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Saggi darte 7

2012 Johan & Levi Editore Redazione Margherita Alver Progetto grafico Paola Lenarduzzi Impaginazione Smalltoo Stampa Arti Grafiche Bianca & Volta Truccazzano (mi) Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 isbn 978-88-6010-060-3 Copyright Pierre Schneider 2012 Titolo originale: Les dialogues du Louvre La prima edizione francese stata pubblicata da Denol nel 1967. Johan & Levi Editore www.johanandlevi.com Per i crediti delle immagini si veda lapposita sezione. Leditore a disposizione degli aventi diritto che non riuscito a contattare. Il presente volume coperto da diritto dautore e nessuna parte di esso pu essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza lautorizzazione scritta dei proprietari dei diritti dautore.

Pierre Schneider

Louvre, mon amour


Undici grandi artisti in visita al museo pi famoso del mondo

Traduzione di Ximena Rodrguez Bradford

Volume realizzato nel rispetto delle norme di gestione forestale responsabile, su carta certificata Arcoprint Edizioni.

Sommario

Premessa 1. Bruciare il Louvre 2. Marc Chagall 3. Sam Francis 4. Alberto Giacometti 5. Joan Mir 6. Barnett Newman 7. Jean-Paul Riopelle 8. Pierre Soulages 9. Saul Steinberg 10. Bram van Velde 11. Vieira da Silva 12. Zao Wou-Ki Crediti delle immagini Indice dei nomi

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Premessa

La lezione di queste chiacchierate al Louvre* con alcuni artisti, se ce n una, emerger da sola, a poco a poco; da parte mia, mi sforzer di non trarne alcuna fino al termine di questesperienza. Pu per essere utile dire da dove sono partito. Con il suo rifiuto dellimmagine, larte del nostro tempo ha rotto per sempre con il passato? ancora possibile un dialogo oltre labisso? E se sussiste una continuit, di che genere ? Tutte domande che dovrebbero trovare un inizio di risposta in questo confronto diretto. Esso aiuter a chiarire anche la visione che hanno dellarte coloro che, pi attivamente di noi, vi si dedicano. Al tempo stesso, non escluso che questi, preoccupati soltanto di dirci cosa comunichi larte di ieri, ci confidino di s pi di quanto non farebbero con le dichiarazioni fin troppo ponderate che rilasciano nel loro studio. Le conversazioni sono solo la materia bruta di questi testi. Le parole degli artisti sono le cime impervie, isolate, frammentarie di un universo sprofondato nel silenzio. Un universo che ho cercato di ricomporre, come unAtlantide sommersa di cui ci si sforzi di far emergere i contorni. Per differenziare chiaramente la testimonianza dallinterpretazione, ho riservato luso del corsivo alle sole parole dei miei interlocutori, qui riportate nella loro integrit.
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* Gli incontri in questione ebbero luogo nelle sale del Louvre alla fine degli anni sessanta. Nel frattempo molti dei capolavori citati hanno cambiato collocazione e oggi fanno parte delle collezioni di altri musei. [N.d.R.]

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Aspetto di essere arrivato al Louvre per risponderle. Si parla bene di pittura solo davanti alla pittura. Paul Czanne

Una domenica di pioggia Lucien Guitry propose a sua moglie una visita al Louvre. Come, ancora? esclam lei. Erano quindici anni che non ci andavano. La prima e pi ovvia interpretazione che si tentati di dare che la noia, quel giorno, avesse finito per traumatizzare la povera donna. Io ne preferisco una seconda: lesperienza, per lei, era stata cos intensa che sembrava risalire al giorno prima. Esistono musei altrettanto ricchi e interessanti del Louvre: ci non toglie, comunque, che il Louvre sia un luogo magico, privilegiato. Qualche anno fa, quando ebbi lidea di visitarlo insieme ad alcuni pittori e ascoltare cosa avessero da dire davanti alle opere esposte, mi aspettavo pi di una defezione. In realt non ve ne fu nemmeno una. Sarei stato altrettanto fortunato se avessi proposto loro di accompagnarmi agli Uffizi, al Metropolitan o alla National Gallery? A questo proposito, Fantin-Latour sembra riassumere il parere dei pittori: Il Louvre, il Louvre, non c che il Louvre!. Anche Czanne la pensava cos: Mi sembra che al Louvre ci sia tutto; che si possa amare e comprendere tutto, per mezzo del Louvre. Luogo magico, dicevamo. Perch il Louvre non un museo, ma il Museo. Ed il Museo perch, sotto molti aspetti, appare tutto fuorch un museo. Un luogo in cui passeggiare, una casa di appuntamenti. Ho molto da dirti e da spiegarti comunica Baudelaire a sua madre il 16 dicembre 1847. Una lettera mi costa pi fatica di un intero volume. Da un lato, ho orrore di ogni cosa a casa tua e soprattutto dei tuoi domestici. Volevo pregarti di farti trovare oggi al Louvre, al Museo, nel grande Salon Carr, allora che tu mi indicherai, ma prima che potrai. Il Museo per apre solo alle undici. Non c posto a Parigi dove si possa chiacchierare meglio: riscaldato, si pu rimanere in attesa senza annoiarsi, inoltre il luogo dincontro pi decente per una donna. Quello stesso Salon Carr aveva fatto da cornice alle nozze tra Napoleone e Maria Luigia. Il corteo nuziale era partito dalla residenza imperiale, le Tui11

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lieries, percorrendo in tutta la sua lunghezza (quattrocentoquarantadue metri) la Galerie du bord de leau, meglio nota con il nome di Grande Galerie. La quale, per quanto stipata di tesori artistici (Napoleone vi aveva ammassato i capolavori confiscati allEuropa sottomessa), non era in fondo che un enorme corridoio fra due dimore reali, quella di citt e quella di campagna: il Louvre e le Tuilieries. Prima ancora di diventare un museo, il Louvre ne aveva gi viste di tutti i colori. Ha ospitato a turno il primo giornale pubblicato in Francia, una manifattura di arazzi, lAcadmie franaise e le sue sorelle minori, le Accademie di pittura e di scultura, la Borsa, una polveriera, diverse associazioni politiche, alcuni circoli rivoluzionari, pi di un raduno elettorale Ma soprattutto, il Louvre stato abitato. Dal Medioevo in avanti funse da residenza, prima secondaria e poi principale, dei re di Francia. Come ogni casa, era al pari degli oggetti che conteneva un luogo funzionale e familiare. Una prerogativa che fin per perdere quando Luigi xiv trasfer la corte a Versailles, anche se qualcosa di quella funzione originaria non avrebbe mai smesso di impregnarne le pareti e un nonnulla bastasse anzi a risvegliarla. La Rivoluzione del 1848 torn a fare del Louvre un palazzo: il Palazzo del Popolo. Gli insorti bivaccarono nella Grande Galerie, abbeverandosi ai vasi greci e romani. Cos fa12

essa modellata, in un certo senso, sulla propria funzione. Una condizione di felice innocenza che appannaggio dellartigianato e dellindustria. Il pittore vive nel tempo dellesperienza. Il suo lavoro non ha alcuna funzione. O, pi esattamente, ha smesso di averla il giorno in cui lartista si differenziato dallartigiano. Un divorzio che non si riduce semplicemente a quello fra loggetto dotato di una funzione utilitaria e limmagine, visto che anche limmagine rientrata per lungo tempo nella prima categoria: vaso in cui si mesceva il divino, porta aperta sul mondo degli spiriti, maschera dellinvisibile. Limmagine veniva abolita nellesperienza religiosa in cui era chiamata a traghettare il fruitore, allo stesso modo in cui la coppa scompare nellatto di bere. Essa fu anche decorazione, sontuoso rivestimento: una cornice riempita dai potenti di questo mondo. A dotarla di senso erano il tal principe o il tal ecclesiastico. Era, in una parola, transitiva. Nel Rinascimento larte ruppe con gli di, poi smise di piegarsi agli ordini dei grandi. Da mezzo, divenne fine; da transitiva, intransitiva. Attorno allimmagine si eresse la barriera protettiva e di separazione della cornice. Quale vittoria, per luomo di genio: creare non pi il vaso, ma la fonte! E tuttavia, il rimpianto che percepiamo in Degas sono soltanto in pochi, fra i pittori moderni, a non condividerlo. Il fatto che, assurgendo a fine, lopera finiva per ispessirsi, per opacizzarsi. Come la nostra mano ci appare sproporzionata e mostruosa non appena focalizziamo tutta lattenzione su di essa per esempio, quando un male o un incidente la paralizzano , cos, a volte, limmagine ci appare brutalmente pesante, assurda, fastidiosa. Qualsiasi organo spaventoso, se non c la funzione a riscattarlo (sempre Degas notava che gli alberi sarebbero orribili, se non si muovessero). E la pittura, in effetti, aveva smesso di servire a qualcosa: da allora la si vedeva troppo, non si vedeva che quella. Smettendo di essere operante, tendeva a ridursi a un oggetto (di cultura, di speculazione), a un corpo che la vita ha finito per abbandonare, destinato a essere raccolto in quei cimiteri, in quegli obitori che svariati autori identificano con i musei. L, il peso della loro fissit potr essere sostenuto soltanto dalla fissit non meno antinaturale della nostra attenzione, se non da uno sguardo frettoloso e distratto. La pittura postrinascimentale ha fabbricato il consumatore che si merita: il turista. Un quadro, tuttavia, si riduce meno a un oggetto darte in una casa che in un museo. L partecipa dellatmosfera generale. Circondato da oggetti che servono a qualcosa, sembra quasi avere anchesso una funzione. Visto centinaia di volte, cessa di essere visibile. Le maglie sottili intessute dalla frequentazione abituale del luogo finiscono per avvolgere quel corpo estraneo, per attenuare il suo splendore brutale. Lincoscienza e linnocenza che caratterizzano i rapporti di necessit lhanno travolto nella loro marea tiepida, ed solo inaspettatamente,
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cendo, non si mostrarono in fondo pi irrispettosi non un solo pezzo, del resto, and in frantumi di quanto lo sarebbe stato Degas con il suo dipinto di El Greco, su cui spogliandosi gli capitava spesso e volentieri di lanciare i pantaloni. Una tale disinvoltura segno di un rapporto vivo, fondato sullutilit. A un pittore mediocre che un giorno gli disse: I quadri sono oggetti di lusso, Degas rispose: I suoi, forse. I nostri sono oggetti di prima necessit. Un buon quadro, naturalmente, non lappendiabiti ideale. Degas non ignorava certo che la pittura, in fondo, ha pi a che vedere con il lusso che con la necessit. Linesorabile slittamento che la fa oscillare dal primo alla seconda, concretizzato nel tragitto che porta un quadro dallo studio del pittore allappartamento del collezionista, rappresentava per lui una vera tortura. noto come Degas non si separasse mai dalle sue tele se non quando vi era costretto, e che cercava poi di recuperarle, allo scopo, diceva, di correggerle. Ma il suo intento non era piuttosto quello di rianimare unopera morta che non serviva pi, che aveva smesso di essere il tramite di un dialogo? Fu per la stessa ragione che Bonnard si vide buttar fuori dal Muse du Luxembourg, ai tempi insignito dellaura di museo di arte moderna: un guardiano lo aveva sorpreso, scatola di colori alla mano, a ritoccare uno dei suoi quadri. Ci che spinge un artista a intraprendere tali rimaneggiamenti spesso infelici , pi dellambire a una perfezione che sa essere fuori portata, la consapevolezza che il rapporto vivificante, fondato sulla necessit, esiste solo fra lopera e il suo creatore. Una volta fabbricata la brocca, non importa chi vi berr;

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ormai, che riesce a rievocare in noi la sua natura eterogenea, come un iceberg che spunti allimprovviso nel placido silenzio delloceano. per questo che i pittori moderni amano il Louvre. Prima ancora che un museo, esso stato un palazzo: un luogo in cui larte veniva vissuta, oltre che vista. Un luogo che conserva tuttora uneco di quella transitivit, di quella trasparenza perduta, eternamente sognata. solo nel 1790 che il Louvre perlomeno il Salon Carr diviene ufficialmente un museo. Pi che di una brusca mutazione, per, si tratta di un lungo percorso evolutivo. Leonardo da Vinci mor ad Amboise nel 1519, lasciando le opere contenute nel suo studio, in particolare la Gioconda, la SantAnna e il San Giovanni Battista, a Francesco I. E cos, il re che diede avvio al palazzo fu anche colui che mise in moto il processo destinato a fare di esso un museo. I dipinti di Leonardo, infatti, non erano pi delle opere calate allinterno di uno scenario: erano dei corpi estranei, dei meteoriti densi, rari, piombati nello spazio della dimora oggetti darte, oggetti da collezione. Unautomobile diviene un oggetto da collezione nel momento in cui smette di circolare: il collezionista un re Mida che trasforma in oggetti darte le opere che tocca. Queste, per, possono prestarsi con pi o meno entusiasmo a tale processo di alterazione: alcune sono state forgiate in modo da non poter in alcun caso circolare. A Leonardo, uomo del
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Di tutte le cose che Mazarino lasci in eredit a Luigi xiv, la pi preziosa fu certamente il suo collaboratore Colbert. Il quale si occup di radunare le collezioni reali al Louvre. Ammontanti in origine a duecento opere, alla fine del regno arrivarono a duemila. Gli storici si sono spesso interrogati sulle ragioni che spinsero il Re Sole a trasferirsi dal Louvre a Versailles. A cacciarlo, con ogni evidenza, furono i quadri e le statue. Non si abita un museo. Forte della sua esperienza parigina, Luigi xiv si cur bene di preservare la sua nuova dimora da quel cancro museale: i capolavori delle collezioni non vennero dunque incorporati nellimponente scenario di Versailles, ma volutamente conservati presso la Direction des Batments du Roi,* dove i privati potevano studiarli, e perfino prenderli in prestito. Ufficialmente, il Louvre divenne un vero e proprio museo solo nel 1793. Perch ci accadesse era necessario che nel 1791 il cittadino Barrat esclamasse davanti allAssemblea: Bisogna restaurare il Louvre per farne un museo celebre!. Lappello a una simile trasformazione fu raccolto lanno successivo, su proposta del pittore David. Questultimo, in realt, riprendeva un progetto caro agli enciclopedisti. Nellarticolo dellEncyclopdie dedicato al Louvre, Diderot suggeriva di raggrupparvi le collezioni reali e, pi in particolare, di restituire ai quadri la Grande Galerie, allepoca occupata dai plastici delle fortezze reali. Ispirandosi a quel consiglio, il conte dAngiviller, sovrintendente alle Belle Arti sotto il regno di Luigi xvi, aveva gi fatto passare al vaglio la ristrutturazione della Grande Galerie, allo scopo di dotarla di unilluminazione zenitale. Il tempo passava, in un incessante susseguirsi di progetti e controprogetti. Nel 1793, Hubert Robert dipinse una Grande Galerie ammodernata, che allepoca non rappresentava che un sogno. Subito dopo, Robert dipinse una seconda versione dello stesso progetto, nel quale la Grande Galerie, ridotta ormai a pura rovina, assumeva laria maestosamente melanconica delle Terme di Caracalla, quasi a voler dire che, una volta svanita la vita, si profilava ununica alternativa: o il museo o lo sfacelo. Fu questultima strada che il Louvre imbocc dopo il trasferimento della corte. Un mare di catapecchie cominci pian piano ad attorniarlo. Il quartiere divenne malfamato, pericoloso. Sotto Luigi xv, si parl addirittura di demolire il palazzo, ma la Pompadour lo salv. Sebbene poco glorioso, fu proprio in quel periodo che si instaur il rapporto di intimit che lega ancora oggi gli artisti al Louvre. Dopo essere stato il palazzo dei re di Francia, infatti, il Louvre divenne una sorta di Bateau-Lavoir. Una miriade di pittori e scultori si install, visse e lavor nellammezzato della Grande
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Rinascimento, corrisponde il collezionista, anchegli prodotto del Rinascimento; lansia di creare, per mezzo del puro genio, un mondo al di fuori di quello naturale, necessita, per poter sbocciare, di uno spazio ideale; uno spazio che la collezione contribuisce a creare e che il museo finisce per portare a compimento. I dipinti lasciati da Leonardo a Francesco i, nucleo originario delle collezioni reali, costituivano una cellula cancerogena nellorganismo del palazzo. La quale non tard a propagarsi. Luigi xiii bramava un grandioso scenario, pi che una collezione. Desideroso di trasformare la Grande Galerie in un salone di ricevimento, per realizzare il proprio scopo fece richiamare Nicolas Poussin dallItalia. Non ho mai capito che cosa volesse il re da me avrebbe scritto in seguito Poussin. Eppure era semplice. Ma lartista, per il quale la pittura costituiva un mondo a s, non poteva pi tollerare di essere costretto a piegarsi a un ambiente circostante. Poussin avrebbe trovato maggiore comprensione nel cardinale Mazarino. Il quale, prima di trasferirsi nel suo palazzo personale, aveva abitato al Louvre. La dimora del collezionista era un vero e proprio museo in embrione: fu negli appartamenti di Mazarino che una parte del Louvre slitt per la prima volta dal piano del vivere a quello del vedere. Del conservatore di museo Mazarino dava gi segno di condividere le inquietudini. Quando Cristina di Svezia chiese di poter visitare la sua collezione, il cardinale, allora assente, scrisse al suo intendente Colbert: Che quella pazza non entri nei miei gabinetti del Louvre: potrebbero sparire alcuni dei miei quadretti.

* Sovrintendenza preposta alla costruzione e alla gestione delle residenze reali. Creata da Enrico iv di Francia, fu potenziata da Colbert ed estesa alla realizzazione di opere pubbliche, nonch alla gestione del mecenatismo reale attraverso il sostegno delle Accademie. [N.d.T.]

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Galerie. Prendendosi, fra laltro, ogni sorta di libert con lillustre edificio, per esempio facendo passare delle canne fumarie attraverso le sue nobili travi o le sue grandiose finestre. Coypel, Desportes, Boucher, Chardin, Vernet, Greuze, David: tutta larte del Settecento fu domiciliata al Louvre. Facendosi visita lun laltro o fermandosi casualmente a chiacchierare lungo i corridoi, quegli artisti formavano una vera comunit. Latmosfera doveva essere particolarmente allegra, ai tempi di Hubert Robert il cui temperamento non aveva nulla della malinconia delle sue rovine, e le cui facezie assumevano spesso e volentieri una piega sportiva (nottetempo scal il Colosseo dalla facciata esterna) e del suo amico Fragonard. Nemmeno le tempeste della Rivoluzione riuscirono a inasprire lumore spensierato del buon pap Frago. Quando si sent dire che la pensione accordatagli da Luigi xvi era stata ridotta di due terzi, il vecchio pittore saltell di gioia. Sei impazzito? gli chiese la moglie. No, sono contento. Contento! Cosa poteva capitarci di peggio? Avrebbero potuto prenderci tutto. Fu forse la candela di Fragonard quella che Napoleone vide accesa nella Grande Galerie la sera del 1805 o del 1806 in cui pass davanti al Louvre. Gi nel
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a Coypel quello dei disegni. Fino allavvento di Napoleone, i conservatori museali concierges, li si chiamava allepoca venivano selezionati fra la categoria dei pittori. Fu cos che uno di loro, il faceto Lpici, si trov a redigere il primo Catalogo ragionato nel 1752. Insignito di quello stesso titolo nel 1784, Hubert Robert partecip ai progetti di ristrutturazione del Louvre. Sotto la spinta di David, fu nominato, insieme a Fragonard, membro della commissione destinata a salvare i capolavori minacciati dalla Rivoluzione. Ai tempi dei sovrani, ed facile capirne il motivo, gli artisti beneficiavano di un trattamento di favore. Una volta allanno potevano esporvi le loro opere (contrariamente ai quartieri alti, che si spostavano da est a ovest, il Salon si spost da ovest a est, lungo la Grande Galerie, finendo per installarsi nel Salon Carr). Quando la Rivoluzione, nella sua foga decimale, sostitu la settimana con la decade, si decise di riservare due giorni alle pulizie e alle commissioni del museo, tre al pubblico e cinque agli artisti. Sono privilegi che non si dimenticano facilmente. Ancora oggi, qualsiasi artista che entri al Louvre assume laria del sovrano che ritrova il proprio trono dopo lunghi anni di esilio. A una guida che si era offerta di scortarlo, ToulouseLautrec, in compagnia di alcuni amici della Scuola di belle arti, ribatt: Per fare cosa? Siamo noi che facciamo il Louvre!. Unaffermazione doppiamente vera. Non solo lartista dota il museo di nuove opere, ma di fronte a lui e solo a lui, si sarebbe tentati di dire le opere antiche continuano a vivere o, per dirla altrimenti, evitano di congelarsi in oggetti di cultura e ammirazione. Sotto lo sguardo del pittore, la pittura del passato rivela una tale veemenza che Ingres, ai suoi allievi costretti a passare davanti ai quadri del detestabile Rubens per ammirare le tele del divino Raffaello, ordinava: Mettetevi dei paraocchi!. Lunico visitatore non addetto ai lavori su cui la pittura del Louvre abbia esercitato, nellOttocento, un effetto cos sconvolgente, fu la giovane prostituta che Baudelaire avrebbe immortalato nei panni della mendicante dai capelli rossi. La ragazza vi si rec per la prima volta in compagnia del poeta, stando al quale si sarebbe coperta il volto, arrossendo violentemente, alla vista delle nudit esposte sotto i suoi occhi. A partire dal 1848 il Louvre smise di ospitare il Salon. Ci non gli imped tuttavia di continuare a essere il salotto per eccellenza di tutti i pittori francesi. Fu l che Manet conobbe Fantin-Latour, intento a copiare i capolavori veneziani per carpire il segreto dei colori e destinato, a sua volta, a presentargli le sorelle Morisot. E fu sempre l che Manet, di fronte a un ragazzo che si ostinava a incidere direttamente sulla lastra di rame unInfanta di Velzquez, esclam: Che faccia tosta!. Quel ragazzo era Degas. La rottura con la tradizione avviata da Manet non mise affatto fine al rapporto di intimit che legava gli artisti moderni al Museo. Fu proprio al Louvre che Manet incontr il venditore di stracci Collardet,
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1802, limperatore aveva ordinato che il vecchio palazzo fosse sottratto agli artisti per essere restituito alle opere. Furente di non essere stato obbedito, fece cacciare il pittore allistante. Fragonard, Vien, Lagrene, Vernet, Robert, David: allincirca due centinaia di artisti furono sloggiati. Quellespulsione segna la vera e propria nascita del museo del Louvre. Essa rappresenta, in effetti, latto museografico per eccellenza. Un gesto che realizza il sogno inconfessato di tutti i conservatori museali: che larte faccia finalmente a meno degli artisti. Non disponendo, il pi delle volte, dei poteri dittatoriali di Napoleone, questi finiscono per ripiegare su simboliche forme di ostracismo quali la sostituzione di concetti astratti alla figura dellindividuo creatore: a generare lopera, proclamano, sono lo stile, lo Zeitgeist, la scuola o la struttura. Tuttaltro, invece, il sogno degli artisti. Davanti al Rifugio di caprioli di Courbet, appeso sopra lApoteosi di Omero di Ingres, Czanne esclamer: Non si vede niente Com sistemato male Quand che si decideranno a mettere un pittore, uno vero, a capo del Louvre?. Per un riflesso molto diffuso nellOttocento, Czanne colloca let delloro nel futuro, quando, in realt, appartiene al passato. Era agli artisti, infatti, che i re avevano affidato il compito di costituire e amministrare le loro collezioni. Francesco i sped Andrea del Sarto a Roma con tanto di fondi perch vi raccogliesse delle anticaglie: il manierista fiorentino si tenne i soldi e rest in Italia. Una spiacevole esperienza che non imped a Luigi xiv di affidare a Charles Le Brun la custodia del suo gabinetto di dipinti e

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destinato a fargli da modello nel suo Bevitore di assenzio (il primo quadro in cui si afferma la sua personalit). Manet, si dir, aveva ancora un piede nel passato. Ma che dire dei suoi successori? Di Czanne, per esempio? Mai il Louvre ebbe visitatore pi assiduo, pi appassionato. Da vecchio, vi si recava una volta alla settimana. E quando era lontano da Parigi, appendeva ai muri le riproduzioni dei suoi dipinti preferiti. La morte di Sardanapalo di Delacroix, Larrivo di Maria de Medici a Marsiglia di Rubens Instancabile, tornava sempre alla Flora di Poussin, sperando gli rivelasse lagognata formula per dipingere le sue Bagnanti. Verso il 1900, gli ultimi bastioni della tradizione finirono definitivamente per crollare. Era per lepoca in cui Matisse, luomo destinato a far uscire la pittura moderna dalla sua crisalide, si attardava al Louvre con Marquet in cerca di quei bianchi, di quei buchi, di quei tempi morti presenti anche nei pi grandiosi capolavori. Come il suo maestro Gustave Moreau aveva mandato i propri allievi al Louvre, cos lui vi avrebbe mandato i suoi. E persino una volta compiuta la sua rivoluzione pittorica vi avrebbe fatto ritorno e non solo per mero piacere. Nel 1909 Matisse stava lavorando al ritratto di Greta Moll, ma il dipinto non avanzava. Per consolarsi, in cerca di nuove ispirazioni racconta la modella decise di
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potuto accontentare qualche erudito, ma ci saremmo esposti alla critica, peraltro fondata [], di aver intralciato lo studio dei giovani allievi. I tumulti della Rivoluzione e le condizioni fatiscenti dei locali costrinsero le autorit a richiudere il museo appena inaugurato. Quando riapr i battenti, nel 1799, i quadri erano suddivisi per scuole. Gli eruditi avevano avuto la meglio sui pittori: la storia trionfava sulla vita. In realt, sufficiente che il pittore ridotto al rango di visitatore lasci vagare lo sguardo sulle opere esposte perch il lavoro degli storici crolli. Ma ci che egli fa emergere al suo posto non la vita, o meglio, una vita altra, non certo quella del momento storico che ha visto operare lartista: una sorta di luogo neutro, capace di accomunare opere appartenenti a epoche diverse, alle civilt pi disparate. Questa parentela fra un ritratto del Fayum e un ritratto di Manet, questa coerenza che si colloca al di l della storia al tempo stesso negandola, non pu affermarsi che sullo sfondo del tempo. Per uno strano paradosso, nel Museo degli eruditi, delle scuole, dei movimenti e delle culture classificate che il pittore prende coscienza di ci che non appartiene alla storia. Altrettanto prigioniero del flusso storico, l che si vede rivelare una seconda appartenenza possibile, che non costituisce affatto una negazione del tempo, ma il suo altro versante. Pi il pittore si sentir preda del tempo, pi cercher al Louvre la conferma di quellaltro versante. Czanne lo frequenta assiduamente perch appartiene al movimento per antonomasia dellistante che fugge: Fare dellImpressionismo qualcosa di solido e duraturo come larte dei musei. nei momenti di smarrimento, di contestazione, di innovazione, che i pittori tornano al Louvre, allo stesso modo in cui i marinai sognano il porto in piena tempesta. Era Picasso che voleva appendere le sue tele in mezzo ai capolavori della Grande Galerie per vedere se tenevano? Se tenevano, ovvero: se possedevano anchesse quel quid che le accomuna alle grandi creazioni di tutti i tempi e che gli stessi pittori, glissando sulloscurit del termine, chiamano bello, al pari del pubblico, forse soddisfatti di trovare in esso quel barlume di permanenza evocato da Mallarm: Non vedo svanire nulla che sia stato bello nel passato. Mallarm si sbagliava: la bellezza dei quadri svanisce rapidamente, sempre pi rapidamente. Paralizzato davanti allEntrata dei crociati a Costantinopoli, Czanne si lamentava: terribile Tanto vale dire che lei non la vede. Non la vediamo pi. Io che le parlo, lho visto, quel quadro, morire, impallidire, scomparire. C da piangere. Di dieci anni in dieci anni, se ne va Non ne rester niente, un giorno. Delacroix era ossessionato dalla decomposizione materiale della sua opera, ma i mezzi cui ricorreva per scongiurarla il bitume non fecero che accelerarla (proprio come Quentin de La Tour uccise i suoi pastelli nellintento di fissarli). Ars longa, vita brevis, recita ladagio: per la pittura moderna sembra essere vero il contrario. Al Louvre, nellEsther di Paolo Veronese
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andare al Louvre e di prendersi qualche giorno di riposo. L scopr il ritratto del Veronese. La donna non aveva una camicia bianca, ma le braccia erano posate davanti a lei proprio come le mie, anche se le sue erano piuttosto grosse e tonde. Lui decise di adottarle per il mio ritratto, il che lo costrinse, come al solito, a modificare tutto il quadro. Sta assumendo uno splendore inaudito. Matisse, adesso, era soddisfatto. Raramente il Louvre offre un aiuto cos chiaro allartista vivo. Il pi delle volte, si limita a offrirgli un conforto pi generico, come spiegher in unaltra occasione lo stesso Matisse: Sa, io studiavo in base alle mie inclinazioni, come in letteratura si studiano gli autori, prima di decidersi per luno o per laltro; soprattutto, senza voler captare dei trucchi, ma solo per coltivare lo spirito! Passavo da un olandese a Chardin, da un italiano a Poussin. Un tale modo di procedere finisce per strappare le opere al loro preciso contesto storico o biografico e per reinstaurare le condizioni di anonimato prevalenti allepoca in cui gli artisti erano responsabili delle collezioni reali. Si scelto di non inserire date dice la notizia di accompagnamento ai disegni esposti al Muse du Luxembourg nel 1750, n i nomi degli autori per lasciare agli amatori pi avveduti la possibilit di decidere. Del resto, furono sempre degli artisti a formare la commissione incaricata di allestire i quadri del museo istituito dalla Repubblica nel 1791: Il criterio che abbiamo adottato quello di unaiuola di fiori che variano allinfinito. Se avessimo scelto un metodo differente, mostrando a turno linfanzia dellarte, la sua crescita e il suo ultimo periodo [], avremmo

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scrive Fnon attraverso le colonne del palazzo di Assuero, si assiste sconvolti al diramarsi di strade bianche che sbiadiscono in un cielo dinchiostro, un tempo blu: un blu che allepoca era di moda. E Fnon aggiunge: Il pittore che pi ha curato la fabbricazione dei suoi colori proprio quello i cui colori si sono maggiormente anneriti Leonardo. Come se lo spazio reale, materiale, volesse vendicarsi di quellarte che, con la magia della prospettiva, ha finito per preferirgli uno spazio fittizio, immateriale. Naturalmente esistono modi di distruzione pi sbrigativi. Come esclama Czanne: Diamo fuoco al Louvre, allora subito se si ha paura di ci che bello. I pittori furono i primi a gridare: Incendiamo il Louvre!. Da Pissarro a Monet, da Picasso ai futuristi, gli artisti hanno incessantemente invocato la distruzione del Museo prima di vedervi entrare le loro opere. Perfino Czanne, secondo il quale il Louvre il libro in cui impariamo a leggere, ha ammesso: Volevo bruciare il Louvre. Questa rivolta contro il Museo nasce dalla sensazione, spesso indefinita, che passato e presente siano antinomici. Rifarsi alla scuola della storia sottrarsi allistinto creatore, alla vita. Da quando si sono iniziati a costruire i musei per creare dei capolavori notava gi nel 1815 Quatremre de Quincy non ci
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seo riunisce le testimonianze. Un altro legame, pi profondo, inizia a stabilirsi fra il museo e la tradizione. Nati nella stessa epoca, i due rispondono in fondo alla stessa esigenza. Larte intransitiva del Rinascimento invoca uno spazio astratto, preservato dalla vita ordinaria, proprio come la tela viene preservata dallambiente circostante grazie alla presenza della cornice: il museo risponde precisamente a questesigenza. Non si pu dunque smantellare il sistema elaborato da Giotto, van Eyck e i loro successori senza mettere anche in discussione quel luogo in cui i quadri fanno, prima o poi, la stessa fine delluomo al cimitero. La vita! La vita! Non avevo che quella parola in bocca. Volevo bruciare il Louvre dir Czanne. Il pittore, per, non manca di aggiungere: Povero coglione!. Czanne ha capito che il museo, rivelatore di quello spazio comune in cui ogni opera darte destinata a fondersi, anche il garante dellindividualit. Pi lopera personale, pi resiste a essere integrata in unarchitettura. Allo stato puro, individualit e decorazione sono incompatibili. Il museo (la collezione), opponendosi al diluirsi nello spazio della vita reale, appare quale la cornice, quale la vera dimensione dellindividuale. Distruggere uno equivale a negare laltro: una pratica che, dal Rinascimento in poi, equivale a una vera e propria mutilazione. Per un altro verso, gli stessi che nel xix secolo riscoprono lo spazio a due dimensioni il quale, riducendo lopera alla propria superficie, permette di raggiungere la superficie dei muri e di integrarvisi: la decorazione, il linguaggio dello spazio reale non vogliono rinunciare allo spessore, allidentit delle cose (e di se stessi), sebbene essi esigano limpiego di mezzi che bucano la parete. Pur percependo chiaramente la contraddizione dei due percorsi, il pittore moderno rifiuta di attenersi alluno o allaltro. Giotto, liberami da Parigi! E tu, Parigi, liberami da Giotto! scriver il giovane Degas su uno dei suoi taccuini. Manet, dal canto suo, persegue tanto il silenzio della pittura quanto leloquenza del soggetto. E Matisse si sforzer, per tutta la vita, di conciliare la densit di Czanne e la decorazione islamica. Si direbbe che i pittori cerchino questa contraddizione, quasi percepissero che lo spazio moderno non coincide n con la piattezza del reale n con la tridimensionalit fittizia, ma con uno spazio destinato a originarsi proprio a partire da quel nuovo dilemma. Il problema che dal 1860 in poi si pongono dunque alcuni pittori somiglia stranamente a quella che svariati economisti, sociologi e filosofi considerano la grande questione del nostro tempo: come conciliare la dimensione individuale e la dimensione collettiva? Forse, un giorno, questo dualismo apparir come il tratto essenziale della nostra epoca. Esso illustra in modo chiarissimo lambivalenza dei pittori nei confronti del museo in questi ultimi centanni. Da un lato sono attratti dal Louvre, incarnazione della dimora e al tempo stesso del museo. Dallaltro il Museo, incarnazione e insieme negazione dello spazio che sognano, appare loro di volta in volta come il rifugio ideale o il luogo cui dare fuoco.
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sono pi capolavori con cui riempire i musei. Il rifiuto del museo naturale quanto la ribellione del bambino nei confronti dei genitori. Un giorno che Courbet si trovava al Louvre insieme a suo padre, questi gli chiese cosa ne pensasse dei quadri che sfilavano sotto i loro occhi. Di fianco alla mia esclam Courbet con il suo accento tipico della Franca Contea tutta questa pittura merda! Pu apparire sorprendente che a formulare un rifiuto cos brutale sia proprio il pittore che, nel bene o nel male, potremmo additare come lultimo rappresentante della tradizione. Ma denigrare i propri genitori non equivale necessariamente a rifiutare il proprio retaggio. Del resto, proprio in questa rottura apparente, forse, che la catena si arricchisce di un nuovo anello. La museofobia dei pittori ha altre cause. Ogni museo, in fondo, possiede qualcosa del museo delle cere. Un quadro sistemato in un museo un quadro sottratto alla circolazione: un quadro che sfugge al ciclo della vita e della morte. Da opera, diviene oggetto. E cosa bisognerebbe farne, degli oggetti, se non collezionarli? Per quanto pubbliche possano essere, le collezioni non cessano per questo di essere degli ammassi. Rimosso dalla parete della chiesa o della taverna, laffresco non ci rivolge pi che un discorso indiretto. Lassenza di immediatezza nel rapporto con il pubblico finisce col pesare sempre di pi ai pittori, a mano a mano che, da Manet in avanti, comincia a imporsi il bisogno di un discorso diretto. La ricerca dellindicativo presente implica il rifiuto di ogni garanzia in altre parole, di quella tradizione di cui il mu-

