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1 Archi e Angoli 5
2 Funzioni goniometriche 8 2.1 Relazioni tra funzioni goniometriche . . . . . . . . . . . . . . . 13 2.2 Formule goniometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 3 Archi o angoli associati 17
4 Equazioni e disequazioni goniometriche 21 4.1 Equazioni goniometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 4.2 Disequazioni goniometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 5 I triangoli 34 5.1 I triangoli rettangoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 5.2 I triangoli qualunque . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 6 Coordinate polari 7 Numeri complessi 7.1 Denizione e rappresentazione cartesiana . . . . . . . . . . . . 7.2 Operazioni con i numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3 Rappresentazione trigonometrica di un numero complesso . . . 49 51 51 52 54
8.2 Determinante di una matrice quadrata . . . . . . . . . . . . . 59 8.3 Matrice inversa di una matrice quadrata . . . . . . . . . . . . 61
9 Trasformazioni geometriche 10 Sistemi lineari 10.1 Sistemi e matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.2 Caso particolare: sistema n equazioni, n incognite 10.3 Caso generale: sistema m equazioni, n incognite . 10.3.1 Metodo di eliminazione di Gauss . . . . . 63
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68 69 75 76 77
11 Vettori 78 11.1 Il piano vettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 12 Spazi vettoriali 84 12.1 Basi e dimensione di uno spazio vettoriale . . . . . . . . . . . 86 13 Rette e piani nello spazio 13.1 La retta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.1.1 Rette parallele e perpendicolari . . . . . . . . . 13.2 Il piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.2.1 Fasci di piani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.3 Posizioni relative tra piani e rette nello spazio . . . . . 13.3.1 Distanze punto-piano, retta-piano e piano-piano 13.3.2 Angolo tra retta e piano . . . . . . . . . . . . . 14 Poliedri regolari 14.1 I poliedri . . . . . . . . . . . . 14.2 Prismi . . . . . . . . . . . . . 14.3 Parallelepipedi . . . . . . . . 14.4 Cubo . . . . . . . . . . . . . . 14.5 Piramidi e tronchi di piramide 14.5.1 Tronco di piramide . .
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88 88 90 91 95 97 98 101
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15 I solidi di rotazione 15.1 Il cilindro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.2 Il cono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.3 Il tronco di cono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.4 La sfera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.4.1 Posizioni relative di un piano e di una sfera 15.4.2 Parti della supercie sferica . . . . . . . . . 15.4.3 Parti della sfera . . . . . . . . . . . . . . . .
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diviso da due semirette (dette lati) uscenti da uno stesso punto O (detto vertice).
Si denisce arco la parte di circonferenza inclusa in un angolo al centro
Figura 1.2. Esempio di arco. La linea rossa detta arco sotteso dall'angolo AB.
In particolare, un angolo si dice orientato quando i suoi lati sono considerati in un certo ordine. Pensando ad un angolo come generato dalla rotazione del primo lato (lato origine) verso il secondo (lato termine), no alla sovrapposizione dei due, si ha:
angolo positivo quando descritto dal lato origine tramite una rota-
sono:
il minuto primo : la 60ma parte del grado ; il minuto secondo : corrisponde alla 60ma parte del minuto primo.
gio arbitrario che sottende un arco di lunghezza uguale al raggio della circonferenza. 6
Per misurare gli archi, invece, si assume come unit di misura l'arco il cui angolo al centro corrisponde all'unit di misura degli angoli, ossia:
arco grado : l'arco di circonferenza che corrisponde all'angolo al centro
di un grado;
arco radiante : che l'arco di circonferenza che corrisponde all'angolo
al centro di un radiante. Le formule di conversione per passare da gradi a radianti e viceversa sono le seguenti:
= 360 rad 2 2 360
rad =
rad 6 4 3 2 3 2 2
La tabella accanto riporta le corrispondenze tra angoli gradi e angoli radianti degli angoli pi noti e pi usati in goniometria.
il coseno di , ovvero cos, l'ascissa del punto B. il seno di , ovvero sen , l'ordinata del punto B. la tangente di , ovvero tan, denita come il rapporto, se esiste,
Per ogni valore dell'angolo esiste uno ed un solo punto della circonferenza, che ha raggio 1, motivo per cui:
1 cos 1 1 sen 1
Invece, la tangente di un angolo ha come limite la non esistenza quando il punto B si trova sull'asse delle ordinate, poich sarebbe cos = 0 e la divisione per zero non consentita.
tan (, +) =
+ k 2
Per ciascuna delle funzioni goniometriche fondamentali, seno, coseno e tangente, ne esiste la reciproca, dette rispettivamente secante, cosecante e cotangente, e riportate nella tabella successivala insieme alla condizione di esistenza corrispondente:
F unzione
F unzione reciproca
Condizione esistenza
sec =
sen
1
sen = 0 ( = + k ) cos = 0 ( =
+ k ) 2
cosec =
sen = 0 ( = + k )
Riportiamo di seguito i graci delle funzioni seno, coseno e tangente, con le tabelle dei corrispondenti valori notevoli.
x
0 2 3 2 2
cosx
1 0 1 0 1
x
0 2 3 2 2
sen x
0 1 0 1 0
10
x
0 2 3 2 2
tanx
0
non esiste
0
non esiste
0
Dalle immagini si pu osservare che le funzioni goniometrice sono periodiche, ossia p > 0 tale che per ogni x e per ogni numero intero k si ha che f (x) = f (x + kp). In particolare, seno e coseno hanno periodo 2 , mentre la tangente ha periodo pari a . Dato k Z allora:
cos = cos( + 2k ) sen = sen( + 2k ) tan = tan( + k )
In ultimo, le funzioni seno, coseno e tangente risultano essere invertibili rispettivamente negli intervalli , , [0, ] e , .
2 2 2 2
11
x = sen y.
arcocoseno: dati due numeri reali, 1 x 1 e 0 y , diremo
<y< , 2 2
Esempi:
Se y = arc cos(1) signica che y l'angolo il cui coseno vale 1,
cio y = 0 ;
Se y = arc sen(1) signica che y l'angolo il cui seno vale 1, cio y = ; 2 Se y = arc tan(0) signica che y l'angolo la cui tangente vale 0,
cio y = 0 .
12
= 30 =
sen
1 = 6 2
3 cos = 6 2
= 45 =
2 cos = 4 2 2 sen = 4 2
13
= 60 =
cos =
1 2
3 sen = 3 2
cos
1
con =
+ k ; 2
sen
con = + k .
14
cos( + ) = coscos sen sen cos( ) = coscos + sen sen sen( + ) = sen cos + cos sen sen( ) = sen cos cos sen tan( + ) = tan( ) = tan + tan 1 tan tan tan tan 1 + tan tan
Duplicazione
15
Bisezione
= 2 = 2 = 2
Ponendo t = tan
cos = sen =
1 t2 1 + t2 2t 1 + t2
: 2
Formule di prostaferesi
sen p + sen q = 2 sen sen p sen q = 2 cos cosp + cosq = 2 cos cosp cosq = 2 sen
16
un angolo retto:
+ =
+ 2k 2
un angolo piatto:
+ = + 2k opposti se, a meno di 2k (k = 0, 1, 1, . . . ), dieriscono solo di segno: = =
17
cotan
18
cotan
19
3 : 2
3 + = cos 2 3 + = sen 2
3 + = cotan 2 3 + = tan 2
cotan
20
Ricordando che le funzioni seno e coseno assumono solo valori compresi tra -1 e 1, si avr che un'equazione elementare del tipo sen x = a (rispettivamente cosx = b) :
Determinata : se 1 a 1 (rispettivamente 1 b 1) ;
21
(rispettivamente b < 1 oppure b > 1) Per quanto riguarda, invece, un'equazione elementare del tipo tanx = c, essa risulta determinata per ogni valore di c, in quanto la tangente assume valori su tutto R.
