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COPYRIGHTUNIMARCONI

Psicologia del linguaggio:


percezione, memoria,
apprendimento

Unit 1




Giorgia Turchetto




M
a
s
t
e
r


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Indice
PREMESSA -------------------------------------------------------------------------------------------- 2
OBIETTIVI ---------------------------------------------------------------------------------------------- 4
1. STUDIARE IL LINGUAGGIO------------------------------------------------------------------ 5
2. LA COMUNICAZIONE LINGUISTICA ---------------------------------------------------- 35
RIEPILOGO ------------------------------------------------------------------------------------------ 82
GLOSSARIO --------------------------------------------------------------------------------------- 101
BIBLIOGRAFIA ----------------------------------------------------------------------------------- 103


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PREMESSA
Questa unit didattica si sviluppa secondo unottica di approfondimento successivo degli
argomenti. Dal generale al particolare, lunit approfondisce le diverse tematiche: parte
dalla definizione di concetti generali, passa attraverso la trattazione di certe teorie fino ad
arrivare ad analizzare i campi dindagine della psicologia del linguaggio ed in particolare
alcune tematiche di studio, quale lacquisizione della competenza comunicativa (cfr.
capitolo 5). Il corso si propone di fornire unintroduzione alla psicologia del linguaggio,
presentando i processi di acquisizione ed elaborazione del linguaggio, analizzandone
criticamente i diversi approcci teorici. Lobiettivo prioritario quello di comprendere
lacquisizione del linguaggio allinterno del contesto dello sviluppo dellindividuo
specificando i possibili aspetti di continuit tra prerequisiti biologici e situazioni di
interazione sociale. trattato lo sviluppo della capacit di produrre e comprendere
espressioni linguistiche e in particolare espressioni figurate che associano ad un
significato verbale anche un valore mnestico. Diverse ricerche hanno dimostrato la
validit che lacquisizione del linguaggio figurato avviene parallelamente, in modo
interconnesso e dipendente dalla pi generale capacit di elaborare il linguaggio. Infatti,
nei bambini lacquisizione della competenza figurata, quella cio per cui un bambino in
grado di comprendere e produrre espressioni non letterali, un aspetto dellevoluzione
pi generale della competenza linguistica e comunicativa e non , pertanto, necessario
invocare meccanismi o principi specifici, come ipotizzano alcuni modelli dellelaborazione
negli adulti. Chiarire che cosa la Psicolinguistica, come si sviluppata nel tempo, quali
sono stati i contributi delle altre discipline che studiano il linguaggio, illustrare quali sono
gli strumenti teorici e metodologici di cui si avvale di fondamentale importanza, se si
vogliono fornire delle conoscenze, non certo esaustive, ma che consentano, almeno, ad
un insegnante di progettare e in seguito realizzare il suo piano educativo-didattico in
relazione alla classe e alle caratteristiche dei singoli alunni. Lesposizione di teorie,
modelli interpretativi, contributi di diversi autori che verranno presentati nel corso della
trattazione, costituiscono un quadro di riferimento per meglio delineare gli obiettivi e le
competenze, ma anche per dare dei suggerimenti nella scelta degli strumenti, delle
metodologie di verifica e degli interventi didattici in modo consapevole e mirato. NellUnit
didattica si fa riferimento ai contributi apportati da alcune discipline allo studio del
linguaggio e della comunicazione e si sono richiamati in modo, speriamo quanto pi
completo possibile, i processi cognitivi, meta-cognitivi ed emotivo-motovazionali
nellelaborazione dellinformazione e nellapprendimento del linguaggio.

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Lunit Didattica termina con un glossario di termini utili al sottocodice linguistico proprio
delle scienze che studiano il linguaggio, che crediamo utile per acquisire da subito un
sottocodice linguistico consono alla trattazione della tematica. Lunit didattica, lungi
dallesaurire la complessit e la molteplicit degli argomenti afferenti allo studio della
Psicologia del linguaggio, fornisce un valido approccio al tema, suggerendo ulteriori spunti
di riflessione e di approfondimento per i quali si rimanda alla sezione bibliografica.


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OBIETTIVI
Gli obiettivi di questa unit didattica sono:
conoscere le caratteristiche principali del linguaggio;
enunciare il concetto di segno linguistico identificando le sue caratteristiche
peculiari;
comprendere le principali differenze tra linguaggio e lingua;
analizzare i contributi della filosofia del linguaggio, della linguistica e della
psicologia alla Psicologia del linguaggio;
comprendere la Psicologia del linguaggio secondo il cognitivismo, viceversa
secondo il comportamentismo;
elencare alcuni modelli applicati dalla disciplina comprendendo le differenze
metodologiche alla base di ciascuno;
valutare i processi alla base della competenza comunicativa;
entrare in possesso di nuovi elementi conoscitivi propedeutici allorganizzazione
degli interventi didattici.


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1. STUDIARE IL LINGUAGGIO
Lorigine del linguaggio
Il cervello di Homo sapiens, grande in media 1400 cm, ha un volume quasi doppio
rispetto a quello dei primi esseri umani che producevano utensili litici. Tale aumento di
dimensioni, avvenuto nellarco di circa due milioni di anni, stato accompagnato da un
adeguato incremento della capacit e della forma del cranio: mentre nei primi ominidi
questo era relativamente piccolo, costituito da ossa massicce e caratterizzato da arcate
sopraccigliari prominenti e da fronte e mento sfuggenti, nellHomo sapiens ha acquisito
una forma arrotondata, con ossa facciali pi sottili, conformate in modo da risultare
disposte approssimativamente su un piano frontale. Laumento di dimensioni del cervello
ha consentito il graduale sviluppo di unaltra delle caratteristiche distintive di Homo
sapiens, vale a dire il linguaggio. In particolare, i requisiti fisiologici necessari
allacquisizione di questa facolt si sono affermati in associazione allespansione e alla
specializzazione di una regione della corteccia cerebrale, chiamata area di Broca, adibita
al controllo dei movimenti delle labbra e della lingua.
La questione dellorigine del linguaggio ha occupato costantemente nella storia del
pensiero uno spazio significativo. Questo perch il linguaggio, dal momento in cui ogni
essere umano nasce, accompagna non solo ogni istante della vita di relazione con gli
altri, ma anche la dimensione della propria interiorit. Da questo punto di vista il
linguaggio sembra qualche cosa di ovvio, di banale, di congenito, come il respirare. Basta
per volgere lo sguardo intorno, cosa avvenuta assai per tempo nella storia della nostra
tradizione culturale e dellumanit, per accorgersi che nel linguaggio c qualche cosa di
profondamente diverso dal respirare, dal camminare, dal nutrirsi e che questa diversit
data dallesistenza di un grandissimo numero di lingue profondamente difformi tra di loro.
come dire che respiriamo tutti allo stesso modo, ma che poi il respiro si realizza con
nasi diversi.
Oggi sappiamo bene che le lingue sono profondamente diverse perch, anche se con
qualche problema, con strumenti di indagine accurati le possiamo censire una per una;
oggi, nel mondo, ne contiamo di viventi oltre seimila. Ma questa proliferazione di lingue
differenti era evidente anche nel passato, si tratta di una diversit singolare, perch non
ha nulla a che fare con lambiente naturale in cui ci troviamo. Il processo di diffusione
delle lingue fuori dal luogo di origine geografico, infatti, un fenomeno noto. Nel caso
delle lingue, quindi, la riduzione a cause ambientali non c. Ed questo che, da epoche

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remote, ha colpito lattenzione e la riflessione di chi ha osservato la pluralit delle lingue.
Gi gli scribi del vicino oriente antico, del terzo millennio avanti Cristo - che redigevano le
lettere dei loro sovrani per altri sovrani, in egiziano, in ittita o in sumerico - avvertivano la
problematicit del mettere in corrispondenza due testi redatti in due lingue diverse. da
allora che noi sappiamo che la diversit delle lingue un fatto profondo e il perch le
lingue siano diverse, stato sempre motivo di curiosit intellettuale. Altrettanto remoto il
chiedersi da parte degli studiosi del linguaggio quale possa essere stata la forma della
lingua primigenia.
In un antico testo, nelle Storie dErodoto, lo scrittore, profondo osservatore della diversit
dei costumi tra i popoli sostiene come la diversit delle lingue sia fondamento del
costituirsi delle distinzione tra i popoli, nazioni e culture. Egli, lungo la trattazione racconta
di esperimenti un po ingenui, come quello di un faraone, che avrebbe preso due bambini
e li avrebbe nutriti, nei primi giorni e nelle prime settimane di vita, al di fuori di ogni
contatto con esseri umani. Lobiettivo del faraone era vedere se questi bambini sarebbero
riusciti a parlare e quale lingua avrebbero parlato. I bambini, a un certo punto, avrebbero,
secondo quanto dice Erodono, cominciato a dire la parola becos, che in frigio, una
lingua delloriente antico, una delle tante lingue dellattuale Turchia, vuole dire pane, cio
cibo, alimento. Questo, quindi, avrebbe consentito al faraone di stabilire, in modo
incontrovertibile, che il frigio era la lingua primigenia dellumanit. Come si vede, dunque,
cercare di capire perch le lingue sono diverse tra loro e quale sia la loro origine un
problema antico, pi antico della stessa cultura greca da cui noi, ormai, si pu dire in tutto
il mondo, traiamo tanta parte dellossatura, dello scheletro profondo delle nostre
costruzioni intellettuali e filosofiche.
Certamente, il tema delle origini del linguaggio, inteso come ricostruzione della forma
della ipotetica, o delle ipotetiche, lingue primigenie del genere umano cade sotto i colpi
dei linguisti professionali, dei glottologi, che spiegano che non si pu risalire in modo
attendibile cos indietro nel tempo e constatano, quindi, lineluttabilit della registrazione
della profonda diversit tra i gruppi linguistici. Nello stesso tempo una parte delle filosofie
dominanti svalutano il tema stesso delle origini, da De Saussure a Von Von Humboldt
fino a Benedetto Croce si sente ripetere che inutile occuparsi del problema delle origini
del linguaggio, perch questo problema si risolve studiando come funziona nellattualit
una lingua. La cosa interessante capire che ruolo ha il linguaggio nella vita dello spirito
umano. Allostracismo professionale dei linguisti, quindi, si aggiunge anche una messa in
mora filosofica. Unaltra questione legata allo studio del linguaggio ruota intorno al fatto
che esso stato considerato, da sempre, come un privilegio riservato alluomo.

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Dagli anni Trenta del novecento per questa credenza muta radicalmente, studiosi
diversi, come lamericano come John Lilly, laustriaco Karl Von Frisch, diventato, poi per
questi studi, Premio Nobel, hanno cominciato a scoprire che il mondo della
comunicazione pi vasto di quello degli esseri umani, che forme di comunicazione,
molto sofisticate, esistono tra i mammiferi acquatici. Dai primi lavori classici di Von Frisch,
condotti sulle api, un po alla volta nata una disciplina nuova, la zoosemiotica, vale a
dire lo studio sistematico dei modi di semiosi, dei modi di comunicazione per simboli e per
segni, propri di specie animali diverse dal genere umano. Questi studi si sono ormai
allargati, si pu dire, non solo a tutte le specie, ma gli sviluppi della biologia molecolare,
della genetica ci hanno portato negli ultimi quindici anni fino alle estreme frontiere della
vita. A questo punto, noi sappiamo che forme rudimentali di interazione comunicativa si
trovano anche in piccoli organismi unicellulari, in quelli archeozoi e protozoi da cui
cominciata la storia della vita sulla terra. Sembrerebbe oggi sempre di pi, che non solo,
come diceva Wittgenstein, un linguaggio una forma di vita, ma che il linguaggio la
forma della vita: l dove c qualcosa che vive, c qualcosa che comunica. Uno
scossone, dunque, che porta a chiedersi, in che misura, le forme di linguaggio degli
esseri umani abbiano qualcosa a che fare con le forme di linguaggio degli altri animali,
quali siano le loro affinit e le loro diversit. Quello che noi chiamiamo, per eccellenza,
linguaggio, non che una variante delle forme di comunicazione, il che non significa che
sia riducibile alle altre, evidentemente, ma questo ci pone un problema di comprensione
di ci che continuo e discontinuo nellemergere del linguaggio non solo come categoria
ma anche nel tempo, nella storia delle specie. Anche un altro colpo stato dato alla
esclusiva identificazione della comunicazione con il linguaggio. Questo scossone
venuto dallallargarsi del nostro orizzonte conoscitivo per quanto riguarda le forme di
comunicazione che, lessere umano gestisce e che sono diverse dal linguaggio verbale a
quello grammaticalizzato. Limportanza di questo aspetto stato compreso bene da
Wittgenstein che ha compreso la problematica esistente tra la specificit del linguaggio
fatto di parole parlate e scritte e le altre forme di interazione comunicativa. In tanti casi il
gesto, per esempio, sostituisce completamente la formulazione verbale e cos accade
anche per la postura del corpo, labbigliamento e molta altra parte della simbologia di cui
intessuta la nostra vita di relazione e di comunicazione non verbale. A sostituire il
linguaggio verbale ci sono anche forme pi alte di comunicazione come i linguaggi
matematici e i linguaggi simbolici che noi abbiamo creato a partire dalle lingue.
Ci si interrogati allora su che rapporto c tra il mondo linguistico umano, che ormai ci
appare non pi un mondo fatto solo di parole e di lingue, ma di codici di comunicazione

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diversi, e il mondo della comunicazione delle altre specie animali. Se le nostre unghie, i
nostri capelli, il nostro sangue, il nostro scheletro, il nostro DNA, il nostro patrimonio
genetico, si riportino a momenti diversi della scala evolutiva, abbiamo a che fare, diciamo,
nella loro genesi, in modo ipotetico, ma ben documentato, con tappe successive della
scala evolutiva. Ci si chiesti se solo il linguaggio sia un unicum, o se non abbia
anchesso una sua preistoria evolutiva, ricostruibile, documentabile, che possa aiutarci a
comprendere la sua struttura. La discussione sullorigine del linguaggio ripresa negli
anni cinquanta-sessanta, un po in sordina, fino a diventare, di nuovo, un tema di grande
interesse scientifico. A questo punto, per, con la differenza che non si tratta pi di sapere
se i primi esseri umani hanno detto parole come becos, ma si tratta, invece, di capire e
di ricostruire, se possibile, attraverso la comparazione con le forme di comunicazione
delle altre specie viventi, quali sono state le tappe attraverso cui il linguaggio si sia
formato. Diventa allora possibile, dare una spiegazione genetica teoricamente
convincente della costituzione del linguaggio verbale in base alle componenti che ne
regolano il funzionamento. La discussione teorica su ci che necessario e su ci che
contingente, su ci che struttura dura e ci che, invece, struttura contingente, nelluso
di una lingua un dibattito, da questo punto di ancora molto acceso.
Alcuni studiosi, soprattutto Lieberman, insistono molto sui prerequisiti di tipo anatomico e
neurologico. Secondo Lieberman bisogna avere una struttura pienamente eretta perch
si abbassi la laringe e questo ci permetta di avere il controllo di suoni cos diversificati
come quelli che sono presenti effettivamente e non accidentalmente nelle lingue.
Abbiamo bisogno anche di una sottile possibilit di differenziare i suoni per potere
costruire decine e decine di migliaia di parole, sottilmente diverse tra di loro, ma fatte degli
stessi elementi. Contemporaneamente vi bisogno di un apparato neurologico, quello
preposto al controllo della produzione e alla discriminazione acustica di questi suoni, di
poco diversi tra loro. Quindi la forma della calotta cranica, ricostruibile
paleontologicamente, molto importante per capire quando queste condizioni si sono
create. Lieberman ipotizza una datazione molto bassa dellorigine della capacit
linguistica che lo porta a concludere che, forse, neanche gli uomini di Neanderthal, cos
simili a noi e gi con una vita sociale molto sviluppata, parlavano una lingua analoga alla
nostra; lhomo sapiens avrebbe imparato a parlare solo a tre quarti della sua storia.
Altri studiosi, come Leroi-Gourhan, ragionano in termini diversi, sostenendo che, nel
vedere i reperti di un milione e mezzo di anni fa, ci si accorge che questi ominidi erano
capaci di andare a cercare materie prime in terre lontane per formare degli strumenti che
servono loro per costruire altri arnesi con i quali costruire ancora altri utensili per

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procurare cibo e per difendersi. Quando ci si accorge che c una struttura sociale,
fondata sul lavoro e quindi sulluso razionale delle mani, ci si trova di fronte a dei quadri
culturali che ci fanno pensare che questi esseri, gi in qualche modo, dovessero disporre
di quella forma di vita comunicativa cos complessa, da giustificare luso di una lingua
storico-naturale. Essi retrodatano quindi fortemente lorigine del linguaggio, da
cinquantamila a un milione e mezzo di anni fa. Quale delle due ipotesi si pi pertinente
molto difficile da dire. Alcuni studiosi fanno un ragionamento semplice, sostenendo che le
parole delle lingue hanno la possibilit di trasferire il significato delle parole, di allargarne i
confini a seconda delle necessit, riferendosi alla indeterminatezza semantica che,
accanto alla ricchezza del patrimonio lessicale e sintattico la propriet chiave delle
lingue. Questa propriet, secondo questi studiosi non pu non essere stata sfruttata nel
momento in cui il lavoro di trasformazione dellambiente passava, per esempio, attraverso
le tecniche di cottura del cibo, nel momento in cui, cio, si inizia ad usare il fuoco
razionalmente, in modo programmato. In quella circostanza, lessere umano deve
obbligatoriamente aver cominciato a fare quelloperazione che noi compiamo,
quotidianamente, quando dicendo: oggi ho mangiato maiale, con la parola [maiale]
intendendo dire diverse cose nel senso che la carne di maiale ha in s il significato di
carne di maiale cotta, ma anche di carne cruda di maiale, o anche semplicemente sta
a significare il povero simpatico suino che grufola per nutrirsi e per vivere. La stessa
parola, per effetto del fuoco, per cos dire, ha dovuto imparare a dilatare i suoi significati,
cio gli essere umani hanno dovuto imparare a possedere un sistema simbolico, ricco di
indeterminatezza semantica e di possibili determinazioni, in vie, su vie diverse. Altri
ancora pensano che trecentomila anni sia una buona datazione intermedia ma, aldil di
questo, il grande interesse lesplorazione in termini genetico-evolutivi delle precondizioni
che reggono e regolano la vita del linguaggio verbale, cos come noi lo conosciamo, in
rapporto alle altre forme di comunicazione dellintero mondo vivente.
Il linguaggio e la comunicazione
La capacit di comprendere e comunicare uno dei maggiori traguardi raggiunti
dallessere umano. Una caratteristica sorprendente dello sviluppo del linguaggio la
velocit con cui esso acquisito: la prima parola viene pronunciata intorno ai 12 mesi ed
entro i due anni, la maggior parte dei bambini possiede un vocabolario di 270 parole, che
diventano 2600 a sei anni. Partendo dal presupposto che quasi impossibile stabilire il
numero di frasi che si possono costruire allinterno di una lingua, certo, comunque, che i
bambini cominciano ad utilizzare proposizioni sintatticamente corrette fin dallet di tre
anni e frasi molto complesse allet di cinque.

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Questo straordinario fenomeno non pu essere spiegato semplicemente attraverso le
teorie dellapprendimento. Il linguista americano Noam Chomsky ha ipotizzato che il
cervello umano funzionale alla percezione e riproduzione del linguaggio; pertanto il
sistema mentale deputato al linguaggio non richiede un apprendimento formale, ma si
attiva spontaneamente in un contesto che ne stimola la produzione verbale. Sebbene non
tutti gli studiosi del linguaggio condividano le affermazioni di Chomsky sullacquisizione
del linguaggio, lidea di uno speciale sistema mentale addetto alla produzione linguistica
comunemente accettata. Attualmente, i teorici che si occupano della relazione tra
sviluppo cognitivo e acquisizione del linguaggio, affermano che questultimo riflette le
concezioni del bambino e si evolve insieme con esse.
Il linguaggio , dunque, in senso generico la facolt di comunicare, nello specifico, un
sistema simbolico di comunicazione, ovvero un dispositivo in cui linformazione che
passa tra un emittente ed un destinatario codificata attraverso un codice convenzionale
e condiviso. Se, dunque la comunicazione lazione che luomo compie per rendere noto
ai suoi simili, il pensiero, le emozioni, le decisioni, il linguaggio verbale il mezzo che egli
usa per attuare la comunicazione. Abbiamo avuto gi modo di vedere nellintroduzione
dellunit didattica che la comunicazione non un fatto esclusivo del genere umano e lo
stesso uomo non usa come unica forma di comunicazione solo il linguaggio verbale. Il
contesto, ovvero la condizione in cui si comunica (es. in aula, a casa, in famiglia, nel caso
di portatori di handicap), le molteplici combinazioni dei soggetti (es. uomo-donna, madre-
figlio, capo-dipendente, inseganti-alunni, ecc), e la variet delle strutture simboliche (es.
parole, numeri, simboli) definiscono i diversi tipi di linguaggio. Il livello della
comunicazione pu essere superficiale (cognitivo-informativo) o profondo (motivazionale-
persuasivo). Il linguaggio, infatti, comunica:
dati di conoscenza (oggettivi e opinionali): far conoscere il proprio stato danimo
persuadere;
modalit di operazione su di essi: far conoscere una procedura farla acquisire
concretamente come automatismo;
stati danimo ed emozioni (sia volontariamente che involontariamente): far
conoscere il proprio stato danimo ottenere che venga condiviso;
atteggiamenti e valori: farli conoscere, esplicitarli ottenere che vengano assunti.

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Se il linguaggio possiamo, dunque, definirlo lo strumento o il mezzo attraverso cui si
comunica bisogna chiarire subito che esistono una pluralit di linguaggi che interagiscono
e si combinano tra loro nellatto della comunicazione. Il pi comune il linguaggio verbale
orale, poi il verbale scritto, quello grafico (schemi, diagrammi, disegni), il linguaggio
gestuale che accompagna spesso quello verbale orale, il mimico (limitato alle espressioni
facciali), il linguaggio comportamentale, i suoni non verbali (il clacson, le campane, il
fischio, il telefono), le immagini comunicative (il semaforo, i fari dellautomobile, il razzo
di segnalazione), il silenzio (dal significato fortemente contestualizzato). Nella
comunicazione si possono distinguere alcuni elementi essenziali:
LEMITTENTE O FONTE colui che avvia la comunicazione, elabora un messaggio
mentalmente, gli da un codice espressivo, lo affida ad un canale con lobiettivo di farlo
arrivare a destinazione;
IL CODICE il sistema convenzionale di segni, di elementi sintattici e semantici che
costituiscono un certo linguaggio, es. una lingua (italiano, inglese, dialetto) comune a chi
parla e a chi ascolta che permette di capire le regole attraverso cui passa il messaggio
per raggiungere lascoltatore. I linguisti definiscono i segni come significanti che in
relazione ad un codice stabilito hanno un significato. Secondo il codice della strada, ad
esempio, il colore rosso (significante) indica lo stop (significato), lo stesso colore, secondo
un altro codice, pu avere significato differente.
IL CANALE il mezzo utilizzato per attivare la comunicazione far passare il messaggio e
i segni. il punto di collegamento tra emittente e ricevente, letteralmente tutto ci che si
trova tra emittente e ricevente. In relazione alla diversa modalit di comunicare possono
usare differenti canali: verbale (parole, rumori, suoni); paralinguistico (tono della voce,
volume, velocit, pause delleloquio); visivo (aspetto esteriore, look); prossemico
(posizione occupata nello spazio); cinestesico (posizione del corpo e gesti); tattile (dare la
mano, abbracciare), olfattivo-gustativo (sapori, odori, ecc.). Il Canale o pi propriamente il
mezzo pu essere considerato anche lo strumento che si utilizza per comunicare (il
telefono, la posta tradizionale, le-mail, la registrazione radiofonica e quella televisiva,
ecc.).
IL RICEVENTE O DESTINATARIO colui che riceve il messaggio. Il modo in cui lo
riceve non dipende soltanto da come il messaggio stato trasmesso, ma anche dalle
condizioni del destinatario al momento della ricezione (apertura, chiusura, attenzione,

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disattenzione, interesse disinteresse, ecc.) e dalle condizioni di contesto presente o
assente ( es. de visu o telefonicamente) o presente virtualmente (lettera, video).
IL CONTESTO il complesso delle idee e dei fatti che consente di determinare il senso
di una frase, di una parola, di un brano. Il complesso delle circostanze in cui si sviluppa un
determinato fatto (es. c. familiare, culturale, aziendale, ecc.). Il contesto a volte coincide
con il referente, ossia largomento a cui si riferisce il messaggio.
IL FEEDBACK letteralmente lalimentazione di ritorno o linformazione di ritorno. Il
feedback pu essere immediato e completo (de viso), limitato (telefono), ridotto e differito
(lettera). Il feedback pu comunicare molto: attenzione, distrazione, noia, stanchezza,
saturazione psichica, comprensione, assenso, dissenso, ecc. La mancanza di feedback
generalmente provoca disagio comunicativo nellemittente del messaggio che non
percepisce alcun ritorno. Il feedback ha quindi una funzione regolatrice che permette al
sistema comunicativo di ordinare la propria azione sulla base dei risultati ottenuti.
Il feedback serve per:
1. fare chiarezza (ascolto);
2. evitare malintesi (correggere la comprensione del messaggio);
3. costruire la relazione (trasmettere un reale interesse per la comprensione
dellaltro).
LE INTERFERENZE rappresentano tutti gli impedimenti, gli ostacoli, che disturbano il
canale usato per la comunicazione (lo sbattere di una porta, i caratteri troppo piccoli nelle
slide, ecc.). Sono presenti in tutti gli elementi della comunicazione.
LA RIDONDANZA tutto ci che facilita la comunicazione. La ridondanza coincide con la
capacit del linguaggio di ripetere lo stesso messaggio utilizzando forme espressive
differenti. Essa implica, anche, che una parte di un messaggio (lettere, parole,) pu
essere eliminata senza sostanziale perdita di informazione. La ridondanza
essenzialmente misura la flessibilit del linguaggio essendo proprio questultima che fa
s che noi capiamo un testo anche quando ci sono errori di stampa. Ovviamente in un
messaggio composto di parole scelte a caso non v informazione e quindi neanche
ridondanza.

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Gli elementi della comunicazione
La mancanza di feedback e le interferenze possono provocare unassenza o una non
comprensione del codice e quindi il rifiuto del messaggio da parte del ricevente. Questo
fenomeno chiamato decodifica aberrante e pu realizzarsi per:
incomprensione per disparit dei codici, il codice dellemittente non ben
compreso dal destinatario (es. lingua straniera);
incomprensione del messaggio per interferenze circostanziali, il codice
dellemittente compreso dal destinatario, ma modellato sul proprio orizzonte di
attese, di conoscenze, di valori, credenze, ecc.;
rifiuto del messaggio per delegittimazione dellemittente, il codice dellemittente
compreso dal destinatario, ma il senso viene stravolto per motivi ideologici (partiti
politici).
La decodifica aberrante pu interessare tutti gli elementi della comunicazione. La
composizione del messaggio, ad esempio, pu evidenziare unassenza di struttura, una
mancanza di ordine logico, ne sono un esempio, le argomentazioni in ordine sparso, le
inversione, i ritorni improvvisi, le ripetizioni superflue, i passaggi non mediati o le

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omissioni. In questi casi il messaggio risulta piatto, monotono, confuso e carente. Anche il
codice pu essere inadatto al messaggio: usare un linguaggio comune per affrontare un
tema specialistico, senza ricorrere al sottocodice linguistico appropriato per quella
determinata tematica o disciplina (es. linguaggio della geografia, della filosofia, della
matematica, ecc.) rappresenta un caso di questo genere. Il canale pu presentare una
variet di disturbi. Le scariche elettriche del telefono, la grafia illeggibile di una lettera, le
pagine strappate del libro, un rumore di fondo durante una conversazione o una lezione o
linvisibilit dellemittente (per esempio il professore nascosto dietro alla lavagna) sono
tutte condizioni che pregiudicano la comprensione. Ricorrere alla leggera ridondanza
che consiste nel ripetere, presentando con termini leggermente diversi il contenuto del
messaggio, unutile strategia per evitare o ridurre la decodifica aberrante.
In contesti come quello daula la ridondanza diventa uno strumento enormemente
efficace per dare la possibilit di ricevere il messaggio a chi si perso la prima
esposizione e per capire di aver capito a chi invece lo ha gi recepito. Il significato vero
della comunicazione, infatti, sta nel responso che se ne ottiene e non nelle intenzioni.
Anche latteggiamento egocentrico di emittente e destinatario pu determinare episodi di
decodifica aberrante. Legocentrismo dellemittente spesso sfocia in un atteggiamento
auto-centrato cognitivo e valutativo, mentre nel ricevente nella supponenza di aver
recepito tutto quanto c da capire nel messaggio, senza pensare ai significati incompresi
o sfuggiti. Emittente e ricevente dovrebbero, dunque nel processo comunicativo
sviluppare due attitudini: il primo la tendenza al dubbio sistematico; il secondo la tendenza
a chiedersi/chiedere chiarimenti. Lemittente, inoltre, deve privilegiare il feedback
completo e possibilmente immediato, cercando di provocarlo quando non si verifica
spontaneamente. indispensabile abituarsi a leggere e cogliere il feedback attribuendo e
interpretando il significato anche dei minimi segnali.
Per lemittente molto pi difficile dare al messaggio una forma adatta a tutti, utilizzare
cio un codice davvero comune, conoscere ci che i destinatari gi sanno, cogliere tutti i
feedback. Una strategia per attuare una comunicazione pluridirezionale efficace si fonda
sulladottare un codice di livello medio con oscillazioni in grado di coinvolgere tutti i
destinatari del messaggio, pi o meno dotati e pi o meno capaci di comprendere i
contenuti della comunicazione. Sul piano didattico, molto importante facilitare la
comunicazione attraverso la ridondanza. La ripetizione, possibilmente con codici diversi,
dello stesso messaggio una modalit spesso utilizzata in classe.