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Bruciare il Louvre

Ma il fuoco di cui parlano non brucia. Quel fuoco larte. E induce a distruggere, perch esso non se non nella nascita. Ma essendo, quel fuoco congiunge tutto ci che, prima di lui, fu nascita. Il fuoco e la storia del fuoco sono una cosa sola. Da quando ho iniziato a scrivere questo libro, alcuni dei pittori che mi avevano accompagnato al Louvre sono divenuti, da rivoluzionari, dei classici a tutti gli effetti. L dove sembrava spalancarsi un abisso, oggi si impone levidenza di una continuit. In quel luogo in cui il fuoco brucia e non brucia, il quadro terminato ieri potrebbe essere stato tranquillamente realizzato ai tempi dei faraoni, e la statua di epoca mesopotamica non striderebbe affatto nello studio di un artista contemporaneo. Il fuoco che, da qualche tempo a questa parte minaccia un po dappertutto i musei meno platonico. Gruppi assembrati davanti a porte prudentemente chiuse, slogan spennellati sui muri o sulle stesse tele, come il proclama tracciato per mano di alcuni studenti sul ritratto del cardinale Richelieu realizzato da Philippe de Champaigne: Togliamo allarte la sua funzione mortificatrice. Larte morta, viva la rivoluzione!. Si tratta di temi familiari alla riflessione estetica degli anni sessanta. Larte mortificante (o morta) perch produce oggetti, perch lunico rapporto che questi autorizzano il possesso, che il tratto tipico della borghesia, la quale
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baster a restituirle la sua trasparenza. Rifiutare indistintamente il ritratto del Fayum o la coppa di Benvenuto Cellini perch entrambi fanno parte della collezione di un industriale dimenticare la differenza fra oggetto e opera. E dimenticarla tanto pi facile perch ci che determina questa differenza la partecipazione attiva di colui che guarda sempre meno comprensibile agli uomini doggi, per i quali non esistono che verit letterali. La luce nellarte? Una questione di illuminazione elettrica. Il movimento in arte? Una serie di elementi che si spostano. La partecipazione dello spettatore? Un bottone da premere che illumina o mette in movimento loggetto. Ma tutti quelli che premono il bottone con entusiasmo riusciranno mai a capire che si pu partecipare a un quadro con un atto spirituale, che lo spirito non si lascia toccare con un dito e che, in realt, la partecipazione di cui parlano puramente passiva, molto pi vicina al gesto cieco delloperaio in una catena di montaggio che allanonimato dellartigiano romano, capace di esprimersi liberamente nella cornice di uno spirito generale? Riusciranno mai a capire che la dinamica di unopera non riguarda la possibilit di azionarla grazie a un qualche meccanismo, proprio come una scena di cavalli al galoppo non necessariamente pi dinamica di un ritratto di giocatori di scacchi? Il letteralismo confonde opera e oggetto. Ogni opera ha per sostrato un oggetto, allo stesso modo del fuoco che prende piede dal legno. Anzi, la funzione dellopera proprio quella di consumare loggetto. Lo spessore materiale e la somma di convenzioni, di significati che lo compongono svaniscono nella fiamma che hanno contribuito ad alimentare. Un fuoco che non brucia e che va incessantemente riacceso: se, un giorno, il quadro che ci ha sempre parlato si rifiuta di farlo, perch non abbiamo fatto la nostra opera. Quel giorno, per noi, il museo non sar pi che un museo. Loggetto insopportabile, come un corpo che non vive pi. E per sbarazzarcene non c altra via che la discarica: la storia, la sociologia, la psicologia, lestetica si occuperanno di triturare ci che non avremo saputo o voluto bruciare. Ma rifiutare a priori ogni opera perch essa implica un oggetto equivale a condannare gli uomini con il pretesto che sono tutti futuri cadaveri. Abramo stava per sacrificare suo figlio Isacco, quando la Voce gli ordin di sostituire un agnello al bambino. Quella sostituzione latto fondamentale in cui si instaura e si riassume lintera civilt: essa significa la fine della tirannia del letterale. Affermando non solo che il lato oltraggioso delle parole e dei gesti pu essere rimpiazzato dai loro simboli o dai loro simulacri ma, cosa ancora pi importante, che quellequivalenza, che si stabilisce solo grazie a uno sforzo spirituale capace di ricomporre lunit spezzata di significante e significato, eleva quello sforzo a cuore del sistema. La Voce ha posto i termini dellequazione, ma a metterli in rapporto, a convertirli, non pu essere che luomo. Senza uno slancio poetico, il vino non pu prendere il posto del sangue. La letteralit non
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ha inventato la cultura come strumento di valorizzazione degli oggetti darte. Un simile ragionamento confonde loggetto e lopera. Il primo intransitivo, un fine. La seconda transitiva, un mezzo. Loggetto il depositario di un certo numero di qualit, di valori; che lo guardiamo o no, rimane inalterato. Lopera, al contrario, trova compimento nella partecipazione dei sensi e dello spirito che essa stessa sollecita, che esige da noi. Certo, larte affermatasi allepoca del Rinascimento, che tendeva a sostituire loggetto allopera, figlia della critica che ho appena riassunto. Ma non ci si forse sforzati, da pi di centanni a questa parte, di invertire questa tendenza, proprio nel periodo che ha visto trionfare la borghesia? Per essere ancora pi precisi, lartista cui va attribuito lonore di questinversione fu proprio il pi borghese degli uomini: douard Manet. Per i contestatari di oggi, si tratta di sfumature prive di interesse. Inutile convincerli che se Hitler proclama 2 + 2 = 4 laritmetica non ne per questo screditata, o che a nessuno mai venuto in mente di abbattere fiori e alberi con la scusa che il giardino ce lhanno solo i ricchi. In altre parole, se loggetto mira solo a essere raccolto, lopera deve accogliere. Per essere un oggetto, un quadro ha solo bisogno del pittore; per divenire unopera, esige anche la collaborazione di chi lo guarda. sufficiente che questi si scordi o si rifiuti di partecipare, perch quellicona che ha agito in trasparenza, come una soglia fra uno stato ordinario e uno stato pi esaltato della coscienza, non si riduca ad altro che a un pezzo da collezione. Mai, per, in modo definitivo: uno sguardo disinteressato

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si abolisce se non per un atto della nostra coscienza. Solo in essa nasce il fuoco che brucia e non brucia. Solo essa pu riconoscere quella verit dellimmagine dipinta che non che illusione, capace di sfuggire alla storia pur senza smettere di appartenerle. Perch la verit che la storia esiste, il fuoco brucia e loggetto continua a pesare. Tranne che nel sacrificio di Abramo, che ogni singola opera continua a rinnovare. Il giorno in cui questa sostituzione non sar pi ammessa, smetteremo di andare al Louvre.

2 Marc Chagall

La passeggiata che ci apprestiamo a fare Chagall la fece per la prima volta cinquantasette anni fa. Allindomani del suo arrivo a Parigi. Mi precipitai immediatamente al Salon des Indpendants (il Salon dAutomne era per gli artisti arrivati). Cominciai quasi subito dal fondo, dai moderni. L cerano i cubisti: Delaunay, Gleizes, Lger E poi corsi al Louvre. Un nome magico Perch proprio al Louvre? Sentivo che l cera la verit. I moderni non erano ancora stati passati al vaglio. L si faceva sul serio.
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Intende il vaglio del tempo? No, non del tempo. Unaltra cosa Cinquantasette anni, ma il ricordo ancora nitido: In alto, nella Grande Galerie, scoprii il grande quadro di Bassano. Un incrocio di personaggi e di bestie. Sentii che era molto importante. Senza dubbio. Per accoglierlo il Louvre gli metteva sotto gli occhi una visione alla Chagall. E cos il sogno delladolescente autodidatta di Vitebsk aveva un equivalente nella tradizione pittorica dellOccidente latino. Limpresa diveniva possibile. Museo-scuola, dunque? Non si direbbe: Vado al Louvre per irrobustirmi, per testarmi. Speri sempre di imparare qualcosa, ma non serve a niente. Non c nulla che possa aiutarti. Non ci sono garanzie, certezze. Imparare? (Ride.) Macch! Non si impara a dipingere. Io sono contro il disegnare bene, il dipingere bene. Czanne era assolutamente incapace di disegnare. Non precisamente questo, il Louvre? Niente pi tempo, niente pi luoghi; niente pi padri, figli o fratelli; niente pi cause, niente pi effetti. Dice: il cimitero ideale. Ma ci che intende dire, in realt, che lopera, al di l del confine cui la costringe il museo, strappata, sottratta violentemente alla storia. La morte aiuta parecchio a vedere. La vicenda, dunque, sarebbe molto semplice. Una visione di partenza, cos intima da situarsi ai margini della storia, che riesce a prendere corpo grazie allincontro con unopera che non deve pi nulla al tempo. Una congiuntura che

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Marc Chagall

po vero, allepoca. Monet non volevo vederlo. Lho scoperto dopo la guerra, sul transatlantico che mi riportava a casa dallAmerica. L, sulloceano, mi sono chiesto: da quale fonte sgorga il colore? E mi sono detto: Monet. Oggi, per me, Monet il Michelangelo della nostra epoca, chimicamente parlando. Lo stemperarsi della storia scatena la visione chiara, proprio come ci si accorge che una lampada accesa solo dopo il tramonto. A patto, naturalmente, che bruci. So dire se uno nato con la voce o no. Non esiste la professionalit. La tecnica non vuole dire niente. Dada non granch, ma Schwitters ha fatto opere meravigliose. Chagall ha un nome per questa lampada accesa, per questo spirito critico: oggi sembra trovare simbolicamente conferma: in questo esatto momento, le opere di Chagall sono esposte al Louvre. In effetti, Chagall sembra essere scampato alle crudelt del tempo, come un fuggiasco che sia riuscito a schivare centinaia di retate. Questuomo di ottanta e passa anni ha un vigore fisico, una vivacit di spirito sorprendenti. Lo sguardo ora tenero ora beffardo, il sorriso svelto, il passo e la parola rapidi. Ci sono persone che si raffinano con il tempo e un giorno arrivano a incarnare il proprio mito. Ci che fa di Chagall un essere leggendario non si sbagliano i passanti che lo riconoscono e si fermano a chiedergli un autografo , al contrario, proprio il fatto che non cambiato. Linfanzia intatta, perch si cibato esclusi26

Ai nostri tempi, locchio non lavora molto. Non vediamo le differenze. Non vediamo la chimica. Ma pi avanti, la si vedr automaticamente. Perch esiste solo quella. Watteau ha passato il vaglio: arrivato fino a noi, non per i suoi personaggi, ma per la chimica. Pater ha gli stessi personaggi, ma non passato. Oggi, per me, c solo la chimica. Tutto il resto realismo, antirealismo, figurazione, non figurazione non conta pi. Allora perch non vederci chiaro fin da subito, perch non innescare quellilluminazione secondaria capace di spegnere tutto ci che, secondo Chagall, non chimica? Perch non possibile. Per arrivare a questo, al Louvre, mi dicevo che bisognava ribaltare quello che avevamo di fronte, i realismi.
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vamente dei suoi sogni. E lattenzione non si mai distolta dal suo monologo interiore, muto come lo , nei suoi film, langelo dellumorismo Harpo Marx al quale Chagall somiglia un po. Gli angeli non invecchiano. Semplice, troppo. Chagall ha gli occhi bene aperti. Vedo delle cose. Sono un terribile, un formidabile critico. Dal 1910, mi sono sbagliato raramente. Tranne che per Rouault: allepoca mi dava sui nervi. Confesso che, allinizio, ero scettico: la critica deve poter mordere. Ma la nostra conversazione, camminando lungo i quais, ha finito per convincermi: langelo ha delle grinfie. Bonnard? Una bistecca passata per troppe mani. Finger painting. Un po borghese. Uno che non ti guarda negli occhi. Matisse, invece. Matisse s! Che anarchia suprema, che slancio! Lei non si mai sbagliato, diceva? Certo che s. Credevo troppo in Gleizes. Vedevo in lui una sorta di Courbet del Cubismo. Oggi ho unopinione pi alta di Delaunay rispetto ai tempi in cui era pi modesto, rispetto a dopo, quando ha voluto. Mi rimproverava: Chagall, tu non conosci il mestiere. Lui ne aveva da vendere. Oggi, per, lo vedo precipitare. Di La Fresnaye, invece, pensavo fosse un artista grazioso; oggi ha assunto spessore. Il fatto che, allora, Chagall era immerso nella storia, che sempre ingiusta: Coglievo perfettamente la differenza chimica fra Picabia e Lger, ma questo contava poco. Pi ti avvicini al tuo tempo, meno vicino ti senti a esso. Perfino Corot mi sembrava tropLa via della lucidit passa necessariamente per il suo contrario. Un dio onnipotente unicamente in funzione delluomo, e latemporale nasce solo dal tempo. La lampada della seconda visione si illumina soltanto al fuoco accecante della storia. Malgrado la distanza personale, storica, geografica e culturale dallambiente parigino che lo accoglieva nel 1910, Chagall lha capito subito, istintivamente: prima di andare al Louvre andato al Salon des Indpendants. Una semplice frase buttata l dice pi sullargomento di qualsiasi spiegazione prolissa: Ho la stessa et di Juan Gris. Dieci meno cinque. Siamo davanti alla porte Denon, lingresso principale. La folla gi l che si accalca. Il Louvre, che parola magica! Andare al Louvre come aprire la Bibbia o Shakespeare.

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Certo, ci sono cose che danno sui nervi. Guido Reni pomposo, ma un pomposo di gran classe. Si pu parlare di spirito del luogo? Senza ombra di dubbio. Sposti il Louvre al Trocadro e non rester pi niente. Il Louvre una cosa magica. Ha a che fare con le proporzioni, con larchitettura delle sale. Perfino lombra, l dentro, propizia. I muri sono formidabili. Al Metropolitan Museum, alla National Gallery di Washington questa magia non si trova. AllErmitage s. Gran parte del fascino che il Louvre esercita sugli artisti viene da l. Per sono parecchi gli artisti che vorrebbero bruciarlo. Perch? Quelli che sono l dentro sono persone come noi. Hanno avuto la fortuna, o la sfortuna, di entrare al Louvre; nientaltro. Del resto, la met di loro potrebbe tranquillamente uscirne. Il potenziale distruttivo non sta l. E in cosa, allora? Nellallestimento museografico, che ha molto dellatto vandalico. Non amo granch questo stravolgimento del Louvre. Non lo riconosco pi. Adoravo quelle file compatte di quadri che arrivavano al pavimento. Si sviluppava tutto in altezza, era intimo. Adesso la tendenza di appendere un solo quadro a parete. Impongono quello che devi vedere, lo mettono in evidenza. Il quadro isolato, valorizzato, come se dicesse: rispettami. Io amo cercare, trovare. E se vero che dal 1910 non ha mai smesso di andare al Louvre, Chagall mi confessa che stato sempre, almeno apparentemente, per caso. Laltro giorno, quando gli ho proposto questa passeggiata a due, mi ha risposto:
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un artista che mi appassiona. Della stessa razza di Masaccio, di Tiziano. Il suo sguardo percorre lenorme sala, si sofferma un istante sulla Zattera della Medusa: S, perfino il Combattimento di cervi, che un po pomposo, mi tocca pi di Gricault e della sua maestria.* Certo, eloquente; e Gros, con la sua Battaglia dEylau, sicuramente qualcuno. Io comunque non me la sento di riabilitarlo. In tutta la sala, Courbet lunico che tiene. Perch? Non saprei. Mi tocca. Quasi fino alle lacrime. lartista della vita. Ora davanti allAtelier. L, da qualche parte, c la tragedia della morte. Su quello sfondo di bruma a densit variabile, i gruppi chiari o scuri, simili a pulsazioni: Il tempo che va e che viene, come unonda. Noi siamo nebulosi. la nostra malattia. Adesso Chagall davanti al Funerale a Ornans. Ma proprio Chagall? In realt faccio fatica a riconoscerlo. La voce neutra, la parola precisa, locchio scattante. Parla, tace, fa qualche passo indietro, poi si riavvicina, dice unaltra frase, come lartista che torna davanti al cavalletto per dare un altro ritocco sulla tela: Questa cupezza, questa fattura, queste forme cos solide e cos vacillanti Penso a Braque: non riusciva a far bene un uccello, cos stendeva del bianco. Ma che bianco! I bianchi di Courbet; il cane, i cappelli: sono delle macchie vive. E lazzurro delle calze delluomo in primo piano: a parte, come slegato dal resto. Modernissimo.
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S, ma non voglio andarci apposta. Confesso che mi aveva un po irritato: la sua richiesta mi sembrava non solo impossibile da soddisfare, ma anche gratuita. Lo era? Con un gioco, Chagall mi poneva la questione che era stata sua: come coltivare lingenuit? Il paradosso era una parabola. E la soluzione esisteva, dato che in quello stesso istante stavamo varcando le porte del Louvre. Dalla scala opposta a quella in cui si erge la Nike di Samotracia Chagall mi trascina verso il primo piano e linterminabile sfilza dei pezzi da novanta dellarte francese. Sorpresa: senza la minima esitazione, il suo sguardo si dirige verso le tele di Courbet, un pittore che per me esattamente agli antipodi della sua natura.

Immensa poesia della nostra epoca Courbet un naturalista, eppure un grande poeta Lidea della morte aleggia dappertutto in Courbet: in Delacroix e Gricault non c, anche se un tema che hanno affrontato. Dopo un silenzio abbastanza lungo, durante il quale, su invito di Chagall, rifletto sullo strano connubio di energia e sfacelo presente nei quadri di Courbet, lui dice:

* In italiano nel testo. [N.d.T.]

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La perfezione vicinissima alla morte. Watteau, Mozart. E mentre ci dirigiamo verso le sale di passaggio, dove sono appesi i dipinti della collezione Beistegui, aggiunge: Courbet aveva ragione a ripiegare sulla realt. Quanto a me, non saprei. So soltanto una cosa: la pancia che manovra il mio pennello. Ci che conta il modo in cui si manovra il pennello. Eccoci davanti alla Lucrezia di Rubens, altro artista della famiglia dei vigorosi, dei debordanti: un maiale, ma un grande artista. Non si attarda un secondo di pi. David, invece, lo attira. Ecco il Napoleone incompiuto: Mi piace quando lasciano i quadri vuoti David ha un tocco incantevole. (Il suo sguardo scivola sui ritratti di Ingres, immediatamente a fianco.) meglio di Ingres. Una nobilt Non arido, come Ingres. (Indica il Ritratto di Madame de Verninac). Un grigio incantevole. Quanta dolcezza, in quello sfondo!. Arriviamo davanti alla tozza Madame Panckoucke di Ingres. pi segreto, pi antinaturale, pi anormale. David normale. Ingres mi disturba. Ha qualcosa di ovattato. C una specie di impotenza nei suoi ritratti. Troppo leccato, troppo chiaro-scuro. Fa venire in mente Magritte. (Pausa) Pomposi lo si nellanima, pomposi si nasce.
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Pi in l, i corridoi che sfociano nella Grande Galerie, occupati dalle scuole straniere. Chagall non vuole andarci. La scuola francese, oggi, sembra godere delle sue preferenze. Lo porto, quasi a forza, davanti alla Marchesa de la Solana di Goya, incorniciata dai David e dagli Ingres: come un Watteau, ma no: non del nostro paese. Come Velzquez. Si pu piangere davanti a Courbet o a Watteau, ma non davanti a Velzquez e Goya. Sono di, ma di stranieri. Zurbarn, forse: una tale freschezza! Ed El Greco, ma lui era greco. Questa tauromachia onnipresente: questo Goya riuscito come una condanna a morte. Devi applaudire. Braque o Courbet non condannano a morte. A quel punto si volta e torna a guardare la Madame de Verninac: Quel succo giallastro, che nobilt! quello il color caffellatte che sognano allestero. Amo pi questo grigio del grigio superbo di Goya. Ho lasciato la Russia per questo. In realt, questa preferenza per la pittura francese fin dallinizio della nostra passeggiata carica di senso. Trasposta nel tempo e nello spazio, non fa che ribadire la scelta del giovane ventenne che ha lasciato Vitebsk per Parigi. Io ho una formazione francese. Detesto il colore russo o dellEuropa centrale. Il loro colore come le loro scarpe. Soutine, io siamo tutti partiti per via del colore. Io ero molto cupo quando sono arrivato a Parigi. Ero color patata, come van Gogh. Parigi chiara. Lattrazione di Chagall per la pittura francese, cos misurata, cos positiva, pu apparire strana. La sua inclinazione avrebbe dovuto condurlo pi verso Vienna, verso Monaco o una qualche Tahiti pi vicina al Dnepr che non alla Senna. E in effetti le sue prime tele, dipinte sotto linfluenza di opere conosciute solo attraverso le riproduzioni presenti sulle riviste, rivelano grande propensione per unarte soggettiva. Istintivamente, per, Chagall sceglie il contrario, proprio perch il contrario. Nel 1910, quando arriva a Parigi grazie a una borsa di studio procuratagli da Vinaver, un deputato della Duma, ad attirarlo e a circondarlo sono personaggi come Cendrars, Apollinaire, Lger, La Fresnaye, Delaunay, Lhote, Gleizes, vale a dire i difensori di unarte oggettiva, formalista. I pittori di trentanni fa erano assorbiti da ricerche puramente tecniche ha scritto di loro. Non si parlava ad alta voce dei propri sogni. Perch inseguire il proprio contrario? Perch fiondarsi nellultima sala degli Indpendants, se si ama Bassano? Necessit. Cos arrivai a Parigi come spinto dal destino scrive ancora Chagall. Alle mie labbra affluivano parole sgorgate dal cuore. Mi soffocavano quasi. Io balbettavo. Le parole premevano

Davanti al Ritratto di Chopin di Delacroix: Una cosa grandiosa. Il grande Delacroix tutto l. Sembra quasi un Soutine. E di fronte allAutoritratto di Delacroix: Si sente gi che sta per arrivare Manet. Che intelligenza!. Colpo docchio sul Chassriau che si trova l, a titolo provvisorio (hanno staccato parecchi Ingres per la mostra del primo centenario dalla morte):

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Una specie di La Fresnaye. Anche lui partito da una serie di trucchi. Rapidamente si dirige verso La folle di Gricault, anchessa l in sostituzione di un ritratto di Ingres: Questo il grande Gricault. Quando realizzava la realt era un matto portentoso. Con La zattera di Medusa, invece, eseguiva un programma Bisogna avere parecchia forza per sedersi davanti a una testa e realizzarne uno studio.

verso lesterno, ansiose di bagnarsi, di avvolgersi di quella luce di Parigi. Quella luce, altrove, Chagall, lha chiamata luce-libert. Una formula dietro la cui felice imprecisione si cela in realt qualcosa di molto preciso: la messa in luce, la liberazione dellinteriorit prigioniera dei meandri oscuri dellio. Parigi offriva a Chagall ci di cui il suo sogno farfugliante aveva bisogno per prendere corpo: un linguaggio pittorico, una sintassi del visibile. Grazie a

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quellincontro, Chagall sfuggiva come Soutine a quello che linferno dellarte dellEuropa centrale e della Russia: linferno della voce privata della parola, lo stesso descritto da Eschilo nellAgamennone: Ma crucciata in velo oscuro or freme; n svolger dal crebro acceso, consiglio veruno saprebbe che giunga opportuno. Prendere corpo radicarsi nella storia. Gli Indpendants e il Louvre: il cammino di ogni artista, anche del pi segreto, passa attraverso larte della sua epoca. E lepoca, per il giovane Chagall, la seconda generazione di cubisti. La cosa fondamentale stata la saggia accettazione di avere, pittoricamente parlando, la stessa et di Juan Gris. Ci voleva del coraggio. Il linguaggio cubista materialista, ottico, generale: il mondo di Chagall visionario, particolare, locale. In questo caso la contrariet sembra sfiorare lincompatibilit: espressione e comunicazione sembrano essere separate da tutta la distanza che c fra Vitebsk e Parigi. Non importa: per quanto antagonistiche fossero, solo Parigi poteva far apparire Vitebsk. Chagall non amava il Cubismo: ne aveva bisogno. Detestavo il realismo e il naturalismo, perfino nei cubisti. Volevo introdurre un formalismo psichico. Parafrasando: lo psichico poteva diventare percepibile solo attraverso un for32

Bisognava per farli precipitare: questo il ruolo della chimica. Non ci dilungheremo qui a spiegare come Chagall abbia reinterpretato il Cubismo, avvalendosi del suo stesso diritto di dislocare e ricomporre le forme per ribaltare le teste e catapultare il bue sul tetto, facendo girare il cerchio orfico di Delaunay come la ruota di una lotteria in una fiera di paese. Notiamo semplicemente che, per un pittore, intendere equivale a fraintendere. La sua interpretazione falsa , proprio per questo, creatrice. Solo lo storico o lerudito possono permettersi di avere ragione. Linterpretazione che Chagall d del Cubismo e dellorfismo fa pensare a ci che avvenne con i nomi delle divinit greche quando passarono dalluniverso delle teogonie arcaiche a quello delle filosofie presocratiche. Originariamente segni di manifestazione del sacro, quei nomi persero il loro significato quando gli di morirono o furono dimenticati. Da chiari si fecero misteriosi, finendo per divenire segni del mistero o per indicare potenze altrettanto primigenie delle divinit di un tempo ma che non avevano ancora un nome.

malismo. Come scrive Dostoevskij: Son magari daccordo che due pi due quattro sia una bellissima cosa; ma allora, se siamo a distribuir lodi, vi dir che anche due pi due uguale cinque talvolta una cosuccia graziosissima. 2 + 2 = 4 la formula del Cubismo; 2 + 2 = 5 quella di Chagall. Ma quell1 in pi, che lindice del fantastico, pu sorgere solo sullo sfondo dellordine, come una deroga alla permanenza logica incarnata dallequazione e dal suo funzionamento. I suoi mostri sono praticabili diceva Louis Pasteur a Odilon Redon. La pittura francese offre praticabilit visiva ai sogni extrapittorici. Le bottiglie cubiste erano diritte: io le ho inclinate. Ho tagliato le teste Lirreale si manifesta attraverso uno stordimento del reale di quel momento del realismo che stato il Cubismo. Sar il difensore del Cubismo, Apollinaire, a riconoscere per primo il surreale nellopera (cubistizzante) di Chagall. E, naturalmente, questultimo ricuser il Surrealismo nascente quando torner a Parigi, dopo la guerra, nel 1923. Il Surrealismo un automatismo. Ci vuole controllo, certo, ma attraverso il dono. Come si vede, Chagall illustra in modo abbastanza radicale quel conflitto fra lio e il mondo, fra voce personale e parola comune che ogni artista chiamato a risolvere. Da un lato la Russia, lambiente ebraico, linfluenza del chassidismo (quella specie di francescanesimo ebraico), la natura sognatrice; dallaltro, la tecnicit del Cubismo. Ed proprio grazie al Cubismo che lopera di Chagall non rimasta confinata nel limbo del vagheggiamento informe o nella riserva naturale del folclore. Torniamo sui nostri passi ripercorrendo le sale francesi, questa volta fino alla scala donore. LAutoritratto di David: bello come Czanne. Questo annienta tutto Ingres. Delacroix, le Donne di Algeri: Lartista che innova un lupo che si camuffa a volte male sotto le spoglie di un agnello. Quando intuiamo il trucco, gi troppo tardi. La creazione astorica, ma si manifesta sempre in seno alla storia. Si pensi al destino dellebreo, che sfugge al tempo ma scopre il proprio statuto deccezione solo sottomettendosi alle sue regole, affermando la propria differenza a mano a mano che si assimila al proprio ambiente proprio come la pittura francese, mascherando luniverso di Chagall, non fa che rivelarlo. Mostrarsi altri ricorrendo al linguaggio comune, risolvere il paradosso della duplice appartenenza attraverso la propria opera: questo il destino dellartista. Ogni creatore un ebreo rispetto alla propria cultura.

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Marc Chagall

Grandioso, come il suo Autoritratto. Mi tocca profondamente. Le sue pieghe raffaellesche sono pi riuscite di quelle di Courbet. Courbet pensava troppo alla morte, e questo era un handicap. Eccoci giunti nella grande sala neoclassica. Ahi! Ahi, ahi! (Poi torna a respirare, di fronte al Ratto delle Sabine e allIncoronazione di Napoleone.) David pu sforzarsi quanto vuole: non sar mai pomposo. Pomposi si nasce. N Delacroix, n Courbet n Gericault lo sono ma Ingres Lo sguardo di Chagall vaga fra le tele di David: Madame Rcamier: grandioso. C gi Manet, l dentro. Ma nel Leonida c tutto Poussin. Che dolcezza, che patina! Nemmeno un briciolo di aridit (indica il Giuramento degli Orazi). Non c chimica senza acido: Forse non sarei cos tenero con David se oggi non si parlasse tanto di Ingres.

Chagall deciso a non uscire dallambito francese. Nonostante let, nonostante i chilometri che abbiamo gi percorso, mi trascina allaltro capo del Louvre, ai piani pi alti, che ospitano le nuove sale del Settecento e dellOttocento. Ad accoglierci ancora un David, Madame Trudaine: Che tocco: meraviglioso! stato forse il primo a usare un tocco cos leggero. La fattura tutto, come il sangue: la chimica. Dicendo questo, si avvicina al Nudo seduto. La signorina Rose di Delacroix: Che elevatezza! Cose cos sono perfino pi grandi di Courbet. Intorno a noi, i Corot si moltiplicano. Chagall rimane paralizzato davanti al suo Trinit dei Monti: Ah, che artista! Questa la Francia. Ti lascia senza parole. Ecco un vero dio. Supera tutto. Con quellaria cos innocua Quel biondore, quel grigio, la Francia Cosa sono venuti a fare gli impressionisti dopo di lui? In lui cera gi tutto. Un vero pittore. Lui ha la chimica. un principe. Pu fare tutto. Mozart. Questo non gli impedisce di apprezzare Il forno da gesso di Gricault: Formidabile! Il primo Vlaminck. In realt, le esitazioni di Chagall non sono mai negative. Quando dice di preferire un pittore a un altro, pi per dare a questo che per togliere a quello. Proprio come quando oscilla fra Delacroix e Courbet. Eccolo davanti ai Cavalli arabi che lottano del primo:

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Il Cimabue sulla scala. Il tono cambia, come se fossimo passati dalla storia alla verit: Cimabue! La mia passione, il mio idolo! Quando sono arrivato a Parigi stato un vero choc. (Pausa di silenzio.) Questo supera tutto. Che religiosit Non parlo del soggetto, ma del tocco. Cimabue pi penetrante di Giotto Bisogna aspettare Watteau per trovare un equivalente. Rembrandt, Monet, Caravaggio, Masaccio, Cimabue, Watteau: ecco i miei idoli!. Scendiamo la scala. Passando davanti alla Nike di Samotracia, Chagall mi sussurra: Questa mi tocca pi di Brancusi. Di fronte allEroe armato di spada, un affresco romano trasportato da Ostia: Non era che un artigiano. Larte come un bravo figlio: non ci sono scuole per questo. Non bisogna sforzarsi di disegnare bene, di dipingere bene. La scuola fa male. Quando sono arrivato in Francia, in me non cera un briciolo di professionismo. Non avevo missioni. Ecco, per me questo non cambiato. Una finestra da cui si intravede il sottile grigiore di Parigi. Chagall si avvicina. Ecco perch siamo partiti da Vitebsk. C tutto Le Nain, qui, c Watteau. I francesi non sono sempre grandi, ci mancherebbe, ma in loro c questo grigio, questo paesaggio. Il fauvisme pu essere violento quanto vuole: resta pur sempre in un Dufy, per esempio francese. Van Dongen ha molto pi talento, ma lo vomita.

dipinto come un Daumier. pi elegante di Courbet, bisogna ammetterlo. Davanti allOrfana, il confronto si fa pi preciso: Che intelligenza, che elevatezza! Courbet era un granduomo, ma aveva una pancia troppo pesante. E ancora, guardando le Babbucce: Che classe, che rigore!. Un po dopo, per, quando si trover sotto gli occhi la Caccia al capriolo guardingo di Courbet, dir: Grandioso. Delle tonalit adorabili! Questo forse supera Delacroix. In Chagall lesitazione elogiativa, ascensionale. Il disprezzo una cosa che, semplicemente, non lo sfiora. Un Puvis de Chavannes gli strappa una smorfia: Ecco leredit di Ingres. Davanti alle tele di Huet, di Diaz, di Decamps: Andiamo, andiamo!. Raffet ci tende il suo Maresciallo Ney, esempio perfetto di iconografia facile: russo dico io. Polacco, se preferisce. Poi aggiunge: Tutti i pomposi si somigliano Ma forse i russi sono i peggiori. Ed ecco la nostra Russia: Meissonier e i suoi quadretti dipinti con la lente dingrandimento.

