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Indice

1 Archi e Angoli 5

2 Funzioni goniometriche 8 2.1 Relazioni tra funzioni goniometriche . . . . . . . . . . . . . . . 13 2.2 Formule goniometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 3 Archi o angoli associati 17

4 Equazioni e disequazioni goniometriche 21 4.1 Equazioni goniometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 4.2 Disequazioni goniometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 5 I triangoli 34 5.1 I triangoli rettangoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 5.2 I triangoli qualunque . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 6 Coordinate polari 7 Numeri complessi 7.1 Denizione e rappresentazione cartesiana . . . . . . . . . . . . 7.2 Operazioni con i numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3 Rappresentazione trigonometrica di un numero complesso . . . 49 51 51 52 54

8 Matrici 55 8.1 Operazioni con le matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

8.2 Determinante di una matrice quadrata . . . . . . . . . . . . . 59 8.3 Matrice inversa di una matrice quadrata . . . . . . . . . . . . 61
9 Trasformazioni geometriche 10 Sistemi lineari 10.1 Sistemi e matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.2 Caso particolare: sistema n equazioni, n incognite 10.3 Caso generale: sistema m equazioni, n incognite . 10.3.1 Metodo di eliminazione di Gauss . . . . . 63

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68 69 75 76 77

11 Vettori 78 11.1 Il piano vettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 12 Spazi vettoriali 84 12.1 Basi e dimensione di uno spazio vettoriale . . . . . . . . . . . 86 13 Rette e piani nello spazio 13.1 La retta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.1.1 Rette parallele e perpendicolari . . . . . . . . . 13.2 Il piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.2.1 Fasci di piani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.3 Posizioni relative tra piani e rette nello spazio . . . . . 13.3.1 Distanze punto-piano, retta-piano e piano-piano 13.3.2 Angolo tra retta e piano . . . . . . . . . . . . . 14 Poliedri regolari 14.1 I poliedri . . . . . . . . . . . . 14.2 Prismi . . . . . . . . . . . . . 14.3 Parallelepipedi . . . . . . . . 14.4 Cubo . . . . . . . . . . . . . . 14.5 Piramidi e tronchi di piramide 14.5.1 Tronco di piramide . .

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88 88 90 91 95 97 98 101

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102 . 104 . 107 . 110 . 113 . 114 . 118

15 I solidi di rotazione 15.1 Il cilindro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.2 Il cono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.3 Il tronco di cono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.4 La sfera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.4.1 Posizioni relative di un piano e di una sfera 15.4.2 Parti della supercie sferica . . . . . . . . . 15.4.3 Parti della sfera . . . . . . . . . . . . . . . .

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122 . 122 . 124 . 125 . 127 . 128 . 130 . 132

Capitolo 1 Archi e Angoli


Distinguiamo subito i concetti di angolo e arco.
Si denisce angolo ciascuna delle due parti del piano in cui esso

diviso da due semirette (dette lati) uscenti da uno stesso punto O (detto vertice).
Si denisce arco la parte di circonferenza inclusa in un angolo al centro

della circonferenza stessa.

Figura 1.1. Esempio di angolo.

Figura 1.2. Esempio di arco. La linea rossa detta arco sotteso dall'angolo AB.

In particolare, un angolo si dice orientato quando i suoi lati sono considerati in un certo ordine. Pensando ad un angolo come generato dalla rotazione del primo lato (lato origine) verso il secondo (lato termine), no alla sovrapposizione dei due, si ha:
angolo positivo quando descritto dal lato origine tramite una rota-

zione antioraria attorno all'origine (gura 1.3).


angolo negativo quando descritto dal lato termine tramite una ro-

tazione oraria attorno all'origine (gura 1.4).

Figura 1.3. Angolo positivo

Figura 1.4. Angolo negativo

Per misurare un angolo le unit di misura sono:


grado: la 360ma parte dell'angolo giro; i suoi sottomultipli pi usati

sono:
 il minuto primo : la 60ma parte del grado ;  il minuto secondo : corrisponde alla 60ma parte del minuto primo.

Questo sistema, in base 60, detto sessagesimale.


radiante: corrisponde, all'angolo al centro di una circonferenza di rag-

gio arbitrario che sottende un arco di lunghezza uguale al raggio della circonferenza. 6

Per misurare gli archi, invece, si assume come unit di misura l'arco il cui angolo al centro corrisponde all'unit di misura degli angoli, ossia:
arco grado : l'arco di circonferenza che corrisponde all'angolo al centro

di un grado;
arco radiante : che l'arco di circonferenza che corrisponde all'angolo

al centro di un radiante. Le formule di conversione per passare da gradi a radianti e viceversa sono le seguenti:
= 360 rad 2 2 360

rad =

30 45 60 90 180 270 360

rad 6 4 3 2 3 2 2

Tabella degli angoli noti.

La tabella accanto riporta le corrispondenze tra angoli gradi e angoli radianti degli angoli pi noti e pi usati in goniometria.

Capitolo 2 Funzioni goniometriche


Consideriamo una circonferenza goniometrica con centro nell'origine degli assi e raggio r = 1. Sia un angolo orientato e sia B il punto della circonferenza associato ad .

Figura 2.1. Circonferenza goniometrica

il coseno di , ovvero cos, l'ascissa del punto B. il seno di , ovvero sen , l'ordinata del punto B. la tangente di , ovvero tan, denita come il rapporto, se esiste,

tra l'ordinata e l'ascissa del punto B o, analogamente, come il valore 8

dell'ordinata del punto T :


tan = y sen = =y x cos
B B T

Per ogni valore dell'angolo esiste uno ed un solo punto della circonferenza, che ha raggio 1, motivo per cui:
1 cos 1 1 sen 1

Invece, la tangente di un angolo ha come limite la non esistenza quando il punto B si trova sull'asse delle ordinate, poich sarebbe cos = 0 e la divisione per zero non consentita.
tan (, +) =
+ k 2

Per ciascuna delle funzioni goniometriche fondamentali, seno, coseno e tangente, ne esiste la reciproca, dette rispettivamente secante, cosecante e cotangente, e riportate nella tabella successivala insieme alla condizione di esistenza corrispondente:

F unzione

F unzione reciproca

Condizione esistenza

sen cos tan

sec =

sen
1

sen = 0 ( = + k ) cos = 0 ( =
+ k ) 2

cos cos cotan = sen

cosec =

sen = 0 ( = + k )

Riportiamo di seguito i graci delle funzioni seno, coseno e tangente, con le tabelle dei corrispondenti valori notevoli.

x
0 2 3 2 2

cosx
1 0 1 0 1

Figura 2.2. Graco del coseno

Figura 2.3. Tabella dei valori

x
0 2 3 2 2

sen x
0 1 0 1 0

Figura 2.4. Graco del seno

Figura 2.5. Tabella dei valori

10

x
0 2 3 2 2

tanx
0

non esiste
0

non esiste
0

Figura 2.6. Graco della tangente

Figura 2.7. Tabella dei valori

Dalle immagini si pu osservare che le funzioni goniometrice sono periodiche, ossia p > 0 tale che per ogni x e per ogni numero intero k si ha che f (x) = f (x + kp). In particolare, seno e coseno hanno periodo 2 , mentre la tangente ha periodo pari a . Dato k Z allora:
cos = cos( + 2k ) sen = sen( + 2k ) tan = tan( + k )

In ultimo, le funzioni seno, coseno e tangente risultano essere invertibili rispettivamente negli intervalli , , [0, ] e , .
2 2 2 2

11

In tali intervalli le funzioni inverse sono rispettivamente:


arcoseno : dati due numeri reali, 1 x 1 e y , diremo 2 2 che arcosenoy l' di x se x il seno di y, ovvero y = arc sen x se

x = sen y.
arcocoseno: dati due numeri reali, 1 x 1 e 0 y , diremo

che y l'arcocoseno di x se x il coseno di y, ovvero y = arc cosx se x = cosy.


arcotangente : dati due numeri reali, < x < + e

diremo che y l'arcotangente di x se x la tangente di y, ovvero y = arc tanx se x = tany.

<y< , 2 2

Esempi:
Se y = arc cos(1) signica che y l'angolo il cui coseno vale 1,

cio y = 0 ;
Se y = arc sen(1) signica che y l'angolo il cui seno vale 1, cio y = ; 2 Se y = arc tan(0) signica che y l'angolo la cui tangente vale 0,

cio y = 0 .

12

2.1 Relazioni tra funzioni goniometriche


La relazione fondamentale della goniometria, di cui ne omettiamo la dimostrazione, la seguente:
cos2 + sen2 = 1

Sulla base di tale relazione, seguono i seguenti valori notevoli:

= 30 =

sen

1 = 6 2

3 cos = 6 2

= 45 =

2 cos = 4 2 2 sen = 4 2

13

= 60 =

cos =

1 2

3 sen = 3 2

Riassumiamo di seguito le principali relazioni tra funzioni goniometriche.

Relazioni tra funzioni goniometriche:


sen2 + cos2 = 1 ; sen con = + k ; cos 2 cos cotan = con = + k ; sen tan = cosec = sec = 1

cos
1

con =

+ k ; 2

sen

con = + k .

14

2.2 Formule goniometriche


Addizione e sottrazione

cos( + ) = coscos sen sen cos( ) = coscos + sen sen sen( + ) = sen cos + cos sen sen( ) = sen cos cos sen tan( + ) = tan( ) = tan + tan 1 tan tan tan tan 1 + tan tan

Duplicazione

cos(2) = 1 2 sen2 = 2cos2 1 sen(2) = 2 sen cos tan(2) =


2 tan 1 tan2

15

Bisezione

cos sen tan

= 2 = 2 = 2

1 + cos 2 1 cos 2 1 cos 1 + cos

Formule parametriche razionali

Ponendo t = tan
cos = sen =
1 t2 1 + t2 2t 1 + t2

: 2

Formule di prostaferesi

sen p + sen q = 2 sen sen p sen q = 2 cos cosp + cosq = 2 cos cosp cosq = 2 sen

p+q pq cos 2 2 p+q pq sen 2 2

p+q pq cos 2 2 p+q pq sen 2 2

16

Capitolo 3 Archi o angoli associati


Gli angoli le cui funzioni goniometriche (seno, coseno, tangente, cotangente) hanno lo stesso valore, a meno del segno (che pu essere diverso), sono detti angoli associati. Due angoli e si dicono:
complementari : se la loro somma, a meno di 2k (k = 0, 1, 2, . . . ),

un angolo retto:
+ =

+ 2k 2

supplementari se la loro somma, a meno di 2k (k = 0, 1, 2, . . . ),

un angolo piatto:
+ = + 2k opposti se, a meno di 2k (k = 0, 1, 1, . . . ), dieriscono solo di segno: = =

17

Esempio di angoli complementari:


sen cos tan
= cos 2 = sen 2 = cotan 2 = tan 2

cotan

Esempio di angoli supplementari:

sen( ) = sen cos( ) = cos tan( ) = tan cotan( ) = cotan

18

Esempio di angoli opposti:

sen() = sen cos() = cos tan() = tan cotan() = cotan

Esempio di angoli che dieriscono per un angolo retto:


sen cos tan
+ = cos 2 + = sen 2 + = cotan 2 + = tan 2

cotan

19

Esempio di angoli che dieriscono per un angolo piatto:

sen( + ) = sen cos( + ) = cos tan( + ) = tan cotan( + ) = cotan

Esempio di angoli che dieriscono per

3 : 2

sen cos tan

3 + = cos 2 3 + = sen 2

3 + = cotan 2 3 + = tan 2

cotan

20

Capitolo 4 Equazioni e disequazioni goniometriche


4.1 Equazioni goniometriche
Un'identit goniometrica un'uguaglianza tra espressioni che contengono funzioni goniometriche di uno o pi angoli e che risulta vera per qualunque valore attribuito agli angoli, con esclusione, al pi, di quei valori per cui l'uguaglianza perde di signicato. Analogamente un'equazione si dice goniometrica se contiene almeno una funzione goniometrica nel cui argomento gura l'incognita.
1) Equazioni goniometriche ELEMENTARI Un'equazione goniometrica si dice elementare se del tipo:
sen x = a, cosx = b, tanx = c, con a, b, c R

Ricordando che le funzioni seno e coseno assumono solo valori compresi tra -1 e 1, si avr che un'equazione elementare del tipo sen x = a (rispettivamente cosx = b) :
Determinata : se 1 a 1 (rispettivamente 1 b 1) ;

21

Impossibile : se a < 1 oppure a > 1

(rispettivamente b < 1 oppure b > 1) Per quanto riguarda, invece, un'equazione elementare del tipo tanx = c, essa risulta determinata per ogni valore di c, in quanto la tangente assume valori su tutto R.