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Sono state esposte molte teorie sulla comunicazione e su quando essa effettivamente si
realizza, molti studiosi concordano sul fatto che:
vi comunicazione solo, quando si in presenza di un emittente ed un ricevente
in condizione di codificare/decodificare il messaggio;
ci che conta nella comunicazione non quello che detto, ma ci che
recepito.
necessario che ci sia intenzionalit e consapevolezza. Lintenzionalit, che, potremmo
parafrasare come volont di significazione, una caratteristica fondamentale, oltre che
del linguaggio, anche di ogni sistema di comunicazione in genere, e di ogni stato mentale.
Lintenzionalit in realt un concetto molto complesso, e rappresenta uno dei nodi
problematici della moderna filosofia della mente e del linguaggio. Senza approfondire
troppo il concetto, possiamo accontentarci di sapere, che lintenzionalit caratteristica
degli stati mentali in genere, soprattutto di quelli linguistici (provare una sensazione od un
sentimento non unattivit linguistica, esprimerlo di solito s).
Per intenzionalit i filosofi intendono la propriet che uno stato faccia riferimento a un
altro stato: lo stato di un oggetto non fa, generalmente, riferimento a nullaltro che al fatto
che quelloggetto si trovi in quello stato, viceversa la mente umana si pu permettere il
lusso di trovarsi in uno stato che fa riferimento a un altro stato: posso credere che
questo libro sia ben scritto, posso sperare che molti lettori lo compreranno, posso
temere che molti filosofi lo stroncheranno, e cos via. Tralasciando la filosofia, per
semplificare, potremmo spiegare lintenzionalit dei segni linguistici partendo da un
esempio banale: la febbre un sintomo di uno stato patologico nellorganismo, sicch
potremmo considerarlo, e nel linguaggio ordinario di fatto lo facciamo, un segno della
malattia, ma non c alcuna intenzionalit (volont di significazione) in questa relazione
simbolica, vale a dire che non c alcuna comunicazione: manifestare la febbre non
certo un atto linguistico.
Per altri studiosi del linguaggio, invece, la comunicazione un semplice scambio
dinformazione che investe il tipo di relazione che intercorre tra interlocutori. Pu quindi
esistere comunicazione a prescindere dallintenzionalit. Secondo Watziawick lo studio
della comunicazione pu avvenire a tre livelli:
1) un primo che sinteressa dei problemi della codifica/decodifica dei canali, della
ridondanza e di tutti gli aspetti sintattici;

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2) un secondo livello che si occupa del significato dei simboli della comunicazione,
ovvero della convenzione semantica che sottost ad ogni scambio di segni;
3) lultimo livello (quello pragmatico) che altrimenti detto metacomunicazione
(comunicare sulla comunicazione) cura laspetto pragmatico.
Secondo questa prospettiva, il messaggio contiene sempre in se stesso due informazioni
diverse che qualche volta possono essere disgiunte: - il messaggio di contenuto; - il
messaggio di relazione. Il primo si esprime sostanzialmente attraverso il codice verbale o
numerico, mentre il secondo meglio espresso dai codici non verbali detti analogici.
Spesso si verifica che questo secondo genere di codice sfugge al controllo dellemittente
producendo un messaggio ambiguo, esempio dire a parole (codice digitale) che una cosa
ci piace e fare una smorfia di disgusto (codice analogico). Possiamo quindi dire che il
linguaggio umano si fonda su tre livelli:
VERBALE (parole) codice digitale;
PARAVERBALE (tono, timbro, volume, voce) codice misto. Il paraverbale usa
un codice misto nel senso che ricorre sostanzialmente ad un codice analogico
(tono delle voce, colore, timbro, ecc.) che per nel linguaggio verbale scritto
spesso riprodotto con luso dei segni diacritici (punteggiatura);
NON VERBALE (linguaggio del corpo) codice analogico.
Il livello verbale per lappunto quello che utilizza un codice digitale costruito sulluso di
segnali discreti (fonemi, morfemi, lessemi) per rappresentare dati in forma di numeri o di
lettere alfabetiche. Questo linguaggio pone connessioni digitali nellaspetto di contenuto
della comunicazione ed collocato nellemisfero celebrale destro. Al contrario il livello
paraverbale e quello non verbale utilizzano un codice analogico che utilizza le immagini,
le metafore ed collocato nell emisfero celebrale sinistro.

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I tre livelli della comunicazione
Ogni livello impatta diversamente nel processo di comunicazione. Di seguito uno schema
che illustra il peso di ciascuna componente.

Impatto di ogni livello
Il nostro schema sensoriale ci consente di prendere contatto con il mondo, farne
esperienza e quindi conoscerlo. La conoscenza tradotta da un sistema di linguaggio i

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cui canali dingresso che ci permettono di entrare in contatto con la realt circostante
sono tre:
1) VISIVO (vista);
2) AUDITIVO (udito);
3) CINESTESICO (tatto, olfatto, gusto, sensazioni).
Il sistema visivo si distingue in esterno quando utilizzato per osservare la realt. In
interno per riprodurre internamente lo stesso procedimento, visualizzando le immagini.
Parimenti il sistema auditivo e quello cinestesico si differenziano in esterno, quando
ascoltiamo suoni reali, o proviamo sensazioni tattili relative alla consistenza, alla
temperatura e allumidit e in interno quando ricreiamo i suoni nella mente o le sensazioni
ricordate, le emozioni in rapporto alla consapevolezza interiore del nostro corpo. Quando
si elaborano informazioni si favorisce un sistema preferenziale rispetto allaltro. Questo
dipende dalloggetto dei nostri pensieri o delle nostre azioni. Il canale di processo
sensoriale di cui lindividuo consapevole denominato Sistema Rappresentazionale
Preferenziale o dominante o primario.
La comunicazione educativa
La comunicazione ha unimportante funzione educativa che pu essere facilmente
riassunto in alcuni obiettivi:
AIUTARE A CRESCERE culturalmente ed umanamente. Linsegnante non
trasmette solamente le conoscenze ma incarna un modello di adulto con
influenza tanto maggiore quanto pi seguito dai suoi studenti. Traducendolo in
unoperazione matematica linsegnante il prodotto di ci che dice + ci che +
ci che fa;
LA PROMOZIONE DI UNO SPIRITO CRITICO. La comunicazione educativa non
deve mirare ad indottrinare (pi o meno consapevolmente), ma deve puntare a
promuovere la capacit degli studenti di riflettere, confrontare e valutare idee
diverse con spirito critico;
LA CIRCOLARIT DELLINFORMAZIONE. Emittenti e destinatari del messaggio
contemporaneamente devono avere ruoli interscambiabili, con lobiettivo da parte
dellinsegnante di promuovere e stimolare lattivit comunicativa;

19
MOTIVAZIONE ALLASCOLTO, insegnando che esso alla base della
comunicazione. La comunicazione si fonda infatti su un processo a due vie di
circolarit e scambio che non pu realizzarsi senza lascolto.
Gli psicologi insistono sulla funzione e limportanza del cosiddetto imprinting, ovvero sul
primissimo approccio che si ha con qualcuno o qualcosa, che condiziona tutto ci che si
svilupper in seguito. Pertanto, in un processo comunicativo formativo, compresa la
centralit della questione, limprinting dovr essere fortissimo e lattenzione dovr essere
attivata nel modo pi efficace possibile. Seguendo questottica, durante il momento
formativo, diventa fondamentale riuscire ad attivare e colpire le fantasie del discente,
ricordandogli, in modo provocatoriamente brutale, che chi conosce mille parole ragiona,
pensa e conosce meglio rispetto a chi riesce a controllarne ed usarne soltanto cento. A
tale provocazione il discente potr reagire in molti modi e va tenuto in conto anche la
possibilit di una indifferenza, spesso soltanto apparente. Verosimilmente, per, ci sar
chi contester tale affermazione, ma sar proprio latteggiamento contestativo a dare il
segno di una primissima riflessione sullidentit del pensiero e sul rapporto che lo lega al
linguaggio. Se, poi, si vuole fornire un ulteriore spunto di riflessione volto a far
comprendere tanto la complessit, quanto i percorsi e la logica di sviluppo della lingua
che parliamo, si potrebbe fare una rapidissima incursione nella psicologia medica
parlando delle afasie. Particolarmente interessante quella detta afasia del Wernicke
(dal nome del suo scopritore) che, non a caso, oggetto di riflessione tanto per i cultori di
linguistica quanto per i filosofi del linguaggio, quanto per gli psicolinguisti. Tale perdita del
linguaggio, si manifesta con un calo progressivo della conoscenza grammaticale dalle
funzioni linguistiche pi complesse a quelle pi semplici. Chi affetto da tale afasia,
infatti, pur continuando a parlare fluentemente comincia a non comprendere pi il
significato degli avverbi, poi dei verbi ed infine, procedendo con la stessa logica
distruttiva, non distingue pi aggettivi e nomi. Con tale esempio, il discente comincer a
sospettare che lacquisizione di una lingua proceda seguendo una logica; il docente,
pertanto dovr stabilire utili rapporti di collaborazione con tutti gli insegnanti in questo
caso, soprattutto, con linsegnante di latino e greco, dato che lacquisizione di una lingua,
ad un tempo vicina e distante dalla lingua italiana, comporta sia particolari difficolt
quanto la possibilit di cogliere analogie nella misura in cui lo studente della lingua latina
riceve una proposta che parte dalle funzioni linguistiche pi elementari per andare in
direzione delle funzioni linguistiche pi complesse e poi procedere alla grammatica alla
sintassi.

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Un altro effetto sicuramente incisivo pu essere dato da unanalisi della cosiddetta ipotesi
Sapir - Whorf altrimenti detta del determinismo linguistico. Secondo tale ipotesi piuttosto
che parlare una lingua siamo parlati dalla lingua di appartenenza. stato soprattutto
Whorf a proporre tale concezione dopo aver notato labissale differenza tra le lingue
indoeuropee e lingue altre come quelle amerindiane. Tali lingue, infatti, ignorano quella
distinzione che sembrerebbe universale tra sostantivi e verbi sostenendo che la cosa
(sostantivo) e lazione che la cosa compie o subisce (verbo), fanno un tuttuno.
Whorf, quindi, si spinge a sostenere che limmagine del mondo che noi produciamo ci
viene indotta dalle caratteristiche strutturali della lingua di appartenenza. Attraverso la
lingua e la sua struttura luomo nomina il mondo, lo conosce, lo indaga. Il rapporto tra
comunicazione educativa e riflessione etica, non si sviluppa soltanto in una dimensione
teorica ma anche nella concretezza dellazione didattica. Pertanto, qualora qualche
alunno dovr contestare violentemente la suddetta ipotesi, non come espressione di
reattivit e ragionamento, ma come forma di chiusura, il docente deve intervenire non
forzando la mano, ma aiutandosi con esempi che possano limare le resistenze.
Lo swaili rappresenta un buon esempio cui ricorrere. In questa lingua, come ha notato,
Sapir, esistono ben sei generi grammaticali che servono per classificare gli oggetti duri,
molli, leggeri, pesanti, etc. in realt questi generi grammaticali non sono altro che un puro
criterio di classificazione formale interno alla lingua centro-africana e che si riconosce in
base ad una marca fonica o ad un articolo. Se lesempio sar proposto bene sar
possibile generare un vero e proprio aggancio con il proprio vissuto linguistico che
operer una prima somatizzazione di una nuova consapevolezza. Termini come canale,
codice, messaggio, emittente, destinatario farebbero bene ad entrare subito nel
lessico concettuale del contesto daula. In questo modo gli studenti ritrovandosi in un
qualcosa che loro in un qualche modo familiare, anche se non epistemologicamente
conosciuto, saranno indotti ad assumere un atteggiamento costruttivo e propositivo nella
riflessione su linguaggio in quanto percepiranno la possibilit di mettere ordine in ci che
quotidianamente usano da sempre e che li riguarda da vicino.
Il linguaggio tra linguistica e psicologia: la psicolinguistica
La psicologia del linguaggio o Psicolinguistica un campo di ricerca interdisciplinare tra la
psicologia e la linguistica. Lindagine psicologica sul linguaggio procede principalmente
secondo i metodi della psicologia sperimentale e ha il fine di comprendere i processi
psicologici alla base dellacquisizione, dellelaborazione e delluso comune della lingua. A

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partire dagli anni Cinquanta del Novecento numerose ricerche sul linguaggio si sono
ispirate al comportamentismo, derivandone un approccio spiccatamente scientifico che si
attiene allanalisi dei soli dati osservabili e verificabili sperimentalmente.
Nellambito degli studi che hanno per oggetto il linguaggio, la psicolinguistica definibile
come la scienza che studia la capacit umana di parlare e di capire, cio il
comportamento e le attivit mentali coinvolte nelluso del linguaggio (Parisi 1974). La sua
nascita ufficiale si fa risalire al 1953, anno in cui in un convegno interdisciplinare, tenutosi
presso lIndiana University negli Stati Uniti, si riunirono studiosi appartenenti ad ambiti di
ricerca diversi (i linguisti Sebeok e Lenneberg, gli psicologi Carrol, Osgood, Miller,
lantropologo Casagrande) al fine di programmare e sviluppare ricerche sul
comportamento linguistico. La sua caratteristica peculiare, configuratasi chiara gi in
quella sede, riconoscibile in un nuovo approccio allo studio del linguaggio, collocato in
una prospettiva interdisciplinare ed analizzato tramite laccostamento e talora la fusione di
contributi concettuali e strumenti metodologici mutuati dalle diverse discipline, soprattutto
dalla linguistica e dalla psicologia. Sappiamo che la linguistica si tradizionalmente
occupata di quellinsieme di conoscenze relative alla competenza linguistica che ciascun
parlante possiede in varia misura, la psicologia, invece si tradizionalmente occupata del
comportamento umano alla luce del quadro emotivo e mentale individuale. Pur non
sottovalutando i contributi provenienti alla psicolinguistica dalla cibernetica, dalla teoria
matematica dellinformazione, dalle discipline biologiche, da sottolineare come da una
parte la linguistica ha fornito dei modelli di descrizione formale della lingua indispensabili
per affrontare lo studio analitico dei sottili e complicati meccanismi linguistici, e come
daltra parte la psicologia ha contribuito ad ascrivere lanalisi, sulla percezione e
produzione linguistica, entro il pi ampio orizzonte dei problemi inerenti i processi cognitivi
di base e i comportamenti ad essi correlati. Muovendo, dunque, dalla considerazione che
il processo reale di produzione e comprensione delle frasi condizionato da variabili
psicologiche che influenzano e modificano le predizioni basate su un modello di pura
competenza proposto dai linguisti, la psicolinguistica rivolge la sua ricerca
allindividuazione dei processi mentali e delle conoscenze individuali attraverso cui la
competenza dei linguisti viene acquisita e tradotta nelluso del linguaggio. Loggetto di
ricerca della psicologia del linguaggio rappresentato dai processi mentali che
sottostanno allacquisizione della lingua e dalla capacit che i parlanti devono
possedere fin dallinfanzia per imparare ad usare il linguaggio. (Slobin 1971).
Dal punto di vista psicologico la conoscenza del meccanismo linguaggio una recente
acquisizione, legata proprio alla nascita della psicolinguistica, in quanto prima di essa gli

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psicologi hanno mostrato poco interesse per il comportamento linguistico, attribuendo ad
esso un ruolo marginale nellambito dellanalisi del comportamento umano, probabilmente
anche per la scarsa familiarit con le formulazioni teoriche che la linguistica andava
sviluppando nel tempo, e per labitudine di studiare il linguaggio solo in relazione ad altri
fenomeni, quali ad esempio la memoria e lapprendimento. In seno allo strutturalismo
linguistico si attribuita particolare importanza allo studio sincronico del linguaggio e alla
formulazione di modelli teorici rigorosi nei campi di indagine da esso privilegiati, quali la
fonologia e la morfologia. A questa predilezione ha fatto riscontro una produzione di studi,
daltra parte, poco significativa nel campo della sintassi, del lessico e della semantica.
da notare che la linguistica strutturale ha rappresentato la prima significativa svolta della
linguistica nel nostro secolo (la seconda sar rappresentata dalla linguistica generativo-
trasformazionale), ed ha preso le mosse dagli insegnamenti di De Saussure. Poich
impossibile dare in poche righe un panorama esauriente delle concezioni saussuriane, ci
si limita ad accennare alla grande dicotomia tra langue e parole, cardine del pensiero
dellautore. Per il linguista ginevrino la langue il corpo ideale di una lingua e linsieme
delle regole che la determinano, oggetto principale dello studio della linguistica,
costituita dal sistema grammaticale, lessicale, fonematico virtualmente esistente in
ciascun cervello. La parole, invece, la concreta esecuzione linguistica, laspetto
individuale del linguaggio. Lo stesso De Saussure cita: Lesecuzione sempre
individuale, lindividuo ne sempre il padrone; noi la chiameremo la parole (De Saussure
1916). La parole sottoposta alle regole della grammatica e quindi alla influenza
descrittiva della langue, ma anche un processo di creazione. Pur avendo affermato pi
volte che il linguaggio un fenomeno sociale, De Saussure, identificando la langue
quale oggetto specifico della linguistica, opera una distinzione funzionale allo scopo della
sua ricerca, che daltra parte determina il carattere astratto di questa sul piano della
descrizione dei sistemi linguistici; un carattere astratto che i linguisti delle diverse scuole
strutturaliste hanno pi tardi accentuato. Nonostante lo strutturalismo abbia difeso in sede
teorica generale lautonomia della linguistica dalla psicologia, esso ha contribuito alla
impostazione teorico-pragmatica della psicolinguistica del primo periodo saldandosi,
tramite il behaviorismo, con lorientamento del comportamentismo e dellassociazionismo
dominante la psicologia dellepoca. Negli anni in cui si fonda la psicolinguistica, viene
pubblicato un testo, il Verbal Behavior di Skinner del 1957, che contiene quella che si pu
definire la teoria psicologica del linguaggio pi completa di quegli anni, la cui elaborazione
realizza la saldatura tra comportamentismo in campo psicologico e strutturalismo in
campo linguistico, che appunto allorigine della psicolinguistica.

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Il comportamentismo basa la sua ricerca sulla possibilit di studiare e spiegare il
comportamento attraverso losservazione e la sperimentazione; il comportamento non
altro che il modo con cui lindividuo, con la sua disposizione, reagisce agli stimoli esterni.
Lo studio del comportamento consiste nello stabilire le relazioni ed il rapporto causale
esistenti tra gli stimoli e le risposte dellorganismo. Secondo il comportamentismo il
significato di una parola una risposta interna provocata dallo stimolo sonoro e visivo
costituito dalla parola stessa, ed il vocabolario , in pratica, un repertorio di risposte
condizionate, ovvero apprese durante lo sviluppo tramite la ripetuta associazione tra
parola-oggetto e parola-situazione e relazionate a degli stimoli. Tali connessioni sono
ripetute pi volte nel corso dellapprendimento e sono sottoposte ad un rinforzo
proveniente dallambiente. Questo approccio allo studio del linguaggio e stato mutuato dal
comportamentismo scientifico che va anche sotto il nome di behaviourismo. Questa
corrente della scuola di psicologia privilegia luso della ricerca sperimentale per studiare il
comportamento (detto risposta) in relazione allambiente (detto stimolo). il
comportamentismo nasce sotto linfluenza dellassociazionismo inglese, del funzionalismo
americano e della teoria darwiniana dellevoluzione, dottrine che enfatizzano tutte,
limportanza delladattamento dellindividuo allambiente e il modo in cui gli organismi
cambiano in seguito allesperienza, cio in seguito alle loro modalit di apprendimento.
Molte di queste ricerche sono state effettuate su animali (topi, piccioni e cani). Due sono i
pi importanti tipi di apprendimento individuati: il condizionamento classico e il
condizionamento strumentale. Il condizionamento classico noto anche come
condizionamento pavloviano, in onore del suo scopritore, il fisiologo russo Ivan Pavlov.
Questi mostra che se alcuni eventi casuali, come il suono di un campanello, precedono
regolarmente un evento biologicamente importante per un animale, come la comparsa di
cibo, il campanello diventa un segnale del cibo, per cui lanimale inizia a salivare e si
appresta a mangiare ogni volta che il campanello suona. Il comportamento dellanimale
diventa, cos, una risposta condizionata al suono del campanello. In termini pavloviani,
lassociazione di uno stimolo condizionato (campanello) con uno stimolo incondizionato
(cibo) genera lapprendimento. Inoltre, alcuni aspetti della risposta incondizionata
(salivazione) possono essere provocati solo dallo stimolo condizionato. Lapprendimento
dipende anche dal numero e dalla frequenza di associazione degli stimoli (campanello e
cibo). Se, tuttavia, al suono del campanello non pi associato il cibo, lanimale smette di
rispondere. In questo caso si parla di estinzione della risposta. Allo stesso modo se una
lingua non viene pu parlata molto lentamente se ne perde il ricordo.

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Nel condizionamento radicale o operante, il cui massimo esponente Skinner, invece,
lenfasi posta su ci che lanimale fa e sulle conseguenze della sua azione. In generale,
se alcuni atti sono seguiti da un rinforzo positivo (ricompensa), questi sono ripetuti
quando lanimale si trova di nuovo nella stessa situazione: ad esempio, se un animale
affamato viene ricompensato con del cibo per essere uscito da un labirinto semplice,
quando verr rimesso nel labirinto prover a cercare di nuovo luscita. Se cessa la
ricompensa, si verificano altri comportamenti. Questi paradigmi di ricerca si riferiscono
agli aspetti elementari dellapprendimento. Nel condizionamento classico lenfasi posta
sullaccoppiamento dello stimolo condizionato con quello incondizionato; nel
condizionamento strumentale si studia, invece, lassociazione tra risposta e rinforzo. Il
primo si occupa, quindi, degli eventi associati allesperienza di apprendimento, il secondo
delle conseguenze delle azioni. La maggioranza delle situazioni dapprendimento
prevede la presenza di entrambe le forme di condizionamento. Gli studi
sullapprendimento umano del linguaggio sono naturalmente pi complessi rispetto agli
studi condotti sugli animali e non possono essere semplicemente spiegati facendo ricorso
al condizionamento classico o a quello strumentale. Lapprendimento e la memoria
delluomo sono stati studiati tramite materiale verbale (liste di parole, storie ecc.) o in
compiti relativi a specifiche capacit motorie (scrivere a macchina, suonare uno
strumento musicale ecc.). Queste indagini hanno messo in evidenza laccelerazione
negativa della curva di apprendimento, cio la presenza di ampi progressi iniziali seguiti
da un apprendimento via via pi lento e la corrispondente accelerazione negativa della
curva delloblio (gran parte del materiale appreso viene dimenticato in fretta, il resto
invece pi lentamente).
Nellambito del comportamentismo lo studio del linguaggio si sviluppato
sostanzialmente in termini di apprendimento, e quindi su unanalisi delle tecniche di
controllo verbale.
Proprio Skinner ci fornisce un esempio di studio del linguaggio da questo punto di vista
molto interessante. Egli propone di distinguere i seguenti tipi di comportamento verbale:
mand, comportamento controllato da particolari stati di pulsione (comandi, domande);
comportamento ecoico, controllato da parole udite in precedenza; comportamento
testuale, controllato da stimoli ortografici; comportamento intra-verbale, controllato da altri
stimoli verbali; comportamenti duditorio, controllati da variabili legate alla compresenza di
un uditorio; e infine comportamento tattile, controllato da variabili oggettuali. Il linguaggio
per Skinner non altro che il comportamento di un oratore rinforzato dallopera di
mediazione di altre persone, gli ascoltatori, che sono stati condizionati proprio per

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rinforzare il comportamento. Da una parte gli orientamenti del comportamentismo che
abbiamo brevemente delineato, dominanti allepoca in cui nasceva la psicolinguistica, e
dallaltra gli orientamenti dello strutturalismo linguistico hanno influenzato la disciplina nei
primi anni di vita; a queste posizioni si aggiungono anche i contributi della scienza dei
calcolatori. attraverso questo collegamento tra discipline diverse che la psicolinguistica
di questi anni sviluppa un certo numero di ricerche, che oggi potrebbero essere
variamente valutate; a questo proposito osserva Parisi: se si guarda a quelle ricerche
prendendo come riferimento i successivi sviluppi cos ricchi della psicolinguistica, il
giudizio complessivo non pu essere che negativo. Del resto, evidente che i ristretti
principi teorici, su cui il modello allora dominante del linguaggio si fondava impedirono ai
primi psicolinguisti di fare molto di pi che aprire una nuova area di ricerca (Parisi 1974).
Due anni pi tardi la comparsa del testo di Skinner, nel 1959, Chomsky pubblic una
recensione critica molto dura nei confronti del Verbal Behavior, criticando fortemente i
concetti di base in esso contenuti e le nozioni di stimolo, risposta, rinforzo. Chomsky
osserva che: se si prendono tali termini in senso letterale, la descrizione non in grado di
coprire quasi nessun aspetto del comportamento verbale e che, se li prendiamo invece in
senso metaforico, la descrizione non offre nessun vantaggio rispetto alle formulazioni
tradizionali. Utilizzati con questa estensione, i termini presi a prestito dalla psicologia
sperimentale vengono semplicemente a perdere il loro significato obiettivo ed assumono
la stessa imprecisione del linguaggio quotidiano (Chomsky 1968).
Chomsky critica la convinzione, espressa da Skinner, secondo la quale il linguaggio non
altro che un tipo di comportamento, quello verbale, sottoposto agli stimoli ed ai rinforzi
provenienti dallesterno; tale prospettiva riduttiva implicherebbe che ad ambienti diversi
facciano riscontro caratteristiche di linguaggio diverse. Al contrario, osserva Chomsky, la
regolarit che osservabile nello sviluppo del linguaggio infantile non trova spiegazione
limitando il problema del linguaggio ad una semplice interazione tra uomo e ambiente.
Lintellettuale americano parte dalla considerazione che le caratteristiche del linguaggio
nei primi anni di vita sono simili in tutti i bambini affermando lesistenza di una
predisposizione innata allacquisizione, che si manifesta fin dalla nascita ed
indipendente dallambiente. Vi qui il richiamo ad un elemento fondamentale della teoria
chomskiana, lesistenza di una grammatica universale, un sistema di principi, condizioni e
regole presenti in tutti i linguaggi umani e rispondenti ad una necessit biologica.
Larticolo di Chomsky segna il passaggio ad una nuova fase della psicolinguistica, in cui
essa adotter la posizione della linguistica generativa mentre, in campo psicologico, si va

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affermando un nuovo orientamento, quello cognitivista. In seguito alla critica del modello
Chomskiano classico, la psicolinguistica ha rivalutato la semantica e gli aspetti contestuali
e pragmatici della lingua e proposto un modello interattivo dellacquisizione del linguaggio.
I campi dindagine della psicolinguistica contemporanea sono riassumibili a quattro:
1. la comprensione (riconoscimento di parole, comprensione di parole, frasi, testi
e discorsi);
2. la produzione del linguaggio;
3. lo sviluppo (origine del linguaggio, fasi di sviluppo dal preverbale al verbale);
4. la patologia (afasia, dislessia) grazie anche ai contributi dati dalle
neuroscenze.
Negli ultimi decenni la ricerca psicologica ha rivolto sempre maggior attenzione al ruolo
dei processi di pensiero nellapprendimento umano, liberandosi dagli aspetti pi restrittivi
degli studi comportamentali. Questo filone di ricerca giunto a sottolineare il ruolo
dellattenzione, della memoria, della percezione, del riconoscimento e del linguaggio
(psicolinguistica) nellapprendimento. I processi mentali pi evoluti, come quelli coinvolti
nella formazione dei concetti e nella risoluzione di problemi (in inglese problem solving), si
sono rivelati particolarmente complessi. Il metodo dindagine pi frequentemente utilizzato
consiste nella cosiddetta elaborazione delle informazioni (in inglese information
processing). Tale approccio studia il modo in cui le informazioni vengono codificate,
trasformate, classificate, recuperate e trasmesse dallindividuo; in questo senso, si ritiene
che luomo possegga le stesse caratteristiche funzionali di un computer. Sebbene
lelaborazione delle informazioni abbia permesso di costruire modelli di problem solving
successivamente confermati, ha anche mostrato il limite di applicabilit dei modelli
generali del pensiero umano.
Il cognitivismo
La teoria linguistica di Chomsky, ed il modello di grammatica elaborato dallo studioso,
influenzano profondamente gli studi psicolinguistici dalla fine degli anni 50 in poi;
contemporaneamente, nel versante pi strettamente psicologico, contributi importanti a
tale fase della disciplina sono stati forniti dal cognitivismo, un nuovo orientamento di studi
che, segnando il superamento del comportamentismo, rivolge il proprio interesse ai
problemi relativi al funzionamento della mente, ai suoi processi e alle sue elaborazioni. Il
cognitivismo una corrente della psicologia che studia principalmente come luomo

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acquisisce informazioni e conoscenze sul mondo circostante e come si comporta
nellambiente a partire da queste conoscenze. Obiettivo fondamentale di questa
impostazione teorica quello di rivelare i processi che intervengono nella formazione
delle conoscenze.
Il principale oggetto di studi del cognitivismo quindi la mente intesa come sistema
complesso di regole, indipendente dai fattori biologici (le ricerche cognitive non si
occupano del funzionamento del cervello dal punto di vista organico) o dai fattori sociali e
culturali; la mente pu essere studiata senza tenere in considerazione gli affetti e le
emozioni collegati alle percezioni, ai ricordi e ai pensieri.
Il cognitivismo analizza soprattutto i processi mentali ritenendo che la mente organizzi le
informazioni operando sui dati di cui dispone, secondo delle complesse serie di
sequenze, di processi cognitivi considerati in parte innati e in parte appresi
dallesperienza. In tale prospettiva la ricerca su cui il cognitivismo si concentra lanalisi
dei processi di raccolta e trattamento dellinformazione; in questo senso, i modelli derivati
dalla cibernetica risultano adeguati a descrivere questo tipo di analisi con luso della
simulazione sui calcolatori. I computer, con i loro meccanismi di ingresso
dellinformazione e di uscita del dato elaborato, e con le loro memorie, rivelano una
somiglianza con luomo che riceve, elabora e trasforma linformazione, con i processi
cognitivi umani che sono sempre uno scambio di informazione tra individuo e ambiente.
La psicologia cognitiva nasce tra il 1950 e il 1960 dalle ricerche di Ulric Neisser e da
quelle di George Miller, Eugene Galanter e Karl H. Pribram che ipotizzano che il
comportamento umano sia regolato da un meccanismo di retroazione, chiamato TOTE
(test-operate-test-exit), che rappresenta il procedimento con cui si realizza unazione: si
esamina la situazione esistente, la si mette a confronto con la meta da raggiungere, si
elabora un progetto per realizzare il cambiamento desiderato, si mettono in pratica le
azioni necessarie, si analizza nuovamente la situazione, se lo scopo raggiunto lazione
finisce, in caso contrario si va avanti fino al risultato voluto. A partire dal 1980 circa, la
teoria cognitivista propone un ulteriore punto di vista sullapprendimento, tanto da
affermare che, un cambiamento a livello comportamentale sempre connesso e
spiegabile in base a un cambiamento a livello cognitivo. In questottica, lapprendimento
sarebbe il risultato della complessa interazione tra fattori interni ed esterni, e in particolare
dei processi mentali attraverso cui vengono elaborati gli input esterni. Lapprendimento
non consisterebbe, quindi, nel semplice trasferimento dellinformazione esterna allinterno,
ma sarebbe piuttosto il risultato di una sua complessa trasformazione a livello cognitivo.