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Marc Chagall

Un incubo! Perch? Una questione di chimica. Nessun talento. Come un cantante senza voce. Pessimo. A volte fatico a seguirlo. Lui scuote la testa, sospira, borbotta: Un incubo! davanti a un Gustave Moreau, o un ironico il celebre Decamps , il celebre Rousseau. Con qualche felice eccezione. Constable, Hampstead Heat: C Monet, qui. Non parlo di Pissarro, perch non niente. Ancora Daumier, Scena da una commedia: Ammirevole! Qual il segreto di questa grandezza?. Qualche sorpresa, come la sua reazione di fronte alla Natura morta con boccale bianco di Monticelli: Viene voglia di rubarlo. Che artista!. O, ancora, la sua indulgenza verso Millet e la sua Donna nuda sdraiata: Non pomposo. Ha delle qualit, della Stimmung. Ma finito, come Maeterlinck, come Lvitan. Non tocca pi. Corot s. La sua Hayde: I seni cadono, ma il dipinto sale. Che geni bisogna essere! Una piccola velatura. E quellaria cos innocua questo che manca in Russia, in Germania: i puntini sulle i. Mio Dio. Chagall ha appena notato Limbarco per Citera di Watteau: La grandezza, la scrittura, la follia di questo aggeggio!. Di un Giudizio di Paride dir: Czanne ha fatto cose cos. E del Padreterno subito accanto: Non riesco a sopportare queste cose. Boucher, Lancret, Fragonard, non li ha nemmeno guardati. Ad attirarlo il Gilles. Questo li supera tutti. Fa vacillare Rembrandt. Darei tutto Corot in cambio di quei pantaloni. Canta e piange, come Cimabue. Corot ha il canto, ma non le lacrime. Quello che si avverte nel Gilles non il sentimento della morte, ma la fine della vita. Non solo: Watteau definisce i limiti della pittura francese trascendendola. Ci troviamo di fronte a una serie di nature morte di Chardin, fra cui La razza: La grande scuola francese viene da qui. Larte scientifica E si finisce con Derain. Mi viene da dire: bravo, chapeau. Se sono toccato? No. Nemmeno al mio amico Cendrars mostravo i miei quadri. Pensavo sempre: non abbiamo molti amici sulla terra; solo la nostra donna, perch lei non ha niente contro di noi. Da ragazzo mostravo i miei quadri a mia madre. Lei pensava che avessi talento, ma che la pittura fosse troppo dura. Voleva che diventassi fotografo. Quanto a mio padre, be, lui viveva in un altro mondo Una precisazione suscitata da una circostanza abbastanza eccezionale: per uscire dal Louvre, attraversiamo la Galerie Mollien, dove proprio in quel momento c una mostra dedicata a Chagall. Una prova terrificante, cui hanno aspirato non senza temerla Czanne, Matisse, Picasso e molti altri. Chagall parla di s senza compiacimenti: Esiste dunque unaltra chimica o, se si vuole, un altro versante della chimica. La prima permette di entrare nello storico, nel visibile; la seconda ce ne fa uscire o, per lo meno, orienta lopera verso un al di l del visibile, un luogo che accomuna ogni arte trascendente: La grande chimica la stessa, sempre, dappertutto dice Chagall di fronte a un ri36

tratto del Fayum. Questo ritratto del Fayum e Corot sono la stessa cosa. Da un lato grande chimica quella attraverso cui si raggiunge la comunit della natura , dallaltro la piccola chimica, che permette di raggiungere la comunit umana: Il mio unico piacere: la chimica che produco sulle mie tele si avvicina alla chimica della natura. Come Monet, o il vecchio Tiziano Ma bisogna passare dalla propria epoca per arrivarci. Per Chagall, oggi, la chimica riguarda innanzitutto il colore. il colore che, sulla tela, scava un tunnel verso latemporale. Colore-profondit: Il colore deve essere penetrante come quando si cammina su un tappeto spesso ha scritto da poco.

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Jean-Antoine Watteau, Gilles, 1718-19. Olio su tela, 184 x 149 cm.

Marc Chagall, la Russie, aux nes et aux autres, 1911. Olio su tela, 157 x 122 cm.

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Niente disegno. Questo si potrebbe anche fare con le dita. Il colore, il colore che d il Geist. Niente stilizzazione, niente maestria, niente ricerca. La debolezza: la giovinezza di un vecchio. Il suo essere normale. Pi Delacroix e Corot sono normali, pi sono geniali. Ci che conta? Chi pu dirlo? come un bambino che dorme in un letto. Il colore? Quello lo compri. I temi? Ho attinto dalla Bibbia perch un libro di primordine. In me non c scienza. Non occorre disegnare bene. Il dono va lasciato in pace. Ingres disegna bene ed un incubo. Le mie linee avrei potuto farle in un altro modo, a destra anzich a sinistra, in alto anzich in basso; sarebbe stata la stessa cosa. Agli esaltati mi vien voglia di dire: calmatevi, fate come Corot, siate normali! Stanislavskij diceva agli attori: calmatevi, abbassate le spalle, solo cos vedranno i vostri colori. come pisciare: se non ci riesci perch stai male. Non amo le belle maniere. Nel Vagone di terza classe Daumier non ha maniere: lui, per fortuna, non sapeva.

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Siamo davanti a un crepuscolo incendiato di Claude Lorrain. Sam Francis dice: Si pu capire come la pensano gli americani dalla loro reazione di fronte ai capelli. I capelli sono una cosa organica. I capelli sono la natura. Quelli che li portano corti sono dei Sansoni rasati dalla societ. In America o stai con la macchina o stai con la natura. Lo dice con voce mite, posata, come se stesse parlando dei rapporti fra Lorrain e Turner. Strano, eppure verosimile: una scena che altrove sarebbe familiare, se conoscessimo le regole di quel paese. Allimprovviso, riaffiorano alla mente i versi dellAnabasi di Saint-John Perse: Straniero. Passava. Ed ecco che il rumore di altre contrade a mon gr . Straniero lo era gi verso il 1949 o il 1950, quando molti di noi scrittori e pittori provenienti dal Vecchio o dal Nuovo Mondo finirono per convergere, come per una sorta di volere invisibile, in un caff-tabacchi di rue du Dragon. Raramente si parlava darte. Eppure, fu proprio attorno al biliardo che le idee di comunione e di partecipazione artistica iniziarono ad assumere un senso per noi. La storia dellarte andrebbe scritta a partire da luoghi cos, con lo stesso spirito. Ma raramente gli storici sono clienti della Brasserie Andler o del Caf Guerbois. Per quanto fosse intimamente dei nostri, Sam Francis era gi altro. Presente e al tempo stesso irreale, come la bianca creatura che nella Ronda di notte di Rembrandt vaga sonnambula in mezzo allassembramento dei borghesi di Amsterdam. Tutto ci che sistema, programma, regola, era bandito dalle nostre frasi, al pari della pittura che vedeva la luce in quei giorni. Le etichette che ben presto cercarono di affibbiarle tachisme, arte gestuale, informale, astrazione lirica ci ferivano, come la vista dei giovani soldati costretti a indossare la divisa. Lopera di quegli anni? Bursts of unpremeditated art, per dirla con Shelley, quella di Sam Francis compresa. Ma solo lui, fra noi, sembrava arrivare from heaven or near it. Piombato dal cielo lo era davvero. Aviatore infortunatosi in California durante unesercitazione di volo, nel 1943 pass diversi mesi in ospedale, immobilizzato a letto. Una scatola di colori lo salv dalla noia. Si mise a dipingere ci che

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aveva sotto gli occhi: il cielo incorniciato dalla finestra, animato dal passaggio delle nuvole, modulato dalla luce. Trov subito il suo soggetto, che in realt era lassenza di soggetto. Non pass mai per il disegno: disegnare definire, delimitare, mentre lesperienza che lui voleva restituire era quella del senza limite, dellinfinito. Francis viveva lastrazione, ancora prima di dipingerla. Lavrebbe dipinta a Parigi, a partire dal 1949. In un piccolo studio del xv arrondissement iniziarono a prendere forma tele sottili e profonde come il cielo. La pittura degli altri tendeva al grido; la sua, al silenzio. Non esplodeva: implodeva. Fino a quel momento, gli artisti avevano rappresentato forme (figurative o no) nello spazio: Sam Francis volle dipingere lo spazio in s. Unimpresa apparentemente utopica: lo spazio non si manifesta che fra gli oggetti o intorno a essi. Era come sognare una musica assoluta, una musica che non sgorgasse da alcuno strumento. Dal 1957 Sam Francis ha avuto modo di viaggiare. (Non aveva sempre sognato un biglietto aereo che gli permettesse di fuggire in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo?) Parigi, Berna, Tokyo, Los Angeles In ogni angolo del mondo ha uno studio in cui lavorare, quasi a voler sottolineare che non appartiene a nessun luogo o, pi esattamente, che cittadino di ci che uguale in ogni luogo: lo spazio. Eccolo di passaggio a Parigi, ma poi mai stato altro, se non di passaggio?
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Lo so. Allo stesso modo in cui non ha mai disegnato, Francis non ha guardato le opere del passato. Al massimo le Ninfee di Monet e, anche in quel caso, pi che per i quadri in s, per latteggiamento del loro autore, per quel panteismo che laveva indotto a sconfinare dalla tela, nella folle speranza che i limiti della pittura riuscissero a esprimere la sua esperienza dellillimitato. Ci che forma per colui che lo crea diviene formula per colui che lo studia. Appena cominci a definire o a imporre delle regole, uccidi la cosa. Si pu parlare di pittura, in Sam Francis? Comunicare linfinito attraverso il finito era possibile quando esisteva ancora il linguaggio simbolico, grazie al quale la linea o il colore giungevano a dare forma, a significare quellinfinito. Ma in unepoca che ha smesso di disporre di tali sistemi di conversione, chi vuole rivelare lassoluto costretto a farlo in modo letterale. Se larte pu essere definita come un divergere dal letterale, le opere di Sam Francis possono essere ancora assimilate a quelle che vediamo al Louvre? Qualunque sia la risposta, non si rifiutato di accompagnarmici. Dal punto della scalinata in cui ci troviamo, non lontano dalla Nike di Samotracia, convergono e si intersecano una dozzina di livelli, come in un carcere del Piranesi. In ciascuno di essi, le opere di una cultura differente. Questo museo non stato voluto. venuto su cos, dal nulla; per questo cos riuscito. La scalinata, i vari livelli, questa grande sala. come una torre di Babele, unenorme citt. Ed cos che devessere. Oggi non facciamo spazio agli altri livelli dellarte. La pluralit, unica via di scampo alla regola mortale. Il museo consacra delle gerarchie. E al tempo stesso le rovescia. I musei dovrebbero somigliare alle strade. Dovrebbero stare aperti tutto il tempo. Nessuna mistica, nessuna valorizzazione. Nulla che proclami: Questo un capolavoro. Le cose stanno l, nientaltro. Un grande luogo in cui stanno le cose, in cui le si pu notare o no ecco la mia idea di museo. Lo studio di Sam Francis a Santa Monica: un magazzino gigantesco, anonimo, aperto a chiunque ci voglia lavorare. Alcuni artisti, appartati, dipingono, meditano, mangiano; altri si riuniscono attorno a un registratore, a una chitarra, a un proiettore. Simile a una strada, a una piazza coperta. Un posto in cui chiunque possa fare quello che vuole mi aveva detto mentre salivamo la grande scalinata del Louvre. Allora una simile associazione di idee mi aveva stupito. Oggi, dopo aver visto lo studio, mi sembra scontata. E, come questo, anche il
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Sono passati ventanni dagli incontri di rue du Dragon. La pittura di Sam Francis ha rinunciato alle sue modulazioni, si indurita. Il colore si coagulato in affilati cubetti di ghiaccio. Ha rinunciato alle sue bellezze meteorologiche, come diceva Baudelaire di Boudin. Oggi non offre pi unimmagine del cielo, una metafora del vuoto: quel vuoto o quasi. Non sono mai stato un tipo da museo, lo sa.

museo uno spazio abbastanza grande e accogliente per ospitare le voci pi diverse. Entriamo nella Grande Galerie, in mezzo al viavai della folla. La adoro. Somiglia ai corsi delle citt italiane. Da Cristo al cane, c posto per tutti nelle Nozze di Cana del Veronese, il pi grande dipinto del Louvre.

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visibile. Sono il passante, lautobus o il lampione che trasformano il souvenir in torre Eiffel. La cruna dellago che fa il cammello. Siamo nella Grande Galerie, riallestita da poco: la Scuola francese del Seicento e del Settecento ha scalzato la pittura italiana. Una sosta davanti al Coreso e Calliroe di Fragonard: Grottesco, privo di sensibilit. Nessuna emozione. Tutto ci che nasce dallemozione ha valore. Nessuna ragione di attardarsi nel regno di Boucher. Trascino Sam Francis verso il grand sicle. Il Pasto dei contadini di Le Nain: il genere di pittura che mi lascia freddo. Niente aria. Impossibile respirare.

Mi trasmette una vera sensazione di gigantismo, per via della cornice. Che idea mettere una cornice attorno a un dipinto che gi nello spazio! Il primo dipinto che attira lattenzione del mio compagno proprio quello che gli permette, chiaramente a sua insaputa, di riassumere il problema che
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larte gli pone, al di l dei riferimenti al Museo e alla tradizione. La scala colossale: Sam Francis stato uno dei primi americani a riconoscere nello smisurato limpronta, per quanto approssimativa, dello spazio, e a trasformarlo a poco a poco nel soggetto privilegiato della sua opera. Certo, limmensit dello spazio era stata rappresentata infinite volte (si pensi al disegno microscopico di Rembrandt) su superfici ridotte o, come nelle Nozze di Cana, su superfici pi ampie. La novit sta nel fatto di aver intuito che uno spazio dipinto, a partire da una determinata grandezza, non poteva avere altro soggetto che se stesso. Rappresentare il cielo su una tela grande come una scatola di sigari o una valigia ha un senso; dipingerlo su una tela che, al pari del cielo, eccede ci che lo sguardo riesce ad abbracciare a prima vista un pleonasmo ridicolo. Rappresentare su una grande tela dei personaggi, un cane, una tavola imbandita di vivande non meno impossibile. Lingrandimento la quadrettatura muta la natura dellimmagine ingrandita. Si pensi alle vecchie stampe smodatamente ingrandite che ornano le pareti di tanti caff: la grana dei tratti neri si sfalda, rivelando dei bianchi. E non dei bianchi qualunque: quello che traspare in filigrana pura assenza, atroce, insostenibile. il vuoto che non doveva essere visto. Una volta scorto, quel vuoto si dilata a macchia dolio, insinuandosi attraverso gli interstizi. Lo spazio non pu rappresentare che se stesso: invisibile. Quella cornice che, non senza ragione, ha fatto ridere Sam Francis si pu incorniciare loceano Pacifico o il deserto del Gobi? ha una sua utilit. Serve a rivelare linLa specificit dello spazio di non avere limiti. Un disegno meticoloso, dai contorni definiti, come una ferita. Non stupisce, dunque, che Francis si riveli ostile a Le Nain. Pi sorprendente, invece, che voltandosi aggiunga: Poussin: ecco il mio mondo. Uno dei meriti del nuovo allestimento quello di aver finalmente concesso a Poussin lo spazio cos a lungo negatogli. Francis trova beautiful Il trionfo di Flora. Anche Ladultera gli piace. In realt dico a me sembra un po arido. Non arido: duro. Un mondo minerale. Stranamente, ricorda Piero della Francesca. Francis reagisce distinto alle contraddizioni che dilaniano Il ratto delle Sabine: Tutti questi strattoni, questi spintonamenti che stridono con la quiete assoluta, con la solidit della parte superiore del quadro. Una volta di pi, constato che un pittore lui, di certo, non ha mai studiato Poussin riesce a cogliere immediatamente ci lo storico discerne con tanta

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Ritratto romano-egizio di Fayum, Ritratto di donna, 2 secolo d.C. Encausto e doratura su legno di cedro, 42 x 42 cm. Sam Francis, Arcueil, 1956-58. Olio su tela, 205 x 193 cm.

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fatica. Uno dei fulcri dellopera di Poussin laccettazione e il superamento delle tensioni estreme. Questa, in sostanza, la chiave dellAutoritratto di fronte a cui ci fermiamo adesso: il rigore razionale delle cornici geometriche abbinato alla strana finzione di quella fronte femminile costellata da un occhio. Tensioni che, per, si risolvono sempre: Un uomo solidissimo. Una stabilit formidabile. Poussin sempre lo stesso. Nessuna evoluzione, nessun alto e basso, nessun capolavoro. Superbo!. Come il disegno, anche lincidente di percorso, lirregolarit costituiscono una ferita. Lo spazio privo di interruzioni. Gli si conf solo ci che si confonde con esso, come la luce con il cielo: Poussin ha la luce. Non riesco a sopportare i pittori che non ne hanno. Voltandoci, scorgiamo Georges de La Tour e gli effetti luminosi della sua Maddalena penitente: Mi raggela. Luce non sinonimo di illuminazione. Questultima non che una corazza localizzata che ostruisce ulteriormente il quadro. Ma spazio e localizzazione sono contraddittori. La luce pu significare lo spazio solo perch riesce a filtrare attraverso i vetri e a insinuarsi fra le sbarre imposte dalle forme. E nemmeno il colore necessariamente locale; esso pu confondersi con lo spa48

Quelle ali! Sono come lo spazio. Ci entri senza alcuno sforzo. Come un paesaggio, o le montagne, o le nuvole. Meraviglioso. Goya, La marchesa de la Solana: bellissimo. Questo s che ti rilassa. Spazio immenso, leggero. La serie, cos poco valorizzata, dei ritratti del Fayum. Li ho sempre amati. Un volto di donna: Sembra una creatura mostruosa. La scala fenomenale. Un altro, quello della Ragazza romana anonima: Bello. Come una nuvola. Un altro ancora, il Ritratto di giovane donna: La scala. Hai subito limpressione di contemplare una dea. immenso. Ecco cosa intendo per scala La scala il volume. Ad attirare Sam Francis, in qualsiasi opera, quello spazio che lo affascinava gi sul suo letto dospedale. Ma forse sarebbe pi esatto dire: al di l dellopera. Gi, perch in Poussin o in Cimabue lo spazio solo intravisto: un filo di luce che filtra da una porta semichiusa o da una galleria franata. Cogliere quel filo, seguirlo fino allapertura totale, fino alla libert: ecco lobiettivo. Lobiettivo di Sam Francis, lobiettivo della pittura nella sua storia pi recente. Che, in fondo, potremmo leggere come un tentativo di sgombrare, di ripulire. Se larte ci che noi riconosciamo come arte sopravvive ai valori cui gli individui e le diverse epoche finiscono di volta in volta per associarla, perch consiste in qualcosa daltro. Un qualcosa che resta indefinito o, per lo meno, si definisce solo in negativo, come poteva essere definito Dio per alcuni mistici. Lo spazio della pittura non sinonimo della potenza divina che rappresenta, n della bellezza degli esseri e degli oggetti, e nemmeno della verit di questo o di quellaltro schema compositivo o della grandiosit dei materiali: gli uomini hanno scacciato le divinit dai quadri senza che larte fosse per questo distrutta, lellisse si rivelata altrettanto proficua del triangolo e lo stesso si dica per lacrilico rispetto alloro. Alla fine, nemmeno la figurazione si dimostrata cos indispensabile. Lopera come una casa con una stanza che non compare in alcuna pianta. Sappiamo che esiste, perch da essa filtra una luce che rischiara le stanze attigue, i mobili, le persone. Ma nessuno entrato in quella stanza. O, se qualcuno lha attraversata, lha fatto senza accorgersene. Solo a cose fatte, quando ci ricordiamo di quel vuoto, delleffetto cos intimo e cos impersonale che ha avuto su di noi, ne prendiamo coscienza. Uno spazio accessibile a tutti perch non appartiene a nessuno: come quel polmone, quello spazio comune a tutti che una piazza nel cuore di una citt. Si pu condividere solo ci che nessuno possiede, e questo qualcosa precisamente da cui il suo effetto rigenerante su di noi la libert. Dare equivale a togliere, quando ci che diamo consiste in un trasferimen49

zio, come il colorante con il fiume di cui si vuole determinare il flusso o il corso. Colore: visibilit dello spazio, veicolo che gli permette di insinuarsi fra gli ostacoli, di scavalcare i precipizi, di filtrare attraverso le allegorie pi irritanti e le forme pi biliose, di debordare dal proprio tempo, dalla propria cornice. Se lo spazio limitato e, dunque, apparentemente escluso ma il colore ancora ammesso, lo spazio ancora presente, malgrado tutto. Penso ad alcune tele di Sam Francis, non abbastanza vaste da identificarsi con lo spazio, o ad altre, troppo grandi per tollerare, senza apparire ridicole, unimmagine delimitata (si pensi, per esempio, a cosa diventerebbe un prosciutto elevato alla scala delluniverso): alla sorte delle une e delle altre, affidata allintensit di un giallo, di un blu che le affranca dai loro limiti. Siamo davanti allultimo quadro di Poussin, Apollo e Dafne: Non avevo mai visto quel blu prima dora. Su e gi per il Louvre. Fra Angelico, Lincoronazione della Vergine: Mi fa pensare agli hippies. pittura psichedelica. Delicata, candida, piena di effetti, di sentimentalismo, di siamo tutti pi buoni!. Una pausa di riflessione: La predella, per, incredibile. Molto meglio della parte superiore. Cos pulita, cos libera da tutto ci che rovina il quadro. La parte alta piatta, decorativa. Quella bassa ha profondit. La predella si infiltra nello spazio come un acido. Cimabue, La Maest:

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to di propriet: il dio invocato che nascondeva il divino al pittore continuer a nasconderlo a chi guarda limmagine. lilluminazione sostituita alla luce. Togliere, invece, equivale a dare, quando lartista riesce ad abbattere ci che ostacola laccesso alla stanza vuota. Sam Francis si posto il problema: come riuscire a dare senza dare nulla di noi stessi, senza imporre ci che ci appartiene e che, proprio per questo, pu essere di un altro solo a patto che questaltro accetti le nostre condizioni, le condizioni dellartista? In Poussin, in Goya, in Cimabue, Francis individua e ama un aspetto minerale, aereo: qualcosa che stato fatto dalla mano delluomo ma che , per molti versi, disumano. per questo che, nella sua fondazione, lei accoglie artisti che potremmo definire piuttosto dei tecnici: degli specialisti della proiezione sonora o luminosa Lei stesso mi sembra piegarsi verso la meccanica: utilizzo di telecamere, registratori, aeroplani Io non miro a una disumanit fabbricata dalluomo. E nemmeno i giovani che lavorano da me. Sono degli artigiani gli ultimi artigiani al mondo , non dei tecnici. Non stanno con la macchina, sono contro la macchina. Cercano di distruggerla. Lo spazio naturale. Gli artigiani sono legati alla natura. Istintivamente, locchio di Sam Francis sfugge ai limiti della tela grazie a un filo di luce, a una nuvola o, se non vi che un muro, trasformando quel muro in nuvola. Attraversa gli ostacoli, penetra nel campo della dilatazio50

modulate, e quelle altre, pulsanti, lanose, ricordano ancora troppo le nuvole, il cielo. Una metafora dello spazio, pi che lo spazio in se stesso. E dunque antropomorfiche, poich la metafora un esercizio dello spirito. Ma anchessa finir per scomparire. Spinta al limite, la pittura stessa finisce per annullarsi davanti a uno spazio di cui non aveva costituito che un approccio. La sua sparizione la conseguenza logica di quella specie di teologia negativa che ne ha determinato la storia recente. Tutti, nel 1960, sono alle prese con questo problema. Sam Francis tentato di andare fino in fondo. Poich la pittura deve annullarsi davanti allo spazio, lo studio finir per contare molto pi della tela. Francis edifica immensi hangar, occupa enormi depositi, gigantesche sale da ballo. L si ammassano le sue tele, vuote o meno vuote, ma anche chiunque artisti di ogni genere voglia creare qualcosa. Un posto in cui chiunque possa fare quello che vuole. Perfino le Nozze di Cana vi si potrebbero celebrare (e a volte, in realt, si danno feste mondanissime). Perch fermarsi, quando si arrivati cos a buon punto? Perch non utilizzare proprio quel cielo che un tempo ci si limitava a simulare? Francis lo dissemina di palloncini, di aquiloni, lascia che un aereo vi tracci delle figure di fumo. Al termine del suo viaggio verso lassoluto, lex aviatore prende lo spazio alla lettera. Ma lessenziale, una volta raggiunto, cessa di esserlo. Occupato dagli squatter, quello spazio non pu pi essere comune a tutti. Il valore del vuoto era precisamente la sua vacuit: quella dellal di l, la sua distanza, che lavrebbe messo al riparo da ogni presa di possesso. Come quei quadri di Delacroix di cui Baudelaire diceva che, visti da vicino, non erano che un ammasso informe di pennellate che divenivano leggibili solo a distanza. Lo spazio non esiste che a distanza. La libert si legge solo tra le righe. Il bianco lo spazio tra ha detto un giorno Sam Francis. Non significava, gi questo, avere intuito che tutti gli orpelli immagini, forme, schemi compositivi ecc. che la pittura si sforzava di eliminare le erano in realt necessari? Che tutto ci che la rendeva ridicola quella tela irrimediabilmente divisa, sconnessa dal suo soggetto era proprio ci che permetteva allessenziale di attecchire? per questo che i suoi ultimi quadri sono completamente bianchi, come il rifiuto, eccetto che per unesile frangia di colore: la pittura che si stacca, che scivola, che sanguina ai bordi del ghiacciaio cui si sforza disperatamente di aggrapparsi? Sam Francis continua a dipingere perch la pittura limitata. La cosa pi dura, per chi salito in groppa al cammello dellassoluto, guidarlo verso la cruna dellago. Riatterrato dalle sfere celesti, Sam Francis mi accompagna al Louvre, restringe il suo campo visivo e dice cose cos precise che mi sembrano la prova di quelle, assolutamente indefinibili, di cui si dichiara messaggero. Di fronte a noi, La razza di Chardin:
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ne, dellillimitato in perenne espansione. Lindomani della nostra visita al Louvre, mi dir: Ieri notte ho fatto un sogno. Per niente facile da descrivere. Ero dentro unarchitettura, un sistema, un linguaggio articolato dalla luce. Cerano vari livelli, come in una citt. E delle forme e delle ombre che si muovevano. Attraverso le ombre si entrava in uno spazio profondo. Era una specie di luce liquida. Verso il 1947 quel sogno sembra sul punto di divenire realt. A forza di progressive eliminazioni, lessenziale la stanza al di l finalmente riconoscibile, vicinissimo, pronto a manifestarsi. Perfetta sintonia dellindividuo e della storia: proprio il momento in cui Francis comincia a dipingere. Levoluzione della pittura reclama, in quel particolare frangente, che un artista sia attratto dal vuoto con abbastanza violenza da riuscire a smuoverlo; ma per quanto ostinato possa essere il suo desiderio, la sua volont, lartista non potrebbe mai oltrepassare la soglia, se la pittura non mostrasse quella predisposizione, quella tendenza a lasciarsi sfiorare, ad accogliere il suo invito. Allora Sam Francis sopprime le immagini: tutte le figure sono umane. Per un po non sopravvivono che forme grossolane. Poi, al colore delle forme, Francis sostituisce la forma dei colori: irreale, perch solo ci che costituisce una scrittura che si presta a essere decifrata realmente circoscritto, definito. Irreale. Come una nuvola. Minerale, aereo. Luomo devessere lasciato sulla soglia. Come un cencio colloso. Ma quelle grandi tele monocrome cos delicatamente

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Cos umida, cos emotiva. Pi in l, il Gilles di Watteau: Magnifico. Si capisce immediatamente che lopera di un uomo giovane. Non un briciolo di delusione.

4 Alberto Giacometti

E se facessimo un salto al Louvre? Giacometti accetta, pi per educazione lui uno che le mantiene le promesse che per interesse. Orrore dei musei? Tuttaltro. Ho quasi tutto il Louvre in testa, sala per sala, quadro per quadro. Per riuscirci, si servito del metodo cui hanno fatto ricorso tutti i pittori occidentali dal Rinascimento in poi: Ho copiato parecchio. Cosa? Pi o meno tutto quello che si fatto da sempre. Un luogo in cui si pu vedere tutto quello che si fatto da sempre: ecco una
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definizione abbastanza azzeccata del museo ideale. Una definizione da cui il Louvre sembra allontanarsi meno di molti altri musei. Giacometti lha frequentato assiduamente, allepoca dei suoi primi anni parigini (tutte le domeniche). Le sue preferenze? Quel che cera di pi immediato, di pi nuovo: la Caldea, il Fayum, Bisanzio. Del passato, in particolare, amo ci che somiglia di pi alle cose che vedo io, alla mia visione delle cose. Le sculture caldee, per esempio. E preferisco cento volte la pittura bizantina a quella occidentale. Giacometti guardava, disegnava per affinare lo sguardo. Quando cerchi di copiare le cose, le vedi meglio. Interrogavo le opere a lungo, intensamente. Una per una. Vedere, interrogare: il percorso di Giacometti gi tutto contenuto in questi termini. Dice: Copiare per vedere meglio. E se gli si domanda che cosa sia larte, risponde ancora: Un mezzo per vedere meglio, al punto che si direbbe pronto a ridurre larte, la sua arte, a questa attivit: copiare, rappresentare il pi fedelmente possibile ci che presente. Cos semplice che diventa impossibile. Prenda la curva che va dallorecchio al mento: come far reggere sulla tela, in poco pi di tre centimetri, una linea che ha laria di averne venti? umanamente impossibile. Lintuizione di quellassurdit lo spinge a rinunciare, intorno al 1923, a una simile concezione dellarte: Mi sembrava assurdo correre dietro a una cosa votata gi in partenza al fallimento, no?. Rinunciando a interrogare la realt, per qualche anno

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lo stesso.) Le scuole si attraversano per gradi. Il pericolo dellarte, Platone laveva notato, che la lezione sia talmente seducente da trattenerci per sempre sui banchi di scuola. Giacometti non la pensa diversamente. Un tempo vedevo tutto attraverso lo schermo delle arti esistenti. Andavo al Louvre per vedere i dipinti e le sculture del passato e li trovavo pi belli della realt. Ammiravo pi i quadri della verit. Oggi, quando vengo al Louvre, tutte queste rappresentazioni del mondo esteriore fino a cinquantanni fa, in fondo, coserano i dipinti e le sculture, se non la rappresentazione diretta del mondo esteriore? mi sembrano parziali, precarie. Mi chiedo come diavolo abbiano fatto a vedere quelle cose. E la cosa che mi stupisce, che mi colpisce di pi, non sono i pittori o gli scultori, ma gli spettatori. Ormai non faccio che guardare le persone che guardano. Non somigliano affatto, o quasi per niente, alla rappresentazione che ne stata data. Sono talmente pi straordinarie che in alcuni casi mi sono quasi dovuto forzare ad andarmene Di recente ero di fronte a delle sculture caldee; a un certo punto vedo una donna china su una scultura che la guarda. Allimprovviso, la scultura caldea diventava un sasso malamente sbozzato che rappresentava sommariamente una testa. E la testa che la guardava diventava una cosa strabiliante, meravigliosa, assolutamente ignota. Non riuscivo a staccare gli occhi da quella persona. Giacometti si sforza di fare un bilancio delle certezze che questa ha depositato nel suo spirito, abbandonando allanonimato, alla quasi astrazione, i frammenti
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Solo la realt capace di risvegliare locchio, di strapparlo al suo sogno solitario, alla sua visione, per costringerlo allatto cosciente di vedere, allo sguardo.
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che non riesce a ricomporre quasi si trattasse di un identikit incompleto. Ma dove finisce la memoria, e dove comincia limmaginazione? Impercettibilmente, la sua opera inizia ad avvicinarsi al Surrealismo, che sembra abbracciare a tutti gli effetti intorno agli anni trenta. Il fatto che il Surrealismo offre unalternativa: chiudere quegli occhi che propongono solo macchie impossibili, sostituire il reale con limmaginario, la vista con la visione. In quel periodo Giacometti smette di andare al Louvre: vi far ritorno solo il giorno in cui il reale torner a catturarlo. Si ricomincia, dunque? La stessa assurdit, la stessa impossibilit dellinizio? S, tranne che per un piccolo dettaglio, in realt fondamentale: Giacometti nel frattempo ha scoperto che, ancora pi terribile dellimpossibilit di rappresentare il reale, la possibilit illimitata dellarte non rappresentativa. La vista cozza contro lo scoglio delluniverso esteriore; la visione, al contrario, riesce a proiettare senza ostacoli sulla tela (o nella creta malleabile) un universo interiore. Come un tiranno, essa crea il vuoto intorno a s, non patisce la contraddizione. Ma come un tiranno, finisce per patire quel vuoto, intuisce che quella solitudine significher la sua rovina. Priva di oggetto, larte diviene il proprio oggetto. Una verit odiosa a Giacometti, per il quale larte non il fine di una visione ma un mezzo per vedere, una scuola dello sguardo. (Di fatto, non conosco altri artisti capaci di percepire gli elementi di unopera, dipinto o scultura che sia, con tanto acume e tanta finezza. Un acume che si direbbe contagioso: durante la nostra passeggiata, sar sufficiente che Giacometti si fermi davanti a una tela e prenda a fissarla perch le persone inizino ad assembrarsi e a fare

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Solo questa visibile e, come i gioielli che anneriscono quando smettono di essere indossati, si direbbe che non viva se non nel raggio dello sguardo. Realt o illusione? Una cosa certa: il mistero della sua alterit ci spinge irresistibilmente a interrogarla. Eccoci l, dunque. A fare domande, a dare risposte. Domande maldestre, certo, risposte oscure, ma in fondo che importa: quello che si instaura, grazie alla realt, un dialogo. Qualsiasi attivit a cui ci dedichiamo pressoch inconsapevole, giusto? A parte il dialogo. Lunica cosa che abbia davvero interesse il dialogo con qualcuno intorno a qualcosa, non cos? Il dialogo ci salva dai calcoli, dalla solitudine, dallaccumulo sterile, dal sonno; costringe allo scambio, salva dalla paralisi le nostre facolt. Per sua fortuna, luomo un essere capace di dialogare. Se Giacometti detesta il sonno, perch intrappolati fra le sue pieghe siamo sempre soli. Ama i luoghi in cui si parla, e spesso indulge alla contraddizione, anche di se stesso, pur di ravvivare la fiamma della discussione. Va al museo come si andrebbe in piazza o al caff: le opere, per lui, sono veri e propri interlocutori. Fra loro si instaura uno scambio incessante, quasi tangibile. Lui si avvicina, si allontana, torna alla carica con tanta foga che si sarebbe quasi disposti a giurare che le opere ribattano, replichino davvero ma non cos, in fin dei conti? Giacometti dialoga con larte
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Questa fede nelle virt del dialogo ricorda le teorie degli economisti moderni, per i quali la salute di uneconomia risiederebbe nello scambio, nella circolazione ininterrotta di denaro. Basta che questo si fermi, che inizi ad accumularsi, per innescare la letargia e, di l a poco, la crisi fatale. Un concetto talmente logico, per quanto paradossale possa sembrare, che perfino il dispendio, lo spreco appaiono necessari. La perdita stimola, muove allazione, arricchisce. Ecco perch Giacometti, pur giudicando fallito in partenza latto di rappresentare il reale, non pu fare a meno di ritenerlo utile, essenziale. grazie a esso che larte evita di diventare oggetto e resta moneta di scambio. Dopo questo scambio di idee preliminare, mi aspettavo che una volta entrati Giacometti mi trascinasse davanti alle sculture sumere o ai dipinti del Fayum. Nulla di tutto ci. Dopo un rapido sguardo al grande mosaico romano dellAmazzonomachia, quasi a voler sottolineare la tragicit della ferita che fa sanguinare luomo, dice: In realt, quel che vorrei vedere pi di tutto La carretta di Le Nain. Giacometti rinnega dunque le sue antiche passioni? No. Semplicemente, ha interrogato quelle opere a tal punto che, ormai, fanno parte di lui. Il dialogo ne risente. Un po come gli amici di cui parla Nerval, che si conoscono cos bene da riuscire a indovinare il corso silenzioso di ogni minimo pensiero e, non avendo pi nulla da dirsi, si limitano, se non ricordo male, a giocare a domino. Saliamo. Mentre montiamo i gradini, rifletto sul posto che Giacometti occupa nellarte del nostro tempo: un uomo isolato dalla volont di rappresentare ci che con tanta forza lo lega allarte del passato. Ma quella fedelt, che in altri tempi avrebbe costituito un vantaggio, oggi sembra essersi ridotta esattamente al contrario. Un po come se lerede di unantica stirpe reale si sentisse chiamato, per una necessit insopprimibile, a rivendicare il proprio diritto al trono nel momento in cui il popolo smantella le corone o, peggio ancora, si accontenta di piazzarle su qualche rivista illustrata. Nessun aiuto pu venirgli dai suoi onnipotenti antenati. A quellepoca un disarmante candore ammantava lassurdo progetto di rappresentare il reale. Drer, Leonardo da Vinci, Seurat? Un prodigioso, erudito candore. Il nostro secolo ha avuto la meglio su quella fede ingenua. Lastrazione non forse altro che prudenza: una conseguenza naturale della nostra coscienza dellimpossibilit di raffigurare il mondo. Una coscienza che Giacometti condivide. Solo, la sua impresa ancora pi folle: accanirsi a voler compiere, sebbene in modo disincantato, un atto che solo una fede ingenua potrebbe esortare a compiere. Si sente davvero cos isolato? In fondo, al di l del frenetico susseguirsi dei soggetti rappresentati, la pittura non cela sempre lo stesso intento nel corso dei secoli? Lanno scorso, proprio l in alto, in questa galleria, cera un disegno di Poussin che Mondrian non avrebbe sconfessato. In fondo, stato rovesciando un paesaggio che Kandinsky ha scoperto lastrazione.
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come larte (fino a cinquantanni fa) dialogava con il visibile.