Esempio:
sen x 1 5 = 0 = x = + 2 k ; x = +2 k 2 6 6
sen x =
22
Esempio:
2 sen2 x + 5cosx 4 = 0
2(1 cos2 x) + 5cosx 4 = 0 2cos2 x 5cosx + 2 = 0 Nessuna soluzione 5 25 16 cosx = 2 cosx = = 1 cosx = 4 x = + 2k 2 3
2) Equazioni goniometrice LINEARI Un'equazione goniometrica si dice lineare in sen x e cosx se possibile ricondurla alla forma:
a sen x + b cosx + c = 0 , a, b, c R , a = 0 e b = 0
Poich cosx risulta essere sicuramente diverso da zero (se fosse zero, infatti, vorrebbe dire x = + k , che non soluzione dell'equazione) allora:
2
cosx
3cosx
23
Dopo aver vericato che x = + 2k non soluzione dell'equazione, sfruttiamo le formule parametriche:
cos =
1 t2 1 + t2 ;
sen =
2t 1 + t2
t = tan
sostituendole nell'equazione:
2t 1 t2 + 1 = 2t + 1 t2 1 t2 = 2t2 + 2t = 0 1 + t2 1 + t2 = 2t(t 1) = 0 = t = 0 t = 1 = tan
x
2
= 0 tan
x
2
=1
x
2
= k
x
2
+ k 4 + 2k 2
= x = 2k x =
24
Mettiamo a sistema l'equazione da risolvere con la relazione fondamentale della goniometria (che sappiamo valere sempre):
3cosx + sen x = 3 cos2 x + sen2 x = 1
x=
+ 2k 3
Esempio 1: caso a = 0 c = 0:
sen2 x 3 sen xcosx = 0
sen x = 0 = x = k
+ k 3
3 = x =
Esempio 2: caso a = 0 e c = 0:
sen2 x (1 + 3) sen xcosx + 3cos2 x = 0
tan2 x (1 + 3)tanx + 3 = 0 3)2 4 3
tanx
(1 +
1,2
3)
(1 + 2
tanx = 1 = x =
+ k 4
tanx =
3 = x = + k 3
26
4) Equazioni goniometrice PARAMETRICHE Un'equazione goniometrica si dice parametrica quando dipende da un parametro reale, che indichiamo con k. Il numero di soluzioni varia al variare di k. Per risolvere questo tipo di equazioni si usa il metodo graco. Esempio di equazione parametrica elementare:
sen x = 2k 1 con 0 x
3 = y = sen x y = 2k 1
27
Determiniamo k in corrispondenza della retta passante per il punto A = cos ; sen = (0; 1) k + 1 = 0 k = 1
2 2
Disegniamo la circonferenza goniometrica e le rette corrispondenti a k = 0 e k = 1. Guardando il graco, per k > 1 avremo una sola soluzione (intersezione tra retta e circonferenza).
5) Sistemi di equazioni Un sistema di equazioni goniometriche un insieme di due o pi equazioni goniometriche nelle stesse incognite.
Le soluzioni del sistema sono le soluzioni comuni a tutte le equazioni che lo compongono.
28
Esempio:
x + y = 2 sen x + sen y = 1 x = y 2 = sen y + sen y = 1 2
Ricordando che sen y = cosy e risolvendo l'equazione lineare goniome2 trica con le formule parametriche, otteniamo i seguenti risultati:
y = 2k x =
2
y =
+ 2k
2k
x = 2k
29
x=
x=
5 3
Tracciamo il graco della funzione cosx nell'intervallo [0, 2 ] e il graco della 1 retta y = .
2
Poich deve essere cosx < , gracamente dobbiamo considerare la parte di cosinusoide che sta strettamente sotto la retta y = .
5 + 2k < x < + 2k 3 3 1 2
1 2
30
Disegniamo la circonferenza goniometrica e nel cerchio evidenziamo i punti 1 5 P e Q di ascissa uguale a : essi corrispondono agli angoli e , soluzioni 2 3 3 dell'equazione associata.
Considerando tutti gli angoli a cui corrisponde sulla circonferenza un punto 1 di ascissa minore di e considerando anche la periodicit della funzione 2 coseno, le soluzioni sono:
5 + 2k < x < + 2k 3 3
2) Disequazione goniometrica LINEARE Una disequazione goniometrica si dice lineare in sen x e cosx se possibile ricondurla ad una di queste forme:
a sen x + bcosx + c > 0 a sen x + bcosx + c 0
31
Le disequazioni lineari in sen x e cosx si risolvono in modo analogo alle equazioni lineari. Si possono usare diversi metodi:
metodi graci tramite l'utilizzo della circonferenza goniometrica o i
2) Disequazione goniometrica OMOGENEA DI 2 GRADO Una disequazione goniometrica si dice omogenea di 2 grado in sen x e cosx se possibile ricondurla ad una di queste forme:
a sen2 x + b sen xcosx + ccos2 x > 0 a sen2 x + b sen xcosx + ccos2 x 0 a sen2 x + b sen xcosx + ccos2 x < 0 a sen2 x + b sen xcosx + ccos2 x 0
32
cosx
3 5 7 x x 4 4 4 4 3 < x < 2 2 2
Nel graco riportato di seguito sono rappresentati, sulla circonferenza goniometrica, i segni del numeratore (in arancione) e quelli del denominatore (in azzurro); calcolando il prodotto dei segni, si ottengono gli intervalli di soluzione della disequazione goniometrica frazionaria (scritti al di fuori della circonferenza goniometrica in nero):
0x 3 <x 2 4 3 5 <x 4 2 7 < x 2 4 4
33
Capitolo 5 I triangoli
5.1 I triangoli rettangoli
Un triangolo si dice rettangolo se ha un angolo pari a 90 ; di seguito elenchiamo, senza dimostrare, due teoremi inerenti a tali triangoli.
Primo teorema dei triangoli rettangoli
In un triangolo rettangolo la misura di un cateto uguale a quella dell'ipotenusa per il seno dell'angolo opposto al cateto o per il coseno dell'angolo adiacente al cateto.
Secondo teorema dei triangoli rettangoli
In un triangolo rettangolo la misura di un cateto uguale a quella dell'altro cateto per la tangente dell'angolo opposto o per la cotangente dell'angolo adiacente al cateto.
34
Risolvere un triangolo rettangolo signica determinare le misure dei suoi lati e dei suoi angoli conoscendo almeno un lato e un altro dei suoi elementi (un angolo o un lato). Proponiamo quattro casi: due casi in cui si conoscono due lati e due casi in cui si conoscono un lato e un angolo.
35
Siano noti due cateti, a e b, supponiamo si vogliano trovare , e c. Per il a secondo teorema dei triangoli rettangoli tan = , cio b a = arc tan b Ricordando che + = , si ha:
= 2 2
c=
a sen
36
Siano noti a e c e si vogliano trovare , e b. a Dal primo teorema abbiamo: sen = ovvero c a = arc sen c A questo punto, per la stessa considerazione fatta nell'esempio precedente, si ha:
= 2
b=
c = c sen cos
37
38
39
La misura dell'area di un triangolo qualsiasi uguale al semiprodotto delle misure di due lati e del seno dell'angolo fra di essi compreso.
In una circonferenza la misura di una corda uguale al prodotto del diametro per il seno di uno degli angoli alla circonferenza che insistono sulla corda.
Teorema dei SENI
In un triangolo, le misure dei lati sono proporzionali ai seni degli angoli opposti.
Teorema di CARNOT o del COSENO
In un triangolo, il quadrato della misura di un lato uguale alla somma dei quadrati delle misure degli altri due, diminuita del doppio prodotto della misura di questi due lati per il coseno dell'angolo fra essi compreso. 40
Figura 5.5. Teorema di Carnot o del coseno Analogamente al caso dei triangoli rettangoli, risolvere un triangolo signica determinare le misure dei suoi lati e dei suoi angoli, conoscendo almeno un lato e altri due suoi elementi. Esaminiamo i quattro possibili casi.
