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associazione culturale Hop Frog - Salerno

LA LEPRE NICHILISTA
la questione dell'astensionismo anarchico
Documento della F.A.I.
Federazione Anarchica Italiana di Napoli Marzo 1992
La storiella del cacciatore e della lepre

Un cacciatore sta cercando di sparare ad una lepre, è riuscito ad inquadrarla nel mirino del suo fucile, ma la
lepre scappa. La prende un' altra volta di mira, ma la lepre si sottrae di nuovo, e di nuovo.
Indignato, il cacciatore sbotta: "Quando fanno così le ammazzerei!".
L'atteggiamento negativo, non costruttivo, nichilistico della lepre ha provocato l'indignazione del cacciatore; ma
per la lepre assumere un atteggiamento diverso, più "positivo", vorrebbe dire soltanto rendersi disponibile a
farsi impallinare. Il cacciatore infatti non ce l'ha con la lepre soltanto perchè questa dimostra di "saper solo
distruggere", ma ce l'ha con la lepre in quanto lepre. Dal suo punto di vista la lepre ha quindi a disposizione
solo due alternative concrete: o essere una lepre nichilista, oppure essere una lepre...in salmì.
Le obiezioni nei confronti dell'astensionismo anarchico
(e le relative contro-obiezioni)

LE OBIEZIONI ESPLICITE
1) "La campagna astensionistica è un modo indiretto di partecipare
alle elezioni, contando gli astenuti come se fossero voti a proprio
favore".
L'astensionismo rifiuta la legge del numero, per cui l'impatto dell'astensionismo non è quantificabile in termini
numerici. Una campagna astensionistica efficace e priva di ambiguità potrebbe addirittura determinare sul
momento una diminuzione delle astensioni, in quanto scoraggerebbe tutti coloro che credono di poter fare un
uso puramente tattico dell' astensionismo: gli astensionisti "protestatari”, oppure quelli che cercano di far
mancare il quorum ai referendum.
La campagna astensionistica non cerca consensi, non ha lo scopo di convincere la "gente" a non votare.
Lo scopo dell'astensionismo è invece quello di rompere l'unanimismo attorno a certi temi ritenuti intoccabili
come la "sovranità popolare" o il potere della maggioranza, in quanto l'unanimismo è alla base del loro
funzionamento. In tal modo si ostacola la formazione di maggioranze, poichè queste non si aggregano su dei
contenuti, ma sulla prospettiva di avere una minoranza disponibile a farsi sottomettere.
2) "L'astensionismo elettorale potrebbe far pensare che si preferisca uno Stato
fondato sulla pura coercizione, piuttosto che su forme, seppure imperfette, di
partecipazione".
L'inganno contenuto in questa frase consiste nel costringere l'interlocutore ad una falsa alternativa tra
coercizione e partecipazione. Al contrario, separare la coercizione dalla partecipazione è possibile quanto il
separare un pugno dalla mano che lo vibra. Possiamo distinguere tra la mano e il gesto del pugno, ma non li
possiamo separare o addirittura contrapporre. Allo stesso modo, l'istituzione della polizia sarebbe inconcepibile
senza un consenso e un mandato della maggioranza sociale e senza l'idea di un potere della maggioranza
sulla minoranza; quindi, quella che tecnicamente si definisce "società costituita" è insieme vittima e partecipe
della coercizione poliziesca.
3) "L'astensione è un voto regalato all'avversario".
E' chiaro che l'astensionismo rifiuta una falsa scelta, per scegliere invece il rifiuto del sistema gerarchico, che è
il vero avversario. Ma in questa obiezione c'è una verità profonda del meccanismo democratico, e cioè che si
vota sempre controper qualcun altro. La partecipazione elettorale viene quindi sollecitata proprio da questa
perenne inimicizia-conflittualità, la quale costituisce il maggiore collante sociale. E' un'illusione credere che le
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elezioni costituiscano un'alternativa alla guerra civile, anzi le elezioni spesso preparano le condizioni per una
guerra civile aperta. Lo Stato è un organo della guerra civile permanente, guerra civile che, quando si
manifesta in forme aperte, rende superflua la conflittualità latente tipica dello scontro elettorale, in quanto lo
scopo della partecipazione è ottenuto attraverso uno scontro sociale diretto.
Quando l'apparato dello Stato (che non va identificato "tout-court" con lo Stato) si trova saldamente in mano di
una sola delle parti in lotta, allora si parla di sistemi politici "dispotici" o "totalitari", la cui caratteristica è
determinare la partecipazione della maggioranza attraverso la mobilitazione contro il nemico interno.
Nelle imminenti elezioni italiane si riscontrano almeno due potenziali focolai di guerra civile latente: uno tra
Nord e Sud, e l'altro fra post-comunisti e post-anticomunisti (per cui la "morte del comunismo" si rivela un