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Mi sembra un po eccessivo. Ci si appella alla tradizione e si dice che il quadro si struttura senza il soggetto, come se la struttura potesse esistere senza il soggetto. Come se ci fosse un soggetto banale, accessorio, sovrapposto al quadro. Togli il soggetto e hai tolto il quadro. Si consoli: l in alto vedo qualche meraviglioso esempio di realismo che potrebbe soddisfarla. Il realismo una grande idiozia. Prego? La cosa che pi si avvicina alla visione che abbiamo delle cose sono quelli che in arte chiamiamo i grandi stili. S, le opere del passato che mi sembrano somigliare pi alla realt sono quelle che in genere riteniamo pi lontane. Mi riferisco alle cosiddette arti di stile: la Caldea, lEgitto, Bisanzio, il Fayum, alcune cose cinesi, le miniature cristiane dellalto Medioevo. Insomma, di certo, non quello che chiamiamo realismo. Per me, anzi, la pittura egizia una pittura realista, anche se in genere viene definita come la pi stilizzata. Tutti noi somigliamo molto di pi a una scultura egizia che a qualsiasi altra scultura mai realizzata. Dicasi lo stesso delle arti esotiche, della scultura africana od oceanica. La gente le ama perch le ritiene uninvenzione assoluta, perch negano il mondo esterno, la piatta visione del reale. Al contrario, disdegniamo una testa accademica, greco-romana, perch verosimile, perch non desta alcun interesse. Amo le sculture della Nuova Guinea perch trovo che ci somiglino di pi, a lei, a me o a chiunque, di una testa greco-romana o di una testa convenzionale. lo
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Si capisce, adesso, perch in un museo lo sguardo di Giacometti si riveli inesorabilmente pi inquisitore, pi penetrante del nostro. Noi tendiamo a credere che tutto si esaurisca nellindividuare lo stile in unopera; per Giacometti, invece, lo stile non che il segno dellesistenza dellopera; per riuscire a coglierne la natura specifica e, parallelamente, ci che fa s che essa ci appaia come stile artistico bisogna afferrare ci che fa di essa una visione, una rappresentazione della verit. Ma ecco che Giacometti subito pronto a darmene una dimostrazione. Siamo in alto, sulla scala; alla nostra destra, La Maest di Cimabue. il quadro che amavo di pi; quello che mi sembrava pi vero. E questi barbari lhanno messo sulla scala, lhanno espulso dal Louvre. Ci avviciniamo. Non c niente di pi vero. Qui Sono gli scavi romani che hanno cambiato Giotto Qui: non c niente di pi vero, di pi denso delle mani. Pi vero delle mani di Rembrandt. E allimprovviso assisto a un fenomeno singolare: sotto quello sguardo intenso, le mani della Madonna crescono, non mi lasciano vedere altro, creano il vuoto attorno a s. Allora ripenso alle sculture di Giacometti: un piede, una gamba isolati, ma talmente immensi da far dimenticare che sono il prolungamento di qualcosa. Che profondit! Cercavamo laspetto di una cosa: inopinatamente troviamo la profondit dello spazio. la dialettica dei contrari, di cui Giacometti , perfino nel suo lavoro, pi una vittima (consenziente) che un maestro: la parte diviene grande come il tutto, il tutto si fa pi piccolo della pi infima delle parti; la volont di rappresentare degli individui precisi d vita a figure pressoch anonime; il bisogno di dialogo suscita sterminate distanze di silenzio.
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stile a restituire la visione pi fedele. Certo, nessuno si mai sognato di inventare uno stile. Per gli egizi sarebbe stato semplicemente senza senso. Gli egizi si limitavano a tradurre al meglio la loro visione della realt. Per loro, del resto, si trattava di una necessit religiosa: si trattava di creare dei doppi il pi possibile vicini allessere vivente. Esiste un testo, una sorta di poema, in cui si parla di sculture cos vere da sembrare vive e da riempire di terrore chi le vede. Ci che rivela lo stile sempre una visione altra. Per noi lEgitto costituisce uno stile perch vediamo in modo diverso. Ma per loro, che avevano solo la loro arte e conoscevano a malapena qualche altra manifestazione di arte asiatica, non cera che una visione nitida del mondo: la loro. stato cos per gli artisti della Preistoria, per quelli di epoca romana, per quelli della Polinesia. Non avevano scelta. Una sola visione valida delle cose: la loro. Noi, invece, che conosciamo tutte le visioni possibili, chiamiamo stili quelle visioni congelate nel tempo e nello spazio. Acuit, fedelt della visione: sarebbero dunque queste, le condizioni dello stile? Assolutamente. Sono convinto che se riuscissi a fare una testa proprio come la vedo, gli altri finirebbero per riconoscervi uno stile. Naturalmente non ci sono ancora riuscito. Per quanto, nelle mie sculture, ci sia qualcosa che si avvicina a La gente, quando guarda la mia scultura, crede che sia inventata, non vero? Ma se sono spinti a guardarla, per me, perch in parte si avvicina esattamente alla mia visione delle cose. Il realismo Un quadro realista un quadro troppo poco reale per elevarsi a stile. Il suo torto di non somigliare a niente.

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Ma Giacometti, quelle distanze, le accoglie con gioia; senza di esse, la pittura non che passatempo, decorazione. Gli astratti oggi vedono tutto in grande formato, colori forti, macchie prive di profondit. Il grande formato disperde lo sguardo, i colori forti lo abbagliano, le macchie non fanno che offuscare lidentit precisa, come uno sbuffo di tela sontuosa nasconde i contorni di un corpo. Ma senza lidentit precisa, nitidamente disegnata, addio profondit. il dettaglio a differenziare, a distaccare, a separare una forma dalle altre, a creare attorno a essa quel vuoto che chiamiamo spazio. Gli infiniti dello spazio sono impossibili da cogliere in se stessi, nonch, come diceva Pascal, spaventosi. Occorre che essi vengano agganciati da una forma il pi possibile definita. Reciprocamente, lartista non acceder allo spazio se non in modo involontario. Come il pescatore di granchi, cos immedesimato nella caccia da non accorgersi del mare che monta attorno a lui finch, alzando gli occhi, non si ritrova isolato su una roccia, cos lartista in cerca della verit, senza accorgersene, si vede assalire ovunque dalla profondit. Meravigliosa, certo, ma cos pericolosa da costringerlo ad aggrapparsi ancora pi fermamente allapparenza delle cose, il che non fa che acuire ancora di pi la profondit E cos, in questo movimento incessante, il dialogo si perpetua. Dice davanti al San Sebastiano: Un albero, io, lo vedo pi come Mantegna o come van Eyck che come gli impressionisti.
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quadro. Per via del colore: ce n poco, pochissimo, eppure esattamente il contrario della grisaille. Poi, con una punta di malinconia: vero, questopera ma non pu essere il nostro cammino verso la verit. Mantegna ha visto questa testa (quella dellarciere) come le vedo io, le teste. Ma non potrei mai farla cos. Il San Sebastiano come nascosto dietro a un sipario. Un sipario che non potremo mai pi scostare. (Silenzio.) La cosa formidabile che ogni nuova scoperta viene subito perduta, per sempre. Lo stile non potrebbe essere questo: la visione dopo che il sipario calato? Fra i due, comunque, non vi alcuna contraddizione. Davanti al Bacco di Leonardo: A prima vista ha unaria reale, poi diventa un segno: Buddha danzante e croce uncinata insieme. Ma questa lezione fin troppo didattica. Il lato pi intimo del percorso di Giacometti si rivela nella dichiarazione successiva: E poi, la contraddizione di quei fiori, l in basso. (Bisogna chinarsi per riuscire a scorgerli, tanto sono sottili, per non dire fragili.) pi vero, pi strano di Drer: un angolo di Cina a Milano. (Una pausa.) Quegli steli grandi come alberi. LOriente, in effetti, ha sempre conosciuto meglio larte, cos vicina alla dialettica di Giacometti, di far sorgere limmenso dal delicato, linfinito in mezzo alle maglie di una rigida finitezza. Il danzatore balinese volteggia nellaria a ginocchia piegate, pressoch accovacciato: quando si rialza, sembra stia compiendo un balzo prodigioso. Un effetto di gran lunga pi possente di quello che potrebbe fare un nostro ballerino dei balletti russi. Eppure, anche lui non smette di saltare. Davanti alla Marchesa de la Solana di Goya: Che meraviglia! fatto con il minor numero di mezzi possibile; pochi colori, come in Mantegna, eppure com scintillante! David e Ingres, in confronto, sembrano orribili. Se Giacometti intrattiene un dialogo costante con la cultura, non forse perch questa, affinando il nostro sguardo in un incessante gioco di confronti, ci insegna a cogliere differenze sempre pi impercettibili, a ridurre la scala degli stimoli plastici senza tuttavia indebolire lintensit del loro effetto su di noi? In un quartiere popoloso, la misera vegetazione di un giardinetto pubblico canta con voce altrettanto chiara della flora rigogliosa della selva. Sovrappopolando la nostra coscienza altra lezione che ci viene dalla Cina , la cultura ci rende sensibili alle variazioni pi lievi. Essa ci serve, a condizione che non proviamo a servircene a nostra volta. In quel caso, restiamo intrappolati nel sipario. La distanza culturale somiglia curiosamente a quella che Giacometti vuole trovare nellarte. E quando si estasia davanti alla Donna con la perla di Corot, alla fine non sappiamo pi se il suo breve commento si riferisca alluna o allaltra, o forse a entrambe: Un occhio incredibile lontano lontano. Simile ai personaggi della sua opera, Giacometti si reca al Louvre in cerca di
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Loro lavorano in profondit; gli impressionisti vedono a macchie. Andavo pazzo per questo

Francisco Goya, La marchesa de la Solana, 1794-95. Olio su tela, 181 x 122 cm.

Alberto Giacometti, Nudo in piedi, 1951. Olio su tela, 62 x 23 cm.

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un dialogo e non vi trova che solitudine. Ma proprio ci che rende impossibile il contatto genera il campo dellarte: lo spazio tra, la profondit. Un quadro del passato altrettanto lontano dellalbero o del modello che vogliamo rappresentare. Davanti allAutoritratto del Tintoretto: Non lo avvicini, resta sempre a distanza, come la realt. uno dei quadri del Louvre che ho amato di pi quando sono arrivato a Parigi. lunico che si avvicini al Fayum, a Bisanzio. Va pi in l di Rembrandt (quanto a Czanne, lui va altrove). tutto il cranio: locchio, ma anche lorbita, la struttura stessa della testa. Ed fatto di niente. Davvero, la testa pi magnifica del Louvre. Ed ecco, infine, la meta della nostra passeggiata: La carretta di Louis Le Nain. Dopo quello che abbiamo appena visto, sa un po di soggetto arido, limitato, modesto. Ma lo sguardo di Giacometti si ostina, e il giudizio lascia gi il posto al dialogo: le prospettive si alterano, si ribaltano. Eppure guadagna immediatamente, eh? Pensi a Chardin, a Vermeer Secco come un colpo di frusta Che figura meravigliosa! (quella in fondo a sinistra) Quella di destra, davanti, sa pi di finto No, non finto: visto in un altro modo. (Sotto lo sguardo in cerca della verit, dellidentit delle cose, le due finiscono per separarsi.) I maiali, il gruppo di sinistra, il paesaggio e il gruppo di destra sono dipinti in tre modi diversi. Potrebbe tranquillamente trattarsi di tre pittori diversi. La donna col secchio cos bella che fa gi un
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della vecchia somiglia ai folli di Gricault, alle facce di Rembrandt, di Corot, di Chardin Per quanto dissimili possano essere, i rapporti con il reale e i rapporti con larte, in questo quadro, possiedono eguale presenza e finiscono per conciliarsi. Locchio nero, e fa tanto piazza Navona quanto quarta dinastia. Tutto ugualmente vero. Lotre di vino posato sul tavolo e il calice che luomo solleva in aria, dal basso: gi visto, eppure ripete lo schema della sovrapposizione dei personaggi della Carretta. Una consustanzialit fra stile artistico e visione del reale che, sotto la punta acuminata dello sguardo vivo, non induce a relegare la visione presente in un fantomatico mondo delle arti, ma riporta le opere darte del passato al presente della visione che in questo preciso istante si incarna in questo o in quel quadro. Somiglia a tutto e a niente. A niente, perch a mano a mano finisce per imporsi quella profondit capace di divorare le forme nitide, precise, che lhanno provocata. Una profondit dolcissima: ci si entra come si fa con la musica. cos dolce, cos piacevole. Profondit musicale, notturna, dello spazio, nella quale quei volti, fino a pochi istanti fa cos interessanti, finiscono per perdere la loro identit, riducendosi a poco pi di una serie di sfere anonime, discretamente radiose. Le immagini del reale sono lumi che rischiarano per un istante la camera oscura dello spazio. Un potere fatale, giacch lo spazio cos ravvivato finisce ben presto per divorarle, annientandole sotto il peso del loro isolamento. Davanti al Pasto dei contadini: Quel tizio a destra, stanco, smarrito, come smarrito nel deserto. Ma quello smarrimento vale pi di tutti i trionfi del mondo. Unocchiata al dipinto accanto, attribuito ad Antoine Le Nain: Un buon dipinto, delle belle superfici, ma non quella sensazione di pianeti nello spazio, quella musica di prima. E mentre la legione dei guardiani avanza inesorabile verso di noi per cacciarci verso luscita, lanciamo un ultimo sguardo alla Carretta. uno dei quadri che amo di pi anche solo per via del colore. perlato. forse per quel ceppo tagliato a sinistra? come una piccola isola alla deriva. Da lontano, per me, di un colore solo. Il colore della campagna. Ah!
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quadro a s; non si riesce nemmeno a guardare il personaggio a fianco. (Un silenzio che, in colui che guarda, sembra attestare la profondit che si spalanca fra le diverse parti del quadro, isolate nella loro verit quella profondit che, per effetto di un ulteriore rovesciamento, finisce per riunire i contrasti, proprio come il mare unisce le isole attorno a cui scorre.) Poi: Alla fine si ricompone comunque. Mentre Giacometti mi parla, sul Le Nain, come in filigrana, vedo delinearsi la sua stessa opera, quasi il candore disinteressato del suo sguardo riuscisse a rendere trasparente il sipario. Ci che Giacometti mi insegna della propria arte non avrebbe mai potuto dirlo senza la mediazione di Le Nain. Gi, perch si tratta solo di lui, di Le Nain, la cui Famiglia felice ora sotto i nostri occhi. Immediatamente, la verit schiacciante dei dettagli capaci di attirare la sua attenzione cresce a dismisura sotto il suo sguardo: Quel pizzico di rosso nel bicchiere di vino d colore a tutto il quadro. Senza di lui, semplicemente, non esisterebbe. La bugia sul tavolo: grande come un monumento in una piazza romana. In effetti, non pi un lembo di tovaglia, ma lintera piazza Navona che vedo. Ma lui sta gi dicendo: Che facce simpatiche! Tutti questi sguardi che non ci guardano, che non guardano noi. La vecchia guarda in dentro. Quellocchio di una tale nostalgia!. Parlare cos, in unepoca in cui lattenzione allaneddoto giudicata incompatibile con larte! Be, me ne frego! E locchio della ragazza, invece: fa cos quarta dinastia La faccia

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Per facciamo come se fossimo in campagna, eh? Stai camminando, c un sole che spacca le pietre, cos ti siedi e chiedi a una contadina di offrirti da bere. Altrimenti, qui, ci annoiamo a morte. Mir inquieto e, a dire il vero, anchio condivido la sua apprensione. Per i bambini, come per gli adulti che li accompagnano, la visita al museo una fatica ingrata. E di Mir non si dice forse che il suo tratto pi tipico proprio questo, il dono dellinfanzia? Unimmaginazione che sfiora linconscio, unindole che difficilmente distingue la realt dal sogno, una vitalit che la ragione non riesce a censurare e la routine non sembra placare, una capacit di abbandonarsi con profonda seriet ai giochi, parecchi dei quali proibiti, una prospettiva inaspettata, capace di ingrandire il dettaglio e atrofizzare il cosiddetto elemento importante, perch gli occhi che guardano e la mano che restituisce la visione sono quelli di uno che arriva a malapena al ginocchio delle persone adulte, e poi quei passaggi repentini dal riso alle lacrime attraverso lintera gamma disponibile di smorfie, fino a quella crudelt gioviale cos tipica dellet spietata per eccellenza grande la tentazione di riportare lopera di Joan Mir allinfanzia. Uninfanzia che, non certo per la contessa di Sgur ma stando almeno alla psicologia moderna, pu essere colpevole di crimini ma non soggetta a rimorsi; pura, certo, ma come pu esserlo un veleno concentrato, non diluito. Mir: un mestiere adulto al servizio di un mondo infantile.
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Una simile interpretazione riduce lopera a uniconografia del meraviglioso, a una serie di scarabocchi buffi o inquietanti, a una scatola delle meraviglie in cui vediamo sfilare, fianco a fianco, lo humour nero e la tragedia a sfondo rosa. Larte di Mir ne risulta particolarmente limitata: a che servirebbe essere stato il primo ad affrancare la pittura dalle leggi della pesantezza, se il prezzo da pagare la rinuncia alla gravit? Una libert cos inaudita non concessa solo a coloro i cui gesti, i cui atti, si ritengono privi di conseguenze? Se cos fosse, il confronto che ho chiesto a Mir di sostenere non sarebbe altro che un grossolano errore da parte mia: una mancanza di gusto, unindelicatezza, unimperdonabile confusione di lucciole per lanterne. Era proprio ci che temevo, avendo visto solo alcuni quadri di Mir simultaneamente e non avendo mai avuto modo di confrontare le varie fasi della sua opera se non tramite il ricordo o quella memoria stampata che la fotografia. In realt, la retrospettiva al Muse dart moderne nel 1962 ha finito per rovesciare lidea che mi ero fatto del pittore catalano, modificandola, certo, ma senza per questo negarla. Le opere, prese singolarmente, erano esattamente come le conoscevo, ma dalla loro somma si sprigionava una quantit, o pi esattamente una qualit, del tutto nuova. Una qualit che, una volta apparsa, finiva per abolire tutto ci che laveva preceduta e preparata, proprio come la luna, sorgendo, can68

tratto di Mrs. Mills, iniziai a venirci tutti i pomeriggi. Mi aiutava parecchio, per contrasto. A impressionarmi, soprattutto, erano quegli interni olandesi con un puntino piccolissimo zac! come un occhio di mosca. Per me era la cosa fondamentale. Era ben di pi che semplice minuzia: era lapice di una tela abbastanza grande il punto acuto, luminoso: un occhio di microbo. Ero attratto anche dalla forza. Rembrandt, limpatto della potenza. Poi iniziai a muovermi per periodi. Quando avevo voglia di unavventura, venivo a vedere i classici. Ma non ho mai copiato nulla, tranne che a Barcellona, quando avevo quattordici anni: Urgell. Adesso che ho trovato un equilibrio vengo meno al Louvre. un bisogno che non mi spiego. Io, che ho il compito di spiegare, mi dico che quelleco grave rende pi normale la nostra passeggiata di oggi, ma ancora pi profondo il mistero dellopera. Alle infinite mutazioni di cui la pittura di Mir sembra traboccare innesti stravaganti, fenomeni di generazione spontanea, di scissiparit, proliferazione, compenetrazione, fagocitosi bisogna aggiungerne una suprema: quella che ci fa dimenticare tutte le altre (e proprio per questo fa s che ci interessiamo a essa). Dove, e quando si opera dunque la metamorfosi? Il museo ha tutto il tempo per uccidere il tempo: dispiega tanti stili, tanti soggetti diversi, che questi finiscono per abolirsi gli uni con gli altri. In Mir, invece, il passaggio allo stato di astrazione solenne istantaneo, nonostante la presenza visibile del concreto del concreto nella sua forma pi letterale. In ogni tela devesserci dunque un punto preciso, un momento dato un occhio di mosca in cui tutto vacilla, in cui la deviazione dal solco della scuola incrocia quello del dovere (anche il museo, in fondo, fatto di scuole). Lattenzione non pu cedere di un briciolo: quel briciolo rischia di essere proprio la preda cui davamo la caccia, che appare e svanisce prima che ce ne accorgiamo. Determinare le condizioni di questa vertiginosa conversione del piccolo in grandezza: ecco ci che mi aspettavo dalla nostra visita al Louvre, nella speranza che listinto del mio compagno, allontanato dal suo campo dazione abituale e pi al riparo dalle minacce della creazione, si mostrasse meno svelto, meno brutale, permettendomi di cogliere il suo modo di procedere. Il compito, comunque, era tuttaltro che facile. Lui mi aveva avvertito: Sa, io non sono capace di parlare. Bisogner che presti attenzione a quello che faccio: se mi gratto il naso, se mi fermo, se le do di gomito. E anche a come taccio. I silenzi di Mir Per quanto li conosca, per quanto preparato sia a smontarne i meccanismi, finiscono sempre per avere la meglio. E del resto, qualsiasi cosa faccia, sono sempre io a romperli. Mir ha anche dei silenzi volubili. E delle risposte impeccabili. Come linsetto che assume il colore del luogo in cui si trova per camuffarsi meglio. E poi quelle parole, quelle frasi, che sono anche le nostre, ma che non vogliono (forse) dire lo stesso quando le impiega lui. Se anche Mir, come noi, sensibile alle influenze e permeabile a ci che proviene dallesterno, non lo comunque nel nostro modo. Come i bambini che
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cella tutte le stelle. Lungi dal dissolversi nella ricchezza dellinvenzione, come spesso accade quando lopera frutto del mero ingegno, la stupefacente diversit di fasi, la folgorante successione sol y sombra degli episodi non si limitano a formare un semplice racconto, un fumetto a tratti giocoso, a tratti atroce, ma fanno emergere una dimensione capace di divorare indifferentemente lo humour, limmaginazione, laneddoto, il sogno allo stesso modo del reale. Che nome dare a questa cosa vorace? Ripenso alle parole che, con mia grande sorpresa, mi affiorarono allora allo spirito: gravit, solennit. Qualcosa di immobile, insomma, in opposizione allo spirito che si agitava freneticamente sulle pareti, e di quasi neutro, anonimo, in quella sovrabbondanza di pittoresco e di singolare che si svelavano sotto i nostri occhi. Riflettendo mi accorsi che quel qualcosa era identico alla presenza che, sprigionatasi dalla pletora del museo, finiva per inghiottire la storia e le storie delle diverse generazioni, allo stesso modo in cui, al Palais de Tokyo, finiva per divorare, sotto i miei occhi, quella di un uomo. Mir dice: In fondo la mia pittura non si oppone alle cose che ci sono al Louvre. tutto concatenato. La prima volta che vi mise piede fu gi allindomani del suo arrivo a Parigi, nel 1918. Ci andavo ogni giorno. Volevo vedere tutto, tutta la pittura. La prima volta che entrai ero disorientato, paralizzato. Per tre o quattro mesi fui totalmente incapace di dipingere. I miei amici si mettevano al lavoro con grande naturalezza. Ma io, in fondo, ero contento di quellincapacit: dimostrava che ero rimasto scosso. Pi avanti, mentre realizzavo il ri-

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ascoltano una conversazione fra adulti, lui fraintende, interpreta di sbieco: le sue riflessioni sono delle deflessioni. Nellinfinita gamma delle esperienze comuni, non reagisce agli stessi stimoli, e nemmeno allo stesso modo. Non sono sensibile al vento, alla temperatura, alla pioggia o al sole dice mentre un cumulo di nubi nere si addensa sul Carrousel, inducendoci a parlare del tempo. Per sento i cambiamenti della luna. Con le parole di Mir bisogner dunque fare come con la sua opera. Esse esigeranno pi di uninterpretazione: esigeranno di essere decifrate. Ma svelandogli subito la chiave dellenigma non si priva il lettore di gialli del suo piacere pi grande? E daltra parte, sono proprio sicuro che la mia chiave sia quella giusta, che ce ne voglia una, una soltanto? E se mi fossi immaginato dei punti di oscurit, delle zone dombra, l dove tutto non che candore? La cosa migliore, se mi riesce, sar tenere a freno il desiderio di spiegare o classificare e limitarmi a un mero verbale dei detti, dei fatti e delle gesta di Mir al Louvre. Le riflessioni che questi hanno suscitato in me, a volte sul momento e pi spesso rileggendo gli appunti, verranno relegate alla fine di questa testimonianza, di modo che il lettore potr, se lo desidera, respingerle in toto. La morte, si dice, rimette ogni cosa al suo posto. La lunga sala dei sarcofagi, in effetti, sembra mettere ordine nella calca che si assembra allingresso.
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che ha appena visto un gelato. Sembra una gatta! E che sguardo! Uno sguardo vivo e misterioso: in confronto la Monna Lisa E quel viola, quasi come un Bonnard! E la linea di quegli orecchini: gi solo questo (una specie di parabola, chiusa allestremit da tre cerchi), ingrandito che quadro ne verrebbe fuori! Un altro ritratto: sembianze negroidi, fattura pi brutale: Pi forte di Rouault. Inforca gli occhiali, li toglie, li rimette, fa qualche verso Il naso allungato, gli occhi ravvicinati: mi ricorda El Greco, non so perch. Poi si paralizza, come pietrificato da tanta concentrazione. Ah, s: guarda di sbieco, ecco perch! Un lungo silenzio. E che colore, che rigore plastico! Un ritratto di donna indigena gli ricorda le cose catalane per lintensit, le pieghe, i volumi del naso e delle guance. Di una testa di uomo indigeno: forte, brutale come una scultura africana. E, dopo un rapido sguardo tutto attorno, aggiunge: Una saletta solo con questo: sarebbe altrettanto grandiosa di una sala Vermeer o di una sala Corot. Daltronde, questa grisaille come Corot: cose minuscole, ma in cui vedi tutto. Un lungo silenzio mentre attraversiamo rapidamente la sala della scultura romana. In fondo, quasi a fare da anticamera, parecchi resti tardoromani e paleocristiani. Mir si ferma davanti a un frammento di mosaico su cui si legge uniscrizione: Che rigore plastico! Non me lo vedo n pi grande n pi piccolo. perfetto cos. Che libert, che rigore! Se questo mosaico roba minore, allora posso dire che la grande pittura mi annoia. A parte Corot.
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Come degli ufficiali intenti a radunare le truppe dopo la presa di una piazzaforte, cos le guide si sforzano di riunire i loro gruppi una volta superato il controllo. Mir resta come imbambolato di fronte a un braccio che, apparentemente privo di ogni vincolo corporeo, sventola un foglio giallo al di sopra di quella marea di teste. E io penso subito alle membra disjecta, ma non per questo meno vive, che popolano la sua pittura, per esempio alla Mano che afferra un uccello. Penso ma non avevo deciso di non pensare? In fondo alla sala, una leggera esitazione. Un accenno di ingorgo a sinistra (la Venere di Milo in quella direzione) ci induce a svoltare a destra. Statuaria romana. Mir la attraversa con aria inquieta, senza dire una parola, finch non scorge un ritratto di donna del Fayum, quella con un grande gioiello indosso: un po come la Dama di Elche, no?. Un altro ritratto, un volto triangolare: Oh! bellissimo. La sua lingua schiocca come quella un bambino

Il suo interesse per questo mosaico dipende dal fatto che parla? No. Prima di tutto, prima di qualsiasi altra cosa, limpatto visivo che conta. Dopo ti viene voglia di sapere che cosa dice, che cosa rappresenta. Ma soltanto dopo. Mir si dice affascinato, come mai prima di quel momento, dalla scrittura: La mia cambiata; la mia firma, per esempio. Mi piacerebbe fare una serie di tele nere come lavagne di scuola con le lettere dellalfabeto: zac! zac!. Lonomatopea si accompagna al gesto sferzante del domatore. La data, per esempio: 5 marzo 1963. Traccia gesti vivi nellaria, prolungando la verticale fino a terra con una violenta sciabolata: zac. Lorecchino di poco fa: le tre perle, tac, tac, zac! Su una grande tela. Solo una linea e un cerchio rosso, come un punto: ma prima di riuscire a tracciarlo! Devessere una frazione di millimetro. Non puoi sbagliare di un capello. S, ho gi fatto cose cos in passato, ma a sensazione; era come sentir respirare la linea. Adesso si tratta di qualcosa di pi brutale: come un

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colpo di pugnale, come le lettere del mosaico funerario di Furnos Minus. Guardi: ha lo stesso rigore architettonico di un libro, diverso dalla scrittura a mano. In questo momento, per me che voglio fare un libro, tutti questi mosaici sono una lezione. S, il libro mi appassiona sempre di pi. come unarchitettura. Tutto deve essere al suo posto, altrimenti crolla. E poi, mi piace lavorare con gli artigiani. A condizione di non sentirsi un genio, di non dare ordini, ma di lavorare con. Io devo molto agli artigiani. Siamo dentro la sala dei mosaici africani. Mir lancia un fischio di ammirazione, scuote la testa davanti al Mosaico della Fenice. bellissimo. Davanti a una cosa del genere non c pi nulla da dire. Ma i Pappagalli, le cui forme ricordano una sferza, lo inducono a dire: Zac: ecco fatto. E nella tragica mischia dellAmazzonomachia, si sofferma per richiamare la mia attenzione su quella montagna che sembra stagliarsi come bign fino ad assumere le fattezze di un parasole: Solo questo: fare solo di questo una cosa monumentale, un monumento di venti metri, e metterlo in place de la Concorde. Di fronte a un mosaico rinvenuto a Costantina, raffigurante il trionfo di Nettuno e Anfitrite, cos sapientemente modellato da sembrare degno del Rinascimento, sospira: Manca laria. Come in un abito troppo stretto, con un bottone che ti opprime. E davanti al Dio fiume sdraiato, sintesi esemplare della pittura romana ufficiale: giusto solo in apparenza. I personaggi si potrebbero tranquillamente spostare. Un lungo, estenuato silenzio e poi: Andiamo nella mia zona.
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possiamo non fermarci. A Babilonia, invece, acceleriamo il passo. Qui tutta unaltra storia. C il sovrano che dice: voglio questo, lo voglio cos! Si sente, e d fastidio. Scendiamo una scala di corsa e risaliamo, diretti allaltra ala. Allimprovviso, Mir si paralizza davanti a cinque steli cartaginesi, allineate come dei cactus sui gradini. Che bel gruppo! Perch qui, sulla scala? Se ne vergognano? Arte minore, dicono. Ma rispetto a questa, qual larte maggiore? Una breve svolta e ci troviamo di fronte alla collezione di bronzi luristani che Jean Coiffard ha recentemente donato al Louvre. Li ha gi visti pi volte e, in realt, non stupisce che li ami: non si vedono anche qui le stesse strane ibridazioni, gli stessi innesti che, proprio come nella sua opera, attecchiscono ogni volta, quasi a voler dimostrare la loro vitalit? Grandiose inezie. E davanti a un piccolo morso: come una firma cinese. Imbocchiamo luscita in mezzo a una schiera di grandi animali mitologici assiri. meno grandioso di un piccolo bronzo. Eccoci fuori, un po frastornati. come scendere dallaereo dopo diciotto ore di volo. Non sai pi che ore sono, dove ti trovi. Il cielo oggi di una bellezza Lindomani mattina, subito dopo lapertura, iniziamo la nostra seconda visita: la prima, secondo Mir, stata un po frettolosa. Quando si fa una cosa, bisogna farla bene, fino in fondo. Eccoci dunque di nuovo qui, in mezzo ai ciceroni che fanno lappello. Ricordando la scena del giorno prima, faccio notare a Mir che il suo quadro Terra arata era gi pieno di membra umane che avevano scelto di vivere di vita propria: piedi, mani, occhi. S. Gi da piccolo ero ossessionato da una mano, dagli occhi nei fiori, negli alberi. Vedevo le piante come esseri umani. Avevo dipinto un Bouquet con dei frammenti di volto sullo stelo: un occhio, una mano. E dei piedi?
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La sua zona la Mesopotamia. a malapena entrato nella prima sala che si gi risvegliato, bruscamente. Guardi mi dice affrettando il passo, guardi quella ragazza, la borsa con quella catenella sul braccio rigido! Un lungo silenzio, finch il braccio non sembra scomparire. Un tempo venivo al Louvre soprattutto per la pittura. Adesso, sempre di pi, vengo per questo. In ogni caso c sempre Corot. Un mattino, un paesaggio di Corot. Una serie di piccoli tocchi, minuscoli ping! ping! ping! , ognuno al suo posto. E la dignit di quelluomo. Dov la dignit, oggi? E la sua umilt: non avrebbe sofferto di restare anonimo. Calmo, imperturbabile. Anche qui ogni cosa calma, silenziosa, caldamente anonima. Qui qualsiasi cosa, anche la pi infima, bella. Mir propone di vagare velocemente per le sale, senza una meta precisa, lasciando che siano le opere a fermarci. Detto, fatto. Davanti alla Fontana a forma di aquila (Tello): Ah!. La mano si alza, poi ricade in un gesto di disperata ammirazione. Alla vista di Gudea, principe di Lagash: Non

Riflette a lungo, seriamente: No, i piedi no. Mentre ci dirigiamo verso le sale caldee, mi dice: Il mio mondo immaginario si ricollega alla vita. Il pomeriggio, di solito, vado a zonzo: la realt, limpatto con la realt, che mi fa venire le idee. Un muro, un ciottolo. Il segno per me una cosa estremamente viva, mai astratta. Vedo quel segno che si mette in moto, che esce, che cammina sul Carrousel. La vita di unopera questo: la sua capacit di camminare. L in alto, nelle sale di pittura, ce ne sono molte che non hanno mai camminato. Intorno a noi, adesso, le civilt che hanno segnato linizio della storia. La storia per me non ha differenze. Un piccolo paesaggio di Pompei e uno di Corot appartengono allo stesso tempo. Limpatto, la rivelazione che mi danno non hanno niente a che fare con il tempo. Il tempo per me non esiste. Mentre mi parla, incalzato da tutte quelle sollecitazioni, locchio di Mir si dilegua, richiamato alla sua missione. Un occhio rotondo, dallo sguardo acuto,

Joan Mir, Figura che lancia una pietra a un uccello, 1926. Olio su tela, 73 x 92 cm.