41
si determina il terzo angolo = ( + ); si applica il teorema dei seni per ricavare gli altri due lati a e b.
42
Secondo caso: sono noti due lati b e c e l'angolo tra essi compreso.
si determina il terzo lato a utilizzando il teorema del coseno; si determina l'angolo utilizzando il teorema del coseno; si determina il terzo angolo = ( + ).
43
Terzo caso: sono noti due lati a e b e l'angolo opposto ad uno di essi.
si determina utilizzando il teorema dei seni; si determina il terzo angolo = ( + ); si determina il terzo lato c applicando il teorema dei seni.
44
si applica il teorema del coseno per trovare due angoli; si determina il terzo angolo = ( + ).
45
Deniamo ora, senza dimostrare, alcune formule utili per i triangoli qualsiasi; esse derivano dall'applicazione dei teoremi di trigonometria.
Formule di Briggs
p=
(a + b + c) 2
sen
= 2
(p b)(p c)
bc
; cos
= 2
sen
(p c)(p a)
ca
; cos
sen
(p a)(p b)
ab
; cos
Formula di Erone
p=
(a + b + c) 2
46
tan
= 2
(p b)(p c) p(p a)
r=
r=
47
Bisettrici di un triangolo
Deniamo b la bisettrice dell'angolo , b quella dell'angolo e b quella dell'angolo . Le formule sono le seguenti:
b = b = b =
2bc cos b+c 2 2ac cos a+c 2 2ab cos a+b 2
Mediane di un triangolo
Deniamo m la mediana relativa al lato a, m quella relativa al lato b e m quella relativa al lato c.
a b
m =
a
2b2 + 2c2 a2 2
m =
b
2a2 + 2c2 b2 2
m =
c
2a2 + 2b2 c2 2
48
r distanza di P dall'origine
ampiezza dell'angolo xOP
O polo
49
Per trasformare le coordinate cartesiane di un punto P (x ; y ) in coordinate polari, si utilizzano le seguenti formule:
P P
r=
x2 + y2
P
tan =
y x
si determina in base al quandrante in cui si trova il punto: yP se il punto appartiene al I quadrante; = arc tan x P y = arc tan P + k se il punto appartiene al II o al III quadrante; xP y = arc tan P + 2 se il punto appartiene al IV quadrante.
Per trasformare le coordinate polari di un punto (r; ) in coordinate cartesiane, si usano le seguenti formule:
xP = rcos y = r sen
P
50
non hanno alcun signicato nel campo reale, stata necessaria l'estensione al campo dei numeri complessi, introducendo i numeri immaginari.
Si chiama unit immaginaria quel numero complesso tale che:
i2 = 1
Si denisce numero complesso z il seguente numero:
a, b R
51
I numeri complessi possono essere rappresentati come punti di un particolare piano cartesiano, detto piano di Argand-Gauss ; in esso la parte reale del numero complesso indicata dall'ascissa, la parte immaginaria dall'ordinata; per tale motivo, l'asse x detto asse reale, mentre l'asse y detto asse immaginario. sempre possibile, quindi, associare al numero complesso z = a + ib un vettore OP di componenti (a; b) e viceversa, cio ad ogni vettore OP di componenti (a; b) si pu associare il numero complesso z = a + ib.
z = a + ib OP = (a; b) a=x
; b = yP
Se ci non si verica, per, contrariamete a quanto avveniva per i numeri reali, non si pu stabilire tra di loro una relazione di "maggiore" o "minore". 52
a2 + b2
A questo punto, riportiamo di seguito le quattro operazioni fondamentali tra numeri complessi.
Somma: (a + i b ) + (c + i d ) = (a + c )+ i (b + d). Sottrazione: (a + i b ) - (c + i d ) = (a - c )+ i (b - d). Moltiplicazione: (a + i b ) (c + i d ) = (ac - bd )+ i (ad + bc). Divisione: (a + i b) : (c + i d) = [(a + i b)(c i d)] . c2 + d2
53
a = rcos b = r sen
A questo punto, per calcolare la potenza n -esima (n N) di un numero complesso si usa la formula di De Moivre :
Potenza n -ima: zn = rn (cos(n ) + i sen(n ))
54
Capitolo 8 Matrici
Una matrice (di numeri) una tabella ordinata di m n numeri, reali o complessi, disposti su m -righe e n -colonne.
Am,n
1,1 a2,1 = . . .
a1,n a2,n . . .
Le matrici si indicano con le lettere maiuscole dell'alfabeto, mentre gli elementi delle matrici si indicano con la stessa lettera minuscola seguita da due indici che permettono di individuare la posizione che ciascun elemento occupa nella matrice stessa. Illustriamo ora matrici particolari.
Vettore riga: una matrice avente solo una riga. = a1,1 a1,1
a1,n
55
1,1 a2,1 B = . . .
am,1
An,n
0 0 0
0 = . . . 0
. . .
0 0 ... . . . 0
56
Matrice identit: una matrice quadrata con tutti gli elementi nul-
li, tranne quelli della diagonale principale, che sono uguali a 1. Una matrice identit si indica con I.
1 0 = . . . 0 0 1 0 0 ... . . . 1
In,n
. . .
dimensione m n. In tal caso, la matrice risultante si ottiene sommando i rispettivi elementi delle matrici di partenza.
3 0 1 = 2 3 1 5 0 2
B3,3
A3,3
1 4 4 = 3 3 0 2 1 1
3 = 5 6 1 C = A + B = 2 + 3 3 3 1 + 0 5 2 0 + 1 2 + 1 3 1 1 31 0+4 14 2 4
57
e B denito se e solo se le matrici sono del tipo m p e p n. La matrice prodotto C = A B risulta essere una matrice di dimensione m n, il cui elemento generico c dato dalla somma dei seguenti prodotti:
A
i,j
c = a b + a b + + a b
i,j i,1 1,j i,2 2,j i,p
p,j
Osservazione: se risulta denito il prodotto A B, non detto che sia denito anche il prodotto B A e, comunque, seppure fosse denito, la matrice prodotto non risulterebbe essere per forza la stessa; il prodotto tra matrici, infatti, non commutativo.
A3,2
B2,2
= 1 2 2 3
1 2 3 2
C3,2
1 2 =AB= 7 2 11 2
Trasposizione: data una matrice A di dimensione m n, si dice trasposta di A e si indica AT la matrice di dimensione n m che si ottiene
A2,3
2 1 0
A3,2
T = 3 1 1 0
58
e uno scalare k, la matrice prodotto k A di dimensione uguale ad A e si ottiene moltiplicando ciascun elemento di A per lo scalare k.
A
A2,3
1 3 5 4 7 6
k = 3 = kA =
15
12 21 18
A2,2
det A =
Nel caso di matrici di ordine maggiore al secondo, invece, premettiamo le seguenti denizioni.
Minore di una matrice
: una qualunque matrice quadrata ottenuta da A eliminando alcune righe e alcune colonne.
A
: una qualunque matrice quadrata ottenuta da A eliminando una riga e una colonna.
A
59
: il determinante del minore complementare ottenuto eliminando l' i -esima riga e la j -esima colonna e preso col suo segno o con quello opposto a seconda che i +j sia pari o dispari. Si indica con A .