Esempio:
sen x 1 5 = 0 = x = + 2 k ; x = +2 k 2 6 6

un'equazione goniometrica determinata.


2 x sen 1 =0 4 2 5 4

non un'equazione goniometrica.


5 >1 4

sen x =

un'equazione goniometrica impossibile perch

Per risolvere equazioni goniometriche non elementari, si deve:


esprimere le diverse funzioni mediante una di esse; risolvere l'equazione ottenuta rispetto a tale funzione; risolvere le equazioni elementari che si ottengono.

22

Esempio:

2 sen2 x + 5cosx 4 = 0

2(1 cos2 x) + 5cosx 4 = 0 2cos2 x 5cosx + 2 = 0 Nessuna soluzione 5 25 16 cosx = 2 cosx = = 1 cosx = 4 x = + 2k 2 3

2) Equazioni goniometrice LINEARI Un'equazione goniometrica si dice lineare in sen x e cosx se possibile ricondurla alla forma:
a sen x + b cosx + c = 0 , a, b, c R , a = 0 e b = 0

Essa pu essere risolta attraverso tre diversi metodi:


metodo algebrico; metodo graco; metodo dell'angolo aggiunto.

Esempio metodo algebrico c = 0:


3cosx sen x = 0

Poich cosx risulta essere sicuramente diverso da zero (se fosse zero, infatti, vorrebbe dire x = + k , che non soluzione dell'equazione) allora:
2

cosx

3cosx

sen x = 3 tanx = 0 = tanx = 3 = x = + k cosx 3

23

Esempio metodo algebrico c = 0:


sen x + cosx 1 = 0

Dopo aver vericato che x = + 2k non soluzione dell'equazione, sfruttiamo le formule parametriche:
cos =
1 t2 1 + t2 ;

sen =

2t 1 + t2

t = tan

sostituendole nell'equazione:
2t 1 t2 + 1 = 2t + 1 t2 1 t2 = 2t2 + 2t = 0 1 + t2 1 + t2 = 2t(t 1) = 0 = t = 0 t = 1 = tan

x
2

= 0 tan

x
2

=1

x
2

= k

x
2

+ k 4 + 2k 2

= x = 2k x =

24

Esempio metodo graco:


3cosx + sen x = 3

Mettiamo a sistema l'equazione da risolvere con la relazione fondamentale della goniometria (che sappiamo valere sempre):
3cosx + sen x = 3 cos2 x + sen2 x = 1

Poniamo adesso cosx = X e sen x = Y ed il sistema diventa:


3X + Y = 3 equazione di una retta X 2 + Y 2 = 1 equazione di una circonferenza

Risolvendolo si ottengono i due punti:


X = 1 = cosx E Y = 0 = sen x 1 X = = cosx 2 A Y = 3 = sen x 2 x = 2k

x=

+ 2k 3

3) Equazioni OMOGENEE di II grado Se possibile ricondurre un'equazione goniometrica alla forma:


a sen2 x + b sen x cosx + c cos2 x = 0 , a, b, c R , a = 0 e b = 0

allora essa viene detta omogenea di secondo grado in sen x e cosx. 25

Esempio 1: caso a = 0 c = 0:
sen2 x 3 sen xcosx = 0

sen x (sen x 3cosx = 0)

sen x = 0 = x = k
+ k 3

sen x 3cosx = 0 = tanx =

3 = x =

Esempio 2: caso a = 0 e c = 0:
sen2 x (1 + 3) sen xcosx + 3cos2 x = 0
tan2 x (1 + 3)tanx + 3 = 0 3)2 4 3

tanx

(1 +
1,2

3)

(1 + 2

tanx = 1 = x =

+ k 4

tanx =

3 = x = + k 3

26

4) Equazioni goniometrice PARAMETRICHE Un'equazione goniometrica si dice parametrica quando dipende da un parametro reale, che indichiamo con k. Il numero di soluzioni varia al variare di k. Per risolvere questo tipo di equazioni si usa il metodo graco. Esempio di equazione parametrica elementare:
sen x = 2k 1 con 0 x
3 = y = sen x y = 2k 1

Determiniamo k in corrispondenza dei valori di y agli estremi dell'intervallo da considerare:


x =0 y=0 2k 1 = 0 x = 3 3 y= 2 2k 1 = 3 2 x =0 = y = 0 k = 1 2 x = 3 3 = y = 2 k = 3 + 2 4 3+2 . 4 3

Guardando il graco, vediamo che l'equazione ha una soluzione in 0,


1 quando k 2

27

Esempio di equazione parametrica lineare:


2cosx k sen x + 1 = 0 con 0 < x < 2

Poniamo X = cosx , Y = sen x e risolviamo:


1 2X kY + 1 = 0 fascio di rette di centro C , 0 2 2 2 X +Y =1 circonferenza di centro O (0, 0) e raggio 1 0 < x < 2

Determiniamo k in corrispondenza della retta passante per il punto A = cos ; sen = (0; 1) k + 1 = 0 k = 1
2 2

Disegniamo la circonferenza goniometrica e le rette corrispondenti a k = 0 e k = 1. Guardando il graco, per k > 1 avremo una sola soluzione (intersezione tra retta e circonferenza).

5) Sistemi di equazioni Un sistema di equazioni goniometriche un insieme di due o pi equazioni goniometriche nelle stesse incognite.

Le soluzioni del sistema sono le soluzioni comuni a tutte le equazioni che lo compongono.

28

Esempio:
x + y = 2 sen x + sen y = 1 x = y 2 = sen y + sen y = 1 2

Ricordando che sen y = cosy e risolvendo l'equazione lineare goniome2 trica con le formule parametriche, otteniamo i seguenti risultati:
y = 2k x =
2

y =

+ 2k

2k

x = 2k

4.2 Disequazioni goniometriche


Una disequazione si dice goniometrica se contiene almeno una funzione goniometrica dell'incognita.
1) Disequazione goniometrica ELEMENTARE Una disequazione goniometrica si dice elementare se del tipo:
sen x > a, cosx b, tanx < c, con a, b, c R

Esse si possono risolvere in due modi:


utilizzando il graco della funzione goniometrica; utilizzando la circonferenza goniometrica.

29

Esempio di utilizzo del graco della funzione:


cosx <
1 2 1 in [0, 2 ]: 2

Risolviamo la sua equazione associata cosx =

x=

x=

5 3

Tracciamo il graco della funzione cosx nell'intervallo [0, 2 ] e il graco della 1 retta y = .
2

Poich deve essere cosx < , gracamente dobbiamo considerare la parte di cosinusoide che sta strettamente sotto la retta y = .
5 + 2k < x < + 2k 3 3 1 2

1 2

30

Esempio di utilizzo della circonferenza goniometrica:


cosx <
1 2

Disegniamo la circonferenza goniometrica e nel cerchio evidenziamo i punti 1 5 P e Q di ascissa uguale a : essi corrispondono agli angoli e , soluzioni 2 3 3 dell'equazione associata.

Considerando tutti gli angoli a cui corrisponde sulla circonferenza un punto 1 di ascissa minore di e considerando anche la periodicit della funzione 2 coseno, le soluzioni sono:
5 + 2k < x < + 2k 3 3

2) Disequazione goniometrica LINEARE Una disequazione goniometrica si dice lineare in sen x e cosx se possibile ricondurla ad una di queste forme:
a sen x + bcosx + c > 0 a sen x + bcosx + c 0

31

a sen x + bcosx + c < 0 a sen x + bcosx + c 0 con a, b, c R, a = 0, b = 0

Le disequazioni lineari in sen x e cosx si risolvono in modo analogo alle equazioni lineari. Si possono usare diversi metodi:
metodi graci tramite l'utilizzo della circonferenza goniometrica o i

graci delle funzioni sen x e cosx;


metodi non graci tramite l'utilizzo delle formule parametriche.

2) Disequazione goniometrica OMOGENEA DI 2 GRADO Una disequazione goniometrica si dice omogenea di 2 grado in sen x e cosx se possibile ricondurla ad una di queste forme:
a sen2 x + b sen xcosx + ccos2 x > 0 a sen2 x + b sen xcosx + ccos2 x 0 a sen2 x + b sen xcosx + ccos2 x < 0 a sen2 x + b sen xcosx + ccos2 x 0

con a, b, c R non contemporaneamente nulli Esse si risolvono con i metodi graci.


3) Disequazione goniometrica FRAZIONARIA Una disequazione goniometrica si dice frazionaria se presenta l'incognita al denominatore. Per risolvere una disequazione frazionaria, bisogna analizzare il segno del numeratore e del denominatore.

32

Esempio di utilizzo della circonferenza goniometrica:


0, 0 x 2 2 2 N : 2 sen2 x 1 0 = sen x sen x 2 2 2 sen2 x 1

cosx

3 5 7 x x 4 4 4 4 3 < x < 2 2 2

D : cosx > 0 = 0 < x <

Nel graco riportato di seguito sono rappresentati, sulla circonferenza goniometrica, i segni del numeratore (in arancione) e quelli del denominatore (in azzurro); calcolando il prodotto dei segni, si ottengono gli intervalli di soluzione della disequazione goniometrica frazionaria (scritti al di fuori della circonferenza goniometrica in nero):
0x 3 <x 2 4 3 5 <x 4 2 7 < x 2 4 4

33

Capitolo 5 I triangoli
5.1 I triangoli rettangoli
Un triangolo si dice rettangolo se ha un angolo pari a 90 ; di seguito elenchiamo, senza dimostrare, due teoremi inerenti a tali triangoli.
Primo teorema dei triangoli rettangoli

In un triangolo rettangolo la misura di un cateto uguale a quella dell'ipotenusa per il seno dell'angolo opposto al cateto o per il coseno dell'angolo adiacente al cateto.
Secondo teorema dei triangoli rettangoli

In un triangolo rettangolo la misura di un cateto uguale a quella dell'altro cateto per la tangente dell'angolo opposto o per la cotangente dell'angolo adiacente al cateto.

34

a = c sen = c cos = b tan = b cotan b = c sen = c cos = a tan = a cotan

Risolvere un triangolo rettangolo signica determinare le misure dei suoi lati e dei suoi angoli conoscendo almeno un lato e un altro dei suoi elementi (un angolo o un lato). Proponiamo quattro casi: due casi in cui si conoscono due lati e due casi in cui si conoscono un lato e un angolo.

35

Primo caso: sono noti due cateti.

Siano noti due cateti, a e b, supponiamo si vogliano trovare , e c. Per il a secondo teorema dei triangoli rettangoli tan = , cio b a = arc tan b Ricordando che + = , si ha:
= 2 2

c=

a sen

36

Secondo caso: sono noti un cateto e l'ipotenusa.

Siano noti a e c e si vogliano trovare , e b. a Dal primo teorema abbiamo: sen = ovvero c a = arc sen c A questo punto, per la stessa considerazione fatta nell'esempio precedente, si ha:
= 2

b=

c = c sen cos

37

Terzo caso: sono noti un cateto e un angolo acuto.