Amazzonomachia, 3-4 sec. d.C. Mosaico.

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che si direbbe privo di palpebre. Un occhio che sembra appartenere a un altro uomo, non a quello che parla con me e che, davanti a una vetrinetta stipata di piccoli oggetti Tello risalenti al quarto millennio, sollevando le braccia in gesto di preghiera scuote la testa, schiocca la lingua ed esclama: Ah! Grandioso! Questa grande arte, o no? Queste cosette basterebbero a riempire una sala grandiosa. Come si pu essere sensibili ad altri dipinti, dopo aver visto questo? (Un silenzio.) Arte? Non dovevano conoscere nemmeno quella parola. Pensa mai a questo, mentre lavora? Io? (Scoppia a ridere.) Un artista-pittore! Se Mir ammira tutto in questa sala, la sua predilezione sembra per andare agli oggetti di forma bizzarra, asimmetrica, tatuati di iscrizioni, come quel coccio Tello in cui si delinea la sagoma di un alce: pazzesco! Una pittura murale che contenesse solo questa forma, cosa non sarebbe!. E la Fontana a forma di aquila: Questa specie di donna farfalla, con i suoi occhietti, che meraviglia Questa, e la colossale statua di Gudea. Dalle piccole terrecotte lo sguardo salta con ammirazione ai grandi basalti, a quella statua Tello di cui non rimane che la parte inferiore: la veste di piume e, nella nicchia, i piedi isolati, vivi. E poi la statua di Manishinsu (Susa): Davvero emozionante. Quel blocco costellato di pieghe, come se ci scorresse dentro la
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to di ministeri, di consolati. Mir sempre pi imbronciato, tanto che se ne accorge lui stesso e fa un grande sforzo per apparire educato. Davanti alla stele del Re serpente (et tinita): Saremmo partiti da l, ci saremmo fermati qui. Ma dopo i caldei. Una spessa colonna disseminata di geroglifici: I tizi che incidevano queste cose dovevano guardare lorologio per vedere se era ora di andare a farsi un bicchiere. formidabile per chi parla il linguaggio dellarte. Camminiamo a grandi passi finch non vediamo sorgere, immobile sul suo piedistallo di legno, il Cancelliere Nakhti (inizi del Medio regno). Possiamo fermarci qualche istante dice, ma la sua ultima concessione. Nemmeno la grande Portatrice di offerte (xii dinastia) sembra rincuorarlo: Graziosa, ma troppo raffinata. E cos ripartiamo, avvolti in un tetro silenzio. Un silenzio che non si interromper fino alla grande scalinata, quando Mir noter, nellampio sottoscala dalle volte cupe e pesanti, limmane accozzaglia di busti romani, scale mobili e piedistalli orfani. Sembra un Piranesi, molto misterioso dice, improvvisamente rianimato. E anzich dirigersi verso luscita, dove premono segretamente i miei desideri sono tre ore che camminiamo , inforca la grande scalinata in senso opposto alla folla. Tutta questa gente torna a casa soddisfatta: missione compiuta. Dovrebbero metterle su un bel timbro alluscita.

pioggia. Qui c tutto. Personaggio, paesaggio, non si capisce. Un lembo quasi invisibile, nellarchitettura grandiosa della statua. Di fronte alla celebre stele di Naram-Sin, invece, Mir strizza gli occhi, si gratta lorecchio: Non ti d la scossa, come quellaltro. ufficiale.

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La teoria di sale dedicate alla pittura francese si schiude davanti a noi: in linea daria, sono cinquecento metri di dipinti. Mir si sfrega le mani: Mi fa bene, questa visita al Louvre. Soprattutto perch con lei si fa sul serio. Dato che la testa si stanca pi rapidamente delle gambe, sono contento che mi proponga lo stesso metodo usato nelle sale dellantichit: passare velocemente, senza cercare nulla in particolare, e vedere cosa riesce a trattenerci. Silenzio (forse costernato) davanti ai celebri pezzi da novanta. Poi, di fronte al Leonida di David: un Ma come fare, anche qui, a rendere conto di quellelemento essenziale del nostro dialogo, il silenzio? Mir ci convive perfettamente, per lo meno laltro Mir, quello con locchio privo di palpebre. Per provare a capirlo, dispongo solo di scarsi indizi: sopracciglia pi o meno inarcate, alzate di spalle, aria pi o meno inquieta. Raramente la parola illumina questaltro versante. lei a interrompere il silenzio, non viceversa. Saggia, controllata, premurosa, per una forma di cortesia, certo, ma anche per prevenire indiscrete intrusioni. Siamo arrivati agli egizi. Come in Caldea, la scrittura costringe tra le sue maglie finissime la massa ostile della pietra. Dopo il cuneiforme finita. Sa tutpo crudele quello che abbiamo fatto. Una pausa, poi: Ci vuole un po di crudelt, nella vita, altrimenti si rincretinisce. Sotto i nostri occhi sfilano gli Ingres, i Girodet, i Gurin, i Chassriau, i Courbet. Qui ci fermiamo. Pi una constatazione che altro: Mir, infatti, gi immobile davanti allAtelier. Questo nudo di donna ha tutta la grandezza delle cose che abbiamo visto di sotto. E come se in realt non cercasse altro che un pretesto per rivalorizzare il nostro tempo, mi propone di concludere l. Abbiamo fatto bene, ieri, a farla di corsa, come dei turisti americani. E malgrado ci, davanti a Courbet siamo rimasti l, inchiodati. Zac.

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proprio da Courbet, dunque, che decidiamo di ripartire in questa nostra terza mattinata al Louvre. Nel 1918, quando sono arrivato a Parigi, amavo soprattutto Mantegna e Ingres. Ero perfino andato a vedere i suoi disegni a Montauban. Oggi preferisco questo. Questo Londa di Courbet: Ti attira fisicamente, come una corrente sottomarina. Fatidico, inevitabile. Lavremmo sentito anche se fosse stato alle nostre spalle. Nella sala successiva, dove degli insipidi Chassriau hanno provvisoriamente rimpiazzato i Delacroix accanto ai Gros e ai Gricault, lo sguardo ben presto calamitato dal Courbet pi vicino, La falesia di tretat dopo la tempesta: inevitabile. Con Courbet hai sempre limpressione di uno scoglio che sbuca dal nulla in mezzo alla pianura. La Zattera della Medusa, in confronto, bella, ma non percepisci la stessa forza, la forza della natura. Di fronte allAtelier e poi al Funerale, il lungo silenzio viene interrotto da una raffica di Inevitabile! Inevitabile!. Mir si attarda davanti al primo: Quel piatto sul muro, o qualunque cosa sia. Ti attira, ti chiama a s. Una cosa egizia, accanto a questo, non tiene. Magico! Quelle tonalit cupe a sinistra. Quella brutalit a destra. E Baudelaire che legge: guardi quel libro. (Sembra un uccello livido.) E quellaccenno di luce, l, sulle tempie.
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Un ultimo sguardo alla Galerie: Solo la Battaglia di Eylau regge, di fianco ai Courbet e passiamo alla collezione Beistegui. Mir mette il broncio: Il Settecento? No. Watteau, quello s!. Davanti alla Marchesa de la Solana di Goya, per, sorride, sospira: Semplice come un lavis cinese. E La donna con la perla di Corot gli fa accennare un gesto di preghiera: Questa perla: ping! Tsk, tsk! Eh, s Oh, l l. Degli Ingres a fianco dir: Molto belli, ma dopo aver visto il ritratto di Corot. Con la mostra di Delacroix in corso, la Grande Galerie mezzo chiusa. E in quel colossale ingorgo di gente non si riconosce pi nulla, nemmeno La Gioconda. Mi torna in mente quella guida di un castello della Loira che da anni, come un disco rotto, recitava ai turisti le spiegazioni imparate a memoria. Una notte spostarono tutte le opere. Lindomani, indicando una panca rinascimentale, la guida invit i visitatori ad ammirare un Daumier. E siccome nessuno si stupiva, la cosa and avanti fino al termine della visita. La nostra non durer a lungo: Mir si oscurato in volto e ha accelerato il passo. Nella sezione italiana, si ferma solo davanti alla Battaglia di Paolo Uccello, ora circondata dopo una recente e felice opera di riallestimento dai due grandi Mantegna: Si finisce sempre davanti ai grandi. Mantegna lo amo ancora moltissimo, ma lascia freddi. Dobbiamo raggiungere laltra estremit della Grande Galerie prima che Mir esca dal suo mutismo. Davanti allAutoritratto di Poussin: Anche lui, anche lui qualcuno!. E lAutunno, lEstate, il Baccanale con suonatrice di liuto gli strappano quei versi, quelle smorfie capaci di fondere lammirazione e lattenzione. Attraversiamo di corsa la sala fiamminga, poi quella dei Rubens medicei. Una sosta davanti ai Rembrandt. Io non oso dire a Mir che sono stremato. Lui domanda, inquieto: Non faremo mica tutto il Louvre, eh?. E io tremo al pensiero che, se non fosse per la sua stanchezza, lo faremmo sicuramente, tanto coscienzioso e diligente il mio compagno di passeggiate. E cos guadagniamo luscita, constatando che forse colpa di ci che abbiamo visto? da questa visita usciamo molto pi stanchi, pur essendoci fermati meno delle altre volte. Di passaggio, la Piet di Avignone lo spinge a dire, senza che io capisca se si tratta di un complimento o di una critica: roba seria, questa. Comunque sia, solo il Martirio di san Giorgio di Martorell, quella specie di Bosch catalano, riesce a restituirgli, pur nellorribile crudelt, un po della sua allegria. E adesso, proviamo a capire. Prima di farlo, per, avvertiamo che quanto detto sopra si suddivide in tre categorie. Da un lato, una serie di considerazioni sottili, dense, incisive, che solo Mir poteva enunciare. Dallaltro, non meno tipica, limmane distesa di silenzi. Tra i due, vicina alle prime per forma ma ai secondi per contenuto, una serie di affermazioni che sarebbero potute uscire dalla bocca di qualsiasi uomo di gusto, se non fosse che il gusto di Mir Corot-Rembrandt riflette, quasi a volerla confermare, la polarit che ho ap79

Mir si avvicina, si allontana, inforca gli occhiali, li toglie, si lascia sfuggire dei versi scuotendo la testa, senza mai distogliere lo sguardo dallenorme quadro. La gente si ferma, lo osserva (Mir, non il quadro), se ne va: Incomprensibile, questindifferenza! Eppure ha una tale forza fisica! come la gente che diventa paonazza perch non sente il sole che le batte sulla testa. Davanti al Funerale a Ornans, allimprovviso, avverto come nellarte tutto finisca per confluire, per influenzarsi, per concatenarsi. Un intreccio cos intimo dellocchio e delloggetto guardato da non sapere pi quale dei due scateni laltro. E cos, in questo Funerale che credevo di conoscere a fondo, sotto il mio sguardo ormai plasmato da quello del mio compagno ecco sorgere per la prima volta, in fondo a quel telo di un bianco livido che copre la bara, sei o sette virgole zac! che Mir avrebbe potuto firmare e che, in un certo senso, firma: Ah, se si tenesse soltanto questo che quadro!. E aggiunge: selvaggio, brutale, e al tempo stesso cos delicato. uno dei pi grandi esemplari della storia dellarte. Che museo verrebbe, mettendoci dentro solo cose di questa forza! Anche mischiate, fa lo stesso.

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pena indicato. E cos come accoglie indistintamente la delicatezza e limmensit, cos locchio di microbo e il colpo di clava risultano intimamente legati nella sua opera e nellidea che egli si fa di ogni opera. Mir va al dettaglio, ma lo porta subito alle dimensioni di un muro di tempio o di una pubblica piazza. Un potere di sprigionarsi o di propagarsi che non concesso a qualsiasi dettaglio. Quelli che Mir sceglie sono dei concentrati di energia vitale colta nellistante cruciale della sua nascita: nel punto esatto e preciso in cui il cactus o lo scoglio perforano la trama compatta della terra. Allo stesso modo, il dettaglio imprevisto sgorga fuori dalla tela, dal legittimo contesto delle nostre abitudini, della storia. Unapparizione subitanea di cui si deduce facilmente la natura. Essa colpisce, ferisce (le lame non divengono forse pi pericolose, tanto pi si assottigliano?), crudele. Proprio come listante in cui un neonato chiamato al respiro. Gli impatti deformano, la palla che crediamo rotonda ci viene rivelata appiattita dalla fotografia, nel momento e nel punto dellimpatto: le forme strampalate, asimmetriche, contundenti o schiacciate cos care a Mir non sono che la prova e la conseguenza di una ricerca tesa a individuare i punti e i momenti in cui si afferma una forza durto. Le Costellazioni, che si inscrivono nel punto pi alto della sua carriera (e che non hanno equivalenti, se non i Sacramenti che Poussin dipinse per Chantelou), sono la versione pi decantata
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pi o meno belli, finendo per acquisire una sorta di parentela con le forme e i gesti non significativi della pittura contemporanea. Locchio di Mir pu vagare a piacimento per il Louvre in cerca della minuscola parte di vita affrancata dai vincoli degli antichi doveri e delle antiche convinzioni, e finire cos per convincersi che, proprio come essa tutto nella sua opera, sia tale anche in quelle del passato; che la sua arte, insomma, isolando allo stato puro quel concentrato di energia, porti a compimento la storia della pittura. Il frammento (strappato al suo contesto dalle sevizie dei secoli o dallattenzione di Mir) elevato alle dimensioni di un affresco: che opera grandiosa sarebbe! Ma il frammento (di un tutto) e il dettaglio (autarchico, alla maniera di Mir) non sono la stessa cosa. Il secondo assoluto: pura creazione individuale, occhio di mosca che diviene occhio di dragone, vista la scomparsa di ogni termine di paragone, di ogni proporzione (anche le proporzioni lievitano, nella pittura di Mir). Il primo relativo: un punto tracciato contro un orizzonte culturale, religioso, filosofico. Il frammento non sorge su una tela vuota, ma popolata. Il suo arrivo costringe gli elementi preesistenti a un riaggiustamento; questi, a loro volta, lo costringono a scendere a patti con la loro presenza. Al punto che, se anche il tempo dovesse arrivare a farne una realt isolata, il frammento non cesser mai di testimoniare questintegrazione necessaria, queste incidenze reciproche. La situazione di Mir comincia a farsi pi chiara. Dopo la fine della Prima guerra mondiale lorizzonte per cos dire scomparso. Volente o nolente, la parola individuale ha smesso di inscriversi in un linguaggio generale. Fino al Rinascimento, lopera darte aveva partecipato al mondo; dal Rinascimento al Novecento laveva imitato, allinizio nelle sue apparenze, poi, con il Cubismo, nelle sue presunte strutture. Era stata reale, poi realistica. Perfino quando i chierici e i despoti non imponevano esplicitamente un messaggio al lavoro dellartista, la diffusa presenza della religione o della ragione contribuiva a trasformare in segno il suo gesto particolare. Oggi quello scenario stato smantellato, consegnato al silenzio.
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di quel vedere le stelle che la sua volont di urtare non ha mai smesso di perseguire.

Che la pi infima puntura dago venga sentita come un colpo di clava, che lameba sembri un dinosauro mostruoso: nemmeno questo deve stupire. Il dolore, la sorpresa, sono degli assoluti, e lo sono ancora di pi perch scomparso ogni riferimento: di notte, qualsiasi mano ci agguanti la mano di un orco. Tornata la luce, lorco torna a essere nostro fratello. Mir non ama, in arte, gli ordini prestabiliti, specie se mantenuti con la forza, come in Assiria e in Egitto. L, gli effetti di massa, perfino i pi colossali, investono ma non travolgono, perch previsti, prevedibili. E il suo bisogno di imprevedibile, naturalmente, pu placarsi pi oggi che in quelle epoche imperiose: il tempo ha finito per sgombrare i troni, e il presente non ne erige di nuovi. Dimenticati i linguaggi di cui erano portatori, i segni delle antiche civilt si riducono a linee, a gesti

Il silenzio di Mir non ha altra origine. Nessun pittore onesto, in fondo e nessuno forse lo pi di Mir troverebbe altra risposta che questo silenzio. Perch lartista non ha nulla da dire: la sua civilt a detenere le chiavi del linguaggio. Lui pu solo gridare, sperare che il suo richiamo venga accolto nelle strette maglie del parlare. Come un punto che solo un orizzonte in grado di situare. Delle esclamazioni, dunque, delle osservazioni che non sono altro che grida, e il silenzio: per i suoi stessi limiti che il percorso di Mir, qui al Louvre come in tutta la sua opera, si rivela fedele al presente e, di conseguenza, significativo. Il suo culto del dettaglio risponde alla pi ferrea delle logiche: il dettaglio la sola cosa che luomo possa produrre senza inganno. Quale inganno?

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Quello di credere o fingere di credere che il contesto sia qualcosa di esterno o che il pittore sia capace di suscitarlo volontariamente, come proclamava il Surrealismo che, ipostatizzando limmaginazione, credeva di poter conferire al soggettivo unesistenza oggettiva. Ci che colloca Mir ai margini del Surrealismo precisamente il fatto di non oltrepassare mai il bivio nel quale lesperienza devia in mitologia. Il suo universo fantastico muore altrettanto velocemente di quanto nasca: i suoi mostri non sono palloncini destinati a durare e a essere diretti, ma bolle che, sgorgate dal brodo dellesperienza individuale, esplodono e finiscono per tornare a esso. Se possibile rinvenire uno schema nellopera proteiforme di Mir, non in uno dei suoi incalcolabili aspetti favolistici che andr cercato, ma in quelle tele in cui una macchia, un punto, una linea sinuosa o un punteggiato vengono scagliati nel vuoto. Solo lartigiano sopporta quel vuoto senza inquietudini. La mano sensibile fa a meno dellorizzonte. Lartigiano non cieco, forse, ma tiene gli occhi bassi. Non dunque una scappatoia quella che Mir individua proclamando il suo amore per lartigianato? La sua ossessione per il libro, il suo interesse per lillustrazione di testi poetici non tradiscono forse la nostalgia di essere leffigiatore di una parola data? Ma la nostalgia lopposto dellidentificazione. Il libro ormai incomprensibile, la scrittura perduta o introvabile. Lungi dallavvici82

quella di aver saputo cogliere quella possibilit. Come personaggi dei cartoni animati che, scagliati nel vuoto, continuano a muoversi per qualche secondo come se non avessero perduto la terra sotto i piedi, cos lopera di Joan Mir ha saputo sfruttare meravigliosamente quel breve, istantaneo battito che la storia aveva predisposto fra il senso e il silenzio.

nare lartista allartigiano, il silenzio dilagante non fa che separarli: lartista non diviene artigiano se non quando una cultura si enuncia attraverso di lui. Lopera potr essere fragile, sottile: essa non sar per questo minore. Ci che un tempo era pieno, oggi vuoto: ma si tratta dello stesso spazio, fonte di ogni gravit. Mir non ha mai voltato le spalle a questo spazio. Morti gli di che lo popolavano, non ha cercato di rimpiazzarli con false divinit. Lo spazio si trova cos riempito di un senso nuovo, dellultimo senso possibile: lassenza di qualsiasi dio. Nulla giunge ad attenuare limpatto fra il piccolo urto e il grande silenzio, grazie al quale perfino il comico finisce per confluire nellimmane, nel solenne: si ride forse della capriola del clown, quando sotto non c che il vuoto? Mir uno che non ha mai smesso di saltare nel vuoto. Se ci lanciamo nel vuoto, perdiamo lequilibrio: il nostro corpo cadr in modo goffo, ridicolo, come un fantoccio sconnesso. Mir, invece, cade cos elegantemente che si direbbe quasi che non cada, che voli. Non agita le braccia disperatamente: tutto pulito, preciso, libero, inevitabile. Il dettaglio sarebbe dunque riuscito, malgrado tutto, a fondare un ordine a partire da se stesso, come un sasso scagliato non fa che espandere le fratture nel vetro? Sarebbe dunque come la pianta rigogliosa, capace di svilupparsi e di crescere in un semplice bicchier dacqua? La pianta crescer solo fino a un certo punto. Poi, bisogner trapiantarla nella terra. La fortuna di Mir stata questa: che levolversi della sua pittura coincidesse precisamente con questo breve intervallo. La sua genialit stata

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6 Barnett Newman

Grandioso, romantico! esclama alzando gli occhi verso il Pavillon de lHorloge. Queste forme sono davvero fatte per lesterno. Le facciate di Mansard, invece, sono come dei muri dinterni. la prima volta che sento uno degli artisti che mi accompagnano fare un apprezzamento sul Louvre in quanto edificio. Barnett Newman, si sa, capace di fare apprezzamenti su qualsiasi cosa, ma la ragione principale della sua uscita, come lui stesso rivela per mia grande sorpresa, unaltra: la prima volta che vede il Louvre. Certo, c sempre una prima volta. La povert, lallergia agli aerei, alla Francia, al cambio di bar sarebbero gi di per s sufficienti a spiegare perch un contemporaneo possa scoprire il Louvre a sessantanni suonati. La cosa sorprendente, in questo caso, che luomo che ammette questa verginit culturale somiglia come una goccia dacqua allimperatore Francesco Giuseppe, lhomo europus per eccellenza: la stessa aria pingue, la stessa maest gioviale, perfino il baffo asburgico e il monocolo che gli balla sulla pancia. Ma quando appartieni alla generazione dei Pollock, dei de Kooning e dei Kline, qualsiasi cosa tu faccia al mondo sembrerai sempre una specie di purista, di Buon Selvaggio catapultato sulla scena dellarte. Ci vuole ben pi di uno sforzo, dunque, per riuscire a riconciliare limmagine mentale di Barnett Newman e la percezione visiva che si ha di lui. Laspetto, mi dico, quello di un urone* che, dopo aver divorato Francesco Giuseppe, si sia impossessato della sua uniforme. A meno che quel travestimento non si debba, pi che al cannibalismo, a una qualche forma di prudenza. I panni dellEuropeo di Vecchia Cultura, in fondo, offrono al Buon Selvaggio una maschera protettiva portentosa: i pellerossa non si spacciano forse per dei petrolieri, pur di essere lasciati in pace?
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* Indigeno del Nord America; lautore, qui, fa riferimento a Voltaire e al protagonista del suo racconto Lingenuo. [N.d.T.]

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Ma il mio non che un abbaglio. Risalendo la scalinata verso la Nike di Samotracia, il Buon Selvaggio dice: Una lettura che mi ha influenzato molto lApollo di Salomon Reinach. Mentre provo a riprendermi da quel colpo inaspettato, lui gi in fondo alla scala che esamina irrequieto il marmo. Cosa intende la gente quando dice che questa scultura classica? LEllenismo il Futurismo. Gli elleni dovevano essere degli italiani, non dei greci. Elleno vuol dire ebreo, credo. Non avendo letto Reinach, non oserei mai mettere in dubbio questa tesi. Ci incamminiamo dunque verso il Salon dApollon. Sopra i gioielli della Corona si staglia il soffitto di Delacroix. Newman guarda un nudo femminile, ritratto di spalle. molto pi facile mostrare un seno. Riesci a dare una nuova dimensione. Le ghiandole al posto dei muscoli. Insinuandoci nellarea della Grande Galerie attualmente visitabile ci imbattiamo in unaccozzaglia di dipinti del Rinascimento italiano. Locchio di Newman salta dalla Predica di Santo Stefano del Carpaccio al tubo di neon che si snoda a zigzag sul soffitto. Della prima dice: Ha unatmosfera olandese. Del secondo: Guardi un po: una shaped canvas al Louvre!.* E della Madonna col Bambino di Cima da Conegliano: Arte da almanacchi, oleografie. Ne avevano bisogno: il cinema, allepoca, non esisteva.
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N urone n epigono, dunque, ma un misto di entrambi. Il senso delle gerarchie mutuato dal sapere coesiste in lui con unaccettazione totale delle cose, con il rifiuto di sottoporle a un qualsivoglia ordine, come saremmo tentati di fare a un primo incontro. Unaccettazione che, in realt, lappagamento di un desiderio a lungo represso: Quando ero giovane, ero infarcito di opere fino al collo. Con Gottlieb, per quattro anni, i nostri weekend cominciavano sempre al Metropolitan Museum. Nel 1925 cerano due Czanne prestati dai loro collezionisti, una Cattedrale di Monet e la Madame Charpentier di Renoir. Quando hanno aperto il Museum of Modern Art, non cera una sola opera che non avessi gi visto, a parte Guernica. Ma era una riproduzione. La cosa pi difficile, allepoca, era trovare e vedere i quadri. Ci voleva tempo. Io lanciavo il segnale e tutti correvano subito da Wildenstein. A quei tempi i galleristi non gradivano affatto le visite dei giovani pittori solo quelle di potenziali clienti. Era impossibile vedere larte moderna. Di Picasso, per esempio, vedevi le opere dal 1925 al 1940. Il che forse era un bene: oggi, un quadro diventa una foto ancora prima di essere dipinto. Il personaggio che, agli occhi di Barnett Newman, incarna maggiormente questo traumatico diniego delle fonti Albert Barnes. Un giorno, da giovane, chiese di poter visitare i tesori custoditi nella fortezza blindata di Merion. Barnes gli rispose che poteva vedere la collezione solo a patto di iscriversi alla sua scuola. E Roger Fry, che allepoca vi teneva delle conferenze, si attir cos la sua buona dose di rancori. Davanti alla Battaglia di Paolo Uccello: Grandioso! La totalit assoluta. Ununica immagine. Suppongo che sia cos perch la luce la stessa da unestremit allaltra del quadro. Niente riflettori proprio come Courbet. Monet, per esempio, ricorreva sempre a unilluminazione teatrale, salvo nellultimo periodo. Da cui la sua popolarit. (Silenzio) Fisicamente, una pittura moderna, una pittura piatta. La cogli subito. Che scala fantastica!. Per scala intende dimensione? La questione va molto al di l delle dimensioni. Il quadro sembra immenso. Forma e contorno sono inseparabili: questa, la scala. (Tace di nuovo) un dipinto rigorosamente simmetrico. In questo sta la sua totalit. come la simmetria delluomo. Non ha colore. Non n nero n rosso. Il suo colore pura luce. Notturna, forse, ma pur sempre luce. Quello che mi infastidisce il colore in quanto colore, il colore materiale, localizzato. In Poussin, un rosa un rosa. A poco a poco, la Battaglia di San Romano diviene unopera di Barnett Newman. La conoscenza riconoscimento. Eccoci davanti al San Sebastiano di Mantegna. Lo guarda con disinvoltura, per non dire con disapprovazione. Per rompere quel silenzio imbarazzante, gli dico che Giacometti amava quel quadro. San Sebastiano somiglia a Giacometti: devessersi identificato con lui. Il che, con ogni evidenza, non certo il caso di Newman. Francamente sono sorpreso. cos pesantemente illustrativo. La seraficit con cui si lascia trafiggere da tutte quelle frecce come Magritte. Quelle frecce sono puramente sim87

* Letteralmente, tele sagomate: espressione utilizzata dalla critica americana per indicare un movimento inaugurato da Frank Stella in Italia noto anche come estroflessione consistente nellalterare le tele secondo forme inconsuete (losanghe, stelle ecc.).

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boliche. Non della carne che stanno perforando, ma del legno. S, adesso inizio a capire questo quadro. Se riesci ad andare oltre limmagine amletica e a coglierne il surrealismo, lopera inizia a diventare interessante. Quando arrivi a leggere un quadro, accetti il suo stile, il modo in cui dipinto. La brusca alterazione con cui il suo tono passa dallindifferente allappassionato non difficile da capire: a un certo punto, Newman deve essersi imbattuto nel Surrealismo. Il significato sta tutto nella lettura. In un suo racconto, Jean Paul narra la storia di un bibliotecario di paese: troppo povero per potersi permettere di comprare nuovi volumi, per ampliare la sua biblioteca luomo decide, ogni volta che legge una recensione entusiastica sul gazzettino, di scrivere lui stesso i libri, immaginandoseli a partire dal titolo. Tutti noi somigliamo al bibliotecario di Jean Paul: non esiste un vero significato. Le ricostruzioni storiche, in letteratura come nellarte, sono unassurdit. Lopera vive nella sola presenza: scomparso lautore, la presenza non pu essere che la nostra. Liconologia buona solo per gli epitaffi. Non stupisce che il professor Panofsky, rimproverando a Newman uno strafalcione in latino contenuto in uno dei suoi titoli, lo abbia sentito difendere la verit del proprio errore: la vita un errore di ortografia nel testo della morte. Prima di venire a Parigi, Newman si fermato a Dublino per una mostra. I suoi quadri venivano esposti in88

trona. Non ha affatto laria della vergine, ecco la differenza. unimmagine epica sulla madre di Dio, non una madre qualsiasi. Cimabue ha la stessa audacia che ha spinto Grnewald ad affibbiare la sifilide a Dio. Qui non c soltanto il cuore allopera, ma lo spirito. Non unintelligenza alla Vasarely. La cosa insopportabile di quella gente che crede di poter ipotecare lintelligenza. E cos finisce per ridurla alla tavola dei logaritmi. Attorno a noi, i cavalli di battaglia del Neoclassicismo francese. Il ritratto di Madame Rcamier di David: Il braccio lungo. Anche Courbet e Czanne lhanno usato. Viene dalla Gioconda. Quelli che le incollano addosso un paio di baffi non ce lhanno con lei, e nemmeno con larte, ma con Leonardo da Vinci. Li irrita che quelluomo, di cui conosciamo solo una mezza dozzina di quadri, occupi un posto cos grande nella storia, mentre loro, con tutte quelle opere, non hanno la minima certezza di riuscire a entrarci. Voltafaccia. LIncoronazione di Napoleone di David: Quel che si dice uno schermo panoramico! un quadro di prima del cinema. Non ce lho con quelli che fanno cinema in pittura. Sono contento che David labbia dipinto, altrimenti i cineasti non avrebbero saputo come fare. Non voglio sminuire larte spettacolare: semplicemente, non pi possibile vederla con occhio innocente, precinematografico. Una brusca deviazione a sinistra ci strappa alla realt francese per calarci nella Salle des tats, occupata per quanto tempo ancora? dai veneziani. A unestremit, le colossali Nozze di Cana del Veronese; dallaltra parte, come Davide di fronte a Golia, la Gioconda. Tutto intorno i dipinti, pronti a disputarsi il posto migliore in ranghi serrati. Ecco come mi piace vedere appesi i quadri. Altrimenti si cade nella decorazione, nella vetrina. Newman indica il personaggio di Cristo nel bel mezzo delle Nozze di Cana:
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sieme ad alcuni capolavori celti, fra cui il Libro di Kells. Ho guardato le lettere miniate allinizio della prima pagina e ho lanciato un urlo: erano le mie iniziali. Non era cos, ovviamente. Non potevano essere le sue iniziali, trattandosi delle prime lettere di In principio verbum. Per qualche istante, per, il vecchio manoscritto miniato stato altrettanto contemporaneo di qualsiasi dipinto del Salon de Mai.* Le volute e gli intrecci dello stile irlandese hanno reso possibile la confusione, non solo deformando lalfabeto, ma conferendo alla pagina la bellezza che ha suscitato in Newman il desiderio di identificarvisi. Il significato una faccenda dello spettatore, ma la scintilla che si insinua nella sua coscienza fino a suscitarne linteresse e il desiderio di significare resta appannaggio dellopera. Tornando verso la grande scalinata, passiamo davanti agli affreschi del Botticelli (In fondo, si tratta di disegno, non di pittura) e alla mano della Nike di Samotracia (Senza questa mano, secondo me Giacometti non avrebbe osato). Di fronte a noi, La maest del Cimabue. Grandioso! Qui non ce nulla di oleografico. epico. Luniformit della luce, laudacia, sono qualcosa di sconvolgente. Questo artista ha un cervello, non soltanto una mano. La sua Madonna non una ragazza semplice o una vergine, ma un personaggio possente, una ma-

* Manifestazione di pittura organizzata da un gruppo di artisti durante loccupazione nazista di Parigi in chiara risposta e ferma condanna al concetto di arte degenerata. [N.d.T.]