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Il soggetto dunque un attivo costruttore delle sue conoscenze. Questa concezione
dellapprendimento come processo costruttivo attivo prevede, inoltre, che lacquisizione di
nuove conoscenze produca una modificazione di quelle gi possedute. Ogni volta che il
soggetto impara qualcosa di nuovo modifica le sue strutture concettuali: riorganizza le
sue conoscenze, ma anche le procedure atte a padroneggiarle e a utilizzarle.
Questultimo aspetto oggetto di studio soprattutto del recente filone di ricerca
sullapprendimento in et adulta.
Il contributo della filosofia del linguaggio
Le riflessioni sul linguaggio sono nate insieme alla filosofia. Aristotele e Platone possono
essere considerati due filosofi antesignani nellapproccio e nellapprofondimento delle
questioni legate al linguaggio. Ogni epoca a visto privilegiare le diverse componenti dello
studio del linguaggio. Nel medioevo europeo, ad esempio, la discussione sul linguaggio
ruota principalmente intorno alla grammatica e alla logica del linguaggio. Dimostrazione di
questo il peso che durante let medioevale stato attribuito allo studio del latino e della
sua sintassi logica nelle scuole medie e nei licei classici di un tempo. Uno stretto legame
tra analisi filosofica, analisi del linguaggio ed analisi filosofica rintracciabile fin dalla
filosofia antica. Legame che rimasto invariato nei secoli fino a perdersi nellet moderna.
Verso la met del secolo scorso Austin (1911-1956) paragonava la filosofia ad un sole
caldo e tumultuoso da cui, nel tempo, si sono staccati pezzi che costituiscono i freddi
pianeti della scienza, quali la matematica, la fisica, la logica, la psicologia e lantropologia.
Egli, nel corso dei suoi studi, si pi volte chiesto se il XXI secolo, avesse visto sorgere
attraverso gli sforzi comuni di filosofi, linguisti e altri studiosi del linguaggio, una vera e
comprensiva scienza del linguaggio che in qualche modo avrebbe decretato la fine della
filosofia del linguaggio a favore di uno studio rigorosamente scientifico e non pi
filosofico. Di fatto questo non accaduto, innanzitutto, perch, ad oggi, non si ancora
sviluppata una scienza comprensiva del linguaggio, ma pi semplicemente sono in corso
diverse ricerche scientifiche sul linguaggio in vari campi: linguistica, psicologia,
neurofisiologia, biologia, logica, matematica, informatica e poi perch nel tempo si sono
consolidate due tendenze: da un lato le riflessioni sul linguaggio nellambito della scienza
cognitiva, frutto del lavoro congiunto di studiosi di tutte queste discipline insieme ai filosofi;
dallaltro lo sviluppo di alcuni standard nella linguistica teorica, per quanto riguarda la
semantica formale.

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Premesso questo, consultare un buon dizionario dei termini filosofici continua ad essere
indispensabile per comprendere come la filosofia del linguaggio possa essere
considerata a tutti gli effetti una disciplina antesignana nello studio del linguaggio. Non
c, infatti, attivit umana che non sia interessata dalla e alla riflessione pi o meno
filosofica sulla natura del linguaggio.
La logica, la metafisica, lontologia, lepistemologia, la gnoseologia, la psicologia
sperimentale, la riflessione sulluomo in generale e nella totalit delle sue manifestazioni
e, infine, letica e la morale, sono tutte scienze che spaziano ed indagano i diversi aspetti
del linguaggio. Questo dipende dal semplice fatto che il linguaggio indissolubilmente
legato ad ogni attivit umana poich strettissimo il rapporto che lo stringe al pensiero ed
allelaborazione teorica, cos come evidente, il rapporto che lo congiunge allagire
pratico dellessere umano ed alla concezione del mondo. Attraverso il linguaggio, infatti,
luomo nomina le cose, le significa, le mette in relazione, veicola valori, esprime giudizi.
Tuttavia nonostante sia importante mantenere costantemente aperto un approccio
multidisciplinare allo studio del linguaggio necessario tenere sempre presente la
distinzione tra filosofia del linguaggio, linguistica e psicologia, chiarito ormai ampiamente
che si tratta di una distinzione e non di una separazione e che tra queste tre attivit
umane esistono zone di sovrapposizione, interazioni e reciproci condizionamenti. La
filosofia del linguaggio, infatti, sinterroga in modo prioritario sulla natura e sulla funzione
del linguaggio, mentre la linguistica privilegia lesame dei meccanismi interni alla lingua
considerandola come un insieme strutturato, e la psicolinguistica studia l i processi
psicologici- cognitivi-comportamentali alla base dellacquisizione, dellelaborazione e
delluso comune della lingua.
Gli psicologi hanno costantemente insistito sulla cosiddetta mediazione verbale per la
quale, tra un atto intellettivo ed un altro c sempre il filtro del linguaggio in una dinamica
in cui, il possesso degli opportuni strumenti linguistico-concettuali, il pre-requisito per lo
sviluppo ed il potenziamento della attivit cognitiva. Partendo da questa idea, non ci si
pu non soffermare su un filosofo come Wittgenstein che, con il sue riflessioni sul
linguaggio, prende le distanze dalla psicologia e nello stesso tempo enuncia dei principi
che funzionano da agganci tra filosofia del linguaggio e psicologia del linguaggio. Nelle
Ricerche filosofiche, opera pubblicata postuma nel 1953 e che rappresenta un evento
nel panorama filosofico nazionale e in generale per tutti gli studiosi che si occupano dello
studio del linguaggio, sono individuate le molteplici funzioni del linguaggio.

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Il linguaggio, infatti non pi solo un mezzo per descrivere il mondo, ma sempre
inestricabilmente connesso ad un contesto dazione. In questo, Wittgenstein non fa altro
che portare avanti il principio di con testualit di Frege. Se Frege aveva detto che una
parola ha significato solo nel contesto di un enunciato, Wittgenstein arriva a dire che una
parola ha significato solo nel suo contesto duso, quindi in un contesto in cui le parole e le
azioni inevitabilmente sintrecciano. Molteplici, infatti, sono le possibili funzioni del
linguaggio ed esso serve alle operazioni pi svariate come il domandare, il pregare, il
comandare, etc. Quella che potremmo definire funzione referenziale e che rimanda al
linguaggio inteso essenzialmente come dimostrazione soltanto una funzione di uno dei
possibili giochi linguistici. Nasce cos il concetto di gioco linguistico, ovvero un contesto
di azioni e parole in cui si definiscono gli usi, o meglio i significati delle parole stesse.
Se, significato diventa sinonimo di uso del linguaggio, allora questultimo perda ogni aurea
metafisica: il significato di unespressione non n un oggetto n unimmagine mentale. Il
termine gioco deve essere preso quasi alla lettera, poich, cos come un qualsiasi gioco
viene, veramente appreso nel momento delle pratica, analogamente apprendiamo le
regole di un gioco linguistico solo giocando e non certo attraverso una riflessione ed
unanalisi teorica consumata a priori. Luso del linguaggio, infatti, si pu osservare
oggettivamente, nel senso che si pu dare una descrizione oggettiva degli usi linguistici,
dei significati delle nostre espressioni, riconducendole al contesto in cui vengono
originariamente usate.
Spesso molti fraintendimenti linguistici dipendono dallusare una parola fuori dal contesto
che le appropriato. Questa nuova concezione filosofica del linguaggio apre anche
unaltra questione legata alla comprensione del significato. Il filosofo studia la
comprensione dal punto di vista delle pratiche sociali oggettive e controllabili. Per lui
comprendere equivale a capire i segni. In questo prende le distanze da Frege che,
partendo dallanalisi dei processi psichici interni, sostiene che comprendere un
processo misterioso in cui il piano psichico e il regno dei pensieri vengono a contatto tra
loro.
Wittgenstein interrogandosi su come sia possibile capire luso dei segni e su che cosa
garantisca la corretta comprensione e la giusta applicazione dei segni arriva a formulare
la tesi per cui c comprensione a patto che si segua la regola. Egli nota, infatti, come
luomo sia continuamente esposto al fraintendimento, alla comunicazione non riuscita.
Ogni espressione pu essere interpretata diversamente dai differenti parlanti. Postulato
questo viene da chiedersi come, sia allora possibile seguire correttamente una regola se

31
si pu dare sempre e costantemente una diversa interpretazione della stessa. Per
Wittgenstein, la risposta non nellinterpretazione della regola, n nellintenzione di
seguire la regola, ma solo nella pratica della regola. Solo la pratica, infatti, in grado di
assicurare la sicurezza della comprensione della conversazione. Pratica che si sviluppa
nel contesto di una comunit linguistica: non si pu seguire una regola, privatim, non vi
un linguaggio privato, e seguire la regola il fondamento dei giochi linguistici. Un altro
elemento dapprofondimento viene fuori, se consideriamo che ogni singolo gioco
linguistico, proponendo se stesso regala tanto il metodo della sua stessa comprensione,
quanto un modo di rapportarsi al mondo. Ogni gioco di lingua, cio, una sorta di sonda
lanciata verso un mondo possibile o, per meglio dire, verso un modo di organizzare un
orizzonte di senso allinterno del quale agire. Per dirla con la terminologia delle ricerche
filosofiche, tanti sono i giochi di lingua, tante sono le lebensform forme di vita e ogni
linguaggio nasce da un insieme di bisogni sociali che si vengono a costituire ma, poi,
dialetticamente, conferisce a tali bisogni un nuovo spessore e li costituisce in un mondo
virtualmente autonomo. Una forma di vita unistituzione, un costume, una pratica
allinterno della quale il linguaggio ha un ruolo speciale da giocare. Si consideri una
persona che riporti le proprie sensazioni, diciamo, dopo aver subito un incidente, dopo
essere stata investita da unautomobile. in ospedale ed ovviamente deve dire al dottore
dove sente dolore. Questo riportare, localizzare e descrivere il dolore , secondo
Wittgenstein, unattivit, un gioco linguistico. E lo si gioca in un contesto determinato:
questo contesto pi lattivit stessa costituiscono una forma di vita.
A questo punto diventa abbastanza facile constatare il rapporto che si viene a costituire
tra il linguaggio e lesistenzialit, in una prospettiva nella quale lesistenzialit sempre
considerata nella sua concretezza quotidiana qualunque sia la forma che essa assume.
Questo atteggiamento di apertura e tolleranza viene ulteriormente messo in evidenza se
puntualizziamo come nella prospettiva di Wittgenstein, i giochi di lingua devono essere
semplicemente descritti e mai normativizzati. Chi pretende, infatti, di giudicare la
correttezza o meno di questa o quellaltra regola mostra di non avere compreso cosa
veramente sia un linguaggio, il quale sempre parametro di s stesso e non accetta
intrusioni e normativit esterne. Assumendo allinterno dei linguaggi la dimensione
pragmatico-sociale, Wittgeinstein non pu non assumere, anche la dimensione storica ed
asserire che i giochi di lingua, portatori di vita e viventi essi stessi, nascono, crescono e
muoiono. Una filosofia, una prospettiva estetica, una teoria pi o meno scientifica, in
questottica, sono dei modi in cui la lingua ha giocato e quando essa ha toccato il punto
finale e discensivo della sua parabola, si presenta come un reperto che, divenendo

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oggetto di analisi ermeneutica (interpretazione), pu quasi vivere una seconda vita se
capace di spingerci, nei nostri sforzi interpretativi, a determinare un nuovo modo di
giocare del linguaggio. Wittgenstein d lincipit a quella filosofia analitica tipica dei paesi di
lingua inglese che si dedicher sistematicamente allanalisi delle molteplici manifestazioni
del linguaggio intese tutte come mondi autonomi.
La comprensione complessiva del nostro filosofo emerge ancora meglio se analizziamo il
concetto di lebensform, forma di vita, inquadrando la logica che sembra presiedere alla
nascita, alla evoluzione e alla morte dei singoli giochi di lingua. Quando si dice che ogni
gioco di lingua imparentato con una forma di vita bisogna cogliere la natura dialettica
di tale rapporto. Ogni singolo gioco, cio, nasce dalla pressione di esigenze pratiche
storicamente e culturalmente determinate che, nel momento del loro presentarsi, si
trovano, diciamo cos, in una fase ancora magmatica e non ancora organizzata. il
formarsi di questo o di quel particolare linguaggio che struttura tali pressioni, dando loro la
forma di un mondo ed organizzandola nel segno della sistematicit. Luomo costituisce
se stesso ed il suo mondo proprio producendo tali giochi linguistici le cui regole interne
crescono su se stesse senza che se ne abbia una preventiva coscienza e senza che si
operi con una chiara progettualit. I giochi di lingua, pertanto, sembrano essere i veri
soggetti e luomo che li esercita ne risulta profondamente condizionato. Non possibile
pertanto prevedere a priori levoluzione o la morte di questo o quellaltro linguaggio ed il
momento della riflessione cosciente nei confronti di un gioco di lingua, che ha esaurito la
sua funzione, pu avvenire solo a posteriori. Wittgenstein sottolinea come esista un
rapporto di parentela tra i singoli giochi di lingua che, pur nella loro autonomia, mostrano
delle affinit e dei tratti comuni che, raggiungendo una certa soglia, si compongono in
famiglie. Intendendo il linguaggio come la totalit dei giochi di lingua, va sottolineato
che, esso nasce e si sviluppa, ci sia lecito lossimoro, attraverso una logica caoticamente
ordinata. Per esprimere tale modalit di evoluzione, Wittgenstein solito ricorrere alla
metafora della citt. Cos come una citt, si sviluppa dal lato urbanistico, mettendo
insieme quartieri che hanno origini diverse e differenti identit e funzioni, analogamente il
linguaggio vede sorgere giochi di lingua che non fanno parte di un aprioristico piano
regolatore ma che, tuttavia, trovando quartieri preesistenti, non possono non rispettarli
senza rimanerne condizionati avendo di fronte a s questa o quella possibilit di sviluppo.
normale, pertanto, che chi osserva tale evoluzione in questa o quellaltra sua fase, si
trova di fronte ad un disordine che, per, quanto pi lo si guarda da vicino e nella
specificit della funzione di ogni suo singolo elemento intero, tanto pi appare ispirato e
motivato da una logica che trae alimento dalle diverse lebensform via via rintracciate.

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Nellopera di Wittgenstein la filosofia terapia interna ai singoli giochi di lingua perch
lanalisi filosofica porta a compiuta coscienza le regole che si sono sviluppate
precedentemente e individua indebiti momenti di sovrapposizione tra questo o quellaltro
sprachspiel (gioco di lingua). Le regole interne ai giochi di lingua non sono mai, n vere,
n false, esse vanno considerate nelle loro relative posizioni e rispettate nelle autonomie
del loro sviluppo. Diverso, per, il caso in cui i singoli giochi linguistici si sovrappongono,
facendo s che ci si serva, inavvertitamente, di regole che appartengono ad un gioco
diverso da quello iniziale. In tal caso, il linguaggio si avvita su se stesso, ed proprio in
tale occasione che deve intervenire la funzione terapeutica della filosofia.

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ESERCIZI
a) Spiega il modo in cui si evoluto il linguaggio nellessere umano


b) Dai una definizione di linguaggio


c) Spiega il rapporto esistente tra linguaggio e comunicazione


d) Indica su quanti livelli si fonda il linguaggio umano


e) La comunicazione ha unimportante funzione educativa, indica quale




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2. LA COMUNICAZIONE LINGUISTICA
Un exursus di linguistica
La linguistica lo studio della lingua secondo i metodi della scienza moderna ed opera
nelle aree della fonologia, morfologia, sintassi che insieme formano la grammatica, e in
quelle della metrica, che studia la struttura ritmica e la tecnica compositiva dei versi, della
semantica, della lessicografia, che comprende letimologia. La lingua una creazione
storica ed antropologica ed il risultato delluso del linguaggio da parte di una
determinata societ di parlanti in un preciso momento della storia. Di conseguenza, tutti
gli uomini hanno, e probabilmente hanno sempre avuto, la facolt del linguaggio; le
lingue, invece sono molteplici e variano a seconda dei gruppi sociali che le esprimono e
del periodo storico in cui sono state espresse. Il tempo, oltre alla convenzione sociale,
laltra coordinata fondamentale per cui una lingua quella che si manifesta.
La linguistica nasce, in prima istanza come esigenza di interpretare correttamente i testi
sacri, quando ci si reso conto, nelle varie civilt, che la lingua con cui erano scritti i testi
non risultava pi ben comprensibile. stata proprio la conoscenza del sanscrito da parte
dellOccidente, avvenuta alla fine del Settecento, a porre le basi per una fondazione
scientifica della linguistica. iniziata, cos, unopera di comparazione sistematica delle
lingue (a partire dalle lingue indoeuropee) e una loro classificazione secondo criteri
rigorosi, basati soprattutto sullo studio delle corrispondenze fonetiche e morfologiche
(Glottologia). Parallelamente iniziato lo studio sistematico dei dialetti. Per tutto
lOttocento la linguistica, assorbita dalle scoperte e dalle acquisizioni valide ancora oggi
del metodo comparativo, stata una disciplina piuttosto compatta e orientata verso lo
studio diacronico, ossia storico, della lingua.
Nel XX secolo, e in particolare grazie allopera di Franz Boas, Ferdinand de Saussure e la
scuola linguistica di Praga, la disciplina si sviluppata secondo una serie di orientamenti
diversi: lanalisi diacronica viene ulteriormente sviluppata e perfezionata, ma nello stesso
tempo prende piede lo studio sincronico, che si propone di studiare la lingua nel suo stato
attuale e nel suo funzionamento reale. Lo strutturalismo nato e si sviluppato proprio in
linguistica, con la considerazione che le lingue costituiscono sistemi complessi e
strutturati, in cui ogni parte legata a tutte le altre e non modificabile o eliminabile senza
che lintera struttura ne risenta. Possiamo, dunque parlare di due tipi di linguistica: una
sincronica ed una diacronica. Con la prima, intendiamo lo studio del rapporto che occorre
tra tutti gli elementi costitutivi del sistema linguistico, prescindendo dalla loro origine e

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dallevoluzione del tempo, con la seconda, invece, ci riferiamo allaspetto dei fatti
linguistici secondo la successione nel tempo, ad esempio la /i/ latina in sillaba aperta
accentata che in italiano diventa /e/ chiusa. La distinzione tra langue e parole
determina che al momento di un atto locutivo, tutti i rapporti paradigmatici che strutturano
una langue sono, comunque, sempre e solo sincronici; laspetto diacronico si manifesta,
allopposto, sullasse sintagmatico, ovvero nella parole. Studiare la grammatica di una
lingua quindi eminentemente compito della linguistica sincronica.
Negli Stati Uniti Franz Boas e Edward Sapir, nellambito della linguistica descrittiva, hanno
applicato raffinate metodologie per identificare i suoni o le unit grammaticali delle lingue
prive di tradizione scritta, (ad esempio le lingue indiane dAmerica), in modo da giungere
a una descrizione scientifica dei vari linguaggi. Basandosi sul loro lavoro, Leonard
Bloomfield ha proposto unanalisi comportamentale del linguaggio, che ha evitato il pi
possibile considerazioni semantiche, ossia sul significato. In relazione a questo tipo di
ricerche e contro alcune affermazioni radicali e discutibili degli allievi di Bloomfield, Noam
Chomsky ha elaborato, a partire dagli anni Cinquanta, la grammatica generativa che,
distingue una struttura profonda dei fatti linguistici e una struttura superficiale in cui la
prima si trasforma nellorganizzazione sintattica del parlare concreto. Per Chomsky, la
sintassi, ovvero le regole con cui produrre tutte le possibili frasi attraverso la
manipolazione di simboli, la parte veramente importante della lingua. Egli sostiene che
solo nella mente umana esiste un processore del linguaggio, e questo processore gi
implementato allatto della nascita. Questa ipotesi spiegherebbe lincredibile velocit e
affidabilit con cui un bambino acquisisce il linguaggio. Esiste, dunque, una sintassi
comune a tutte le lingue naturali che viene adattata, caso per caso, semplicemente
cambiando pochi parametri, per diventare una lingua concreta.
La grammatica generativista si basa, dunque, sullidea che qualsiasi sia laspetto del
linguaggio che noi consideriamo, si tratti del significato delle parole o del modo in cui
queste si combinano in frasi, o vadano a formare certe costruzioni (domande, relazioni
semantiche tra parole, relazioni tra un pronome e un antecedente o un nome) esso si
fonda su un vasto orizzonte di complessit. In sostanza, la grammatica generativa, pone
laccento sulla capacit ricorsiva delle regole della lingua di generare sempre nuove frasi.
La ricorsivit, ossia la frequenza con cui si rinnova o si ripete un fatto o un fenomeno,
investe ogni aspetto della lingua. Chomsky, dunque, con gli Universali linguistici ha
posto alla base delle proprie teorie i presupposti della linguistica e quelli della filosofia del
linguaggio. De Saussure, con il suo corso di linguistica generale pubblicato postumo nel
1916, il cui assunto fondamentale il rapporto convenzionale ed arbitrario che lega in un

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segno il proprio significato (sostanza) e il suo significante (la rappresentazione grafica, la
forma) ha condizionato pretereintenzionalmente la filosofia del linguaggio. Quello di De
Saussure, infatti un trattato, che si presenta come un lucido e freddo preannuncio della
crisi che attraversa e sconvolge le certezze del linguaggio tra la fine del XIX secolo e
linizio del XX secolo. Un filo rosso che porta alla luce la frattura insanabile tra il mondo
dei segni e quello della realt, e limpossibilit del primo di dare consistenza al secondo.
Chomsky, invece, proprio per meglio impostare questioni di linguistica, ha sentito il
bisogno di sconfinare nella riflessione filosofica e psicologica ipotizzando la presenza di
unattivit della mente, considerata in una prospettiva universale e concepita come colei
che sorregge e presiede alla produzione delle lingue naturali. In Europa la riflessione di
Saussure, considerato a tutti gli effetti il padre dello Strutturalismo e della linguistica
sincronica e della scuola di Praga non ha dato origine a una scuola linguistica unitaria. Si
sono, infatti, sviluppati molteplici interessi ed orientamenti diversi. La scuola glossematica
di Copenaghen, ad esempi, rappresentata da Louis Trolle Hjemlslev e Viggo Brndal
viene ricordata per il rigore formale e la sua coerente impostazione concettuale e le sue
applicazioni nel campo della semiologia, il funzionalismo, di Andr Martinet e di Michael
Halliday, un orientamento che pone laccento sulla funzione comunicativa della lingua e
sul ruolo del parlante. Anche Martinet parte dallimpostazione saussuriana che
concepisce il momento del singolo atto locutorio come, lunico istante reale della
langue, ma la riformula diversamente fino ad arrivare ad edificare una linguistica storica
strutturale. La posizione assunta da Andr Martinet, propone infatti di cambiare i termini
del problema, pensando alla diacronia come ad una sommatoria dinfiniti istanti sincronici,
di fatto non isolabili, se non astraendoli per comodit di studio, dato che nella realt sono
sempre immersi nel fluire della diacronia. Con questo approccio (a volte detto sincronia
nella diacronia) i capisaldi del pensiero saussuriano: il sistema e la sua struttura
sincronica restano, in ogni caso saldi, e si aprono cos nuove porte per lo studio del
mutamento linguistico in termini funzionalistici e strutturali. Una soluzione pi radicale
invece quella avanzata, in anni pi recenti, dalla teoria della grammaticalizzazione,
proposta da vari studiosi tra cui Elisabeth Traugott e Paul Hopper.
Questa dottrina riconosce realt solo alla diacronia, negando, di fatto, lesistenza di una
langue sincronica. Le conseguenze sono pesanti: non si pu pi parlare di sistema, ma
solo, semmai, di processi astratti e tendenze evolutive generiche e, di fatto, si dissolve lo
strutturalismo in una sorta di teleologismo generale (esistono solo processi), senza reale
supporto empirico. Viene, infatti, da domandarsi come mai, se tutte le lingue evolvono,
davvero, in base alle medesime tendenze, ed in ununica direzione, non finiscano per

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essere uguali. Con lo studio del linguaggio anche la dialettologia si rivelata una
disciplina assai vivace, banco di prova sulle lingue vive delle teorie e metodologie
speculative. Fra le discipline della linguistica moderna ci sono inoltre: la sociolinguistica; la
pragmatica e la psicolinguistica, letnolinguistica, che si occupa dei rapporti fra linguaggio,
cultura e visione del mondo delle popolazioni o dei gruppi ed imparentata con
lantropologia; la geografia linguistica, che riassume in s caratteristiche della grammatica
storica, dello strutturalismo, del funzionalismo e delletnolinguistica.
Lo Stutturalismo linguistico: il Cours di de Saussure
Il Corso di linguistica generale vide la luce nel 1916 e fu curato dai discepoli di Saussure
che compendiarono e sintetizzarono le lezioni accademiche sviluppate dal linguista
ginevrino in un arco di tempo che va dal 1905 al 1909. Con Saussure si assiste, come
abbiamo gi visto, ad una vera scissione tra linguistica diacornia e sincronica. Per
comprendere lispirazione fondamentale dello strutturalismo linguistico pu essere utile far
riferimento ad un esempio proposto dallo stesso Saussure, quando paragona il
funzionamento della lingua al gioco degli scacchi. Intuitivamente si comprende, infatti,
come lessenza del gioco degli scacchi, non cambi se i pezzi della scacchiera sono in
legno piuttosto che in avorio, cos come non si verifica nessun cambiamento funzionale
se pedine, torri o alfieri assumono forme diverse. Per il funzionamento di tale gioco, infatti,
necessario soltanto che i singoli pezzi siano distinguibili fra di loro e che ognuno di essi
faccia tuttuno con le funzioni e le propriet che gli vengono attribuiti. Di fondamentale
importanza dunque la struttura del gioco. Parimenti tale carattere di totalit e auto-
regolativit interna appartengono anche alla lingua. Cos come accade nel gioco degli
scacchi cos nella lingua lintroduzione di un nuovo pezzo, nel caso della lingua di un
nuovo elemento, con nuove propriet e funzioni cambia lintero funzionamento.
Per meglio comprendere lorganizzazione del sistema lingua dobbiamo pensare ad
unanalogia con lorchestra: ogni strumento-elemento in relazione con tutti gli altri
strumenti, ma in particolare con i membri di alcuni settori (fiati, archi, ecc.) che si possono
considerare sottoinsiemi. Anche la lingua un sistema articolato in sottoinsiemi come
quello fonologico (suono), morfologico (forma delle parole: articolo, verbo. Ecc.), sintattico
(combinazioni di parole in frasi), semantico (significato delle parole), lessicale. Il sistema
lingua si estrinseca in strutture, cio in disposizioni, configurazioni di elementi secondo le
leggi particolari di quella determinata lingua. Nella lingua italiana, ad esempio, nel
sottosistema fonologico, gli elementi, che corrispondono alle lettere dellalfabeto, possono
combinarsi solo in un certo modo: e, o, m, r, possono strutturarsi in remo, more,

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orme, ma non in rmoe, mroe. Parimenti nel nostro sistema morfologico ammessa la
configurazione articolo + nome, ma non il contrario ([la casa] e non [casa la]). Studiare
una lingua in termini strutturali significa, quindi lasciarsi alle spalle le vecchie prospettive
diacronico evolutive per privilegiare un approccio sincronico. La dicotomia diacronico
sincronico, per, non va intesa in termini rigidi perch le prospettive metodologiche non si
escludono a vicenda, anche se lapproccio sincronico ha un suo primato conoscitivo in
quanto rende maggiormente comprensibili quelle trasformazioni, diacronico evolutive,
che, pur intervenendo dallesterno, vengono riassorbite dalla lingua sincronicamente
intesa e rese compatibili con la funzionalit delle sue strutture. Lelemento pi innovativo
del pensiero saussuriano quello relativo alla cosiddetta arbitrariet del segno
linguistico. Per il linguista ginevrino il segno linguistico composto da due facce
inscindibili che Saussure chiama rispettivamente significato e significante. Per dirla con
Saussure il segno linguistico in sostanza come un foglio di carta o una pagina di un libro
nella quale se tagliamo il recto tagliamo anche il verso perch siamo di fronte alle due
facce di una stessa medaglia. Il significato coincide con il concetto, mentre il significante
limmagine acustica o grafica che viene utilizzata per esprimere il concetto. Il legame tra
significato e significante del tutto arbitrario frutto della convenzione sociale.

Il segno linguistico secondo De Saussure
Con arbitrariet sintende specificare, dunque che il segno linguistico non determinato
da relazioni necessarie di causa ed effetto e non motivato da alcun rapporto di
somiglianza. Pensiamo alla parola albero. La rappresentazione fonica albero non
determinata da alcun rapporto di causa-effetto, n di somiglianza con il concetto albero
dellitaliano, n il segno linguistico albero della medesima lingua determinato da alcun

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rapporto causale o di somiglianza con la classe degli oggetti del mondo (alberi) cui pu
riferirsi. Esistono per alcuni segni motivati nei quali il significante intrattiene con il
significato un rapporto di somiglianza. il caso, ad esempio, delle parole
onomatopeiche (ad es. il sibilare del vento o lululare del lupo) e del lessico cosiddetto
espressivo (ad es. mamma, bua, pupu, ecc.). Il fenomeno indubbiamente reale, ma
ha unincidenza estremamente ridotta nel sistema linguistico. Se, infatti, proviamo a
considerare, le riproduzioni linguistiche dei versi degli animali (onomatopee) nelle
diverse lingue, noteremo che le parole con cui vengono riprodotti i versi degli animali
presentano, indubbiamente una qualche somiglianza con i suoni originali, sono, cio,
motivati, ma, spesso, mutano completamente da lingua a lingua. Questo sta a
significare che la caratteristica dominate della lingua quella di essere una convenzione
sociale al punto che anche la riproduzione dei suoni onomatopeici non trova quasi mai
una netta identit nelle diverse lingue. Capito, in modo piuttosto semplice ed intuitivo il
rapporto arbitrario che lega significante e significato, soffermiamoci a fare unulteriore
riflessione, questa volta meno evidente, che sostiene che, anche, anche i concetti siano
in un rapporto di arbitrariet in ogni lingua. Non esiste, infatti, una corrispondenza
biunivoca tra due o pi concetti in lingue diverse. Per comprendere questo, basti pensare
alla reale difficolt che, incontriamo nel fare traduzioni da una lingua allaltra. Gli esempi
potrebbero essere innumerevoli, per iniziare, consideriamo un caso appartenente alle
lingue occidentali: il concetto di carne.

