasqua


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288

abbiamo cercato le tracce
nei conti da pagare, nei soliti fiori,
li metti tu, che ho sfondato la sedia, lultima volta e
poi dalle cartelline sono emersi
i romanzi, che iniziava quellanno,
mentre i parenti debitori sono in vacanza, al mare,
e, ci sentiamo, state tranquilli, la prossima volta

sei stai bene peggio, perch fai la tua vita
vuota di ombre,
e se male ti ci pare di sprecarla, proprio perch
il prete dice che non si vive per poco e si muore per sempre
ma il contrario, o ci si rincontra, e quasi
vien da sperare di no, per loro
che potrebbero ricominciare a litigare,
dei parenti debitori, o dei romanzi

ti odieranno finch sei vivo o vorranno
sentire della musica, ballare perfino
(lui va a scuola di tango)
come si pu adesso in noi che stiamo
oppure smettere le corse, i romanzi
e andare a vivere dove non siamo che nati,
ricomprare la sedia, bollire il pesce nella sua stessa acqua,
leggere coi cugini ch morta la vecchia, bruciata
mentre era fuori per la spesa la badante, e
dire che tutto inutile, le scelte, quando il destino bussa,
e passa



Notizia.
Gilda Policastro nata a Salerno, cresciuta in Basilicata e vive attualmente a Roma. Italianista,
critica, scrittrice, ha pubblicato libri di critica e di teoria letteraria e il romanzo Il farmaco
(Fandango, 2010). In versi ha esordito con la raccolta Stagioni e altre, nel Decimo Quaderno di
Poesia (Marcos y Marcos, 2010). Ha partecipato a rassegne e performance, vincendo, tra laltro, il
premio Antonio Delfini, edizione 2009, e il premio Mazzacurati-Russo con il prosimetro La
famiglia felice (dif, 2010). Il suo ultimo libro in versi Antiprodigi e passi falsi (2011), con cd
realizzato insieme al musicista e compositore Massimiliano Sacchi per la collana "Inaudita" di
Transeuropa.



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Andrea Raos

Da Lettere nere. Un'autografia (13 marzo 1996 - 21 gennaio 1999)

et je ne puis approuver que ceux qui cherchent en gmissant.
Pascal

2.
LA VENUTA DELLAMANTE MERAVIGLIOSO

fantasma della prima persona
e spina singolare nella carne,

indubbio che potrebbe ricordare ogni dettaglio. e dunque, o pura e semplice finzione o sta
evitando di scontrarsi con qualcosa che gi sospetta essere troppo doloroso per lui. osservato a
lungo, in questi giorni, non sembra che sia poi cos cambiato rispetto a come lo si ricordava. pure
certo che lentamente, forse troppo lentamente, si sta avvicinando al cosiddetto punto-limite. lo si
pu notare da certi scatti dumore inusuali, una voracit accresciuta. il sogno, la piaga. tuttavia, non
pu ancora dirsi lo stato alterato, lanimo convulso a pareggiare i conti, dun ricordare completo.
constata almeno che ha prodotto ferite profonde con tradimenti e menzogne della specie pi banale,
facendosi adatto ai contesti o alla sua percezione di ci che ci si aspettava da lui in quel momento.
vie duscita non ne ha. non ne vede, cosa chiede. non mostra esitazioni, daltra parte, quando si
tratta di rivivere certi eventi particolari, purch a lui favorevoli. ha gi tentato di definirlo un gettare
luce su fatti ignoti a tutti. favorevoli nel senso pi concreto, come potrebbe esserlo il prestito a
fondo perduto di una somma di denaro, o un regalo imprevisto. questo non molto spesso. non mai
stato molto abile, dice, con i regali. o troppo o troppo poco. come che sia, di fatto non la prima
cosa alla quale si pensa quando si pensa a lui. si visualizza piuttosto una presenza incostante ma
florida, lucida e vivace. che sono tanti aggettivi per non dire nulla. una sola traduzione del suo
volto, una pazienza illimitata, messa in dubbio dalla piega angolosa dellorecchio sinistro, dallo
scattare improvviso e frenetico, spesso, delle palpebre. non pu credere che sia vero ci che dicono
di lui. rifiuta di accettare la malvagit, cos che la definisce con il tono di chi vuole insultare,
loggettivit della statistica, lo stillicidio dellinfinito potenziale, chiede a noi se non vediamo
numeri complessi che ruotano, sfere di cristallo sospese nel vuoto, saldate al buio incastrato a sua
volta dentro sfere dalabastro, in eterno per simpatia vibranti per materia su materia, alle soglie
della coscienza, nellanticamera della memoria, che scorrono a fluire lentamente finch sembrano a
guardarle palloni aerostatici di forma inusuale avvicinarsi e allontanarsi, ad inghiottirlo quasi od a
sfuggirgli, con la lentezza tremenda figlia della sua allucinazione. durante questo scorrere di tempo
considera le migliaia di secoli bambini che ha passato a navigare a vista in questo sogno. comunque,
rifiutare il riassunto di una vita forse semplice istinto di sopravvivenza della maschera dellio
individuale, quella riversata nelloggi, lattuale, della volpe che si recide la zampa per sfuggire alla
trappola, nel qual caso la metafora istantanea del sangue sulla neve avrebbe trasparenza superiore
ancora a quella della neve stessa, o in ogni caso per semplice lucidit di sovraffollamento, che
sarebbe allora mentale, dopo praterie per centinaia di chilometri, sino alla scogliera, con soste
irregolari e brevi, costellate di striduli richiami, scatti dettati dal panico, zigzag dopo zigzag sino ad
affastellarsi in un fantastico domino gi afflosciato in forma di citt luminescente, il lemming
insegue il picco pi profondamente inciso per sbocciare a milioni, alla superficie delloceano a
milioni contro le onde, milioni di onde come solo movimento, grido il balzo banale gi sbocciato
addosso all'acqua calcolabile allimpatto. questa la certezza da uomo daffari della terra e sfigurato
da tagli coincidenti con la volta celeste che lo conduce per viottoli, volte e torrenti, autostrade e
rigagnoli, elettricit. un caso mai inventato. per questo non chiarire, mai, il campo desperienza. si
limita ad enumerare una serie di possibili fattori scatenanti. che cosa appunto nasca da ci, non lo


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dice, oppure tenta forse di comunicarlo per vie meno diritte. movimenti di una spalla, sguardi
diretti, sguardi, sguardi di sfuggita, il suo gesto abituale di sfregarsi la fronte. una cosa che racconta
spesso, probabilmente per sviare lattenzione, unaccurata descrizione del giardino della casa in
cui cresciuto fino ai cinque anni. fatto sorprendente, forse al limite dell'attonita mistificazione, per
chi sostenga la fallacia, la morte implicita in qualsiasi vita vista in forma di autobiografia, sarebbe
in questa luce veramente questa vita in quanto cuore vuoto e colmo di un fango acidulato e grigio,
pulsante con la regolarit di uninfezione, ogni mattina da riconcepire in quanto contraddizione e
vanit di ogni cercare, voler cadere nella tentazione del piede in fallo, del vuoto ricco di senso che
dovrebbe nutrire, dissetare chi, e parla di chiunque, ma al posto suo pensando sempre, forse, e poi
ancora, basandosi sul suo valore e la miseria altrui, su chi frequenta i cuori di coloro che eccellono e
degli umili, a chi col cuore vuoto cerca pace fra tutti costoro, chi dice di riuscire a rimanere, in
quelleredit detta, navigante a vista nel male originato dalla fine del male, ma sa bene che in fondo
non nulla, invece, e in ogni modo, e non lui, ma in particolare, ed sorprendente vedere come si
accalora, allimprovviso, per sottolineare, questo, con veemenza, laspetto estraneo, quasi ostile,
degno di una giungla inesplorata, rivestito nella sua immaginazione dalla serra in rovina nellangolo
pi lontano dallabitazione vera e propria. una serra piuttosto grande, se i suoi ricordi sono esatti.
purtroppo, dice, su questi soli che pu basarsi, perch passato davanti al giardino, molti anni
dopo, ma i proprietari successivi lavevano abbattuta. pi nulla. a tal punto che non si nasconde il
timore che non sia mai esistita e che di conseguenza lui stia costruendo su fantasmi. ebbene, di quel
luogo in pieno decadimento, cui era proibito anche solo avvicinarsi a causa delle vetrate in pezzi
che disseminavano il prato di aculei trasparenti, limmagine pi vivida che gli sia rimasta quella di
un gatto, fulvo e bianco, che fu scoperto imprigionato negli angoli spioventi del metallo. un gatto
ferito, curato da tutti con grande attenzione e affetto. dal suo punto di vista, nellottica delle sue
preoccupazioni attuali, laspetto pi degno di interesse dellintero episodio che non ha
assolutamente alcun ricordo di che fine abbia fatto quel gatto. svanito nel nulla. per qualcosa vi
qualcuno con memoria della fine? il salvataggio, lui, s, forse proprio perch quellatto aveva
racchiuso in s la sensazione forte, lo strappo dellavvicinarsi, attratti dal persistere del gemito, alla
zona proibita, ma non cos la sorte successiva, nel quotidiano, dellanimale. forse fuggito, lasciando
un ciuffetto di peli intricati in una cornice di rovi. oppure morto. anzi, oggi sicuramente morto,
soggiunge ridacchiando. mortissimo proprio. soffio che non trasporta pi nulla, sar a dir tanto
montagnola di sabbia fra altre mille, su una spiaggia deserta, allombra di una schiera silenziosa di
pini marittimi, al massimo sar lincunearsi dun aculeo fra la corteccia e il tronco, per allora
sullorlo sfrangiato di un cecidio, che pu chiamarsi anche galla, quel tumore che si forma nelle
piante come reazione allintrodursi di un organismo, vegetale o animale, il penetrare di un
organismo estraneo, in cui a quel punto sar qui, in compagnia sua, a respirare allora laria
ghiacciata del non respirare pi, il capogiro del non potersi pi dire per domani avrei voglia di
inventarmi una vita diversa. ma ben poca cosa, lui lo sa e lo ha sempre detto a chiunque volesse
ascoltarlo, sarebbe comunque sopravvivere a, grazie a una teoria di sinonimi in cui per restare
senza fiato anche solo per avere chiuso per la durata di un battito gli occhi. perch questo ricorda. il
timore di una cantina buia dal fondo sconcertante e immenso, i pi orrendi pericoli. eppure questo
non gli serve che a sbloccare unaltra idea che scorre da un fiume pi lontano, un fiume calmo, dato
che sepolto in fondo alla memoria giace l qualcosa che appartiene, il sangue e lanima ed il
muschio venoso che di questo corpo bacia tutte, ognuna cavit, che appartengono, lui dice, alloggi.
la pazienza che chiede per questa immagine abusata di oggi e ricordare perch ritiene di poter dire
tramite essa una cosa importante, una cosa che potrebbe fargli attraversare indenne la fiamma di un
momento della vita. perch quando ci si trova immersi nel buio, questo il punto, quando si sta
immobili nel fondo fisso delloscuro, viene spontaneo ritenere che la vista fra i sensi pi di tutti sia
del tutto inutile, che si possano stringere le palpebre e affidarsi, nel difficoltoso incedere, alludito e
al tatto, oppure attraversando i meandri dellodorato leggere lambiente. vero, in fondo a cosa
serviva quel giorno guardare piangendo attraverso il vetro rigato di pioggia senza vedere nulla se
non ad aumentare il carico di sofferenza di ogni umano, a dare nostalgia, martoriarsi e palpitare di


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piaga per ogni breve accendersi del mondo visibile, dovunque e quale fosse in ogni istante? eppure
proprio in questo risiede, secondo lui, ci che in fondo forse proprio necessario: spalancare gli
occhi nelloscurit, non cedere al non poter vedere. e non questo un rivelarsi al vero o al vuoto,
non gi toccare il fondo o spacciarsi per gioioso o per amante o disperato o lucido, no, ma prender
fuoco solamente, a partire dalle palpebre e allargarsi e tendersi scendendo sempre pi veloce sino a
diventare guizzo e turbine nei punti che lambiscono lesterno, sapere che non si vedr mai di s
questo lampo, non percepito e mai visto per converso allora il nero, nulla chiede, non c niente, e
da dietro le palpebre, da fusi alle pupille, divenuti per un attimo quel guizzo, navigare sino ai lembi
estremi del sistema nervoso centrale a vacillare sul bordo della pelle ed immediatamente su di
nuovo, risalire incespicando dalla periferia della mente contro il flusso del sangue e delle
sensazioni, tornare e ritrovarsi dopo ancora a quello stesso passo esitante nella stanza affondata
nelloscuro. cosa stato? dunque non vi sia posto qui per questo frammentario immaginare un rivo
dacqua o di sudore, sentito scorrere sul dorso, modulato dalle pieghe della spina vertebrale,
generante un suo pensiero sulle sensazioni, in s sgradevoli, ma che possono portare la
consolazione, amara e parziale, insapore e proprio poco sostanziale, il tempo che comunque scorre,
di questo e grazie a questo scorrimento, in questo corpo che lo prende e lo sopporta in pieno. no, ma
sia, che piaccia o no, sia questo nascere nel nero, dentro la felicit. e subito dopo, corpi semplici. ci
ha gi provato innumerevoli volte, si sgolato, ha pianto, ha annerito risme di carta - perch sono
queste le sue forme, le sue volte mentali a sesto acuto in geografia -, ma ancora adesso non rinuncia,
tenta ancora di raccontare questo sogno che ha fatto tempo fa, un rapporto diretto con la storia del
gatto. in realt dunque quel felino minuscolo si trovato coinvolto in un complotto internazionale,
il rapimento di un personaggio importante, anzi, ancora meglio, la figlia di uno scienziato, cos
perfetto nel suo immaginario. le autorit hanno messo al gatto un collare fosforescente per seguirlo
nel buio. amico da sempre della ragazza, compagno di giochi e miagolii colmi di ogni delizia,
lintelligente bestiola lha rintracciata allolfatto nel labirinto della metropoli. lindagine si conclude
con un pieno successo. o altri libri di questo tipo, che divorava con ansia ed affetto allepoca degli
eventi. e dunque gatti come corpi semplici, le due parole che ha sognato, corpi anchesse,
vividamente incise su un fondo scuro in modo da risaltare abbaglianti, fanno definizione del felino
minuscolo e mortale che cerca la ragazza attraverso lurlare dei gas di scarico e il gemere sommesso
delle macchine umane. questo nostro stare inchiodati come mici su un albero, in questa metropoli,
pertanto un lampeggiare di profili su un fondo bianco, rinascere aspirati da un tubo di scarico, una
sostanza che bacia la coscienza, non dire parolacce, trattenersi, sentirne colare labbraccio umido e
vischioso, di questa coscienza come di ogni altra, sotto la maglia di cotone che avvolge cosce e
polpacci, percorrerti ridacchiando la pelle. e poi un altro sogno di felicit bruscamente interrotta,
oppure dal finale interlocutorio. un uomo anziano, ovvia proiezione del sognante in un qualunque
decennio futuro, che cammina per raggiungere la sommit di una duna fra un numero incalcolabile
di altre, un paesaggio dolcemente scosceso. su questa, possiamo immaginare, intende assistere al
sorgere del sole, spettacolo che, come sa chi ci stato, ha nel deserto un peso nuovo. in quel
momento, proprio nel preciso momento in cui ha finito di arrancare a fatica sul pendio e sta per
accovacciarsi tranquillo sulla sabbia ancora fredda dallaver subito la notte qui al suo estinguersi,
viene punto da uno scorpione e muore prima di vedere il disco celeste spezzare la linea
dellorizzonte per trasformare in nuovo giorno la danza ondulata, abituale, dei richiami a un altro
grido pi contratto che un istante prima vi tessevano le rondini (chi avrebbe mai detto che pieno di
rondini il deserto, ed cos eppure). la fine delluomo non fa parte del sogno, che si interrompe
appena prima giacch a quanto pare non mai possibile sognare la propria morte, invece una
proiezione pseudologica nata dal rimuginare ora colante tipico del risveglio dopo una notte
tormentata. lei invece, la ragazza adesso donna di stanotte, come tutti quelli che ha sognato, non
come quelli che sognava, ancora un altro e un altro ancora e viscido mai sempre non tornare, che
lemure di qualcosa di simile ad un incontro principe, un evento, agli occhi suoi ha in s tutti gli
squarci e le prospettive possibili di unevoluzione non inevitabile dellesistenza. poteva non essere
quella che . potr non divenire quella che gi fu. ovvero il cammino che si sarebbe potuto