fattore di conflittualità sociale altrettanto efficace del comunismo "vivo").
4) "Ritenere che lo scontro elettorale non ci riguardi è una scelta di <tanto peggio, tanto meglio>".
Questa affermazione usa l'espediente di invocare a proprio favore l'argomento che maggiormente la
smentisce. Infatti in una situazione di conflittualità latente lo schierarsi aumenta le possibilità di passare ad un
conflitto guerreggiato, per cui allora davvero si farebbe una scelta di << tanto peggio, tanto meglio >>. E'
invece evidente che all' anarchismo non interessa la turbolenza sociale in quanto tale, poichè il metodo
anarchico non è quello di pescare nel torbido: non si tratta di rimescolare le carte, ma di cambiare gioco.
5) "L'astensionismo elettorale lascia campo libero al voto clientelare e di scambio".
Qui ci si vuoi far credere che possa esistere un ricattatore senza un ricattato. Infatti, a dare potere contrattuale
al voto di scambio è proprio la presenza di un voto "pulito" da condizionare. L'astensionismo toglie invece al
voto di scambio ogni potere di ricatto, in quanto non riconosce alcuna validità al voto in genere.
6) "L'astensionismo risulta essere una forma di consenso passivo al sistema vigente".
Questo sofisma rivela il carattere totalizzante della democrazia, che non può concepire la possibilità di
dissenso nei propri confronti, in base all'argomento paradossale secondo cui: "non puoi esprimere il tuo
dissenso contro un sistema che ti permette di esprimerlo".
Il giro vizioso creato dalla ideologia della "impossibilità del dissenso" si rompe se si tiene conto del fatto che
l'opinione che un sistema di dominio ha di se stesso è parte integrante di quel sistema di dominio.
7) "Con un gesto che non ti costa nulla, un semplice segno su una scheda, tu puoi rischiare di
vincere. Ammesso che ci fosse anche solo una probabilità su un milione di vincere, perchè
negarsela dato che votando non si perde niente?".
Al contrario, votando si firma una cambiale in bianco, e se ti sembra che non costi nulla è solo perchè la cifra è
in bianco. Ma dopo si potrà far di te tutto quello che si vuole, potendoti sempre rinfacciare che tu sei
consenziente e quindi corresponsabile. Votando non soltanto ci perdi, ma ti perdi.
8) "La partecipazione alle elezioni non preclude la possibilità di una azione rivoluzionaria.
La preclude, eccome! Infatti votando si accetta preventivamente di sottomettersi al volere della maggioranza in
caso di propria sconfitta elettorale, e quindi si accetta anche la corresponsabilità con il Potere fondato su quella
maggioranza. Cercare di conquistare a propria volta la maggioranza significa inoltre essere costretti ad andare
incontro alle sue abitudini mentali e quindi rinunciare al proprio programma rivoluzionario.
Il fatto poi di andare a votare con la "riserva mentale" di non sottomettersi al volere dei più, costituisce soltanto
una illusione di furbizia, in quanto fornisce agli avversari un altro argomento polemico, e cioè il poterti
rinfacciare continuamente la tua doppiezza, cioè il tuo non essere un "sincero democratico".
Nelle rare eventualità in cui i rivoluzionari riescono a conquistare la maggioranza, allora questa doppiezza
diventa un ottimo pretesto fornito ai conservatori per invalidare il risultato delle elezioni con un colpo di Stato.
In conclusione: la legge del numero è intrinsecamente conservatrice, nei rari casi in cui essa sembra dare
ragione ai rivoluzionari e va a toccare gli interessi costituiti, allora essa viene messa a tacere dalla "legge del
più forte"; e l'ironia sta nel fatto che questi cosiddetti "forti" non lo sono per virtù naturale, ma lo sono diventati
grazie alle posizioni acquisite tramite l'uso che hanno saputo fare della legge del numero.
Ai rivoluzionari da parlamento si adatta quindi perfettamente l'appellativo di "zimbello", per il quale il dizionario
della lingua italiana Devoto Oli fornisce i seguenti significati: "Uccello vivo da richiamo usato nell'uccellagione
con le tese, che legato ad un piolo viene fatto svolazzare in modo da attirare negli appostamenti gli uccelli di
passo. Figurativamente: ogni accorgimento usato per attirare altri nella sfera dei propri interessi.
Più comunemente: Persona che è fatta oggetto di considerazioni ironiche e spesso bersaglio di scherzi più o
meno crudeli".
Infatti la borghesia usa i rivoluzionari da parlamento sia "per attirare altri nella sfera dei propri interessi", sia per
farli "oggetto di considerazioni ironiche e di scherzi più o meno crudeli".
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II. LE OBIEZIONl SUBDOLE


(le più frequenti da parte dei compagni, il che dimostra che c'è del vero nel proverbio: "dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi IddIo").