Francese Inglese Italiano Ungherese
viande meat carne Hs
chair flesh " " " "

Tabella comparativa dei sistemi di definizione dei concetti
Come si pu vedere nella tabella, le lingue non colgono allo stesso modo il valore
concettuale del significato. Nellesempio riportato la lingua francese e la lingua inglese
prevedono due significati per specificare rispettivamente con vivande/meat la carne
umana, e con chair/flesh, la carne da mangiare, mentre litaliano non contempla nel suo
vocabolario nessuna parola che specifichi il diverso valore concettuale, il quale viene
espresso ricorrendo alluso dellaggettivo o del complemento (carne+umana) (carne+ da
mangiare). Non mancano, poi, casi in cui le corrispondenze sono distribuite in modo
ancora pi confuso. In lingue culturalmente lontanissime, come linglese e il giapponese,
la crescita della diversit tra i diversi sistemi concettuali, aumenta, progressivamente,

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allincremento delle differenze storiche, geografiche, politiche. In generale, infatti, il grado
di diversit delle griglie concettuali tra due lingue di solito proporzionale alla distanza
culturale, antropologica, delle comunit che di quelle lingue fanno uso. Naturalmente
larbitrariet del segno non va confusa con una sorta di libert concessa al parlante, infatti
solo lingua libera di stabilire leggi interne che il parlante dovr necessariamente
rispettare. Allinterno della lingua opera un elemento convenzionale e sociale che, per,
non pu mai inficiare la sua funzionalit strutturale e che anzi, ne costituisce un ulteriore
fattore.
Oltre allarbitrariet Saussure attribuisce, al segno linguistico, la caratteristica della
convenzionalit, intesa come il consenso accordato da una comunit di parlanti circa luso
di un segno linguistico. Complessit e discrezionalit sono altri due elementi distintivi del
segno. I segni, infatti, sono unit discrete, tanto al loro interno (articolazione), quanto
rispetto agli altri segni con cui si posizionano in occorrenza in un determinato contesto
(composizionalit). Quando definiamo il segno unit discreta, intendiamo dire, che esso
scomponibile in parti tra loro chiaramente distinte. Lespressione mela, ad esempio,
chiaramente segmentabile in quattro unit sonore, fonemi, facilmente identificabili
procedendo a prove di commutazione locale (Vela, mOla, meNa, melO); il concetto
mela, distinto da quello di pera, invece chiaramente segmentabile in buccia, polpa,
seme, picciolo, ecc. Questa doppia articolazione del linguaggio, tanto a livello di
definizione concettuale che di segmentazione fonologica, stata specialmente
sottolineata come costitutiva del linguaggio umano, soprattutto, dal linguista francese
Andr Martinet (1908-1999).
La composizionalit del segno intesa come la capacit di ogni segno linguistico di
mettersi in relazione con altri segni, diventando esso stesso una parte discreta di un
sistema di segni il cui significato dato dalla somma del significato delle sue parti. Pi
parole, combinate tra loro possono formare un sintagma, una frase, ecc. Affinch il segno
possa disporsi in combinazione con gli altri segni esso deve essere necessariamente
lineare. Il significante linguistico, in opposizione ai significanti visivi, essendo di natura
auditiva, si svolge soltanto nel tempo. appunto una linea lungo la quale gli elementi si
presentano luno dopo laltro, formando una catena. Le caratteristiche appena spiegate di
fatto compongono il segno e agiscono in modo sistematico. Possiamo ora meglio
comprendere come, una langue sia sempre un sistema coerente di funzioni, e come
tale pu essere analizzato e studiato. Gran parte della linguistica del Novecento si pone,
infatti, allinsegna dello strutturalismo che nasce, appunto, dalla lezione di Saussure,
rinforzata anche dal modello della antropologia strutturale di Lvi-Strauss.

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La lingua per Saussure un sistema coerente di funzioni che si regge su due tipi diversi
di rapporti, rispettivamente chiamati rapporti sintagmatici e rapporti paradigmatici. I primi
si fondano sulla linearit del segni linguistici, pensiamo, ad esempio, a come le parole
allinterno della frase si dispongono, si associano e si relazionano reciprocamente,
originando significati di senso compiuto. Questi rapporti sono sempre in presentia,
concreti. I rapporti paradigmatici, invece, sono astratti e uniscono dei termini in absentia,
in una serie mnemonica virtuale, in altre parole, rappresentano la struttura grammaticale
della langue. Un altro elemento stimolante della linguistica di Saussure, infine, da
individuare nel progetto del ginevrino di allargare il concetto di segno, includendo,
anche, i segni non linguistici per fondare una sorta di scienza generale e
onnicomprensiva, definita dal nostro autore come semiologia. La linguistica strutturale,
sarebbe, quindi, solo una, anche se certamente la pi significativa, manifestazione della
semiologia, ed ogni forma di cultura, ogni oggettivazione delle attivit delluomo, pu
essere vista come un sistema di segni le cui leggi interne risulterebbero sicuramente
indagabili.
Vogliamo precisare che questa digressione fatta sulla linguistica e soprattutto sullo
strutturalismo di de Saussure non vuole uscire fuori tema rispetto alloggetto della
psicologia del linguaggio. Riteniamo, che non si possa prescindere dalla conoscenza dei
concetti espressi per affrontare lo studio della psicologia del linguaggio.
La psicolinguistica chomskiana: il modello generativo-
trasformazionale e lincontro con il cognitivismo, le
direzioni di ricerca
La linguistica generativo-trasformazionale ha avuto origine con la comparsa, nel 1957, del
volume di Chomsky Syntactic Structures. Essa si attribuisce il compito di pervenire ad un
modello linguistico tale che possa generare tutte le infinite frasi di una lingua, ciascuna
suscettibile di una descrizione a livello di struttura e di interrelazione con le altre frasi.
Secondo la teoria linguistica di Chomsky, quale appare nel 1965 in Aspetti della teoria
della sintassi, il compito di una descrizione linguistica adeguata infatti quello di costruire
una grammatica predittiva che a partire dalle unit della lingua, considerate come un
numero finito di elementi, permetta di costruire un insieme aperto di frasi
grammaticalmente accettabili. Le frasi della lingua e lintuizione del parlante
rappresentano i dati empirici su cui fondare la formulazione e la verifica del modello. Una
delle tesi pi importanti elaborate dallautore relativa alla distinzione tra competenza
(competence) ed esecuzione (performance) linguistica. Dobbiamo considerare la

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competenza linguistica - cio, la conoscenza di una lingua come un sistema astratto
sottostante al comportamento, un sistema costituito da regole che interagiscono per
determinare la forma e il significato intrinseco di un numero potenzialmente infinito di
frasi (Chomsky 1968). Dunque, per competenza, si riferisce alla capacit, che ogni
parlante possiede di comprendere e produrre potenzialmente tutte le frasi di una lingua, le
quali costituiscono un insieme tecnicamente infinito. intesa in questo senso, la
competenza rappresenta loggetto della linguistica, in quanto lelaborazione di una
grammatica, per Chomsky, la descrizione sistematica ed esplicita della competenza.
Lesecuzione invece luso che della lingua fa il parlante, il modo in cui la competenza,
capacit potenziale e innata, viene messa in atto nella produzione linguistica. La teoria
linguistica ha il compito di specificare come la competenza linguistica universalmente
organizzata al di l delle possibili differenze: la descrizione di questi universali fa s che
si possa parlare di una teoria del linguaggio umano in quanto tale, piuttosto che di una
lingua in particolare. Unaltra idea di fondo elaborata dallautore riguarda la distinzione
delle componenti di cui consta una grammatica; la frase lunit base della lingua, essa
generata tramite delle regole sintattiche che governano la combinazione e la relazione
delle singole parti della frase stessa; dunque nella grammatica, intesa come modello di
competenza linguistica, centrale il ruolo della componente sintattica, a cui si aggiunge
quella fonologica, relativa alla interpretazione delle relazioni tra suoni e simboli, e quella
semantica, che ha il compito di interpretare il significato espresso dai singoli elementi
lessicali.
Lautore opera una distinzione tra strutture superficiali, che vengono espresse dalle
singole frasi prodotte da regole generative, che cambiano da lingua a lingua, e strutture
profonde, che rappresentano il contenuto dellintenzione comunicativa del parlante,
astratte e tendenzialmente universali. Come si detto la componente sintattica quella
fondamentale, in quanto permette al parlante di associare le catene foniche ai significati e
viceversa, e quindi di fondare la competenza linguistica. Il passaggio dalle strutture
profonde a quelle superficiali, ovvero dal livello astratto delle informazioni semantiche al
livello concreto della produzione di frasi, avviene attraverso alcune regole di
trasformazione. La componente fonologica assegna una rappresentazione fonetica alle
strutture superficiali, la componente semantica assegna una rappresentazione semantica
alle strutture profonde. La distinzione tra struttura superficiale e struttura profonda
consente a Chomsky di spiegare una frase attiva e la sua corrispondente passiva come
due frasi a livello di struttura superficiale che risalgono alla stessa struttura profonda.

44
Anche i casi di sinonimia sono spiegati attraverso lattribuzione alle frasi sinonime di
strutture profonde uguali a cui corrispondono strutture superficiali diverse, mentre i casi di
polisemia sono spiegati facendo risalire le frasi polisemiche a strutture superficiali
identiche a cui corrispondono strutture superficiali diverse e aventi significato diverso.
interessante sottolineare i progressi compiuti dalla linguistica generativa sul piano della
scientificit, per la rilevanza in essa data allambito delle elaborazioni teoriche e allambito
della descrizione linguistica concreta. Parisi nota: Il principale lato debole del modello
classico la sottocomponente di base della sintassi, cio il sistema delle regole di
riscrittura e linserzione lessicale. Se si osserva qual lapparato concettuale con cui
costruita la base della sintassi, cio le categorie sintattiche (nome, verbo, sintagma
nominale ecc.), ci si accorge che si tratta di vecchie nozioni della linguistica che
conservano nel modello trasformazionale classico tutta o quasi la loro tradizionale
oscurit.
Il modello del linguista americano ha, invece, il merito di aver riconosciuto la necessit di
livelli di rappresentazione delle frasi pi astratti, anche se il livello pi astratto del livello
classico, quello della struttura profonda, appare ancora come troppo simile alle
rappresentazioni superficiali delle frasi. Per una teoria adeguata sembrano necessari
livelli di rappresentazione ancora pi astratti, cio pi distanti e diversi dalla
rappresentazione superficiale. Su osservazioni di questo tipo si fondata tutta lanalisi
critica al modello ortodosso della linguistica post-chomskiana, orientata verso interessi
prevalentemente semantici. In questa sede ci interessa piuttosto rilevare come il modello
abbia influito sulla psicologia ed abbia fornito la base teorica e programmatica delle
ricerche psicolinguistiche fino agli anni 70, e come sia stato significativo lincontro tra
esso ed il cognitivismo per lo sviluppo degli studi in psicolinguistica.
Abbiamo gi visto che per i cognitivisti, il modello stimolo-risposta, non basta a spiegare
tutti i comportamenti umani: a determinare la conoscenza del mondo non lincontro
casuale con stimoli ambientali, n la selezione automatica e selettiva sostenuta dai
comportamentisti, bens lagire attivo delluomo di fronte alle informazioni provenienti dal
mondo esterno e alla acquisizione dei messaggi nuovi, che vengono, attivamente, inseriti
dallindividuo in un contesto di informazioni gi possedute. Nella prospettiva cognitivista
linterazione percezione ed azione spinge luomo a contribuire alla formazione degli
schemi ambientali, modificandoli; ogni individuo sviluppa una conoscenza personale del
mondo che avviene mediante la selezione e linterpretazione attiva degli stimoli inviati
dallambiente. Nellambito del cognitivismo, i temi di studio della psicologia, come la
percezione, la memoria, il pensiero, non sono pi campi isolati, ma aspetti di unattivit

45
cognitiva globale; loggetto di studio rappresentato dallinsieme dei processi cognitivi e
lo scopo quello di elaborare dei modelli che possano chiarire come funzionano le fasi di
questi processi. Si profila, cos, la possibilit di studiare quello che dentro la mente e di
accedere ai processi mentali di ricerca, di confronto, di decisione, di pianificazione e di
azione. Lorientamento teorico cognitivista, disposto a riconoscere la complessa attivit
mentale, solo in parte osservabile nel comportamento esterno, considera, con favore, le
nuove idee introdotte dalla grammatica generativo-trasformazionale, e mostra interesse
per le ipotesi chomskiane sulla complessa struttura sottostante alle frasi e sulle fasi di
formazione di queste, sottostanti al comportamento linguistico osservabile.
Feconde possibilit di ricerca in campo psicologico, offre, infatti, una linguistica che
considera il linguaggio come una competenza contenuta nella mente di ciascun individuo,
e la sintassi un processo dinamico fondato su combinazioni di regole. Intorno al 1960
dunque, sia in linguistica, che in psicologia le condizioni della ricerca sono tali da
consentire una svolta significativa al corso dellevoluzione della psicolinguistica. Lanalisi
dellacquisizione del linguaggio nei bambini, alla luce dei modelli generativo-
trasformazionali, si rivolta a stabilire, se possibile intravedere allinterno delle frasi
prodotte dai bambini di uno-due anni, una qualche forma di struttura sintagmatica,
seppure in nuce. stato dimostrato che, nelle frasi costituite da poche parole, il modo in
cui i bambini le correlano soggetto a regolarit e si notato che esistono in questo
linguaggio embrionale solo alcune particolari combinazioni di parole; tali combinazioni
riguardano le parole perno, ovvero una classe di parole, frequentemente usate, che
rappresentano il perno, appunto, della frase, e le parole che non sono usate con molta
frequenza, ma rappresentano una classe virtualmente infinita ed hanno un ruolo di
contenuto. Le ricerche che si sono basate sullanalisi della distribuzione di tali classi di
parole nelle frasi sono state svolte da Braine (1963) e Brown e Fraser (1963).
Il punto focale, come osserva Slobin, che il bambino, ha gi un sistema proprio che non
pu essere semplicemente considerato una copia della sintassi delladulto. pi
probabile, che il bambino usi gi i limitati strumenti linguistici a sua disposizione per creare
nuove espressioni allinterno del suo semplice, ma gi strutturato sistema. Questo
sistema, naturalmente, deve avere qualche relazione con la lingua, che il bambino ha
udito intorno a s, ma certamente non affatto una copia ridotta di quel sistema. Per
quanto riguarda lesistenza di una struttura profonda nel linguaggio del bambino, sembra
difficilmente riconoscibile la distinzione tra livello superficiale e livello profondo, data la
semplicit delle frasi infantili. Mc Neil, a questo proposito, sostiene lipotesi, che il bambino
nellapprendimento linguistico, guidato da una conoscenza implicita delle relazioni

46
grammaticali della struttura profonda che vengono direttamente manifestate nelle sue
frasi; solo in seguito egli bambino impara ad applicare le regole di trasformazione
consapevolmente, poich esse rappresentano unacquisizione sintattica pi evoluta. Gli
studi fin qui descritti, relativi alla psicolinguistica degli anni 60, non rappresentano un
quadro esaustivo della ricerca, ma sono gli orientamenti pi significativi della linguistica
chomskiana. Per questa psicolinguistica, nellinteresse di conoscere le capacit del
parlare e del suo uso effettivo, prevale lobiettivo di trovare conferme per i concetti, le
regole e le strutture dei modelli proposti dalla linguistica. I limiti di tale approccio sono
identificabili, in fondo, in quelli riconoscibili nella linguistica stessa. Come osserva Parisi, la
frase lunit comunicativa pi ampia considerata, a discapito di unit pi grandi, tipo i
discorsi e le conversazioni e viene trascurata lanalisi del contesto situazionale entro cui si
colloca lenunciazione della frase, del contesto linguistico ed extra-linguistico.
Lindifferenza per questi aspetti della capacit linguistica e delluso del linguaggio
rappresentano un limite della teoria chomskiana e delle ricerche psicolinguistiche che ad
essa fanno riferimento; ma allorigine della crisi della psicolinguistica chomskiana si
colloca soprattutto lemergere, anche in campo linguistico, di un interesse pi specifico
per la semantica e dellesigenza di una rappresentazione pi astratta del contenuto della
frase. Va riconosciuto alla psicolinguistica chomskiana ed alla psicolinguistica in generale
il merito di rappresentare un approccio nuovo e fecondo allanalisi dellinterazione tra il
soggetto e il linguaggio.
La psicolinguistica sul piano metodologico
Negli anni 60 la disciplina si rivolge soprattutto alla ricerca di una verifica della realt
psicologica dei modelli linguistici di Chomsky nel tentativo di dimostrare che le distinzioni
effettuate a livello formale siano effettivamente operanti nelluso della lingua e nel
tentativo di derivare da questi modelli delle previsioni sul modo in cui le frasi vengono
percepite, capite e ricordate dagli adulti, ed acquisite dai bambini.
Sul piano metodologico le strade percorse sono due:
1. la sperimentazione in laboratorio tesa a misurare il grado di comprensione e di
ricordo delle frasi;
2. losservazione dello sviluppo linguistico del bambino.
In laboratorio le capacit delle persone di comprensione e di memoria possono essere
osservate nellambito di condizioni controllate dallo studioso e sottoposte a variazioni; la

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ricerca sul linguaggio infantile pu dar conto di come la capacit linguistica, di percezione,
di comprensione e di memoria sono correlate nei processi di acquisizione del linguaggio e
di sviluppo mentale. La ricerca si sviluppa in tre diverse direzioni: una serie di studi
tendono a verificare la realt psicologica della struttura sintattica, altri studi alla verifica
dellesistenza di una struttura profonda sottostante alle frasi prodotte dai parlanti, unaltra
parte della ricerca si rivolge allo studio delle capacit linguistiche nei primi anni di vita del
bambino, descrivendo tali capacit con riferimento al modello chomskiano. Per quanto
riguarda la ricerca inerente la realt psicologica della struttura sintagmatica delle frasi, la
teoria chomskiana assegna a ciascuna frase una struttura sintagmatica di tipo gerarchico,
attraverso cui, dalle singole parole, si arriva alla rappresentazione della frase completa.
La ricerca psicolinguistica ha inteso dimostrare che, due parole formanti un sintagma,
costituiscono nella mente, ununit psicologica pi alta, rispetto a quella relativa a due
parole che non formano un sintagma. Nella comprensione e nella memorizzazione di una
frase si tende infatti ad un lavoro mentale unitario ed il raggruppamento sintattico delle
parole trova riscontro nellunit della mente di chi ascolta e comprende la frase. Per
quanto riguarda la realt psicologica della struttura profonda, nellambito della teoria
chomskiana possibile risalire dalla struttura superficiale di una frase alla sua struttura
profonda. Le operazioni di trasformazione sono relative ai passaggi dalla forma sintattica
attiva, affermativa o dichiarativa, alla forma passiva, negativa o interrogativa; stato
rilevato che a seconda del numero di trasformazioni applicate per risalire alla struttura
profonda varia il grado di difficolt riguardante i processi di comprensione e di ricordo
delle frasi.
Per quanto riguarda lo studio sullo sviluppo della sintassi nei bambini da notare, in
generale, che la psicolinguistica chomskiana ha dato lavvio allo studio sistematico
dellacquisizione e della comprensione del linguaggio nei primi anni di vita, percorrendo
due vie metodologiche: da una parte la registrazione periodica degli enunciati spontanei
dei bambini relativamente ad un arco di tempo di uno-due anni, dallo altro lutilizzo di
tecniche sperimentali, ad esempio far ripetere ad un bambino frasi di diversa difficolt,
oppure sottoporgli una frase e chiedergli, successivamente, di associarla ad una figura.
Attraverso varie ricerche, in questo campo, il risultato generale emerso sembra essere
che, al di l dellapparente caos delle prime frasi infantili, esiste un ordine analizzabile che
induce a riconoscere unevoluzione agli stadi dello sviluppo del linguaggio infantile.
Secondo lapproccio psicolinguistico chomskiano, se la capacit linguistica corrisponde, in
generale al possesso di un insieme di regole, queste sono riconoscibili anche nellambito
delle capacit linguistiche infantili.

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Soblin, ad esempio, abbastanza sicuro, nellaffermare che un bambino ha qualche
sistema di regole se la sua produzione regolare, se egli estende questa regolarit a
nuovi casi, e se pu scoprire deviazioni dalla regolarit nel suo linguaggio e in quello degli
altri. Varie ricerche sono state compiute nel tentativo di provare lesistenza di regole,
ovvero di una regolarit di comportamento linguistico, quali ad esempio i tests di Berko
(1958) sulla capacit dei bambini di estendere regole morfologiche a nuovi casi. Come
nota Parisi i bambini della scuola materna sono in grado di costruire il plurale dei nomi
inventati, in quanto hanno appreso che il plurale dei nomi si costruisce aggiungendo la
terminazione -i- alla radice dei nomi stessi.
Pensiero e linguaggio: Skinner - Piaget Vygotskij
Per approfondire lo studio del rapporto tra funzione cognitiva e funzione verbale nel
quadro evolutivo infantile non si pu non fare almeno un breve accenno alle conclusioni
scientifiche di tre fondamentali studiosi contemporanei quali B.F.Skinner, J.Piaget e
L.S.Vygotskij. Al modello mentalista di chomsky si oppone quello comportamentista di
Skinner. Egli prende le distanze dal pensiero di Chomsky, in cui prevalgono le regole
della grammatica internalizzata che consentono di capire una nuova frase, sostenendo
che, nel linguaggio dominano le entit non intenzionali di stimolo e risposta. Dare una
spiegazione del comportamento, presupponendo che a provocarlo siano sentimenti,
sensazioni, stati danimo e, in genere, eventi mentali, non pu rispondere a criteri
scientifici e oggettivi, perch questi fattori non sono osservabili e non possono essere
oggetto di verifica sperimentale. necessario allora evitare il mentalismo e considerare
solo i dati osservabili, dirigendo lattenzione sul ruolo dellambiente. Questo il piano del
behaviorismo metodologico, il quale per ha lasciato aperto il problema della effettiva
esistenza di processi mentali che non possono essere studiati oggettivamente, ma che
non per questo possono essere ignorati. Il behaviorismo radicale di Skinner cerca di
dare, anche a questi eventi, una spiegazione alternativa riconducendo anchessi a
comportamenti da porre in relazione con lambiente: diverr cos possibile estendere
anche a questi aspetti lindagine sperimentale, il controllo e la previsione che sono propri
della scienza.
Per Skinner, dunque, una persona apprende il linguaggio, in modo simile a quello con cui
apprende ogni altro tipo di comportamento, per mezzo del rinforzo e dellosservazione.
Lapprendimento linguistico del bambino, per Skinner, si lega ad unattivit di tipo motorio.
In particolare, i bambini costruiscono i significati delle parole, non come categorie astratte,
ma come se fossero delle vere e proprie etichette associate ad oggetti o situazioni reali.

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Limponente mole delle ricerche compiute dallo psicologo svizzero Jean Piaget e dai suoi
collaboratori si colloca nellambito del funzionalismo europeo. Piaget (1896-1980) si
dedicato nelladolescenza a ricerche biologiche, assimilando nel contempo, soprattutto
attraverso lo studio di Bergson, alcune tematiche di fondo del pensiero filosofico europeo.
Chiamato da Claparde allistituto Jean-Jacques Rousseau di Ginevra, egli ha diretto in
seguito il Bureau intemational dducation e il Centre intemational dpistmologie
gntique. Lo studioso svizzero contrario sia allempirismo sia allinnatismo: le due
correnti della filosofia moderna che influenzavano ancora, rispettivamente
lassociazionismo e nello stesso il comportamentismo, da una parte, e la scuola della
Gestalt e la psicologia scientifica, daltra.
Lintelligenza umana, a suo giudizio, non plasmata dallambiente esterno n preesiste
fin dalla nascita alle varie esperienze. Essa, piuttosto, si autocostruisce dallinterno, in un
processo che assicura un equilibrio sempre pi stabile dellorganismo umano nei confronti
dellambiente esterno. Estremamente importanti gli studi di Piaget relativi alla nuova
disciplina, da lui chiamata, epistemologia genetica, che consiste nello studio del
significato che hanno concetti quali spazio, tempo, velocit, causalit, ecc., attraverso la
loro acquisizione. Ancora ricerche fondamentali sono state condotte da Piaget sulla
rappresentazione, sullacquisizione del senso morale, sulla percezione, sui rapporti tra
logica e psicologia, sullanimismo e sul linguaggio infantili. La sua influenza sugli studi di
psicologia dellet evolutiva stata ed tuttora molto importante.
Nel panorama delle tendenze contemporanee, lapproccio cognitivo al linguaggio di Jean
Piaget, quello che ha portato alle estreme conseguenze la consapevolezza del
carattere non esclusivamente linguistico, ma pi generalmente cognitivo ed operativo,
non solo della comprensione di enunciati e testi linguistici, ma anche della produzione
linguistica e dellintera facolt del linguaggio. Quasi a minimizzarne la portata, gli studiosi
di Piaget, distinguono almeno due periodi nella sua concezione del linguaggio. In un
primo periodo, quello degli scritti pioneristici di psicologia genetica degli anni venti, nei
quali il linguaggio viene concepito come lo strumento per avere accesso al pensiero del
bambino, ed un secondo periodo, segnato soprattutto dallopera La formazione del
simbolo nel bambino (1945), in cui il linguaggio, inglobato in una pi generale funzione
simbolica, viene considerato come secondario rispetto alle strutture logiche del pensiero.
Questa ricostruzione, bench filologicamente esatta, non rende conto della radicalit
dellatteggiamento di Piaget verso il linguaggio. In effetti, per Piaget, il linguaggio un
vero e proprio ostacolo epistemologico che si estende dallapparizione delle prime
olofrasi, sino allemergenza delle strutture operatorie del pensiero ipotetico-deduttivo. A

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diciotto mesi, sostiene Piaget, il bambino, in azione, gi un piccolo Einstein.
Lapparizione del linguaggio lo costringer a ripetere, per ogni operazione logica, tutte le
peripezie che, per il suo apprendimento, avevano avuto luogo sul piano dellazione.
Piaget considera la capacit del bambino di rappresentarsi mentalmente le azioni come il
presupposto base per lacquisizione del linguaggio. Solo dopo i due anni il bambino,
raggiungendo il sottostadio della rappresentazione simbolica, con il gioco del far finta,
comincia ad usare un oggetto per rappresentarne un altro. In seguito a ci egli incomincia
a mettere insieme i fonemi per formare una parola che, a sua volta, rappresenta
qualcosaltro.
Piaget non ritiene che il linguaggio sia un prerequisito per lo sviluppo del pensiero, ma
solamente che tra il pensiero e il linguaggio esiste una circolarit genetica in cui nessuna
funzione causa o effetto dellaltra. Lappoggio reciproco necessario perch il pensiero
ed il linguaggio dipendono dallintelligenza che, comunque, anteriore al linguaggio. Nel
periodo pre-operatorio, in cui le attivit del pensiero del bambino sono di tipo egocentrico,
anche il linguaggio ha caratteristiche egocentriche e sincretiche (globale), caratteristica
di questo il fatto che da un punto di vista linguistico manchino rapporti sintattici tra i
componenti della frase. La prima fase del linguaggio e del pensiero del bambino consiste
nel ritenere che il proprio punto di vista corrisponde a quello universale e valido per tutti.
Piaget ha documentato lesistenza delle tendenze egocentriche nei fanciulli per mezzo di
ricerche, fatte per circa un mese sullattivit di due bambini di circa sei anni. Tutte le
espressioni pronunciate dai fanciulli durante la giornata venivano registrate.
Riorganizzando tutto il materiale raccolto, Piaget ha diviso le frasi pronunciate dai due
bambini in due gruppi: linguaggio egocentrico e linguaggio socializzato. Nel linguaggio
socializzato il bambino tiene conto dellinterlocutore e cerca di farsi comprendere da lui,
dimostrando cos di aver capito che esistono, oltre al suo, anche altri punti di vista, che
non bisogna trascurare se ci si vuol far capire. Del linguaggio socializzato fanno parte:
linformazione adatta, in questo caso il bambino riesce a comunicare e a
scambiare con gli altri il suo pensiero;
la critica, rientrano le osservazioni fatte al comportamento altrui, non tanto per
comunicare il proprio pensiero, quanto per appagare la combattivit;
ordini, preghiere e minacce, si ha unazione diretta di un bambino su un altro;

51
le domande e le risposte, costituiscono le categorie pi socializzate, poich
implicano un rapporto diretto con laltro nella ricerca dinformazioni o nel dare
spiegazioni.
Il linguaggio egocentrico costituito:
dalla ripetizione, che consiste nel riprodurre sillabe o parole, senza preoccuparsi
della presenza di un interlocutore;
dal monologo, che consiste nel parlare ad altra voce solo per se stessi senza
preoccuparsi se gli altri stanno o meno ascoltando;
dal monologo a due o collettivo, che consiste nel parlare ad alta voce davanti agli
altri per attirare lattenzione, senza per preoccuparsi di essere compresi.
Il linguaggio diventa socializzato solo quando il pensiero acquista la caratteristica di
reversibilit e consente il decentramento cognitivo. Vygotsky, invece, sostiene che la
funzione primaria del linguaggio -nei bambini e negli adulti- la comunicazione. Il primo
linguaggio quello sociale (globale e plurifunzionale); in seguito le funzioni si
differenziano, cio si egocentrizzano, permettendo allo sviluppo del pensiero e del
linguaggio dinteriorizzarsi. In altre parole, ad una certa et il linguaggio diventa anche
egocentrico, ma resta sociale, poich legocentrismo rappresenta soltanto
uninteriorizzazione di forme di comportamenti sociali. Nelladulto c il linguaggio interiore
(linguaggio egocentrico in profondit), che si sviluppa allinizio dellet scolare.
Vygotsky ha costatato come, di fronte alle difficolt, il coefficiente del linguaggio
egocentrico raddoppi, ma proprio perch con esso il bambino realizza un processo di
presa di coscienza che lo porta, in un modo o nellaltro, a cercare una soluzione del
problema. noto il suo esempio: mentre un bambino di 5 anni sta disegnando un tram,
gli si rompe la matita. Accortosi che del tutto inservibile, decide di usare gli acquerelli,
disegnando un tram rotto dopo un incidente; egli continua di tanto in tanto a parlare con
se stesso circa il cambiamento del suo disegno. In pratica, il linguaggio egocentrico funge
da mediatore fra quello vocale (se vogliamo autistico) e quello interiore (quello che d
senso alle cose). La differenza, fra ladulto e il bambino per Vygotsky, sta nel fatto che il
linguaggio egocentrico del bambino stato cos interiorizzato dalladulto chesso, in
questi, non si manifesta pi come tale. Legocentrismo, quindi, quella molla che
permette di non essere soffocati dal conformismo sociale, per sua natura ripetitivo.

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Piaget, invece pensa che il bambino diventi adulto nel momento stesso in cui esce dal
piacere egocentrico per entrare nel dovere sociale.
Secondo Vygotsky il pensiero autistico un risultato del pensiero realistico di Piaget,
poich questi pretende che il pensiero realistico - sganciato da bisogni-interessi-desideri -
sia puro, capace di ricercare la verit per se stessa. Secondo Vygotsky il pensiero
realistico di Piaget si trasforma in autistico perch presume di soddisfare con la fantasia i
bisogni frustrati della vita (la logica staccata dalla vita porta allirrazionalismo). Per
Vygotskij, dunque, nella fase iniziale della vita del bambino, non c alcun legame tra
pensiero e linguaggio e nessun rapporto di reciproca dipendenza. La relazione tra questi,
si crea soltanto, durante lo sviluppo della coscienza, ed il linguaggio attraverso la
comunicazione che organizza in modo qualitativo le categorie del pensiero. In particolare,
Il linguaggio durante la crescita viene a determinare maggiormente i contenuti del
pensiero, proprio per limportanza sociale della trasmissione delle conoscenze. Il
linguaggio ed il pensiero, che originariamente erano indipendenti, finiscono cos per
integrarsi in un processo dinterazione reciproca.
La teoria degli atti linguistici: Austin e Grice le critiche di
Searle
La nozione di atto linguistico ha giocato un ruolo importante nella formazione della
pragmatica linguistica contemporanea e nel diffondersi di pratiche di analisi del discorso
attente agli aspetti operativi e interazionali del linguaggio. La sua influenza sul modo di
intendere la comunicazione ha favorito il passaggio da una nozione di comunicazione
basata sulla codifica, trasmissione e decodifica di messaggi in cui emittente e ricevente
sono semplici terminali di un processo meccanico, a una nozione che mette in primo
piano le intenzioni comunicative del soggetto parlante. La teoria degli atti linguistici ha
contribuito a promuovere, come passo ulteriore, una concezione interazionale della
comunicazione, per cui questa resa possibile dallagire interconnesso dei soggetti
partecipanti. Intesa in senso lato, linfluenza della nozione di atto linguistico , dunque,
molto vasta. Qui non tenteremo di seguirla in tutti i suoi aspetti, ma concentreremo
lattenzione sulla corrente di studi che pi ampiamente ed esplicitamente ha trattato latto
linguistico, appunto, la cosiddetta teoria degli atti linguistici (speech act theory). Possiamo
caratterizzare questultima in base alle sue due idee principali, e cio:
si deve tracciare una distinzione fra il significato di un enunciato e il modo in cui
lenunciato usato (la sua forza).