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imboccare, tra i rovi con passo esitante, per uscire da una rumorosa assenza, individuare percorsi
per entrare nella serra fatiscente e uscirne con il gatto fra le braccia senza tremare e senza ferirsi o
perdersi. tracciare un cammino non mistico, non intellettuale o razionale, sola logica vitale, pensare,
sopravvivere, s stessi, non questo sto per diventare. ovvero il saper vedere appena al di l, da
qualche parte, su un orizzonte poco o nulla definito, ma certo, ecco che cosa cercavo, ecco cosa
avrei sempre voluto fare, ecco che sto facendo ci che sento. lui la chiama, cercando di riderci
sopra, quellineffabile, rara e preziosa sensazione dellessere daccordo con ci che si fa o si dice, si
pensa o sente. ma deve stare invece attento a non tagliarsi, non un semplice soffio delle spine sulla
gamba indifesa nellinventato sentiero inquinato da mali universali ed onniscienti, da serpenti, che
suonano per lui di richiami stridenti nella mente e si colorano nel nome della voce di chi lo mise al
mondo, per pomeriggi interminabili e calure prive di discorso o evoluzione lineare, ma veramente il
vetro rotto che lo accecher nel sole e far brillare, in seguito, la terra di un autunno pi rosso e
denso in ogni zolla del pi cattivo succo cosa da dimenticare. sta cercando per vie impervie di
calcolare le potenzialit esplosive dun fulmineo ritorno alla radice, uno scavare alla base del male,
valutando che questo potrebbe portare a un chiarimento, se non addirittura a una riparazione, una
scomparsa, un essere cancellata dalla terra e dalla memoria di una qualunque catena di eventi.
perch in quel sogno appariva tutto cos semplice, cos ovvio, cos lontano dal tormentoso e
costante punzecchiare del reale, come se in un solo soffio appannato di respiro fosse rinato,
gloriante e luminosa questa vita, un trascorrere i propri giorni al mondo grazie al modo di una linea
unica, non retta ma continua, sottile ma non fragile, incostante nel costante mutare ma forte invece,
molto forte nel mostrare ridendo la propria direzione attraverso labbaglio quotidiano, e allora
questo e altro si domanda tormentandosi le mani tormentate, facendosi pesare la sua assenza
mentale di ali robuste a sufficienza per affrontare un tale immaginario volo immaginato in cui si sa
schiacciato da un teorema, sa da sempre e per sempre la vita un fascio di parallele, ma ecco
allimprovviso due rette che lo intersecano. i segmenti di esistenza che ne risultano comunque
proporzionali, compi un gesto e non sfuggi alla conseguenza, alleco, allamplificarsi e ripercuotersi
che ti crolla addosso con limmensit di una colpa universale non tua ma propriet di ognuno e al
tempo stesso solo tua per ci che hai commesso non sapendolo, per ci che hai ben fatto volendolo,
per ci che non hai mai neppure pensato, ma che sicuramente ci pensavi in fondo, e hai solo da
sperare allora e speri in effetti che le rette siano composte di infiniti punti per sperare quindi di
dissolverti infine nel continuo e nel ruotare armonico di un qualunque infinito e cessare di esistere
come entit separata e condannata a sperare e, a tuo modo, come credi, se anche ti fa piacere
crederlo o anche se cerchi di non pensarci, tuttavia non ci riesci e resti sofferente di un dolore che le
parole non trattengono con s, non in quanto troppo grande ma perch privo di nome, di che non
chiedere nientaltro e poi cosa sperare pi. a questo sostiene di essere giunto. vuole continuare e
quindi continuer, dice parafrasando in modo pi inconsapevole di quanto non creda, nel momento
in cui afferra unasticella di legno leggerissima con la quale ha manifestato lintenzione di tracciare
e traccia effettivamente segni criptati sulla sabbia, destinati ad eccitare la fantasia dei bambini che
potrebbero passare giocando su questa spiaggia. potr sembrare strano ma lui sembra abbastanza
convinto che ce ne siano, sostiene di averne gi visti che giocavano a rincorrersi, a una ragionevole
distanza da lui, apparendo e scomparendo dietro i ligustri sparpagliati a siepe e strangolati da
rizocarpi e licnidi, da geografici e canini che, si dice, possono volendo strangolare un uomo e anche,
poco pi vicino al pulsare del mare, dietro i ciuffi di lavanda che costellano larea da lui prescelta in
quanto campo e in quanto immaginazione, solo come una minuscola immaginazione, scomparire e
riapparire pochi istanti dopo nuovamente al di l di quella stessa siepe di ligustri che contempla per
ore, mossi dolcemente dal vento, lui e lei, a velocit diverse ma degne nel tremante cercarsi, degne
di due amanti. ora che non sente n calma n sete, cos afferma con il ritmare solito le frasi che gli
emerge dal rumore sordo rimandatogli da ogni passo o dal battere il circolo del fiato che mille e
mille volte al giorno gli concedono i polmoni, ora che n sonno n furia, adesso pu pensare a
giocare a qualche indovinello con linnocenza dei suoi piccoli. i bambini. quelli che ha visto e quelli
che non ha visto, quelli che ha rifiutato con un moto di fastidio e quelli che ha accettato sorridendo


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un po smarrito, ma che per, torna sulle sue frasi come ripensandoci, come per aggrottare
corrucciato la fronte, ma che per ha respinto forse anche loro, soprattutto loro, in un suo limbo di
gratuita violenza, quelli con cui non sa di che cosa discorrere e quelli che lascia invece andare
sullonda dei loro magri ricordi e di aspettative sbilenche come quarti di luna, che ascolta creare
spettri di futuro senza, a giudicare dal suo sguardo, capire una sola parola o lunica parola che
continuano, dicono, continuano a dire di continuo, potrebbero anche parlare nella sua lingua o in
una delle sue lingue, potrebbero anche esprimersi a gesti o inscenare una danza rituale, lasciare
nellincertezza od ordinare in codici, ma perch non potrebbero fuggire terrorizzati alla vista di un
serpente enorme e senza dubbio immaginario, ma forse si spaventerebbero ridendo dei colori di
guerra con cui hanno adornato il suo viso sgocciolante fango. quello che , lui s, del tutto inventato,
nei tratti angolosi e bruschi, nelle labbra viola dopo un bagno troppo lungo, con il sole gi quasi
scomparso. deliziarsi loro della sua furia incongrua. naturalmente non sa dire che cosa cambierebbe
in tutto questo, da che punto di vista, in cosa qualcosa sarebbe pi facile. non cambierebbe nulla,
no, ripete fra s scuotendo per ore e ore ritmicamente la testa, spezzandosi le unghie gi rse contro
la parete. in cosa stia lo svilupparsi di un momentaneo tocco fra due correnti opposte che rimontano,
qui sta secondo lui il paradosso, il discendere calmo per miliardi di volte il medesimo fiume sino a
colmare eternamente il ribollire di unacqua totalmente immaginaria. ogni cosa accadrebbe proprio
l, nel punto in cui il liquore degno di tutte le fantasmagorie di lampi originerebbe incubi travestiti
da sogni, case o serre votate alla rovina, animali mai esistiti o gi scomparsi. oppure solamente
cenere. ma questacqua in cui gi si tuffano piangendo alcuni. ma voler dimenticare anche solo di
averli mai visti. potrebbe cos ricostruire lintera scena, facendo in modo che tutta la banda delle sue
presenze riesca a ritrarsi, in preda allorrore, alcuni gi cianotici o bluastri in volto, e addormentarsi
o spegnersi contorti in pose divertenti, ancora in preda al proprio inutile lavorio di maschere
sostenute da unidea. lo chiama lo scorrere del tempo, spera in lui, lavvicinarsi, il restare a un passo
a malapena. non una parola di ci che dice credibile, non una sillaba nella sua mente l dove
dovrebbe essere. ma si capiva che lo capiva, ed era chiaro che lo voleva, ma di lontano, da l dove
gi non era pi lui perch annichilito dal fulgore, ma tramontava, come sempre, quasi freddo
allimprovviso, violacea la pietra, e la sua ombra ingigantendosi al tempo stesso scompariva,
sembrava massaggiarsi distrattamente unanca come per attrarre lattenzione di una folla muta ed
assente, per dire che ci sono anchio qui, e pure quanto duro non esserci bench si stia sentendo
che si esiste o cos almeno credo, e poi dice ma certo che cos, come potrei provare altrimenti
questa lacerante, di mancare di un qualunque oggetto essenziale, fondamentale, non ricordo come si
chiamava quando cera, ma ogni volta cos dolce ed improvvisa, sensazione, e in questo esplode in
lui il ricordo o mostra allora di svanire, di essere bambino ed impietrirsi in un ghigno scavato e
piegato quasi in due nellurlo che sulla spiaggia vetrificata dalla folgore non ribatte, non trema, non
evoca altri accenti o desta echi, n in lui balena altra realt in cui bambino, disegnando e giocando,
tremulo, mai nato, scaglia ora il balbettio che proprio suo nel freddo che lo attornia, a mo di
melodia, per scacciare con la paura lassedio, per dire andate via, con i fantasmi che lo stringono in
amore e voglia di non sollevare mai pi i polmoni a chiedere spasmodici respiro, a qualunque scoria
e memoria, che pure sogna e prova desiderio, tanto che adesso solamente cenere il suo fiato e, per
preparare la venuta del suo sogno e la discesa sulla terra di quel mostro sogghignante che chiama
balbettando e dice che il suo amante meraviglioso c unicamente questo a mo di litania, e lecca
allora comunque la sabbia per vedere ci che vero delle grafie dipinte, del poco che ricorda,
sperando di scannare il disegno scomposto, piegato a cicatrice, che lo opprime nel profondo, vomita
la sabbia appena ingurgitata, fa sorridere, scintillano allaprirsi, le due palpebre sfiorate contro un
bordo affilato di conchiglia, oppure siano, stavolta appena pi distanti, prati in numero immenso,
costellati di chiazze alberate dietro le quali pu celarsi ogni ignota minaccia, ogni odiare lumano
che luniverso sa ospitare nel ventre generoso, ma forse non ha colpa se reitera cos anche lui per
sempre o molto a lungo a mo di litania cos, che per il fatto di concepire disordinata una tale fedelt
al mondo, lui dice allora che sta comunque uscendo, bench le condizioni atmosferiche non siano
per nulla favorevoli, di tutto questo cosa si pu dire, tanto che dopo qualche giorno di schiarita il


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tempo sembra stia volgendo nuovamente al peggio, e torner ancora e ancora a camminare su quella
spiaggia solida e lucente di una sabbia grigia e verso i bordi dolce e ambrata, che anche sia lunica
cosa che fa regolarmente, sia tracciata allora dalla linea del nadir come unesplosione di fuochi
artificiali la curvatura della terra e il sole, il drago enorme, che sia compassionevole e che volga su
di lui la lingua di fiamma schiantata verticale sulle onde, rutilante di sconcertata indifferenza alla
sorte od allet futura, un odio di calmare la volont di morte, e sia con lui per lattimo brevissimo
di ogni quando si fa la rivoluzione, di sempre quando lattirarsi luno allaltro dei pianeti copre di
una tenebra percorsa da schiocchi e sussurrii taglienti, sottili e quasi inesistenti un emisfero, un
qualunque punto, un margine, una cresta della vita che incide ignaro ognuno per portare, alla
prossima stagione, nuova pioggia a questa pioggia, cenere alla grandine, lampi che infanghino il
buio, maschere rutilanti in un immenso circolo di ghiaccio, ed gi stato detto che la chiama la
venuta dellamante meraviglioso, la invoca ogni mattina, mostra che veramente lui ci crede. con
voce spezzata soggiunge che non si tratta della morte, no, ma che sar soltanto un semplice, un
autentico amante,

vero corpo conoscente
per via della sua propria carit mortale.


Notizia.
Andrea Raos (1968) ha pubblicato Discendere il fiume calmo, nel Quinto quaderno italiano
(Crocetti, 1996, a cura di Franco Buffoni), Aspettami, dice. Poesie 1992-2002 (Pieraldo, 2003),
Luna velata (Marsiglia, cipM les comptoirs de la nouvelle b.s., 2003), Le api migratori (Salerno,
Odipus collana Liquid, 2007) e I cani dello Chott el-Jerid (Milano, Arcipelago, 2010).



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Viviana Scarinci

Datazione del mondo normale

27 agosto

questo continuare negli occhi
che purezza rifulgeva
questo chiamare in viso occhi
che purezza resisteva

a parit di sguardo
una sperequazione insostenibile
la dinamica del sentire
piombata da mille spaventi
lindifferenza che fa il viso
lindifferenza che fanno le parole
stando ferme al loro stame

se io fossi te amerei, farei solo latto
che fosse sbagliando sapendo solo alla cieca
il movimento inabissato
il fondale vivente
una spanna daria

*

28 agosto

dice che oggi le cose sono procedute
per proclami di quello
che le spinge a essere Dice che
rinunciare le rende cattive
e non rinunciare le rende cos vigliacche
da avvilirti di pi

limpotenza serve correnti
danza in vena mobilissima la sua luce
processa una furia oculata, un fittone
capace di raggiungere il cuore della terra
e toccarlo per avvelenarsi

senza scampo lamore
meno vivente, recede
la sua prudenza millimetrica
infondo a molte cose che non si sanno
e si riconoscono cos sole da vedersi per prime

*




296
296
29 agosto

la reazione solforica
muove la scena
per grandi blocchi

tirarsi appresso
un bambino ammutolito
come vagare sentendo
un lontano bisogno
di tornare dal viaggio
in cui lo perdevi

rifiutare dividere
negare catalogare
arrestare un attimo prima
di avere capitolato

passare da qui, mantenere
segreta e covata esattezza
nellerrore

*

5 settembre

questa datazione del mondo normale
questo millimetrarsi in corpo
altezze elargite dal caso
la fausta intolleranza
delle procure che mi affliggi
scegliendomi ogni volta il nome

io condanno
e somministro la procura
di crederti fino
linesistenza del dono:

credere allinnocenza
di non crederti innocente

rispondere di credere creduta sempre
quellinnocenza

averla creduta riparare qualcosa
di fondo in opera con linnocenza
del non innocente

credere con calma ai segni
che la inesistono e al suo preciso
essere illogica che non pu


297
297
essere solo specchiarti

questa mancanza alle pratiche
deve essere innocente

una specie di fiotto che deduce importanze
da una derrata commestibile
i Campi Elisi di una libagione invenduta
dove ci troviamo alle volte
armati, a non bere

*

10 settembre

cerco un luogo
compatibile a questo consumo
come un cancro adattabile
alla quiete di uningiuria motivata
il pochissimo male che conservo
guantato nello sterno effigia
ogni respiro e non
facile allesproprio questo
lessico che unge larnese
la vulva bianchissima e aneddotica
delle fiabe promesse al macello

*

18 settembre

pensavo di coglierti
lesattezza ricolma di espedienti
pesavo il flusso invisibile
esposto dentro, rivolto a filo
intessuto contrariamente
giacch lo vedessi inviolato
esistente in ovvie perifrasi
di cui il sogno era
una cartina di tornasole
leclissi di un conio avvenuto
in tua assenza credula

*

18 settembre

le loro persone per quanto esseri
di convinta dolenza le vedo esistere
non rinunciare lo scarto alterno
le cose, laria che le trapassa


298
298
e le fa sospirose mietiture
larvali giacenze non in atto la genesi
delle cose, non ancora cose dette
compiaciuti assemblaggi
di l dallaltrove che le esiste pur non
esibendole in immensa parte
e sopravvivendole discordi

*

18 settembre

larmonia confitta al segno
violaceo, al livore frammisto
lalterco che picchia il capo
contro luscio, come fosse losso
smagato del corpo senza mente
che assottiglia il varco tra i mondi

*

18 settembre

capisco che un fatto
non vedersi che una particella
della propria dimensione
pulviscolari un miglio
di netta percorrenza
affabulate le direzioni
sovrastanti ludibile, invasati
da un assunto stento, nominali

*

18 settembre

ogni giorno il tuo romanzo invisibile
un effluvio lento che tornisce sagome
viaggia nel riposto mentre vara questa luce



Notizia.
Viviana Scarinci nata nel 1973. Le sue poesie e prose sono state pubblicate su Nuovi Argomenti,
Ali, La rivista Filosofi per caso , Atelier, Gradiva, Capoverso, il Segnale, Tratti. Fa parte della
redazione del blog collettivo Viadellebelledonne. fondatrice insieme a Maria Roncacci e
Tiziana Galanti dellAssociazione culturale PoEtica. Gestisce con Monica Maggi il caff letterario
della Libreria Libra. Il suo sito web personale http://vivianascarinci.wordpress.com.