A
i,j
A questo punto, data per esempio una matrice di ordine 3, il suo determinate si ottiene sommando i prodotti degli elementi della prima riga per i rispettivi complementi algebrici.
a1,1 a1,2 a1,3 det A = a2,1 a2,2 a2,3 = a1,1 A1,1 + a1,2 A1,2 + a1,3 A1,3 a3,1 a3,2 a3,3
Esempio:
1 det A = 0 3 4 2 5 0 =1 4 5 0 5 3 0 0 4
3 6
6 0
3 6
= 1 30 3 (15) 2 (12) = 99
Per calcolare il determinante di matrici di ordine 3, inoltre, vale la seguente regola di Sarrus : bisogna riscrivere le prime due colonne accanto alle tre gi presenti e sommare i prodotti delle diagonali principali (frecce rosse) e sottrarre i prodotti delle diagonali secondarie (frecce blu).
= a1,1 a2,2 a3,3 + a1,2 a2,3 a3,1 + a1,3 a2,1 a3,2 a1,3 a2,2 a3,1 a1,1 a2,3 a3,2 a1,2 a2,1 a3,3
60
segno;
se in una matrice due righe o due colonne sono proporzionali il deter-
allora il determinante uguale alla somma dei determinanti che hanno nella riga o nella colonna corrispondente rispettivamente come elementi il primo addendo e il secondo addendo;
il valore del determinante non cambia sommando a una riga o a una
colonna una qualunque combinazione lineare degli elementi delle altre righe o colonne;
il determinante di una matrice quadrata e della sua trasposta hanno lo
stesso valore.
Osserviamo innanzitutto che una matrice invertibile se non singolare, cio ha determinante diverso da zero. Per la ricerca dell'inversa di una matrice quadrata A non singolare, deniamo A reciproco dell'elemento a il rapporto , dove A il complemento D algebrico di a e D il determinante di A. La matrice inversa viene calcolata nel metodo seguente:
i,j i,j i,j i,j
si sostituiscono tutti gli elementi della matrice con i rispettivi reciproci; la matrice cos ottenuta deve essere trasposta: si ottiene cos la matrice
inversa che si stava cercando. Per le matrici di ordine due e tre si sono gi visti i vari metodi per il calcolo del determinante, ma in generale, per una matrice di qualsiasi ordine, vale il seguente teorema.
Teorema 8.3.1 (Teorema di Laplace).
Il determinante di una matrice quadrata A dato dalla somma dei prodotti degli elementi di una qualsiasi riga o colonna per i rispettivi complementi algebrici. In formula:
n
| A |=
i,j =1
i,j
Ai,j
62
con
a b =0 a b
63
incidenza: se due rette si incontrano in un punto P, dopo la trasformazione si incontreranno in un punto P che risulta essere proprio il trasformato di P secondo le equazioni dell'anit; trasformazione di coniche: ogni conica si trasforma in una conica dello stesso tipo (parabole in parabole, ellissi in ellissi e iperboli in iperboli), tranne la circonferenza che diventa un'ellisse; rapporto tra le aree: il rapporto tra aree di gure corrispondenti determinate con la stessa anit risulta sempre costante e uguale al rapporto di anit k.
Le anit, in generale, non conservano n le distanze tra due punti n la forma delle gure geometriche.
2) Un'isometria una particolare anit che conserva le distanze tra punti.
Inoltre, per, si sa che un'isometria trasforma una gura in un'altra ad essa congruente, quindi l'area di una gura deve essere equivalente a quella della sua trasformata. Perch ci avvenga, il rapporto di anit deve valere necessariamente 1 o -1, ossia
a b = 1 a b
Inne, si deve imporre la condizione di conservazione della distanza tra punti dopo la trasformazione. Questo porta alle condizioni aggiuntive:
a2 + a'2 = b2 + b'2 ab + a b = 0
64
Anche per la similitudine valgono le condizioni dell'anit; inoltre, per conservare costante il rapporto tra segmenti corrispondenti si ha che:
a2 + a 2 = b2 + b 2 ab + a b = 0
a2 + a 2 =
b2 + b 2
65
Sotto tali condizioni, si ha che le equazioni delle similitudini possono essere solo di due tipi:
x = a x b y + c y = b x + a y + c
x = a x + b y + c y = b x a y + c
4) Un' omotetia una particolare similitudine costruita scegliendo un centro C e tale che, detto P il trasformato di P, risulta:
CP = k CP
con x =
C
1k
e y =
C
1k
Propriet dell'omotetia:
conserva la forma delle gure; conserva l'ampiezza degli angoli; trasforma sempre una retta in una a essa parallela; trasforma un segmento in uno a esso proporzionale; se k > 0 allora un punto e il suo trasformato si troveranno sulla stessa semiretta avente origine in C ;
66
se k < 0 allora un punto e il suo trasformato si troveranno su semirette opposte, aventi entrambe origine in C ; se | k |> 1 allora la gura risulta ingrandita; se | k |< 1 allora la gura risulta rimpicciolita.
67
Se si considerano m equazioni lineari in n incognite si pu realizzare un sistema. Le incognite saranno sempre le stesse per ogni equazione, i coecienti saranno del tipo a , dove i indica l'equazione nella quale ci si trova e j l'incognita alla quale si riferisce il coeciente, e i termini noti avranno bisogno di un pedice i che indica l'equazione della quale sono termini noti. Scrivendo tutte le equazioni in forma normale, ordinate dalla prima alla m -esima, si ottiene il sistema scritto in forma normale :
ij
68
Se tutti i termini noti di tutte le equazioni sono nulli allora il sistema detto omogeneo. A questo punto, siano s1 , s2 , s3 , . . . , sn numeri reali tali che x1 = s1 , x2 = s2 , . . . , xn = sn sono contemporaneamente soluzioni di tutte le m equazioni, allora la n -pla (s1 , s2 , s3 , . . . , sn ) detta soluzione del sistema. Risolvere il sistema vuol dire trovare tutte le soluzioni possibili; in eetti, non sempre esiste una soluzione del sistema. Distinguiamo i diversi casi:
se non esiste soluzione , il sistema si dice impossibile; se esiste almeno una soluzione, il sistema si dice compatibile o riso-
lubile.
In particolare: - se esiste una sola soluzione il sistema detto determinato; - se le soluzioni sono innite il sistema detto indeterminato.
=B
dove gurano: 69
mata da tutti i coecienti delle incognite del sistema, ordinati secondo gli indici i e j.
a 1 ,1 a2,1 A = . . .
a1,n a2,n . . .
xn
bm
a1,n a2,n . . .
b1 b2 . . .
70
Le operazioni che si possono eettuare su un sistema di equazioni hanno delle ripercussioni sulle operazioni che si possono compiere relativamente alle righe della matrice completa associata. Sistema:
Moltiplicare un'equazione per
Matrice completa:
Moltiplicare una riga per una
loro;
Aggiungere un multiplo di un'e-
loro;
Aggiungere un multiplo di una
quazione ad un'altra.
riga ad un'altra.
Inoltre, l'esistenza delle soluzioni di un sistema pu essere valutata tramite le matrici ad esso associate, secondo il seguente teorema.
Teorema 10.1.1 (ROUCH-CAPELLI).
Un sistema di m equazioni in n incognite ammette soluzioni se e solo se la matrice completa e quella incompleta ad esso associate hanno lo stesso rango. In particolare, se ci avviene, ricordando che n il numero di incognite e detto r il rango delle matrici, si hanno due possibili casi:
Se r = n allora il sistema ammette una sola soluzione e si dice deter-
minato ;
Se r = n allora il sistema ammette nr soluzioni e si dice indetermi-
nato.
71
;
A'
= 2 1 2 2
= 2 1 3 2 2 4
Calcoliamone il rango.
| A |= 1 1 = 3 = 0 1 2 2 4 =
2 1 1 2
rgA = 2
In particolare, A contenuta in A', quindi anche rgA' = 2 Il numero di incognite del sistema n = 2 = rgA' = rgA = il sistema determinato.
72
= 1
1 1 1 2 1 3
2 1 1
2 1 1 1
= 3 = 0 = rgA = 2
A'
2 1
2 1
= 3 = 0 = rgA' = 2
73
1 1 A = 2 1 = 2 1 1 1 2 = A' = 2 1 4 1 1 0
1 1 2 1 1 2 1 1
= 1 = 0 = rgA = 2
2 4 = 2 = 0 = rgA' = 3
1 1 0
rg
< rg
A'
= sistema impossibile.