Siano noti a e , vogliamo determinare , b e c. Si osservi che banalmente risulta


= 2

Ora, per il secondo teorema dei triangoli rettangoli:


b = a tan

Applicando inne il teorema di Pitagora, si ha:


c= a2 + b2

38

Quarto caso: sono noti l'ipotenusa e un angolo acuto.

Siano noti c e , vogliamo determinare , a e b. Come prima si ha


= 2

Poi, per il primo teorema dei triangoli rettangoli:


a = c sen = c cos b = c cos = c sen

39

5.2 I triangoli qualunque


Anche in tal caso, enunciamo, senza dimostrare, i teoremi che, direttamente o indirettamente, hanno a che fare con i triangoli qualunque.
AREA di un triangolo

La misura dell'area di un triangolo qualsiasi uguale al semiprodotto delle misure di due lati e del seno dell'angolo fra di essi compreso.

Figura 5.1. Caso acuto


Teorema della CORDA

Figura 5.2. Caso ottuso

In una circonferenza la misura di una corda uguale al prodotto del diametro per il seno di uno degli angoli alla circonferenza che insistono sulla corda.
Teorema dei SENI

In un triangolo, le misure dei lati sono proporzionali ai seni degli angoli opposti.
Teorema di CARNOT o del COSENO

In un triangolo, il quadrato della misura di un lato uguale alla somma dei quadrati delle misure degli altri due, diminuita del doppio prodotto della misura di questi due lati per il coseno dell'angolo fra essi compreso. 40

Figura 5.3. Teorema della corda

Figura 5.4. Teorema dei seni

Figura 5.5. Teorema di Carnot o del coseno Analogamente al caso dei triangoli rettangoli, risolvere un triangolo signica determinare le misure dei suoi lati e dei suoi angoli, conoscendo almeno un lato e altri due suoi elementi. Esaminiamo i quattro possibili casi.

41

Primo caso: sono noti un lato c e due angoli adiacenti , .

si determina il terzo angolo = ( + ); si applica il teorema dei seni per ricavare gli altri due lati a e b.

42

Secondo caso: sono noti due lati b e c e l'angolo tra essi compreso.

si determina il terzo lato a utilizzando il teorema del coseno; si determina l'angolo utilizzando il teorema del coseno; si determina il terzo angolo = ( + ).

43

Terzo caso: sono noti due lati a e b e l'angolo opposto ad uno di essi.

si determina utilizzando il teorema dei seni; si determina il terzo angolo = ( + ); si determina il terzo lato c applicando il teorema dei seni.

44

Quarto caso: sono noti i tre lati a, b e c.

si applica il teorema del coseno per trovare due angoli; si determina il terzo angolo = ( + ).

45

Deniamo ora, senza dimostrare, alcune formule utili per i triangoli qualsiasi; esse derivano dall'applicazione dei teoremi di trigonometria.
Formule di Briggs
p=
(a + b + c) 2

sen

= 2

(p b)(p c)

bc

; cos

= 2

p(p a) bc p(p b) ca p(p c) ab

sen

(p c)(p a)

ca

; cos

sen

(p a)(p b)

ab

; cos

Formula di Erone

p=

(a + b + c) 2

p(p a)(p b)(p c)

46

Raggio di una circonferenza inscritta a un triangolo

tan

= 2

(p b)(p c) p(p a)

r=

p(p a)(p b)(p c) = (p a)tan p 2

Raggio di una circonferenza circoscritta a un triangolo

Dal teorema della corda:


a = 2r sen , b = 2r sen , c = 2r sen

r=

a b c = = 2 sen 2 sen 2 sen

47

Bisettrici di un triangolo

Deniamo b la bisettrice dell'angolo , b quella dell'angolo e b quella dell'angolo . Le formule sono le seguenti:
b = b = b =
2bc cos b+c 2 2ac cos a+c 2 2ab cos a+b 2

Mediane di un triangolo

Deniamo m la mediana relativa al lato a, m quella relativa al lato b e m quella relativa al lato c.
a b

m =
a

2b2 + 2c2 a2 2

m =
b

2a2 + 2c2 b2 2

m =
c

2a2 + 2b2 c2 2

48

Capitolo 6 Coordinate polari


Fissato sul piano un punto O, detto polo, e una semiretta Ox, detta asse polare, un qualsiasi punto P del piano pu essere determinato dati la sua distanza r dall'origine, detta raggio vettore o modulo, e, scelto un verso positivo delle rotazioni intorno al polo, l'angolo orientato , detto argomento o anomalia, di cui l'asse polare deve ruotare per sovrapporsi a OP.
P (x ; y ) coordinate cartesiane
P P

r distanza di P dall'origine
ampiezza dell'angolo xOP

P (r; ) coordinate polari x asse polare

Figura 6.1. Coordinate polari

O polo

49

ovviamente possibile passare da un sistema di coordinate ad un altro.


Coordinate cartesiane Coordinate polari

Per trasformare le coordinate cartesiane di un punto P (x ; y ) in coordinate polari, si utilizzano le seguenti formule:
P P

r=

x2 + y2
P

tan =

y x

si determina in base al quandrante in cui si trova il punto: yP se il punto appartiene al I quadrante; = arc tan x P y = arc tan P + k se il punto appartiene al II o al III quadrante; xP y = arc tan P + 2 se il punto appartiene al IV quadrante.

Coordinate polari Coordinate cartesiane

Per trasformare le coordinate polari di un punto (r; ) in coordinate cartesiane, si usano le seguenti formule:
xP = rcos y = r sen
P

50

Capitolo 7 Numeri complessi


7.1 Denizione e rappresentazione cartesiana
Dal momento in cui espressioni del tipo
9 , (k 2 + 1)

non hanno alcun signicato nel campo reale, stata necessaria l'estensione al campo dei numeri complessi, introducendo i numeri immaginari.
Si chiama unit immaginaria quel numero complesso tale che:

i2 = 1
Si denisce numero complesso z il seguente numero:

z=a+i b a = parte reale di z ; b = parte immaginaria di z.

a, b R

L'insieme dei numeri complessi si indica con C

51

I numeri complessi possono essere rappresentati come punti di un particolare piano cartesiano, detto piano di Argand-Gauss ; in esso la parte reale del numero complesso indicata dall'ascissa, la parte immaginaria dall'ordinata; per tale motivo, l'asse x detto asse reale, mentre l'asse y detto asse immaginario. sempre possibile, quindi, associare al numero complesso z = a + ib un vettore OP di componenti (a; b) e viceversa, cio ad ogni vettore OP di componenti (a; b) si pu associare il numero complesso z = a + ib.

z = a + ib OP = (a; b) a=x
; b = yP

7.2 Operazioni con i numeri complessi


Diamo dapprima le seguenti denizioni.
Due numeri complessi si dicono uguali se hanno uguali rispettivamente

la parte reale e la parte immaginaria.


a + i b = c + i d a = c b = d

Se ci non si verica, per, contrariamete a quanto avveniva per i numeri reali, non si pu stabilire tra di loro una relazione di "maggiore" o "minore". 52

Due numeri complessi si dicono coniugati se hanno uguale la parte

reale e opposti i coecienti della parte immaginaria.


z = a + i b = z=ai b
Due numeri complessi si dicono opposti quando hanno opposte sia la

parte reale che la parte immaginaria.


Il valore assoluto di un numero complesso il modulo del vettore ad

esso associato, ossia:


| z |=| a + i b |=

a2 + b2

A questo punto, riportiamo di seguito le quattro operazioni fondamentali tra numeri complessi.
Somma: (a + i b ) + (c + i d ) = (a + c )+ i (b + d). Sottrazione: (a + i b ) - (c + i d ) = (a - c )+ i (b - d). Moltiplicazione: (a + i b ) (c + i d ) = (ac - bd )+ i (ad + bc). Divisione: (a + i b) : (c + i d) = [(a + i b)(c i d)] . c2 + d2

53

7.3 Rappresentazione trigonometrica di un numero complesso


Dato un numero complesso z = a + i b, ad esso associato il vettore di coordinate cartesiane (a; b), che a loro volta possono essere trasformate in coordinate polari:
r= a2 + b2

b a Ma le coordinate cartesiane sono denite in funzione di queste nella seguente maniera:


= arc tan

a = rcos b = r sen

Quindi, un numero immaginario z = a + i b pu essere scritto in forma trigonometrica:


z = r(cos + i sen )

A questo punto, per calcolare la potenza n -esima (n N) di un numero complesso si usa la formula di De Moivre :
Potenza n -ima: zn = rn (cos(n ) + i sen(n ))

54

Capitolo 8 Matrici
Una matrice (di numeri) una tabella ordinata di m n numeri, reali o complessi, disposti su m -righe e n -colonne.

Am,n

1,1 a2,1 = . . .

a1,2 a2,2 . ... . .

a1,n a2,n . . .

am,1 am,2 am,n

Le matrici si indicano con le lettere maiuscole dell'alfabeto, mentre gli elementi delle matrici si indicano con la stessa lettera minuscola seguita da due indici che permettono di individuare la posizione che ciascun elemento occupa nella matrice stessa. Illustriamo ora matrici particolari.

Vettore riga: una matrice avente solo una riga. = a1,1 a1,1

a1,n

55

Vettore colonna: una matrice avente solo una colonna.

1,1 a2,1 B = . . .

am,1

Matrice quadrata: quando ha lo stesso numero di righe e di colonne,

m = n. Tale numero si chiama ordine della matrice quadrata.

Se il numero di righe non uguale al numero di colonne la matrice si dice rettangolare.


a a 1,1 1,2 a2,1 a2,2 = . . . . . . an,1 an,2

An,n

a1,n a2,n ... . . .


an,n

In una matrice quadrata:


 ai,j elemento della diagonale principale i = j ;  ai,j elemento della diagonale secondaria i + j = n + 1
Matrice nulla: quando ha tutti gli elementi uguali a zero.
On,n

0 0 0

0 = . . . 0

. . .

0 0 ... . . . 0

56

Matrice identit: una matrice quadrata con tutti gli elementi nul-

li, tranne quelli della diagonale principale, che sono uguali a 1. Una matrice identit si indica con I.
1 0 = . . . 0 0 1 0 0 ... . . . 1

In,n

. . .

8.1 Operazioni con le matrici


Somma: la somma tra due matrici possibile solo se hanno la stessa

dimensione m n. In tal caso, la matrice risultante si ottiene sommando i rispettivi elementi delle matrici di partenza.
3 0 1 = 2 3 1 5 0 2
B3,3

A3,3

1 4 4 = 3 3 0 2 1 1

3 = 5 6 1 C = A + B = 2 + 3 3 3 1 + 0 5 2 0 + 1 2 + 1 3 1 1 31 0+4 14 2 4

57

Prodotto: il prodotto tra due matrici

e B denito se e solo se le matrici sono del tipo m p e p n. La matrice prodotto C = A B risulta essere una matrice di dimensione m n, il cui elemento generico c dato dalla somma dei seguenti prodotti:
A
i,j

c = a b + a b + + a b
i,j i,1 1,j i,2 2,j i,p

p,j

Osservazione: se risulta denito il prodotto A B, non detto che sia denito anche il prodotto B A e, comunque, seppure fosse denito, la matrice prodotto non risulterebbe essere per forza la stessa; il prodotto tra matrici, infatti, non commutativo.

A3,2

B2,2

= 1 2 2 3

1 2 3 2

C3,2

1 2 =AB= 7 2 11 2

Trasposizione: data una matrice A di dimensione m n, si dice trasposta di A e si indica AT la matrice di dimensione n m che si ottiene

da A scambiando ordinatamente le righe con le colonne.