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Ecco un quadro simmetrico fallito. cos simmetrico che la simmetria annienta tutto il resto. E poi, troppo pignolo. In realt un quadretto, ecco il problema. Ancora Veronese, Il calvario. Questo sembra avere pi fortuna: decentrato, come unistantanea. Come Degas. La Gioconda diventa un esercizio di fisica meccanica. Guardi il bilanciamento del braccio, della spalla. Il collo allindietro, la spalla in avanti, da cui si allunga il braccio. da qui che Courbet e Czanne hanno imparato la ricetta per piazzare un personaggio con la spalla in avanti. Lo giuro: sorride. Erano anni che non glielo vedevo fare. Di cose concrete e lideale si sveler; di cose ideali e non vedrai che leve e pulegge. Susanna e i vecchioni di Tintoretto: Formidabile. LAutoritratto di questultimo gli ricorda El Greco. Lo stesso sguardo, la stessa profondit. Davvero straziante, questo quadro. Davanti al Concerto campestre di Giorgione si paralizza. Che shock vederlo! Non assomiglia affatto alle riproduzioni che ci sono in giro: umano. Parlano tutti dellimmagine stilizzata di Giorgione: io non la vedo. Il Tiziano o, almeno, ci che il Louvre ce ne mostra suscita in lui reazioni diverse. Il ritratto di Francesco i: Non mi fa impazzire, sembra ritagliato. In compenso, si sofferma a lungo davanti alla Venere un tempo appartenuta al cardinal Mazarino e il cui lungo corpo pigramente adagiato non riesce a legare fra loro le diverse sezioni di questo quadro
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e Matisse hanno capito il problema: la piattezza li costringe ad affrontare la questione della molteplicit dei personaggi e a risolverla Quanto alla piattezza di ci che piatto, un problema che abbiamo risolto, noi. Torniamo alla Scuola francese. Dopo David, Ingres ma Ingres non c, le sue opere sono state temporaneamente inviate al Petit Palais per la mostra che ne celebra il centenario. Andiamoci propone subito Newman, come se la mattinata al Jeu de Paume (Manet il pi grande pittore che ci sia qui) e il pomeriggio al Louvre non lavessero ancora sfiancato. Appena entrati, scorgiamo il quadro che avrebbe dovuto far fronte allIncoronazione di David: lApoteosi di Omero. Di fianco a questo, il Veronese grande sembra un buon dipinto. pura simmetria, come unimmagine nello specchio. Ridicolo. Ha dovuto trovare un tizio con i baffi per il lato destro perch ce nera uno a sinistra. Subito accanto, una delle invenzioni pi strampalate di Ingres: Napoleone sul trono. Limperatore immortalato con tutti gli attributi del suo rango in una maest frontale a met strada fra unicona bizantina e il museo delle cere. Guardi quella barba bluastra sul viso davorio. La barba d limpressione di essere vera e la carne finta. Come capelli su una palla da biliardo. Nessun errore: aveva un senso spiccato della grana, delle testure. Guarda il tappeto sotto il trono, che un gradino sembra interrompere in una piega nettissima. Ovviamente, astratto: utilizza il linguaggio, pi che curarsi del soggetto. Poi, dimprovviso, scoppia a ridere e indica le palle davorio che decorano i braccioli del trono: Eccole l, le palle da biliardo!. Lintelligenza un pendolo. Newman oscilla. Il Ritratto di Madame Rivire: astratto, nel senso che dipinto per zone. Il disegno soltanto una scusa per dividere il quadro in zone. Niente da ridire su questo; la cosa inammissibile sono i contorni. Questo tizio non sapeva disegnare. Passi la freddezza: necessaria alla giusta ripartizione delle zone. un pittore, non un disegnatore. La qualit della sua pittura eroica, quella del suo disegno borghese. Intorno a noi, centinaia di prove del culto di Ingres per lantichit. Non poteva essere cos stupido da pensare che sarebbe riuscito a resuscitare i classici. Era un fanatico. Fanatismo non sinonimo di stupidit. Anche Delacroix era un fanatico. La grande odalisca, dalla schiena cos lunga che alcuni critici dellepoca sostennero avesse tre vertebre di troppo: La cosa che mi colpisce il suo carattere schematico. Questo tizio era un pittore astratto: lidea di utilizzare il quadro come una superficie piana Guardava pi spesso la tela del modello. Kline, de Kooning nessuno di noi sarebbe esistito senza di lui. Lunica cosa che lo preoccupava era riempire delle zone; da cui lassenza di tattilit. Non c mai prospettiva in profondit: i quadri sono piani, completamente processionali. Non classico: romantico.
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insolitamente largo. Si direbbero tre quadri uno in fila allaltro. Ecco perch Uccello cos moderno. Nella Danza di Matisse, nelle Demoiselles dAvignon di Picasso o nella Battaglia di Uccello, la bidimensionalit impone di nuovo lidea di processione. Quadri come questo di Tiziano, in realt, presentano un solo personaggio con tante teste che si moltiplicano e si invertono. I dipinti di Giorgione o di Grnewald sono riusciti perch mostrano solo un personaggio. Picasso

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Il romantico: unaspirazione al classico votata al fallimento. Cos si riassumono le tendenze di unepoca che, sognando Omero, diede vita a Ossian Il sogno di Ossian, fra laltro, una delle rivelazioni della mostra non riuscendo a trovare la potenza dellantichit se non attraverso levocazione storica, unepoca di trovatori nostalgici che rievocavano i bardi dun tempo. (Lo stile trobadorico, del resto, trova ampia illustrazione nei quadretti che narrano la vita di Raffaello e Michelangelo, gli amori di Paolo e Francesca, di Ruggero e Angelica.) Questo scarto tra fine e mezzi, questi epigoni con le spalle gravate da una tradizione troppo pesante da portare, queste tensioni e le deformazioni originali cui danno vita: ecco i sintomi di un manierismo tipico non solo di Ingres, ma di tutto il suo tempo. Le considerazioni di Newman, pur nascendo dalla semplice osservazione, non mancano di chiarire e illuminare la storia della cultura. Il Newman spettatore dimostra, al pari del Newman artista, che visivo e mentale formano un continuum. Eccoci di fronte al Ritratto di Madame de Senonnes, con la sua sinfonia di bruni smorzati: piuttosto sensuale, ma la sua una sensualit strana. Quella di chi va fiero di riuscire a ritardare il momento dellorgasmo. C passione, s, ma una passione trattenuta. Pi Corneille che Wagner. Ma la passione non meno forte per il fatto di essere trattenuta Pi lo
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Il disegno non una questione di contorni, di anatomia. Ingres non aveva il minimo senso della scala, delle proporzioni. Era incapace di stabilire dei rapporti. Per non lo sapeva. Non pi di quanto non capisse che lepica era fuori dalla sua portata. La sua specialit era la pittura di genere: una ragazza su un letto, e via dicendo. Aveva unidea assolutamente falsa del proprio talento. Ma questo legittimo. Pu darsi che Guernica finisca per apparire come un fumetto; eppure, quanta passione entrata in quel quadro Forse leggeva troppo.

guardi, pi sontuoso. Di fronte a noi, leccezione alla regola: La bagnante di Valpinon. Qui lemozione tenera. Guardi com rilassato quel piede. In questo quadro, ha davvero rilassato la carne. Non una figura di pietra: solo i drappeggi ricordano il marmo. un quadro meraviglioso, appassionato, dolce tutto il contrario del Napoleone. Senza colori. Autentico. Lo preferisco quando tende alla monocromia. Giove e Teti. Il sogno di classicit che sfocia nellossessione personale; il vecchio ideale antico sottoposto a un mutamento di sesso: pi vicino a Gustave Moreau che a David. Il piede di Teti! Quellalluce sembra un Arp. Ah, se non facesse parte di questo quadro Ingres era ancora pi assurdo nelle grandi opere religiose che nei suoi soggetti classici. Il protagonista del Martirio di san Sinforiano, personaggio declamatorio non meno devirilizzato delle figure mitologiche del pittore dellEt delloro, ispira a Newman un lapsus rivelatore: Si direbbe pronta a cantare la sua aria. Ma non unaria di opera italiana. In lei c qualcosa della Brunilde. (S, la nostalgia di Ingres per lantico: la voglia di Sud delluomo del Nord.) Le braccia sono troppo corte. Questuomo non sapeva disegnare, palese. Ma sapeva dipingere come un dio. Il bello che era davvero convinto di saper disegnare. Gli impalpabili ritratti a matita esposti al Petit Palais, che pietrificano i contorni e gli spigoli della realt come felci fossilizzate o come i primi dagherrotipi, non lo inducono a cambiare idea. Al contrario, non fanno che confermarla. Sulla parete di fronte, il Voto di Luigi xiii, enorme, stereotipato: Ha dipinto questo per mandare avanti la baracca. vero che allepoca le baracche erano proprio baracche. Fianco a fianco, i ritratti di Monsieur e Madame Leblanc. Lui: La sensazione della lana. Lei: La sensazione della seta. Il senso delle testure il corollario inevitabile del carattere astratto, bidimensionale della pittura di Ingres: le testure, infatti, sono unesacerbazione delle superfici. Newman aggiunge: Non sono dei ritratti, ma dei quadri di genere. In questo eccelleva, non si tratteneva. Anche se il tocco non vistoso, lopera non mai fredda Poi passi alla tela di fianco e vedi che non ci riesce. Simili fallimenti si spiegano solo attraverso la prodigiosa incapacit di Ingres di apprezzare il proprio dono: quello di un miniaturista ossessionato dai formati e dai soggetti eroici. Come ha notato Newman a proposito del San Sinforiano, quello di Ingres un genio contrastato (dal suo tempo, dallidea che lui stesso si faceva della propria arte). Tutte contraddizioni che facevano sicuramente parte del suo genio la violenza fanatica che gli ostacoli non fanno che attizzare. Comunque sia, per una curiosa ironia della sorte, lartista che aspirava a resuscitare gli di dellantichit si ritrovato a dipingere la prima effigie di una creatura inedita, dallopacit materiale senza precedenti: il borghese. Eccolo assumere i tratti di Monsieur Bertin.

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Se solo avesse dipinto Napoleone come ha dipinto lui! Questuomo davvero un imperatore. Ancora una volta, la percezione visiva non fa che corroborare la storia: Newman, ne sono sicuro, ignora che con il suo Journal des dbats Bertin fu un precursore dellemblema di quel moderno imperatore che oggi il magnate della stampa. Unaltra esponente della nuova classe dominante, colta nel suo frigido splendore: la Baronessa di Rotschild. Newman indica il blasone con le frecce dipinto sulla destra, allestremit superiore del quadro. Sembra la farfalla di Whistler: un collage. Ingres lunico, insieme a Whistler, che riesca a imporre un simbolo sulla tela facendolo sembrare esterno al quadro. Una volta di pi, losservazione concreta rivela, pur nella sua apparente limitatezza, implicazioni profonde. Lesteriorit appena segnalata da Newman non fa che sottolineare limpermeabilit metallica delle superfici di Ingres: qualsiasi segno non potr che apparire incollato su di esse, come unetichetta su uno scudo o dei caratteri a stampa su unimmagine cubista. Unosservazione che spiega al tempo stesso perch Ingres fosse cos attirato suo malgrado dai modelli borghesi: la loro impermeabilit morale faceva di essi i corrispettivi viventi delle sue testure fisiche preferite e dunque, i soggetti pi adeguati
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ha preso molto da qui, e anche Rauschenberg quello che un tempo, in termini giornalistici, si chiamava circus layout (un taglio da circo): dare alla pagina laria di un immenso casino. Come un circo a tre piste e parecchi numeri in simultanea. In realt ci vogliono pochissimi ingredienti. Uova, sale, burro: tutto questo indispensabile, ma lomelette un altro paio di maniche Grandioso! Quello che mi interessa, qui, la prospettiva a spirale, in opposizione alla prospettiva verticale, da professionisti. la prima volta che ne vedo una riuscita. Questo quadro vortica davvero. Di fronte, la Libert del 1830, sempre di Delacroix: Io la trovo pi forte, pi intensa del Sardanapalo. Suppongo che sia semplicemente perch non amo il rosa. Newman trova Il massacro di Scio un po freddo e posato. E nemmeno Lentrata dei crociati a Costantinopoli sembra entusiasmarlo troppo. Non ottiene quello che ottiene Uccello dalle sue lance. Potresti spezzarle, queste lance. La Battaglia dEylau di Gros si guadagna un piccolo cenno affettuoso: La cosa bella di questo quadro che il gruppo l a comporre una forma ampia. Ha un senso della scala abbastanza spiccato. Ma forse stato un caso. Il cavallo sembra di legno Che volto gentile ha dato al suo Napoleone!. Poi tutto sfuma nelloblio non appena Newman intravede la Zattera della Medusa. Fantastico! Che scala fenomenale! Percepisci limmensit dellevento pi che le dimensioni della tela. Superbo! Un quadro assolutamente pazzesco! Lo spazio ti inghiotte. Comera quella storia di Roger Fry su Czanne e sul tavolo che oscillava in avanti? Ecco, questa zattera fa la stessa cosa. Possiede quello spazio moderno che non ti aspetteresti di vedere associato a questo tipo di retorica. Senti lacqua che monta, i personaggi che vengono scagliati verso di te Lufficiale dei cacciatori di Gricault: Fry non ha capito niente! Gricault che ha scoperto questo modo di oscillare in avanti. Il cavallo si allontana, ma in realt avanza. Questo tizio era palesemente interessato al problema dello spazio bidimensionale (anche se il resto nel quadro disposto in maniera normale). Raggiungiamo laltra estremit della galleria: il regno di Courbet. Ecco il suo Rifugio di caprioli, con quel verde cos profondo da sembrare nero: laneddoto zoologico inghiottito dal silenzio della natura. la cosa che si avvicina di pi a Paolo Uccello. Non c niente da dire davanti a un quadro cos. O lo cogli al volo o non lo cogli affatto. Latelier di Courbet: Suppongo di sentirmi pi vicino a lui che a Delacroix. Ecco la nobilt. Quel paesaggio posato sul cavalletto come un collage, eppure non lo puoi sopprimere. La lunga striscia orizzontale della falesia grava sui contadini del Funerale a Ornans: Un giorno, un amico ci aveva invitati a passare il weekend in campagna. Il posto era magnifico. Poco lontano da l, vendevano un pezzetto di terra. Noi pensammo di comprarlo.
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a unarte che, sebbene inconsapevolmente, cercava di affermare linfendibilit del piano pittorico. La Madonna dellostia, quella specie di identikit di una Madonna del Raffaello, e La sorgente, delizioso zuccherino che i calendari e i dizionari illustrati di tutti i tempi hanno finito per strappare al mondo personale e alle ossessioni dellartista per radicarlo definitivamente nellinconscio collettivo: Lha dipinto per portare avanti la baracca: ha a che vedere con la sua ambizione. LAutoritratto del 1858: Qui la carne non idealizzata o pietrificata. vivo Si direbbe il ritratto ufficiale di un rettore universitario. il quadro pi accademico della mostra. Infine, lopera estrema, nella quale lartista settuagenario torna a scaldare il suo gelido pennello sulla fiamma di una fantasia erotica: un harem pieno di donne-oggetto, nude, languide, passive, dedite a contorsioni. Sembra un brulichio di vermi. Lo dice senza minimamente sospettare che esattamente limmagine impiegata da Paul Claudel per descrivere Il bagno turco. Lindomani torniamo al Louvre e proseguiamo la nostra passeggiata: ancora la Scuola francese. Le Donne di Algeri di Delacroix: meraviglioso. Potrebbe essere stato dipinto dagli impressionisti. Ecco un uomo che sapeva disegnare!. E, indicando il piede nudo di una donna: Il disegno, qui, non serve solo a dividere lo spazio; esiste come una linea, come una cosa. il turno della Morte di Sardanapalo: interessante per lo schema. Quelle donne tagliate, tutto quel trambusto Guernica

Barnett Newman, The Station of the Cross - First Station, 1958. Olio su tela, 198 x 154 cm.

Eugne Delacroix, La morte di Sardanapalo, 1827. Olio su tela, 392 x 496 cm.

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Non ha alcuna importanza. Un quadro come una persona: lo capisci anche con una brutta illuminazione. La penombra smorza le differenze e tutto ci che divide le ossessioni di un Gricault la retorica, per esempio, quella parte di lui che appartiene al suo tempo dalle ossessioni personali di Newman. Ricordo di essere entrato alla National Gallery, a Washington, e di aver visto allimprovviso i Rembrandt: tutti quei bruni, con una scia di luce che piombava nel centro: sembrava la mia pittura. Come uno stormo di gufi in volo dopo una lunga cecit, la notte ha scatenato la presenza simultanea di opere che la storia non fa che separare. Allora lurone che sonnecchia nei panni di Francesco Giuseppe si risveglia: Io mi sento vicino a questo, al passato. Se devo parlare con qualcuno, con Michelangelo. I grandi sono tutti alle prese con gli stessi problemi. Sarebbe a dire? Dire qualcosa sulla vita, sulluomo, su se stessi: ecco lobiettivo del pittore. Se no, si soMa la mattina dopo, svegliandomi, mi dissi: Impossibile: non possiamo vivere qui, con quei massi dietro casa. Avrei avuto limpressione di lavorare con un Courbet alle mie spalle. Oggi, comunque, Courbet il suo pittore preferito. per via della sua natura presuntamente statica, in contrasto con lagitazione di
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lo dei fabbricanti di schemi decorativi. per questo che non nutro alcuna simpatia per larte islamica. Loscurit che piomba sul Louvre giunge a rischiarare il significato dellopera di Newman, come un equivalente meteorologico del processo che ha condotto la pittura allastrazione. Retroattivamente, essa sottopone le opere del passato a quella teologia negativa che scegliendo di proclamare ci che Dio non ed eliminando tutti i qualificativi in quanto meschine limitazioni alla Sua infinit ha finito per ridurre quelle moderne allessenziale. Larte del passato diviene dunque moderna, presente. E lessenza rivelata ci che, in ogni tempo, costituisce il vero presente: il presente permanente. Ci che la teologia negativa elimina, naturalmente, laneddoto. Ma cosa resta dellessenza messa a nudo? La risposta, ancora una volta, sembra evidente: la struttura dellopera. Mettiamo a tacere il racconto biblico contenuto nelle Nozze di Cana e non otterremo che un intreccio di triangoli e cerchi. Pi il soggetto si ritrae, pi affiora la geometria. E in effetti, proprio ci che si sarebbe tentati di pensare guardando lopera di Newman. Ma ci equivarrebbe a dimenticare lurone che si nasconde dietro le spoglie di Francesco Giuseppe: il linguaggio di Newman potr anche derivare dallesprit de gometrie, ma il messaggio che veicola puro esprit de finesse. Newman non nutre alcuna simpatia per la decorazione, si tratti di arte islamica o di estetica seriale. E lunico antidoto allo schema, al decorativo, il soggetto. La questione cruciale della pittura il soggetto ha scritto un giorno. Una frase che riaffiora spesso nelle sue conversazioni: Il nostro problema, oggi, sapere cosa dipingere. Dice problema, perch il processo riduttivo che ha segnato la storia della pittura moderna ha messo brutalmente in evidenza la distinzione fra aneddoto manifesto e struttura soggiacente. Una distinzione cos fondamen99

Delacroix e Gricault. Loro sono legati a de Kooning, a Pollock; io a Courbet. Non ti stanchi mai di lui. cos calmo. per via dei suoi formati giganteschi? Il formato non niente; ci che conta la scala, le proporzioni. Svoltiamo a sinistra in fondo alla galleria. Le dimensioni eroiche dei dipinti lasciano il posto ai modesti formati della collezione Beistegui. Newman afferra il monocolo che gli penzola dalla giacca per esaminare un quadro da vicino. Un guardiano gli si avventa subito addosso. vietato! Cosa vietato? Le lenti di ingrandimento. Ma questo un monocolo! Non importa: potrebbe sempre dargli fuoco con i raggi del sole. Ma se piove! In effetti, loscurit aumenta di minuto in minuto. Torniamo nella lunga galleria. Non un briciolo di luce, a parte quella che filtra dal lucernario: in questo triste pomeriggio di dicembre la sala sprofonda in quella che, con un eufemismo, potremmo definire una spessa penombra. Qua e l qualche visitatore, a quanto pare per nulla scocciato dallimpossibilit di vedere alcunch. Le orecchie premute contro i malefici apparecchi che dispensano spiegazioni a tutto spiano, la gente non guarda i quadri: li ascolta. Neanche Newman, del resto, sembra cos scocciato dalle tenebre.

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ma e soggetto. Loriginalit di Newman consiste nel suo aspirare alloriginale nel senso originario del termine: quello di un ritorno alle origini. Il suo interesse per il Surrealismo spiegato da questa nostalgia del primordiale: la psicologia del profondo attinge a strati pi primitivi della psiche. E il suo attaccamento alle arti primitive deriva, analogamente, da quellattrazione per ci che primario. Ma il primitivismo, al pari del Surrealismo, resta confinato nellaneddoto. Lobiettivo di Newman ancora pi radicale. Il primo uomo era un artista ha scritto. Fare arte, di conseguenza, equivale a risalire alla fonte. Qual la ragion dessere, qual la spiegazione di questo bisogno apparentemente assurdo delluomo di farsi pittore o poeta, se non il suo desiderio di sfidare la Caduta e di affermare che torner alla condizione di Adamo nel giardino dellEden? Gli artisti sono i primi uomini. Lessenziale, dunque non lAction Painting la pittura dazione ma la pittura come atto, giacch proprio nellatto di dipingere che risiede questa primeit. Perch? Perch Adamo stesso o meglio, la coscienza che Adamo ha di s incarna il primo dipinto: una figura illimitata, eretta sullo sfondo dellinfinito, un falso accordo nella divina sinfonia, per rifarci a unespressione di Baudelaitale esige, prima o poi, una scelta: una volta assunto che, prima di essere un cavallo di battaglia o una Madonna, un quadro si compone innanzitutto di li100

re. Il secondo dipinto riproduce la coscienza di questa tragica asimmetria: una linea limitata, tracciata su uno sfondo infinito. Questo il soggetto originale, il soggetto permanente che soggiacer a tutti i pretesti aneddotici. I quali, orientandoci verso lillusione, la narrazione, la descrizione, la cultura, non fanno che distrarci dallunica cosa capace di conferire significato allarte, giacch solo un atto semplice come quello di affermare la distinzione irriducibile fra linea limitata e spazio senza fine riproduce di per s la situazione umana fondamentale. La coscienza che Adamo ha della propria identit determina il suo esilio dalla totalit, dallEden. La linea divide. Il bisogno di totalit, che Newman non si stanca di affermare, deriva da ci: latto di dipingere questatto di distinzione letterale insito nel gesto di tracciare una linea un atto che mina, che distrugge la totalit. Nondimeno, a questo stesso atto che egli attribuisce il compito di restaurare la totalit. Per questo necessario che lartista proclami la sua vocazione a riprodurre il gesto, latto per eccellenza, che precede perfino la prima linea tracciata dal primo uomo: latto con cui Dio cre il mondo. La Creazione non forse stata, in fondo, un atto di distinzione fra la notte e il giorno, fra lacqua e la terra e via dicendo? Allo stesso modo, la linea la spina dorsale attorno a cui la vita si ordina simmetricamente. Il dipinto, in ultima istanza, il campo definito dalle interferenze di queste due linee positiva e negativa, simmetrica e asimmetrica ; due linee che a volte coincidono e altre, sottoposte a tensioni estreme, finiscono per separarsi. A volte una riecheggia laltra, come una sorta di minaccioso Doppelgnger; a volte, invece, la prima perentoria, mentre il suo doppio si avvolge ancora di spire di fumosa esitazione, quasi a voler riflettere lambivalenza dellatto fondamentale. Lopera riattualizza il
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nee e di colori assemblati in un certo ordine per riprendere la celebre formula di Maurice Denis , risulta molto difficile credere che questi possano essere anche un cavallo o una Madonna. Il pittore moderno sa che soggetto e schema decorativo sono contraddittori. A chiunque accetti questo dato di fatto, il problema di cosa dipingere dovrebbe apparire dunque insolubile. Newman non accetta la contraddizione. Leliminazione del soggetto manifesto lo rincuora, poich rivela, non gi lo schema, ma il soggetto autentico vero e proprio il grande soggetto, per usare le sue parole. Per Newman, la struttura il soggetto. O, piuttosto, lo diviene grazie alla particolare visione cui il pittore la sottopone. A seconda della natura del nostro sguardo, un cerchio potr apparire come una formula (2p R ), come un simbolo della perfezione divina o (nel tantrismo, per esempio) come unesperienza mistica. La geometria si tramuta in soggetto grazie alla passione (una delle parole preferite di Newman). Ed proprio perch lo schema cos incline a condensarsi in simboli o in formule stereotipate che bisogna ravvivarlo di continuo, grazie allimmediatezza dellesperienza. In questo senso, lopera di Newman si ricollega intimamente allAction Painting, a prima vista cos diversa: non programmata, immediata. A differenza dellAction Painting, per, lesperienza di Newman pi metafisica che fisica. Ripenso alle parole del Libro di Kells, di cui aveva erroneamente scambiato le iniziali per quelle del proprio nome: In principio. Gi, perch solo lesperienza dellinizio abolisce la distinzione fra visivo e ideale, fra sche2

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destino metafisico delluomo. La forma il contenuto; il segno il significato; lidea pura, astratta, e il gesto concreto, estetico, sono indissociabili, ma solo in quellistante di primeit. Ci che la pittura moderna ha reso possibile proprio la resurrezione di questa primeit. La tridimensionalit elaborata dal Rinascimento aveva creato un luogo artificiale, isolato dallo spazio reale, una caverna in cui rinchiudere i suoi fantasmi e mettere in scena i suoi drammi spettrali. La riscoperta della superficie piana ha finito per radere al suolo quel ghetto, facendo apparire la tela come un puro frammento dellestensione del reale e le immagini tracciate in essa come mere tracce di matita o di pigmento. La prospettiva la dimensione della memoria: la bidimensionalit ha tagliato i ponti del ricordo e costretto i pittori a operare nel qui e ora. La bidimensionalit la condizione materiale necessaria della primeit. Necessaria, ma non sufficiente. Ci vuole anche la coscienza morale. Non mi interessa affatto il quadro rifinito, manierato scrive Newman. A lui interessa il sublime, non la perfezione. Il suo obiettivo non dipingere un quadro piatto, ma ripetere latto originale, latto originario del dipingere. Per riuscirci, lartista deve lavorare la tela come se facesse parte dello spazio tout court. Ecco dunque chiarita la funzione cruciale della scala, delle proporzioni in contrasto
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Qualsiasi rottura, a distanza di tempo, finisce prima o poi per rivelarsi chi non lo sa? un nuovo anello che si aggiunge alla catena dellesistente. Eppure, limpresa inaugurata da Riopelle e qualche altro artista nel 1947 si imposta davvero come un taglio radicale con il passato, anche recente. Lastrazione lirica o non geometrica, il tachisme, la pittura gestuale o concreta (questi, allepoca, i soprannomi della nuova tendenza) puntavano ad abolire limmagine. Limmagine, ovvero: ci che fino a quel momento era stato il denominatore comune di tutta la pittura, quel sostrato nel quale sembravano radicarsi e convivere i tentativi pi disparati e che costituiva la condizione e la modalit stessa di tutto ci che era trasmissibile in arte (visione, significato, mestiere); in una parola, il veicolo della tradizione. Distruggendo limmagine, la pittura faceva colare a picco la propria memoria, quella memoria di cui il Louvre lincarnazione. Da qualche settimana una macchinetta piazzata nellatrio distribuisce, in cambio di una moneta, un biglietto di ingresso con tanto di resto. Infilo un franco nella fessura, e ottengo un biglietto e cinquanta centesimi. A Riopelle, che ha fatto altrettanto, la macchina ne restituisce venti. Conosco qualcuno pronto a giurare che le divinit di questo tempio vogliano fargliela pagare per essersi preso gioco di loro. Ci manca solo che la Nike di Samotracia si trasformi nellarcangelo Gabriele e ci impedisca di entrare In realt oltrepassiamo la scalinata senza problemi. Tutto quel che c qui aveva ancora un senso, per lei, dopo la grande rottura? Era pi tornato al Louvre? Spesso. Perch? Era riscaldato. Sfortunatamente, riscaldavano solo la sala degli inglesi. Riopelle non ha mai amato gli interrogatori, ma io oggi sono pronto a giocarmi il tutto per tutto. Alla fine, vinta ogni resistenza a suon di battute irriverenti e abili rettifiche, lo sento dire: Non mi sono sentito estraneo, dopo. Per me Lorenzetti altrettanto grande dei quadri dei contemporanei che amo. Non vedo alcuna differenza tra passato e presente. Le opere del
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alla misura, alle dimensioni. La scala un attributo dello spazio totale o, piuttosto, di quelle immagini, di quelle forme che ingaggiano una sfida eroica e disperata con lo spazio totale. La misura, al contrario, un attributo della tela e di tutte le forme che si definiscono in rapporto ai limiti di questultima. Solo il soggetto sublime latto di dipingere pu avere delle proporzioni: lopera dimensionale genera aneddoti, schemi. Le proporzioni sono sempre grandi; la dimensione sempre piccola. Lavorando su un pezzo di tela, il pittore non pu che partire dalle dimensioni. La sua opera diverr arte sono nella misura in cui riuscir a mutare la misura in scala, in evento, nellunico evento che larte di dipingere in grado di riprodurre: la presenza delluomo nel mondo. Lunico motore in grado di convertire la misura in scala la passione sublime, la tensione intellettuale, la fede. Queste, si obietter, non appartengono al dominio del visibile. Ma di due divinit nascoste, solo quella venerata opera dei miracoli visibili. La prova suprema dellesistenza della pittura di Newman come cosa mentale la sua comunicabilit a uno spirito altro. Sono riuscito a fornirla in queste pagine? E lui, riuscir a riconoscervisi? Di fronte alla sua opera, la distanza ha finito per rendermi ci che lui dichiarava di sentirsi al Louvre: uno straniero. Ma forse non del tutto. Le nostre passeggiate, in realt, mi hanno insegnato che al Museo, sotto la scorza di ogni quadro autentico, si nasconde un Barnett Newman.

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passato non sono n pi lontane n pi vicine. Non c alcuna evoluzione: semplicemente, quello che accaduto dovrebbe permetterci di vedere meglio. cos difficile vedere! Un tempo, di fronte alle riproduzioni dei quadri di Matisse, ero convinto che fossero piatti. Solo pi tardi mi sono accorto che erano dotati di profondit. In fondo, cos per la maggior parte delle persone: non vedono. Un giorno, alla galleria Charpentier, ho visto un quadro di Corot appeso a testa in gi: la veduta panoramica di un paesaggio italiano era diventata unenorme roccia. Come soggetto poteva anche starci, ma come dipinto non teneva pi, era squilibrato. Eppure dicono che un quadro figurativo diventa astratto, quando lo capovolgi. Del resto, non si dice che fu proprio la visione capovolta di uno dei suoi paesaggi ad aprire a Kandinsky le porte dellastrazione? Comunque sia andata, laneddoto descrive perfettamente la natura ibrida delle sue improvvisazioni: pi che una rivoluzione, un rovesciamento. Kandinsky ribalta limmagine, non la abolisce. A torto lo si voluto identificare con il precursore di un movimento destinato a distinguersi per il rifiuto radicale dellesistente. Un rifiuto improvviso, brutale, assoluto: non cos? Riopelle vacilla, ricaccia la testa fra le spalle, innervosito, un po a disagio. In realt mi ci voluta parecchia strada. Avevo fatto la mia gavetta, disegnato dal vero come un matto. Ma funzionava sempre meno. Lultimo quadro che ho dipinto cos ci ho lavorato due anni senza riuscire a finirlo. Non capivo cosa mi stesse succedendo. Non avevo
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In Canada andavo spesso al museo. Era pieno di falsi, di croste. Per me non faceva differenza. Io ci andavo per vedere un cavallo sulla neve, immagini da calendario, insomma! Nel 1940 i musei europei fecero arrivare, con tutte le misure di sicurezza del caso, quadri preziosi. Io avevo diciottanni. Tornai a vederli un centinaio di volte. Lultima sala era stipata di van Gogh. Erano i primi che vedevo. Allepoca amavo El Greco, Tintoretto, molto meno Rembrandt o Delacroix. Quello che mi interessava era il mestiere. E loro ne avevano da vendere! Il mestiere, del resto, mi faceva trovare sconvolgente anche un quadro accademico. Pi tardi mi sono accorto che in Velzquez cera anche qualcosaltro, qualcosa di pi. Il mestiere: ha ancora senso, oggi? Sicuramente non lo stesso. Un tempo si imparava copiando i maestri. Oggi il mestiere consiste nellessere consapevoli dei propri mezzi. Un giorno un maestro cubista venne a visitare la prima mostra a cui partecipavo, in rue Gay-Lussac. Vedendo il mio quadro disse: Questa non pittura. Perch? Perch un pittore, per lui, era uno che si rinchiudeva per sei anni in uno studio cercando di imparare a dipingere un orecchio. La qualit, la vita di quellorecchio, erano cose che non sembravano importargli. Oggi, tutti quei tizi che dipingevano orecchie fanno delle macchie. Domani Il nuovo mestiere, insomma, la consapevolezza di ci che non si pu imparare? S. Con lesperienza o con la semplice intuizione puoi arrivare a capire quando il pittore non bara, quando non prende in giro se stesso. Barare continuare a dipingere quando ci si dovrebbe fermare, quando il rapporto fra lartista e loggetto che suscita la creazione si allentato, ha smesso di vibrare. Il ritratto del figlio di Rembrandt un quadro grandioso perch cera un contatto fra il pittore e il modello. Rembrandt ha messo la sua tecnica al servizio di qualcosaltro, qualcosa che andava al di l di lui e anche al di l del suo modello. Cosa? Riopelle alza le spalle, tace, va oltre. Il rifiuto del passato, dunque, non lha reso insensibile alle opere del museo. passato solo ci che lo era gi al momento della sua creazione: il presente colto
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idea che dipingere un pesce su un tavolo, oggi, potesse essere semplicemente impossibile per chiunque. Perch? Perch non ha pi interesse. Io non domando di meglio che crederci, a quel pesce cosa c di pi formidabile di una trota di Courbet? ma proprio lui a far s che non ci creda. C stato un tempo in cui il rapporto fra il pittore e limmagine era vivo; poi lo stato sempre meno; per me, nel 1946, non lo era pi. Rinnegare limmagine, per Riopelle, non equivaleva a unopera di distruzione, ma alla constatazione della morte (o della sospensione) di un rapporto che per secoli si era mantenuto vivo fra il pittore e la cosa da dipingere: una sorta di brutale adeguamento al presente di unarte che si era lasciata invadere dal passato. N deve stupire, del resto, che in quella temeraria opera di svecchiamento subita dalla pittura Riopelle abbia giocato un ruolo decisivo. Non conosco nessuno, in effetti, che avverta in modo pi acuto e doloroso la minima deviazione da quel punto incandescente che listante. La pittura pura felicit, nella misura in cui permette, il tempo di unopera, di afferrare il presente. Che cos dipingere? dice. Crearsi le condizioni migliori per debordare. Quando non riesce a innalzarsi al livello del presente, Riopelle annaspa miseramente, pi smarrito che mai, del tutto incapace di ingannare se stesso. Non ho mai esitato nel momento di fare un quadro. Se c esitazione, non lo faccio. Votato, condannato a non sopportare, in se stesso come negli altri, nullaltro che il presente. Fare unopera ritrovarla in se stessi. Vedere ritrovarla in un altro.