1) "L'astensionismo non basta!".


Questa affermazione deve il suo effetto sconcertante alla sua ambiguità. Infatti presa in senso assoluto è vera,
in quanto è evidente che l'astensionismo (come qualsiasi altra cosa) non è in grado di esaurire il processo
rivoluzionario; ma presa in senso relativo è falsa, in quanto l'astensionismo elettorale ha un senso compiuto in
se stesso, cioè non ha bisogno di giustificarsi o di proporre necessariamente delle alternative.
2) "Dare troppa importanza all'astensionismo elettorale finisce per riconoscere importanza anche
alle elezioni”.
Ma le elezioni sono importanti! Sono infatti un momento in cui il sistema gerarchico si rigenera attraverso il
fattore partecipativo. Non si tratta perciò di ostentare indifferenza, ma di negare la partecipazione. Su questa
strada del "non dare troppa importanza alle elezioni" si finisce per andare a votare.
3) "E' troppo facile ricordarsi di essere coerenti solo quando si tratta di non andare a votare".
Qui si gioca ancora sull'ambiguità, e precisamente sul doppio significato del termine "coerenza", che può
essere sia sinonimo di consequenzialità logica che sinonimo di un rigore morale che esiga scelte eroiche.
Ora, dal punto di vista della consequenzialità logica (che è quello che ci interessa) l'astensionismo è molto più
coerente di altre scelte più rischiose sul piano personale come, ad esempio, l'obiezione di coscienza;
quest'ultima infatti è rivolta contro una funzione dello Stato: la coercizione; mentre l'astensionismo è rivolto
contro il fondamento dello Stato: la partecipazione.
4) "L'astensionismo è un tema troppo ideologico che non interessa coloro che sono vittime
dell'oppressione economica, ai quali il fatto di votare non impedirà, all'occorrenza, di lottare per i
propri interessi economici".
L'esperienza pare che indichi il contrario. Il fatto è che non si può contrapporre la funzione all' organo che la
esprime, non si può dire che la respirazione non ha niente a che vedere con il polmone. Infatti, perchè vi sia
oppressione economica nei confronti di una parte sociale occorre che vi sia una società costituita in grado di
organizzare una tale oppressione; occorre quindi una ideologia della Volontà Generale e dell'Interesse
Generale. L'oppressione economica consiste appunto in questo: nel ridurre gli interessi proletari a "interessi
particolari", e nell'identificare invece gli interessi padronali con l'Interesse Generale della Società. Quando
votano, i proletari concorrono perciò a rafforzare l'idea e la pratica dell'Interesse Generale, e finiscono per
partecipare attivamente alla propria oppressione.
5) "La propaganda astensionistica è un discorso consolatorio che serve a compensare la propria
impotenza pratica sui problemi reali".
Anche questo sofisma, come il precedente, si basa sul misconoscimento della componente ideologica del
sistema di dominio.
Rispetto all'altro, questo sofisma rappresenta però una resa ancora più incondizionata al linguaggio del Potere,
come se tale linguaggio potesse giocare una funzione neutrale. Si tratta di un sofisma complicatissimo. Infatti
gioca a ben quattro livelli:
a) cerca di colpevolizzare, definendo "consolatorio", quell' ovvio senso di soddisfazione che si prova ogni
qualvolta si riesce a contrastare il terrorismo ideologico dello Stato;
b) propone implicitamente una contrapposizione fittizia ed artificiosa tra funzioni che sono invece
complementari: come la teoria e la pratica, in modo che il fatto di condurre un discorso che fila diventi, per
assurdo, il segnale di una impotenza pratica;
c) ripropone ciò che hai appena rifiutato (società costituita, partecipazione, legge del numero, responsabilità
collettiva, cioè le gerarchie impersonali) ripresentandolo sotto lo pseudonimo di "realtà"; ciò in base all' artificio
retorico di identificare la parte con il tutto (lo stesso artificio per cui la maggioranza viene considerata il
"popolo");
d) per disarmare ulteriormente il senso critico dell'interlocutore ripropone questa cosiddetta "realtà" non in
modo diretto e affermativo, bensì in una forma falsamente problematica ("problemi reali"'), cosicchè non ci si
accorge subito che si tratta di una imposizione.
6) "L'astensionismo non può essere presentato come una novità".
Anche questa affermazione gioca sull' ambiguità tra senso assoluto e senso relativo. In assoluto è vero che
l'astensionismo non costituisce una novità, ma relativamente al modo di proporre il messaggio astensionistico
invece molte novità sono possibili. Sarebbe, tanto per cominciare, una grande novità condurre tale messaggio
senza le ambiguità che di solito lo caratterizzano. Ecco qualche esempio di messaggi astensionistici ambigui:
1. "Non votare, lotta".
Qui l'ambiguità sta sia nel tono da bando di reclutamento di questo slogan, sia nel voler imporre come
alternativa al voto una pratica di lotta che non sempre può essere immediatamente possibile, togliendo così
alla scelta astensionistica la sua intrinseca validità.
2. "Rifiuta la delega".
Qui l'ambiguità sta nell'applicare un termine drastico come "rifiuto" ad un termine sfuggente come "delega", che
non è un sinonimo di autorità, ma un elemento accessorio della partecipazione; pare così che si rimproveri il
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sistema di dominio non di essere partecipativo, ma di non esserlo abbastanza. Infatti la parola d'ordine del
rifiuto della delega non può applicarsi a quelle scadenze di democrazia diretta e non delegata che sono i
referendum. Lo slogan del rifiuto della delega quindi non è anarchico, ma tipico dell' estremismo democratico;
senonchè anche per un democratico estremista questa parola d'ordine si presenta irta di contraddizioni
teorico-pratiche, in quanto per un democratico la possibilità di una democrazia rappresentativa deve pur
sempre considerarsi meglio di niente, per cui il rifiuto "tout-court" delle elezioni rischia sempre di apparire come
una fuga in avanti.
Ma lasciamo i democratici estremisti ai loro problemi, e chiariamo invece che il vero bersaglio
dell'astensionismo anarchico non è la delega ma è proprio la partecipazione, in quanto votando si partecipa
alla propria oppressione.
3. "Stattene a casa".
E' un invito fuorviante, in quanto sembra alimentare l'equivoco dell'astensionismo elettorale come
atteggiamento di indifferenza, mentre invece negarsi alla responsabilità collettiva costituisce oggettivamente un
atto di responsabilità individuale.
Il nostro slogan è:

NON PARTECIPARE ALLA TUA OPPRESSIONE!


NON VOTARE!
Comidad - Napoli
Anarchia vuol dire non-violenza, non-dominio dell'uomo sull'uomo, non-imposizione per forza della
volontà di uno o di più su quella di altri.
E' solo mediante l'armonizzazione degli interessi, mediante la cooperazione volontaria, con l'amore, il
rispetto, la reciproca tolleranza, è solo colla persuasione, l'esempio, il contagio e il vantaggio mutuo
della benevolenza che può e deve trionfare l'anarchia, cioè una società di fratelli liberamente solidali,
che assicuri a tutti la massima libertà, il massimo sviluppo, il massimo benessere possibili.
Vi sono certamente altri uomini, altri partiti, altre scuole tanto sinceramente devoti al bene generale
quanto possono esserlo i migliori tra noi. Ma ciò che distingue gli anarchici da tutti gli altri è appunto
l'orrore della violenza, il desiderio e il proposito di eliminare la violenza, cioè la forza materiale, dalle
competenze tra gli uomini.
Si potrebbe dire perciò che l'idea specifica che distingue gli anarchici è l'abolizione del gendarme,
l'esclusione dai fattori sociali della regola imposta mediante la forza, brutale, legale o illegale che sia.
Ma allora, si potrà domandare, perchè nella lotta attuale, contro le istituzioni politico-sociali, che
giudicano oppressive, gli anarchici hanno predicato epraticato, e predicano e praticano, quando
possono, l'uso dei mezzi violenti che pur sono in evidente contraddizione coi fini loro? E questo al
punto che, in certi momenti, molti avversari in buona fede han creduto, e tutti quelli in mala fede. han
finto di credere, che il carattere specifico dell'anarchismo fosse proprio la violenza?
La domanda può sembrare imbarazzante, ma vi si può rispondere in poche parole. Gli è che perchè
due vivano in pace bisogna che tutti e due vogliano la pace; chè se uno dei due si ostina a volere colla
forza obbligare l'altro a lavorare per lui e a servirlo, l'altro se vuoI conservare dignità di uomo e non
essere ridotto alla più abbietta schiavitù, malgrado tutto il suo amore per la pace e il buon accordo.
sarà ben obbligato a resistere alla forza con mezzi adeguati. L'origine prima dei mali che han
travagliato e travagliano l'umanità, a parte s'intende quelli che dipendono dalle forze avverse della
natura, è il fatto che gli uomini non han compreso che l'accordo e la cooperazione fraterna sarebbe
stato il mezzo migliore per assicurare a tutti il massimo bene possibile, e i più forti e i più furbi han
voluto sottomettere e sfruttare gli altri, e quando sono riusciti, a conquistare una posizione
vantaggiosa han voluto assicurarsene e perpetuarne il possesso creando in loro difesa ogni specie di
organi permanenti di coercizione.
Da ciò è venuto che tutta la storia è piena di lotte cruenti: prepotenze, ingiustizie, oppressioni feroci
da una parte, ribellioni dall'altra. Non v'è da fare distinzioni di partiti: chiunque ha voluto
emanciparsi, o tentare di emanciparsi, ha dovuto opporre la forza alla forza, le armi alle armi. Però
ciascuno, mentre ha trovato necessario e giusto adoperare la forza per difendere la propria libertà, i
propri interessi, la propria classe, il proprio paese, ha poi, in nome di una morale sua speciale,