A2,3

2 1 0

A3,2

T = 3 1 1 0

58

Prodotto matrice per scalare: data una matrice

e uno scalare k, la matrice prodotto k A di dimensione uguale ad A e si ottiene moltiplicando ciascun elemento di A per lo scalare k.
A

A2,3

1 3 5 4 7 6

k = 3 = kA =

15

12 21 18

8.2 Determinante di una matrice quadrata


In generale, il determinante di una matrice quadrata A , che si indica con det A oppure con | A |, un numero che ne sintetizza alcune propriet algebriche. Per calcolarlo, se la matrice costituita da un solo elemento, esso stesso sar il determinante; se una matrice di ordine 2, il determinante si ottiene moltiplicando i due elementi della diagonale principale e sottraendo il prodotto degli elementi della diagonale secondaria.
n n

A2,2

a1,1 a1,2 a2,1 a2,2

det A =

a1,1 a1,2 = a1,1 a2,2 a1,2 a2,1 a2,1 a2,2

Nel caso di matrici di ordine maggiore al secondo, invece, premettiamo le seguenti denizioni.
Minore di una matrice

: una qualunque matrice quadrata ottenuta da A eliminando alcune righe e alcune colonne.
A

Minore complementare di una matrice quadrata

: una qualunque matrice quadrata ottenuta da A eliminando una riga e una colonna.
A

59

Complemento algebrico dell' elemento ai,j di una matrice quadrata

: il determinante del minore complementare ottenuto eliminando l' i -esima riga e la j -esima colonna e preso col suo segno o con quello opposto a seconda che i +j sia pari o dispari. Si indica con A .
A
i,j

A questo punto, data per esempio una matrice di ordine 3, il suo determinate si ottiene sommando i prodotti degli elementi della prima riga per i rispettivi complementi algebrici.
a1,1 a1,2 a1,3 det A = a2,1 a2,2 a2,3 = a1,1 A1,1 + a1,2 A1,2 + a1,3 A1,3 a3,1 a3,2 a3,3

Esempio:
1 det A = 0 3 4 2 5 0 =1 4 5 0 5 3 0 0 4

3 6

6 0

3 6

= 1 30 3 (15) 2 (12) = 99

Per calcolare il determinante di matrici di ordine 3, inoltre, vale la seguente regola di Sarrus : bisogna riscrivere le prime due colonne accanto alle tre gi presenti e sommare i prodotti delle diagonali principali (frecce rosse) e sottrarre i prodotti delle diagonali secondarie (frecce blu).

= a1,1 a2,2 a3,3 + a1,2 a2,3 a3,1 + a1,3 a2,1 a3,2 a1,3 a2,2 a3,1 a1,1 a2,3 a3,2 a1,2 a2,1 a3,3

60

Di seguito, alcune importanti propriet del determinante:


se tutti gli elementi di una riga o di una colonna sono nulli allora il

determinante vale zero;


scambiando fra loro due righe o due colonne il determinante cambia di

segno;
se in una matrice due righe o due colonne sono proporzionali il deter-

minante vale zero;


moltiplicando ogni elemento di una riga o di una colonna per un numero

reale k allora il valore del determinante viene moltiplicato per k ;


se gli elementi di una riga o di una colonna sono somma di due addendi

allora il determinante uguale alla somma dei determinanti che hanno nella riga o nella colonna corrispondente rispettivamente come elementi il primo addendo e il secondo addendo;
il valore del determinante non cambia sommando a una riga o a una

colonna una qualunque combinazione lineare degli elementi delle altre righe o colonne;
il determinante di una matrice quadrata e della sua trasposta hanno lo

stesso valore.

8.3 Matrice inversa di una matrice quadrata


Sapendo che l'elemento neutro per il prodotto tra matrici la matrice identit, si chiama matrice inversa di una matrice quadrata A di ordine n la matrice A1 tale che A A1 = A1 A = In . 61

Osserviamo innanzitutto che una matrice invertibile se non singolare, cio ha determinante diverso da zero. Per la ricerca dell'inversa di una matrice quadrata A non singolare, deniamo A reciproco dell'elemento a il rapporto , dove A il complemento D algebrico di a e D il determinante di A. La matrice inversa viene calcolata nel metodo seguente:
i,j i,j i,j i,j

si sostituiscono tutti gli elementi della matrice con i rispettivi reciproci; la matrice cos ottenuta deve essere trasposta: si ottiene cos la matrice

inversa che si stava cercando. Per le matrici di ordine due e tre si sono gi visti i vari metodi per il calcolo del determinante, ma in generale, per una matrice di qualsiasi ordine, vale il seguente teorema.
Teorema 8.3.1 (Teorema di Laplace).

Il determinante di una matrice quadrata A dato dalla somma dei prodotti degli elementi di una qualsiasi riga o colonna per i rispettivi complementi algebrici. In formula:
n

| A |=
i,j =1

i,j

Ai,j

62

Capitolo 9 Trasformazioni geometriche


1) Anit: una trasformazione geometrica che trasforma rette in rette e mantiene il parallelismo.

Le equazioni di un'anit sono costituite dal seguente sistema lineare:


x = a x + b y + c y = a x + b y + c

con

a b =0 a b

Il valore assoluto del determinante rappresenta il rapporto di anit k.


 Se il determinante positivo, l'anit si dice diretta e nella trasformazione di un poligono ne conserva l'orientamento dei vertici;  se il determinante negativo, invece, l'anit si dice indiretta e nella trasformazione di un poligono ne inverte l'orientamento dei vertici.

Propriet delle anit:


 allineamento: tre o pi punti allineati si trasformano sempre in altrettanti punti ancora allineati;  parallelismo: rette tra esse parallele rimangono parallele;

63

 incidenza: se due rette si incontrano in un punto P, dopo la trasformazione si incontreranno in un punto P che risulta essere proprio il trasformato di P secondo le equazioni dell'anit;  trasformazione di coniche: ogni conica si trasforma in una conica dello stesso tipo (parabole in parabole, ellissi in ellissi e iperboli in iperboli), tranne la circonferenza che diventa un'ellisse;  rapporto tra le aree: il rapporto tra aree di gure corrispondenti determinate con la stessa anit risulta sempre costante e uguale al rapporto di anit k.

Le anit, in generale, non conservano n le distanze tra due punti n la forma delle gure geometriche.
2) Un'isometria una particolare anit che conserva le distanze tra punti.

Trattandosi di un'anit, vale sicuramente la condizione:


a b =0 a b

Inoltre, per, si sa che un'isometria trasforma una gura in un'altra ad essa congruente, quindi l'area di una gura deve essere equivalente a quella della sua trasformata. Perch ci avvenga, il rapporto di anit deve valere necessariamente 1 o -1, ossia
a b = 1 a b

Inne, si deve imporre la condizione di conservazione della distanza tra punti dopo la trasformazione. Questo porta alle condizioni aggiuntive:
a2 + a'2 = b2 + b'2 ab + a b = 0

64

Possiamo distinguere 5 tipi di isometrie:


 traslazione: trasformazione di un punto determinata da un vettore del piano;  rotazione: ssato un centro di rotazione e uno specico angolo, il punto trasformato ruoter dell'angolo pressato mantenendosi sempre alla stessa distanza dal centro di rotazione;  simmetria centrale: trasformazione che, ssato un centro di simmetria M, associa ad un punto P il punto P tale che M sia il loro punto medio;  simmetria assiale: trasformazione che, ssata una retta r, associa ad un punto P il punto P tale che la retta r sia l'asse del segmento PP ;  glisso simmetria: composizione di una simmetria e una traslazione. 3) Una similitudine una particolare anit che mantiene costante il rapporto tra segmenti. Tale rapporto detto rapporto di similitudine e si indica con k.

Anche per la similitudine valgono le condizioni dell'anit; inoltre, per conservare costante il rapporto tra segmenti corrispondenti si ha che:
a2 + a 2 = b2 + b 2 ab + a b = 0

In questo caso il rapporto di similitudine dato dal valore:


k=

a2 + a 2 =

b2 + b 2

65

Sotto tali condizioni, si ha che le equazioni delle similitudini possono essere solo di due tipi:
x = a x b y + c y = b x + a y + c

a b = a2 +b2 > 0 = similitudine diretta b a

x = a x + b y + c y = b x a y + c

a b = (a2 +b2 ) < 0 = similitudine indiretta b a

4) Un' omotetia una particolare similitudine costruita scegliendo un centro C e tale che, detto P il trasformato di P, risulta:
CP = k CP

Le loro equazioni si ottengono ponendo a =k e b =0 nelle equazioni di una similitudine, ossia:


x = k x + p y = k y + q

con x =
C

1k

e y =
C

1k

Propriet dell'omotetia:
 conserva la forma delle gure;  conserva l'ampiezza degli angoli;  trasforma sempre una retta in una a essa parallela;  trasforma un segmento in uno a esso proporzionale;  se k > 0 allora un punto e il suo trasformato si troveranno sulla stessa semiretta avente origine in C ;

66

 se k < 0 allora un punto e il suo trasformato si troveranno su semirette opposte, aventi entrambe origine in C ;  se | k |> 1 allora la gura risulta ingrandita;  se | k |< 1 allora la gura risulta rimpicciolita.

67

Capitolo 10 Sistemi lineari


Un'equazione contenente n incognite, con n N, si dice in forma normale se si presenta nella seguente maniera: a1 x1 + a2 x2 + + a x = b. Se il termine noto b vale zero, l'equazione detta omogenea.
n n

Se si considerano m equazioni lineari in n incognite si pu realizzare un sistema. Le incognite saranno sempre le stesse per ogni equazione, i coecienti saranno del tipo a , dove i indica l'equazione nella quale ci si trova e j l'incognita alla quale si riferisce il coeciente, e i termini noti avranno bisogno di un pedice i che indica l'equazione della quale sono termini noti. Scrivendo tutte le equazioni in forma normale, ordinate dalla prima alla m -esima, si ottiene il sistema scritto in forma normale :
ij

a1,1 x1 + a1,2 x2 + + a1,n xn = b1 a2,1 x1 + a2,2 x2 + + a2,n xn = b2 . . . am,1 x1 + am,2 x2 + + am,n xn = bm

68

Se tutti i termini noti di tutte le equazioni sono nulli allora il sistema detto omogeneo. A questo punto, siano s1 , s2 , s3 , . . . , sn numeri reali tali che x1 = s1 , x2 = s2 , . . . , xn = sn sono contemporaneamente soluzioni di tutte le m equazioni, allora la n -pla (s1 , s2 , s3 , . . . , sn ) detta soluzione del sistema. Risolvere il sistema vuol dire trovare tutte le soluzioni possibili; in eetti, non sempre esiste una soluzione del sistema. Distinguiamo i diversi casi:
se non esiste soluzione , il sistema si dice impossibile; se esiste almeno una soluzione, il sistema si dice compatibile o riso-

lubile.

In particolare: - se esiste una sola soluzione il sistema detto determinato; - se le soluzioni sono innite il sistema detto indeterminato.

10.1 Sistemi e matrici


Dato un sistema scritto in forma normale:
a1,1 x1 + a1,2 x2 + + a1,n xn = b1 a2,1 x1 + a2,2 x2 + + a2,n xn = b2 . . . am,1 x1 + am,2 x2 + + am,n xn = bm

esso pu essere scritto anche in forma matriciale:


AX

=B

dove gurano: 69

Matrice dei coecienti (o matrice incompleta) : la matrice for-

mata da tutti i coecienti delle incognite del sistema, ordinati secondo gli indici i e j.
a 1 ,1 a2,1 A = . . .

a1,2 a2,2 . ... . .

a1,n a2,n . . .

am,1 am,2 am,n


1 x2 Matrice delle incognite: X = . . .

xn

b 1 b2 Matrice dei termini noti: B = . . .

bm

In ultimo esiste una matrice che rappresenta tutto il sistema:


1,1 a2,1 Matrice completa: A' = . . .

a1,2 a2,2 . ... . .

a1,n a2,n . . .

b1 b2 . . .

am,1 am,2 am,n bm

70

Le operazioni che si possono eettuare su un sistema di equazioni hanno delle ripercussioni sulle operazioni che si possono compiere relativamente alle righe della matrice completa associata. Sistema:
Moltiplicare un'equazione per

Matrice completa:
Moltiplicare una riga per una

una costante non nulla;


Scambiare due equazioni fra

costante non nulla;


Scambiare due righe fra

loro;
Aggiungere un multiplo di un'e-

loro;
Aggiungere un multiplo di una

quazione ad un'altra.

riga ad un'altra.