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il proferimento di un enunciato pu essere considerato come lesecuzione di un
atto, qualunque sia il tipo di enunciato che viene proferito.
Nel prendere in considerazione le origini di tale teoria, ci limiteremo alle sue origini
prossime, nel pensiero filosofico e linguistico del Novecento. Naturalmente bisogna
tenere presente che molti dei problemi che la teoria degli atti linguistici si trovata ad
affrontare, e in particolare quelli riguardanti la definizione delle funzioni del linguaggio e la
loro correlazione con forme linguistiche, esistevano gi ben prima di essa. Gi Aristotele
distingueva fra il significato delle parole e lassertivit dellenunciato dichiarativo. Prima di
Aristotele, il sofista Protagora si era mostrato consapevole della variet degli usi del
linguaggio, di cui ha proposto la prima classificazione che sia giunta fino a noi.
Nel Novecento, linteresse per le funzioni del linguaggio, ha dato origine a una vasta
letteratura di carattere psicolinguistico, semiotico e sociolinguistico (si vedano ad es.
Bhler 1934; Jakobson 1960; Halliday 1970). Il ruolo attivo del parlante stato preso in
considerazione non solo, come si gi accennato, da Bhler, ma anche dalle teorie
riguardanti il rapporto fra soggettivit e linguaggio sviluppatesi in ambito strutturalista
intorno al concetto di enunciazione (nonciation) (Benveniste 1966: 310-320; Ducrot
1978). Sarebbe. tuttavia sbagliato, sia dal punto di vista strettamente storico, sia dal punto
di vista concettuale, considerare questi orientamenti di ricerca come dei contributi alle
origini e/o allo sviluppo della teoria degli atti linguistici; essi restano estranei infatti alluna o
allaltra delle idee centrali di questa, quando non ad ambedue. La teoria degli atti
linguistici si sviluppata non nel contesto dei dibattiti sulle funzioni del linguaggio, ma
nellambito della filosofia analitica, e il suo sfondo sia storico che concettuale nel lavoro
di filosofi quali Austin e Grice.
Negli anni 40, John L. Austin, un filosofo di Oxford, impegnato, come altri filosofi delle
universit britanniche, di Oxford e Cambridge, nellanalisi del linguaggio ordinario, nota un
tipo particolare di enunciati che chiama enunciati performativi (performative utterances).
Tali enunciati hanno la forma di enunciati dichiarativi ma, quando sono proferiti in
circostanze appropriate, non riferiscono n descrivono qualcosa, bens eseguono un atto.
Sono esempi di enunciati performativi: - Battezzo questa nave Cristoforo Colombo, -
Prometto che domani sar puntuale, che appunto, in circostanze appropriate, non
riferiscono n descrivono il fatto che il parlante battezza o promette, ma eseguono il
battesimo e rispettivamente la promessa. Gli enunciati performativi sono caratterizzati da
un uso del presente indicativo attivo, che risulta asimmetrico rispetto ad altre persone e
tempi del modo indicativo dello stesso verbo, luso dei quali costituirebbe semplici

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descrizioni o resoconti. I verbi che, alla prima persona del presente indicativo attivo,
possono essere usati per formare enunciati performativi, vengono chiamati verbi
performativi. Austin non stato il primo, fra i suoi contemporanei, ad accorgersi di questo
tipo di uso linguistico. Menzionare tutte le altre teorie sarebbe, veramente, cosa lunga,
pertanto ci limiteremo a considerare i motivi per cui proprio la concezione austiniana ha
dato un impulso determinante alla nascita della teoria degli atti linguistici. La nozione
austiniana di enunciato performativo ha avuto, fin dallinizio, connessioni tanto con
questioni di carattere linguistico, quanto con la dimensione dellefficacia sociale degli
enunciati considerati. Nel porsi il problema di tale efficacia sociale, Austin segue un
suggerimento di Harold Prichard, filosofo oxoniense della generazione precedente, che
ne aveva discusso, poco prima di lui, in relazione alla promessa. Prichard non aveva una
concezione del linguaggio che, gli permettesse di far dipendere lefficacia obbligante della
promessa dalle parole usate per promettere, perci, per lui tale efficacia rinviava a una
fonte pre-linguistica delle convenzioni sociali e rimaneva sostanzialmente un mistero.
Austin , invece, disposto a considerare la creazione di obblighi, e in generale la
produzione di effetti socialmente validi, come usi del linguaggio. Questo ha probabilmente
favorito lestensione della portata della nozione di enunciato performativo a tutti gli
enunciati in cui un verbo alla prima persona del presente si mostra asimmetrico rispetto
alle altre persone e agli altri tempi, eseguendo unazione o segnalando un particolare uso
del linguaggio. Austin conosce bene il pensiero di Frege ed al corrente delle linee
principali dellinsegnamento di Wittgenstein a Cambridge. Per certi aspetti egli dissente da
ambedue questi filosofi: diversamente da Frege, non accetta la centralit del linguaggio
assertivo, e contrariamente al Wittgenstein degli anni 30 e 40, non disposto a
dissolvere il significato in una quantit innumerevole e indefinita di usi. In questo contesto,
fra il 1950 e il 1955 egli sviluppa la sua nozione di enunciato performativo in una prima
formulazione della teoria degli atti linguistici. Uno degli aspetti centrali che consentono
questo sviluppo che la forma linguistica caratteristica degli enunciati performativi viene
considerata come avente la funzione di rendere esplicita una forza che anche enunciati
non aventi la forma canonica possiedono, purch contengano altri tipi di indicatori
dellazione che compiono. Ti ordino di andartene si presenta cos come esplicitazione di
Vattene!, enunciato che il modo imperativo e lintonazione gi segnalano come un
ordine; e persino Io asserisco che la terra rotonda si presenta come esplicitazione di
La terra rotonda, enunciato che il modo indicativo del verbo segnala come
unasserzione.

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In secondo luogo, Austin sostiene che sia gli enunciati performativi che le descrizioni o
resoconti (da lui chiamati anche enunciati constativi) sono soggetti a fenomeni paralleli
riguardanti la presunzione della sincerit del parlante, gli impegni da lui assunti con il
proferimento dellenunciato e le circostanze il cui verificarsi deve essere presupposto.
Sotto questo profilo asserzioni e enunciati performativi mostrano di essere fenomeni del
nostro comportamento linguistico e sociale, che hanno una struttura sottostante in
comune. Una teoria degli atti linguistici possibile solo, se possibile, e risulta aver
senso, considerare il proferire enunciati come un compiere atti. Intendiamo per
enunciato non una frase-tipo, ma unoccorrenza effettivamente prodotta, a voce o per
iscritto, di una struttura linguistica che pu anche non corrispondere a una frase completa.
Viceversa, intendiamo per atto qualcosa che facciamo: qualcosa che costituisce un
comportamento attivo (anzich passivo) di un soggetto. La teoria degli atti linguistici,
considerando il proferire enunciati come un compiere atti, considera la produzione di
parole o di frasi come esecuzione di atti linguistici, e pone latto linguistico come unit
della comunicazione linguistica.
compito della teoria degli atti linguistici spiegare in quali sensi e a quali condizioni
proferire qualcosa pu significare fare qualcosa. In tal modo essa fornisce un quadro
concettuale in cui comprendere e descrivere i vari tipi di azione linguistica. Per J.L. Austin
il vero oggetto di cui la teoria del linguaggio deve rendere conto latto linguistico totale
nella situazione linguistica totale. nel quadro di unattenzione per la totalit dellatto
linguistico, che egli propone di tracciare distinzioni fra i suoi aspetti. Si tratta di diversi
sensi in cui dire qualcosa equivale a fare qualcosa. Anzitutto, possiamo descrivere un atto
linguistico in qualit di atto locutorio, cio come atto di dire qualcosa. Ma latto locutorio ha
a sua volta vari aspetti, che scopriamo gradualmente perch non si possono riferire
contemporaneamente; dire qualcosa, per Austin, equivale a:
compiere un atto fonetico, cio latto di emettere certi suoni;
compiere un atto fatico, cio latto di pronunciare suoni di certi tipi, conformi a
certe regole (certe parole in una certa costruzione, con una certa intonazione);
compiere un atto retico, ovvero compiere latto di usare le parole pronunciate con
un certo significato.
Quando riferiamo latto locutorio di un parlante, possiamo concentrarci sullatto fatico e
semplicemente citare le parole pronunciate, nella forma del discorso diretto, oppure
concentrarci sullatto retico e usare il cosiddetto discorso indiretto, che riferisce senso e

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riferimento senza riportare le medesime parole. In secondo luogo, possiamo descrivere o
riferire latto linguistico compiuto da un parlante usando verbi come ordinare,
consigliare, promettere, affermare, chiedere, ringraziare, protestare. In questo
modo noi concentriamo lattenzione sul modo in cui il parlante ha usato il suo enunciato, o
pi precisamente sullatto che, nel dire ci che dice, ha eseguito. Austin chiama questatto
atto illocutorio (illocutionary act, da in + locutionary), e con terminologia ripresa da Frege
usa lespressione forza illocutoria (illocutionary force), per riferirsi al fatto che nel
proferire un certo enunciato viene compiuto un certo atto illocutorio. Egli contrappone cos
la forza al significato locutorio. La domanda che ci si pone come pu il parlante, nel
compiere un atto locutorio, compiere anche e allo stesso tempo un atto illocutorio.
Secondo Austin, ci possibile in quanto esistono convenzioni, secondo le quali, gli atti
illocutori sono compiuti. Tali atti devono soddisfare un certo numero di condizioni di
felicit convenzionali, ossia deve esistere una procedura convenzionale accettata per
eseguire latto e ottenere leffetto. I partecipanti e le circostanze devono essere appropriati
alluso della procedura che deve essere eseguita in modo corretto e completo. La
procedura per eseguire latto in certi casi completamente linguistica (affermare,
richiedere, consigliare, promettere), mentre in altri casi pu includere comportamenti
extralinguistici (protestare, giurare, votare, battezzare, conferire una carica o
unonorificenza). I verbi o locuzioni verbali che designano atti illocutori possono, secondo
Austin, essere usati performativamente alla prima persona del presente indicativo attivo,
al fine di eseguire il corrispondente atto illocutorio in modo esplicito. Altrimenti, la forza
dellenunciato sar suggerita da uno o pi indicatori di forza, fra cui il modo e il tempo
del verbo, i verbi modali, certi avverbi e connettivi, lintonazione e la punteggiatura.
Infine, il dire qualcosa, ha conseguenze sui sentimenti, pensieri o azioni dei partecipanti.
Queste conseguenze possono essere considerate come qualcosa che stato posto in
essere dal parlante, che nel dire ci che ha detto, ha compiuto un altro tipo di atto ancora,
latto perlocutorio (per esempio, convincere o persuadere, allarmare, far fare qualcosa a
qualcuno). Lesecuzione di un atto perlocutorio non dipende dalla soddisfazione di
condizioni convenzionali, ma dalleffettivo raggiungimento di uno scopo, ovvero,
premesso che latto perlocutorio pu essere compiuto senza volere, dalleffettiva
produzione di certe conseguenze extralinguistiche. Per questa ragione, i verbi che
designano atti perlocutori non possono essere usati performativamente: dire Io ti
convinco o Io ti allarmo non pu di per se stesso servire a convincere o ad allarmare.
La distinzione fra atti illocutori e perlocutori non sempre facile. Ci sono verbi che
sembrano designare atti compiuti nel parlare (ad es. insultare), ma che non sono usati

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performativamente (almeno nelle lingue e culture a noi familiari). Ci sono anche usi del
linguaggio, come esprimere emozione o insinuare, che non si collocano facilmente in
nessuna delle tre categorie distinte da Austin.
Riepilogando Austin definisce tre tipi di atti linguistici:
latto locativo quello con cui si dice qualcosa dotato di significato (ad esempio,
quella porta aperta) e pu essere studiato dal punto di vista fonetico, lessicale
o grammaticale;
latto illocutivo un atto effettuato col dire qualcosa: esso, oltre a informare,
constatando una data realt (ad esempio, il fatto che quella porta sia
effettivamente aperta), pu contenere unesclamazione, una preghiera o un
suggerimento (ad esempio, linvito a chiudere quella porta aperta). Latto illocutivo
ha quindi una forza collegata alla reale intenzione di chi compie quellatto
linguistico;
latto perlocutivo latto compiuto per il fatto di dire qualcosa: quello per cui si
raccoglie il suggerimento (o comando, invito, ecc.) implicito in quellatto
illocutorio e si esegue ci che viene suggerito (si chiude, cio, la porta). Mette in
evidenza linterattivit costitutiva del linguaggio, cio gli effetti sugli interlocutori
che latto linguistico determina.
Queste distinzioni sono ormai patrimonio comune della filosofia analitica. Paul Grice,
appartenente come Austin allambiente oxoniense, non ha influenzato Austin, ma ha
avuto unindubbia influenza sugli sviluppi successivi della teoria degli atti linguistici.
Particolare importanza ha avuto la sua proposta, pubblicata nel 1957, di considerare
lattivit del significare in riferimento alle intenzioni che il parlante ha nel pronunciare il
proprio enunciato. Secondo Grice, la nozione di significato del parlante (speakers
meaning) pi importante rispetto a quella del significato della frase. Il significato del
parlante, base di ogni altro aspetto del significare, consiste nellintenzione del parlante di
produrre un effetto nellascoltatore, per mezzo del riconoscimento da parte di questi della
sua intenzione di produrre tale effetto. Non questo il luogo per approfondire meriti e
difetti della brillante proposta griciana, che ha subito negli anni numerose modifiche di
dettaglio (si vedano Grice 1989; Neale 1992; Cosenza 1997). , tuttavia, il caso di
sottolineare che la definizione griciana di significato del parlante stata, con alcune
modifiche, trasferita anche allatto linguistico e alla sua forza e che la sua stessa

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disponibilit ha, in modo pi generale, giocato a favore dellinterpretazione dellatto
linguistico come espressione di unintenzione comunicativa.
Questinterpretazione, come vedremo, ha largamente condizionato gli sviluppi della
teoria. Pi tardi, negli anni 60, Grice ha proposto la nozione di implicatura
conversazionale per render conto di quegli aspetti del significato del parlante che, non
trovano riscontro in ci che questi esplicitamente dice, ma sono suggeriti come
integrazioni o aggiustamenti che ne confermano o restaurano il carattere cooperativo.
Anche questa nozione verr utilizzata nella teoria degli atti linguistici, per spiegare i casi in
cui la comprensione dellatto linguistico, ha luogo non in base a regole semantiche, ma
alle inferenze che latto linguistico suscita nellascoltatore. John R. Searle, nella sua
riformulazione della nozione di atto linguistico, ha accantonato la distinzione fra atto
fonetico e atto fatico, e ha rifiutato la nozione di atto retico, proposta da Austin. Al posto
degli atti fonetici e fatici, egli pone il solo atto enunciativo, che consiste, appunto,
nellenunciare parole (o morfemi, o frasi). Searle prende le distanze anche dallatto retico,
notando come per introdurre il discorso indiretto si usano tipicamente verbi differenziati a
seconda del tipo di forza illocutoria che lenunciato ha:
mi ha detto che sarebbe venuto;
mi ha detto di andarmene;
mi ha chiesto se era a Oxford o a Cambridge.
Per cui, di fatto, si introduce una specificazione, oltre che dellatto retico stesso, anche
dellatto illocutorio, sicch i due non risultano nettamente separabili luno dallaltro. Inoltre,
anche accettando la tripartizione austiniana dellatto di dire, rimane misteriosa la relazione
fra latto locutorio nel suo insieme e latto retico, il pi complesso dei tre atti che lo
compongono. Infine, per Searle, Austin ha reso, tuttaltro che chiara, la relazione dellatto
locutorio e del suo significato con la verit/falsit, infatti, da un lato sembra connettere le
due cose, ammettendo che, l dove vi significato locutorio operativa anche la
dimensione di giudizio secondo verit/falsit, ma daltra parte sembra anche voler
subordinare il giudizio secondo verita/falsit alla riuscita dellaspetto illocutorio dellatto
linguistico.
I problemi sottostanti alle critiche della nozione austiniana di atto locutorio possono forse
essere meglio compresi se si tiene conto del fatto che Austin, parlando di atti, non
intendeva parlare di gesti. Se identifichiamo gli atti con gesti distinti dellagente, chiaro

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che non esiste nessun atto corrispondente allatto fatico austiniano, e che di volta in volta
il gesto pi complesso include i gesti pi semplici. Ma, bench nella sua dissertazione
suglatti linguistici, egli non lo dichiari mai esplicitamente, ci sono buone ragioni per
ritenere che, per Austin, un atto non si identificasse con un gesto dellagente, bens
corrisponde alla responsabilit dellagente per la produzione di un qualche effetto. per
questo che egli lega lidentificazione di atti con la loro descrizione, ovvero con la loro
ascrizione allagente. Da questo punto di vista le differenze tra atto fonetico e fatico non
sono irrilevanti, poich nella descrizione del primo entreranno anche quei dettagli del
suono emesso che, non sono regolati da regole linguistiche, mentre descrivere il secondo
ascrivere al parlante losservanza delle regole della lingua. Searle, invece intende gli atti
come gesti (fisici o psicologici). Letta in questa chiave, chiaro che, quando allemissione
di parole si siano aggiunti il senso e il riferimento, oltre che a un atto retico ci si deve
trovare davanti anche a un atto locutorio; e quando ci si trova davanti a un atto locutorio,
allenunciazione di una frase completa e dotata di significato, inevitabilmente questo
anche un atto illocutorio. Il medesimo presupposto, peraltro non esplicitato, porta Searle a
sostenere che latto illocutorio coincide con latto linguistico in senso complessivo. Per
riuscire a tracciare delle distinzioni, Searle vuole trovarsi davanti a gesti distinguibili, a
parti diverse di un unico gesto complesso, cos, egli abbandona la nozione di atto
locutorio e la sua suddivisione interna nellambito dellatto linguistico coincide con latto
illocutorio in cui distingue:
latto enunciativo, cio lenunciare parole;
latto proposizionale, che consistente nel far riferimento, nel predicare e
nellesprimere una proposizione.
Latto proposizionale non pu aver luogo da solo, ma solo nellesecuzione di un atto
illocutorio; cos come una frase completa contiene espressioni referenziali e predicative,
un atto illocutorio contiene lespressione di una proposizione, e vi aggiunge, mediante la
presenza di indicatori di forza, la forza illocutoria. Le divergenze riguardanti il concetto di
azione e la reintroduzione della nozione di proposizione costituiscono la teoria di Searle
non come uno sviluppo di quella abbozzata da Austin, ma come una teoria indipendente,
in cui il potenziale polemico proprio del pensiero austiniano viene smorzato o addirittura
soffocato.

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Il processo di comprensione del linguaggio
Il linguaggio umano, ormai ben evidente, un sistema estremamente complesso; come
tale deve appoggiarsi a strutture specializzate per poterlo gestire. Alcune di queste
strutture sono propriamente fisiologiche (lapparato fonatorio, lapparato auditivo, il
cervello ed il sistema nervoso), altre pi propriamente mentali come la memoria. Usare
mentale, nellaccezione pi intuitiva, vale a dire dotato, senzaltro, di un sostrato
fisiologico, ma ad esso non intieramente riducibile: in realt lopposizione tra mente e
cervello o come pi spesso si dice, essendo la moderna filosofia della mente
prevalentemente di area anglofoba tra mind e brain uno dei problemi pi dibattuti nella
filosofia moderna. Intorno a questo problema si sviluppata la cosiddetta Cognitive
science e molta parte della moderna filosofia analitica.
Cosa, in effetti, possa o debba pi precisamente intendersi per mentale un problema
complesso quanto affascinante, che non possiamo certo approfondire adeguatamente
qui. Ci basti ricordare che tutta la tradizione linguistica che si richiama a Saussure e tutta
la tradizione filosofica che si rif a Brentano ed alla sua nozione di intenzionalit
sostengono la radicale alterit degli stati mentali dagli stati di cose (fisicit e natura). Una
consistente parte dei moderni filosofi della mente, tra cui Chomsky, ne sostengono,
invece, la riducibilit agli stati naturali, ossia la loro naturalizzazione. Da un lato,
pertanto, si accentua lopposizione mente - cervello, e dallaltra si cerca di ridurre il pi
possibile la mente al cervello.
Il processo di comprensione del linguaggi
Il processo di comprensione del linguaggio pu essere distinto in quattro fasi:
Riconoscimento dei suoni del linguaggio: ogni suono caratterizzato da una
frequenza, unintensit e una durata. I suoni del linguaggio possono essere distinti in base
al movimento del sistema articolatorio (polmoni, trachea, faringe, corde vocali, cavit
orale o nasale). La comptenza a riconoscere i suoni di una lingua molto complessa,
lascoltatore deve, infatti, sorvolare sulla continua mutabilit dei suoni e riconoscere le
caratteristiche costanti del linguaggio. Una teoria che cerca di spiegare come si verifichi
questo fenomeno quella dei tratti distintivi enunciatala Jakobson e Halle intorno al 1956,
secondo cui il riconoscimento avviene utilizzando un sistema binario di rappresentazioni
delle caratteristiche dei suoni: vocale/consonante, secondo questa classificazione il
fonema b sarebbe pi consonantico, mentre il fonema a sarebbe pi vocalico.

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Riconoscimento delle parole: ovvero, ci che effettivamente percepiamo quando
ascoltiamo non sono i singoli fonemi, ma anche le parole. Le parole sono considerate
come le unit fondamentali del linguaggio e la loro caratteristica peculiare quella di
essere veicolo di significati. Gli studi della psicolinguistica sono stati indirizzati a definire i
processi che portano al riconoscimento delle parole. Le parole vengono riconosciute tanto
pi velocemente tanto pi sono frequenti nella lingua del parlante. Questo processo si
chiama effetto frequenza; la parola fantasia, ad esempio, in un ipotetico test sarebbe
riconosciuta, dal campione oggetto della prova, pi velocemente della parola chimera.
Una parola inserita in un contesto appropriato riconosciuta pi prontamente che
presentata isolatamente. Presentando parole ed altro materiale che serve da stimolo, le
parole sono privilegiate nel riconoscimento, ad esempio se si chiede di individuare una
lettera allinterno di una parola o allinterno di una serie di lettere, il riconoscimento sar
pi rapido quando si tratta della parola.
Comprensione di frasi: la frase pu essere considerata come la combinazione di
diverse parole che vengono unite da nessi e da regole sintattiche della lingua del
parlante; ci significa che in italiano, cos come nella maggior parte delle lingue
alfabetiche, nella frase sar pi facile trovate prima il soggetto poi il predicato ed infine il
complemento. Lanali dei processi di elaborazione della frase stata oggetto di diversi
dibattiti fra gli studiosi. Il modello di elaborazione, che adesso sembra rispecchiare le
operazione messe in atto nella percezione e comprensione della frase, propone una
visione interattiva della comprensione in cui i vari livelli di elaborazione (ortografica,
lessicale, sintattica e semantica) intervengono per arrivare al significato dellenunciato.
Comprensione del testo: in questo caso la comprensione diventa pi complessa, il testo e
il discorso sono, infatti, costituiti da un numero variabile di frasi di cui deve essere
mantenuto attivo il significato per rappresentarsi interamente il significato di quello che si
legge e si ascolta. I modelli che spiegano come ci avvenga diventano, ovviamente, pi
articolati per rendere conto della molteplicit dei processi messi in funzione.
Riassumendo, si potrebbe dire che, nella comprensione del linguaggio, a partire dai suoni
della lingua, noi creiamo delle unit chiamate parole che combinate in frasi ci forniscono
la possibilit di comprendere il significato di ci che ci viene detto. La produzione
linguistica, pi complessa da studiare, pu essere definita come un processo inverso a
quello della comprensione, in cui il nostro pensiero, le nostre idee guidano la formazione
delle frasi, delle parole, e dei fonemi per rendere comprensibile ci che vogliamo
comunicare. Alcuni modelli elaborati per analizzare il processo di comprensione sono stati
punto di riferimento per studiare la produzione linguistica.

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Lo sviluppo del linguaggio nel bambino
presente in tutti i bambini una disponibilit, geneticamente trasmessa, a decifrare ed
imparare sistemi di comunicazione convenzionali (tipici del suo gruppo sociale): il
LINGUAGGIO. Il linguaggio si presenta nella sua generalit sia come oggetto di
apprendimento, in quanto forma linguistica, sia come strumento comunicativo, capace di
attendere alla duplice funzione pragmatica (uso nella lingua nella dimensione sociale ed
interpersonale) e matetica (capace di organizzare il cognitivo e le conoscenze). Lo
studioso Lennenberg individua nei primi 2/3 anni il periodo di massima attitudine
allapprendimento verbale, indipendentemente dalla complessit del codice. La
progressione dello sviluppo del linguaggio si configura per periodi o stadi che
gradualmente precisano e differenziano gli elementi fonologici, morfologici, semantici e
sintattici. Tale disponibilit, legata anche alla plasticit neuropsicologica del bambino,
decresce gradualmente con il passare del tempo. Laccesso a strutture fonologiche e
sintattiche tipiche del linguaggio umano precluso dal limite segnato dallepoca della
maturit sessuale, laddove invece lespansione del vocabolario procede per lintero arco
della vita. Fisiologicamente la funzione verbale, specifica solamente nelluomo, si sviluppa
grazie alla particolarit anatomica dellapparato fonatorio e alla struttura neurale del
cervello. Senza analogie nel mondo animale lapparato vocale delluomo (denominato
tratto vocale di Lieberman - zona chiara dellimmagine, bocca, cavit nasale, laringe e
faringe), capace di produrre e modulare tutti i suoni distintivi delle lingue, costituito in
maniera tale da permettere una sola funzione per volta: respirazione, deglutizione, e
fonazione. La conoscenza delle fasi di sviluppo e di maturazione del linguaggio dei
bambini rappresenta unindispensabile criterio per valutazioni diagnostiche e interventi
rieducativi, stimolando situazioni di ritardo verbale. Precisiamo che situazioni di disfluenza
rappresentano quadri naturali e transitori in una fase dimmaturit del linguaggio, che non
necessitano di interventi diretti sul bambino, ma devono essere opportunamente vagliate,
sulla relazione e la comunicazione familiare, al fine di recuperare un clima di naturalezza
e spontaneit che favorisce e sostiene la maturazione globale dello stesso. Presentando
una periodizzazione dello sviluppo del linguaggio infantile necessario sottolineare come
si tratta di indicazioni generali che non possono e non devono rappresentare limiti
temporali rigidi e validi per tutti i bambini.
Lo stadio prelinguistico da 0 a 10-12 mesi
La studiosa Sinclair De Zwart H. specifica come il periodo prelinguistico reso possibile
dallabilit di rappresentarsi mentalmente la realt. Il bambino prima pensa loggetto e

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lambiente circostante e solamente in seguito individua secondo un processo di scoperta
le varie forme linguistiche con cui codificarlo. Loperativit cognitiva si nutre dellattivit
motoria del bambino precedendo la produzione del linguaggio e la comprensione dello
stesso. Gli atti perlocutori (piangere, sorridere, prendere, toccare, ecc.) sono il suo
principale repertorio comunicativo finalizzati ai bisogni primari. Impara a riprodurli
consapevolmente e volontariamente con unesplicita intenzionalit comunicativa (anche
la suzione rientra a pieno titolo in questo repertorio). Mimica e gestualit posturale
appoggiano le variazione di intonazione ritmo vocale connotando a comunicazione.
Vagito - Primo tentativo vocalico del neonato. Valore progressivamente espressivo che
giunge al dittongo. Le produzioni sonore sembrano essere casuali e non intenzionali
senza simbolizzazione. Nei primi tre mesi la produzione vocalica si accompagna ed
scatenata dal movimento corporeo, accompagnandosi alla tensione scaricata nel pianto.
In queste rudimentali vocalizzazioni si riconoscono suoni sia di tipo vocalico (prevalenza
di (e) aperta), sia di tipo consonantico (prevalenza di nasali e velari). 3 mesi
Vagito - Primo tentativo vocalico del neonato. Valore progressivamente espressivo
che giunge al dittongo. Le produzioni sonore sembrano essere casuali e non
intenzionali senza simbolizzazione. Nei primi tre mesi la produzione vocalica si
accompagna ed scatenata dal movimento corporeo, accompagnandosi alla tensione
scaricata nel pianto.
In queste rudimentali vocalizzazioni si riconoscono suoni sia di tipo vocalico
(prevalenza di (e) aperta), sia di tipo consonantico (prevalenza di nasali e velari).
3 mesi

Verso il controllo articolatorio dai 4-5 mesi ai 10-12 mesi
Dal quarto mese in poi (fino al settimo circa) la migliorata coordinazione oro-faringea
realizza nella fusione di suoni e di rumori la ripetizione ludica di sillabe: la lallazione
(consonante + vocale, dal tedesco lallen, balbettio). la lallazione che sviluppa e
precisa il controllo motorio della produzione sonora portando il bambino a mutare,
esercitando, senza intenzionalit, alcuna posture articolari, realizzando suoni diversi,
costruendo sequenziali catene di movimenti articolatori indispensabili per la fluenza,
associando suoni e posture degli organi della fonazioni grazie alle sensazioni acustiche e
propriocettive. Fra il secondo e il quinto/sesto mese il bambino inizia ad esercitare un
controllo su alcuni elementi della produzione vocalica in particolare nella durata e
nellintensit, permettendo alla mamma di riconoscere il pianto di fame, il pianto di
capriccio, ecc. Contemporaneamente sviluppa la capacit di localizzare le sorgenti
sonore, reagendo a suoni armonici e distesi quali quelli della voce umana che riconosce
(madre). Esercita la percezione e lacuit sonora simultaneamente alla lallazione ed in

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seguito al parlare costituito. Lo sviluppo articolatorio necessita sia della maturazione della
percezione uditiva che della coordinazione neuromuscolare-cordale (che procede da
attivazioni dinamiche quali la deglutizione, la masticazione, la suzione, fino
allarticolazione delle parole). Discriminare un suono e possibilit di costruirlo sono
strettamente connesse e dipendenti.
I periodo
Interazione aritmica di sillabe
5-6 mesi
II periodo
Lallazione modulata. L'articolazione dei suoni diviene pi chiara in entrata,
particolarmente con la madre, ma anche in uscita. E' da precisare che il cervello del
bambino in grado di rappresentare ed evocare oggetti e/o situazioni molto prima di
essere in grado di pronunciare una parola. In tale periodo il bambino, con la comparsa
della rappresentazione mentale giunge alla comprensione delle prime parole. Espande
il suo patrimonio comunicativo con atti illocutori: offre, porge, indica, prende, ecc.
Realizza scambi verbali di tipo ludico sia in sequenza che simultaneamente
(all'unisono), rafforzando il sentimento di fiducia nell'altro.