74
n equazioni, n
Consideriamo ora un caso particolare, quello di un sistema di n equazioni in n incognite. In tal caso la forma matriciale del sistema rimane sempre AX = B, dove la matrice incompleta A associata al sistema quadrata di ordine n, le matrici X delle incognite e B dei termini noti hanno n righe. Esistono due metodi di risoluzione di sistemi lineari di n equazioni in n incognite.
Metodo dell'inversa: se il determinante di A diverso da zero, allora
AX
= A1 B =
= A1 B
Attenzione: il prodotto tra matrici non commutativo, quindi bisogna moltiplicare A1 B e non BA1 .
Regola di Cramer: bisogna trovare il determinante D della matrice
incompleta A:
a1,1 a1,2 a2,1 a2,2 D = det A = . . . . . . an,1 an,2 a1,n a2,n ... . . .
an,n
Se tale determinante non nullo, si va a sostituire, una per volta, le colonne della matrice incompleta con quella dei termini noti e verranno indicati con D1 , D2 , . . . , D i determinanti di tali matrici.
n
75
an,n
a1,1 b1 a1,n a1,1 a1,2 a2,1 b2 a2,n a2,1 a2,2 . . . ; Dn1 = . ; Dn = . . . . . . . .. . . . . . . . . an,1 bn an,n an,1 an,2
b1 b2 ;...; ... . . .
bn
x =
i
Di D
equazioni,
Anche nel caso generale di un sistema di m equazioni in n incognite la forma matriciale del sistema rimane sempre AX = B, dove la matrice incompleta A associata al sistema una matrice di dimensioni m n, le matrici X delle incognite e B dei termini noti hanno rispettivamente n e m righe. Un metodo di soluzione generale dei sistemi lineari prevede l'utilizzo di alcuni concetti, di seguito deniti:
Una matrice si dice ridotta per righe quando:
se una riga non interamente nulla, allora il primo numero non nullo 1;
76
se vi sono righe interamente nulle, queste sono raggruppate al fondo della matrice; se due righe consecutive non sono interamente nulle, l'1 iniziale della seconda riga appare pi a destra di quello della prima riga.
Anch una matrice diventi ridotta per righe, esiste un sistema di
le mosse di Gauss;
riscrivere il sistema associato alla nuova matrice e risolverlo per sosti-
tuzione.
77
Capitolo 11 Vettori
Esistono delle grandezze che per essere totalmente denite necessitano non solo della loro misura, ma anche della direzione e del verso: tali grandezze sono individuate da un entit, detta vettore, e si chiamano grandezze vettoriali.
Dati due punti del piano A e B, un segmento orientato caratteriz-
zato dalla lunghezza, cio dalla distanza tra A e B, dalla direzione, cio dalla retta sulla quale giacciono i due punti, e dal verso di percorrenza sulla retta.
Due segmenti orientati si dicono equipollenti se hanno la stessa lun-
ghezza, la stessa direzione e lo stesso verso. La relazione di equipollenza tra segmenti orientati riessiva, simmetrica e transitiva, quindi possiamo denirla come una relazione di equivalenza.
Si denisce vettore l'insieme di tutti i segmenti orientati equipol-
lenti. Esso si indica con una lettera e una freccia soprastante ed caratterizzato da:
modulo : la misura del segmento, rispetto a un'unit pressata, che si indica anche con la sola lettera, senza la freccia sopra; direzione : quella della retta a cui appartiene il segmento;
78
Dati due vettori del piano con origine in O, si disegna il parallelogramma avente per lati i due vettori. Il nuovo vettore con origine 79
in O che rappresenta la diagonale del parallelogramma la somma dei due vettori iniziali.
In questo caso, si lascia sso un vettore e si traccia il rappresentante dell'altro vettore avente origine nella punta del primo. Il vettore che unisce la coda del primo vettore e la punta del secondo il vettore somma.
80
Le coordinate del vettore somma sono la somma delle prime e la somma delle seconde coordinate dei due vettori addendi.
u (a; b) ; v (c; d) = u + v = (a + c; b + d) Dierenza: denita come somma di un vettore con l'opposto del-
l'altro. Per ogni vettore, infatti, si pu sempre considerare il vettore opposto, che ha stesso modulo, stessa direzione, ma verso opposto. Le sue coordinate sono le stesse del vettore di partenza cambiate di segno.
v = (a; b) = u = v = (a; b)
il vettore prodotto kv avr la stessa direzione del vettore di partenza v , modulo uguale a k volte il modulo di v e verso uguale o opposto al vettore iniziale a seconda che k sia positivo o negativo.
v = (a; b) = u = kv = (ka; kb)
81
si dice prodotto scalare, e si indica con u v, il numero ac + bd ottenuto sommando i prodotti dei vettori componente per componente.
Prodotto vettoriale tra vettori: in questo caso opportuno conside-
rare i vettori come elementi dello spazio, aggiungendo la terza coordinata che, qualora i vettori fossero sul piano vettoriale, sar semplicemente uno 0. Dati quindi due vettori nello spazio tridimensionale u = (a; b; c) e v = (d; e; f), si dice prodotto vettoriale, e si indica con u v o u v, il vettore dato dal seguente determinante:
i j k
dove i, j, k rappresentano rispettivamente i versori degli assi x, y, z e hanno rispettivamente coordinate (1, 0, 0), (0, 1, 0), (0, 0, 1)
Osservazione: il versore un particolare vettore che ha sempre modulo 1, ha la direzione di uno degli assi coordinati e il verso quello crescente dell'asse al quale si riferisce.
82
Ogni vettore del piano si pu scrivere come combinazione lineare dei versori, cio come somma del prodotto dei due versori per opportuni coecienti numerici.
v = (a; b) = a i + b j
Questo d la possibilit di svolgere le operazioni tra vettori considerate in precedenza in un altro modo, cio trattando i vettori come fossero dei polinomi.
Esempio:
u = (2; 3) = 2 i + 3 j ; v = (1; 2) = i 2 j
Allora
u v = 2 1 + 3 (2) = 4
o analogamente
u v = (2 i + 3 j)( i 2 j) = (2 1) i i + (3 (2)) j j = 4
83
mutativa e associativa e per la quale esiste l'elemento neutro, rappresentato dal vettore nullo, e l'opposto di ogni elemento;
la moltiplicazione per uno scalare che gode delle seguenti propriet:
- le propriet distributive sia del prodotto di un vettore per la somma tra scalari che del prodotto di uno scalare per la somma di due vettori; - la propriet associativa mista tra prodotto per un vettore e prodotto tra scalari. L'1 l'elemento neutro per tale prodotto.
Dato uno spazio vettoriale sui numeri reali V(+, ) valgono le seguenti propriet:
ogni vettore moltiplicato per lo zero dei reali d il vettore nullo: 0v=0 v V
84
vettore nullo:
k0=0
legge di annullamento del prodotto: k R
k v = 0 k = 0 v = 0
Si denisce combinazione lineare di n vettori v1 , v2 , . . . , vn V di coecienti c1 , c2 , . . . , cn R ogni vettore di V che si pu scrivere nella forma
c1 v1 + c2 v2 + + cn vn
I vettori v1 , v2 , . . . , vn V si dicono linearmente dipendenti se
esiste una combinazione lineare di coecienti non tutti nulli tale che
c1 v1 + c2 v2 + + cn vn = 0.
I vettori si dicono linearmente indipendenti se la suddetta combi-
nazione lineare non esiste, ossia se l'unica combinazione lineare tale che
c1 v1 + c2 v2 + + cn vn = 0
re vettori nulli, vettori proporzionali o vettori che sono combinazioni lineari dei restanti;
un sottoinsieme di vettori linearmente indipendenti ancora un insieme
di generatori dello spazio vettoriale se ogni vettore di V pu essere scritto come combinazione lineare degli n vettori dati.