Inoltre, l'esistenza delle soluzioni di un sistema pu essere valutata tramite le matrici ad esso associate, secondo il seguente teorema.
Teorema 10.1.1 (ROUCH-CAPELLI).

Un sistema di m equazioni in n incognite ammette soluzioni se e solo se la matrice completa e quella incompleta ad esso associate hanno lo stesso rango. In particolare, se ci avviene, ricordando che n il numero di incognite e detto r il rango delle matrici, si hanno due possibili casi:
Se r = n allora il sistema ammette una sola soluzione e si dice deter-

minato ;
Se r = n allora il sistema ammette nr soluzioni e si dice indetermi-

nato.

71

Esempio di sistema determinato:

Consideriamo il sistema lineare


x + x2 = 2 1 2x1 x2 = 3 2x + 2x = 4
1 2

Le matrici completa e incompleta ad esso associate sono:

;
A'

= 2 1 2 2

= 2 1 3 2 2 4

Calcoliamone il rango.
| A |= 1 1 = 3 = 0 1 2 2 4 =

2 1 1 2

rgA = 2

| A' |= 2 1 3 = 0 = rgA' < 3

In particolare, A contenuta in A', quindi anche rgA' = 2 Il numero di incognite del sistema n = 2 = rgA' = rgA = il sistema determinato.

72

Esempio di sistema indeterminato:

Consideriamo il sistema lineare


x1 + x2 x3 = 2 2x x + x = 3
1 2 3

Le matrici completa e incompleta ad esso associate e i rispettivi ranghi sono:

= 1

1 1 1 2 1 3

2 1 1

2 1 1 1

= 3 = 0 = rgA = 2

A'

2 1

2 1

= 3 = 0 = rgA' = 2

r = rgA' = rgA = 2 n=3 r < n

= sistema indeterminato, (32) = 1 soluzioni.

73

Esempio di sistema impossibile:

Consideriamo il sistema lineare


x + x2 = 2 1 2x1 + x2 = 4 x x = 0
1 2

Le matrici completa e incompleta ad esso associate e i rispettivi ranghi sono:

1 1 A = 2 1 = 2 1 1 1 2 = A' = 2 1 4 1 1 0

1 1 2 1 1 2 1 1

= 1 = 0 = rgA = 2

2 4 = 2 = 0 = rgA' = 3

1 1 0

rg

< rg

A'

= sistema impossibile.

74

10.2 Caso particolare: sistema incognite

n equazioni, n

Consideriamo ora un caso particolare, quello di un sistema di n equazioni in n incognite. In tal caso la forma matriciale del sistema rimane sempre AX = B, dove la matrice incompleta A associata al sistema quadrata di ordine n, le matrici X delle incognite e B dei termini noti hanno n righe. Esistono due metodi di risoluzione di sistemi lineari di n equazioni in n incognite.
Metodo dell'inversa: se il determinante di A diverso da zero, allora

esiste la matrice inversa A1 .


=
A

AX

= A1 B =

= A1 B

Attenzione: il prodotto tra matrici non commutativo, quindi bisogna moltiplicare A1 B e non BA1 .
Regola di Cramer: bisogna trovare il determinante D della matrice

incompleta A:
a1,1 a1,2 a2,1 a2,2 D = det A = . . . . . . an,1 an,2 a1,n a2,n ... . . .
an,n

Se tale determinante non nullo, si va a sostituire, una per volta, le colonne della matrice incompleta con quella dei termini noti e verranno indicati con D1 , D2 , . . . , D i determinanti di tali matrici.
n

75

b1 a1,2 b2 a2,2 D1 = . . . . . . bn an,2

a1,1 b1 a1,n a2,1 b2 a2,n ; D = 2 . . ... . . . . . . . an,1 bn an,n

a1,n a2,n ;...; ... . . .


an,n

a1,1 b1 a1,n a1,1 a1,2 a2,1 b2 a2,n a2,1 a2,2 . . . ; Dn1 = . ; Dn = . . . . . . . .. . . . . . . . . an,1 bn an,n an,1 an,2

b1 b2 ;...; ... . . .

bn

A questo punto, il valore dell'incognita x dato dal rapporto:


i

x =
i

Di D

10.3 Caso generale: sistema incognite

equazioni,

Anche nel caso generale di un sistema di m equazioni in n incognite la forma matriciale del sistema rimane sempre AX = B, dove la matrice incompleta A associata al sistema una matrice di dimensioni m n, le matrici X delle incognite e B dei termini noti hanno rispettivamente n e m righe. Un metodo di soluzione generale dei sistemi lineari prevede l'utilizzo di alcuni concetti, di seguito deniti:
Una matrice si dice ridotta per righe quando:

 se una riga non interamente nulla, allora il primo numero non nullo 1;

76

 se vi sono righe interamente nulle, queste sono raggruppate al fondo della matrice;  se due righe consecutive non sono interamente nulle, l'1 iniziale della seconda riga appare pi a destra di quello della prima riga.
Anch una matrice diventi ridotta per righe, esiste un sistema di

operazioni da svolgere su di essa, detto sistema di mosse di Gauss. La procedura la seguente:


 scambiare le righe per fare in modo che il primo elemento della prima riga non sia nullo;  dividere la prima riga per il suo primo elemento in modo da avere un 1 iniziale;  sommare un multiplo della prima riga a ogni riga in modo da avere sotto l'1 iniziale tutti zeri;  ripetere i passi precedenti sulla sottomatrice ottenuta coprendo la prima riga e la prima colonna no a esaurire tutte le righe.

A questo punto deniamo il metodo di risoluzione dei sistemi lineari.

10.3.1 Metodo di eliminazione di Gauss


Scrivere la matrice completa associata al sistema; ridurre per righe tale matrice con le operazioni elementari tra righe e

le mosse di Gauss;
riscrivere il sistema associato alla nuova matrice e risolverlo per sosti-

tuzione.

77

Capitolo 11 Vettori
Esistono delle grandezze che per essere totalmente denite necessitano non solo della loro misura, ma anche della direzione e del verso: tali grandezze sono individuate da un entit, detta vettore, e si chiamano grandezze vettoriali.
Dati due punti del piano A e B, un segmento orientato caratteriz-

zato dalla lunghezza, cio dalla distanza tra A e B, dalla direzione, cio dalla retta sulla quale giacciono i due punti, e dal verso di percorrenza sulla retta.
Due segmenti orientati si dicono equipollenti se hanno la stessa lun-

ghezza, la stessa direzione e lo stesso verso. La relazione di equipollenza tra segmenti orientati riessiva, simmetrica e transitiva, quindi possiamo denirla come una relazione di equivalenza.
Si denisce vettore l'insieme di tutti i segmenti orientati equipol-

lenti. Esso si indica con una lettera e una freccia soprastante ed caratterizzato da:
 modulo : la misura del segmento, rispetto a un'unit pressata, che si indica anche con la sola lettera, senza la freccia sopra;  direzione : quella della retta a cui appartiene il segmento;

78

 verso : il verso di percorrenza lungo la retta, indicato dalla freccia.

Vettori paralleli: vettori che giacciono sulla stessa retta di applica-

zione o che si trovano su rette di applicazione parallele (gura 11.1).


Vettori perpendicolari: vettori che hanno perpendicolari le loro

direzioni, cio le loro rette di applicazione ((gura 11.2).

Figura 11.1. Vettori paralleli

Figura 11.2. Vettori perpendicolari

11.1 Il piano vettoriale


Per ogni punto consideriamo il vettore applicato nell'origine degli assi e che termina sul punto in questione. In questo modo, una coppia (a ;b ) indica in maniera univoca un vettore. Possiamo allora considerare il piano cartesiano come insieme di vettori e denirlo piano vettoriale. Tra vettori, ovviamente, possono essere eettuate delle operazioni, quali:
Somma: pu essere eseguita con due metodi.

1. Regola del parallelogramma.

Dati due vettori del piano con origine in O, si disegna il parallelogramma avente per lati i due vettori. Il nuovo vettore con origine 79

Piano cartesiano: punti P (a, b)

Piano vettoriale: vettori v (a, b)

Figura 11.3. Piano cartesiano

Figura 11.4. Piano vettoriale

in O che rappresenta la diagonale del parallelogramma la somma dei due vettori iniziali.

Figura 11.5. Somma di vettori


2. Metodo punta-coda.

In questo caso, si lascia sso un vettore e si traccia il rappresentante dell'altro vettore avente origine nella punta del primo. Il vettore che unisce la coda del primo vettore e la punta del secondo il vettore somma.

80

Le coordinate del vettore somma sono la somma delle prime e la somma delle seconde coordinate dei due vettori addendi.
u (a; b) ; v (c; d) = u + v = (a + c; b + d) Dierenza: denita come somma di un vettore con l'opposto del-

l'altro. Per ogni vettore, infatti, si pu sempre considerare il vettore opposto, che ha stesso modulo, stessa direzione, ma verso opposto. Le sue coordinate sono le stesse del vettore di partenza cambiate di segno.
v = (a; b) = u = v = (a; b)

Figura 11.6. Vettori opposti

Prodotto vettore per scalare: dato un vettore v e uno scalare k,

il vettore prodotto kv avr la stessa direzione del vettore di partenza v , modulo uguale a k volte il modulo di v e verso uguale o opposto al vettore iniziale a seconda che k sia positivo o negativo.
v = (a; b) = u = kv = (ka; kb)

81

Figura 11.7. Prodotto vettore per scalare


Prodotto scalare tra vettori: dati due vettori u = (a, b) e v = (c, d),

si dice prodotto scalare, e si indica con u v, il numero ac + bd ottenuto sommando i prodotti dei vettori componente per componente.
Prodotto vettoriale tra vettori: in questo caso opportuno conside-

rare i vettori come elementi dello spazio, aggiungendo la terza coordinata che, qualora i vettori fossero sul piano vettoriale, sar semplicemente uno 0. Dati quindi due vettori nello spazio tridimensionale u = (a; b; c) e v = (d; e; f), si dice prodotto vettoriale, e si indica con u v o u v, il vettore dato dal seguente determinante:
i j k

i (af cd) j + (ae bd) k a b c = (bf ce) d e f

dove i, j, k rappresentano rispettivamente i versori degli assi x, y, z e hanno rispettivamente coordinate (1, 0, 0), (0, 1, 0), (0, 0, 1)
Osservazione: il versore un particolare vettore che ha sempre modulo 1, ha la direzione di uno degli assi coordinati e il verso quello crescente dell'asse al quale si riferisce.

82

Ogni vettore del piano si pu scrivere come combinazione lineare dei versori, cio come somma del prodotto dei due versori per opportuni coecienti numerici.
v = (a; b) = a i + b j

Questo d la possibilit di svolgere le operazioni tra vettori considerate in precedenza in un altro modo, cio trattando i vettori come fossero dei polinomi.
Esempio:
u = (2; 3) = 2 i + 3 j ; v = (1; 2) = i 2 j

Allora
u v = 2 1 + 3 (2) = 4

o analogamente
u v = (2 i + 3 j)( i 2 j) = (2 1) i i + (3 (2)) j j = 4

83

Capitolo 12 Spazi vettoriali


Uno spazio vettoriale V(+, ) un insieme di vettori v per i quali sono denite due operazioni:
un'operazione interna, detta addizione, che gode delle propriet com-

mutativa e associativa e per la quale esiste l'elemento neutro, rappresentato dal vettore nullo, e l'opposto di ogni elemento;
la moltiplicazione per uno scalare che gode delle seguenti propriet:

- le propriet distributive sia del prodotto di un vettore per la somma tra scalari che del prodotto di uno scalare per la somma di due vettori; - la propriet associativa mista tra prodotto per un vettore e prodotto tra scalari. L'1 l'elemento neutro per tale prodotto.