299
299
Fabio Teti

Hic


et on sait non on ne sait rien
S. Beckett




300
300

*

essendo poi lo stesso non sapere che sostanzia
i materiali e scarsi nessi della frase fase dove lanno
non quello e lui spalanca scatola in cui tiene
plastica ocra dei soldati, trovata
vuota, trovate anzi alcune
parti di neviera
lacune acacie poi la zucca
cava marcia coi barbieri
che in latino gli stenagliano
via i denti

il solo fosforo vicino alle lancette,
quando si sveglia. continua la torsione della faglia.
continua questa guerra
dipotetica frizione con la guerra

*

le dette in maggio, da Tauber,
ripeti: a ogni estremit del corridoio.
ripeti: a ogni estremit del corridoio
cera un dentista. ripeti: cera un dentista
che strappava dai corpi. ripeti:
che strappava dai corpi
i denti doro. e queste
in questo, tenre, e le altre;
viale con coppie,
sopra; con molte lu

*

no, se anche cos un coprire,
se ne fai cosa di parole da una striscia
di garza, dalle tue troppe ore al giorno di sono,
e inascoltato il vuoto, occupato per fare
che nulla accordi a nulla il
moto, e dato il posto che
dato, carbonio stia
serrato ad altro, carbonio
n fare dire dopo visti
lei una lui uno (ora posarle
lorecchio sul ventre):
che l la banca li guarda;
e che nel gastro
le stragi
...

*


301
301

c un qui e il qui conta, contratto, un
da dove. ratta sognata, da gnther, diceva:

cera. pure ridisposta come ogni e va rifatta
la struttura del risveglio seguto il gas dove porta
larco azzurro poi arancio
lungo i quattro minuti della moka

stanno pesci con in bocca
occhi staccati dal nervo
nello spazio non chiaro
cosa chiamino a vedere
ma un lavoro, ha imparato,
consentirne la
presenza
...

*

pu trattarsi di descrivere i chilometri tra il sonno
e il lavoro vanno storti dentro il buio dellanamorfosi

un problema smentire la svelta cifra di
rewind li alludono; vedi in strada
quanto fanno i cerchioni, sai ch il moto
di rotazione apparente: ci sta a dire
solo questo pi importante del punto
da cui sporgi la visione: se passato, secondi, lincrocio
dov visto nel nero del vetro del suv
quello dietro avvolto in lerci, panni, pian-
tate testa e braccia nel bidone
se tu ti eri piegato per
specchiarti
...

*

storpiti,
nel modo di frainteso che
muri metri che hanno dentro il versamento,
e non lo hanno, di altri metri e loro andare e rivolvere,
molte cose e ad un istante non vedi,
sono fabio ma ha ragione:
trovata foiba, foiba compresa
ora nel proprio del nome, e
non tenere di quello. (niente,
lei alzata, dormendo, si alzata,


302
302
che fai qui, ti chiede,
e le sclere:

che tu qui non dovresti esserci

e avesse detto, certo, avesse invece
detto essere cosa avresti poi potuto
obiettare

*

o lha calato, da mano a spalla nella gola;
trovando il fondo, no, trovato il tenero dovera
quella, dovera lunghia, e scuro il fndaco, ecco,
coi seviziati (cosa serrata nel cranio, fai non sedata).
[ nome, anche diceva, dopo grumo
di sangue di carne, e ricevuto: e il ricevuto
no, suo andare identico, murato,
da un archivio a un archivio,
e architettando: pareti, per scorte,
poi scarti, parnasi: panneggi
buoni, sapendo, al non sapere
[ la cava cavia invece che puoi farne,
fra uno e uno: che tiene
aria, dentro;

che attraversata

*

qui le parole dallafelio s il sole a filo
sui parchimetri. possono andare, passare asciutti
sopra asfalto i passi quello che fanno
delocato, calce su chiostre, costati,
le zolle zeppe dove esplodono,
bruciando, brucando i vermi quelle
sparse, caviglie parti, su terreno tutto levato,
spostato tutto. cio pure lafelio tolto: niente deporre
la versione, della lepre, quellemisfero,
la retina costretta a travisare,
per vedere, a fare il vero con
distorcere, con incistare ora nellaria
il proprio poltergeist, la macchia
cieca l dal margine di nero e accade adesso:
le buste in terra hanno una storta
in epiteli, di scuoiati il malinteso,
il male inteso, se serve
(e serve) serve a
questo

*


303
303

farlo passare, non di antre, qui se con dire
io una fistola slittato un altro marzo nel marzo,
a insanguinare; frasi hai da questi, passi sul viale,
mentre sei dentro: che baciano una testa mozzata di cane,
che ingoiano una cruda carne morta di cane
la lacuna dove li hanno-hai adunati,
sulla sabbia, in ginocchio: se
te non specchia il vetro rotto
che con gomito, o pietra; n
lascia dire la parola abitacolo
la midriasi trascinata
in pieno giorno
...



NdA. Larticolo di Elena Dusi stato pubblicato su Repubblica.it il primo febbraio del 2011, nella
sezione Scienze. | le dette in maggio, da Tauber: Henryk Tauber immatricolato con il n
90.124 nel KL Auschwitz, dove giunse dalla prigione Montelupich di Cracovia il 19 gennaio del
43 rese una deposizione davanti alla Commissione dinchiesta sui crimini nazisti in Polonia il 24
maggio 1945 a Owicim. Traggo le sue parole da Testimoni della catastrofe. Deposizioni dei
prigionieri del sonderkommando Auschwitz-Birkenau, a c. di Carlo Saletti, Ombre corte, 2004. |
andare e rivolvere, / molte cose: Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore. | gnther il
Gnther Grass di Die Rattin (La Ratta, Einaudi 1987), ma possibile leggervi in filigrana la figura
di Gnther Anders.



Notizia.
Fabio Teti nato a Castel di Sangro il 17/12/1985. Attualmente, vive e studia a Roma. redattore
di eexxiitt e di GAMMM, collabora inoltre a puntocritico e a Poesia2.0. Suoi testi sono
apparsi e sparsi on-line (Nazione indiana, La dimora del tempo sospeso, puntocritico,
ESCargot, eexxiitt, Absolute Poetry) e su riviste (Semicerchio, Sud, Allegoria). Le
poesie qui presentate fanno parte del lavoro in fieri Nel malintendere (2007- ... ).





304
304
I TRADOTTI



305
305
John Ashbery

Da Cento domande a scelta multipla


1. Il pensare pu contribuire a risolvere i problemi perch
A) i problemi esistono solo nella mente
B) i problemi devono essere presi sul serio
C) la mente trionfa sulla materia
D) non pensare equivarrebbe a ignorare il problema
E) comunque nessun problema pu essere risolto del tutto
F) nostro dovere pensare un modo nostro per cavarci dai problemi

2. Nella frase Ho passato le vacanze in montagna la parola montagna il
A) soggetto
B) predicato
C) sostantivo
D) verbo
E) gerundio
F) nessuna delle precedenti

3. Cristoforo Colombo si serv di un uovo per provare che la terra rotonda perch
A) luovo rotondo
B) un uovo d un senso di rotondit
C) le uova non sono rotonde ma ellissoidali
D) luovo un oggetto familiare
E) le uova si possono reperire sulle navi
F) luovo venuto prima

4. Una falange
A) un gruppo di uomini
B) un idolo egizio
C) un termine che denota forza militare
D) un partito politico
E) una pianta che si trova in zone paludose
F) una promessa che si fa a se stessi

19. Se una libbra di misto noci costituita da due once di noci, quattro once di nocciole, dal 20%
di noci brasiliane e per il resto da noccioline americane, quante once di noccioline americane ci
saranno?
A) una
B) 1
C) 1
D) 2
E) 2
F) 2

43. Loro sarebbero spesso stati morti perch
A) noi non siamo loro
B) noi non loro
C) della tremenda verit


306
306
D) non ci si poteva fidare di loro
E) non mangiavano abbastanza
F) la biografia ne enuncia il motivo

44. Duro e/o bagnata possono anche voler dire
A) succoso
B) esoterico
C) triviale
D) pomposo
E) il quinto cavaliere
F) monolitico

60. McLuhan Larte qualsiasi cosa con cui si riesca a farla franca per
A) Marshall McLuhan
B) ci si chiesti
C) sopra la casa
D) performance
E) performance espiare
F) a un nuovo tasso

70. Un problema per gli astronauti del futuro sar
A) ligiene
B) amici del cielo
C) eccessiva perdita di peso dovuta alle radiazioni
D) perdita dello spazio
E) la monotonia dei viaggi spaziali
F) leccessiva eccitazione dei viaggi spaziali

71. M P, M S, quindi S
A) S
B) M
C) P
D) M pi S
E) MS
2

F) P pi M

72. Il diritto di perquisizione prerogativa esclusiva di
A) belligeranti
B) poliziotti
C) sottufficiali
D) attualmente sconsidera
E) scritt promissoria
F) promiscuit

73. Un rallo gigante (Aramus guarana, un pesce) un
A) mutuo a lunga scadenza
B) tra binari e aquiloni
C) pi che morto per strada
D) marsupio
E) rallo gigante (Aramus pictus, un uccello)
F) appuntamento galante andato a monte


307
307

92. La gente fa domande su
A) la crisi didentit
B) nuovi materiali
C) la sbalorditiva sovrappopolazione
D) linondazione del casello autostradale
E) le due stelle di valutazione
F) una panchina solitaria

94. eppure le vecchie consuetudini prevalgono ancora
A) in altra citt
B) per abitudine
C) perch loro sono riconoscenti
D) lobglobina delle piccole menti
E) per il fattore personale
F) per lorigine indeterminata

95. In realt uno su 3 preferisce unaltra ragione con cui convivere in
A) armonia
B) stato sociale
C) dimora rupestre
D) pace
E) prosperit
F) lunga amicizia

100. se il disordine sgominato, e cos
A) il nuovo campidoglio di stato
B) mini-ranch
C) razzo per la luna
D) in altre nazioni
E) oltre il confine di stato
F) nei vecchi ricordi

1970

[Versione di Damiano Abeni con Moira Egan]


Notizia.
Una notizia bibliografica completa sullautore leggibile su: http://en.wikipedia.org/wiki/John_Ashbery.



308
308
Francis Catalano

Da Romamor


Jouir une seule minute de vie initiale
je cherche un pays innocent
Giuseppe Ungaretti

Splendeur des yeux dessills
qui l'obscurit s'habituent,
il rgne dans cette pice une grandiose
nuit d'encre, j'y trempe mes mots
jusqu' la racine afin
que les objets familiers graduellement
se hissent, rintgrent leur place,
tremblants et friables
comme le matriel d'une archologie
mentale, du silence remu.

Jouir une seule minute de vie initiale
je cherche un pays innocent
Giuseppe Ungaretti

Splendore degli occhi aperti
che sabituano alloscurit,
in questa stanza regna una grandiosa
notte dinchiostro, in cui intingo le mie parole
sino alla radice
perch gli oggetti familiari gradualmente
si alzino, tornino al loro posto,
tremanti e friabili
come il materiale di unarcheologia
mentale, del silenzio smosso.


*
Depuis le rectangle de la chambrette
j'observe la poussire
de la fentre se dposer,
ensevelir mes pieds dessins sur le marbre.
Les ruines sont ce qu'elles sont :
d'hier et d'aujourd'hui, miennes.


Dal rettangolo della cameretta
osservo la polvere
posarsi dalla finestra,
seppellire i miei piedi disegnati nel marmo.
Le rovine sono quel che sono:
di ieri e di oggi, mie.


309
309

*
Huit octobre de l'an 2749 de Rome,
tirer les volets verts claire-voie
et tout coup, d'un mme
geste vif voir s'immiscer le jour,
son clat entier, les objets
comme renaissant de la nettet de leur galbe,
l'image de son exacte dfinition.
Aussi, croire un instant tre
l'il source de tout excs, toute clart.


Otto ottobre dellanno 2749 di Roma,
spalancare le persiane verdi
e dun colpo, con un solo
gesto vivo vedere il giorno intromettersi,
nel suo pieno splendore, gli oggetti
come rinascessero dalla nettezza del loro profilo,
limmagine dalla sua definizione esatta.
Quindi credere per un istante
che locchio sia la sorgente di ogni eccesso, di ogni chiarezza.


*
Vus d'en bas les toits de tuiles
incurves ont l'aspect flou
du homard au fond de l'eau, sa vulnrabilit,
sa couleur terre cuite,
d'ici on dirait qu'au moindre pril
ce qui abrite s'abrite aussi.
Au pied de la fixit, au pas des portails,
les antennules les voir
courber, plier, tendre dans l'onde
sens dessus dessous
alors qu' l'aube des premires missions
les antennes tl se frlent
l-haut sur des toitures.


Visti dal basso i tetti di tegole
incurvati hanno laspetto sfocato
dellaragosta sul fondo dellacqua, la sua vulnerabilit,
il suo color terra cotta,
di qui si direbbe che al minimo pericolo
anche ci che protegge si protegga.
Ai piedi della fissit, al passo dei portali
vedere le antennule
curvarsi, piegarsi, tendersi nellonda
sottosopra
quando allalba delle prime trasmissioni


310
310
le antenne Tv si sfiorano
l in alto sui tetti.


*
Si le corps vraiment renferme
des sentes de nerfs, d'artres,
des kilomtres de veines
et de veinules, une mer de globules,
vaisseaux et sondes,
si pour remplir une citerne
ou affluer dans l'oreille
suffit le sang d'un seul corps
alors Venise ou l'Asie sont porte de main
et Vnus attend au bout du pont
un don d'organe.


Se davvero il corpo contiene
sentieri di nervi, di arterie,
chilometri di vene
e venuzze, un mare di globuli,
vascelli e sonde,
se per riempire una cisterna
o affluire allorecchio
basta il sangue di un solo corpo
allora Venezia o lAsia sono a portata di mano
e Venere attende in fondo al ponte
una donazione dorgani.


*
Les glises sont les tendons mystiques
d'une ville, leur corps
au repos et ce matin j'entre dans celui,
affaibli, chafaud, de San Francesco
a Ripa Trastevere.
Dans une chapelle, au fond
gt le marbre de Ludovica Albertoni.
Elle est l, blanche, tendue,
voue une calme flicit,
sa main droite offrant le sein, le pressant presque,
une invite un amour licencieux.
M'approcher, glisser sur les plis
de sa robe, l'envie de lcher
le marbre, mordre,
moi, agent rosif de l'immuable.


Le chiese sono i tendini mistici
di una citt, il loro corpo


311
311
a riposo e questa mattina entro nel corpo
indebolito, coperto d'impalcature,
di San Francesco a Ripa in Trastevere.
In una cappella, sul fondo
giace la statua di marmo di Ludovica Albertoni.
Lei l, bianca, distesa,
votata ad una calma felicit,
la mano destra che offre il seno, quasi lo spreme,
un invito a un amore licenzioso.
Avvicinarmi, sfiorare le pieghe
della sua veste, la voglia di leccare
il marmo, mordere,
io, agente erosivo dellimmutabile.


*
Mon regard se pose, distrait
sur l'norme fentre panoramique
et j'aperois, au bas,
l'angle gauche du rectangle
teint cet trange reflet de mon visage,
immobile, surprenant,
conforme ces toiles du Titien,
Carpaccio, Tintoret,
o un personnage en premier plan
dtach de la scne
nous fixe du regard,
crant une distance, l'inconfort
presque d'un voyeur vu,
d'un voleur dmasqu.