Un insieme di n vettori v1 , v2 , . . . , vn V costituisce una base dello
spazio vettoriale se: v1 , v2 , . . . , vn sono un insieme di generatori dello spazio: v1 , v2 , . . . , vn sono linearmente indipendenti.
La dimensione di uno spazio vettoriale denita come il numero di
vettori di una sua qualsiasi base. Essa risulta univocamente denita, infatti: 86
se uno spazio vettoriale ha una base di n vettori, qualunque altra base di quello spazio avr n vettori; se uno spazio vettoriale ha dimensione n, allora qualunque insieme di k vettori dello spazio, con k > n, sar un insieme di vettori linearmente dipendenti.
Esempio:
cio ogni vettore del piano (a; b) pu essere espresso in maniera univoca come combinazione lineare dei due vettori dati.
= dim(R2 ) = 2 = tre vettori sono sempre linearmente dipendenti.
87
spazio. La coppia formata dalle prime due coordinate (x ;y ) del punto indica la sua proiezione sul piano cartesiano Oxy, mentre la coordinata z detta anche quota.
13.1 La retta
Consideriamo un punto P = (x1 ; y1 ; z1 ) e una direzione individuata da un vettore dello spazio di parametri (l; m; n). La retta passante per P e di direzione parallela al vettore dato data dalle seguenti equazioni parametriche:
88
x = x1 + l t y = y1 + m t z = z + n t
1
Osserviamo che (l; m; n) = (0; 0; 0) perch deve denire una direzione nello spazio ed inoltre:
l, m, n sono anche detti parametri direttori della retta; il vettore (l; m; n) viene chiamato vettore direttore.
89
in comune. Se due rette r e r ' di parametri direttori rispettivamente (l ;m ;n ) e (l ';m ';n ') sono parallele allora i due vettori direttori devono essere linearmente dipendenti, ossia:
rg l m n l m n
= 1;
incidenti: se hanno un solo punto in comune; perpendicolari: se risultano perpendicolari i vettori direttori, osser-
vando che le due rette non sono necessariamente incidenti. Se due rette r e r ' sono perpendicolari, la somma dei prodotti dei corrispondenti parametri deve essere nulla, ossia:
ll + mm + nn = 0;
sghembe: se le due rette non sono complanari.
90
13.2 Il piano
Un'equazione di primo grado del tipo
ax + by + cz + d = 0
rappresenta l'equazione generale di un piano dello spazio e viene detta equazione in forma implicita. Anche per il piano si pu esplicitare l'equazione rispetto alla variabile z e si ottiene:
z = mx + ny + q
detta appunto equazione in forma esplicita. Come fatto per la retta nello spazio, anche per il piano esaminiamo alcuni casi particolari:
se x =0 il piano Oyz ; se y =0 il piano Oxz ; se z =0 il piano Oxy ; se x =k un piano parallelo a Oyz ; se y =k un piano parallelo a Oxz ; se z =k un piano parallelo a Oxy.
Osservazione: data l'equazione in forma implicita del piano, il vettore (a ;b ;c ) un vettore perpendicolare al piano. A questo punto, dati due piani
: ax + by + cz + d = 0 :ax+by+cz+d =0
punto in comune. Propriet dei piani paralleli: - per un punto dello spazio si pu condurre un solo piano parallelo a un piano dato; - due piani paralleli a un terzo piano sono paralleli tra loro; - se due piani sono paralleli, un piano incidente uno di essi taglia anche l'altro e le rette di intersezione sono parallele. Considerando le equazioni implicite dei piani, essi risultano paralleli quando i vettori a essi perpendicolari sono linearmente dipendenti, ossia quando:
rg a b c a b c
=1
In particolare, poi, se si considera la matrice completa, si ha che in base al valore del suo rango si verica uno dei due tipi di parallelismo (la coincidenza o la disgiunzione dei piani). Nel dettaglio:
rg a b c a b c
2 1 = piani paralleli e disgiunti = piani paralleli coincidenti
92
aventi stessa origine sulla retta r, appartenenti rispettivamente ai piani e perpendicolari a r, i due vettori sono tra essi perpendicolari.
93
Propriet dei piani incidenti: - due piani distinti, cio non coincidenti, aventi un punto in comune si incontrano in una retta passante per quel punto; - due piani distinti aventi in comune due punti si incontrano lungo la retta per quei due punti. In riferimento al caso di incidenza, ci poniamo il problema di trovare le equazioni parametriche della retta di intersezione tra essi. Consideriamo due piani non paralleli:
: ax + by + cz + d = 0 :ax+by+cz+d =0
Si osserva che le matrici completa e incompleta hanno entrambe rango 2, ma le incognite sono 3, quindi, per quanto visto nel capitolo sui sistemi lineari, tale sistema risulter avere 1 soluzioni. Per esplicitarle si trasforma un'incognita in parametro e si risolve rispetto al parametro. In tal modo si ottengono le equazioni parametriche della retta di intersezione.
94
Esempio:
x 2y + z 3 = 0 2x y 4z + 3 = 0
: x 2y + z 3 = 0 ; : 2x y 4z +3 = 0
Usando il metodo di eliminazione di Gauss per ridurre la matrice completa, il sistema diventa:
x 2y + z 3 = 0 y 2z + 3 = 0 x = 3t 3 = y = 2zt 3 z = t
Quindi la retta di intersezione passa per il punto P (-3;-3;0) e ha parametri direttori (3;2;1).
improprio di piani individuato da l'insieme di tutti i piani dello spazio paralleli a . Tale fascio avr equazione:
ax + by + cz + = 0,
con R
Data una retta r dello spazio si chiama fascio proprio di piani di asse
95
L'equazione del fascio proprio generato da questi due piani data dalla combinazione lineare delle due equazioni:
(ax + by + cz + d) + (a x + b y + c z + d ) = 0
I piani che generano il fascio sono detti piani generatori del fascio. Ach un terzo piano : a x + b y + c z + d = 0 sia appartenente al fascio generato dai primi due, necessario che i coecienti delle equazioni dei tre piani siano linearmente dipendenti, cio:
a a
rg a
b c d b c d =2 b c d
Figura 13.4. Fascio improprio di piani Figura 13.5. Fascio proprio di piani
96
con esso.
dello stesso piano se passa per A ed perpendicolare a tutte le rette del piano passanti per A. Notiamo che:
- per un punto dello spazio esiste una e una sola retta perpendicolare a un piano dato; - per un punto dello spazio esiste uno e un solo piano perpendicolare a una retta data; - due rette perpendicolari a uno stesso piano sono tra esse parallele.
98
Distanza punto-piano.
d(
P, )
a2 + b2 + c2
retta e il piano la misura del segmento di perpendicolare condotto da un qualunque punto della retta al piano.
un qualunque segmento di perpendicolare condotto da un punto di uno dei due piani all'altro.
99
Enunciamo ora, senza dimostrare, un importante teorema riguardante le rette e i piani nello spazio.
Teorema 13.3.1 (Teorema delle tre perpendicolari). Ipotesi:
sia r una retta perpendicolare a
un piano;
sia s
una retta del piano non passante per il piede della perpendicolare;
individuato dalle rette r e t. In particolare, s sar perpendicolare a tutte le rette di quel piano.
100
' tra la congiungente PH appena costruita e la retta iniziale si L'angolo HPH dice angolo tra la retta e il piano. Vale il seguente teorema:
L'angolo acuto che una retta obliqua r, rispetto ad un piano, forma con la sua proiezione ortogonale su questo piano minore dell'angolo acuto che essa forma con una qualsiasi altra retta del piano passante per il punto di incidenza di r sul piano stesso.