condannata la violenza quando questa si rivolgeva contro di lui per la libertà, per gli interessi, per la
classe, per il paese degli altri. Così, quegli stessi che, per esempio qui in Italia, glorificano a giusta
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ragione le guerre per l'indipendenza ed erigono marmi e bronzi in onore di Agesilao Milano, di Felice
Orsini, di Guglielmo Oberdan e quelli che hanno sciolto inni appassionati a Sofia Perovskaja e altri
martiri di paesi lontani, han poi trattati da delinquenti gli anarchici quando questi sono sorti a
reclamare lalibertà integrale e la giustizia uguale per tutti gli esseri umani e hanno francamente
dichiarato che, oggi come ieri, fino a quando l'oppressione e il privilegio saran difesi dalla forza bruta
delle baionette, l'insurrezione popolare, la rivolta dell'individuo e della massa, resta il mezzo
necessario per conseguire l'emancipazione.
Ricordo che in occasione di un clamoroso attentato anarchico, uno che figurava allora nelle prime file
del partito socialista e tornava fresco fresco dalla guerra turco-greca, gridava forte, con l'approvazione
dei suoi compagni, che la vita umana è sacra sempre e che non bisogna al tentarvi nemmeno per la
causa della libertà. Pare che facesse eccezione la vita dei turchi e la causa dell'indipendenza greca.
Illogicità, o ipocrisia?
Eppure la violenza anarchica è la sola che sia giustificabile, la sola che non sia criminale. Parlo
naturalmente della violenza che ha davvero i caratteri anarchici, e non di questo o quel fatto di
violenza cieca e irragionevole che è stato attribuito agli anarchici, o che magari è stato commesso da
veri anarchici spinti al furore da infami persecuzioni, o accecati, per eccesso di sensibilità non
temperato dalla ragione, dallo spettacolo delle ingiustizie sociali, dal dolore per il dolore altrui. La
vera violenza anarchica è quella che cessa dove cessa la necessità della difesa e della liberazione. Essa
è temperata dalla coscienza che gl'individui presi isolatamente sono poco o punto responsabili della
posizione che ha fatto loro l'eredità e l'ambiente; essa non è ispirata dall'odio ma dall'amore; ed è
santa perchè mira alla liberazione di tutti e non alla sostituzione del proprio dominio a quello degli
altri.
Vi è stato in Italia un partito che, con fini di alta civiltà, si è adoperato a spegnere nelle masse ogni
fiducia nella violenza, ed è riuscito a renderle incapaci a ogni resistenza quando è venuto il fascismo,
mi è parso che lo stesso Turati ha più o meno chiaramente riconosciuto e lamentato il fatto nel suo
discorso di Parigi per la commemorazione di Jaurès. Gli anarchici non hanno ipocrisia.
La forza bisogna respingerla colla forza: oggi contro le oppressioni di oggi; domani contro le
oppressioni che potrebbero tentare di sostituirsi a quelle di oggi.
Noi vogliamo la libertà per tutti, per noi e per i nostri amici come per i nostri avversari e nemici.
Libertà di pensare e di propagare il proprio pensiero, libertà di lavorare e di organizzare la propria vita
nel modo che piace; non libertà, s'intende - e si prega i comunisti di non equivocare -non libertà di
sopprimere la libertà e di sfruttare il lavoro degli altri.

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