Il mio sguardo si posa, distratto
sullenorme finestra panoramica
e percepisco, in basso,
sullangolo sinistro del rettangolo
colorato questo strano riflesso del mio viso,
immobile, sorprendente,
conforme a quelle tele di Tiziano,
Carpaccio, Tintoretto,
dove un personaggio in primo piano
staccato dalla scena
ci fissa con lo sguardo,
creando una distanza, quasi
il disagio di un voyeur visto,
di un ladro smascherato.


*
L'appareil photo que je trimballe
en bandoulire est un virus,


312
312
parasite pathogne, troisime
paupire pendante
qui voile et dvoile le deuil,
bout de calli, pellicule tendue sans fin
entre les nerfs de l'il.


La macchina fotografica che mi trascino
a tracollo un virus,
parassita patogeno, terza
palpebra pendula
che vela e disvela il lutto,
in fondo alle calli, pellicola tesa senza fine
tra i nervi dell'occhio.


*
troite cit, il baignant
dans le formol,
poisson soustrait son habitat
et arros rgulirement,
ville-paupire ouvrant sur un campo
ou un campiello
puis s'abaissant sur les calli,
callesselle ou fondamenta
tel un regard pliss
qui scrute au loin.


Stretta citt, occhio immerso
nella formalina,
pesce sottratto al suo habitat
e irrorato regolarmente,
citt-palpebra che si apre su un campo
o un campiello
poi si abbassa sulle calli,
calleselle o fondamenta
come uno sguardo corrugato
che scruta lontano.


(da: F. Catalano, Romamor, crits des Forges, Trois-Rivires, Qubec, 1999)


[Traduzione di Italo Testa]



Notizia
Francis Catalano nato a Montreal nel 1961 da padre italiano e madre franco-canadese. Poeta e
traduttore, ha pubblicato Quune lueur des lieux (2010, Premio Quebecor del Festival Internazionale


313
313
della poesia di Trois-Rivires e finalista al Premio del Governatore generale del Canada). Tra gli
altri titoli : Panoptikon (2005), Matterres (2002), Index (2001) et Romamor (1999). Con
Didascalie per la lettura di un giornale/Instructions pour la lecture dun journal di Valerio
Magrelli, ha vinto il Premio di traduzione John-Glassco 2005. Ha tradotto Yellow di Antonio Porta
(2009) e altri autori italiani, in particolare per la rivista online lyrikline.org. Redattore della rivista
di poesia Exit , ha curato con Marco Giovenale e Laura Pugno una microantologia della poesia
italiana dal titolo 63-93 e oltre (2005) e Le voci non dormano mai, numero dedicato alla poesia
catalana (2010).



314
314
Kurt Drawert

Kurt Drawert (Hennigsdorf, Brandeburgo 1956) ha fatto studi tecnici e umanistici a Dresda e
a Lipsia. Nel 93 si trasferito allOvest, prima a Brema poi a Darmstadt, dove ora risiede.
Esordisce nella poesia nell 87, allEst, con Zweite Inventur (Secondo inventario). Appartiene
come Durs Gruenbein e Barbara Kohler a una generazione cresciuta allEst con la coscienza di
avervi appreso una lingua colonizzata, e saldo resta il suo legame coi ritmi della grande tradizione
lirica tedesca otto- e novecentesca. E anche saggista e ha ottenuto prestigiosi premi nazionali come
il Leonce und Lena, lIngeborg Bachmann, lUwe Johnson e il Nikolaus Lenau. Del 2008 il
romanzo Ich hielt meinen Schatten fuer einen andern und gruesste (Ho preso la mia ombra per
unaltra e lho salutata) dove la figura di Kaspar Hauser, nota anche dal film di W. Herzog, diventa
simbolo del nostro salto dall et della pietra a un era glaciale.
Unantologia delle poesie di tre decenni, Idylle, rueckwaerts, uscita da Beck, Monaco
2011. In italiano apparsa solo la raccolta Collezione di primavera (Scheiwiller, Milano 2006, con
testo a fronte, trad. di Anna Maria Carpi).
I testi che qui offriamo sono recenti e da noi ancora inediti.


1

Vom Ende der Poesie

Jedes Gedicht, sagte Herr Mller
von der HypoVereinsbank,
ist ein Schuldschein,
und Sie schreiben zuviel.
Ich also hngte diesen Teil
meines Lebens
wie an einen Haken fr Schweine.

Della fine della poesia

Ogni poesia, diceva il signor Rossi
dellUnicredit,
una cambiale,
e lei scrive troppo.
Io perci appesi questa parte
della mia vita
come a un gancio per i maiali.

2

Im Garten

Als ich den Garten verlie,
waren die Pflaumen noch sauer.
Als ich zurckkam, ein Paradies
fr die Maden. Zwar blauer,

doch innen schon faul. Ging ich
zu frh? Kam ich zu spt?


315
315
Die Frchte, die die Liebe st,
sie reiften gut, auch ohne mich,

und ich wei nicht, wie wunderbar,
so jung, so schn, so frei von Schuld,
was ich verlor durch Ungeduld,
zu haben spter war.

So geht es hin, und leer, das Glck.
Was bleibt, allein, ist Migeschick.

In giardino

Quando io lasciai il giardino
le prugne non erano mature.
Quando tornai, un paradiso
per i vermi. S, pi azzurre,

ma dentro gi marce. Ero partito
troppo presto? Troppo tardi arrivato?
I frutti che lamore semina
maturano anche senza di me,

e io non so comera splendido,
cos giovane, bello, cos innocente
ci che perdetti per impazienza
averlo pi tardi.

Cos passa, cos vuota la felicit.
Ci che resta solo malasorte.

3

Nach dem Sommer

Vom letzten Mieter
hngt noch das Schild
an der Haustr, rostig.

berall fllt Gold
aus der Fassung,
splittert der Marmor.

Auch gestorben
wird schneller,
als im vergangenen Jahr.

Keine Mahnungen mehr,
keine Anmeldezeiten,
es mu gespart werden.



316
316
Der September lgt nicht.
Wir winken
in Richtung Sden,

halten die Psse im Anschlag.
Zum Abfall
kehren wir die Blten.

Dopo lestate

Dellultimo inquilino
resta ancora la targa
fuori, sulla porta, arrugginita.

Dappertutto piove oro
dalla cornice,
il marmo si scheggia.

Anche a morire
si fa pi presto
che lanno passato.

Niente pi divieti,
niente avvisi,
bisogna risparmiare.

Il settembre non mente.
Noi salutiamo
rivolti a sud,

teniamo pronti i passaporti.
Nellimmondizia.
spazziamo via i fiori.

4

Matrix Amerika

(Fast alles Lgen, aber das macht nichts.)

Und mein Unglck ist auch kein Unglck,
sondern nur die Summe der verlorenen Tage.

Mein Land war eine Rittmeisterpeitsche,
ein vergifteter Brunnen, Abfall vom Hund.

Ich werde es nicht mehr erwhnen,
ostdeutsch verwundet und westdeutsch

verwaltet, ich habe zu sprechen begonnen
und war sofort allein. Alles ist mit allem


317
317

in keinem Gesprch, wir mssen damit rechnen,
in keiner Sprache mehr verstanden zu werden,

und ein Foto ist die grte aller Lgen.
Meine Frau ist Fotografin. Am Abend kommt sie

in mein Leben zurck. Auf Bildern zeigt sie,
was sie alles nicht sah. Ich erzhle ihr

von meinem Schweigen und lese weiter
in einem fast leeren Buch. Die Seitenzahlen

sind gut bersetzt, das hlt mich wach.
Hast du auch kalte Hnde?, fragt sie

und nimmt einen Schnappschu
von einer freien Stelle am Himmel. Vieles

ist selten geworden, anderes ganz verschwunden.
Ja, ich habe auch kalte Hnde, aber das kostet

uns nichts. Dann, in einem Traum,
wurde ich zum Tode verurteilt

wegen Verleugnung einer Empfindung.
Seitdem warte ich, da jemand das Herz

mir zerschneidet, sobald er es gefunden hat.
Aber die Liebe ist nur eine Einbildung

der Einsamen, mchte ich sagen, wie das Meer
eine Erfindung der Seefahrer ist.

Wir riechen nur fauliges Wasser,
ein schwerer, suerlicher Geruch, wie eingelegte

Ochsenschwnze, in China verschifft
und in Lower Manhattan an Land

und an die Brse gezogen, wie Fische
in einem Fangnetz, wie Gefhle in einem Satz

ber Gefhle. In der Wall Street hre ich zu,
wie das Geld, ohne je eine Pause zu haben,

arbeitet und arbeitet und arbeitet, ein Ton,
den ich vom Innenraum einer Muschel her kenne,

ein leises, fernes, sehr vornehmes Rauschen,
ein Flu voller Tne, wie Stockhausen,


318
318

als er in New York sein erstes Konzert gab.
Ich brauche ein Ticket fr zweifnfundzwanzig

und hebe von meinen Schulden in der Bundesrepublik
eine Minimalsumme ab. Hinter mir die Feuerwehr,

bereit fr den Einsatz, sobald ich einen Brand
legen wrde, vor mir die Zukunft, so klein

wie eine Kreditkarte und so bunt wie eine Matratze
aus Pappe (vom Supermarkt Morton Williams

schrg gegenber). Have a good time here,
und dann deckt er sich mit seinen Zeitungen zu,

die ich gern noch gelesen htte, zum leisen,
vornehmen Rauschen im Financial District.

Matrix America

(Quasi tutto menzogna, ma non importa)

E la mia infelicit non poi infelicit,
bens la somma dei giorni perduti.

Il mio paese era la frusta di un capitano di cavalleria,
una sorgente avvelenata, uno sterco di cane.

Non ne parler pi,
ferito dallEst e amministrato dallOvest

ho cominciato a parlare
ed ero subito solo. Conversazione

con niente, dobbiamo tenere conto
che non siamo pi compresi da alcuna lingua.

e una foto la pi grossa delle bugie.
Mia moglie fa la fotografa. La sera rientra

nella mia vita. Su delle foto mi indica
tutto ci che non ha visto. Io le parlo

del mio silenzio e vado avanti a leggere
un libro quasi vuoto. La numerazione delle pagine

ben tradotta e mi tiene sveglio.
Anche tu hai le mani fredde?, mi domanda lei

e fa ancora unistantanea


319
319
a un punto libero su in cielo. Molte cose

sono diventate rare, altre del tutto scomparse.
S, anchio ho le mani fredde, ma non ci costa

niente! Poi, in un sogno,
ero stato condannato a morte

per dissimulazione di un sentimento.
Da allora attendo che mi affettino

il cuore appena lo trovano.
Ma lamore solo una fantasia

dei solitari, direi, come il mare
uninvenzione dei naviganti.

Lunico odore che ci arriva dacqua putrida,
un odore pesante, acidulo, come di code

vaccine in conserva, imbarcate in Cina
e sbarcate a Lower Manhattan,

e attratte alla borsa. come pesci
in una rete, come sentimenti in una frase

sui sentimenti. Da Wall Street ascolto
come il denaro, senza far mai una pausa,

lavora, lavora e lavora, un suono
che ricordo, lo spazio interno di un conchiglia,

un fruscio sommesso, lontano, molto nobile,
un flusso di note suo come in Stockhausen

quando diede a New York il suo primo concerto.
Mi occorre un ticket da venticinque per due

e prelevo dai miei debiti nella Germania Federale
una minima somma. Dietro di me i pompieri

pronti a entrare in funzione non appena
io avessi appiccato un incendio, davanti a me il futuro

piccolo come una carta di credito e variopinto
come un materasso di cartone (dal supermarket Morton Williams
l di fronte, di sbieco). Have a good time here
e poi si copre coi suoi giornali

che io avrei avuto ancora piacere di leggere nel sommesso
nobile sussurro nel Financial District.


320
320

5

Zwischentext. Liedhaft

Wer nicht luft, fllt ins Getriebe,
und wer ins Getriebe fllt, ist tot.
Und whrend ich das schnell notiere,
fhrt ein Fahrzeug in der Not,

mich zu verschonen, an die Wand.
Soviel zur Vernderung der Welt
durch Poesie. Hier noch mit Geld
zu regeln und praktischem Verstand.

Doch ebenso ist einzusehen:
wenn jeder aus dem Kreislauf fllt,
weil irgendwo ein Kter bellt,

und andernfalls sich nur bewegt,
was die Bewegung selbst erregt,
ist gut, wir bleiben einfach stehen.

Testo intermedio. Come un lied

Chi non corre cade nellingranaggio
e chi cade nellingranaggio morto.
E mentre io alla svelta me lo noto
un veicolo, costretto a evitarmi,

va a sbattere contro il muro.
Questo tutto sulla questione se la poesia
cambi il mondo. Da regolare ormai
solo con soldi e intelligenza pratica.

Ma al tempo stesso bisogna convenire:
se ognuno esce dalla circolazione
perch un botolo abbaia da qualche parte

o altrimenti si muove seguendo
solo ci che il moto stimola da s
va bene, noi restiamo semplicemente fermi.

6

Brighton Beach
fr Horst Samson

Immerhin verstehe ich
ein wenig vom russischen Wesen,
und auch kyrillische Schrift


321
321
kann ich lesen.

Aber was ich nicht verstehe,
warum ich die Vergangenheit
in der Gegenwart
als Zukunft sehe.

War das nicht alles
einmal schon,
in ferner Zeit, geschehen?
Und ein Hohn

der Geschichte?
Die gerissenen Wnde,
die kalten Hnde
der alten Frau am Straenrand?

Was war das fr ein Land,
dem wir entkamen
und das uns dennoch berlebt,
weil alles weiterstrebt

und nur die Form sich ndert?
Ich gebe auf
und werde es nicht wissen.

Allein die Toten
werden uns vermissen.

Brighton Beach
per Horst Samson

Dopotutto io capisco
qualcosa del modo di essere dei russi
e so leggere anche
la scrittura cirillica.

Ma quello che non capisco
perch al presente vedo
il passato
come futuro.

Non accaduto gi tutto
una volta,
in tempi lontani?
E non una beffa

la storia?
I muri distrutti,
le mani fredde
della vecchia sul bordo della strada?


322
322

Che paese era quello
da cui siamo fuggiti
ma che ci sopravvive
perch tutto tira a proseguire

e solo la forma muta?
Ci rinuncio,
non lo sapr mai.

Soltanto i morti
sentiranno la nostra mancanza.