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nel vivo, di qualsiasi epoca si tratti, lo per sempre. Avendolo visto sorgere dentro di s, Riopelle sa riconoscerlo, e non cerca che quello. Le sue preferenze si esprimono tutte in un conciso Magnifico!; una semplice smorfia, invece, basta a rivelarne le antipatie. Fra le prime, il busto di Madame Delthil de Fontral di Carpeaux ( cos ambiguo!), la SantAnna di Leonardo, la Battaglia di Paolo Uccello, la Madonna del Veronese (Questa resta una luce possibile), lAutoritratto del Tintoretto (Ti interroga: occupa altrettanto spazio dei pezzi da novanta che lo circondano), Ruysdael, Potter, Watteau, Guardi (Favoloso!), il Delfino Charles del Maestro di Moulins. Fra le incompatibilit, Il ratto delle sabine di David (Non succede granch, dietro. Avviene tutto in primo piano. Come a voler tappare i buchi. Nelledizione canadese del Petit Larousse, lunica immagine di seno nudo era quella di questo dipinto; se ne dovrebbe dedurre che le nudit di David non sono poi cos pericolose), la Madonna raffaellesca di Ingres (Non lo stesso che si firma Foujita?), il Santo Stefano del Carpaccio (Luce artificiale), lEx voto di Philippe de Champaigne (Stitico). Delacroix non sembra incantarlo; per lo meno, senza il minimo entusiasmo che davanti alla Morte di Sardanapalo dice: Un vero western!. Provo a tratteggiare la linea invisibile del gusto che si cela dietro quelle preferenze e quelle avversioni. Ma quella linea come il mio compagno: per niente
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Per via del suo cubismo e del mio rifiuto della costruzione geometrica, intende? Ma questo non significa nulla. La qualit essenziale la stessa in tutti quelli che contano. La qualit essenziale? Il presente o, piuttosto, quella presenza di cui il presente lunica soglia. Una presenza senza storia, senza identit. E lapparente illogicit di Riopelle, come finir per capire, non in realt che la coscienza tagliente dellopposizione fra quella presenza e la logica. Anchio, senza sospettarlo, cercavo lorecchio ben fatto. Dimenticavo la sua diabolica abilit metamorfica, la sua capacit di abbandonare una forma che non inganna pi fino a tramutarsi nel coltello che la squarcia. A innervosirlo, in Hals, che il tocco agisca come un fine in s. La libert sistematica una schiavit sistematica che non sa di esserlo: un po come i forzati dellinsubordinazione descritti da Alfred Jarry, che vengono puniti solo se non disobbediscono. Come altri soffrirebbero di claustrofobia, Riopelle rivela una vera e propria fobia nei confronti del sistematico. Le norme sono una cosa disastrosa. Si cercato di giustificare la sezione aurea e le regole appellandosi alla bellezza dei monumenti antichi. Ma se li ricostruissimo in base a quelle regole, sarebbero penosi, orribili!

facile da seguire. Non sembra guardare con gli occhi, ma con tutto il corpo, di modo che impossibile capire se veda o se stia sognando. Ma Riopelle non sogna. Davanti al Cesto di fiori di Linard: Ci sono fiori, l dentro, che hanno tutta laria di non volersi sfasciare. La sua andatura, del resto, non meno sconcertante. Lui non cammina, vaga, la testa infossata nelle spalle, le mani in tasca, quasi fosse fatto di un unico pezzo. Una volta fermo, giureresti che abbia messo radici. Ma mentre ti sforzi di comprendere cosa lo abbia immobilizzato, lui va a piantarsi in silenzio da unaltra parte. E cos, una volta su due, non con lui, ma con un turista tedesco che ti ritrovi a parlare. A tratti mi sembra di cogliere il filo. Davanti al bozzetto del Sacrificio di Abramo di Rubens: Magnifico! Ho fatto molti schizzi di questo Rubens, e anche di El Greco, del Tintoretto. Per arrivare alla stessa libert, la loro. Ammaliato, comincio a stilare mentalmente un albero genealogico del tocco emancipato, del gesto libero: i veneziani, Rembrandt, Velzquez, Rubens, Hals Ed eccoci proprio davanti a questultimo. Una smorfia: Com petulante. Non tiene mai, Hals. Il mio albero frana rovinosamente a terra. Un senso di sconfitta che mi toccher rivivere pi volte. Davanti ai Czanne del Jeu de Paume (quellala progredita del Louvre in cui di l a poco ci sposteremo, per il piacere di attraversare giardino delle Tuilieries), per esempio, dir: Non deve aver contato granch, per lei. lo spirito sistematico a nausearlo in Seurat, in Gauguin. Il suo occhio oscilla dalla Fienagione in Bretagna di questultimo allAccampamento di zingari di van Gogh. Questarmonia in verde dice indicando la Fienagione Gauguin lha voluta, lha posseduta. NellAccampamento, invece, c un verde che esplode, ed il cielo. Un po pi in l, davanti a un paesaggio effettivamente insipido come il Villaggio bretone sotto la neve, dice: Se non sapessi che un Gauguin, se non fosse firmato, non lo indovineresti. Ha dovuto ostentare la sua maniera, la sua personalit, per farsi conoscere e riconoscere. Poi, come se la natura categorica della sua negazione invocasse di per s un correttivo, aggiunge: Ci sono pochissimi quadri che amo di Gauguin, ma lamore che mi suscitano non ha nulla da invidiare a quelli dei pittori che sento pi affini a me. dallintensit che si giudica unopera.

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Non c nulla di acquisito; o piuttosto, ci che acquisito nulla. La riuscita di una tela non rappresenta la minima garanzia per quelle a venire. Della Natura morta con scacchiera di Baugin dice: bellissima, ma capisci subito cosa ha voluto fare e perch lha fatto cos. Il Dessert, invece, non lo capisci. Per lui non c una grande opera, ma solo grandi opere. Una tela, a patto che riesca a riconoscere in essa la presenza essenziale, sufficiente a fargli amare un pittore; e per quanto mediocre possa essere il resto della sua produzione, il parere di Riopelle non muter di una virgola. Il presente, la presenza non appartengono allo stesso ordine della coerenza, della continuit. Riopelle contempla la grande serie di quadri che Rubens dedic a Maria de Medici. Il suo sguardo si sofferma sullArrivo a Marsiglia: Questo diverso dagli altri. I drappeggi rossi sulle teste delle Naiadi sono al loro posto, sono vivi. Negli altri, invece, sono inerti. In effetti, in quella grande sala resa ancora pi funebre se ce ne fosse stato bisogno da una sfilza di pompose cornici pseudofiamminghe, lo stesso rosso granata sembra sparpagliarsi un po dappertutto in una miriade di piccole chiazze, simili a tante vele di navi in avaria. Spinto da un vento inspiegabile, Larrivo a Marsiglia appare ancora pi insolito. Qui la maestria e la padronanza,
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Larte non una rivolta, e tuttavia fatta di rivolte. Van Gogh altrettanto classico di Vermeer. Originario del paese della Regina (ma non era canadese?), Riopelle procede senza difficolt; io, che vengo dallo stesso posto di Alice, a furia di seguirlo mi ritrovo ben presto sperduto, senza fiato. Tutto, comunque, mi sarei aspettato fuorch dichiarasse, indicando Il Dessert di Baugin: Ecco il mio uomo. La pittura questo. Tiene pi conto del soggetto di quanto non facciano gli altri. La tovaglia blu, dunque la dipinge blu. Non elimina le cose che gli danno fastidio. Non d limpressione di star componendo un bel niente. Nessuna intenzione, niente partiti presi. Questo quadro per me ha le stesse qualit della Veduta di Delft. Non ha laria di essere stato fatto: semplicemente c, l. Attrazione degli opposti? Spirito di contraddizione o desiderio di sconcertare? Una situazione che, comunque sia, non mancher di ripetersi. La mia passione sono le grandi tele di Courbet. Ha guardato tutto attraverso il dettaglio. Al punto che ci sprofondato dentro e, l, ha trovato lessenziale. Sostiamo a lungo davanti alla piccola ballerina di Degas, quella con il tut sdrucito e un nastro sbiadito fra i capelli di cera. Come si spiega che lei, che sostiene di essere divenuto un artista il giorno in cui ha rinunciato allimmagine, mostri tanto interesse per i realisti, per coloro che danno pi peso allimmagine? Riopelle alza le spalle, tace. Certo, il cuore di un pittore ha le sue ragioni A stupirmi, in realt, non che lei ami Baugin, Potter, Courbet o Vermeer, ma che mi dica: Com vero questo tavolo, come vivo questo cavallo!. E che il Castello di Rosny dipinto da Corot senza dubbio meraviglioso possa estorcerle questo commento: esattamente cos!. La credevo interessato alla pittura, non alle orecchie riuscite. Un orecchio esiste, certamente, ma non esiste mai in s: solo in rapporto allinsieme del quadro. Un volto, un oggetto, una volta dipinti, non vivono che della vita della pittura. Se la pittura manca di presenza, questi, per quanto esatti possano essere, sembreranno inconsistenti, inverosimili. Riopelle guarda lOrtensia di Berthe Morisot e con un ghigno indica le macchie rosse in basso, sulla destra: Cosa sono? Arance, fiori? Fortuna che c il titolo!. Davanti allAmore e Psiche di Picot segnala il divino seduttore che scosta le tende dellalcova per fuggire: Quella mano si fa fatica a credere che stia tenendo la tenda: galleggia di pi lei. Quella mano non manca di correttezza, ma di presenza pittorica. A mo di prova, indica la Battaglia di Uccello: Tutti quei piedi Nemmeno lui doveva pi sapere a chi appartenevano. Ma che importa? Ogni cosa al suo posto: dettagli, masse. organico. Organico, ovvero: intriso, saturo della vita della pittura. In quel quadro non
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equivalente soggettivo di ci che le regole e le norme sono in campo oggettivo, sembrano essere dintralcio pi che daiuto: Il vero quadro quello che segna un inizio. Chiunque dica: So fare bene questo o quello, a partire da quel momento inizier a farlo male. Dice: il vero quadro, e non il bel quadro, come se la bellezza implicasse un riferimento, seppur tacito, a qualche modello, e dunque al passato: Ci che conta non fare un bel quadro, ma far progredire qualcosa. Poco fa, per, sosteneva che lessenziale non conosce evoluzioni. Progredire, per me, distruggere quel che si credeva acquisito. Luomo un orologio che tende ad andare allindietro e che va costantemente sincronizzato sul presente. A volte ci riusciamo, ma non abbiamo nemmeno il tempo di esultare che lorologio gi tornato indietro. Penso a quel passo di Attraverso lo specchio:
Ma nel nostro paese fece Alice ancora un po ansimante generalmente si arriva in un altro luogo dopo aver corso cos presto e per tanto tempo come abbiam fatto noi. Devessere un paese molto pigro! disse la Regina. Qui, invece, bisogna correre pi in fretta che si pu, se si vuole restare nello stesso posto.

Il paese della Regina quello delle arti, della poesia. Progredire, l, mantenersi nel presente (e tutte le opere che ci riescono svelano dunque la stessa ora, lo stesso luogo essenziale).

Jean-Paul Riopelle, Untitled, 1951. Olio su tela, 129,5 x 160,5 cm.

Gustave Courbet, Funerale a Ornans, 1849-50. Olio su tela, 311,5 x 668 cm.

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vi nulla di giustapposto, nulla che si allontani da quella fonte. Ma ormai siamo davanti alla Colazione sullerba di Manet: C parecchio Courbet, qui dentro. E parecchi intoppi, anche. Il piede della donna, al centro, galleggia, perch il resto non dipinto allo stesso modo. In compenso, ha delle parti perfette: la natura morta a destra, il blu che trapassa le foglie, luccellino in alto. Si interessato anche al camice della donna ma, arrivato al corpo, non funziona pi. Ci sono troppe intenzioni, in questo quadro, perch lintensit regga dallinizio alla fine. Come una spia chiamata a illuminarsi quando la corrente tocca una certa intensit, cos la realt delle cose, sulla tela, proclama lintensit della pittura. Un paragone che tuttavia non riesce a restituire lautonomia originaria dei due termini, n lo slancio che, una volta innescato il rapporto, li spinge luno verso laltro, inducendoli a superare se stessi e a fondersi in un terzo termine una presenza al di l della presenza, per usare le parole di Riopelle. Come i passeggeri di una nave, irresistibilmente attratti verso la prua nellistante in cui lisola, a lungo intuita, sorge finalmente davanti ai loro occhi: una sincronia commovente, cos perfetta da non sapere pi se lisola generi lo sguardo o se, piuttosto, non nasca a partire da esso. Cos la visione fonde e deborda dalla cosa vista e da colui che la vede (pittore o spettatore).
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Questo s! Sicuramente, rispetto alla Colazione, era pi questo il suo formato. E poi c Monet. Ci fermiamo di fronte a Regate ad Argenteuil, appeso fra il Bacino dArgenteuil e la Gare Saint-Lazare: Meraviglioso! Il primo quadro moderno che ho visto. Lalbero che si prolunga nellacqua Non si fatto domande sullangolo di rifrazione, sullorientamento delle vele o se il verde della barca riflesso dal fiume fosse come doveva essere. venuto cos. Ha fermato il tempo per realizzare il suo quadro. La Gare Saint-Lazare, invece, fa tanto sfida intellettuale egregiamente risolta, beninteso. Il fumo studiato, non naturale come nel Bacino dArgenteuil. Parecchi quadri, al Jeu de Paume, sfoggiano cornici a dir poco ridicole. Ma lapice del grottesco si raggiunge con la serie delle Cattedrali, allineate sul muro come un collage di fotografie a colori sul volantino di unagenzia di viaggi. Tocco supremo di raffinatezza: la grana delle pareti fa eco a quella delle Cattedrali. Hai limpressione che decapando il muro possano venir fuori degli altri Monet. S, la Cattedrale suprema capace di riassumere tutte le cattedrali. In fondo, questo che cercava. Ovviamente nel tempo, non nello spazio. Che libert fra luna e laltra! Eppure non variava n il tema n lo stile. Monet il primo ad aver concepito unopera in serie. Mi domando se queste cattedrali terrebbero ancora, considerate separatamente. Un ultimo sguardo a Manet. Il fascino che esercita su Riopelle presto svelato. Da dove deriva infatti leterogeneit di Manet, se non da un deliberato rifiuto del sistematico, da una dichiarata fiducia nel presente? Il che non significa, ovviamente, che tutto gli riesca, ma solo che lo scarto tra leffetto mancato e quello riuscito salti pi immediatamente allocchio: il mezzogiorno, con il sole allo zenit, rende tutto pi inesorabile. Non tutto sboccia, in Manet, ma ci che arriva a sbocciare di una freschezza sconvolgente: ai confini dellesperienza, linnocenza ritrovata. Un esito felice al quale, senza voler nulla togliere al genio di Manet, la particolare congiuntura storica contribuiva non poco. Da tempo limmagine del mondo oggettivo aveva iniziato a divergere da quello immaginifico, soggettivo, del pittore. In Manet, i due mondi si separano, ma senza mai darsi le spalle. Limmagine sempre necessaria, ma non pi sufficiente. Una voragine si aperta tra i fatti e il fare, abbastanza grande da far s che il pittore ne prenda chiara coscienza, ma non ancora abbastanza profonda per impedire che da una sponda allaltra sgorghi una scintilla, un rapporto unificatore. Ma lequilibrio, in arte, frutto dellinstabile. Riopelle sospira: Il massimo sarebbe che ci fosse un soggetto che non conta granch e un modo di dipingere, di trasporre, che non abbia pi valore del primo. Una simbologia, insomma!. Detto altrimenti: che le cose e la loro immagine non siano un fine, ma la manifestazione materiale di una trascendenza; una trascendenza che pu investire anche il pittore, liberandolo cos dellopprimente costrizione di dover conferire, contando solo sui propri mezzi, un senso ai segni che traccia. Proprio
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Una trota di Courbet bella perch dopo averla vista capisci meglio le trote. E anche perch capisci meglio la pittura. Ma Riopelle, luomo che rinunciando alla rappresentazione si limitato alla sola pittura, afferma anche: Per me, lunico riferimento la natura. La libert sta tutta l, e l sta anche il vincolo pi grande. Un albero pu germogliare in un solo modo. Non c un modo tragico, o elegiaco, o gioioso, di essere albero. C soltanto il modo giusto. E proprio come gli alberi delle Tuilieries, cos i wafer di Baugin non sembrano fatti, pensati, preparati, ma venuti. Quello che Riopelle chiama natura, allora, non sar solo questo sorgere, questo slancio che innalza insieme le cose del mondo e la mano del pittore? La nascita di unisola: pochi pittori ci hanno concesso questesperienza con la frequenza e la pienezza di Manet. Riopelle si attarda di fronte al Balcone: Ecco una delle poche cose che amo davvero. Non aggiunge altro. Poi, indicando lo sparato delluomo: Niente, nemmeno una cravatta vera, farebbe pi scalpore di quella cravatta blu in mezzo a quel verde. Lasparago, per lui, semplicemente magnifico. Il Flauto, invece, gli sembra troppo riuscito. Della Donna dei ventagli dice: Il passaggio dal braccio al ventaglio, il cane sono pazzeschi. Ma il volto compassato, di gesso. Non vuole che il quadro gli sfugga. Ha paura di se stesso. Del Ritratto di Clemenceau:

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come nel mondo, il posto occupato da un dio dischiude nel pittore un vuoto che, se considerato pi come una qualit da conquistare che come una garanzia o una quantit data, lo rende fragile ma lo solleva, lo rende piccolo ma gli permette di debordare.

sperienza del presente, che atemporale, intimo. Mezzogiorno, lora attuale, lunica ora doppia che rintocchi sullorologio. Chi sa cogliere questa potenzialit passeggera sembra spesso fermo, dal punto di vista della storia; ma il suo slancio creatore, in realt, appare inesauribile. In effetti, non basta non indietreggiare: bisogna anche scalare la vertiginosa lancetta delle dodici. I Fauves, i Nabis devieranno su nuove modalit di espressione; Matisse, Bonnard non cederanno pi, senza paura di essere superati. Come loro, Riopelle dovr rassegnarsi ad avanzare in solitudine. Ma anche la fedelt pu divenire un tradimento. Mutare tema o sistema permette, se non di rinnovare, quantomeno di differire la scadenza. Una scelta che non pi possibile, per il pittore la cui opera deriva non gi da un rapporto con il mondo della rappresentazione, ma con le sole forze del suo essere. Quellartista non registra il mondo: semplicemente, ripete se stesso. Arduo destino quello del pittore votato a un eterno presente, cos esposto a vederselo sfuggire sotto il naso, cos cosciente del minimo scivolamento nel passato! Un giorno Riopelle mi ha confidato: Nella vita non si fa che un passo.

Riopelle ne soffre, ma non ha rimpianti. Chi votato al presente sa pi di chiunque altro che il tempo passa. Limmagine, per la sua generazione, non era ormai che un peso morto. Se c stata rottura, perch era divenuta necessaria.
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Da quel passo, per lui, sono passati pi di quindici anni: sono pi di quindici anni che legato a esso. Con il suo scorrere incessante, il tempo finisce per tingere il suo percorso di una luce patetica, come farebbe con luomo che ha fondato tutto sulla giovinezza. Questo, almeno, ci che osservo dal punto di vista della storia. Ma sufficiente che il presente si lasci nuovamente afferrare perch questa drammatica prospettiva si dissolva allistante. Come un albero La natura, il mio unico riferimento che dun tratto si scrolla di dosso linverno cupo e sterile, coprendosi di una fioritura cos rigogliosa che risulta quasi impossibile pensare a un prima. Tanta freschezza pu essere, ogni volta, solo primigenia. Nel paese della scienza e della storia, i passi si sommano luno allaltro; in quello dellarte lo stesso passo, purch decisivo, pu e deve tornare a compiersi ogni volta, incessantemente. La cosa un po seccante dei quadri che ami mi dice quando abbandoniamo il museo che ogni volta vuoi rivedere il quadro che hai gi visto. Ma quel quadro non c: non esiste pi. Che senso ha tentare un confronto? Ogni volta ricominci da capo.
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Tuttavia nemmeno questa era sufficiente. Ed proprio ci che distingue Riopelle dalla maggior parte di coloro che, nella stessa epoca, si ritrovarono a sottostare come lui a un presente assoluto, senza memoria. Il loro slancio derivava pi dalla volont di rompere con la storia (lostacolo non fa che ravvivare la corrente) che dallimpossibilit di rinunciare a quella parte dellio che la nostra apertura sulladesso. Per Riopelle, la rottura era linevitabile conseguenza della sua ostinata aspirazione al presente; per loro, invece, ne era la causa, il garante, la ricetta. Attribuendo troppa importanza allatto di abolire limmagine, questi pittori sono sprofondati nel torpore, convinti che tutto si esaurisse nellatto in s. Dipingono macchie come un tempo avrebbero dipinto delle orecchie. Il presente innominabile; innumerevoli sono i nomi e le forme di cui si orna il passato. Domani, nuovi sistemi invocheranno i loro inconsapevoli servitori. E questi abbandoneranno la non figurazione con gioia, perch essa esige da loro un atteggiamento troppo radicale. Soppressa limmagine, non hanno potuto contare che su se stessi: era troppo poco, e ora la storia li riafferra. Piombati nel presente per una mera coincidenza, eccoli ora nuovamente scagliati nellimperfetto. Riopelle, che non ha mai attribuito alcuna virt aprioristica a questa rivoluzione, rimane fedele a essa perch finora non gli si offerto alcun altro rapporto vitale fra lio e il mondo, fra il pittore e limmagine. Difficilmente chi ha patito la morte degli antichi di pronto a inginocchiarsi di fronte a nuove divinit. Il rifiuto del passato appartiene alla storia, ma a volte capita che sfoci nelle-

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A dire il vero bofonchia non sono un amante dellarte. Cominciamo bene. Dunque, bisognerebbe odiare il Louvre per essere un artista? Ci vantiamo sempre di avere un cos bel museo; in realt c una lacuna enorme: si salta da Roma a Cimabue. Il periodo romano assente. Cos, non dipingevano forse? Per non parlare della preistoria, esiliata a Saint-Germain-en-Laye. Proprio le cose che amo di pi. Allimprovviso si fa strada un barlume di speranza. Il suo non odio, solo un cruccio amoroso. Mi dice e il suo umore tetro svanisce man mano che parla che i suoi gusti sono rimasti gli stessi fin dallinfanzia: gli altipiani dei Grands Causses, pi che le vallate ridenti, i tronchi dalbero spogli, preferibilmente nella stagione pi rigogliosa, le statue-menhir incise di Rodez, labbazia di Conques. stata questa a infliggermi il colpo decisivo. Allepoca, a scuola, ci parlavano della palese inadeguatezza dei capitelli. Io li trovavo sconvolgenti, non mi chiedevo se fossero adeguati o inadeguati. Non dunque un caso, n mero desiderio di sfuggire alla folla se, ai piedi della grande scalinata, aggiriamo i piani superiori consacrati alla pittura per ripiegare verso lAfrica latinizzata, il Vicino Oriente, lArabia, la Mesopotamia. Le affinit profonde di Soulages riguardano la pietra, la materia. Il romanico non forse, pi di ogni altra cosa, uno stile da architetto, da scultore, da orafo, da smaltista? La pittura, in confronto, affrescata o miniata che sia, sembra vacillante, muta. Per la sua mole monumentale, per quella massa che la sensibilit non pu plasmare a piacimento ma pu solo carezzare, scavare, scalpellare e incidere come acqua corrente su una roccia, la pittura di Soulages si avvicina alle pietre drizzate, alle steli, alle colonne coronate, ai vecchi mobili di campagna. Tutte queste qualit fisiche, che avrebbero dovuto indirizzare Soulages alla scultura, si esprimono per attraverso il pennello. La sua opera non pietra, ma sogno di pietra, come lo fu precisamente quella pittura del Quattrocento cui ora voltiamo le spalle. S, perch lillusionismo pittorico del Rinascimento nato da una nostalgia dello spazio, quello spazio a cui la scultura aveva, per natura, un
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accesso diretto. Giotto fu ispirato dai bassorilievi romani, e il cavaliere di Paolo Uccello, nel Duomo, rivela quanto fosse grande il desiderio dei pittori di riscattare quel dono dalle mani della scultura. Un sogno insensato, ovviamente, nonch fonte di infinite angosce. Non capita forse lo stesso con Soulages? Un grande equilibrio, certo, ma precario. Sotto lordinata apparenza delledificio serpeggia linquietudine: proprio come quellocchio vigile, perennemente allerta, che in qualche modo sembra smentire la tranquilla baldanza del grande corpo che deambula accanto a me e allimprovviso si paralizza davanti a un frammento di roccia incisa della regione meridionale di Orano (El Hadj-Meimouh). emozionante. Le incisioni coincidono a tal punto con le incrinature della pietra che non sai pi dove cominci lincisione e dove finisca la natura. come il bisonte di Altamira: quella roccia era gi bisonte ancora prima che il pittore si mettesse di mezzo. questa confusione, questa fusione che amo. Fra la casualit della pietra e la volont dellincisore nasce unintesa simile a quella che si crea fra la volont dellartista moderno e lignoto che si trova ogni volta ad affrontare. Dun tratto mi sembra di rivederlo, chino su una lastra di rame immersa nellacido, mentre spia gli effetti devastanti di quei morsi e interviene per piegare alla forma che aveva in mente quellopera di cui la natura sembra essersi brutalmente impossessata. Ripenso ancora al suo tentativo di abbandonarsi,
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trosenso fruttuoso, nellincomprensione produttiva. Quando i professori dicono: Ecco ci che il pittore o il poeta ha voluto dire, possiamo star certi che ci stanno insegnando qualcosa di assolutamente irrilevante. Visitare i musei con gli artisti una buona cosa, perch ti fanno vedere nei quadri e negli oggetti cose che non ci sono. E cos, larte che sfugge alla comprensione non sfuggirebbe allincomprensione? Se ho capito bene, lei sembra accettare che le porte si aprano a patto di usare delle chiavi finte. Le opere che amo di pi sono quelle che combaciano con la mia lettura e al tempo stesso le sfuggono. Eccomi, ancora una volta, alle prese con la contraddizione. Una contraddizione che evidentemente si radica nel cuore pi profondo della personalit di Soulages: fra intenzione e mistero, fra spirito e materia. Non sicuramente un caso che il suo primo sguardo si posi su una pietra modesta della regione meridionale di Orano: quella pietra sembra riprodurre linquietante dualismo che lo ossessiona e incarnare la rassicurante prova di una soluzione possibile: la fusione. La speranza di un limite, di un punto in cui lo schema delluomo e lo schema della natura finiscano per coincidere. E forse Soulages un pittore astratto proprio perch lastratto, nel modo in cui lui lo pratica, ammette schemi pi semplici della figurazione, pi inclini a piegarsi a quel comune denominatore capace di abolire lo iato fra luomo e quella presenza onnipresente che lo assedia, che incombe e pesa su di lui: il reale. Si tratta sempre del reale. Nellarte figurativa si d sotto forma di apparenza: nellarte non figurativa, sotto forma di esperienza. Comunque sia, grazie al mondo se il quadro privo di apparenza assume un senso. Il reale linsieme delle relazioni che intratteniamo con il mondo. Lapparenza non che una di queste relazioni, e tra le pi superficiali. Perch scegliere proprio quella per esprimere il nostro rapporto col mondo? Superficiali, perch complesse; solo la semplicit astratta riesce a insinuarsi nelle strette pieghe del mondo fino a penetrarne il cuore. Ed tale semplicit a farci percepire, pur tra opere cos disparate come quelle custodite fra queste
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davanti alla tela, a quellimpulso intuitivo che quasi tuttuno con la natura, dispensatrice di forze.

In realt, la pittura di Soulages nasce da scelte consapevoli, da unanalisi minuziosa dei mezzi, da gesti controllati. Istinto e inquietudine, disegno e materia: ecco, ancora una volta, la contraddizione da risolvere. Come due nature, o due diverse specie di sangue che scorrono nelle stesse vene: da un lato il sangue del sedentario, dallaltro quello del nomade. Nessuno sa il perch delle scelte che fa. Quando so perch amo una cosa, la amo gi di meno. Lopera interessante nella misura in cui riesce a sfuggire alle intenzioni del suo creatore e alle spiegazioni dello spettatore. Come una porta che si chiude. Ma allora, qui, stiamo perdendo il nostro tempo. Al Louvre le porte si aprono, le opere parlano. Siamo noi che le facciamo parlare. Crediamo di essere daccordo, ma questo accordo si fonda su un malinteso. Fortunatamente, si tratta di un malinteso fecondo. Io credo nel con-

mura, una vicinanza, un legame, al di l della loro distanza culturale. Soulages si muove con grande familiarit dentro le sale caldee. Larchitetto col piano gli tuttaltro che estraneo. E se la scrittura per gli esperti ha rappresentato a lungo un enigma, lui sembra riconoscerne subito lessenza di nudo gesto sulla materia indocile. Amo questo lato minerale, cristallino, della scrittura cuneiforme incisa su una stele. La storia, al pari dellaneddoto, unapparenza superficiale: laccordo avviene senza sforzo sotto i suoi misteri pellicolari. Davanti alla stele di Zakir, re di Hama (Siria), e al suo possente sovrapporsi di rettangoli: Una foto di questo potrebbe sembrare una mia incisione. Questa forma nera gigantesca, che non veramente geometrica. Chi troppo vuole Le categorie onnicomprensive finiscono per svuotarsi

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al reale di quanto non lo sia lequilibrio stabile? Da unarte di sintesi scivoliamo impercettibilmente verso unarte sintetica. La formula, per un istante abbattuta, si rimette in sella, e lo spirito fragile e deciso riprende a cavalcare. Il reale, scongiurato solo in apparenza, accumula le sue minacce. Allora linquietudine rinasce. Lintelligenza risvegliata diffida delle alleanze troppo abili con lignoto. E lirruzione violenta che si era cercato di prevenire, sollecitandola, canalizzandola, torna a farsi strada. Davanti al Felino incatenato al disco: La cosa che mi interessa di pi, qui, la screpolatura dello stampo. di significato, per cadere nella classificazione meccanica. Penso a quelle menti cos imbevute di psicoanalisi da riconoscere in qualsiasi forma, non importa se concava o convessa, un simbolo sessuale, non importa se maschile o femminile. Certamente aiutati dalla fisica delle cose, queste persone riconoscono lossessione erotica dappertutto; cos facendo, per, la banalizzano. Ma illudersi che Soulages non ci abbia gi pensato vorrebbe dire ignorare la sua intelligenza irrequieta: perfino troppo vicino a me. Ride impacciato, si volta, incappa in una Testa virile del Hawran. Grandiosa! Ecco, questa testa mi pi vicina. Una forma pu non essere che un involucro grossolano. Un volto, in fondo, sempre un tondo con due buchi al posto degli occhi e un
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Senza fermarci, attraversiamo le sale assire e le loro grandiose dimostrazioni di tirannia. Davanti a noi, le vestigia della presenza greca e romana in Asia Minore. Fusti di colonna decapitati, marmi cesellati per conservare in eterno limpronta di unimmagine perfetta delluomo e che sembrano in realt condannati, ben pi di qualsiasi altra arte, a un destino di mutilazione. Ma

altro per la bocca; ma c volto e volto. Non bisogna far funzionare troppo gli schemi grossolani. Che la stele di Zakir somigli alle mie incisioni grosso modo vero, ma larte non funziona grosso modo. Qualche passo pi in l, a proposito di una statua, dir: Come in tutte le cose semplici e violente, si tratta solo di sottigliezze (un riflesso, una piega lievissima). per questo che la pittura di Soulages, nonostante quel bisogno di forme semplici capaci di fondere lordine della natura e quello dello spirito, non puramente geometrica. Gli schemi ortogonali sono come la coda che la lucertola si lascia alle spalle pur di salvarsi. La pittura di Soulages punta a essere una geometria inquieta, partecipe del caos del mondo e della coerenza umana. Da qui il fascino del quasi simmetrico. Lesprit de finesse salva lesprit de gometrie, a condizione di non sconvolgerne del tutto la logica. Locchio del mio compagno scover inevitabilmente le opere in cui la semplicit si caratterizza per la sottigliezza, per linstaurarsi di un equilibrio instabile. La sua pittura, del resto, non rivela gi questo equilibrio fra le due spinte del suo temperamento, al pari della congiuntura storica in cui la sua arte si trovata a fiorire, allindomani della Liberazione e simili coincidenze fra necessit personale e necessit storica sono la fortuna dellartista , nellistante in cui lastrazione formale moriva e quella gestuale si faceva strada? Una pittura che gi gesto ma nella quale il gesto conserva ancora il peso della forma: una pittura che non pi immobilit e non ancora agitazione, ma azione lenta. Il principio dellequilibrio instabile sarebbe dunque, alla lunga, pi vicino forse questo destino dipende proprio dal suo aver respinto, pi di qualsiasi altra arte, leventualit dellimperfezione mortale, della rovina. La cosa che mi ha sempre interessato, nelle statue greche, il modo in cui si rompono. A volte la casualit della frattura apporta qualcosa di nuovo: lo svelarsi di una vena, per esempio. La natura risorge sotto la volont dellartista. Cogli lo scontro drammatico fra arte e natura, a volte la loro alleanza Unopera mi tocca quando nella forma fiuto qualcosa che oltrepassa la volont, anche di stile, che oltrepassa il senso, limmagine. La catastrofe, loblio sono dei veicoli di rivelazione. Accettare, accogliere la rottura, perch in essa si manifesta, senza pi equivoci, la verit allo stato puro: la materia bruta. Accettare questa rottura, e al tempo stesso poich non nella natura dellartista desiderare la propria morte sperare di sopravvivere al disastro. Ecco svelata la passione del mio compagno per le arti cosiddette barbariche: gigantesche, implacabili fratture nelle grandi civilt. Larte africana prende dassalto la coscienza moderna, i gallo-romani investono, alterano la cultura romana, proprio come la natura bruta torna, per catastrofe, alla perfezione artistica. Eppure, lessenziale resta. questo che mi tocca, molto pi delle epoche che si crogiolano nelle loro certezze. Tornati alla scalinata, davanti alla Nike di Samotracia, non posso fare a meno di chiedergli se non si spinga mai oltre, ai piani alti.