7-9 mesi
III periodo
Lallazione comunicativa. Fase iniziale dell'imitazione.

9-11 mesi
IV periodo
Fonema affettivo. Un fonema particolare viene associato sempre alla stessa
gestualit. Si inaugura l'associazione indice-suono-oggetto. La comunicazione acquista
un carattere spiccatamente volitivo, legata all'oggetto e alla persona.

11-12 mesi
V periodo
Fonema indicativo. Il linguaggio nelle sue parti elementari acquista valore segnico,
indicando un oggetto specifico. E' lo sviluppo della frase precedente.



Dalla ripetizione della stessa sillaba il bambino ottiene variazioni sonore grazie al prolungamento
della vocale, al rallentamento e allaccelerazione del ritmo di emissione del fiato, giungendo alla
produzione di una sillaba del tutto nuova. Durante la fase della lallazione o immediatamente dopo
esordisce il periodo dellecolalia rappresentato dal tentativo del bambino di imitare i modelli sonori
appena uditi. Alliniziale ecolalia tonematica (centrata sullintonazione, accentazione e scelta di ritmi
omogenei), seguono melodie ritmiche diverse utilizzati per indicare intenzioni e desideri differenti. Il
bambino vocalizza le sue emozioni prima di potere esprimere i suoi pensieri. Grazie a repertori
ritmici, a modulazioni di tono e di intensit il bambino raggiunge una comunicazione pi

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intenzionale. Da questa maturazione del sistema vocalico (dallinizio fino a questo momento)
procedono sistemi fondamentali per la comunicazione, modificati nel corso della vita: il sollievo dal
disagio attraverso il pianto o il grido, lespressione delle emozioni attraverso lutilizzo
dellintonazione e della frase (si pensi ai registri che il bambino utilizza a livello sociale per
trasformare i propri enunciati in espressioni di collera, ansia, gioia, etc.). Infine il sistema di
coordinamento vocale attraverso il controllo uditivo e propriocettivo delle varie posture del tratto
vocale impegnato nella produzione delle parole, gli consentiranno di impadronirsi compiutamente
del complesso sistema fonologica della lingua.
Stadio interlinguistico primario dai 18 ai 36 mesi
Il linguaggio in questo periodo stimola ed organizza funzionalmente i pensieri e i suoi
oggetti, senza tuttavia consentire al bambino di utilizzarli per finalit operative senza
avere un riferimento concreto. Molta di questa fase viene impiegata per sviluppare e
consolidare il sistema fonologico, sintattico e il vocabolario, precisando i contenuti mentali.
Lintenzione comunicativa del bambino si sviluppa e di arricchisce differenziandosi. Fra il
12 e il 20 mese il bambino tocca gli oggetti denominadoli, chiede aiuto attraverso il
gesto, chiama per attirare lattenzione, saluta con la mano anche quando va via
pronunciando la parola ciao, risponde in maniera elementare, resiste e protesta, ripete
quello che sente dire esercitando ludicamente nellesercizio vocalico. Il bambino
procedendo ancora oltre inaugura il suo domandare notizie sullambiente circostante,
gioca a far finta immaginando, tentando di raccontare. Aumentano i suoi contatti e scambi
comunicativi con gli altri, variando e modulando il livello delle sue risposte e delle sue
comunicazioni a seconda delle persona o delle situazioni in cui si trova. Dai due anni
aumentano le frasi complesse, lutilizzo delle congiunzioni (e, ma, perch) consente di
costruire pi frasi semplici di seguito oppure dinnestare un pensiero nellaltro. I bambini
comprendono domande che comportano una risposta affermativa o negativa quando
introdotto da pronomi o avverbi interrogativi. Procedono invece pi gradualmente le frasi
negative rispetto a quelle affermative, anche se nella fase olofrastica presente nel
bambino lespressione di una negazione (no latte!.). La competenza comunicativa e le
routine sociali aumentano con quellelementare conversazione tra la mamma e il bambino
in cui la prima arricchisce e amplia i tentativi minimi del figlio interpretandoli affettivamente
e realisticamente. Il dialogo con i grandi indirettamente amplia e modella la produzione
verbale del bambino, mentre con i suoi pari assume pi le caratteristiche di un soliloquio o
monologo parallelo di tipo egocentrico (piagetiano).

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I periodo
Periodo della parola-frase (olofrase). Indicativamente dalla fine del primo al secondo
anno. Il bambino strettamente legato all'intelligenza linguistica e ai modelli di comunicazione
dei genitori.
Intorno ai dodici mesi inizia il periodo baby-talk che continua fino circa i trentasei mesi,
dividendosi in sub-stadi secondo alcuni studiosi. Il bambino impara a produrre le prime parole
comprendendo comandi semplici e poco articolati. Verso i diciotto mesi compaiono le
prime parole senza alcuna fisionomia fonologica e semantica (significato) tipica del linguaggio
adulto.
Nomi e interiezioni costituiscono insieme circa il 50/60% del patrimonio verbale di un bambino
di circa 18 mesi, proporzione che decresce con il passare dell'et. Progressivamente aumentano
la frequenza dei pronomi, dei verbi, degli aggettivi, delle congiunzioni e preposizioni.

12-24 mesi
II periodo
Periodo dell'elaborazione delocutoria. Il discorso del bambino avviene in terza persona,
esprime giudizi elementari, ricorda nomi e cose senza la loro presenza. Al bambino che tenta di
parlare come i genitori mancano la grammatica e la sintassi, non precisione circa le coordinate
spaziali e temporali.

fino a 20/21
mesi
III periodo
Periodo della frase grammaticale o del "linguaggio costituito". Il bambino passa dalla
terza alla prima persona, utilizzando il pronome personale io. Costruisce frasi complete,
acquistando gradualmente gli elementi grammaticali e della sintassi (unisce il verbo con
l'aggettivo in maniera conforme alle leggi sintattiche). In questo periodo il bambino inizia a
comprendere frasi che si riferiscono a oggetti e/o situazioni non presenti nel suo campo
percettivo.
La produzione linguistica di questo periodo inizialmente estremamente sintetica, linguaggio
telegrafico, per la mancanza di elementi sintattici connettivi, pur procedendo l'arricchimento
lessicale e la precisione nell'articolazione dei suoni. Il linguaggio consiste di nomi, verbi e
aggettivi, contandosi pochi pronomi e pochissime congiunzioni (connettivi).

oltre i due anni
IV periodo
Periodo del PERCHE'. Il bambino assimila introiettandole le forme sintattiche e grammaticali
attraverso un'incessante domandare che arricchisce il lessico e il vocabolario. Questo periodo
che inizia verso i due anni legato alla qualit e alla quantit delle risposte ricevute dal
bambino da parte dei genitori.



Lo stadio interlinguistico secondario dai 3-4 ai 7-8 anni
Dai 3-4 anni in poi il bambino dovrebbe raggiungere una normalit espressiva. Tale
sviluppo dipende pi di ogni altro momento dalla stimolazione dei genitori e dalla
situazione ambientale. Il modello linguistico dei genitori, la frequenza serena della scuola
materna, il feedback affettivo e verbale con i genitori, rappresentano fattori catalizzatori di
questa maturit verbale. Il bambino diventa capace di padroneggiare strutture linguistiche

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complesse, come luso dellimperativo, del condizionale, ecc. La progressiva
comprensione e produzione delle frasi interrogative manifesta la maturazione del
linguaggio. A rilento, invece procede lapprendimento delle frasi negative rispetto a quelle
affermative, pur sottolineando che nella fase olofrastica il bambino esprime normalmente
la sua volont negativa e il suo rifiuto. Lo sviluppo della socialit promossa dalla
scolarizzazione materna ed elementare caratterizza questa fase di sviluppo. Il bambino
attraversa da un punto di vista cognitivo lultimo stadio del pensiero preoperatorio,
dirigendosi verso la reversibilit concettuale. il periodo del monologo egocentrico, del
pensiero ad alta voce (come lo interpreta Vygotskij), che anticipando il linguaggio interiore
aiuta ludicamente, come principio regolatore, il pensiero e il comportamento.
Gradualmente il bambino diventa capace di mantenere largomento del suo discorso nella
conversazione, variandola a seconda dellinterlocutore, mostrando di potere effettuare
congetture sullaltro.
Il gioco simbolico gli consente di interpretare ruoli sociali (il pap, la mamma, la maestra, il
dottore, ecc.). Lingresso nella scuola primaria espande e generalizza luso delle principali
funzioni interattive del bambino; si perfezionano le modalit con cui si scambiano le
informazioni e si formulano le domande, le funzioni matetiche ovvero quelle deputate
allapprendimento, (immaginari, descrivere, commentare, valutare secondo riferimenti ad
oggetti concreti) emergono attraverso lascolto e la comprensione di narrazioni fiabesche
e racconti illustrati. I bambini di 4/6 anni, progredendo nella competenza cognitiva,
riescono a raggiungere anche livelli considerevoli di consapevolezza metalinguistica. Lo
sviluppo e lespansione del lessico impegna il bambino a coniugare le esigenze della
sintassi (prime regole) e lorganizzazione delle idee. Da questa sforzo e in coincidenza
con questo sovraccarico sistemico, possono presentarsi fenomeni linguistici scompensati
quali esitazioni, e ripetizioni in particolare nellesordio della frase, dando origine a
disfluenze.
Stadio linguistico dai 7-8 anni
Completato il controllo del sistema fonologico con la produzione chiara di fonemi
complessi quali la consonante liquida / r /, dei gruppi policonsonantici (es. / str /) e delle
parole di qualsiasi lunghezza, lacquisizione del linguaggio pu definirsi compiuta. Il
raggiungimento di questo stadio non , tuttavia lesito dellet, ma anche il risultato del
pensiero e del suo livello di astrazione. Insegnamenti quali la storia, la geografia sono
possibili unicamente per la possibilit del bambino di utilizzare lo strumento linguistico

68
senza aver bisogno di ricorrere a riferimenti sensoriali concreti (spazio) e temporali. Il
vocabolario si espande in assenza del riferimento alle esperienze vissute.
Lo stile narrativo, descrittivo ed espositivo tipici del discorso, si consolida grazie alla
scolarizzazione e grazie anche ad una sintassi resa versatile dalluso dei modi verbali.
Verso gli 11-12 anni il codice linguistico pu considerarsi, da un punto di vista strutturale
sia fonologico che sintattico, evolutivamente compiuto, mentre le modalit cognitive e
lespansione del vocabolario rimangono in permanente evoluzione durante tutto larco
della vita.
Processi cognitivi e metacognitivi del linguaggio
Per analizzare i principali processi cognitivi implicati nellelaborazione del linguaggio
utile far riferimento al modello HIP Human Information Processing, nato nellambito del
cognitivismo agli inizi degli anni settanta, che considera luomo come elaboratore
dinformazione. I processi cognitivi vengono indagati partendo dallanalogia tra mente e
computer. In questo modo lo stimolo fisico (input) trasformato dal sistema competente (
visivo, auditivo, olfattivo, gustativo, tattile) in stimolo sensoriale e tradotto in registro
sensoriale che permette il mantenimento dellinformazione anche dopo la fine della
stimolazione.
Se linformazione considerata importante verr ulteriormente elaborata fino al suo
riconoscimento percettivo che si fonda sul confronto fra quanto acquisito e le conoscenze
pregresse immagazzinate nella memoria a lungo termine. Pertanto, lo stimolo una volta
elaborato, o verr perso o sar depositato nella memoria a breve termine che ha, invece,
una capacit di mantenimento limitata. Il passaggio dal magazzino di memoria a breve
termine, a quello a lungo termine, consente la conservazione illimitata delle informazioni.
Perch si inneschi questo meccanismo la reiterazione non basta, esso infatti, dipende dal
tipo di decodifica che viene imposta al materiale. Lintegrazione tra vecchi e nuovi dati
consentir di allargare il patrimonio delle conoscenze gi esistenti. Il modello, come si pu
vedere dalla figura che segue, prevede lintegrazione dellelaborazione dal basso o
guidata dai dati, da cui provengono gli stimoli con lelaborazione dallalto o guidata dai
concetti, ossia dalle conoscenze consegnate alla memoria a lungo termine.

69

Modello di elaborazione delle informazioni
Il modello per non evidenzia alcuni degli aspetti dellelaborazione dellinformazione che
invece opportuno chiarire. Il flusso delle informazioni e le fasi rappresentate in figura
possono avere un andamento sia seriale sia parallelo. Infatti, il flusso delle informazioni
pu verificarsi sia tra lindividuo e lambiente che internamente alla mente di una persona.
Lelaborazione allinterno della mente pi tipica dei processi del pensiero e del
ragionamento. Il modello HIP assegna, dunque un ruolo attivo al soggetto conoscente:
luomo elabora attivamente le informazioni con cui viene a contatto, costruendosi di volta
in volta una rappresentazione significativa dellevento.
Per capire quanto sia importante il ruolo attivo della persona sufficiente pensare a
quello che accade ogni volta che si legge o si ascolta musica o un discorso, o si pensa o
si scrive un testo. Tra i fattori metacognitivi del linguaggio lattenzione e la concentrazione
sono elementi di fondamentale importanza. Un efficace ed efficiente elaborazione
dellinformazione e di conseguenza lapprendimento, non possono verificarsi senza
ricorrere a queste due capacit. La concentrazione determina la comprensione o
lincomprensione di qualsiasi cosa; rappresenta la facolt di mantenere lontani, durante la
fase dellascolto e dellapprendimento, pensieri distraesti, emozioni e situazioni non
attinenti a quel determinato contesto. Schematicamente si pu asserire che il livello di
concentrazione dipende da:
caratteristiche ambientali ( difficile studiare la lezione di storia in un luogo affollato
e rumoroso!);
caratteristiche personali (lo stato di salute, la stanchezza ad esempio incide molto
sulla capacit di concentrazione);

70
caratteristiche relazionali rispetto allobiettivo di apprendimento (portare a termine
un compito mai svolto prima implica un grado di concentrazione estremamente
elevato).
Riconoscere che la concentrazione varia in base ai differenti fattori procura la possibilit di
riuscire a regolare il livello dimpegno e di sforzo necessario per comprendere in modo
ottimale. Lattenzione , invece, la capacit di focalizzare la percezione, aumentando la
consapevolezza verso alcuni stimoli e scartandone automaticamente altri. Possiamo
considerare lattenzione come unabilit che presiede e regola i processi cognitivi
delluomo. Infatti lattitudine ad elaborare le informazioni normalizzata dalle risorse e dai
limiti dei processi attentivi: tutti noi abbiamo, almeno una volta, sperimentato quanto sia
difficile mantenere lo stesso grado di attenzione nel compiere due operazioni diverse
come ascoltare musica e leggere un libro. Cosa che diventa ancora pi complicata, se i
due compiti non sono ancora entrati a far parte delle procedure automatizzate, ad
esempio guidare la macchina da neopatentati e conversare con il passeggero.
Lattenzione pu, quindi essere considerata la funzione che regola i processi mentali,
filtrando, selezionando e organizzando le informazioni in modo da rispondere in maniera
adeguata ai diversi stimoli. La disponibilit di risorse attentive dipende da diversi fattori:
1. livello di preparazione alla stimolazione, quando siamo allertati si riducono i
tempi di risposta alla stimolazione;
2. lefficienza nella risposta, ovvero la capacit di filtrare gli stimoli rilevanti in
rapporto al livello di attivazione.
3. il livello di attivazione, che se basso pu limitare fortemente la capacit di
riconoscere gli stimoli, viceversa quando troppo altro pu indurre il sistema
filtro ad essere talmente selettivo da incidere negativamente
sullindividuazione di ci che realmente serve.
Sono stati individuati quattro tipo di attenzione:
1. LATTENZIONE SELETTIVA, ovvero la capacit di selezionare allinterno di
un certo numero di stimolazioni quelle rilevanti allazione che stiamo
svolgendo.
2. LATTENZIONE DIVISA, ovvero la capacit di svolgere
contemporaneamente due compiti; cosa possibile solo se per uno dei due

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sono state acquisite procedure automatizzate. Lattenzione, infatti un
sistema che dispone di risorse limitate e in quanto tale due o pi operazioni
possono essere svolte insieme solo se richiedono poche risorse attentive
(ascoltare musica e lavarsi i denti).
3. LATTENZIONE SOSTENUTA, ovvero la capacit di mantenere nel tempo
lattenzione su stimoli interni od esterni. Seguire unora di lezione a scuola
richiede allalunno di mantenere il livello di attivazione dellattenzione per un
periodo piuttosto lungo. Lattenzione sostenuta dipende chiaramente dal
controllo volontario suscettibile di regolazione.
4. LATTENZIONE SHIFTATA, ovvero la capacit dellindividuo di effettuare uno
spostamento dellattenzione da uno stimolo precedentemente elaborato per
concentrarsi su uno nuovo. (passare dalla lezione di latino a quella di
matematica).
Tutte queste competenze attentive sono importanti a scuola e garantiscono la corretta
esecuzione di un compito e la capacit di eseguirlo per un tempo sufficiente al
raggiungimento dellobiettivo formativo (leggere, comprendere un testo, rispondere a delle
domande, scrivere un tema). Studenti con difficolt di apprendimento o portatori
dhandicap possono incontrare ostacoli nellattivare uno o tutti e quattro i tipi di attenzione
appena descritti, poich mancano di autoregolazione e devono essere pertanto etero-
regolati. Un modello molto usato per spiegare il funzionamento dellattenzione il SAS
(Sistema Attentivo Supervisore). Questo modello parte dalla considerazione che
lattenzione pu essere volontariamente o involontariamente direzionata. La selezione
automatica delle risposte ad una determinata stimolazione sono controllate da un
meccanismo chiamato selezione competitiva. In sostanza la funzione del sistema
attentivo supervisore consiste nel controllare il corso delle azioni. Quando guidiamo la
macchina, ad esempio, lo stop del fanalino della macchina davanti alla nostra attiver
automaticamente il comando di frenare, pertanto in una frazione di secondo il nostro
piede sar sul freno e tutta unaltra serie di stimoli come laccelerare il rallentare, il
premere la frizione, saranno scartati. Se la situazione lo permette, ad esempio il fanalino
stop della macchina si accende con largo anticipo rispetto al tempo necessario per la
frenata allora possiamo compiere una scelta volontaria filtrando stimoli diversi come
decidere di decelerare, scalare le marce e cos via. Questo modello si rilevato
estremamente efficace per distinguere i disturbi dellattenzione e delliperattivit,
evidenziando le difficolt di autoregolazione del comportamento nei soggetti malati. Le

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difficolt di controllo dipendono dallincapacit di selezionare volontariamente i livelli delle
azioni da compiere.
La memoria e i suoi sistemi
Intuitivamente, tutti sappiamo cosa la memoria, e consideriamo il linguaggio come
qualcosa di strettamente legato, nel senso che la langue, secondo quanto sosteneva de
Saussure qualcosa che deve essere ricordata dallindividuo. In generale, la memoria,
le sue strutture fisiologiche ed il suo funzionamento, sono stati studiati molto
approfonditamente, tanto da psicologi del linguaggio quanto dai linguisti, da medici
neurologi, possiamo, dunque dire di averne molta letteratura in materia. Il primo dato
interessante che anche la memoria sembra una struttura frutto dellevoluzione naturale.
Tutti i mammiferi, ad esempio, uomo compreso sembrano condividere la stessa
impostazione di funzionamento:

Il funzionamento della memoria nei mammiferi: riprodotto da Richard F. Thompson, The
brain. A Neuroscience Primer, 3rd edition, New York, Worth Publishers, 2000, p. 354.
Linformazione sensoriale entra in un registro sensoriale (memoria iconica) dove
mantenuto per un tempo brevissimo (nellordine dei decimi di secondo: la dimostrazione risale
a G. Sperling nel 1960). Alcune di queste informazioni sono scartate, altre invece sono
trasferite nella memoria operativa a breve termine (nellordine delle decine di secondi), parte
delle quali poi salvata, in genere dopo essere stata adeguatamente esercitata, nella
memoria a lungo termine (di durata teoricamente illimitata), mentre un altra parte viene
definitivamente persa (alcune informazioni visive, inoltre, possono passare direttamente dal
registro sensoriale alla memoria a lungo termine). Seguendo la via contraria, invece, le

73
informazioni sono recuperate dalla memoria profonda, trasferite nella memoria operativa, e
poste in esecuzione.
La memoria quella funzione che ci consente di conservare, recuperare e codificare
alloccorrenza le informazioni tratte dalla nostra esperienza quotidiana. Essa composta
da due sistemi complessi interconnessi tra loro: - la memoria a breve termine (MBT); - la
memoria a lungo termine (MLT). Nel primo sistema sono raccolte e conservate tutte
quelle informazioni che servono momentaneamente (il numero di telefono letto
sullelenco, lultima frase di un discorso, il nome di una persona sconosciuta che ci viene
appena presentata. Nel secondo sistema, invece, vengono immagazzinate tutte quelle
informazioni relativamente stabili e continuamente accessibili nello svolgimento delle
attivit quotidiane (il nostro numero di telefono, il lessico della nostra lingua, il nostro
nome, ecc.).
Di particolare interesse il fatto che la memoria operativa (MBT) sembra coincidere con
la consapevolezza e con quello che chiamiamo di solito coscienza, mentre la memoria a
lungo termine si caratterizza per caratteristiche pi simili allinconscio, cio come un
gigantesco serbatoio di conoscenze delle quali non siamo propriamente consapevoli, ma
alle quali attingiamo al bisogno, riportandole nella memoria operativa a breve termine.
Una delle prove ormai classiche a sostegno della differenziazione tra i due sistemi
consiste negli effetti di posizione seriale.
Questo test consiste nel pronunciare, chiaramente, una serie di parole non collegate tra
loro, che vengono proiettate su uno schermo, e nello stesso tempo scandite oralmente.
Una volta esaurita la lista viene chiesto ai soggetti testati di ripetere, per rievocazione
libera quante pi parole ricordano. Il test ha dimostrato che nella norma si richiamano alla
memoria le parole poste allinizio e alla fine della lista, mentre, con molta pi difficolt, si
ricordano i vocaboli centrali. Numerare le parole della lista consente di calcolare la
probabilit che una parola ha di essere ricordata in relazione al posto occupato
nellelenco. La competenza che consente di ricordare le prime parole della lista
chiamata effetto di priorit, mentre leffetto di recenza implica la memorizzazione delle
ultime parole.
Possiamo, quindi dire, che la memoria a breve termine soggetta a limiti di capienza e a
limiti temporali. Il magazzino della memoria a breve termine chiamato tecnicamente
span ed fissato pari a (7+o-2) unit. Ci vuol dire che, normalmente, dopo la
presentazione di una lista di parole, possono essere ricordate da 5 a 9 parole. Tale
capacit pu essere cambiata da particolari strategie, come ad esempio raggruppare le

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informazioni in unit: i numeri di telefono per esempio vengono raggruppati cos
(06.691.23.220). Il linguaggio dovrebbe, ragionevolmente, essere depositato nella
memoria a lungo termine. In realt, il discorso va ulteriormente articolato. Quando si parla
di memoria intendiamo, in effetti, molte strutture diverse e il linguaggio in relazione
solo con alcune di queste.

I principali tipi di memoria a lungo termine: riprodotto da Richard F. Thompson, The brain. A
Neuroscience Primer, 3rd edition, New York, Worth Publishers, 2000, p. 365. La memoria non
dichiarativa procedurale, implicita ( relativa al come), quella dichiarativa esplicita (ed
relativa al cosa).
Nello schema rappresentato, il linguaggio situato nella memoria dichiarativa, pi
precisamente in quel suo sottotipo che la conoscenza semantica, in base alla quale,
ad esempio, uno ricorda il significato delle parole o le tabelline aritmetiche, ma non
quando le ha imparate. Laltro sottotipo la memoria episodica, in base alla quale, ad
esempio, uno ricorda cosa ha mangiato a pranzo, o chi ha incontrato il giorno prima. Un
dato interessante, come si pu rilevare dallo schema che segue, che le principali
strutture mentali (tipi di memoria), sono messi in relazione alle strutture materiali (aree
del cervello). Un ruolo centrale, in particolare, sembra giocato dallippocampo, nel lobo
medio temporale (ne sono presenti due, uno nel lato destro ed uno nel lato sinistro).
Famoso nella letteratura medica il caso di HM, un paziente che ha dovuto subire la
rimozione di entrambi gli ippocampi sviluppando di conseguenza unamnesia anterograda
che costringe a vivere esclusivamente il presente, senza la possibilit di immagazzinare
nuove informazioni ed esperienze nella memoria a lungo termine.

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Analoghe esperienze cliniche hanno, per, insegnato che le aree del cervello coinvolte
dallattivit linguistica sono principalmente altre: nelladulto, di solito, sono localizzate nel
solo emisfero sinistro, anche se questa lateralizzazione non assoluta, mentre nel
bambino sono coinvolti entrambi gli emisferi e solo gradualmente si specializza il sinistro,
in particolare larea di Broca e larea di Wernicke:

Le principali strutture fisiologiche (emisfero sinistro) del cervello coinvolte nellattivit
linguistica: riprodotto da Richard F. Thompson, The brain. A Neuroscience Primer, 3rd
edition, New York, Worth Publishers, 2000, p. 442.
In particolare, larea di Broca, vicina alle zone motorie della corteccia cerebrale deputate
al funzionamento dei muscoli dellapparato fonatorio (la lingua), controlla la coordinazione
di questi muscoli nel parlato. Lesioni allarea di Broca possono provocare difficolt nel
parlare, pur non intaccando la comprensione. Larea di Wernicke, invece, pi vicina alle
aree che ricevono gli stimoli acustici (Herschel gyrus) e che le connettono (angular gyrus)
con le aree della visione (corteccia visiva), regola lelaborazione semantica. In caso di
lesioni allarea di Wernicke la fonazione fluente, ma senza senso, e la comprensione
persa. Entro certi limiti, sembra quindi che la distinzione tra significante e significato sia
riprodotta anche al livello fisico delle strutture cerebrali. In realt, recentissimi studi svolti
nel 2003, da Andrea Moro, un linguista attualmente impegnato allUniversit San Raffaele
di Milano, rivendicano un ruolo ancora pi importante allarea di Broca, che risultata
coinvolta nelluso delle regole effettive della lingua; funzione questa che la candiderebbe
a principale sede del linguaggio. Un resoconto di facile leggibilit, di M. Piattelli Palmarini,

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consultabile sul web. Baddeley, Professore alla Universit di York, uno dei maggiori
studiosi al mondo di memoria, il cui modello di memoria di lavoro ha profondamente
influenzato la ricerca contemporanea sulla mente, ha fissato la distinzione di una serie di
componenti allinterno del memoria a breve termine, da lui chiamata memoria di lavoro
(ML).
Baddley propone, al posto di un modello unitario di memoria uno a due dimensioni,
controllato da un sistema esecutivo centrale dipendente dalle capacit attentive limitate.
Questo sistema di controllo opera su due dati provenienti da due servo-sistemi, uno
adoperato per lelaborazione e il mantenimento dellinformazione linguistica, che va sotto
il nome di loop articolatorio (phonological loop), laltro implicato nellelaborazione e nel
mantenimento dellinformazione visuo-spaziale, denominato taccuino visuo-spaziale (visul
spazial scatchpad). Il sistema di loop articolatorio si fonda su un magazzino di memoria
che mantiene le tracce di materiale acustico e verbale per tempi brevissimi (magazzino
fonologico) e su un processo di articolazione sub vocale, che consente il consolidamento
della traccia, attraverso la reiterazione, e la conversione di stimoli visivi nei loro
corrispondenti verbali. Questa componente del modello della memoria di lavoro o
memoria a breve termine specializzata nellelaborazione dellinformazione linguistica.
Laltra componente della memoria di lavoro costituita dal taccuino visuo-spaziale, il
quale permette tanto la ripetizione temporanea delle caratteristiche visivo-spaziali delle
informazioni in entrata, (come scritta una parola e dove collocata), quanto la
visualizzazione e la manipolazione delle immagini mentali. LEsecutivo Centrale
correlato al controllo attentivo delle azioni e in questo senso rimanda al modello SAS
(Sitema Attentivo Supervisore).
Una prova di memoria di lavoro verbale: il listening span
test
Nella comprensione del testo gioca un ruolo importante la memoria di lavoro verbale e
diventa, quindi, importante, in fase si analisi del fabbisogno formativo e di progettazione
didattica, valutarne le caratteristiche attraverso strumenti adeguati. Una tipica prova di
memoria di lavoro verbale il listening span test. Esso consiste nel registrare su nastro
una serie di frasi che i soggetti, una volta ascoltate, devono riconoscere come vere o false
e devono ricordare lultima parola di ciascuna frase. Le frasi sono organizzate in gruppi da
due, da tre, da quattro, da cinque e da sei frasi. La procedura del test prevede che ai
soggetti vengano letti in progressione i vari set di frasi a cui devono attribuire falsit o

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veridicit. Ogni set scandito dal suono di un campanello che fissa la fine di quel set e
quindi il ricordo dellultima parola di ogni frase del set in questione.
La prova caratterizzata da due momenti susseguenti: - una richiesta di elaborazione
delle informazioni (giudizio vero/falso); - ricordo dellultima parola di ogni frase. Gli indici
ricavabili dal listening test sono il livello di span e il numero dinformazioni memorizzate.
Questo vuol dire che per avere uno span 2 il soggetto deve ricordare le parole di tre set di
due frasi su quattro, per uno span 3 deve ricordare oltre a quelle da due anche le parole
di tre set da tre frasi su quattro, e cos via. Il numero delle informazioni ricordate invece
coincide semplicemente con il numero totale di parole correttamente ricordate.
Lo span test si rilevato uno strumento utilissimo per studiare approfonditamente la
relazione che lega la capacit di comprendere un testo e la memoria del lavoro verbale. I
risultati a cui si giunti, dimostrano che buone prestazioni di memoria di lavoro verbale
comportano buone competenza nella comprensione del testo. Qui di seguito viene
riportato un esempio di listening span test:

Il burro e la marmellata vanno con il pane . (v)

Il cane un animale domestico come il gatto . (v)


pane - gatto



Gli esseri umani potrebbero sopravvivere anche senza ossigeno . (f)

Il calcio uno sport che si pratica solo in alta montagna . (f)


Si pu anche morire se si viene morsicati da una vipera . (v)


ossigeno montagna - vipera



La mucca un mammifero con quattro zampe e una cod a . (v)


Lacqua del mare particolarmente ricca di

sale . (v)


In Italia il Capo dello Stato si chiama Presidente della Repubblica . (v)


I giornali quotidiani si stampano con nuove notizie tutti i giorni . (v)


coda - sale Repubblica - giorni



Quando c il sole tutta la gente esce con l ombrello . (f)


Il deserto unimmensa distesa d acqua senza pesci . (f)


Il latte e il t si bevono a colazione con i biscotti . (v)


Una ricetta italiana quella degli spaghetti al pomodoro . (v)


Di alc uni frutti come la banana si mangia soltanto la buccia . (f)


ombrello pesci biscotti pomodoro - buccia



Gli occhiali servono per sentire con pi chiarezza i suoni . (f)


I gatti e i cani sono animali che vivono con l uomo . (v)


Quando fa fred do si usano la sciarpa e i guanti . (v)


La vipera un animale pericoloso che vive in montagna . (v)


La bicicletta un mezzo di trasporto pi veloce dell aereo . (f)


Le barche possono essere a remi, a motore e a vela . (v)


suoni uomo guanti

montagna aereo vela


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La memoria a lungo termine, quindi ha la facolt di conservare una variet dinformazioni
per un intervallo di tempo che va da alcuni minuti a tutta la vita. Se si fa riferimento alla
diversa tipologia di informazioni codificate e immagazzinate nella MLT si possono
distinguere differenti tipi di memoria:
la memoria semantica contiene informazioni di tipo fattuale, (es. quando stata
scoperta lAmerica), i vari concetti ed il lessico;
la memoria episodica racchiude ricordi di eventi accaduti in un preciso momento e
in un certo luogo, ed al suo interno contiene la memoria autobiografica, che si
riferisce ai ricordi personali.
Da queste due forme di memoria, va distinta la memoria procedurale che riguarda labilit
e il modo di fare qualcosa, (studiare, risolvere un problema, scrivere un tema). A scuola
sicuramente importante ampliare il patrimonio delle informazioni fattuali, il lessico
mentale, ma anche insegnare procedure. Per quanto riguarda i lessici alcune ricerche
sostengono che studenti delle medie imparano 2500 parole nuove allanno, tenuto
chiaramente in debito conto le differenze individuali. Un intervento didattico mirato pu
ampliare la memoria lessicale ed ovviamente di grande utilit per gli alunni pi
svantaggiati. Nella MLT le informazioni sono conservate in modo organizzato e strutturato
in stretta relazione con la capacit di codifica e con le conoscenze possedute. Quanto pi
sappiamo, tanto pi sar organizzata la nostra conoscenza e tanto pi facile sar
incorporare nuove informazioni. In altre parole, la conoscenza si crea sulla conoscenza,
questo pu dare unidea di come sia difficile insegnare ad alunni che non hanno le
cosiddette conoscenze di base.
In riferimento allorganizzazione delle conoscenze nella memoria a lungo termine, in
particolare di quella semantica sono stati elaborati vari modelli. Uno di questi ipotizza che
le conoscenze siano organizzate in schemi, cio in strutture astratte altamente coese e
flessibili che possono essere applicate a molti casi: ad esempio, in relazione alla parola
cane si possiede uno schema, ossia una rappresentazione mentale astratta che, non
corrisponde a nessun animale specifico, ma che lo rappresenta mentalmente come un
quadrupede peloso che abbaia, alla stessa stregua si possono avere conoscenze
schematiche di oggetti, di idee, di astrazioni, di eventi ed emozioni.