[Cura e traduzione di Anna Maria Carpi]




323
323
Santiago Elordi

Espero que me invites a tu cumpleaos
(Carta a una reina)

El informe del tiempo anuncia:
Frente fro desde Gales.
Y sera prudente continuar as:
En mi pas nadie lleva corona
Supongo que la montaa, el cielo, el mar
Llevamos los chilenos en vez de una corona
Basta de comparaciones!
Tengo un amigo poeta que vive en Cincinnati
Se llama Marcelo Roseco y me advirti:
En estos tiempos escribirle una carta a una reina
Puede ser insoportablemente romntico.
Mi amigo que vive en Cincinnati tiene razn
Escribirte debe ser como los nios que juegan con amigos imaginarios
Tiempo de una aclaracin indispensable:
Vine a Londres a visitar a mi novia, es una pintora britnica
La conoc en Chile, ella vitaba el desierto florido
Lo encontr bello pero volvi a Inglaterra
Mi pintora me ha llevado a museos, desfiles, restaurantes
Los domingos que suelen ser aburridos
Bajamos de su departamento en St. George Square
Improvisamos un bar en un banco del parque
Y les servimos gin and tonic a los vecinos
Llevo un pauelo de seda en la chaqueta
Est bien, un pauelo en la chaqueta
Pero de qu se trata esta carta?
Te estars preguntando con razn
No s bien por qu te escribo
Desde que estoy en Londres me siento bien
Primera vez que vengo, llevo apenas una semana
Y ya me gustara morir aqu
Llegar a tener una de esas placas azules
En una de esas casas
En una de esas casas de Notting Hill que dijera:
Aqu vivi el poeta que le escribi una carta a la reina
Qu te parece? Veremos que dice el futuro
El otro da fuimos con mi pintora a una fiesta
En la embajada de Chile
Se celebraban los cien aos del nacimiento de Neruda
Me invitaron a leer un poema sobre las piedras
Que se aman entre s, y esas cosas
No s por qu me eligieron habiendo tantos poetas mapuches
Que pasean por Europa dando recitales
En todo caso dio lo mismo, nadie escuch
Mi lectura y todos aplaudieron
Al fondo del saln haba un cuadro emblemtico:
Una campesina lavando la ropa en un estero


324
324
Mientras un jinete la cortejaba desde su caballo
Una porquera de cuadro costumbrista, sabes
Al menos el jinete podra haberse bajado del caballo
Si agarrar los pechos de la lavandera
Era su intencin. Mi amigo Marcelo Roseco
Que vive en Cincinnati asegura que
En nuestra historia como exiliados de Europa no ha surgido
Ningn pintor independiente del paisaje
El cocktail en la embajada? Empanada & choripanes
No te perdiste nada bueno, mi reina
Y los mismos grupos o bandos de siempre:
En una esquina los artistas barbudos mesinicos
En la otra los exportadores de paltas a China
Socarrones, arrogantes, ms inflados que...
No se me ocurre ninguna metfora, mi querida reina
Y esos secretarios criticando las monarquas
Y ensalzando la repblicas
Comentando sobre lo fro que son los ingleses
No s para qu vienen a tu reino si todo lo critican
No te parece? Por ningn motivo pierdo el hilo
Tal vez en el fondo seamos todos ingleses
Y no nos habamos dado cuenta
Como la niebla que a veces oculta tu palacio
[...]
Mi querida reina, creo que ha llegado el momento de presentarme
Me llamo Santiago y nac en la ciudad de Santiago
Es como nacer en Londres y llamarse Londres
Ridculo me dijo esta maana mi pintora riendo
En Green Park mientras yo persegua
Un pavo real entre las flores
Adivinaste? Pertenezco al bando de los Poetas de la Nada
[...]
Se triunfa por accidente, el resto es arrogancia.
Te confieso que este verso no es mo
Es de mi amigo poeta que vive en Cincinnati
Lo recuerdas? El que me advirti
Que escribirle una carta a una reina
Puede ser un peligro romntico
Qu hacer o dejar de hacer?
Como los pintores de la corte
Me gustara pintar con palabras tu retrato:
Pequeas manos, pequeos pies, mirada astuta
Y una manada de perros falderos
Siguiendo tus pasos por el invernadero.
Como en los paisajes abstractos de Whistler
Velado fluye el Tmesis este invierno
La niebla, Londres blanca como una torta de cumpleaos
A propsito de cumpleaos, antes de comenzar esta carta
Hice algunas investigaciones:
El prximo mes cumplirs ochenta
Espero que me invites a tu cumpleaos


325
325
Puedo ir con mi pintora, sabr comportarme
No me tomar el champagne hasta reventar
No te dar la lata contndote que mi pas
Queda al fondo del mundo a la derecha
Que todo se lo debemos al cobre
[...]
Te explico, haber nacido en la Amrica del sur
Obliga a conocer la tradicin
Una de las historias que ms disfruto
Es la del arzobispo primado de Irlanda, James Usher
Tras realizar un minucioso estudio de las cronologas de la Biblia
En 1650 precis que el Universo
Haba sido creado por Dios
El 22 de octubre de 4004 A.C. por la tarde
La tierra es indiferente y el cielo gira en silencio
Hace unas noches tuve un sueo
T y yo navegbamos en una canoa
Por los canales del sur de Chile
Glaciales, selvas heladas, humos en las orillas
De pronto un huracn
Entramos en un remolino
Y no podamos salir
Entonces extendiste un mantel de encaje liviano
Sobre las olas locas
Gracias a ese rito intil fuimos salvados!
[...]
Se ama el amor y el amor nunca se alcanza
Verdad? Lo que se realiza cansa, hasta
Y lo que no se realiza hace sufrir
La aspiracin del corazn es algo que no est aqu
Dnde est? Horror! Atentados en el metro
Cadveres arrojados al jardn del Cnsul
Inocentes quemados para hacer hablar a sus madres
La princesa fue asesinada en un tnel de Pars
Ha sucedido siempre, mi querida reina, que nada te quite el sueo
No escuches las intrigas en los corredores
Revisemos tu tarea:
Ningn barco se hundir por tu genio
Deja que otro remo agite el agua
En las horas difciles tus guardias lustrarn sus botas
La institutriz francesa, los fieles gaiteros
Todos sin excepcin, no desertarn
Llama a tus asesores, ellos te dirn:
Duty first self second
[...]
Te propongo un trato
Pase lo que pase mantn el trono
Que la rosa blanca nunca se marchite
[...]
Permteme cambiar de tono:
Ya no se trata de llorar porque la poesa


326
326
No volver ms a la naturaleza
Al cielo, al mar, a la montaa
Se trata de que la poesa se acaba
No encuentra lugar en el mundo
Ni dentro ni fuera de las pantallas
Los espacios hoy estn trnsito
Aeropuertos, hoteles, Estacin Victoria
Hasta en el palacio de Buckingham
La soledad separa el verbo
Como las placas tectnicas los continentes
Entonces el desafo es dejar de escribir
Mantener la mente alerta y hablarles
A los desconocidos en la fila de los bancos
Sobre pintura china, alquimia, msica barroca
Sobre si Shakespeare fue realmente un empresario exitoso
No debemos pagar ningn costo por ser poetas
Nadie debiera pagar costos por nada
Hoy los rebeldes llevan pauelos de seda
Me entiendes? Yo s que me entiendes
T debes conocer los pensamientos de Yeats
En ellos se encuentran las claves del tiempo circular
El espritu sube y baja, se levanta
Destruye como una ola
Ninguna civilizacin debemos aorar, todo cambia
Vuelve a comenzar, se repite
Verdad mi querida reina?
Anoche volv a soar que flotbamos
Por los fiordos del sur de Chile
Pero esta vez iban unos cuantos ms en la canoa
Mi pintora, mis hijos, mi amigo que vive en Cincinnati
Secretarios, guardias de palacio, Poetas de la Nada
Todos los que aparecen en esta carta
En medio del temporal bamos cantando
[...]
Mi querida reina, esta carta no es un mensaje
Dentro de una botella arrojada al mar, al cielo, a la montaa
Ya no es necesario aparentar nada, hacer nada, justificar nada
Por confesar esta verdad ser repudiado, lo s
Pero la digo para que el mar, el cielo, la montaa
Los paisajes de lejos, mi propio pas
Las cosas que fueron y volvern a ser
Sean venerados como tu corona:
Una ilusin en trnsito
La consagracin del instante
Y el asombro de la tierra
Se te ocurre una propuesta mejor en estos tiempos?
Entonces dale aire al aire
Y a m una piedra para terminar esta carta
Como el viejo cazador penetrando en el bosque
Es tiempo de liberar las sombras de los cuerpos
Algo evidente est apareciendo


327
327
Lo podremos ver?

Londres, Santiago, 2005-2007

*

Spero che mi inviti al tuo compleanno
(Lettera a una regina)

Il bollettino meteo annuncia
Fronte freddo dal Galles
E sarebbe prudente continuare cos
Nel mio paese nessuno porta la corona
Presumo che la montagna, il cielo, il mare
Portiamo noi cileni invece di una corona
Basta paragoni!
Ho un amico poeta che vive a Cincinnati
Si chiama Marcelo Rioseco e mi ha avvertito
Di questi tempi scrivere una lettera a una regina
Pu essere insopportabilmente romantico
Il mio amico che vive a Cincinnati ha ragione
Scrivere a te devessere come i bambini che giocano con amici immaginari
Tempo di un chiarimento indispensabile
Sono venuto a Londra a vedere la mia ragazza, una pittrice britannica
Lho conosciuta in Cile, lei sfuggiva il deserto fiorito
Lo trov bello ma ritorn in Inghilterra
La mia pittrice mi ha portato a musei, sfilate, ristoranti
Le domeniche che di solito sono noiose
Scendiamo dal suo appartamento a St. George Square
Improvvisiamo un bar su una panchina del parco
E serviamo gin tonic ai vicini
Porto un fazzoletto di seta nella giacca
Va bene, un fazzoletto nella giacca
Ma che vuol dire questa lettera?
Ti starai domandando a ragione
Non so bene perch ti scrivo
Da che sto a Londra mi sento bene
Prima volta che ci vengo, ci sto appena da una settimana
E gi mi piacerebbe morire qui
Arrivare ad avere una di queste lapidi azzurre
In una di queste case
In una di queste case di Notting Hill che dicesse
Qui visse il poeta che scrisse una lettera alla regina
Che te ne pare? Vedremo che dir il futuro
Laltro giorno siamo andati con la mia pittrice a una festa
Allambasciata del Cile
Si festeggiavano i cento anni dalla nascita di Neruda
Mi hanno invitato a leggere una poesia sulle pietre
Che si amano tra loro, e cose cos
Non so perch abbiano scelto me essendoci tanti poeti mapuche
Che vanno a spasso per lEuropa facendo recital


328
328
In ogni caso andata come sempre, nessuno ha ascoltato
La mia lettura e tutti hanno applaudito
In fondo al salone cera un quadro emblematico
Una contadina che lava i panni in un ruscello
Mentre un cavaliere la corteggia dal suo cavallo
Una porcheria di quadro costumbrista, sai
Al meno il cavaliere avrebbe potuto scendere dal cavallo
Se afferrare i seni della lavandaia
Era la sua intenzione. Il mio amico Marcelo Rioseco
Che vive a Cincinnati assicura che
Nella nostra storia di esiliati dEuropa non sorto
Nessun pittore indipendente dal paesaggio
Il cocktail allambasciata? Empanadas e choripanes
Non ti sei persa niente, mia regina
E poi le consorterie e gli stessi gruppi di sempre
A un angolo gli artisti barbuti messianici
Allaltro gli esportatori di avocado in Cina
Beffardi, arroganti, pi gonfi di un
Non mi viene nessuna metafora, mia amata regina
E quei segretari che criticano le monarchie
E esaltano la repubblica
Facendo commenti sulla freddezza degli inglesi
Non so perch vengono nel tuo regno se lo criticano tanto
Non ti pare? Per nessun motivo perdo il filo
Forse in fondo siamo tutti inglesi
E non ce neravamo accorti
Come la nebbia che a volte occulta il tuo palazzo
[]
Mia amata regina, credo sia giunto il momento di presentarmi
Mi chiamo Santiago e sono nato nella citt di Santiago
come nascere a Londra e chiamarsi Londra
Ridicolo, mi ha detto stamattina ridendo la mia pittrice
A Green Park mentre io inseguivo
Un pavone tra i fiori
Hai indovinato? Appartengo al gruppo dei Poeti del Nulla
[]
Si ha successo per caso, il resto arroganza
Ti confesso che questo verso non mio
del mio amico poeta che vive a Cincinnati
Ti ricordi? Quello che mi avvert
Che scrivere una lettera a una regina
Pu essere un pericolo romantico
Che fare o non fare?
Come i pittori di corte
Mi piacerebbe dipingere con parole il tuo ritratto
Piccole mani, piccoli piedi, sguardo astuto
E un branco di cagnolini
Che seguono i tuoi passi nella serra
Come nei paesaggi astratti di Whistler
Velato scorre il Tamigi questo inverno
La nebbia, Londra bianca come una torta di compleanno


329
329
A propostio di compleanni, prima di cominiciare questa lettera
Ho fatto alcune ricerche
Il mese prossimo compirai ottantanni
Spero che mi inviterai al tuo compleanno
Posso venire con la mia pittrice, sapr comportarmi
Non berr champagne fino a vomitare
Non ti dar il pilotto raccontandoti che il mio paese
Si trova in fondo al mondo a destra
Che dobbiamo tutto al rame
[]
Ti spiego, essere nati in America del Sud
Obbliga a conoscere la tradizione
Una delle storie che pi mi piacciono
quella dellarcivescovo primate dIrlanda, James Usher
Dopo aver realizzato un minuzioso studio delle cronologie della Bibbia
Nel 1650 stabil che lUniverso
Era stato creato da Dio
Il 22 ottobre del 4004 a.C. nel pomeriggio
La terra indifferente e il cielo gira in silenzio
Qualche notte fa ho fatto un sogno
Io e te navigavamo su una canoa
Attraverso i canali del sud del Cile
Ghiacciai, foreste gelate, fumi sulle rive
Allimprovviso un uragano
Siamo entrati in un vortice
E non potevamo uscire
Allora hai steso una tovaglia leggera di pizzo
Sopra le onde impazzite
Grazie a questo rito inutile siamo stati salvati!
[]
Si ama lamore e lamore mai si raggiunge
Vero? Ci che si ottiene stanca, disgusta
E ci che non si ottiene fa soffrire
Laspirazione del cuore una cosa che non si trova qui
Dov? Orrore! Attentati nella metro
Cadaveri scagliati nel giardino del Console
Innocenti bruciati per far parlare le loro madri
La principessa fu assassinata in un tunnel di Parigi
accaduto sempre, mia amata regina, niente ti tolga il sonno
Non ascoltare gli intrighi nei corridoi
Ripassiamo il tuo compito
Ningn barco se hundir por tu genio
Deja que otro remo agite el agua
135

Nelle ore difficili le tue guardie lustreranno i loro stivali
Lisitutrice francese, i fedeli suonatori di cornamusa
Tutti senza eccezione, non diserteranno
Chiama i tuoi consiglieri, essi ti diranno
Duty first Self second
[]
Ti propongo un patto

135
Sono versi di Ezra Pound, che lasciamo nella loro versione spagnola.


330
330
Accada quel che accada mantieni il trono
Che la rosa bianca giammai marcisca
[]
Permettimi di cambiare tono
Non questione di piangere perch la poesia
Non torner pi alla natura
Al cielo, al mare, alla montagna
che la poesia finisce
Non trova posto nel mondo
N dentro n fuori dagli schermi
Gli spazi oggi sono in transito
Aeroporti, hotel, Victoria Station
Perfino a Buckingham Palace
La solitudine separa il verbo
Come le placche tettoniche i continenti
Allora la sfida smettere di scrivere
Mantenere la mente allerta e parlare
Agli sconosciuti in fila in banca
Di pittura cinese, alchimia, musica barocca
Di se Shakespeare fu davvero un impresario di successo
Non dobbiamo pagare niente per essere poeti
In realt nessuno dovrebbe pagare per niente
Oggi i ribelli portano fazzoletti di seta
Mi capisci? Io so che mi capisci
Tu devi conoscere i pensieri di Yeats
In essi si trovano le chiavi del pensiero circolare
Lo spirito sale e scende, si alza
Distrugge come unonda
Nessuna civilt dobbiamo rimpiangere, tutto cambia
Ricomincia, si ripete
Vero, mia amata regina?
Stanotte ho di nuovo sognato che navigavamo
Per i fiordi del sud del Cile
Ma stavolta eravamo pi persone sulla canoa
La mia pittrice, i miei figli, il mio amico che vive a Cincinnati
Segretari, guardie di palazzo, Poeti del Nulla
Tutti quelli che appaiono in questa lettera
Nel cuore del temporale avanzavamo cantando
[]
Mia amata regina, questa lettera non un messaggio
Dentro una bottiglia lanciata in mare, in cielo, in montagna
Ormai non necessario mostrare niente, fare niente, giustificare niente
Per aver confessato questa verit sar ripudiato, lo so
Ma la dico perch il mare, il cielo, la montagna
I paesaggi in lontananza, il mio stesso paese
Le cose che furono e torneranno ad essere
Siano venerati come la tua corona
Una illusione in transito
La consacrazione dellistante
E la meraviglia della terra
Ti viene in mente unidea migliore in questepoca?


331
331
Allora dai tempo al tempo
E a me una pietra per terminare questa lettera
Come il vecchio cacciatore che penetra nel bosco
tempo di liberare le ombre dai corpi
Qualcosa di concreto sta apparendo
Lo potremo vedere?