101
dove
si dice angolo diedro o semplicemente diedro ciascuna delle due parti
102
I due semipiani si dicono facce del diedro, mentre la retta, origine dei due semipiani, prende il nome di spigolo del diedro.
si traccino le semirette dal vertice esterno a tutti i vertici del poligono. Gli angoli formati racchiudono una parte di spazio che viene detta angoloide.
103
vertice dell'angoloide: il punto fuori dal piano del poligono; spigoli dell'angoloide: le semirette congiungenti il vertice dell'angoloide con i vertici del poligono; facce dell'angoloide: gli angoli piani che si formano; angoloide convesso o concavo: a seconda che il poligono usato per la sua costruzione sia convesso o concavo.
14.1 I poliedri
Si dice poliedro la regione nita di spazio delimitata da un numero nito di poligoni convessi, giacenti su piani diversi e aventi a due a due un lato in comune.
Facce del poliedro: poligoni di cui composto il poliedro; vertici del poliedro: vertici dei poligoni; spigoli del poliedro: i lati dei poligoni;
104
supercie del poliedro: l'insieme di tutte le facce; poliedro convesso: quando giace tutto da una stessa parte rispetto al
piano di una sua qualsiasi faccia. In caso contrario si dice concavo. Riguardo facce, spigoli e vertici di un poliedro vale il seguente teorema.
Teorema 14.1.1.
In ogni poliedro convesso la somma del numero delle facce pi il numero dei vertici uguale al numero degli spigoli aumentato di due.
f+v=s+2 f = numero delle facce; v = numero dei vertici; s = numero degli spigoli.
Un poliedro, in particolare, si dice regolare quando le sue facce sono poligoni regolari uguali e i suoi angoloidi sono tutti uguali fra loro. I poligoni regolari che sono facce di poliedri regolari sono soltanto triangoli equilateri, quadrati e pentagoni regolari, con cui possibile realizzare solo cinque poliedri regolari, riportati di seguito. 105
Tetraedro regolare:
4 triangoli equilateri; 4 vertici; 6 spigoli.
Ottaedro regolare:
8 triangoli equilateri; 6 vertici; 12 spigoli.
Dodecaedro regolare:
12 pentagoni regolari; 20 vertici; 12 spigoli.
106
Icosaedro regolare:
20 triangoli equilateri; 12 vertici; 30 spigoli.
14.2 Prismi
Dati un poligono e una retta non appartenente al piano del poligono, la gura, costituita da tutte le rette parallele alla retta data e passanti per i punti del poligono, si dice prisma indenito.
Si chiama, invece, prisma denito, o semplicemente prisma, il poliedro costituito dalla parte di prisma indenito compresa fra due piani paralleli che lo intersecano. In un prisma distinguiamo i seguenti elementi:
107
del prisma;
spigoli laterali : i lati delle facce
laterali non comuni con le basi. Quando in un prisma gli spigoli laterali sono perpendicolari ai piani delle basi il prisma si dice retto. A questo punto riportiamo alcune formule utili al calcolo dei vari elementi di un prisma, utilizzando la seguentevnotazione:
V il volume del prisma; Ab indica l'area del poligono di base; Al indica la supercie laterale del prisma; At la supercie totale del solido; h rappresenta l'altezza; 2p indica il perimetro di base.
A = A + 2A
t l
Prisma retto: = A = 2p h
l
108
Esercizio:
Un prisma retto ha per base un rombo avente le diagonali di 16 cm e 12 cm. Sapendo che l'altezza h del prisma uguale al lato l del rombo di base, calcoliamo l'area della supercie laterale e il volume del solido.
Considero la met delle diagonali di base e trovo il lato del rombo applicando Pitagora. Questo coincide con l'altezza del prisma:
l=h=
16 2
2
12 2
= 10 cm
Poich il rombo ha 4 lati uguali, il perimetro del rombo misura: 2p = 4 10 = 40 cm Siamo in grado, quindi, di trovare la supercie laterale, moltiplicando il perimetro per l'altezza:
A = 2p h = 40 10 = 400 cm2
l
Per calcolare il volume ci serve l'area di base, ossia l'area del rombo, che ricordiamo essere uguale al semiprodotto delle sue diagonali, quindi:
A =
b
16 12 = 96 cm2 2
Possiamo quindi calcolare il volume del prisma moltiplicando l'area di base per l'altezza: V = A h = 96 10 = 960 cm3
b
109
14.3 Parallelepipedi
Si denisce parallelepipedo un particolare prisma in cui le basi sono parallelogrammi. Propriet:
le facce sono tutte dei parallelogrammi; nel parallelepipedo vi sono 6 facce, 8 vertici e 12 spigoli; si dicono opposte le facce che non hanno spigoli comuni; gli spigoli del parallelepipedo sono a 4 a 4 uguali e paralleli; in ogni parallelepipedo le facce opposte sono uguali e parallele e le 4
diagonali passano per uno stesso punto che dimezza ciascuna di esse.
In particolare, si denisce parallelepipedo rettangolo un parallelepipedo retto le cui basi sono dei rettangoli. In un parallelepipedo rettangolo le diagonali sono uguali. Le notazioni usate per le formule relative al parallelepipedo rettangolo sono le stesse di quelle usate per il prisma, con l'aggiunta dei seguenti elementi: 110
A = 2(a c + b c)
l
A = 2(a c + b c + a b)
t
d=
a2 + b2 + c2
111
Esercizio:
Un parallelepipedo rettangolo ha i due spigoli di base che misurano a =6 cm e b =8 cm e la diagonale d che misura 26 cm. Calcoliamo la supercie totale e il volume.
Dalla formula della diagonale ricaviamo la formula inversa per isolare la terza dimensione c :
d= a2 + b2 + c2 = c = d2 a2 b2
l=h=
12 2
= 10 cm
Siamo in grado, usando le formule viste in teoria, di trovare sia la supercie totale che il volume del solido.
A = 2(a c + b c + a b) = 2(144 + 192 + 48) = 768 cm2
t
A = 2p h = 40 10 = 400 cm2
l
112
14.4 Cubo
Si chiama cubo un parallelepipedo rettangolo avente le tre dimensioni uguali.
Figura 14.5. Cubo Notiamo che questo parallelepipedo retto e ha per facce 6 quadrati congruenti. Ogni quadrato pu essere considerato sia come base che come faccia laterale e il suo lato, in genere, viene indicato nelle formule con la lettera l.
V = l3 A = l2
b
A = 4l2
l
A = 6l2
t
d=l 3
113
e il piano contenente il poligono di base. La piramide prende il nome dal numero dei lati del poligono di base (avremo piramidi triangolari, quadrangolari e cos via...). L'unico caso particolare per la piramide triangolare che si chiama anche tetraedro. Una piramide, inoltre, si dice retta se il poligono di base circoscrivibile a una circonferenza e se il piede dell'altezza della piramide coincide col centro della circonferenza. Un particolare tipo di piramide retta la piramide regolare. Essa ha per base un poligono regolare e le altezze delle sue facce laterali sono tutte uguali. In particolare, si chiama apotema di una piramide retta l'altezza di una delle sue facce laterali.
114
La sezione che si ottiene tagliando una piramide con un piano parallelo alla base un poligono simile a quello di base. I perimetri di questi due poligoni sono proporzionali alle loro distanze dal vertice della piramide. Le loro aree sono proporzionali ai quadrati delle rispettive distanze dal vertice.
In formule:
(AB + BC + CD + DA) : (A B + B C + C D + D A ) = VH : VH
ABCD
: SA B C D = (VH)2 : (VH )2
115
La notazione usata per le formule inerenti ad una piramide retta sar la stessa usata per i solidi precedenti, stavolta con l'aggiunta del seguente elemento:
a l'apotema della piramide.