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Immaginazione e memoria
La memoria contiene oltre alle informazioni verbali anche informazioni visivo-
immaginative. Possiamo descrivere quante stanze ha la nostra casa e la loro posizione
ripercorrendo mentalmente la rappresentazione, che a memoria, abbiamo della nostra
abitazione. In una prospettiva cognitivista limmaginazione stata studiata nella sua
specificit funzionale, che la caratterizza rispetto ad altri processi cognitivi per il rapporto
in cui sta con la percezione visiva. Ci si domandati, se limmaginazione sia un reale
processo cognitivo a fianco di altri processi o altro non sia che il risultato di questi.
Attualmente limmaginazione appare essere una funzione autonoma che si situa in una
posizione intermedia tra i processi percettivi e quelli di memoria. La gran mole di ricerche,
effettuate sulla relazione immaginazione/memoria, ha messo in luce gli effetti positivi
dellimmaginazione sul ricordo.
In estrema sintesi i risultati di questi studi hanno provato che: il materiale verbale (parole,
frasi, brani) facilmente immaginabile ha una probabilit maggiore di essere ricordato; luso
di immagini mentali, sia spontaneo che in seguito a precise istruzioni, incrementa la
prestazione mnestica; i buoni immaginatori possono avere un ricordo superiore ai cattivi
immaginatori. Le spiegazioni fornite a questo fenomeno si rifanno allesistenza di un
doppio sistema di codifica. Premesso che stimoli verbali apparentemente simili, come
parole della stessa lunghezza e con uguale frequenza nella lingua del parlante, sono
ricordati in modo differente e che gli stimoli figurali, oggetti oppure disegni di oggetti
familiari, sono ricordati pi degli stimoli verbali, evidente che, responsabile del diverso
ricordo, il modo diverso in cui sistema verbale e sistema immaginativo sono impegnati
nella codifica degli stimoli.
Gli stimoli figurali sono pi facili da ricordare perch attivano immediatamente una
codifica per immagini (analogica); se loggetto familiare, anche la codifica verbale, che
attribuisce allo stimolo letichetta verbale, cio il nome rapida. In questo modo litem
viene codificato due volte: una dal sistema immaginativo e una dal sistema verbale.
Qualcosa di analogo avviene per gli stimoli verbali che descrivono oggetti o situazioni in
grado di suscitare, con facilit e vividezza, delle immagini, pensiamo ad esempio alla
descrizione della parola vacanza. Tali stimoli, ad alto valore di immagine, vengono
immediatamente codificati dal sistema verbale, ma possono anche godere della codifica
supplementare del sistema immaginativo. Gli stimoli verbali a basso valore dimmagine,
ossia, parole a cui e difficile associare unimmagine mentale, pensiamo ad esempio, alla
parola scopo, possono con maggior difficolt avvantaggiarsi di una codifica

80
immaginativa e risolvendosi prevalentemente in quella verbale, sono pi difficili da
ricordare proprio perch codificati attraverso un unico sistema. Il vantaggio mnestico del
valore dimmagine non viene imputato ad una maggior potenza della codifica
immaginativa, quanto, piuttosto, alla probabilit di attivazione contemporanea di entrambi
i tipi di codifica. Questa teoria detta della doppia codifica, spiega perch le figure siano pi
facili da ricordare rispetto agli stimoli verbali e come questi si differenzino nel ricordo a
seconda del loro valore dimmagine. Proprio la doppia codifica responsabile del maggior
ricordo, tanto che se una figura non facilmente denominabile non ottiene vantaggio
mnestico.

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ESERCIZI
a) Spiega il motivo per cui la memoria operativa collegata alla coscienza


b) Spiega cosa sintende per listening span test


c) Spiega le funzioni della memoria dichiarativa


d) Indica dove situato il linguaggio


e) Spiega quale rapporto esiste tra immaginazione e memoria





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RIEPILOGO
In questa unit didattica abbiamo visto come la questione dellorigine del linguaggio ha
occupato costantemente nella storia del pensiero uno spazio significativo, in quanto dal
momento in cui ogni essere umano al mondo, il linguaggio accompagna, non solo ogni
istante della vita di relazione con gli altri, ma anche la dimensione della propria interiorit.
Abbiamo visto come laumento di dimensioni del cervello ha consentito il graduale
sviluppo della capacit di esprimersi attraverso il linguaggio ed in particolare lespansione
e la specializzazione di una regione della corteccia cerebrale, chiamata area di Broca,
adibita al controllo dei movimenti delle labbra e della lingua, hanno determinato lo
sviluppo della competenza linguistica. Accanto allo studio del linguaggio si sviluppata,
fin dai tempi antichi lesigenza di capire che cosa fossero rispetto al linguaggio le lingue e
perch fossero cos diverse tra loro. Attraverso i secoli lo studio del linguaggio ha assunto
diversi approcci e molte sono state le metodologie applicate alla sua indagine. Tuttavia,
oggi, le diverse correnti di pensiero e le differenti discipline sono tutte, piuttosto daccordo,
nel ritenere che la lingua corrisponda ad una specifica forma di linguaggio usata da una
determinata popolazione in un certo punto dello spazio e del tempo. Certamente, il tema
delle origini del linguaggio, inteso come ricostruzione della forma della ipotetica, o delle
ipotetiche lingue primigenie del genere umano, ha influenzato la linguistica per
lunghissimo tempo. Questo sistema dindagine fondato sostanzialmente su uno studio
comparativo delle lingue cade sotto i colpi dei linguisti e dei glottologi del novecento che,
spiegano che non si pu risalire in modo attendibile cos indietro nel tempo e constatano,
quindi, lineluttabilit della registrazione della profonda diversit tra i gruppi linguistici.
Allo stesso tempo, una parte delle filosofie dominanti svalutano il tema stesso delle origini,
da De Saussure a Von Von Humboldt fino a Benedetto Croce si sente ripetere che
inutile occuparsi del problema delle origini del linguaggio, perch questo problema si
risolve, solo studiando, come funziona nellattualit una lingua. La cosa veramente
interessante capire che ruolo ha il linguaggio nella vita dello spirito umano.
Allostracismo professionale dei linguisti, quindi, si aggiunge anche una messa in mora
filosofica. Dagli anni Trenta del novecento molti altri studiosi, come lamericano John Lilly,
laustriaco Karl Von Frisch, hanno cominciato a scoprire che il mondo della
comunicazione pi vasto di quello degli esseri umani, che forme di comunicazione,
molto sofisticate, esistono tra i mammiferi acquatici. Dai primi lavori classici di Von Frisch,
condotti sulle api, un po alla volta nata una disciplina nuova, la zoosemiotica, ossia lo
studio sistematico dei modi di semiosi, dei modi di comunicazione per simboli e per segni,

83
propri di specie animali diverse dal genere umano. Pertanto, quello che noi chiamiamo,
per eccellenza, linguaggio, non che una variante delle forme di comunicazione
utilizzabili. In tanti casi il gesto, per esempio, sostituisce completamente la formulazione
verbale e cos accade anche per la postura del corpo, labbigliamento e molta altra parte
della simbologia di cui intessuta la nostra vita di relazione e di comunicazione non
verbale. A sostituire il linguaggio verbale ci sono anche forme pi alte di comunicazione
come i linguaggi matematici e i linguaggi simbolici che noi abbiamo creato a partire dalle
lingue. Unaltra questione su cui ci si interrogati a lungo , se solo il linguaggio sia un
unicum, o se non abbia anchesso una sua preistoria evolutiva, ricostruibile,
documentabile, che possa aiutarci a comprendere la sua struttura. Alcuni studiosi,
soprattutto Lieberman, insistono molto sui prerequisiti di tipo anatomico e neurologico,
Secondo cui bisogna avere una struttura pienamente eretta perch si abbassi la laringe
che ci permetta di avere il controllo di suoni cos diversificati, come quelli che sono
presenti effettivamente e non accidentalmente nelle lingue. Quindi la forma della calotta
cranica, ricostruibile paleontologicamente, molto importante per capire quando queste
condizioni si sono create. Lieberman ipotizza una datazione molto bassa dellorigine della
capacit linguistica che lo porta a concludere che, forse, neanche gli uomini di
Neanderthal, cos simili a noi e gi con una vita sociale molto sviluppata, parlavano una
lingua analoga alla nostra; lhomo sapiens avrebbe imparato a parlare solo a tre quarti
della sua storia. Altri studiosi, ragionano in termini diversi, sostenendo che, analizzando i
reperti di un milione e mezzo di anni fa, ci si accorge come, luomo ricorrendo alla
costruzione di utensili per procurare cibo e per difendersi, avesse sviluppato una struttura
sociale, fondata sul lavoro e sulluso razionale delle mani. Questo quadro culturale fa
presupporre che egli dovesse, necessariamente disporre anche di quella forma di vita
comunicativa cos complessa, da giustificare luso di una lingua storico-naturale. Essi,
pertanto retrodatano fortemente lorigine del linguaggio, da cinquantamila a un milione e
mezzo di anni fa. Altri ancora partono dallidea che i vocaboli delle lingue hanno la
possibilit di trasferire il significato delle parole, di allargarne i confini a seconda delle
necessit, riferendosi alla indeterminatezza semantica che, accanto alla ricchezza del
patrimonio lessicale e sintattico la propriet chiave delle lingue. Questa propriet non
pu non essere stata sfruttata, nel momento in cui il lavoro di trasformazione
dellambiente, passava, per esempio, attraverso le tecniche di cottura del cibo, nel
momento in cui, cio, si usava il fuoco razionalmente, in modo programmato. In quella
circostanza, lessere umano deve obbligatoriamente aver cominciato a fare
quelloperazione che noi compiamo, quotidianamente, quando con una parola intendendo
designare diverse cose, dilatando i suoi significati, attraverso un sistema simbolico, ricco

84
di indeterminatezza semantica e di possibili determinazioni, in vie, su vie diverse. Aldil di
tutte le questioni legate allanalisi del linguaggio, la capacit di comprendere e
comunicare resta uno dei maggiori traguardi raggiunti dallessere umano. Una
caratteristica sorprendente dello sviluppo del linguaggio la velocit con cui esso
acquisito. Partendo dal presupposto che, quasi impossibile stabilire il numero di frasi
che si possono costruire allinterno di una lingua, certo, comunque, che i bambini
cominciano ad utilizzare proposizioni sintatticamente corrette fin dallet di tre anni e frasi
molto complesse allet di cinque. il sistema mentale deputato al linguaggio non richiede
un apprendimento formale, ma si attiva spontaneamente in un contesto che ne stimola la
produzione verbale. Possiamo dire, che il linguaggio , dunque, in senso generico la
facolt di comunicare, nello specifico, un sistema simbolico di comunicazione, ovvero
un dispositivo in cui linformazione che passa tra un emittente ed un destinatario
codificata attraverso un codice convenzionale e condiviso. Il contesto, la condizione in cui
si comunica, le molteplici combinazioni dei soggetti, la variet delle strutture simboliche
definiscono i diversi tipi di linguaggio. Il livello della comunicazione pu essere inoltre
superficiale (cognitivo-informativo) o profondo (motivazionale-persuasivo). Abbiamo
anche visto, come nel processo comunicativo, intervengono diversi elementi: emittente o
fonte, il codice, il canale, il ricevente o destinatario, il contesto, il feedback. Il feedback, o
informazione di ritorno un fattore chiave perch realmente ci sia comunicazione, esso
serve a:
fare chiarezza (ascolto);
evitare malintesi (correggere la comprensione del messaggio);
costruire la relazione (trasmettere un reale interesse per la comprensione
dellaltro).
Le interferenze rappresentano tutti gli impedimenti, gli ostacoli, che disturbano il canale
usato per la comunicazione (lo sbattere di una porta, i caratteri troppo piccoli nelle slide,
ecc.). Queste sono presenti in tutti gli elementi della comunicazione, per ridurne il rischio il
linguaggio verbale si serve delle ridondanza, ovvero della capacit del linguaggio di
ripetere lo stesso messaggio utilizzando forme espressive differenti. La ridondanza
implica anche che una parte di un messaggio (lettere, parole,) pu essere eliminata
senza sostanziale perdita dinformazione. Essa, essenzialmente, misura la flessibilit del
linguaggio, essendo proprio questultima, che fa s che noi capiamo un testo anche
quando ci sono errori di stampa. La mancanza di feedback e le interferenze possono

85
provocare unassenza o una non comprensione del codice e quindi il rifiuto del
messaggio da parte del ricevente. Questo fenomeno chiamato decodifica aberrante e
pu realizzarsi per: incomprensione per disparit dei codici(es. lingua straniera);
incomprensione del messaggio per interferenze circostanziali (valori e credenze diverse);
rifiuto del messaggio per delegittimazione dellemittente (motivi ideologici dei partiti
politici). La decodifica aberrante pu interessare tutti gli elementi della comunicazione.
Abbiamo anche visti che numerose sono le teorie che ruotano intorno al tema della
comunicazione e sullo studio di quando essa effettivamente si realizza. Molti studiosi
concordano sul fatto che vi comunicazione solo, quando si in presenza di un emittente
ed un ricevente in condizione di codificare/decodificare il messaggio, che ci che conta
nella comunicazione non quello che detto, ma ci che recepito, che intenzionalit e
consapevolezza sono alla base dellazione di comunicare. Soprattutto lintenzionalit,
che, potremmo parafrasare come volont di significazione, una caratteristica
fondamentale, oltre che del linguaggio, anche di ogni sistema di comunicazione in
genere, e di ogni stato mentale. Per intenzionalit i filosofi intendono la propriet che
uno stato faccia riferimento a un altro stato: lo stato di un oggetto non fa, generalmente,
riferimento a nullaltro che al fatto che quelloggetto si trovi in quello stato, viceversa la
mente umana si pu permettere il lusso di trovarsi in uno stato che fa riferimento a un
altro stato: posso credere che questo libro sia ben scritto, posso sperare che molti
lettori lo compreranno, posso temere che molti filosofi lo stroncheranno, e cos via. Per
altri studiosi, invece, la comunicazione un semplice scambio dinformazione che investe
il tipo di relazione che intercorre tra interlocutori, pu quindi esistere comunicazione a
prescindere dallintenzionalit.
La comunicazione si attua sempre su due piani: quello del contenuto e quello della
relazione. Il primo si esprime, sostanzialmente, attraverso il codice verbale o numerico,
mentre il secondo meglio espresso dai codici non verbali detti anche analogici. Spesso
si verifica che questo secondo genere di codice sfugge al controllo dellemittente
producendo un messaggio ambiguo, (dire a parole (codice digitale) che una cosa ci piace
e fare una smorfia di disgusto (codice analogico)). il linguaggio umano si fonda su tre
livelli:
VERBALE (parole) codice digitale;
PARAVERBALE (tono, timbro, volume, voce) codice misto;
NON VERBALE (linguaggio del corpo) codice analogico.

86
Ognuno di noi, a seconda delle diverse circostanze, comunica utilizzando un sistema
rappresentazionale preferenziale o dominante. Esso consiste, in base alla prevalenza del
canale che attiviamo per entrare in contatto con la realt (visivo, auditivo, cinestesico),
nellutilizzare un linguaggio verbale, paraverbale e non verbale specifico ad ogni canale.
La comunicazione svolge anche unimportante funzione educativa che pu essere
facilmente riassunto in alcuni obiettivi quali:
AIUTARE A CRESCERE culturalmente ed umanamente. Linsegnante non
trasmette solamente le conoscenze ma incarna un modello di adulto con
influenza tanto maggiore quanto pi seguito dai suoi studenti. Traducendolo in
unoperazione matematica linsegnante il prodotto di ci che dice + ci che +
ci che fa.
LA PROMOZIONE DI UNO SPIRITO CRITICO. La comunicazione educativa non
deve mirare ad indottrinare (pi o meno consapevolmente), ma deve puntare a
promuovere la capacit degli studenti di riflettere, confrontare e valutare idee
diverse con spirito critico;
LA CIRCOLARIT DELLINFORMAZIONE. Emittenti e destinatari del
messaggio contemporaneamente devono avere ruoli interscambiabili, con
lobiettivo da parte dellinsegnante di promuovere e stimolare lattivit
comunicativa.
MOTIVAZIONE ALLASCOLTO, insegnando che esso alla base della
comunicazione. La comunicazione si fonda infatti su un processo a due vie di
circolarit e scambio che non pu realizzarsi senza lascolto.
Gli psicologi insistono sulla funzione e limportanza del cosiddetto imprinting, ovvero sul
primissimo approccio che si ha con qualcuno o qualcosa, che condiziona tutto ci che si
svilupper in seguito. Pertanto, in un processo comunicativo formativo, limprinting dato
dallinsegnate dovr essere fortissimo e lattenzione dovr essere accesa nel modo pi
efficace possibile, riuscendo ad attivare e colpire le fantasie del discente, ricordandogli,
in modo provocatoriamente brutale, che chi conosce mille parole ragiona, pensa e
conosce meglio rispetto a chi riesce a controllarne ed usarne soltanto cento. Tutta questa
prima parte dellunit didattica e stata trattata in modo generale e propedeutico per dare
degli input conoscitivi generali, prima di entrare in merito alla studio della psicologia del
linguaggio. Nel quarto capitolo si cercato di evidenziare le relazioni interdisciplinari che
esistono tra psicologia del linguaggio e tutte le altre discipline che si occupano dello studio

87
dei sistemi comunicativi, soffermandoci, soprattutto, allanalisi del contributo concettuale e
degli strumenti metodologici mutuati dalla linguistica e dalla psicologia.
Cominciamo col dire, che la nascita della psicologia del linguaggio, risale agli cinquanta e
nellambito degli studi che hanno per oggetto il linguaggio, questa disciplina definibile
come la scienza che studia la capacit umana di parlare e di capire, vale a dire il
comportamento e le attivit mentali coinvolte nelluso del linguaggio. La linguistica che,
tradizionalmente si occupata di quellinsieme di conoscenze relative alla competenza
linguistica che, ciascun parlante possiede in varia misura, ha fornito modelli di descrizione
formale della lingua indispensabili per affrontare lo studio analitico dei sottili e complicati
meccanismi linguistici. Viceversa, la psicologia che, si abitualmente occupata del
comportamento umano, alla luce del quadro emotivo e mentale individuale, ha contribuito
ad ascrivere alla psicologia del linguaggio i modelli di analisi sulla percezione e
produzione linguistica, entro il pi ampio orizzonte dei problemi inerenti i processi cognitivi
di base e i comportamenti ad essi correlati. Muovendo, dunque, dalla considerazione che
il processo reale di produzione e comprensione delle frasi condizionato da variabili
psicologiche che, influenzano e modificano le predizioni basate, su un modello di pura
competenza, proposto dai linguisti, la psicolinguistica rivolge la sua ricerca
allindividuazione dei processi mentali e delle conoscenze individuali, attraverso cui, la
competenza dei linguisti, viene acquisita e tradotta nelluso del linguaggio. La psicologia
del linguaggio ha risentito fortemente dello strutturalismo linguistico, soprattutto di quella
grande dicotomia che Saussure stabilisce tra langue e parole. Per il linguista ginevrino
la langue, il sistema di segni, condiviso da una certa comunit di parlanti, il quale per
sua natura, standard, arbitrario ed astratto e rappresenta una struttura che muta molto
lentamente nel tempo. La parole, invece, lesecuzione o luso del sistema di segni
nella comunicazione. Il carattere individuale della parole opposto al carattere sociale
della langue, mentre la parole rappresenta un atto linguistico concreto, materiale e
contingente, prodotto dellintelligenza e della volont. La langue viene registrata
passivamente dal soggetto che lapprende, imparando una lingua, vale a dire che
ciascun parlante la riceve in consegna ed entra a far parte della comunit dei parlanti.
In sostanza, con langue, il linguista indica il complesso delle regole e degli elementi che
caratterizzano una lingua strutturalmente intesa, in un preciso stato della sua storia
evolutiva. Questa, in ogni caso, pu essere usata in molti modi e contiene una pluralit di
potenzialit che, per, devono sempre essere compatibili con la sua struttura di fondo.
Tali potenzialit passano, concretamente in atto, grazie alla parole, ovvero attraverso
luso individuale di un prodotto sociale che, se ripetuto e condiviso da un numero

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crescente di parlanti, pu quasi prefigurare una nuova regola che si assorbe nella langue
e determina un continuo aggiustamento interno della sua funzionalit strutturale.
Nonostante lo strutturalismo abbia difeso, in sede teorica generale, lautonomia della
linguistica dalla psicologia, esso ha contribuito alla impostazione teorico-pragmatica della
psicolinguistica del primo periodo saldandosi, tramite il behaviorismo, con lorientamento
del comportamentismo e dellassociazionismo dominante la psicologia dellepoca. Negli
anni in cui si fonda la psicolinguistica, viene pubblicato un testo, il Verbal Behavior di
Skinner del 1957, che contiene quella che si pu definire la teoria psicologica del
linguaggio pi completa di quegli anni, la cui elaborazione realizza la saldatura tra
comportamentismo, in campo psicologico e strutturalismo in campo linguistico, che
appunto allorigine della psicolinguistica.
Il comportamentismo basa la sua ricerca sulla possibilit di studiare e spiegare il
comportamento attraverso losservazione e la sperimentazione; il comportamento non
altro che il modo con cui lindividuo, con la sua disposizione, reagisce agli stimoli esterni.
Lo studio del comportamento permette di comprendere le relazioni ed il rapporto causale,
esistenti tra gli stimoli e le risposte dellorganismo. Secondo il comportamentismo il
significato di una parola una risposta interna provocata dallo stimolo sonoro e visivo
costituito dalla parola stessa, ed il vocabolario , in pratica, un repertorio di risposte
condizionate, ovvero apprese durante lo sviluppo, tramite la ripetuta associazione tra
parola-oggetto e parola-situazione e relazionate a degli stimoli. Tali connessioni sono
ripetute pi volte nel corso dellapprendimento e sono sottoposte ad un rinforzo
proveniente dallambiente. Proprio Skinner ci fornisce, un esempio calzante di studio del
linguaggio, secondo lottica del comportamentismo operante che spiega il comportamento
umano in termini di risposte fisiologiche a stimoli esterni. Egli distingue i tipi di
comportamento verbale in: mand, (comportamento controllato da particolari stati di
pulsione quali comandi e domande); comportamento ecoico, (controllato da parole udite
in precedenza); comportamento testuale, (controllato da stimoli ortografici);
comportamento intra-verbale, (controllato da altri stimoli verbali); comportamenti
duditorio, (controllati da variabili legate alla compresenza di un uditorio); comportamento
tattile, (controllato da variabili oggettuali). Il linguaggio, per Skinner, non altro che il
comportamento di un oratore rinforzato dallopera di mediazione di altre persone, gli
ascoltatori, che sono stati condizionati proprio per rinforzare il comportamento. Due anni
pi tardi la comparsa del testo di Skinner, nel 1959, Chomsky, linguista americano,
pubblica una recensione critica molto dura nei confronti del Verbal Behavior,

89
condannando fortemente, i concetti di base in esso contenuti e le nozioni di stimolo,
risposta, rinforzo.
Chomsky critica, soprattutto, la convinzione, espressa da Skinner, secondo la quale il
linguaggio non altro che un tipo di comportamento, quello verbale, sottoposto agli
stimoli ed ai rinforzi provenienti dallesterno; tale prospettiva riduttiva implicherebbe che
ad ambienti diversi facciano riscontro caratteristiche di linguaggio dissimili; al contrario, la
regolarit che osservabile nello sviluppo del linguaggio infantile non trova spiegazione
limitando il problema del linguaggio ad una semplice interazione tra uomo e ambiente. Le
caratteristiche del linguaggio, nei primi anni di vita, sono simili in tutti i bambini, pertanto
lesistenza di una predisposizione allacquisizione del linguaggio innata nelluomo, si
manifesta fin dalla nascita ed indipendente dallambiente. Il linguaggio per Chomsky,
non basato su associazioni rinforzate da premi e punizioni, bens sullelaborazione di
regole e sullesistenza di regole fondamentali innate, che corrispondono alla nostra
capacit innata di acquisire il linguaggio. Solo partendo da questo presupposto, possiamo
spiegare il rapido apprendimento della lingua e lesistenza di universali linguistici.
Larticolo di Chomsky segna il passaggio ad una nuova fase della psicolinguistica, in cui
essa adotter la posizione della linguistica generativa, mentre, in campo psicologico, si va
affermando un nuovo orientamento, quello cognitivista, ossia una corrente della
psicologia che studia principalmente i meccanismi, attraverso cui luomo acquisisce,
informazioni e conoscenze e si comporta nellambiente a partire da queste stesse
conoscenze. Il principale oggetto di studi la mente, intesa come sistema complesso di
regole, indipendente dai fattori biologici o dai fattori sociali e culturali. Il cognitivismo
analizza, soprattutto, i processi mentali, ritenendo che la mente organizzi le informazioni,
operando sui dati di cui dispone, secondo delle complesse serie di sequenze, di processi
cognitivi considerati in parte innati e in parte appresi dallesperienza. Per la scienza
cognitiva, comprendere ci che avviene nella scatola nera, tra lo stimolo e la risposta,
alla base per capire come il comportamento umano sia regolato da un meccanismo di
retroazione, chiamato TOTE (test-operate, test-exit), che rappresenta il procedimento con
cui si realizza unazione. Oltre allo studio della memoria e delle immagini mentali, il
cognitivismo si occupato di altri aspetti della mente umana, quali la formazione dei
concetti, del linguaggio e il rapporto tra pensiero e linguaggio. Si sono dovuti creare dei
modelli in grado di evidenziare se il processo avviene dal basso, cio dai dati verso le
categorie, o dallalto. Per esempio, si visto che noi riconosciamo la parola prima dei
caratteri. Con ci il cognitivismo conferma la teoria della psicologia della Gestalt, che

90
sostiene che noi abbiamo un processo in cui, la globalit interviene nel riconoscimento
delle parti.
Il cognitivismo suppone che i processi di elaborazione dellinformazione non siano
consapevoli, cio che noi non siamo in grado di conoscere le regole mediante le quali
elaboriamo le informazioni in entrata nel nostro sistema conoscitivo. Gran parte dei
processi cognitivi sono di tipo inconscio, sono cio processi silenti o taciti. La mente ,
dunque, un elaboratore di rappresentazioni e per questo motivo il computer, un sistema
che elabora trasforma e lavora con simboli e strutture simboliche, stato usato come
modello della mente umana. Il soggetto, per i cognitivisti, un attivo costruttore delle sue
conoscenze. Lacquisizione di nuove informazioni produce una modificazione di quelle gi
possedute, nel senso che, ogni volta che il soggetto impara qualcosa di nuovo, modifica
le sue strutture concettuali, riorganizzando le sue conoscenze, ma anche le procedure
atte a padroneggiarle e a utilizzarle.
I campi dindagine, attuali della psicolinguistica contemporanea sono riassumibili a
quattro: la comprensione (riconoscimento di parole, comprensione di parole, frasi, testi e
discorsi); la produzione del linguaggio; lo sviluppo (origine del linguaggio, fasi di sviluppo
dal preverbale al verbale); la patologia (afasia, dislessia) grazie anche ai contributi dati
dalle neuroscenze. Anche la filosofia del linguaggio che, sinterroga, in modo prioritario,
sulla natura e sulla funzione del linguaggio, ha esercitato alcune influenze sulla
psicologia del linguaggio. Gli psicologi hanno, costantemente insistito, sulla cosiddetta
mediazione verbale per la quale, tra un atto intellettivo ed un altro, c sempre il filtro del
linguaggio in una dinamica in cui, il possesso degli opportuni strumenti linguistico-
concettuali, il pre-requisito per lo sviluppo ed il potenziamento della attivit cognitiva.
Partendo da questa idea, non ci si pu non soffermare su un filosofo come Wittgenstein
che, con le sue riflessioni sul linguaggio, prende le distanze dalla psicologia e nello stesso
tempo enuncia dei principi-aggancio tra filosofia del linguaggio e psicologia del linguaggio.
La nozione di gioco linguistico legata allidea che il significato della parola risieda nel
suo uso. Wittgenstein utilizza lidea del gioco, per spiegare le regole del linguaggio; cos
come un qualsiasi gioco viene appreso nel momento delle pratica, analogamente si
apprendono le regole di unazione linguistica solo giocando, cio praticando il
linguaggio. Lidea che, la gente agisce con le parole, che le parole, luso delle parole sia
una parte della vita umana e che il modo in cui gli uomini le usano distingue aree
differenti. Un gioco linguistico quindi una parte del linguaggio usato nella vita, o un
modello semplificato di una parte del linguaggio, un modello usato a scopo illustrativo.