Londra-Santiago, 2005-2007

[Traduzione italiana di Matteo Lefvre]


Notizia.
Santiago Elordi (Santiago, Chile, 1960) poeta, narratore, documentarista, diplomatico e tanto
altro. Ha vissuto in Cile, in Inghilterra e ora risiede in Italia. La sua opera si distingue per il ricorso
a vari mezzi espressivi e per il richiamo di diverse tradizioni letterarie, che si riflettono in una
permanente ricerca di nuove forme di comunicazione ed espressione. Tra le sue imprese, notevole
lideazione e la direzione del periodico Noreste (1988), curioso progetto postmodernista di
giornale intessuto di notizie inventate, che rappresent storicamente unalternativa culturale per
tutta una generazione durante gli anni della dura dittatura cilena. Tra i suoi libri di poesia, vale la
pena ricordare Los ingleses de Sudamrica, di recente pubblicazione e da cui tratto il testo che qui
si propone.




332
332
Charles Reznikoff

Da Olocausto

Dedico questa traduzione ai detenuti di Guantnamo, Abu Ghraib, e chiss quanti altri.
[7 marzo 2006]

Tutto ci che segue basato su una pubblicazione del governo degli Stati Uniti, Trials of the
Criminals before the Nuremberg Military Tribunal, e sugli atti del processo Eichmann tenutosi a
Gerusalemme.

II

INVASIONE

Cinque ebrei polacchi si impossessarono di un vagoncino
e assoldarono un polacco per condurli a est
per fuggire dalle SS che ora erano in citt.
Ma, quando si erano gi lasciati la citt alle spalle,
allimprovviso videro delle SS
in attesa degli ebrei
che tentavano di fuggire.

Le SS ordinarono agli ebrei di scendere dal vagone
e i cinque scesero.
Avete denaro? chiesero le SS
e i cinque diedero tutto ci che avevano.
Le SS li perquisirono comunque
e poi ordinarono loro di togliersi i vestiti
e di stendersi al suolo
e le SS cominciarono a picchiarli,
dandosi il cambio
e ridendo senza interruzione.
Poi ordinarono agli ebrei di mettersi in ginocchio
e di cantare canzoni ebraiche;
gli ebrei cantarono linno sionista, Ha-tikvah.
E poi dovettero strisciare dentro a un tubo di cemento
prima che le SS se ne andassero.

Dopo il pestaggio i cinque erano troppo deboli per continuare
e, inoltre, non avevano denaro;
e cos tornarono in citt
dritti filati in un ospedale ebraico.

III

RICERCA

1

Noi siamo i civilizzati
gli Ariani;


333
333
e non sempre uccidiamo i condannati a morte
solo perch ebrei
come altri, meno civilizzati di noi, farebbero:
noi li usiamo per il beneficio della scienza
come topi o cavie:
per scoprire i limiti della resistenza umana
alle massime altezze
per il bene dellaviazione tedesca,
costringerli a restare in bidoni di acqua ghiacciata
o nudi allesterno per ore e ore
a temperature sotto lo zero;
s, studiare gli effetti del restare senza cibo
e bere solo acqua salata
per giorni e giorni
per il bene della Marina tedesca;
o ferirli e infilare trucioli di legno o pezzi di vetro smerigliato
nelle ferite,
o estrarre le ossa, i muscoli e i nervi,
o bruciarne la carne
o avvelenare il loro cibo
o infettarli con la malaria, il tifo, o altre febbri
tutto per il bene dellesercito tedesco.
Heil Hitler!

2

Un certo numero di ebrei dovette bere acqua salata solo
per scoprire quanto avrebbero resistito.
Nel loro tormento
si gettavano sugli stracci e sui cenci
usati dal personale dellospedale
e ne succhiavano lacqua sporca
per calmare la sete
che li faceva impazzire.

IV

GHETTI

1

Allinizio cerano due ghetti a Varsavia:
uno piccolo e uno grande,
e tra di essi un ponte.
I polacchi dovevano passare sotto il ponte e gli ebrei sopra;
e accanto cerano guardie tedesche a sorvegliare che gli ebrei non si
//mischiassero con i polacchi.
A causa delle guardie tedesche,
qualunque ebreo non si togliesse il cappello in segno di rispetto quando attraversava il ponte
era ucciso
e molti furono uccisi


334
334
e alcuni senza motivo.

2

Un vecchio trasportava pezzi di legna da ardere
da una casa che era stata abbattuta
non era stata emanata alcuna ordinanza che lo vietasse
e faceva freddo.
Un comandante delle SS lo vide
e gli chiese dove aveva preso la legna,
e il vecchio rispose che la aveva presa da una casa che era stata abbattuta.
Ma il comandante estrasse la pistola,
la punt alla gola del vecchio
e gli spar.

3

Un mattino dei soldati tedeschi e i loro ufficiali
irruppero nelle case del quartiere dove erano stati raggruppati gli ebrei,
gridando che tutti gli uomini dovevano uscire;
e i tedeschi presero tutto quello che cera negli armadi e nei ripostigli.
Tra gli uomini cera un vecchio con labito e con il copricapo della pia setta
//ebraica chiamata Hassidim.
I tedeschi gli misero in mano una gallina
e gli dissero di ballare e cantare;
poi dovette fingere di stare strangolando un soldato tedesco
e di questo fu scattata una fotografia.

5

Una voce si sparse nel ghetto:
gli ebrei sarebbero stati portati in un altro posto
con pi cibo, cibo migliore, migliori alloggi e lavoro.
E difatti, a questo seguirono manifesti
e ordini per cui quelli in certe parti del ghetto
dovevano portare i loro bagagli, tutto loro e i gioielli che possedevano,
e cibo per tre giorni
ma ci che portavano non doveva eccedere un determinato peso
e dovevano recarsi in una certa piazza.
Chi disobbediva sarebbe stato fucilato.
E le famiglie nei distretti indicati vennero con i bambini e i bagagli.

Ma alcuni uomini saltarono dai treni che li portavano via
e tornarono indietro a avvertire gli ebrei ancora nel ghetto
o portati l da altre parti
che i treni non andavano in un luogo in cui vivere
ma in cui morire.
E quando manifesti dello stesso tipo ricomparvero
per altri distretti
la gente cominci a nascondersi.
Ma molti andarono nella piazza indicata;


335
335
perch davvero credevano che sarebbero stati risistemati:
di sicuro i tedeschi non avrebbero ucciso gente sana e atta al lavoro.

6

Un pomeriggio alle tre
circa cinquanta ebrei erano in un bunker.
Qualcuno spinse allinterno il sacco che copriva lentrata
e udirono una voce:
Venite fuori!
Altrimenti buttiamo una granata.
Le SS e la polizia tedesca muniti di fruste
erano pronti
e cominciarono a picchiare quelli che erano nel bunker.
Quelli che ne avevano la forza
si allinearono come ordinato
e furono portati in una piazza
e messi su ununica fila per essere fucilati.
Allultimo momento,
un altro gruppo di SS arriv e chiesero cosa stava succedendo.
Uno di quelli che erano pronti a sparare rispose:
avevano tirato gli ebrei fuori dal bunker
e stavano per fucilarli come ordinato.
Allora il comandante del secondo gruppo disse:
Questi sono ebrei grassi.
Tutti buoni per farne sapone.
E cos portarono gli ebrei a un treno da trasporto
che non era ancora partito per un campo della morte
un treno merci russo senza scalini
e dovettero issarsi lun laltro nei vagoni.

7

Fra quelli che si erano nascosti
cerano quattro donne e una bambina di circa sette anni
nascoste in una buca un fossato coperto di foglie;
e due SS andarono alla buca e ordinarono loro di uscire.
Perch vi siete nascoste? chiesero
e cominciarono a picchiare le donne con delle fruste.
Le donne imploravano salva la vita:
erano giovani, erano pronte a lavorare.
Fu ordinato loro di alzarsi e correre
e le SS estrassero le rivoltelle e spararono a tutte e cinque;
e poi continuarono a spingere i corpi con i piedi
per vedere se erano ancora vive
e per assicurarsi che erano morte
gli spararono di nuovo.

8

Una delle SS prese una donna con un bambino tra le braccia.


336
336
Lei cominci a implorare piet: se sparavano a lei
che lasciassero vivere il bambino.
Era vicina a uno steccato tra il ghetto e dove vivevano i polacchi
e oltre lo steccato cerano dei polacchi pronti a prendere il bambino
e stava per passarglielo quando era stata presa.
LSS le tolse il bambino dalle braccia
e le spar due volte,
e poi tenne il bambino in mano.
La madre, sanguinante ma ancora viva, strisci fino ai suoi piedi.
LSS rise
e squarci il bambino come si lacererebbe uno straccio.
Proprio in quel momento pass un cane randagio
e lSS si inginocchi per accarezzarlo
e prese un po di zucchero da una tasca
e lo diede al cane.

VII

CAMPI DI LAVORO

1

Lo stato deve prendere possesso di quelli che non hanno mai avuto
o non hanno pi
diritto di vivere nello stato,
e lo stato deve rivolgere la loro forza finch dura
al bene dello stato.
Devono essere nutriti, alloggiati, e trattati in modo tale
da poterli usare il pi possibile
con il minimo costo.

Fate lavorare quanto pi possibile i giovani e forti
nei campi di concentramento
o in fabbrica o nei campi
e date loro il meno possibile
vestiti e cibo.
Lasciate morire quelli che non lavorano abbastanza in fretta
o, se non lavorano,
impiccateli
e lasciateli penzolare
perch gli altri li vedano.
Heil Hitler!

2

Allepoca aveva ventanni e fu portato con sua madre
dalla fabbrica dove lavoravano
a una piazza nella citt
e vi rimasero per ore insieme a molti altri.
Prima che facesse notte
furono tutti fatti salire su vagoni merci


337
337
stipati, schiacciati dentro.
Non cera quasi luce
e solo un piccolo finestrino in tutto il vagone
e soffocavano.
Il treno si mise in moto verso le otto di sera.
Allalba si ferm in una stazione;
il giovane e sua madre erano accanto al finestrino
e vide degli operai delle ferrovie polacche che attiravano lattenzione di quelli
//sul treno
e facevano gesti per indicare che venivano trasportati per essere uccisi tutti.
Ma il giovane non ci credeva.
Il treno si rimise in moto
e quando si ferm di nuovo
quelli sul treno udirono delle grida, Tutti fuori!
e urla:
i tedeschi avevano cominciato a picchiarli
e a sparare a quelli che non si sbrigavano a scendere.
Molti di loro i vecchi e i malati e quelli che erano svenuti
furono uccisi sul treno o sulla banchina.
Gli altri furono riuniti sulla banchina con i loro averi
e condotti a un cancello che portava a un cortile recintato.
Erano a Treblinka.

Quando furono riuniti di nuovo nel cortile
le donne furono spedite a sinistra, gli uomini a destra.
Il giovane non voleva abbandonare sua madre
ma fu colpito alla testa
forse una bastonata
e cadde al suolo.
Quando si alz sua madre era sparita
e non la vide mai pi.
Di quel trasporto, furono selezionati circa quattrocento giovani.

Allestremit del campo dove cerano le camere a gas
cera una grande fossa;
era cintata da filo spinato
e vicino allentrata cera una capanna dipinta di bianco
con una Croce Rossa e la scritta Lazarette
una parola tedesca per indicare una sorta di ospedale
sul muro.
Alcuni dei giovani rimasti dal trasporto
dovevano gettare i corpi nella fossa
quelli uccisi sulla banchina della ferrovia,
come anche quelli che erano svenuti ma erano ancora vivi.
Il giovane che era venuto con sua madre
dovette aiutare a selezionare gli averi di quelli portati alle camere a gas;
vestiti, scarpe, strumenti, medicine, e giocattoli per bambini
tutto in alte pile nel cortile.
E i trasporti arrivavano di continuo;
grandi trasporti ogni giorno anche due volte al giorno.
In seguito dei letti di fiori furono disposti sulle banchine dove arrivavano i treni;


338
338
e cerano cartelli con delle frecce che indicavano Ai treni o A Bialystock,
una citt nota per il numero di ebrei che vivevano o meglio che avevano
//vissuto l;
sicch quelli che arrivavano dapprima non sapevano doverano:
sembrava una sorta di stazione di transito, uno snodo ferrioviario.

Alcuni dei giovani che lavoravano nel campo tentarono di scappare
ma la maggior parte fu presa;
appesi per i piedi
e le SS e gli ucraini venivano e li frustavano;
e alla fine le SS li uccisero.

3

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale
lui viveva a Lodz con sua madre.
La famiglia soffriva la fame
e sua madre divenne gonfia dalla fame
come molti altri.
Sua madre e la sua famiglia scapparono dal ghetto di Lodz
e si rifugiarono in quello di Varsavia;
ma l le cose addirittura peggiorarono:
sua madre aveva venduto tutto ci che aveva
e non aveva niente da mangiare.
Allora gli disse di andare nei dintorni di Lublino
dove vivevano altri membri della famiglia,
e lui scapp in una piccola citt.
Una mattina ud gridi e strida:
i tedeschi stavano portando gli ebrei nella piazza del mercato.
Li ammassarono su dei treni merci
e lui era tra loro.
Cera a malapena lo spazio per stare in piedi
e molti svennero.
Ma il viaggio dur solo due o tre ore
e furono portati in un campo della morte.
Quando scesero dal treno
furono spinti in fretta a un piccolo cancello,
le SS gridavano Sbrigatevi! Sbrigatevi!
e l gli uomini furono separati dalle donne e i bambini.
Mentre questo accadeva
una banda suonava.

Gli uomini restarono l tutta la notte
ma le donne e i bambini furono subito portati nelle camere a gas.
Molti ebrei non avevano creduto che ci sarebbe stato uno sterminio di massa
qualche uccisione, certo;
e anche quando erano stipati nei treni merci,
molti erano contenti di non stare andando in quello che sapevano essere un
//campo di lavori forzati
ma invece a est;
erano corse voci secondo cui sarebbero stati portati in Ucraina a lavorare nei


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339
//campi
ora che la Germania laveva conquistata quasi tutta.
Ma alcuni ricordarono un ebreo che era venuto in citt e aveva detto:
Non credete a quanto vi dicono.
Gli ebrei non vengono mandati in Ucraina;
sono spediti nei campi della morte
e l uccisi.
Ma nessuno gli credeva;
pensavano che volesse semplicemente seminare il panico.
E anche nel campo dove erano stati mandati
a poche decine di metri dalle camere a gas
i tedeschi dissero agli uomini che entro poche settimane avrebbero raggiunto le
//loro famiglie.
Videro gli averi delle donne e dei bambini impilati;
ma i tedeschi dissero:
Hanno ricevuto dei vestiti nuovi.
State per essere riuniti e spediti in Ucraina.
In quel campo in realt cerano tre campi:
uno per i calzolai, sarti, e altri artigiani;
uno per quelli che lavoravano alla selezione dei vestiti di quelli che venivano
//con i trasporti e erano gasati;
e il terzo campo era quello dove cerano le camere a gas.
Il mattino dopo larrivo degli ebrei che erano appena venuti,
i tedeschi cominciarono a selezionarli:
a scegliere i giovani e atti al lavoro dicendo, du la parola tedesca per dire
//tu.
In circa unora e mezza la maggior parte degli uomini che erano venuti con il
//trasporto
erano stati portati nelle camere a gas
e solo centocinquanta circa erano rimasti per lavorare;
tra di loro il giovane che era scappato da Varsavia ai dintorni di Lublino.

Gli fu affidato il compito di prendere e impilare i vestiti di quelli che erano
//arrivati
e continuavano a arrivare nei trasporti
e di continuo vedeva quelli che erano arrivati scomparire.
Dopo che il giovane ebbe lavorato per un po il primo giorno,
era inebetito
e mentre restava l, inebetito e incapace di muoversi
allepoca aveva solo quindici anni
un ebreo and da lui e gli disse, Ragazzo mio, se ti comporti cos qui non
//sopravvivrai.

Quel giorno quando tornarono dal lavoro,
lufficiale di servizio li fece mettere sullattenti
e disse che la gente che era scomparsa era stata spedita in Ucraina.
Poi disse: Chi malato? Chi stanco? Chi non vuole lavorare?
Che esca dalla riga.
Alcuni lo fecero. Sapevano cosa sarebbe successo loro
ma erano stanchi di quanto era accaduto
e uno di loro disse a quelli che erano rimasti in riga,


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340
Oh, non lavorate! Potete riposarvi.
La stessa cerimonia aveva luogo ogni sera.
In un mese, dei centocinquanta del gruppo in cui era il ragazzo allinizio
erano rimasti una cinquantina.

