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LA FILOSOFIA DI BERGSON E LA LETTERATURA James Joyce. Immagine tratta dal sito: http://ebooks.adelaide.edu.

au/ di Marcello Must* Nel 1927 Henri Bergson fu insignito del Premio Nobel per la letteratura sia per l e sue ricche e feconde idee sia per la brillante abilit con cui ha saputo presentar le . Come in altri casi (soprattutto, nel 1964, per il medesimo riconoscimento att ribuito a Jean-Paul Sartre), in assenza di uno specifico premio destinato alla f ilosofia, la motivazione si riferiva tanto all originalit del contributo speculativ o quanto alla forma letteraria della sua espressione. Ma il rapporto di Bergson con la letteratura presenta altri aspetti, che riguardano la specifica teoria de ll arte e l influenza esercitata sulla maggiore narrativa del Novecento, a cominciar e da Marcel Proust e James Joyce.

La funzione dell arte nella filosofia di Bergson Nei capitoli centrali dell Evoluzione creatrice, pubblicata nel 1907, Bergson offr e una chiara interpretazione della funzione dell arte, considerata come intuizione del flusso originario della vita: rispetto all immediatezza dell istinto, che la fa colt di utilizzare e in parte di costruire strumenti organizzati, e rispetto alla qualit, specificamente umana, dell intelligenza, che invece fabbrica strumenti ino rganici e artificiali per fronteggiare i bisogni dell esistenza, l artista supera il filtro dell interesse pratico e utilitario, osserva la realt oltre la barriera edi ficata dall intelletto, oltre la tecnica, e perci intuisce la vera natura delle cos e. Tuttavia, sottolinea Bergson, l arte pu esercitare l intuizione solo nei limiti de ll individuale: collocata tra istinto e intelligenza, ne costituisce una provvisor ia riunificazione, rispetto al compito supremo di una nuova metafisica, che dovr intuire l essenza della vita non secondo la forma dell individualit (cio in questo o i n quell aspetto del reale), ma nella sua unit e generalit. L estetica bergsoniana comporta una conseguenza di rilievo, che avr effetti signifi cativi sulla teoria e sulla pratica del romanzo. Se l intuizione si presenta come la capacit di cogliere lo strato profondo della durata , nessuna metafora pu rendere questa mobilit pura , che a rigore, dunque, non rappresentabile in immagini, concett i, parole. In questo senso, la ragion d essere dell arte, come quella della metafisi ca, consiste proprio nella rottura con i simboli . Infatti i simboli (i concetti, i l linguaggio) sono l opera di astrazione e deformazione costruita dall intelletto, e dunque sono parte costitutiva di quel velo che serve a nascondere , attraverso immag ini spazializzate, la vera essenza della realt. Le parole hanno iscritte in loro stesse quel medesimo male che l arte si adopera a superare, attraverso un difficil e esercizio di distrazione dall utilit, di contemplazione . Cos, la grande difficolt de te consiste nel trovare un linguaggio che non tradisca la durata , che le sia il pi possibile adeguato, che si avvicini alla fluidit e alla mobilit della memoria real e. S intende, allora, come la filosofia di Bergson (e in particolare questa asimmet ria fra intuizione e linguaggio) mostri affinit non secondarie con la ricerca espr essiva del romanzo contemporaneo, con il tentativo di elaborare una prosa adegua ta al flusso di coscienza , come si trova, per esempio, in Joyce. Il genere comico e il riso Con il libro del 1900 su Il riso. Saggio sul significato del comico, Bergson tor nato su un argomento per certi versi classico nella teoria letteraria. Nel terzo c apitolo dell opera, dedicato al carattere comico , egli spiega come l arte derivi dal f atto che fra la natura e noi s interpone un velo , per il quale l uomo bada soltanto al le impressioni utili all azione e cancella, invece, le altre: viviamo scrive in una zona intermedia fra le cose e noi . Ora, l artista ha il compito di sollevare il vel o , di dirigere la nostra attenzione verso quelle cose che l interesse pratico abban dona all oblio. Se questa la funzione dell arte, si capisce perch il genere drammatic o e quello comico devono essere distinti: mentre il dramma (in maniera analoga a lla tragedia di Nietzsche) dissolve l involucro simbolico, ci fa vedere il fondo inqui etante della vita, rivela una realt pi profonda , che al disotto delle acquisite nozio

ni pi utili , la commedia si pone tra l arte e la vita, come un genere impuro di arte. La commedia un fatto sociale prima che artistico, che assolve la funzione di repri mere, castigare e umiliare quel gesto che provoca il riso: un gesto che, nella prosp ettiva di Bergson, deriva sempre da qualcosa di meccanico e di ripetitivo che s in troduce nell agilit della vita sociale, da un atto di isolamento, da una eccentrici t che disturba. Attraverso l elaborazione di caratteri e tipi generali l Avaro, il Gelo so, il Malato ecc. , che gi per questo violano la perfetta individualit del dramma, l a commedia si presenta come un arte interessata , non pura, che mira a esercitare una funzione sociale regolatrice. Essa richiede, per questo, l insociabilit del personag gio e l insensibilit dello spettatore. Tra Proust e Joyce L influenza di Bergson sulla grande letteratura del Novecento non riguarda soltant o la teoria dell arte ma, pi in generale, gli aspetti fondamentali della sua filoso fia. Insieme agli esiti della psicoanalisi di Freud e della teoria della relativ it di Einstein, la concezione bergsoniana della durata penetra nella forma del racc onto, rendendo possibile la frantumazione del tempo narrativo nel flusso di cosc ienza e, infine, la disintegrazione della stessa figura del personaggio. Anche a prescindere dai rapporti diretti che intercorsero fra i due (Bergson spos una cu gina di Proust, Louise Neuburger), non vi dubbio che la Recherche proustiana, pu r senza essere come si detto un romanzo bergsoniano , risente dell idea di una memori a spontanea, sensoriale, che trova se stessa saltando la dimensione logica della successione e dell utilit contingente, e che dunque afferma un unit sostanziale di pa ssato e presente nel fluire ininterrotto della coscienza. In un modo per alcuni versi analogo, anche l Ulysses di Joyce sembra risentire della dissoluzione, che B ergson aveva operata sul piano filosofico, del tempo esteriore e spazializzato, con la ricerca di un tempo profondo, attraverso la tecnica del monologo interior e e, forse soprattutto, con la radicale sperimentazione linguistica, che ricerca un registro espressivo capace di vincere il filtro del simbolismo ordinario, di aderire alla durata reale della psiche individuale, come accade, per esempio, n el monologo interiore di Mrs. Bloom.

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