Dato uno spazio vettoriale sui numeri reali V(+, ) valgono le seguenti propriet:
ogni vettore moltiplicato per lo zero dei reali d il vettore nullo: 0v=0 v V

84

ogni vettore moltiplicato per -1 dei reali d il vettore opposto: (1) v = v v V

qualunque numero reale moltiplicato per il vettore nullo d ancora il

vettore nullo:
k0=0
legge di annullamento del prodotto: k R

k v = 0 k = 0 v = 0

Si denisce combinazione lineare di n vettori v1 , v2 , . . . , vn V di coecienti c1 , c2 , . . . , cn R ogni vettore di V che si pu scrivere nella forma
c1 v1 + c2 v2 + + cn vn
I vettori v1 , v2 , . . . , vn V si dicono linearmente dipendenti se

esiste una combinazione lineare di coecienti non tutti nulli tale che
c1 v1 + c2 v2 + + cn vn = 0.
I vettori si dicono linearmente indipendenti se la suddetta combi-

nazione lineare non esiste, ossia se l'unica combinazione lineare tale che
c1 v1 + c2 v2 + + cn vn = 0

quella di coecienti tutti nulli. 85

Propriet dei vettori linearmente indipendenti:


in un insieme di vettori linearmente indipendenti non ci possono esse-

re vettori nulli, vettori proporzionali o vettori che sono combinazioni lineari dei restanti;
un sottoinsieme di vettori linearmente indipendenti ancora un insieme

di vettori linearmente indipendenti;


se un vettore combinazione lineare di altri n vettori, i coecienti sono

univocamente determinati se e solo se gli n vettori sono linearmente indipendenti.

12.1 Basi e dimensione di uno spazio vettoriale


Ogni spazio vettoriale pu essere generato da un insieme di vettori; distinguiamo i generatori di uno spazio da una sua base.

Un insieme di n vettori v1 , v2 , . . . , vn V costituiscono un insieme

di generatori dello spazio vettoriale se ogni vettore di V pu essere scritto come combinazione lineare degli n vettori dati.
Un insieme di n vettori v1 , v2 , . . . , vn V costituisce una base dello

spazio vettoriale se:  v1 , v2 , . . . , vn sono un insieme di generatori dello spazio:  v1 , v2 , . . . , vn sono linearmente indipendenti.
La dimensione di uno spazio vettoriale denita come il numero di

vettori di una sua qualsiasi base. Essa risulta univocamente denita, infatti: 86

 se uno spazio vettoriale ha una base di n vettori, qualunque altra base di quello spazio avr n vettori;  se uno spazio vettoriale ha dimensione n, allora qualunque insieme di k vettori dello spazio, con k > n, sar un insieme di vettori linearmente dipendenti.

Esempio:

(1 ; 0) e (0 ; 1) sono una base di R2 perch:


sono linearmente indipendenti; dato un vettore generico (a; b) vale che:

k(1; 0) + l(0; 1) = (k; l) = (a; b) a = k b = l

cio ogni vettore del piano (a; b) pu essere espresso in maniera univoca come combinazione lineare dei due vettori dati.
= dim(R2 ) = 2 = tre vettori sono sempre linearmente dipendenti.

87

Capitolo 13 Rette e piani nello spazio


Le caratteristiche che deniscono il riferimento cartesiano dello spazio sono:
la presenza di tre assi coordinati: x, y e z ; l'origine comune dei tre assi detta O ; la necessit di tre coordinate (x ;y ;z ) per individuare un punto P dello

spazio. La coppia formata dalle prime due coordinate (x ;y ) del punto indica la sua proiezione sul piano cartesiano Oxy, mentre la coordinata z detta anche quota.

13.1 La retta
Consideriamo un punto P = (x1 ; y1 ; z1 ) e una direzione individuata da un vettore dello spazio di parametri (l; m; n). La retta passante per P e di direzione parallela al vettore dato data dalle seguenti equazioni parametriche:

88

Figura 13.1. Coordinate nello spazio

x = x1 + l t y = y1 + m t z = z + n t
1

con t R (l; m; n) = (0; 0; 0)

Osserviamo che (l; m; n) = (0; 0; 0) perch deve denire una direzione nello spazio ed inoltre:
l, m, n sono anche detti parametri direttori della retta; il vettore (l; m; n) viene chiamato vettore direttore.

Proprio dalla denizione che abbiamo dato seguono le seguenti propriet:


se l =0 la retta parallela al piano Oyz ; se m =0 la retta parallela al piano Oxz ; se n =0 la retta parallela al piano Oxy ; se l =0=m la retta parallela all'asse z ;

89

se l =0=n la retta parallela all'asse y ; se m =0=n la retta parallela all'asse x.

13.1.1 Rette parallele e perpendicolari


Date due rette dello spazio r e r ' esse possono essere:
complanari: se sono contenute nello stesso piano; parallele: se sono complanari e coincidenti o complanari e senza punti

in comune. Se due rette r e r ' di parametri direttori rispettivamente (l ;m ;n ) e (l ';m ';n ') sono parallele allora i due vettori direttori devono essere linearmente dipendenti, ossia:
rg l m n l m n
= 1;

incidenti: se hanno un solo punto in comune; perpendicolari: se risultano perpendicolari i vettori direttori, osser-

vando che le due rette non sono necessariamente incidenti. Se due rette r e r ' sono perpendicolari, la somma dei prodotti dei corrispondenti parametri deve essere nulla, ossia:
ll + mm + nn = 0;
sghembe: se le due rette non sono complanari.

90

13.2 Il piano
Un'equazione di primo grado del tipo
ax + by + cz + d = 0

rappresenta l'equazione generale di un piano dello spazio e viene detta equazione in forma implicita. Anche per il piano si pu esplicitare l'equazione rispetto alla variabile z e si ottiene:
z = mx + ny + q

detta appunto equazione in forma esplicita. Come fatto per la retta nello spazio, anche per il piano esaminiamo alcuni casi particolari:
se x =0 il piano Oyz ; se y =0 il piano Oxz ; se z =0 il piano Oxy ; se x =k un piano parallelo a Oyz ; se y =k un piano parallelo a Oxz ; se z =k un piano parallelo a Oxy.

Osservazione: data l'equazione in forma implicita del piano, il vettore (a ;b ;c ) un vettore perpendicolare al piano. A questo punto, dati due piani
: ax + by + cz + d = 0 :ax+by+cz+d =0

essi possono essere: 91

Figura 13.2. Piani paralleli


paralleli: quando sono coincidenti oppure quando non hanno alcun

punto in comune. Propriet dei piani paralleli: - per un punto dello spazio si pu condurre un solo piano parallelo a un piano dato; - due piani paralleli a un terzo piano sono paralleli tra loro; - se due piani sono paralleli, un piano incidente uno di essi taglia anche l'altro e le rette di intersezione sono parallele. Considerando le equazioni implicite dei piani, essi risultano paralleli quando i vettori a essi perpendicolari sono linearmente dipendenti, ossia quando:
rg a b c a b c
=1

In particolare, poi, se si considera la matrice completa, si ha che in base al valore del suo rango si verica uno dei due tipi di parallelismo (la coincidenza o la disgiunzione dei piani). Nel dettaglio:
rg a b c a b c
2 1 = piani paralleli e disgiunti = piani paralleli coincidenti

92

ortogonali: se si intersecano in una retta r e, ssati due vettori v e v

aventi stessa origine sulla retta r, appartenenti rispettivamente ai piani e perpendicolari a r, i due vettori sono tra essi perpendicolari.

: ax+by+cz+d = 0 : a x+b y+c z+d = 0

Condizione di perpendicolarit tra piani:


aa + bb + cc = 0

incidenti: se hanno in comune una retta, che prende il nome di retta

d'intersezione dei due piani.

Figura 13.3. Piani incidenti

93

Propriet dei piani incidenti: - due piani distinti, cio non coincidenti, aventi un punto in comune si incontrano in una retta passante per quel punto; - due piani distinti aventi in comune due punti si incontrano lungo la retta per quei due punti. In riferimento al caso di incidenza, ci poniamo il problema di trovare le equazioni parametriche della retta di intersezione tra essi. Consideriamo due piani non paralleli:
: ax + by + cz + d = 0 :ax+by+cz+d =0

Per trovarne l'intersezione si mettono le loro equazioni a sistema:


ax + by + cz + d = 0 a x + b y + c z + d = 0

Si osserva che le matrici completa e incompleta hanno entrambe rango 2, ma le incognite sono 3, quindi, per quanto visto nel capitolo sui sistemi lineari, tale sistema risulter avere 1 soluzioni. Per esplicitarle si trasforma un'incognita in parametro e si risolve rispetto al parametro. In tal modo si ottengono le equazioni parametriche della retta di intersezione.

94

Esempio:
x 2y + z 3 = 0 2x y 4z + 3 = 0

: x 2y + z 3 = 0 ; : 2x y 4z +3 = 0

Usando il metodo di eliminazione di Gauss per ridurre la matrice completa, il sistema diventa:
x 2y + z 3 = 0 y 2z + 3 = 0 x = 3t 3 = y = 2zt 3 z = t

Quindi la retta di intersezione passa per il punto P (-3;-3;0) e ha parametri direttori (3;2;1).

13.2.1 Fasci di piani


Dato un piano dello spazio : ax + by + cz + d = 0 si chiama fascio

improprio di piani individuato da l'insieme di tutti i piani dello spazio paralleli a . Tale fascio avr equazione:
ax + by + cz + = 0,
con R

Data una retta r dello spazio si chiama fascio proprio di piani di asse

r l'insieme di tutti i piani dello spazio che contengono r.

Per trovare l'equazione di tale fascio, consideriamo due piani:


: ax + by + cz + d = 0 :ax+by+cz+d =0

95

L'equazione del fascio proprio generato da questi due piani data dalla combinazione lineare delle due equazioni:
(ax + by + cz + d) + (a x + b y + c z + d ) = 0

I piani che generano il fascio sono detti piani generatori del fascio. Ach un terzo piano : a x + b y + c z + d = 0 sia appartenente al fascio generato dai primi due, necessario che i coecienti delle equazioni dei tre piani siano linearmente dipendenti, cio:

a a

rg a

b c d b c d =2 b c d

Figura 13.4. Fascio improprio di piani Figura 13.5. Fascio proprio di piani

96

13.3 Posizioni relative tra piani e rette nello spazio


Una retta pu essere:
appartenente al piano: se giace sul piano e ha tutti i punti in comune

con esso.

Figura 13.6. Retta appartenente al piano

parallela al piano: se non ha punti in comune con esso.

Figura 13.7. Retta parallela al piano

incidente il piano: se ha un solo punto in comune con esso.

Un caso particolare di retta incidente la retta perpendicolare : 97

Figura 13.8. Retta incidente il piano


una retta si dice perpendicolare a un piano dato in un punto A

dello stesso piano se passa per A ed perpendicolare a tutte le rette del piano passanti per A. Notiamo che:
- per un punto dello spazio esiste una e una sola retta perpendicolare a un piano dato; - per un punto dello spazio esiste uno e un solo piano perpendicolare a una retta data; - due rette perpendicolari a uno stesso piano sono tra esse parallele.

13.3.1 Distanze punto-piano, retta-piano e piano-piano


Innanzitutto quando si parla di distanza di una retta o di un piano da un piano dato, ci si riferisce ad una retta o ad un piano paralleli al piano dato, altrimenti non possibile calcolarne la distanza. Un segmento di retta perpendicolare che congiunge un qualunque suo punto con A detto segmento di perpendicolare e il punto A chiamato piede della perpendicolare.

Dati un punto P e un piano dello spazio, la distanza tra il punto

e il piano la misura del segmento di perpendicolare condotto dal punto al piano.

98

Distanza punto-piano.