Una volta venne un trasporto da un altro campo.
Qualcosa non aveva funzionato nella loro camera a gas
e i nuovi arrivati passarono la notte nel cortile a cielo aperto.
Erano quasi scheletri:
non gli importava di nulla
e riuscivano a malapena a parlare.
Quando venivano picchiati, al massimo sospiravano.
Agli ebrei che lavoravano nel campo
fu ordinato di dare loro da mangiare;
ma i nuovi arrivati non riuscivano a restare seduti
e camminavano luno sullaltro
per prendere il poco cibo che veniva dato loro.
Il mattino dopo furono portati nelle camere a gas.

Nel cortile in cui avevano passato la notte
cerano parecchie centinaia di morti.
Agli ebrei del campo in cui erano giunti fu detto:
Spogliate i corpi
e metteteli nei vagoni.
Ma questi ebrei erano troppo deboli per trasportare i corpi sulle loro spalle
e dovettero trascinarli,
prenderli per i piedi e trascinarli;
e i tedeschi picchiavano quelli che trascinavano
per farli andare pi in fretta.
Un ebreo abbandon il corpo che stava trascinando per riposarsi un attimo
e luomo che lui pensava fosse morto
si drizz,
sospir e con voce flebile disse,
ancora lontano?
Lebreo che lo trascinava
si chin su di lui e gentilmente gli circond le spalle con il braccio
e a quel punto sent una frustata sulla schiena:
unSS lo stava picchiando.
Lasci andare il corpo
e continu a trascinarlo verso i vagoni.

4

Nella stampa slovacca uscivano articoli
su ci che accadeva agli ebrei deportati dalla Polonia e dalla Slovacchia:
erano al sicuro e stavano bene
e cerano foto di facce allegre e di ragazze sorridenti.
Un giorno delle donne ebree in Slovacchia
furono raccolte in uno scantinato
e, alla fine, portate a Auschwitz con dei treni merci.



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Nella parte del campo in cui erano sistemate,
i letti erano stretti e cerano due donne su ognuno.
E tutte erano mandate fuori a lavorare: a estrarre barbabietole dal suolo
dove le barbabietole erano rimaste a marcire per anni,
lasciate l dai polacchi.
A volte incappavano in un buon appezzamento;
ma per chiunque osasse mettere in bocca una di quelle barbabietole,
era morte certa.
E a volte facevano dei lavori che non capivano perch dovessero essere fatti:
pareggiare una collina in un campo
o portare un mucchio di terra da un luogo a un altro.
Il lavoro per loro cominciava quando ancora cerano le stelle in cielo
e finiva quando era ormai buio.

Una donna venne con la sua bambina
e una mattina le SS erano l
e gliela portarono via:
era proibito alle madri tenere i bambini con s.
Pi tardi, venne a sapere che la sua bambina era stata gettata nel fuoco
in cui si bruciavano i morti,
e la notte stessa si gett contro il filo spinato elettrificato che circondava il
//campo.

In un altro campo in cui erano state portate donne ebree,
furono messe a trasportare materiali da costruzione,
travi di legno e simili.
Sotto cera una cava
e le donne dovevano anche trasportare rocce dove nuove strade venivano
//pavimentate
era un lavoro che facevano solo le donne:
venivano imbrigliate a lunghe corde attaccate ai vagoni
e dovevano trascinarli per un pendio ripido
con qualunque tempo
dodici ore al giorno,
con scarpe di legno che scivolavano nel fango e nella neve.

5

I treni dal Belgio finalmente arrivarono al campo:
quando furono aperte le porte,
un fetore, quasi insopportabile;
e i corpi di quelli dentro caddero fuori
alcuni morti, gli altri svenuti;
i corpi dei morti gonfi, arrossati e lividi,
gli occhi fuori dalle orbite,
i vestiti fradici di sudore e di escrementi.

6

Ebrei dallOlanda, dalla Francia e dallUngheria, e pi tardi dalla Grecia,
furono portati nei campi su treni merci o carri bestiame


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tre o quattro treni al giorno
i carri affollati
e sulla strada per notti e giorni,
con niente per quelli dentro
da mangiare o da bere;
e quando i carri arrivavano al campo
erano tirati fuori a frustate
e colpi di calcio dei fucili.
Venivano messi in fila di fronte al medico del campo
e quando passavano di fronte a lui
chiedeva let delluomo se non era evidente
e cosa facevano per vivere,
e poi indicava con il pollice
a destra o a sinistra;
e quelli mandati a sinistra tutti abili al lavoro
erano condotti a piedi nudi nel campo,
anche quando il suolo era coperto di neve,
e frustati per farli andare pi in fretta.
Uno dei soldati di guardia disse come battuta,
indicando il fumo che usciva dai camini del crematorio,
La sola strada per raggiungere la libert!

Alcuni di quelli mandati a destra
venivano caricati su camion
con un solo membro di una squadra di SS
seduto di fronte a loro
e erano gasati nel camion
se era un camion di quel tipo
e i loro corpi portati direttamente al crematorio.
Ma la maggior parte era portata alle camere a gas
dietro alberi che erano stati tagliati
e messi in fila.

Se le camere a gas erano affollate
e non cera spazio per i bambini pi piccoli o anche per gli adulti
venivano gettati su cataste di legna
che erano state cosparse di benzina
e bruciati vivi.
Ma perch le loro grida non disturbassero troppo
quelli che lavoravano
unorchestra di ebrei del campo
era predisposta perch suonasse forte
canzonette tedesche in voga.

7

Quando il treno su cui si trovava un anziano dottore che era stato colonnello
//dellesercito austriaco
giunse al campo della morte,
lui mostr i suoi diplomi
e delle foto di lui in divisa da colonnello;


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ma questo non lo salv.
Le SS lo picchiarono a morte
e strapparono i suoi diplomi.

8

La routine giornaliera cominciava, destate, alle quattro del mattino;
dinverno alle sei.
Venivano fatti marciare fino al terreno da parata del campo,
dove un appello per numero e non per nome
aveva luogo, e si faceva rapporto su chi era morto nel corso della notte.
Poi a colonne di cinque venivano fatti marciare fino a dove stavano lavorando
una cava di pietra o dargilla, una fabbrica di munizioni, o un cantiere.
Quando la giornata di lavoro era finita,
ciascuno in un campo o molti doveva raccogliere rocce o mattoni,
un peso di almeno dieci libbre,
e riportarle al campo.
Forse soltanto per dimostrare che erano abbastanza forti
per lavorare il giorno dopo.
Di ritorno al campo
venivano riuniti per un altro appello
e poi venivano eseguite le punizioni;
fustigazioni tra cinque e venticinque colpi
e a volte su un uomo su dieci.

In un campo dopo che venivano svegliati alle quattro del mattino
e ricevuta una tazza di caff
lavoravano nelle cave tutto il giorno
e tornavano al campo alle nove o dieci di sera.
Allora gli davano una tazza di minestra acquosa
e due o tre patate cattive.
Arrivavano ai mucchi di paglia sui quali dormivano
per mezzanotte.
In due mesi, in quel campo tremilacinquecento morirono di fame.

9

Tra le SS cerano delle eccezioni.
Alcuni ebrei di quel campo
posavano i binari a scartamento ridotto
da usare per trasportare i corpi;
e lincaricato era solito uccidere a martellate.
Per quanto i lavoranti avessero paura di quellSS,
uno nuovo poteva essere ancora peggio;
e quando videro uno nuovo, un ufficiale anziano per di pi,
erano, come minimo, a disagio.
Uno degli ebrei si era caricato sulle spalle sezioni di binario
e la nuova SS gli disse: Perch ne prendi cos tante?
Cos lebreo ne pos una
ma lSS gliene fece posare ancora un po e disse;
C tempo. Cammina piano.


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Gli ebrei lo vedevano quando arrivavano i trasporti
gironzolava l intorno e aveva laria di vergognarsi.
A volte diceva loro una parola gentile.
Ma rimase solo un mese;
una sera venne nei loro baraccamenti e disse:
Non sapevo dove venivo mandato.
Non sapevo di questo,
e quando lho scoperto ho subito chiesto un trasferimento.
Adesso vi lascio,
e strinse la mano a alcuni ebrei
e augur loro di sopravvivere.

10

Molte donne in Germania, il cui marito era stato mandato in un campo di
//concentramento
e l ucciso,
ricevevano il seguente messaggio che loro marito era stato costretto a scrivere:
Sono in salute e mi trovo bene qui.
oppure Suo marito morto dinfarto;
le spediamo unurna con le ceneri
e per questo voglia farci avere tre marchi e mezzo.


[Da: Holocaust, Black Sparrow Press, Santa Barbara, 1975]


[Traduzione di Andrea Raos]



Notizia.
Sulla vita e sullopera di Reznikoff, si rimanda a: http://en.wikipedia.org/wiki/Charles_Reznikoff.




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Jacques Roubaud

Da Quelque chose noire


Meditazione dell8/5/85

Sera dopo sera
Il vettore di luce attraversa
Lo stesso vetro
Sallontana
E la notte
Lo porta via
Dove ti disponi
Invisibile
Nello spessore

*

Fotoromanzo

Il romanzo si compone davventure raccontate nel tempo del loro accadere.

Limportanza e il senso di questa costrizione non sono dissimulati. Al contrario si dice
esplicitamente che le cose raccontate accadono nel tempo in cui si raccontano.

Ma non tuttavia un diario.

Perch il presente parla al presente senza essere affatto trascorso. Non c la discontinuit
delle date, delle pagine, dei rimpianti, del diario.

C un tale, un uomo. Non viene nominato. C la sua giovane moglie, che morta.

Il romanzo si svolge in diversi mondi possibili. In alcuni, la giovane donna non morta.

Il tempo il presente. il tempo di ogni mondo possibile il presente.

I rumori, le epoche, persino i sapori, sono scritti alla luce del giorno, e le nuvole. E questo
che, pi di ogni altra cosa, mostra il rispetto della costrizione che governa la composizione del
romanzo.

Quando non resta che un solo mondo, in cui lei morta, il romanzo finito.

*

Romanzo, II

E ancora un altro romanzo, forse lo stesso.

Un uomo, abbandonato, a causa di una morte, riceve una telefonata. Questa telefonata una
chiamata della donna amata, e morta.


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346

Lui riconosce la sua voce. Lei chiama da un mondo possibile, altro, simile in tutto a quello
cui lui abituato, con l'unica differenza che ,in quel mondo, lei non morta.

Ma cosa dir lui? cosa successo in quel mondo in trenta mesi? Lei che cosa gli dir? lui
come entrer in questo mondo in cui lorrore non ha avuto luogo, questo mondo dove la morte
abolita, dove continua la lotta contro la morte, dove si ostinano nel combattimento che qui,
nel mondo in cui lui ancora sta ancora per sollevare il ricevitore, stato perso?

Lui alzer la cornetta, e sentir la sua voce. Il mondo in cui ancora si trova (il telefono ha
appena iniziato a suonare ma lui non ha ancora mosso la mano per rispondere) sar
dimenticato.

Questo mondo non sar stato. Non sar stato che come mondo possibile, in cui fu la morte
ad accadere, e non la vita. Un mondo cui lui continuer a pensare per tutto il tempo, bench
non sia pensabile.

Immaginando, nella sua immaginazione, quando si trover in questo mondo, quello in cui
lei sar morta. Ma non sar capace di immaginarselo veramente.

Il telefono non suona. Sin tanto che non suona, il nuovo mondo, il mondo possibile ancora
possibile. E ancora possibile che il telefono suoni e che la voce in arrivo sia la voce della
donna amata, e morta. Avendo smesso di essere morta, non essendola mai stata.

Il telefono suoner. la voce che luomo abbandonato a causa della morte sentir, non sar
quella della donna amata. Sar unaltra voce, una voce qualunque. Lui la sentir. Questo non
prover che lui sia vivo.

*

Romanzo, III

Quellanno, le notizie non furono buone. Uno mor prima della primavera, dun cancro al
polmone. Il suo ultimo libro rest incompiuto. Ci lavor sino allultimo momento.

Subito dopo, in primavera, un altro toss. Era di nuovo un cancro. Di nuovo al polmone. Gli
fece visita dopo loperazione. Cera un parco dove attendere, nel sole. Guardando la
radiografia, si vedeva molto bene lassenza, recente, di un polmone: per raffronto, unassenza
dombra sulla lastra. Solo un arco nero, verso lalto.

Alla fine dagosto, luomo di cui parliamo si rec a La Bourboule a prendere sua moglie,
per ritornare con lei a Parigi. Fece tre cambi di treno, su delle linee secondarie. Lattese
alluscita dello stabilimento balneare e camminarono risalendo la Dordonne, sin fuori la citt,
dove si abbracciarono. Erano le undici del mattino e troppo presto per andare in camera,
allhotel. La sua schiena si era indorata, lei respirava meglio.

In dicembre, in somma, tutto era ancora possibile. Il primo gennaio dellanno seguente
(lanno di cui parliamo), lei attacc i loro due nomi sulla porta con sotto una data, seguita da un
punto esclamativo:
19..!



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347
Visto a posteriori, quellanno gli sembr quasi paradisiaco: le ultime fotografie, come
alleggerite dallangoscia, bruscamente: il bimbo di Diana, gli occhi della madre, una immagine
di Jean E., in un contorno raddoppiato da un riflesso, la sua mano didattica.

Pu interpretarlo come un presentimento, degli addii. Le immagini non ne sono appesantite.

Si ricorda di felicit leggere, chiare, precarie. Le ore a chiacchierare in cucina. Christmas
shopping a Manchester.

Le nuvole che girano nei riquadri a specchio disposti, incollati contro il muro a sinistra dei
cuscini. Le nuvole, che entravano cos nel golfo di tetti a sinistra della chiesa, le guardavano,
insieme, nel pomeriggio. Poi sabbracciavano.

Ma, vero, quellanno le notizie non furono buone.


(Da: J. Roubaud, Quelque chose noire, Gallimard, Paris, 1986)

[Traduzione di Italo Testa]



Notizia
Scrittore francese (n. Caluire-et-Cuire, Rodano, 1932). Professore di matematica, autore di poesie,
romanzi, saggi, originali progetti narrativi, sempre influenzati dai suoi vasti interessi letterari e
linguistici, e dai suoi studi matematici. Si interessato giovanissimo alla poesia aderendo al
collettivo Change, quindi collaborando alla rivista Action potique ed entrando a far parte
dell'OULIPO. Nelle sue raccolte l'aspetto ludico si accompagna a una ricerca sulla parola, la
scrittura e la metrica, che si avvale del ricorso alla logica matematica: (1967), 361 poesie
suscettibili di quattro diversi modi di lettura; Mono no aware: le sentiment des choses (1970),
ispirata agli haikai giapponesi; Trente et un au cube (1973);Quelque chose noir (1986). Autore di
romanzi (La belle Hortense, 1985, trad. it. 1989; L'enlvement d'Hortense, 1987, trad.
it. 1988; L'exil d'Hortense, 1990) e di complessi progetti narrativi in cui si fondono memoria e
riflessione metaletteraria (Autobiographie, chapitre dix, 1977; Le grand incendie de
Londres, 1989; La boucle, 1994), R. ha scritto anche saggi (La vieillesse d'Alexandre: essai sur
quelques tats rcents du vers franais, 1978; La fleur inverse: essai sur l'art formel des
troubadours,1986) e ha rielaborato la leggenda del Graal in Graal thtre (in collab. con F.
Delay, 3 voll., 1977-79) eGraal fiction (1978). Tra le altre pubblicazioni, si ricordano inoltre: Le
chevalier silence, une aventure des temps aventureux (1997); Le crocodile (2001); Churchill 40 et
autres sonnets de voyage (2004); Nous, les moins-que-rien, fils ans de personne (2006). [fonte:
http://www.treccani.it/enciclopedia/jacques-roubaud/]




348
348
Vincent Tholom

The Vincent Tholoms Experiments: Une station service


La station service est. Essentiellement. En plastique et en
mtal. Bien que le caoutchouc. Ou quelque matire
apparente. Soit absolument ncessaire.