91
Parlare un linguaggio unattivit, una pratica. Si tratta, inoltre, di una pratica acquisita, di
una pratica che si apprende, parlare un linguaggio una forma di abilit. Per acquisire
tale competenza assolutamente necessario applicare, la parola - se si tratta di abilit
nelluso di una particolare parola, pi di una volta. Chiunque sostenga di aver acquisito
una certa perizia, in ununica occasione, fa unaffermazione priva di senso, lintero
concetto dellacquisire unabilit e del mantenerla implica una pluralit di occasioni.
Nessuno nato con la capacit di avere competenza in merito a qualcosa senza prima
averla acquisita con luso della pratica; lo stesso avviene con il linguaggio. Chiariti i
rapporti interdisciplinari che legano la psicologia del linguaggio alle altre scienze che
studiano la materia, siamo entrati pi nel dettaglio della comunicazione linguistica. Analisi,
non poteva prescindere da una zoommata sui principi che hanno fondato la linguistica
strutturalista. Innanzitutto, abbiamo chiarito come, fino alla fine dellottocento, sia prevalsa
una linguistica di tipo comparativa orientata verso lo studio storico della lingua, mentre nel
novecento, e in particolare grazie allopera di Franz Boas, Ferdinand de Saussure e la
scuola linguistica di Praga, la disciplina abbia adottato un approccio sincronico alla studio
del linguaggio. Negli Stati Uniti, Franz Boas e Edward Sapir, nellambito della linguistica
descrittiva, hanno applicato raffinate metodologie per identificare i suoni o le unit
grammaticali delle lingue prive di tradizione scritta, in modo da giungere a una descrizione
scientifica dei vari linguaggi. Basandosi sul loro lavoro, Leonard Bloomfield, ha proposto
unanalisi comportamentale del linguaggio, che ha evitato il pi possibile considerazioni
semantiche, ossia sul significato. In relazione a questo tipo di ricerche e contro alcune
affermazioni radicali e discutibili degli allievi di Bloomfield, Noam Chomsky, ha elaborato
la grammatica generativa che, distingue una struttura profonda dei fatti linguistici e una
struttura superficiale in cui la prima si trasforma nellorganizzazione sintattica del
parlare concreto.
In Europa, invece, la riflessione, iniziata nel 1816 con Saussure, considerato, a tutti gli
effetti il padre dello Strutturalismo e della linguistica sincronica e della scuola di Praga,
non ha dato origine a una corrente linguistica unitaria. Si sono, infatti, sviluppati molteplici
interessi ed orientamenti diversi. La scuola glossematica di Copenaghen, ad esempio,
rappresentata da Louis Trolle Hjemlslev e Viggo Brndal, viene ricordata per il rigore
formale e la sua coerente impostazione concettuale e le sue applicazioni nel campo della
semiologia, il funzionalismo, di Andr Martinet e di Michael Halliday, un orientamento
che pone laccento sulla funzione comunicativa della lingua e sul ruolo del parlante.
Proprio la posizione assunta da Martinet, pur mantenendo limpostazione saussuriana
che concepisce il momento del singolo atto locutorio come, lunico istante reale della

92
langue, propone di cambiare i termini del problema, pensando alla diacronia, come ad
una sommatoria dinfiniti istanti sincronici, di fatto non isolabili, se non astraendoli per
comodit di studio, dato che nella realt sono sempre immersi nel fluire della diacronia.
Con questo approccio (a volte detto sincronia nella diacronia) i capisaldi del pensiero
saussuriano: il sistema e la sua struttura sincronica restano intatti, ma si aprono nuove
porte per lo studio del mutamento linguistico in termini funzionalistici e strutturali.
Una soluzione pi radicale invece quella avanzata, in anni pi recenti, dalla teoria della
grammaticalizzazione, proposta da vari studiosi tra cui Elisabeth Traugott e Paul Hopper.
Questa dottrina riconosce concretezza, solo alla diacronia, negando, di fatto, lesistenza
di una langue sincronica. In questo modo viene a cadere il concetto di lingua come
sistema e si dissolve lo strutturalismo in una sorta di teleologismo generale (esistono solo
processi). Il merito pi grande ascrivibile a de Saussure quello di aver passato al vaglio
tutte le caratteristiche del segno linguistico. Il segno linguistico ununit inscindibile
composta da due facce: significato e significante. Il sistema lingua si estrinseca in
strutture, cio in disposizioni, configurazioni di segni, secondo le leggi particolari di quella
determinata lingua. In ogni segno il rapporto tra il suo contenuto e la sua forma
espressiva del tutto arbitrario, semplice frutto di una convenzione. Questo significa che,
il segno linguistico, non determinato da relazioni necessarie di causa ed effetto e non
motivato da alcun rapporto di somiglianza. Larbitrariet caratterizza ogni livello della
lingua dal fonetico al semantico, non esiste, infatti, una corrispondenza biunivoca tra due
o pi concetti in lingue diverse. Oltre allarbitrariet Saussure attribuisce, al segno
linguistico, la caratteristica della convenzionalit, intesa come il consenso accordato da
una comunit di parlanti circa luso di un segno linguistico.
Complessit e discrezionalit sono altri due elementi distintivi del segno. I segni, infatti,
sono unit discrete, tanto al loro interno (articolazione), quanto rispetto agli altri segni con
cui si posizionano in occorrenza in un determinato contesto. La composizionalit del
segno , dunque, intesa come la capacit di ogni elemento linguistico di mettersi in
relazione con gli altri, diventando esso stesso una parte discreta di un sistema di segni il
cui significato dato dalla somma del significato delle sue parti. Quando definiamo il
segno unit discreta, intendiamo dire che, esso scomponibile in parti tra loro
chiaramente separate che si posizionano in modo lineare tra loro. Parliamo, dunque, di
doppia articolazione del linguaggio, tanto a livello di definizione concettuale che di
segmentazione fonologica. Pi parole, combinate tra loro possono formare un sintagma,
una frase, ecc. Le caratteristiche illustrate, di fatto compongono, il segno e agiscono in
modo sistematico sul sistema coerente di funzioni della lingua che si regge su due tipi

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diversi di rapporti, rispettivamente sintagmatici e paradigmatici. I primi si fondano sulla
linearit del segni linguistici, pensiamo ad esempio a come le parole allinterno della frase
si dispongono, si associano e si relazionano reciprocamente, originando significati di
senso compiuto. I rapporti paradigmatici, invece, sono astratti e uniscono dei termini in
una serie mnemonica virtuale, in altre parole sono la struttura grammaticale della
langue. Dalla linguistica, siamo passati ad un ulteriore approfondimento del modello
generativo trasformazionale di Chomsky, per meglio comprendere, come il modello abbia
influito sulla psicologia, ed abbia fornito la base teorica e programmatica delle ricerche
psicolinguistiche fino agli anni 70, e come sia stato significativo, per lo sviluppo degli studi
in psicolinguistica, lincontro della teoria chomskiana con il cognitivismo.
Per Chomsky, il compito di una descrizione linguistica adeguata, quello di costruire una
grammatica predittiva che a partire dalle unit della lingua, considerate come un numero
finito di elementi, permetta di costruire un insieme aperto di frasi grammaticalmente
accettabili. Le frasi della lingua e lintuizione del parlante, rappresentano i dati empirici, su
cui fondare la formulazione e la verifica del modello. Una delle tesi pi importanti,
elaborate dallautore, relativa alla distinzione tra competenza (competence) ed
esecuzione (performance) linguistica. Con la prima, si riferisce alla capacit che ogni
parlante possiede di comprendere e produrre potenzialmente tutte le frasi di una lingua, le
quali costituiscono un insieme tecnicamente infinito; con la seconda, allude alluso, che
della lingua fa il parlante, al modo in cui la competenza, capacit potenziale e innata,
viene messa in atto nella produzione linguistica. Lautore opera una distinzione tra
strutture superficiali, che vengono espresse dalle singole frasi prodotte da regole
generative che cambiano da lingua a lingua, e strutture profonde, che rappresentano il
contenuto dellintenzione comunicativa del parlante, astratte e tendenzialmente universali.
La componente sintattica quella fondamentale, in quanto permette al parlante di
associare le catene foniche ai significati e viceversa, e quindi di fondare la competenza
linguistica.
Il passaggio dalle strutture profonde a quelle superficiali, ovvero dal livello astratto delle
informazioni semantiche, al livello concreto della produzione di frasi, avviene attraverso
alcune regole di trasformazione. La componente fonologica assegna una
rappresentazione fonetica alle strutture superficiali, la componente semantica assegna
una rappresentazione semantica alle strutture profonde. Lorientamento teorico
cognitivista, disposto a riconoscere la complessa attivit mentale, solo in parte
osservabile nel comportamento esterno, considera con favore le nuove idee introdotte
dalla grammatica generativo-trasformazionale e mostra interesse per le ipotesi

94
chomskiane sulla complessa struttura sottostante alle frasi e sulle fasi di formazione di
queste, sottostanti al comportamento linguistico osservabile. Feconde possibilit di ricerca
in campo psicologico offre, infatti, una linguistica che, considera il linguaggio come una
competenza contenuta nella mente di ciascun individuo e la sintassi un processo
dinamico fondato su combinazioni di regole.
Intorno al 1960 dunque, sia in linguistica, che in psicologia le condizioni della ricerca sono
tali, da consentire una svolta significativa al corso dellevoluzione della psicolinguistica.
Lanalisi dellacquisizione del linguaggio nei bambini, alla luce dei modelli generativo-
trasformazionali, si rivolta a stabilire, se possibile intravedere allinterno delle frasi
prodotte dai bambini di uno-due anni, una qualche forma di struttura sintagmatica,
seppure in nuce. Per Slobin il punto focale sta nel fatto che, il bambino ha, gi, un sistema
proprio che non pu essere, semplicemente, considerato una copia della sintassi
delladulto. Lesistenza di una struttura profonda nel linguaggio del bambino sembra
difficilmente riconoscibile cos come la distinzione tra livello superficiale e livello profondo,
data la semplicit delle frasi infantili. Mc Neil, a questo proposito, sostiene lipotesi, che il
bambino nellapprendimento linguistico, guidato da una conoscenza implicita delle
relazioni grammaticali della struttura profonda, che vengono, direttamente, manifestate
nelle sue frasi. Solo in seguito, il bambino impara ad applicare le regole di trasformazione
consapevolmente, poich esse rappresentano unacquisizione sintattica pi evoluta.
I limiti di tale approccio sono identificabili, in fondo, in quelli riconoscibili nella linguistica
stessa: la frase lunit comunicativa pi ampia considerata, a discapito di unit pi
grandi, tipo i discorsi e le conversazioni e viene trascurata lanalisi del contesto
situazionale entro cui si colloca lenunciazione della frase, del contesto linguistico ed
extra-linguistico. Sul piano metodologico le strade percorse sono due, da una parte, la
sperimentazione in laboratorio tesa a misurare il grado di comprensione e di ricordo delle
frasi, dallaltra losservazione dello sviluppo linguistico del bambino. Per approfondire lo
studio del rapporto tra funzione cognitiva e funzione verbale nel quadro evolutivo infantile,
non si pu non fare almeno un breve accenno, alle conclusioni scientifiche di tre
fondamentali studiosi contemporanei quali B.F.Skinner, J.Piaget e L.S.Vygotskij.
Al modello mentalista di chomsky si oppone quello comportamentista di Skinner. Egli
prende le distanze dal pensiero di Chomsky, in cui prevalgono le regole della grammatica
internalizzata che consentono di capire una nuova frase, sostenendo che nel linguaggio
dominano le entit non intenzionali di stimolo e risposta. Dare una spiegazione del

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comportamento, presupponendo che a provocarlo siano sentimenti, sensazioni, stati
danimo e in genere, eventi mentali, non pu rispondere a criteri scientifici e oggettivi,
perch questi fattori non sono osservabili e non possono essere oggetto di verifica
sperimentale. necessario allora evitare il mentalismo e considerare solo i dati
osservabili, dirigendo lattenzione sul ruolo dellambiente. Per Skinner, dunque, una
persona apprende il linguaggio in modo simile a quello con cui apprende ogni altro tipo di
comportamento, per mezzo del rinforzo e dellosservazione.
Lapprendimento linguistico del bambino si lega ad unattivit di tipo motorio. In
particolare, i bambini costruiscono i significati delle parole, non come categorie astratte,
ma come se fossero delle vere e proprie etichette associate ad oggetti o situazioni reali.
Al contrario, Piaget prende le distanze, sia dallempirismo comportamentista, sia
dallinnatismo chomskiano. Lintelligenza umana, a suo giudizio, non plasmata
dallambiente esterno, n preesiste fin dalla nascita alle varie esperienze. Essa, piuttosto,
si autocostruisce dallinterno, in un processo che assicura un equilibrio sempre pi stabile
dellorganismo umano nei confronti dellambiente esterno.
Lapproccio cognitivo al linguaggio di Jean Piaget, quello che ha portato, alle estreme
conseguenze, la consapevolezza del carattere, non esclusivamente linguistico, ma pi
generalmente cognitivo ed operativo, non solo della comprensione di enunciati e testi
linguistici, ma anche della produzione linguistica e dellintera facolt del linguaggio. In
effetti, per Piaget, il linguaggio un vero e proprio ostacolo epistemologico che si estende
dallapparizione delle prime olofrasi, sino allemergenza delle strutture operatorie del
pensiero ipotetico-deduttivo. Lapparizione del linguaggio costringer il bambino a
ripetere, per ogni operazione logica, tutte le peripezie che, per il suo apprendimento,
avevano avuto luogo sul piano dellazione. Per Piaget, il bambino sviluppa inizialmente,
come presupposto base per lacquisizione del linguaggio, la facolt di rappresentarsi
mentalmente le azioni, solo dopo i due anni, raggiungendo il sottostadio della
rappresentazione simbolica, con il gioco del far finta, comincia ad usare un oggetto per
rappresentarne un altro. In seguito a ci egli incomincia a mettere insieme i fonemi per
formare una parola che, a sua volta, rappresenta qualcosaltro. Piaget non ritiene che il
linguaggio sia un prerequisito per lo sviluppo del pensiero, ma solamente che tra il
pensiero e il linguaggio esiste una circolarit genetica in cui nessuna funzione causa o
effetto dellaltra. Lappoggio reciproco necessario perch il pensiero ed il linguaggio
dipendono dallintelligenza che, comunque, anteriore al linguaggio. Nel periodo pre-
operatorio, in cui le attivit del pensiero del bambino sono di tipo egocentrico, anche il

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linguaggio ha caratteristiche egocentriche e sincretiche (globale), caratteristica di questo
il fatto che da un punto di vista linguistico manchino rapporti sintattici tra i componenti
della frase. Il linguaggio diventa socializzato, solo quando, il pensiero acquista la
caratteristica di reversibilit e consente il decentramento cognitivo, nel senso che il
bambino dimostra di aver capito che esistono, oltre al suo, altri punti di vista, che non
bisogna trascurare ai fini della comprensione reciproca. Vygotsky, invece, sostiene che la
funzione primaria del linguaggio -nei bambini e negli adulti- la comunicazione. Il primo
linguaggio quello sociale (globale e plurifunzionale), solo in seguito le funzioni si
differenziano, cio si egocentrizzano, permettendo allo sviluppo del pensiero e del
linguaggio dinteriorizzarsi. In altre parole, ad una certa et, il linguaggio diventa anche
egocentrico, ma resta sociale, poich legocentrismo rappresenta soltanto
uninteriorizzazione di forme di comportamenti sociali. Nelladulto c il linguaggio interiore
(linguaggio egocentrico in profondit), che si sviluppa allinizio dellet scolare.
Legocentrismo, quindi, quella molla che permette di non essere soffocati dal
conformismo sociale, per sua natura ripetitivo.
Per Vygotskij, dunque, nella fase iniziale della vita del bambino, non c alcun legame tra
pensiero e linguaggio e nessun rapporto di reciproca dipendenza. La relazione tra questi
si crea, soltanto, durante lo sviluppo della coscienza. In particolare, Il linguaggio durante
la crescita viene a determinare maggiormente i contenuti del pensiero, proprio per
limportanza sociale della trasmissione delle conoscenze. Il linguaggio ed il pensiero che,
originariamente erano indipendenti, finiscono, cos, per integrarsi in un processo
dinterazione reciproca. La teoria degli atti linguistici si basa sul presupposto che, con un
enunciato non si possa solo descrivere il contenuto o sostenerne la veridicit, ma che la
maggior parte degli enunciati servano a compiere delle vere e proprie azioni in ambito
comunicativo, per esercitare un particolare influsso sul mondo circostante. Lanno di
nascita della teoria degli atti linguistici, nella filosofia analitica anglosassone, pu essere
considerato il 1955, in cui John Langshaw Austin tenne una lezione alluniversit di
Harvard dal titolo How to do things with words, che tuttavia fu pubblicata postuma nel
1962. Per Austin essenziale lo studio delle funzioni, cio degli usi linguistici. Ogni parola
o proposizione ha, infatti, pi usi, ciascuno dei quali va considerato distintamente. La tesi
di Austin che si debba evidenziare, non solo il carattere descrittivo del linguaggio, ma
anche quello operativo. Egli parla, quindi, della necessit di valorizzare, adeguatamente,
la funzione di prestazione (performance) del linguaggio, quella, cio, nella quale esso si
configura come un fare, legato allazione, allesecuzione di atti. Austin distingue, cos, gli
enunciati constativi dagli enunciati performativi o operativi: gli enunciati constativi

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constatano dei fatti e come tali li descrivono; gli enunciati performativi compiono azioni e,
in tal modo, tendono a realizzare modifiche nella situazione esistente. I primi possono
essere veri o falsi, i secondi possono essere efficaci o inefficaci, cio avere o non avere
successo, realizzarsi o meno, senza che ci si debba chiedere se siano veri o falsi. Essi
non descrivono un evento o unazione, ma servono proprio a compiere quellazione.
Successivamente, Austin accantona tale distinzione e sviluppa la tesi della funzione
operativa-attiva, del linguaggio mediante una teoria degli atti linguistici, secondo la quale
ogni espressione linguistica un atto: anche lenunciato ritenuto constativo unazione
(ad esempio, dire domani vado a equivale ad un impegno, a un atto, enunciazione
performativa e non solo indicativa e descrittiva. Un atto linguistico consta di quattro parti:
locuzione (struttura ed enunciato); proposizione (giudizio sul mondo); Illocuzione
(obiettivo); perlocuzione (effetto desiderato). Egli distingue tre possibili e distinti aspetti di
un atto linguistico, entro i quali classifica gli enunciati inizialmente descritti come constativi
e performativi:
1. latto locativo, quello con cui si dice qualcosa dotato di significato (ad
esempio, quella porta aperta) e pu essere studiato dal punto di vista
fonetico, lessicale o grammaticale;
2. latto illocutivo, un atto effettuato col dire qualcosa: esso, oltre a informare,
constatando una data realt (ad esempio, il fatto che quella porta sia
effettivamente aperta), pu contenere unesclamazione, una preghiera o un
suggerimento (ad esempio, chiudi quella porta! o ti prego di chiudere la porta).
Latto illocutivo ha quindi una forza collegata alla reale intenzione di chi
compie quellatto linguistico;
3. latto perlocutivo, latto compiuto per il fatto di dire qualcosa, quello per cui si
raccoglie il suggerimento (o comando, invito, ecc.) implicito in quellatto
illocutorio e si esegue ci che viene suggerito (si chiude, cio, la porta).
Mette in evidenza linterattivit costitutiva del linguaggio, cio gli effetti sugli
interlocutori che latto linguistico determina.
Nellultima parte dellunit didattica ci siamo occupati dellacquisizione della competenza
comunicativa. Siamo partititi dal processo di comprensione del linguaggio che avviene
gradualmente per fasi. Inizialmente, si cominciano a riconoscere i suoni del linguaggio,
poi le parole, le frasi fino alla comprensione del testo che, rappresenta la parte pi
complessa del processo. Riassumendo, si potrebbe dire, che nella comprensione del

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linguaggio, a partire dai suoni della lingua, noi creiamo delle unit chiamate parole che,
combinate in frasi, ci forniscono la possibilit di comprendere il significato di ci che ci
viene detto. La produzione linguistica, pi complessa da studiare, pu essere definita
come un processo inverso a quello della comprensione, in cui il nostro pensiero, le nostre
idee guidano la formazione delle frasi, delle parole, e dei fonemi per rendere
comprensibile ci che vogliamo comunicare. Abbiamo anche visto, come lo sviluppo del
linguaggio, vada di pari passo con lo sviluppo mentale e psicologico del bambino.
Rimandiamo direttamente al paragrafo 6.3 dellunit dove in uno schema riassuntivo
possibile seguire il processo delle diverse fasi. Lo studioso Lennenberg individua nei primi
2/3 anni, il periodo di massima attitudine allapprendimento verbale, indipendentemente
dalla complessit del codice. importante ricordare che, la progressione dello sviluppo
del linguaggio si configura per periodi o stadi, che gradualmente precisano e differenziano
gli elementi fonologici, morfologici, semantici e sintattici. Tale disponibilit, legata anche
alla plasticit neuropsicologica del bambino, decresce gradualmente con il passare del
tempo. Laccesso a strutture fonologiche e sintattiche, tipiche del linguaggio umano,
precluso dal limite segnato dallepoca della maturit sessuale, laddove invece
lespansione del vocabolario procede per lintero arco della vita.
Siamo poi passati, ad analizzare i processi cognitivi e metacognitivi del linguaggio e
abbiamo visto come per controllare i principali processi cognitivi implicati nellelaborazione
del linguaggio utile far riferimento al modello HIP Human Information Processing, nato
nellambito del cognitivismo, agli inizi degli anni settanta, che considera luomo come
elaboratore dinformazione. I processi cognitivi vengono indagati partendo dallanalogia
tra mente e computer. In questo modo lo stimolo fisico (input) trasformato dal sistema
competente ( visivo, auditivo, olfattivo, gustativo, tattile) in stimolo sensoriale e tradotto in
registro sensoriale che permette il mantenimento dellinformazione anche dopo la fine
della stimolazione. A questo punto, se linformazione considerata importante, verr
ulteriormente elaborata fino al suo riconoscimento percettivo, che si fonda sul confronto
fra quanto acquisito e le conoscenze pregresse immagazzinate nella memoria a lungo
termine. Pertanto, lo stimolo una volta elaborato, o verr perso o sar depositato nella
memoria a breve termine che ha, invece, una capacit di mantenimento limitata. Il
passaggio dal magazzino di memoria a breve termine, a quello a lungo termine, consente
la conservazione illimitata delle informazioni. Lintegrazione tra vecchi e nuovi dati
consentir di allargare il patrimonio delle conoscenze gi esistenti. Tra i fattori
metacognitivi del linguaggio lattenzione e la concentrazione sono elementi di
fondamentale importanza. La concentrazione determina la comprensione o

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lincomprensione di qualsiasi cosa; rappresenta la facolt di mantenere lontani, durante la
fase dellascolto e dellapprendimento, pensieri distraesti, emozioni e situazioni non
attinenti a quel determinato contesto. Lattenzione , invece, la capacit di focalizzare la
percezione, aumentando la consapevolezza verso alcuni stimoli e scartandone
automaticamente altri. Possiamo considerare lattenzione come unabilit che presiede e
regola i processi cognitivi delluomo.
Anche la memoria rappresenta un fattore fondamentale per lo sviluppo della competenza
comunicativa. quella funzione che ci consente di conservare, recuperare e codificare
alloccorrenza le informazioni tratte dalla nostra esperienza quotidiana. Essa composta
da due sistemi complessi interconnessi tra loro: - la memoria a breve termine (MBT); - la
memoria a lungo termine (MLT). Nel primo sistema sono raccolte e conservate tutte
quelle informazioni che servono momentaneamente (il numero di telefono letto
sullelenco, lultima frase di un discorso, il nome di una persona sconosciuta che ci viene
appena presentata; nel secondo sistema, invece, vengono immagazzinate tutte quelle
informazioni, relativamente stabili e continuamente accessibili nello svolgimento delle
attivit quotidiane (il nostro numero di telefono, il lessico della nostra lingua, il nostro
nome, ecc.). Il linguaggio dovrebbe, ragionevolmente, essere depositato nella memoria a
lungo termine. In realt, quando si parla di memoria intendiamo, in effetti, molte strutture
diverse e il linguaggio in relazione solo con alcune di queste. il linguaggio situato nella
memoria dichiarativa, pi precisamente in quel suo sottotipo che la conoscenza
semantica, in base alla quale, ad esempio, uno ricorda il significato delle parole o le
tabelline aritmetiche, ma non quando le ha imparate. Le aree del cervello coinvolte
dallattivit linguistica sono essenzialmente due: nelladulto, di solito, sono localizzate nel
solo emisfero sinistro, anche se questa lateralizzazione non assoluta, mentre nel
bambino sono coinvolti entrambi gli emisferi e solo gradualmente si specializza il sinistro.
Larea di Broca, vicina alle zone motorie della corteccia cerebrale deputate al
funzionamento dei muscoli dellapparato fonatorio (la lingua), controlla la coordinazione di
questi muscoli nel parlato. Larea di Wernicke, invece, pi vicina alle aree che ricevono gli
stimoli acustici (Herschel gyrus) e che le connettono (angular gyrus) con le aree della
visione (corteccia visiva), regola lelaborazione semantica.
Baddeley, uno dei maggiori studiosi al mondo di memoria, ha proposto al posto di un
modello unitario di memoria, uno a due dimensioni (modello di memoria di lavoro),
controllato da un sistema esecutivo centrale dipendente dalle capacit attentive limitate.
Questo sistema di controllo opera su due dati provenienti da due servo-sistemi, uno
adoperato per lelaborazione e il mantenimento dellinformazione linguistica, che va sotto

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il nome di loop articolatorio, laltro implicato nellelaborazione e nel mantenimento
dellinformazione visuo-spaziale, denominato taccuino visuo-spaziale (visul spazial
scatchpad). Il sistema di loop articolatorio si fonda su un magazzino di memoria che
mantiene le tracce di materiale acustico e verbale per tempi brevissimi, (magazzino
fonologico) e su un processo di articolazione sub vocale, che consente il consolidamento
della traccia, attraverso la reiterazione, e la conversione di stimoli visivi nei loro
corrispondenti verbali. Questa componente del modello della memoria di lavoro o
memoria a breve termine specializzata nellelaborazione dellinformazione linguistica.
Laltra componente della memoria di lavoro costituita dal taccuino visuo-spaziale, il
quale permette tanto la ripetizione temporanea delle caratteristiche visivo-spaziali delle
informazioni in entrata, (come scritta una parola e dove collocata), quanto la
visualizzazione e la manipolazione delle immagini mentali. La memoria contiene oltre alle
informazioni verbali anche informazioni visivo-immaginative. La gran mole di ricerche,
effettuate sulla relazione immaginazione/memoria, ha messo in luce gli effetti positivi
dellimmaginazione sul ricordo. In estrema sintesi, i risultati di questi studi hanno provato
che, il materiale verbale (parole, frasi, brani), facilmente immaginabile, ha una probabilit
maggiore di essere ricordato; luso di immagini mentali, sia spontaneo o provocato,
incrementa la prestazione mnestica (di ricordo). In sostanza, gli stimoli figurali sono pi
facili da ricordare perch attivano immediatamente una codifica per immagini (analogica);
se loggetto familiare, anche la codifica verbale, che attribuisce allo stimolo letichetta
verbale, cio il nome rapida. In questo modo litem viene codificato due volte: una dal
sistema immaginativo e una dal sistema verbale. Questa teoria detta della doppia
codifica, spiega perch le figure siano pi facili da ricordare rispetto agli stimoli verbali e
come questi si differenzino nel ricordo a seconda del loro valore dimmagine.


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GLOSSARIO
ABILIT FONOLOGICA - uso dei suoni, vocali e consonanti, della nostra lingua.
ABILIT GRAMMATICALE-SINTATTICA - utilizzo delle regole che permettono la
costruzione della frase.
ABILIT SEMANTICA - conoscenza del significato delle parole e delle frasi.
ABILIT PRAGMATICA - utilizzo del linguaggio a fini relazionali.
FONOLOGIA - Sezione della linguistica riguarda le regole di combinazione dei fonemi
della lingua. Il sistema fonologico italiano comprende le vocali e le consonanti.
FONETICA - Scienza che studia i tratti distintivi dei suoni che svolgono attivit fonemica
(in quanto mezzo fisico di comunicazione).
FONEMA - Il fonema rappresenta la pi piccola parte SONORA, in una successione di
parole data, priva di significato, che combinandosi con altri fonemi realizzano le parole.
Sostituito allinterno di una parola pu mutare il significato della stessa. Nella lingua orale
il fonema costituito dalle onde sonore emesse da chi parla in vista del messaggio. Nella
lingua scritta talvolta pu non corrispondere ad una singola lettera (es. /c/ duro in italiano
seguito dalla vocale e, che si scrive che).
MORFOLOGIA - Sezione della linguistica studio le diverse modalit con cui si realizzano,
anche in vista della loro funzionalit, le parole di una lingua. I fonemi che da soli non
hanno significato, tranne che nei suoni vocalici (monosillabi a, e, i, o), combinandosi in
sequenza formano morfemi, che rappresentano le pi piccole unit linguistiche capaci di
comunicare significati.
SINTASSI - Si occupa delle regole di relazione tra le parole in vista della formazione di
frasi, utilizzando sia lordine particolare delle parole che elementi particolari chiamati
morfemi. Questi possono essere combinati (dando luogo alle desinenze) oppure isolati
(congiunzioni, preposizioni, particelle con funzioni diverse).
SEMANTICA -Ramo della linguistica che studia il significato dei simboli e dei loro
raggruppamenti. Riguardo le lingue, studia il significato delle parole, delle frasi e dei
singoli enunciati.

102
VOCALE - Suono prodotto dallemissione daria che non incontra occlusioni, ostacoli o
restringimenti nel canale e nella cavit orale. Si realizzano vocali brevi, lunghe, vocali
aperte, chiuse, vocali toniche, atone. Nella lingua italiana le vocali sono sette (e / o,
possono avere un suono aperto o chiuso) ma i segni che le rappresentano sono cinque.
CONSONANTE - La consonante (dal latino con-sonare) offre il suo suono ad un altro
suono. Da un punto di vista fonetico un suono (aperiodico, a differenza del suono
periodico rappresentato dalla vocale) articolato dalla lingua che viene pronunziato col
canale orale chiuso o semichiuso e che non pu formare sillaba da solo (si contrappone
alla vocale, che sonorizzata con il canale orale aperto e pu far sillaba da sola).
EGOCENTRISMO - Nellepistemologia genetica di J. Piaget la caratteristica iniziale del
pensiero infantile secondo cui il bambino non considera la possibilit di punti di vista
diversi dal proprio.
SINCRETISMO - SINCRETICO - Tendenza del pensiero infantile a percepire secondo
una modalit globale dove il tutto legato al tutto (Piaget).
REALISMO - Caratteristica del pensiero infantile, nella visione piagetiana, di riconoscere
come reale solamente ci che percepibile (presente ai sensi) e oggettivo.

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BIBLIOGRAFIA
Per la consultazione dei testi si rinvia alla bibliografia, articolata per aree tematiche, sul
sito http://www.bdp.it/bibl/aree.htm

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