Piano : ax + by + cz + d = 0 Punto P(x ; y ; z )


P P P

d(

P, )

| axP + byP + czP + d |

a2 + b2 + c2

Dati un piano e una retta r ad esso parallela, la distanza tra la

retta e il piano la misura del segmento di perpendicolare condotto da un qualunque punto della retta al piano.

Figura 13.9. Distanza retta-piano

La distanza tra due piani paralleli dello spazio la lunghezza di

un qualunque segmento di perpendicolare condotto da un punto di uno dei due piani all'altro.

Figura 13.10. Distanza piano-piano

99

Enunciamo ora, senza dimostrare, un importante teorema riguardante le rette e i piani nello spazio.
Teorema 13.3.1 (Teorema delle tre perpendicolari). Ipotesi:
sia r una retta perpendicolare a

un piano;
sia s

una retta del piano non passante per il piede della perpendicolare;

sia t un'altra retta del piano pas-

sante per il piede della perpendicolare e perpendicolare alla retta s.


Tesi:
s perpendicolare al piano

individuato dalle rette r e t. In particolare, s sar perpendicolare a tutte le rette di quel piano.

100

13.3.2 Angolo tra retta e piano


Consideriamo un piano e una retta a esso incidente in un punto P.
Sia H un generico punto della retta diverso da P ; da H conduciamo il segmento di perpendicolare al piano; sia H ' il piede della perpendicolare; tracciamo la congiungente tra P e H '.

' tra la congiungente PH appena costruita e la retta iniziale si L'angolo HPH dice angolo tra la retta e il piano. Vale il seguente teorema:

Teorema 13.3.2 (Angolo tra retta e piano).

L'angolo acuto che una retta obliqua r, rispetto ad un piano, forma con la sua proiezione ortogonale su questo piano minore dell'angolo acuto che essa forma con una qualsiasi altra retta del piano passante per il punto di incidenza di r sul piano stesso.

101

Capitolo 14 Poliedri regolari


Le gure solide sono gure geometriche in cui possiamo distinguere alcuni elementi che le gure piane non hanno, quali:
volume, ossia lo spazio occupato; facce e superci delle facce; spigoli, ossia i lati delle facce; vertici; angoli diedri; angoloidi.

dove
si dice angolo diedro o semplicemente diedro ciascuna delle due parti

in cui lo spazio diviso da due semipiani aventi la stessa origine.

102

I due semipiani si dicono facce del diedro, mentre la retta, origine dei due semipiani, prende il nome di spigolo del diedro.

Sui diedri possiamo dare le seguenti denizioni:


 un diedro si dice convesso se non contiene i prolungamenti delle due facce;  un diedro si dice concavo se contiene i prolungamenti delle due facce;  un diedro si dice piatto se le sue facce sono una il prolungamento dell'altra;  due diedri si dicono consecutivi se hanno lo spigolo e una faccia in comune e le altre due facce da bande opposte rispetto alla faccia comune;  due diedri si dicono adiacenti se, essendo consecutivi, hanno le due facce non comuni opposte.

Dato un poligono e un vertice fuori dal piano contenente il poligono,

si traccino le semirette dal vertice esterno a tutti i vertici del poligono. Gli angoli formati racchiudono una parte di spazio che viene detta angoloide.

103

 vertice dell'angoloide: il punto fuori dal piano del poligono;  spigoli dell'angoloide: le semirette congiungenti il vertice dell'angoloide con i vertici del poligono;  facce dell'angoloide: gli angoli piani che si formano;  angoloide convesso o concavo: a seconda che il poligono usato per la sua costruzione sia convesso o concavo.

Figura 14.1. Angoloide concavo

14.1 I poliedri
Si dice poliedro la regione nita di spazio delimitata da un numero nito di poligoni convessi, giacenti su piani diversi e aventi a due a due un lato in comune.

Facce del poliedro: poligoni di cui composto il poliedro; vertici del poliedro: vertici dei poligoni; spigoli del poliedro: i lati dei poligoni;

104

supercie del poliedro: l'insieme di tutte le facce; poliedro convesso: quando giace tutto da una stessa parte rispetto al

piano di una sua qualsiasi faccia. In caso contrario si dice concavo. Riguardo facce, spigoli e vertici di un poliedro vale il seguente teorema.
Teorema 14.1.1.

In ogni poliedro convesso la somma del numero delle facce pi il numero dei vertici uguale al numero degli spigoli aumentato di due.
f+v=s+2 f = numero delle facce; v = numero dei vertici; s = numero degli spigoli.

Un poliedro prende il nome di:


tetraedro se ha 4 facce; pentaedro se ha 5 facce; esaedro se ha 6 facce.

Un poliedro, in particolare, si dice regolare quando le sue facce sono poligoni regolari uguali e i suoi angoloidi sono tutti uguali fra loro. I poligoni regolari che sono facce di poliedri regolari sono soltanto triangoli equilateri, quadrati e pentagoni regolari, con cui possibile realizzare solo cinque poliedri regolari, riportati di seguito. 105

Tetraedro regolare:
4 triangoli equilateri; 4 vertici; 6 spigoli.

Cubo o esaedro regolare:


6 quadrati; 8 vertici; 12 spigoli.

Ottaedro regolare:
8 triangoli equilateri; 6 vertici; 12 spigoli.

Dodecaedro regolare:
12 pentagoni regolari; 20 vertici; 12 spigoli.

106

Icosaedro regolare:
20 triangoli equilateri; 12 vertici; 30 spigoli.

14.2 Prismi
Dati un poligono e una retta non appartenente al piano del poligono, la gura, costituita da tutte le rette parallele alla retta data e passanti per i punti del poligono, si dice prisma indenito.

Figura 14.2. Prisma indenito

Si chiama, invece, prisma denito, o semplicemente prisma, il poliedro costituito dalla parte di prisma indenito compresa fra due piani paralleli che lo intersecano. In un prisma distinguiamo i seguenti elementi:

107

altezza del prisma: la distanza

tra i due piani paralleli;


basi : le due sezioni parallele dei

piani con il prisma indenito;


spigoli di base : i lati delle basi; facce laterali : le superci laterali

del prisma;
spigoli laterali : i lati delle facce

laterali non comuni con le basi. Quando in un prisma gli spigoli laterali sono perpendicolari ai piani delle basi il prisma si dice retto. A questo punto riportiamo alcune formule utili al calcolo dei vari elementi di un prisma, utilizzando la seguentevnotazione:
V il volume del prisma; Ab indica l'area del poligono di base; Al indica la supercie laterale del prisma; At la supercie totale del solido; h rappresenta l'altezza; 2p indica il perimetro di base.

Le formule sono quindi le seguenti:


V=A h
b

A = A + 2A
t l

Prisma retto: = A = 2p h
l

108

Esercizio:

Un prisma retto ha per base un rombo avente le diagonali di 16 cm e 12 cm. Sapendo che l'altezza h del prisma uguale al lato l del rombo di base, calcoliamo l'area della supercie laterale e il volume del solido.

Considero la met delle diagonali di base e trovo il lato del rombo applicando Pitagora. Questo coincide con l'altezza del prisma:
l=h=
16 2
2

12 2

= 10 cm

Poich il rombo ha 4 lati uguali, il perimetro del rombo misura: 2p = 4 10 = 40 cm Siamo in grado, quindi, di trovare la supercie laterale, moltiplicando il perimetro per l'altezza:
A = 2p h = 40 10 = 400 cm2
l

Per calcolare il volume ci serve l'area di base, ossia l'area del rombo, che ricordiamo essere uguale al semiprodotto delle sue diagonali, quindi:
A =
b

16 12 = 96 cm2 2

Possiamo quindi calcolare il volume del prisma moltiplicando l'area di base per l'altezza: V = A h = 96 10 = 960 cm3
b

109

14.3 Parallelepipedi
Si denisce parallelepipedo un particolare prisma in cui le basi sono parallelogrammi. Propriet:
le facce sono tutte dei parallelogrammi; nel parallelepipedo vi sono 6 facce, 8 vertici e 12 spigoli; si dicono opposte le facce che non hanno spigoli comuni; gli spigoli del parallelepipedo sono a 4 a 4 uguali e paralleli; in ogni parallelepipedo le facce opposte sono uguali e parallele e le 4

diagonali passano per uno stesso punto che dimezza ciascuna di esse.

Figura 14.3. Parallelepipedo

In particolare, si denisce parallelepipedo rettangolo un parallelepipedo retto le cui basi sono dei rettangoli. In un parallelepipedo rettangolo le diagonali sono uguali. Le notazioni usate per le formule relative al parallelepipedo rettangolo sono le stesse di quelle usate per il prisma, con l'aggiunta dei seguenti elementi: 110

Figura 14.4. Parallelepipedo rettangolo


a, b, c : le tre dimensioni del parallelepipedo; d : misura della diagonale del parallelepipedo.

Le formule risultano essere:


V=abc A =ab
b

A = 2(a c + b c)
l

A = 2(a c + b c + a b)
t

d=

a2 + b2 + c2

111

Esercizio:

Un parallelepipedo rettangolo ha i due spigoli di base che misurano a =6 cm e b =8 cm e la diagonale d che misura 26 cm. Calcoliamo la supercie totale e il volume.

Dalla formula della diagonale ricaviamo la formula inversa per isolare la terza dimensione c :
d= a2 + b2 + c2 = c = d2 a2 b2

Sostituiamo i valori e otteniamo:


c=
676 36 64 = 24 cm 16 2
2

l=h=

12 2

= 10 cm

Siamo in grado, usando le formule viste in teoria, di trovare sia la supercie totale che il volume del solido.
A = 2(a c + b c + a b) = 2(144 + 192 + 48) = 768 cm2
t

A = 2p h = 40 10 = 400 cm2
l

V = abc = 1152 cm3

112

14.4 Cubo
Si chiama cubo un parallelepipedo rettangolo avente le tre dimensioni uguali.

Figura 14.5. Cubo Notiamo che questo parallelepipedo retto e ha per facce 6 quadrati congruenti. Ogni quadrato pu essere considerato sia come base che come faccia laterale e il suo lato, in genere, viene indicato nelle formule con la lettera l.

V = l3 A = l2
b

A = 4l2
l

A = 6l2
t

d=l 3

113

14.5 Piramidi e tronchi di piramide


Si chiama piramide la parte nita di angoloide compresa tra una sua sezione piana e il suo vertice. Elementi di una piramide:
base : il poligono di base ottenuto

dalla sezione piana;


facce laterali :

i triangoli tra il vertice della piramide e un qualunque lato della base;

spigoli : i lati delle facce laterali; altezza : la distanza tra il vertice

e il piano contenente il poligono di base. La piramide prende il nome dal numero dei lati del poligono di base (avremo piramidi triangolari, quadrangolari e cos via...). L'unico caso particolare per la piramide triangolare che si chiama anche tetraedro. Una piramide, inoltre, si dice retta se il poligono di base circoscrivibile a una circonferenza e se il piede dell'altezza della piramide coincide col centro della circonferenza. Un particolare tipo di piramide retta la piramide regolare. Essa ha per base un poligono regolare e le altezze delle sue facce laterali sono tutte uguali. In particolare, si chiama apotema di una piramide retta l'altezza di una delle sue facce laterali.

114

Figura 14.6. Piramide retta


Teorema 14.5.1 (Teorema delle sezioni parallele).

La sezione che si ottiene tagliando una piramide con un piano parallelo alla base un poligono simile a quello di base. I perimetri di questi due poligoni sono proporzionali alle loro distanze dal vertice della piramide. Le loro aree sono proporzionali ai quadrati delle rispettive distanze dal vertice.

In formule:
(AB + BC + CD + DA) : (A B + B C + C D + D A ) = VH : VH

ABCD

: SA B C D = (VH)2 : (VH )2

115

La notazione usata per le formule inerenti ad una piramide retta sar la stessa usata per i solidi precedenti, stavolta con l'aggiunta del seguente elemento:
a l'apotema della piramide.