Et. La station service est. En effet. Essentiellement. Essentiellement. En plastique et en mtal. Bien
que le caoutchouc. Ou quelque matire apparente. Ou quelque matire apparente. Soit. Enfin. Je
crois. Absolument ncessaire. De sorte que la station service o. Ce 29 octobre. a se passe le 29
octobre. Vincent tholom fait. Le 29 octobre. Un petit arrt la station service. De sorte que. Des
tles et des plastiques colors. Tiennent distance des pompes essence de la station service un ciel
charg mais par instants clatant dor. De sorte que. Dit vincent tholom. Un toit en tles et en
plastiques colors tient distance les engins. Quelquefois japonais et durs. Notamment japonais et
durs. Et pour tout dire essentiellement japonais et durs. Dit vincent tholom. Dun ciel charg.
Certes. Mais toutefois aussi clair dor. Dit vincent tholom. De sorte que. Alors que rien. Rien
rien. Vraiment. Ne laissait croire vincent tholom. Quen arrtant ici leur engin dur et japonais.
Nathalie toledo. Sa. Pour ainsi dire. Femme. Ils vivent ensemble depuis 10 ans. Ils comptent peut-
tre un jour se marier. Ils comptent. Peut-tre. Sils se marient. viter lune ou lautre taxe
exorbitante. De sorte quon ne se marie pas. 29 octobre. Par amour. Mais par intrt malgr
lamour. De sorte quon se marie. 29 octobre. Malgr lamour. Pensent-ils. Pensent vincent tholom
et nathalie toledo. Alors quils claquent. 29 octobre. Les portires de leur vhicule. Un machin
japonais et dur dur dur. De sorte que. Alors quils sortent de leur engin. Disons. Dhumeur joyeuse.
Disons dhumeur joyeuse. Ils viennent de parler de mariage. Ils viennent de se demander en
mariage. Car. 29 octobre. Dans le vhicule de nathalie toledo. Dans un machin japonais et dur. Il
faut le dire. Il faut le dire. Nathalie toledo et vincent tholom viennent de se demander en mariage
malgr lamour.


Car. 29 octobre. Dans un machin japonais et dur. Nathalie
toledo et vincent tholom viennent de se demander en
mariage malgr lamour.

De sorte que. Ils sortent du vhicule malgr un ciel charg. Ils rangent le vhicule correctement et
proximit de la pompe 2. De sorte que rien ne peut maintenant arriver nathalie toledo ou vincent
tholom. Et rien narrive. En effet. la station service nathalie toledo ou vincent tholom. Rien
narrive dabord nathalie toledo ou vincent tholom. Puis. Alors quil ny avait aucune raison
que. Quelque chose arrive la station service nathalie toledo ou vincent tholom. Quelque
chose. De grave peut-tre. De grave peut-tre. Dit vincent tholom. Pense plus tard vincent
tholom. Arrive la station service nathalie toledo et vincent tholom. Il se passe que nathalie
toledo dit tiens vincent tholom en lui tendant la carte bancaire. Il se fait que nathalie toledo tient.
Dans une poche de son sac. La carte bancaire. De sorte quelle sort maintenant du vhicule ct
pompe. De sorte que vincent tholom sort. Quant lui. Maintenant du vhicule ct machine sous.
Oui mais voil. Ce nest pas le tout davoir une carte bancaire. Il faut aussi son code.




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Oui mais voil. Ce nest pas le tout davoir une carte
bancaire. Il faut aussi son code.

Oui mais voil. Ce nest pas le tout davoir une carte bancaire. Il faut aussi son code. Se dit vincent
tholom. Se dit-il. En marche vers la machine sous. Une de ces machines o lon introduit une
carte bancaire puis son code. Puis le numro de la pompe. Ici 2. Pompe 2. Pompe numro 2. De
sorte que. Alors que tout tait en route pour passer ici comme on passe ailleurs. Comme. En
gnral. On passe ailleurs. Ngligemment. Par exemple. Dans un bureau de poste. On entre dans un
bureau de poste puis on en sort. On passe ainsi la poste. Gnralement. Il ny a rien en dire.
Gnralement. On se rend. Par exemple aprs. On se rend la boucherie. On entre et on sort de la
boucherie et il ny a rien en dire. De sorte que. Alors que tout tait en place la station service
pour quon entre dans la station service puis quon en sorte et il ny aurait rien en dire. Le fait est
que. Vincent tholom. Une fois de plus. Une fois de plus. Ne se souvient pas du code de sa carte
bancaire. Et. Alors que vincent tholom tait en marche vers la machine sous. Simple opration
bancaire. Que nimporte qui. En tout cas la plupart dentre nous. En tout cas 90% dentre nous. Il
est dmontr que 90% dentre nous sen sort machinalement avec une machine sous. Vincent
tholom fait. Une fois de plus. Brusquement demi-tour une station service. Vincent tholom fait.
Une fois de plus. Brusquement demi-tour une station service.


De sorte que nathalie toledo devient comme folle.

De sorte que nathalie toledo. La. Presque. Femme de vincent tholom. Ils cohabitent depuis 10 ans.
Ils viennent de se demander. Il ny a pas 10 minutes. En mariage. Malgr lamour. Malgr lamour.
Cest tout dire. Cest tout dire. De sorte que nathalie toledo devient comme folle. Et. Alors que
vincent tholom na pas le temps de contourner le vhicule japonais et dur de nathalie toledo. Na
pas le temps de rejoindre nathalie toledo proximit de la pompe numro 2. Nathalie toledo. En
personne. En personne. Contourne elle-mme le vhicule japonais et dur. De sorte que. Maintenant.
Vincent tholom est la pompe numro 2. Et nathalie toledo la machine sous. De sorte quaprs
la station service. Mettons 10 minutes aprs la station service. On ne sest toujours rien dit. On est
en route vers ailleurs et on le fait sans rien se dire. Dit vincent tholom. Pense vincent tholom.
Ravag. Littralement. Littralement. lintrieur. Par. Oui. Toute laffaire. Toute la scne de la
station service. De sorte quil loupe en plus les beaux panneaux publicitaires colors du long de la
route. De sorte quil loupe les 47 vaches folles dans les prs sur sa droite. Incapable quil est.
Vincent tholom. De sortir aujourdhui. 29 octobre. 10 minutes aprs la station service. De la
station service. Tant. Dit ensuite vincent tholom. Nous avons. Tout de mme. Tout de mme.
Vcu. la station service. Une situation critique. Il faut le dire. Il ne faut. Il ne faut pas. Il ne faut
pas avoir peur des mots. Dit ensuite. Plus tard. Dans la nature. Nathalie toledo.


Il ne faut pas avoir peur des mots. Dit ensuite. Plus tard.
Dans une fort de sapins douglas. Nathalie toledo.










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350
The Vincent Tholom Experiment: Una stazione di servizio


La stazione di servizio . Essenzialmente. Di plastica e di
metallo. Anche se la gomma. O una qualche materia simile.
assolutamente necessaria.

E. La stazione di servizio . In effetti. Essenzialmente. Essenzialmente. Di plastica e di metallo.
Anche se la gomma. O una qualche materia simile. O una qualche materia simile. . Insomma. Io
credo. Assolutamente necessaria. Sicch la stazione di servizio in cui. Questo 29 ottobre. Questo
succede il 29 ottobre. Vincent tholom fa. Il 29 ottobre. Una piccola sosta alla stazione di servizio.
Sicch. Lamiere e plastica colorata. Tengono a distanza dalle pompe di benzina della stazione di
servizio un cielo carico ma che a tratti risplende doro. Sicch. Dice vincent tholom. Un tetto di
lamiera e plastica colorata tiene a distanza i mezzi. Qualche volta giapponesi e duri. Specialmente
giapponesi e duri. E per dirla tutta essenzialmente giapponesi e duri. Dice vincent tholom. Da un
cielo carico. Certo. Ma comunque anche illuminato doro. Dice vincent tholom. Sicch. E niente.
Niente niente. Davvero. Faceva credere a vincent tholom. Che fermandosi qui con il loro mezzo
duro e giapponese. Nathalie toledo. Sua. Per cos dire. Moglie. Vivono insieme da 10 anni. Un
giorno contano forse di sposarsi. Contano. Forse. Se si sposano. Di evitare questa o questaltra tassa
esorbitante. Sicch non ci si sposa. 29 ottobre. Per amore. Ma per interesse nonostante lamore.
Sicch ci si sposa. 29 ottobre. Nonostante lamore. Pensano loro. Pensano vincent tholom e
nathalie toledo. E sbattono. 29 ottobre. Le portiere della macchina. Un affare giapponese e duro
duro duro. Sicch. Ed escono dal loro mezzo. Diciamo. Dumore radioso. Diciamo dumore
radioso. Hanno appena finito di parlare di matrimonio. Si sono appena fatti la proposta di
matrimonio. Dato che. 29 ottobre. Sul veicolo di nathalie toledo. Su un affare giapponese e duro.
Bisogna dirlo. Bisogna dirlo. Nathalie toledo e vincent tholom si sono appena fatti la proposta di
matrimonio nonostante lamore.


Dato che. 29 ottobre. Su un affare giapponese e duro.
Nathalie toledo e vincent tholom si sono appena fatti la
proposta di matrimonio nonostante lamore.

Sicch. Escono dal veicolo nonostante un cielo carico. Piazzano il veicolo correttamente e in
prossimit della pompa 2. Sicch adesso non pu succedere niente a nathalie toledo o a vincent
tholom. E non succede niente. In effetti. A nathalie toledo o a vincent tholom alla stazione di
servizio. In un primo momento a nathalie toledo o a vincent tholom non succede niente. E poi. E
non cera nessun motivo che. Succedesse qualcosa a nathalie toledo o a vincent tholom alla
stazione di servizio. Qualcosa. Di grave forse. Di grave forse. Dice vincent tholom. Pensa pi tardi
vincent tholom. Succede alla stazione di servizio a nathalie toledo e a vincent tholom. Succede
che nathalie toledo dice toh a vincent tholom mentre gli passa la carta di credito. Il fatto che
nathalie toledo tiene. In una tasca della borsa. La carta di credito. Sicch adesso lei esce dal veicolo
dalla parte della pompa. Sicch adesso vincent tholom esce. Quanto a lui. Dal veicolo dalla parte
della macchinetta per i soldi. S ma ecco. Avere una carta di credito non tutto. Ci vuole anche il
codice.




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S ma ecco. Avere una carta di credito non tutto. Ci vuole
anche il codice.

S ma ecco. Avere una carta di credito non tutto. Ci vuole anche il codice. Si dice vincent
tholom. Dice tra s. Andando verso la macchinetta per i soldi. Una di quelle macchinette in cui si
mette una carta di credito e poi il codice. E poi il numero della pompa. Qui 2. Pompa 2. Pompa
numero 2. Sicch. Tutto stava andando per il giusto verso perch capitasse qui come capita dalle
altre parti. Come. In generale. Capita dalle altre parti. Con disinvoltura. Per esempio. In un ufficio
postale. Si entra in un ufficio postale e poi si esce. Cos si passa alla posta. Generalmente. Non c
niente da dire. Generalemente. Si va. Per esempio dopo. Si va dal macellaio. Si entra e si esce dal
macellaio e non c niente da dire. Sicch. E alla stazione di servizio era tutto pronto per entrare alla
stazione di servizio e poi uscire e non ci fosse niente da dire. Il fatto che. Vincent tholom. Ancora
una volta. Ancora una volta. Non si ricorda il codice della sua carta di credito. E. Mentre stava
andando verso la macchinetta per i soldi. Semplice operazione bancaria. Che chiunque. In ogni caso
la maggior parte di noi. In ogni caso il 90% di noi. dimostrato che al 90% di noi riesce automatico
cavarsela con una macchinetta per i soldi. Vincent tholom fa. Ancora una volta. Bruscamente
uninversione in una stazione di servizio. Vincent tholom fa. Ancora una volta. Bruscamente
uninversione in una stazione di servizio.


Cos nathalie toledo d quasi fuori di matto.

Cos nathalie toledo. La. quasi. Moglie di vincent tholom. Abitano insieme da 10 anni. Si sono
appena fatti la proposta. Neanche 10 minuti fa. Di matrimonio. Nonostante lamore. Nonostante
lamore. tutto dire. tutto dire. Cos nathalie toledo d quasi fuori di matto. E. E vincent tholom
non ha il tempo di fare il giro del veicolo giapponese e duro di nathalie toledo. Non ha il tempo di
raggiungere nathalie toledo in prossimit della pompa numero 2. Nathalie toledo. In persona. In
persona. Fa lei il giro del veicolo giapponese e duro. Sicch. Adesso. Vincent tholom si trova alla
pompa numero 2. E nathalie toledo alla macchinetta per i soldi. Cos che dopo la stazione di
servizio. Mettiamo 10 minuti dopo la stazione di servizio. Non ci si ancora detti niente. Si sta per
strada andando da qualche altra parte e si va senza dirsi niente. Dice vincent tholom. Pensa vincent
tholom. Devastato. Letteralmente. Letteralmente. Dentro. Da. S. Tutta questa storia. Tutta la scena
della stazione di servizio. Sicch in pi si lascia scappare i bei pannelli pubblicitari colorati lungo la
strada. Sicch si lascia scappare le 47 mucche pazze sui prati alla sua destra. Incapace com.
Vincent tholom. Di uscire oggi. 29 ottobre. 10 minuti dopo la stazione di servizio. Dalla stazione
di servizio. Da quanto. Dice poi vincent tholom. Abbiamo. Comunque. Comunque. Vissuto. Alla
stazione di servizio. Una situazione critica. Bisogna dirlo. Non bisogna. No non bisogna. No non
bisogna aver paura delle parole. Dice poi. Pi tardi. In mezzo alla natura. Nathalie toledo.


Non bisogna aver paura delle parole. Dice poi. Pi tardi. In
mezzo a una foresta di abeti douglas. Nathalie toledo.


(Dal blog: http://lescahiersdebenjy.over-blog.com/article-4611623.html; Lunedi 20 novembre 2006)

[Traduzione di Michele Zaffarano]

Notizia.
Sullautore e sullopera si veda: http://www.maisondelapoesie.be/auteurs/auteur.php?id_auteur=330.


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Nika Turbina

Inediti (e altri testi dimenticati)


I testi qui presentati sono inediti in traduzione, ad eccezione di II (gi in Sono pesi queste mie
poesie, Via del Vento, 2008) e di I e II (gi in traduzione inglese in The Conversation Paperpress
1.2). Sono estratti dallarchivio dellautrice, rimasto per lo pi inedito (o edito solo in originale)
dopo la sua prematura scomparsa. Attualmente in preparazione unedizione trilingue (russo,
inglese, italiano) che faccia luce sulle parti meno esplorate di questo percorso poetico e raccolga a
margine alcuni appunti dal diario.



I.

,

,

.

Lascia,
accendo io le luci
lungo la discesa
che ti precipita
nel buio.



II.

.
,
.
.
.


.

Mi hanno tormentata le parole nuove.
Ora qui tralascio qualche lettera,
ora l un accento manca.
Mi sono vantata a lungo
di quella che ho scordato.
Cos facile da dire.
Mi regala il suo valore il tempo
che l'Amore
nel presentimento della quiete.



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III.

.
.
.
(1)
.

Bianco, il bosco.
Bianchi, gli occhi.
Sono bianche le cose che amo.
Il mio desiderio di fanciulla di neve,
ridotto a una riga bruciata.



IV.


,

.


.

Percepisco la segreta
nota del dolore,
dove si radunano
i pensieri e i sentimenti.
Del mio verso far
riga di selvaggi abbozzi
da leggere a qualcuno.



V.

.
.
?

.

Io sono un pagliaccio.
Percorro un anello nuziale.
A chi sto legato per?
Forse a dei palloncini
di mille colori soltanto.




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354
VI.

,

.
, ,
.

A forza di farsi parola,
si sfinisce lanima a vegliare
la pace di un mondo senza cuore.
Ad amare, perdonare,
a sopportarmi.



VII.

, , ,
, .
,
.

La gente cieca e per non darsi pena,
accoglie come gemiti di tomba i segni.
Inutile indugiare in piedi accanto ad una bara,
porter con me la luce e il bene.


Note.
(1) La fanciulla di neve () protagonista di una fiaba del folklore russo.

[Traduzione di Federico Federici]


Notizia.
Informazioni biografiche sullautrice sono leggibili su: http://en.wikipedia.org/wiki/Nika_Turbina.

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