1 3
A =pa
l
A =A +A
t b
116
Esercizio:
Una piramide regolare a base quadrangolare ha il perimetro di base di 40 cm e un'altezza h di 9 cm. Calcoliamo la supercie totale e il volume.
Poich la base quadrangolare e la piramide regolare, il poligono di base un quadrato; inoltre, per ipotesi il perimetro di base 40 cm, quindi il lato del quadrato : l = 10cm. L'area di base risulter essere quindi:
A = l2 = 102 = 100 cm2
b
1 3
1 3
Per il calcolo dell'apotema a, possiamo applicare il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo i cui cateti sono l'altezza h e met del lato di base l e la cui ipotenusa proprio l'apotema.
a= h2 + l
2
2
81 + 25 =
106
Ottenuto l'apotema si possono calcolare la supercie laterale e quella totale del solido.
A = p a = 20 106
l
117
t b l
Figura 14.7. tronco di piramide Gli elementi che possiamo distinguere in un tronco di piramide sono:
due basi, costituite dai poligoni simili posti su piani paralleli; le facce laterali, costituite dai trapezi.
Se la piramide da cui si originato il tronco di piramide era retta o addirittura regolare, anche il tronco di piramide si dice retto o regolare. Per le formule relative al tronco di piramide, specichiamo alcune modiche apportate alla notazione gi in uso:
Ab l'area della base maggiore; Ab l'area della base minore; 2p il perimetro della base maggiore; 2p ' il perimetro della base minore;
118
Per quanto riguarda gli elementi non citati, la notazione rimane invariata rispetto ai casi precedenti. Osserviamo che l'apotema a, in questo caso, il segmento congiungente i punti di contatto tra due lati corrispondenti delle due basi e le rispettive circonferenze inscritte, nonch il tratto di apotema della piramide relativo al tronco; analogamente, l'altezza h quella del tronco di piramide. A questo punto si hanno le seguenti formule:
V=
1 h Ab + Ab + 3
A A
b
A = (p + p ) a
l
A = A + +A + A
t b b
119
Esercizio: Una piramide retta a base quadrata, avente altezza h = 24 cm e apotema pari 13 ai dell'altezza, viene tagliata con un piano parallelo alla base e distante 12 12 cm da quest'ultima. Calcoliamo la supercie totale e il volume del tronco di piramide ottenuto.
a2 h2 =
262 242 = 10 cm = l = 2 10 = 20 cm
2p = 20 4 = 80 cm
A questo punto, poniamo h = altezza del tronco di piramide, e a = apotema del tronco di piramide; dalle ipotesi h = 12 cm. Ora, con una semplice proporzione tra le altezze e gli apotemi della piramide e del tronco di piramide si trova il valore dell'apotema del tronco:
h : a = h : a = 24 : 26 = 12 : a = a =
26 12 = 13 cm 24
Con una proporzione analoga si individua anche la misura del lato della base minore, che chiamiamo l ':
h : l = h : l = 24 : 20 = 12 : l = l =
20 12 = 10 cm 24
120
2p = 10 4 = 40 cm
Attraverso le formule studiate in teoria, calcoliamo ora la supercie laterale, totale e il volume del tronco di piramide :
A = (p + p ) a = (40 + 20)13 = 780 cm2
l
V=
1 h 3
A +A +
b b
A A
b
121
raggi di base : gli altri due lati basi : i cerchi determinati dalla
rotazione dei raggi di base. Nel caso in cui l'altezza del cilindro doppia rispetto al raggio di base, il cilindro detto equilatero. In tal caso il rettangolo che genera il solido la met di un quadrato.
122
Le formule che permettono il calcolo dei vari elementi di un cilindro utilizzano la seguente notazione:
V il volume; Ab indica l'area del poligono di base; Al indica la supercie laterale del solido; At la supercie totale del solido; h rappresenta l'altezza; r indica il raggio di base.
A = r2
b
A = 2 r h
l
A = 2 r(h + r)
t
123
15.2 Il cono
Si chiama cono un solido generato dalla rotazione completa di un triangolo rettangolo attorno a uno dei suoi cateti. Elementi di un cono:
altezza : cateto attorno al quale
avviene la rotazione;
raggio di base : l'altro cateto del
triangolo;
apotema : ipotenusa del triango-
lo che ruota;
base :
Se l'apotema doppio del raggio di base e quindi il triangolo rettangolo che genera il solido mezzo triangolo equilatero, il cono detto equilatero. Per quanto riguarda il cono, la notazione uguale a quella usata per il cilindro, con l'aggiunta di un solo elemento:
a rappresenta l'apotema.
124
1 3
A = ra
l
A = r(a + r)
t
125
raggi di base : si possono intendere come raggi dei due cerchi di base o
La notazione relativa al tronco di cono la stessa usata per i precedenti solidi, con le seguenti modiche:
Ab indica l'area della base maggiore; Ab indica l'area della base minore; r indica il raggio della base maggiore; r ' indica il raggio della base minore.
1 3
A = r2
b
A = a(r + r )
l
A =A +A +A
t b b
126
15.4 La sfera
La sfera il solido generato dalla rotazione completa di un semicerchio attorno al suo diametro. Analogamente, dato un punto dello spazio, detto centro, e una distanza, detta raggio, la sfera denita come l'insieme dei punti dello spazio che hanno distanza dal centro minore o uguale al raggio. Elementi di una sfera:
raggio : raggio della semicircon-
punti dello spazio che hanno distanza dal centro esattamente uguale al raggio. La notazione relativa alla sfera la seguente:
V indica il volume della sfera; A indica la supercie totale; r indica il raggio.
127
Esercizio:
Una sfera inscritta in un cubo di volume V = 2744 cm3 . Troviamo la supercie della sfera e il suo volume. Dato il volume del cubo facile estrarne la radice cubica e ottenere il lato:
2744 = 14 cm l Il raggio della sfera sat quindi: r = = 7 cm 2
l=
Tramite le formule relative alla sfera possiamo calcolare sia la supercie laterale che il volume:
V = r3 = 343 =
4 3 4 3 1372 3
A = 4 r2 = 4 49 = 196
128
punto di contatto.
sfera un cerchio;
se il piano passa per il centro si
parla di cerchio massimo, mentre gli altri cerchi si dicono cerchi minori.
129
un cerchio;
la circonferenza di tale cerchio si
ne tra la sfera e il diametro della sfera passante per il centro della base della calotta;
l'altezza della calotta la distan-
S : supercie totale della calotta R : raggio della sfera h : altezza della calotta
= S = 2 R h
conferenze determinate dall'intersezione tra i piani e la supercie (le due basi possono avere lunghezze dierenti);
l'altezza la distanza fra i due
S : supercie totale della zona R : raggio della sfera h : altezza della zona
= S = 2 Rh
130
Fuso sferico: ciascuna delle due parti in cui due semipiani, aventi per origine una retta passante per il centro della sfera, dividono la supercie sferica.
il diedro del fuso il diedro
conferenza massima, che giace sulla supercie del fuso e che si ottiene tramite l'intersezione del fuso con un piano perpendicolare la retta di origine del diedro;
i lati del fuso sono le semicir-
S : supercie totale del fuso R : raggio della sfera : angolo diedro in radianti
= S = 2R2
131
V : volume del segmento r : raggio di base h : altezza del segmento R : raggio della sfera
4 h = V = 3 2
3
+ r2
h
2
1 = h2 (3R h) 3
Segmento sferico a due basi : la parte della sfera compresa fra due piani paralleli e secanti la sfera.
la base del segmento ciascu-
due basi;
l'altezza del segmento a due basi
+ r2 1
h
2
+ r2 2
h
2
Spicchio sferico: la parte della sfera delimitata da un fuso sferico e dai due semicerchi massimi corrispondenti ai lati del fuso.
la base dello spicchio il fuso; le facce dello spicchio sono i due
semicerchi massimi;
il diedro dello spicchio quello
133