Le formule sono quindi le seguenti:


V= A h
b

1 3

A =pa
l

A =A +A
t b

116

Esercizio:

Una piramide regolare a base quadrangolare ha il perimetro di base di 40 cm e un'altezza h di 9 cm. Calcoliamo la supercie totale e il volume.

Poich la base quadrangolare e la piramide regolare, il poligono di base un quadrato; inoltre, per ipotesi il perimetro di base 40 cm, quindi il lato del quadrato : l = 10cm. L'area di base risulter essere quindi:
A = l2 = 102 = 100 cm2
b

A questo punto, usando la formula, troviamo subito il volume della piramide:


V = A h = 100 9 = 300 cm3
b

1 3

1 3

Per il calcolo dell'apotema a, possiamo applicare il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo i cui cateti sono l'altezza h e met del lato di base l e la cui ipotenusa proprio l'apotema.
a= h2 + l
2
2

81 + 25 =

106

Ottenuto l'apotema si possono calcolare la supercie laterale e quella totale del solido.
A = p a = 20 106
l

117
t b l

A = A + A = 100 + 20 106 = 20(5 + 106)

14.5.1 Tronco di piramide


Consideriamo ora una piramide e un piano parallelo alla sua base. Questo divide la piramide in due parti. Il tronco di piramide un solido limitato da due poligoni simili su due piani paralleli e da altri poligoni laterali che sono dei trapezi.

Figura 14.7. tronco di piramide Gli elementi che possiamo distinguere in un tronco di piramide sono:
due basi, costituite dai poligoni simili posti su piani paralleli; le facce laterali, costituite dai trapezi.

Se la piramide da cui si originato il tronco di piramide era retta o addirittura regolare, anche il tronco di piramide si dice retto o regolare. Per le formule relative al tronco di piramide, specichiamo alcune modiche apportate alla notazione gi in uso:
Ab l'area della base maggiore; Ab l'area della base minore; 2p il perimetro della base maggiore; 2p ' il perimetro della base minore;

118

Per quanto riguarda gli elementi non citati, la notazione rimane invariata rispetto ai casi precedenti. Osserviamo che l'apotema a, in questo caso, il segmento congiungente i punti di contatto tra due lati corrispondenti delle due basi e le rispettive circonferenze inscritte, nonch il tratto di apotema della piramide relativo al tronco; analogamente, l'altezza h quella del tronco di piramide. A questo punto si hanno le seguenti formule:
V=
1 h Ab + Ab + 3

A A
b

A = (p + p ) a
l

A = A + +A + A
t b b

119

Esercizio: Una piramide retta a base quadrata, avente altezza h = 24 cm e apotema pari 13 ai dell'altezza, viene tagliata con un piano parallelo alla base e distante 12 12 cm da quest'ultima. Calcoliamo la supercie totale e il volume del tronco di piramide ottenuto.

Innanzitutto calcoliamo il valore dell'apotema della piramide:


a=
13 13 h = 24 = 26 cm 12 12

Utilizzando il teorema di Pitagora si pu trovare la met del lato di base:


l
2 =

a2 h2 =

262 242 = 10 cm = l = 2 10 = 20 cm

L'area e il perimetro della base maggiore risulteranno essere quindi:


A = l2 = 202 = 400 cm2
b

2p = 20 4 = 80 cm

A questo punto, poniamo h = altezza del tronco di piramide, e a = apotema del tronco di piramide; dalle ipotesi h = 12 cm. Ora, con una semplice proporzione tra le altezze e gli apotemi della piramide e del tronco di piramide si trova il valore dell'apotema del tronco:
h : a = h : a = 24 : 26 = 12 : a = a =
26 12 = 13 cm 24

Con una proporzione analoga si individua anche la misura del lato della base minore, che chiamiamo l ':
h : l = h : l = 24 : 20 = 12 : l = l =
20 12 = 10 cm 24

120

Possiamo cos trovare perimetro e area anche della base minore.


A = l 2 = 102 = 100 cm2
b

2p = 10 4 = 40 cm

Attraverso le formule studiate in teoria, calcoliamo ora la supercie laterale, totale e il volume del tronco di piramide :
A = (p + p ) a = (40 + 20)13 = 780 cm2
l

A = A + A + A = 400 + 100 + 780 = 1280 cm2


t b b l

V=

1 h 3

A +A +
b b

A A
b

1 = 12(400 + 100 + 400 100) = 3

= 4(500 + 200) = 2800 cm3

121

Capitolo 15 I solidi di rotazione


15.1 Il cilindro
Si chiama cilindro quel solido generato dalla rotazione completa di un rettangolo attorno a uno dei suoi lati. Elementi di un cilindro:
altezza :

lato del rettangolo attorno al quale avviene la rotazione; del rettangolo;

raggi di base : gli altri due lati basi : i cerchi determinati dalla

rotazione dei raggi di base. Nel caso in cui l'altezza del cilindro doppia rispetto al raggio di base, il cilindro detto equilatero. In tal caso il rettangolo che genera il solido la met di un quadrato.

122

Le formule che permettono il calcolo dei vari elementi di un cilindro utilizzano la seguente notazione:
V il volume; Ab indica l'area del poligono di base; Al indica la supercie laterale del solido; At la supercie totale del solido; h rappresenta l'altezza; r indica il raggio di base.

Formule per il cilindro:


V = r2 h

A = r2
b

A = 2 r h
l

A = 2 r(h + r)
t

123

15.2 Il cono
Si chiama cono un solido generato dalla rotazione completa di un triangolo rettangolo attorno a uno dei suoi cateti. Elementi di un cono:
altezza : cateto attorno al quale

avviene la rotazione;
raggio di base : l'altro cateto del

triangolo;
apotema : ipotenusa del triango-

lo che ruota;
base :

cerchio determinato dal raggio di base.

Se l'apotema doppio del raggio di base e quindi il triangolo rettangolo che genera il solido mezzo triangolo equilatero, il cono detto equilatero. Per quanto riguarda il cono, la notazione uguale a quella usata per il cilindro, con l'aggiunta di un solo elemento:
a rappresenta l'apotema.

124

Formule per il cono:


V = r2 h A = r2
b

1 3

A = ra
l

A = r(a + r)
t

15.3 Il tronco di cono


Il tronco di cono il solido ottenuto dalla rotazione completa di un trapezio rettangolo attorno al lato dell'angolo retto. Analogamente, il tronco di cono pu essere denito come la parte di cono compresa tra la sua base e la sezione ottenuta tramite un piano parallelo alla base stessa.

Elementi di un tronco di cono:


basi : base maggiore e base minore, costituite da due cerchi;

125

raggi di base : si possono intendere come raggi dei due cerchi di base o

come le basi del trapezio rettangolo che genera il solido;


apotema : la lunghezza del lato obliquo del trapezio; altezza : la lunghezza del lato attorno al quale avviene la rotazione o la

distanza tra le due basi.

La notazione relativa al tronco di cono la stessa usata per i precedenti solidi, con le seguenti modiche:
Ab indica l'area della base maggiore; Ab indica l'area della base minore; r indica il raggio della base maggiore; r ' indica il raggio della base minore.

Formule per il tronco di cono:


V = h(r2 + r 2 + r r ) A = r2
b

1 3

A = r2
b

A = a(r + r )
l

A =A +A +A
t b b

126

15.4 La sfera
La sfera il solido generato dalla rotazione completa di un semicerchio attorno al suo diametro. Analogamente, dato un punto dello spazio, detto centro, e una distanza, detta raggio, la sfera denita come l'insieme dei punti dello spazio che hanno distanza dal centro minore o uguale al raggio. Elementi di una sfera:
raggio : raggio della semicircon-

ferenza che genera la sfera;


supercie sferica : l'insieme dei

punti dello spazio che hanno distanza dal centro esattamente uguale al raggio. La notazione relativa alla sfera la seguente:
V indica il volume della sfera; A indica la supercie totale; r indica il raggio.

Formule per la sfera:


V = r3 A = 4 r2
4 3

127

Esercizio:

Una sfera inscritta in un cubo di volume V = 2744 cm3 . Troviamo la supercie della sfera e il suo volume. Dato il volume del cubo facile estrarne la radice cubica e ottenere il lato:
2744 = 14 cm l Il raggio della sfera sat quindi: r = = 7 cm 2

l=

Tramite le formule relative alla sfera possiamo calcolare sia la supercie laterale che il volume:
V = r3 = 343 =
4 3 4 3 1372 3

A = 4 r2 = 4 49 = 196

15.4.1 Posizioni relative di un piano e di una sfera


Piano esterno alla sfera:
la distanza tra il centro della

sfera e il piano maggiore del raggio;


il piano e la sfera non hanno

nessun punto di contatto.

128

Piano tangente alla sfera:


la distanza tra il centro della

sfera e il piano uguale al raggio;


il piano e la sfera hanno un solo

punto di contatto.

Piano secante la sfera:


la distanza tra il centro del-

la sfera e il piano minore al raggio;


l'intersezione tra il piano e la

sfera un cerchio;
se il piano passa per il centro si

parla di cerchio massimo, mentre gli altri cerchi si dicono cerchi minori.

129

15.4.2 Parti della supercie sferica


Calotta sferica: ciascuna delle due parti in cui un piano secante la sfera divide la supercie sferica.
la sezione del piano sulla sfera

un cerchio;
la circonferenza di tale cerchio si

denisce base della calotta;


il vertice il punto di intersezio-

ne tra la sfera e il diametro della sfera passante per il centro della base della calotta;
l'altezza della calotta la distan-

S : supercie totale della calotta R : raggio della sfera h : altezza della calotta
= S = 2 R h

za del vertice dal piano secante la sfera.


Zona sferica: la parte della supercie sferica compresa fra due piani paralleli e secanti la sfera.
le basi della zona sono le due cir-

conferenze determinate dall'intersezione tra i piani e la supercie (le due basi possono avere lunghezze dierenti);
l'altezza la distanza fra i due

S : supercie totale della zona R : raggio della sfera h : altezza della zona
= S = 2 Rh

centri delle due basi della zona.

130

Fuso sferico: ciascuna delle due parti in cui due semipiani, aventi per origine una retta passante per il centro della sfera, dividono la supercie sferica.
il diedro del fuso il diedro

formato dai due semipiani;


l'arco equatoriale l'arco di cir-

conferenza massima, che giace sulla supercie del fuso e che si ottiene tramite l'intersezione del fuso con un piano perpendicolare la retta di origine del diedro;
i lati del fuso sono le semicir-

S : supercie totale del fuso R : raggio della sfera : angolo diedro in radianti
= S = 2R2

conferenze intercettate dai due semipiani sulla supercie sferica.

131

15.4.3 Parti della sfera


Segmento sferico a una base: ciascuna delle due parti in cui un piano secante divide la sfera.
la base del segmento il cerchio

che si ottiene dalla sezione del piano sulla sfera;


il raggio di base il raggio della

base del segmento;


l'altezza del segmento sferico

V : volume del segmento r : raggio di base h : altezza del segmento R : raggio della sfera
4 h = V = 3 2
3

l'altezza della calotta sferica che si forma.

+ r2

h
2

1 = h2 (3R h) 3

Segmento sferico a due basi : la parte della sfera compresa fra due piani paralleli e secanti la sfera.
la base del segmento ciascu-

no dei due cerchi determinati dall'intersezione tra i piani e la sfera;


i raggi di base sono i raggi delle

due basi;
l'altezza del segmento a due basi

V : volume del segmento r1 , r2 : raggi di base h : altezza del segmento


4 h = V = 3 2
3

l'altezza della zona sferica che si determina. 132

+ r2 1

h
2

+ r2 2

h
2

Spicchio sferico: la parte della sfera delimitata da un fuso sferico e dai due semicerchi massimi corrispondenti ai lati del fuso.
la base dello spicchio il fuso; le facce dello spicchio sono i due

semicerchi massimi;
il diedro dello spicchio quello

V : volume del segmento R : raggio della sfera : angolo diedro in radianti


2 = V = R3 3

denito dalle due facce.

133

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