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Nel 1946, quando sono arrivato a Parigi, ci andavo spesso. Conoscevo gi il museo di Montpellier: Gricault, Courbet, Delacroix, il Veronese del Matrimonio mistico di santa Caterina. Montpellier, per me, era un po come la Roma di Claude Lorrain. l che ho iniziato ad amare Poussin. Sono venuto al Louvre per vedere quello che non conoscevo, per colmare le lacune. Avevo alcune predilezioni: la Battaglia di Uccello, un dipinto di Cranach Ma in fondo non si trattava di una questione vitale. Era un desiderio dotto, non unattrazione profonda. Le sue categorie fondamentali, allepoca, si erano gi forgiate, filtrando lintera visione della pittura occidentale. Come adesso, che lo trascino al livello superiore, verso quel mondo inaugurato dalla Maest di Cimabue: La cosa bella del Cimabue quel residuo di ieraticit bizantina mischiato a quel nuovo che si annuncia, che si lascia solo presagire. La sua grande sagoma si paralizza, locchio inizia a vagare, inquieto: Il fascino del quasi simmetrico Questo dipinto si pu smontare come un ingranaggio, ma il suo mistero resta inspiegato. questo a inquietarmi, ad avvincermi. un quadro che resiste, nonostante la sistematicit e la relativa semplicit del procedimento compositivo. Anche nella logica, c qualcosa che sfugge alla logica. questo che mi interessa. Perch la logica, in s, non niente. Per alcuni questo rigore una necessit, ma costituisce solo uno dei termini del dialogo, che sostanzialmente poetico. Alcuni poeti hanno bisogno della proso122

uditorio un commento decisamente aneddotico sul dipinto. E allimprovviso mi sembra di avere sotto gli occhi un esempio eclatante di come analisi tematica e analisi strutturale, lungi dal contraddirsi, non facciano in realt che chiarirsi a vicenda. In questo quadro, in effetti, convivono due visioni: quella delle predelle, che narra degli eventi storici, e quella del pannello superiore, rivelatrice delle ipostasi divine. In basso, la fuga prospettica enuncia lo scorrere del tempo; in alto, la frontalit decorativa proclama leterno presente. Attraverso questo dualismo visivo, lartista non fa che riprodurre con il proprio linguaggio il grande dibattito cristiano che santAgostino inaugur fra la citt di Dio e la citt degli uomini. E nel suo riuscire a infondere plasticamente a questo dualismo la forma di un dialogo, lartista risponde anche a un afflato soteriologico. Ecco una prova dellinterdipendenza fra pannello e predelle dice Soulages avvicinandosi al San Francesco di Giotto. Lalbore della predella centrale reso indispensabile dalle due case bianche ai lati del pannello centrale. Eppure lo fotografano sempre senza le predelle. In unopera cos un errore madornale separare la ripartizione decorativa dalla superficie significante del quadro. La separazione non possibile. Il vivente non si lascia sezionare. Ancora una volta, la vocazione per il sistema non fa che risvegliare la sua diffidenza per tutto ci che sistema. Attirato dalla piccola Decapitazione di Cosma e Damiano di Fra Angelico, di fronte ai cinque pini che avvampano sopra la scena del dramma, dice: Quelle cinque fiamme nere, drittissime, al centro del quadro, o quasi!. Logica e inquietudine, perpetua oscillazione dalluna allaltra, fascino dellordine, ma anche del suo opposto: anche se di sfuggita, riconosco facilmente al punto che inizio a parlare come lui gli schemi fondamentali di Soulages. E in questi schemi riesco a rintracciare le chiavi della sua opera pi di quanto non faccia lui, che in verit non ci pensa affatto. Ma questi quadri che ci sfilano davanti agli occhi non saranno semplici specchi, per lui? E cosa fa, Soulages? Li ricopre di una foglia di stagno, offuscandone il senso originario, o al contrario, come la campana che fa vibrare su una credenza i vetri sensibili a una stessa lunghezza donda, la sua ossessione finisce per conferire a questo o quellaltro elemento un carattere abbastanza esplosivo da
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dia, ma la prosodia non la poesia. La cosa davvero necessaria il dialogo, perch il dialogo una lotta, e la lotta feconda. Guardi l!.

Un esempio inaspettato: lIncoronazione della Vergine di Fra Angelico. Quella compostezza, quellarmonia fanno s che la parte superiore risulti pi bidimensionale, decorativa. Le predelle in basso, in compenso, aprono uno spazio in prospettiva. Sono due visioni differenti: un po come se, a teatro, il fondale dipinto si sollevasse quanto basta per lasciar intravedere la fuga della scena. Ma le predelle non sono un elemento accessorio: c un dialogo. La profondit che le predelle scavano sotto il quadro danno limpressione che il dipinto si muova, che venga in avanti. Mentre chiacchieriamo, una guida ci si piazza accanto per rifilare al suo

risvegliare, nelle opere degli altri, il suo simile assopito? Soulages spia il Calvario di Mantegna: La qualit delle forme e dello spazio, malgrado lapparente realismo A destra, dove c la croce del cattivo ladrone, tutto astratto, silenzioso. A sinistra, il gruppo della Vergine, patetico. Il patetico, in Mantegna, mi tocca meno. Sono sensibile soprattutto al ritmo delle verticali delle rocce, di questa croce, a questa immensa verticalit. Il lato destro tragico, il sinistro patetico. La Vergine piange, il ladrone si esprime attraverso le sue linee. Questunit, questa scalata dello spazio da parte delle forme, conferisce una grandezza tragica a tutta la

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scena. S, non solo un mezzo per restituire la grandezza del dramma, il tragico in s, nella tela. Era necessario vivere dentro di s questo dualismo, per riconoscere in Mantegna la lacerazione fra severit compositiva e patetico? Davanti al San Sebastiano: Il grande arciere in basso, il paesaggio minuzioso in lontananza Lurto fra questi due spazi opposti, lo sconquasso che crea, ecco cosa colpisce: laccostamento fra il realismo di un dettaglio e lirrealt di unimmensit che si ritrovano violentemente giustapposti. In ogni caso, meno sconvolgente del Calvario. Leffetto, qui, pi intellettuale che plastico. un po troppo legato alla figurazione. Sulla parete opposta, la grande Battaglia di Paolo Uccello, barbaro, sapiente strumento di magia nera capace di oscurare i pi illustri esempi di umanesimo allineati in questala della Grande Galerie. Nel 1946, venivo qui solo per questo. una delle opere capitali del Louvre. Dipende tutto dal suo rigore: quelle lance, quello scalpiccio di piedi e di gambe, quelle ripetizioni, quella verticalit immancabilmente spezzata dalle linee oblique, lo spazio che si viene a creare da quel battito ripetuto, apparentemente uniforme, alleggerito da qualche curva decorativa (gli stendardi). E poi c il colore, anche se deteriorato: il colore indipendente dalla luce. Ma vergognoso parlare di questo quadro in modo cos sommario. Mi sembra di mutilarlo. Un silenzio, poi:
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conta. Ma a contare ancora di pi il dialogo tra limmagine e ci che essa risveglia senza riuscire a dirlo, tra le forme figurative e la geometria soggiacente. Questi due elementi si influenzano reciprocamente, sono necessari luno allaltro. Prenda le Nozze di Cana del Veronese. la grande orchestra ben collaudata, raffinata. La forza del tutto non si perde, nonostante la diversit e la virtuosit delle parti. La puoi abbracciare con lo sguardo o percorrerla minuziosamente, un dettaglio dopo laltro. E lartista dirige quelle due diverse imprese, quei due concerti. Guardi il grande quadrato del cielo: sotto c un cerchio e, in cima, il Cristo. Questo non impedisce che, pur riconoscendo la necessit del dialogo, Soulages prediliga nettamente uno dei due interlocutori: quello che, dal Rinascimento al Novecento, stato respinto sotto la superficie. Nella Venere del Prado di Tiziano, sottolinea quellin alto, a destra! che si avverte dappertutto. E davanti al Cristo di El Greco dir: I due prelati, uno nero e bianco, laltro bianco e nero il corpo del Cristo che partecipa del ritmo del cielo Viene perfino da chiedersi: sarebbe un cielo, se non ci fosse Cristo davanti?. A confonderci non sono quei trucchi da illusionista, quei miraggi della percezione che la superficie ci propina? Le grandi opere rinascimentali e postrinascimentali sono degli ingranaggi: non mi piace infilarci le mani. Scoprire la struttura che soggiace allimmagine in superficie equivale a
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Quel miscuglio inscindibile di coerenza e incoerenza. Nella Battaglia degli Uffizi vediamo i vinti fuggire davanti ai vincitori e, sullo sfondo, delle lepri che se la danno a gambe, inseguite da un gruppo di cacciatori. La composizione del quadro si struttura attorno a due linee oblique che, dipartendosi dalla parte inferiore, finiscono per avvicinarsi nella parte superiore, arrivando a formare un triangolo. Ma mentre i vincitori, i cacciatori, sposano decisamente la linea di destra, i vinti, la selvaggina, deviano decisamente rispetto a quella di sinistra. Come se Uccello avesse voluto dirci che deviare dalla geometria ci indebolisce, che la forza sta nellobbedienza alla legge matematica, le cui linee sono, nel senso pi letterale del termine, linee di forza; o, se vogliamo, che proprio come la vela ha bisogno di un albero per essere sostenuta, solo limmagine figurativa che sottende unarmatura astratta riesce a dispiegarsi fino in fondo. S, ma a patto di non limitarne le fondamenta a qualche figura elementare, alla geometria. Uno dei miei quadri preferiti, allepoca ma in verit ho iniziato ad amarlo dopo Uccello era il Concerto campestre. Quelle due gambe e quel flauto messo l, quasi ne fosse un prolungamento, lequilibrio fra le due donne nude, lequilibrio fra il braccio e lanca quel rigore nella grazia. Larchitettura di tutto questo? Oh, cielo! Non pericoloso accanirsi sullo scheletro della pittura a scapito della sua carne? Ho limpressione che cos si finisca per radiografare lopera senza guardarla. Lei esagera le mie affermazioni. Che si tratti di una Vergine o di una mucca, ovviamente,

spezzare lincantesimo. Ma il fatto di riuscire a coglierla dimostra che siamo sensibili a essa. La Susanna al bagno di Tintoretto gli fa dire: Lo spazio di questo quadro: affascinante! Il suo segreto sta pi in un quadro assolutamente unico che in tutte le teorie sulla prospettiva. Sono rapito. E il ritratto di Madame Rivire di Ingres:

Paolo Uccello, Battaglia di San Romano, 1456. Olio su tavola, 182 x 317 cm.

Pierre Soulages, Peinture, 260 x 202 cm, 19 juin 1963, 1963 Olio su tela, 260 x 202 cm.

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Di questo quadro non si pu certo dire che lasci appagati, eppure ha un che di insensato, di sferzante. una delle grandi cose della pittura. Vai a capire perch. Uno dei limiti della pittura consiste precisamente nel rendere limmaginesuperficie cos perfetta che risulta impossibile trasgredirla. E se Soulages ammette questa perfezione, ne con ogni evidenza inquietato. Quando arriviamo davanti al Funerale a Ornans torna finalmente a respirare: Incredibile! Il colore, la gravit di questo lavoro La grande orizzontale Tutti i chiari a sinistra, e quella grande massa nera a destra Il colore logoro, opaco Uno dei grandi quadri della pittura francese I neri (Ride, imbarazzato, come se si accorgesse allimprovviso di star perorando la propria causa.) duro come un sasso. Nella Zattera della Medusa, invece, c ancora una ricerca delleffetto. Quello che Soulages elogia, in Courbet, tutto ci che sogna un artista deciso a piegare la pittura alla sostanzialit della scultura. Sulle strade deserte dei villaggi di Courbet la pietra affiora, a volte scavandola, dalla superficie erosa dellasfalto (il colore logoro, opaco): qualcosa di immenso, di materiale, di muto viene alla luce attraverso limmagine grezza. Ed l, a fianco dellideale narrativo e della pittura pura, che si d un terzo limite possibile della pittura: il sostanziale captato da unarte superficiale; in altre parole, una riconciliazione dello spirito e del suo contrasto, la natura. La passione per il nero che
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nostra arte pu scoprirla. Per lo storico, loggi nasce dallo ieri; per il creatore, lo ieri nasce dalloggi. Che senso ha, allora, frequentare il passato? La mia ricerca fortemente limitata dalle possibilit del mio mestiere, della mia epoca. Cos, ogni volta che il dorso di una scultura di basalto si offre bruscamente al mio sguardo, cos lontana da me, da ci che mi circonda e di cui mi servo, mi sento emozionato, confortato.

sembra sovrastare Soulages (e che in buona parte deriva dal suo attaccamento alle Donne di Algeri di Delacroix uno dei quadri che ho amato di pi) non deriva forse dal fatto che il nero, elevato dal pennello o dalla spatola al rango di colore, non mai davvero tale? Nella loro solare confluenza, sopravvive come un residuo di un regno primitivo: una sorta di possente Ecate, la sola divinit uranica alla quale, stando a Esiodo, Zeus lasci i suoi privilegi dopo il trionfo degli olimpici. Ecate, dea della terra. La quale, stando alle antiche teogonie, non forse figlia di Caos e della Notte, della Notte che nera? Soulages, grazie a Dio, pi diretto: Il nero? Lho sempre amato, anche nei miei primi dipinti infantili. Preferivo gli alberi in inverno, la stagione dei tronchi bagnati. sempre stato la base della mia tavolozza. lassenza di colore pi intensa, pi violenta, quella che conferisce una presenza intensa e violenza ai colori, perfino al bianco: come un albero rende blu il cielo. Forse per via di unindole cupa? Per niente. Non c nulla di sentimentale nel mio amore per il nero: in Cina, il nero non il colore del lutto. Semplicemente, io vedo nero: allaccademia ci facevano disegnare lo stampo in gesso di non so quale marmo antico. Io mi piazzavo in controluce: il mio discobolo era di un nero debano. Ma questo non equivale a reinventare larte del passato? S. Ma pi come un navigatore potrebbe inventare un continente, che come un ingegnere inventa una macchina. Crediamo solo ci che riconosciamo. Larte del passato esiste, ma solo la

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9 Saul Steinberg

Mi apprestavo gi a rispondere, non senza qualche senso di colpa, alle solite obiezioni: Sono un pittore, sa, parlare non il mio forte. Del resto, si pu parlare darte? Lesperienza estetica come lesperienza mistica, non si spiega. Lui per mi rassicura subito: Io diffido di quelli che restano ammutoliti, estasiati o tramortiti davanti a un dipinto. Credono ai miracoli, loro. Ma il paradiso siamo noi a doverlo costruire. I veri mistici sono sempre stati dei chiacchieroni. Per rendere onore a un quadro, devi raccontartelo in tutti i dettagli possibili. Se ti blocchi, vuol dire che sei davanti a un padrone, a un capoccia. Il silenzio frutto della paura, e Steinberg odia le dittature. Larte una sfinge: il bello della sfinge che devi interpretarla. Quando hai trovato uninterpretazione, sei gi salvo. Lerrore della gente credere che la sfinge possa dare solo una risposta esatta. In realt ne d cento, mille, forse nessuna. Pu darsi che linterpretazione non ci porti alla verit, ma un esercizio che ci salva. La parola salvezza, libert. Ed senza dubbio al ruolo essenziale della parola che va ricondotta la vocazione di Steinberg. Io sono uno scrittore. Disegno perch lessenza di un buono scritto la precisione, e il disegno un modo preciso di esprimersi. La caricatura, in effetti, non possiede una natura squisitamente visiva; essa rappresenta, al contrario, la forma pi visiva che possa assumere il pensiero, il linguaggio. Ci che differenzia il disegno di Goya da quello di Daumier non tanto il talento, quanto la sua funzione: il primo si guarda, il secondo si legge. La caricatura sta al disegno puro come laraldica sta alle armi parlanti. Laccusa di letterariet non spaventa affatto Steinberg. Tutto, in arte, ha unorigine letteraria, fatta eccezione per lEspressionismo Astratto, che nasceva dallattivit del corpo e non dal pensiero. E anche l, a ben pensarci LAction Painting metteva in opera lintelligenza del corpo, e tutto ci che deriva da una qualunque forma di intelligenza rientra in parte nella letteratura. Lintelligenza del corpo la metafisica del fisico. Tutto parla, del resto. Tutto messaggio: i profumi, gli oggetti che tocchi, perfino lodore del museo. In Europa
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i musei hanno un odore di prefettura, di scuola elementare; in America hanno lodore delle banche. Se il pi delle volte non cogliamo quei messaggi perch la loro ricchezza soffocata da una povert assordante, come una conversazione in un tavolino allaperto soffocata dal rumore del traffico. Passiamo la maggior parte della nostra vita a interpretare messaggi chiari, preconfezionati (la posta, i giornali, i segnali rossi e quelli verdi ecc.). Gli altri, per essere decifrati, richiedono uno sforzo che preferiamo evitare. Ma proprio questo sforzo che arricchisce la nostra vita, che la riempie di gioia, che la rende per cos dire inesauribile. Incitare gli uomini a decifrare i messaggi pi profondi. Gi, ma come? La pigrizia, lindolenza, la routine non li spingono a vedere solo ci che possiede un linguaggio familiare? Per farli uscire dai binari bisogner dunque agire dastuzia: deviare in silenzio, azionando il comando a loro insaputa. Ci vogliono delle trappole seducenti.

il peto, lo sbadiglio o il sesso incontrollabile. Quando provi a reprimere uno sbadiglio, ti esce dalle orecchie. E capitano certe esplosioni Il riso un linguaggio puramente fisico. Serve a spalancare le porte. Ti aspettavi degli invitati in frac: vedi entrare dei gorilla, dei funghi. lo stesso linguaggio, ma a disposizione di un altro contenuto. La caricatura, per la maggior parte degli umoristi, risponde alla sua origine etimologica: serve a caricare. In Steinberg, invece, scarica il linguaggio dalle sue costrizioni. E, alleggerita, vola fuori dalla finestra: appartiene ormai alle cose. Basta stravolgere i normali circuiti fra segno e significato. Luomo che con i suoi disegni punta a offuscare la comunicazione dice: Sono diventato moralista senza volerlo. A prima vista laria modesta, posata, vagamente pedante, da professore di chimica in ununiversit americana. Lo sguardo, il sorriso nascondono qualcosa di inquietante. E quel berretto, poi Dopotutto, per, potrebbe trattarsi di un professore in vacanza. proprio quanto devono aver pensato le quattro studentesse che ci avvicinano nella sala delle sculture romane. Di colpo, eccoci calati in una situazione squisitamente steinberghiana: alle prese con qualcosa che ha tutte le caratteristiche di un linguaggio ma che non riusciamo neanche lontanamente a decifrare. Le ragazze, capiamo, parlano spagnolo. E, pian piano, ricostruiamo la domanda cui sembrano dare quasi per scontato che il mio compagno abbia una risposta: Perch le orbite della colossale testa di Antinoo, il favorito dellimperatore Adriano, sono vuote?. Senza esitare, Steinberg spiega: al posto degli occhi erano incastonate due pietre preziose, e quando arrivarono i barbari Segue un gesto da illusionista, cos naturale e preciso da lasciar credere che quelluomo dallaria innocente abbia preso lezioni di borseggio a Trastevere. La nostra visita cominciata dai mosaici romani. LAmazzonomachia rinvenuta a Dafne, nei pressi dAntiochia, del iii o iv secolo a.C. Steinberg indica la parte centrale, andata perduta, su cui si stende una colata di cemento: Questo spazio vuoto al centro trasforma lopera in una faccenda geografica. come unisola, come un mare. Non stupisce che larte astratta rifugga il museo: solo qui si vedono cose del genere. Questi buchi sono riposanti. Ecco perch ci sono pagine noiose perfino nei buoni romanzi. Con questo buco, poi, la testa delluomo morente molto pi emozionante: come unazione che si svolge dietro un cespuglio. La capacit di mostrare solo una piccola

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I disegni di Steinberg sono come una miriade di semafori perennemente accesi sul verde: vai avanti tranquillo, e sul pi bello ti investono. Lo humour una trappola portentosa. Io, al New Yorker, sono come un coccodrillo travestito da coniglio. Laria innocente fondamentale. Senza, non si ride. Il riso unottima premessa. Aiuta a disarmare, spalanca le porte dellistinto. come il singhiozzo, come

parte delle cose: erotica, femminile. Lo sguardo si dirige a sinistra, sui due cavalieri che combattono: Come sono eleganti, quei guerrieri! Lartista, qui, un esecutore passivo dello stile di unepoca, della decadenza, del rococ. (Una pausa) Ma quando arrivato ai denti del cavallo, quando ha riconosciuto quei quadratini, ha capito che tutto il mosaico era fatto di

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denti di cavallo. Guardi: tutto astratto, traslato; le narici del cavallo, per esempio. A parte quei denti, che sono dei veri denti. Dalla bocca di quale mostruoso Pegaso possono essere sgorgate le migliaia di quadratini che compongono il suolo che calpestiamo? Sempre quei denti di cavallo Dopo che hai visto una cosa non riesci pi a sbarazzartene: sei come contagiato, la vedi dappertutto. Lei, io, tutto in questo momento fatto di denti di cavallo. Ovviamente il mio occhio a essere contagiato. Un contagio che celebrato come un sintomo di vita: la forza di un microbo non risiede forse nel suo potere contagioso? Per rendere vere le cose, io faccio il mosaico di un mosaicista intento a fare un mosaico. il fatto che si spiega da solo. Adoro questo genere di cose. Dopo un po, di fronte a un altorilievo romano qualunque, dir: Amo gli altorilievi. Ti permettono di fare cose assurde. Fare la scultura di una roccia, che gi di per s una scultura! assurdo, divertente, emozionante. Gli scultori, fondamentalmente, sono fabbricanti di idoli. Tradurre la carne in pietra, per esempio, sfidare luomo. Perch una pietra venga ammessa nel museo nel tempio deve essere stata tradotta in bronzo. Il bronzo la sublimazione della pietra, il legno la sublimazione del ferro, e cos via. questo, per inciso, il segreto della Pop Art.

Meraviglioso! Una follia assoluta! Guardi come sono profilati gli alberi. Larchitettura ha imitato gli alberi, poi gli alberi hanno imitato larchitettura. Sono stati i cipressi a inventare i campanili e i minareti. Moltissimi dei suoi disegni raffigurano labolizione imprevista, sconcertante, comica, della distanza che separa lartista dal mondo: come il personaggio che, intento a disegnare un tavolo, ne diviene a sua insaputa una gamba. A rendere possibile questo scavalcamento la virulenza, la natura proliferante della linea. Luomo e le cose sono legati da un tratto comune, nel senso pi stretto del termine; un tratto le cui forme danno vita a una scrittura. Per Steinberg tutto linguaggio. Il linguaggio degli uomini, il linguaggio delle cose, cos diversi fra loro, sul piano della scrittura sono letteralmente identici. E questo letteralmente va inteso alla lettera: lidentit del linguaggio umano e del linguaggio delle cose sorge sul piano dellalfabeto. Nuove combinazioni fanno deviare le lettere dalla loro origine trasformandole in involucri di suoni puramente umani, in veicoli di significati astratti. Le lettere, a quel punto, non segnalano pi il mondo: significano solo ci che la tirannia delluomo vuole che significhino. Va tutto bene, leggiamo nella lettera scritta da un amico; eppure un po di dimestichezza con quella grafia baster a rivelarci langoscia che si maschera dietro quei proclami ottimistici. Steinberg dice: Per me osservare unopera darte un po un esercizio di grafologia. Per chi disprezza ogni forma di dispotismo, ci che pi conta sottrarre lalfabeto al suo padrone, scaricarlo o affrancarlo dalle catene semantiche che lo imprigionano per restituirlo alla sua natura profonda. A quel punto, tutto parla lo stesso linguaggio. Poich luomo e il mondo sono analoghi e continui, la scrittura esattamente ci che dice: pi che un insieme di segni, una miriade di firme conosciamo la passione di Steinberg per queste ultime , pi che un oggetto di conoscenza, un oggetto di riconoscimento. Il mondo uno, a patto di riuscire a decifrare le corrispondenze che ne tessono lunit. Per farlo occorre unattenzione rigorosa, maniacale. Una disposizione danimo tipica del tardo Medioevo e del Rinascimento, per i quali luniverso era un grande corpo tatuato di messaggi il cui ermetismo costituiva di per s lindice della loro presenza e della loro importanza: Le erbe parlano al medico curioso attraverso la loro firma scrive Crollius nel suo Trait des signatures rivelandogli le virt segrete che celano sotto il velo di silenzio della natura.

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Ad affascinare Steinberg, nei dipinti di Wayne Thiebaud come nei denti di cavallo dellAmazzonomachia, la coincidenza, che potremmo quasi chiamare coalescenza, di natura e arte in una forma semplice, primaria: qui il quadratino, l la ricetta di un pigmento cremoso. Non si capisce pi se sia lartista a intrappolare la natura o la natura a intrappolare lui. Pi tardi, davanti al San Gerolamo penitente del Sellaio:

Un aspetto che forse non si adatta granch a un professore di chimica? Sicuramente: a un professore di alchimia che Steinberg somiglia. Il Louvre ha pi denti di quelli di Deucalione Davanti a quel grande arazzo di pietra che la Fenice: sconvolgente! Le teste di becco, se le rovesci, diventano delle patere. E quelle ali, messe

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l a completare il busto del becco. Gli artisti hanno sempre avuto difficolt a completare due busti accostati. la ragione di quelle ali, di quel calembour di farfalle. Come un paragrafo, una scrittura. Scrittura: una parola che sembra buttata l a caso o, quantomeno, ricorrere come un tic. Ma quando la testa di becco diventa patera, quando le ali di aquila si ricompongono allimprovviso in farfalle giganti, la nostra attenzione irrimediabilmente attratta, finch non iniziamo a differenziare un termine dallaltro, dalla loro forma comune, dal tratto che li unisce. Il calembour visivo quando due momenti egualmente carichi di senso si trovano a lievitare, listante in cui la scrittura, solitamente nascosta dietro ai significati, si sgrava di ogni riferimento per apparire in quanto tale. La fenice al centro fa un po tacchino: sembra una madonna dei poveri, una servetta piena di santini e medagliette da due soldi. I veri pavoni, quelli s che sono magici: questa unanatra con unaureola in testa. Indica i fiori disseminati in tutto il mosaico: Sono tutti orientati verso lalto. Lingresso principale della stanza doveva essere in basso. Si vede chiaramente che i bambini di casa saltavano sui becchi, mettendo un piede sulla roccia e laltro sullanatra. In questordine, immancabilmente. Un rituale vero e proprio. Penetriamo nella sala di Augusto, una delle pi grottesche di tutto il Louvre. Per me questo il vero museo. Ti senti subito circondato da centomila farfalle. Il soffitto, gli affreschi, i rilievi dorati, i marmi della pavimentazione, i busti, gli eruditi: tutto esige di essere guardato. troppo! Tutte queste farfalle ti paralizzano. Niente di pi morto, in effetti, di pi ipnotico di una farfalla infilzata sul fondo di una scatola. Allimprovviso rivedo il museo di Harvard, luogo funereo per eccellenza in cui si ammassano migliaia di farfalle di vetro, perfettamente riprodotte. Steinberg contempla il soffitto su cui si dipana un affresco raccapricciante, nella tradizione perbenista inaugurata da Puvis de Chavannes: Per sbarazzarsi delle cose troppo nobili che dipingeva negli edifici pubblici, Puvis a casa faceva disegni sconci. Non fatico a immaginarmelo mentre picchia sua moglie. Nemmeno il soffitto della sala successiva passa inosservato: Un incubo! fatto a ottagono, una forma pesantissima. E cos pieno che ti sembra di soffocare! lOttocento che dice: Ci siamo anche noi. Fanno concorrenza alle opere esposte, come Frank Lloyd Wright con il suo Guggenheim. Per lei, allora, quale sarebbe la soluzione migliore? Nessuna. Non si dovrebbero aprire i musei. I ritratti del Fayum, qualche busto imperiale Davanti a quello di Annio Vero, morto nellanno 169 della nostra era: Il naso spaccato, mancante, ci che rende bella la sfinge. La morte si porta via i nasi.

Un naso carnoso un segno di vita. Il teschio: questo il segreto del fascino di Greta Garbo. E anche quello di Brigitte Bardot: un teschio allegro, con una bocca da neonato, sensuale come le labbra di un pesce. Pi avanti un ritratto del Fayum, grezzo, bellissimo: Impossibile imitare i primitivi. Si possono imitare i geni, gli scopritori, gli inventori. Esplorare quello che hanno scoperto. Czanne, per esempio. Ma il primitivo la punta di una piramide. Dopo di lui, il nulla. Rousseau, per esempio Senza voler offendere nessuno, chi sono, oggi, i primitivi?. Busto in marmo di Fanciulla romana ignota: Un vero neonato, con la boccuccia perfida dei neonati. Come il volto dei marines: il neonato assassino. La faccia grande come una pizza e la bocca piccolissima. il sensuale in formato piccolo che d lidea di perfido. La grande bocca sensuale quella del coccodrillo, per esempio trasmette pi fiducia. Ci dirigiamo verso la grande scalinata. Ai suoi piedi, una testa colossale, quella di Lucilla, moglie dellimperatore Lucio Vero: Questo catafalco, in realt, un ninnolo. La grande scala non gli dona. Lassenza di proporzioni il simbolo del tiranno. Lartista-schiavo ha dato vita alle arti iperarzigogolate dellIndocina (microfilia) e allarchitettura delle banche (macrofilia). Le quali, del resto, sono entrambe delle forme di necrofilia.

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Lucilla, o il preambolo alla dittatura. Eccoci al primo piano, tra le forche caudine delle grandi opere dellufficialit. David a sinistra, David a destra Gli mancava la fede. un vero mostro. Tipi come David sono scultori-architetti che si sono dati alla pittura per errore. Intendono la pittura come una scultura policroma. Traducono, traspongono. Il contrasto fra le vesti, nei Littori, viene dal chiaroscuro degli incisori. Quel blu come le stampe di pinal. Era cos fiero dei suoi bianchi! LIncoronazione di Napoleone: Che cosa assurda da fare! Quelle sei candele enormi, per esempio, tutte dipinte in prospettiva: un incubo. il contrario della pittura: un lavoro fisico. Solo nella scultura larte e il lavoro fisico sono legati. Lo scultore ha bisogno di mettere alla prova il suo corpo. Io diffido degli scultori magri. David aveva talento, ma un primitivo: il vero pittore non ha tutto quel talento. La fatica come una quinta colonna della morte che la dittatura introduce nella vita. La morte si addice a David. Davanti al Ritratto di Madame Rcamier: mortifero. Ha riprodotto, forse senza accorgersene, lespressione dei defunti sulle tombe etrusche. Eccoci sprofondati nel regno della fatica. LApoteosi di Omero di Ingres: Unarte da professori. Un buon lavoro. Percepisci la fatica che ha fatto. Dante trasformato in cariatide da quei corni dariete un calembour da erudito. Di Picot, Amore e Psiche: I pittori classici, cresciuti a pane e statue, dotano i loro personaggi maschili di falli trop-

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po piccoli. Risultato: le ragazze, quando si ritrovano davanti a un uomo in carne e ossa per la prima volta, restano sconvolte. (Una pausa) Lartista accademico comincia fin da piccolo a copiare le pieghe dei gessi. I gessi saranno sempre il suo grande amore. Gli alberi, le nuvole, i volti: cercher di tradurre tutto in pieghe di gesso colorato. Una mania a dir poco bizzarra Ha radici profonde. Le pieghe sono affascinanti: sono la sensualit dei bambini. Van Gogh era ossessionato dalle orecchie perch contenevano tutte le pieghe: le vesti, le forme femminili. Una forma di erotismo. Le pieghe dicono tutto, perfino troppo: una delle maggiori preoccupazioni dei pittori quella di assicurarsi che le loro pieghe non celino simboli inconsapevoli. E poi le pieghe si ricollegano alla pi antica delle arti, limbalsamazione. Le pieghe imbalsamano la realt, e cos facendo la deificano o la sublimano. Le pieghe migliori che abbia mai visto erano in un ritratto di Lenin. Le sedie drappeggiate sono come le nuvole nelle apoteosi ascensioni o assunzioni delle Madonne di Raffaello o di Rubens. La storia dellarte, stando agli storici, unopera di imbalsamazione. Solo i santi che sono stati davvero imbalsamati si salvano: lo stesso vale per gli artisti. Amiamo le reliquie, non i vivi. I vivi danno fastidio. Le Chiese amano quelli che hanno gi ricevuto lestrema unzione, non i martiri. E i musei anche: sono delle accademie di imbalsamazione. Producono cultura, non arte. La morte di Sardanapalo giusto in tempo per rincuorarci: La donna pugnalata di una tale bellezza! il contrario di Ingres, che voleva rappre138

come quegli esercizi di calligrafia che rifilano alle ragazze nelle finishing schools, le scuole di buone maniere. La cattiva scrittura burocrazia artistica: unoffesa alla natura. Se luomo si esprime solo con i mezzi della societ, ha sprecato la sua vita; in effetti, la societ esige che lo faccia. San Francesco, vestito di un saio, inginocchiato ai piedi della montagna: La cosa pi interessante non fare una montagna o un saio, ma trasformare le pieghe in muri, in alberi o in montagne. Immancabilmente, il calembour fa apparire non gi lidentit dei drappeggi e delle rocce, ma la forma comune da cui si originano, la scrittura. Con la lettera A fai larchitettura. La virt della B che puoi fare dei volti, degli alberi, delle vesti. La A e la B sono la convenzione; il piacere della scrittura sta nel trasformarle in tutte queste cose. la povert del linguaggio, del materiale della scrittura che permette di operare il miracolo. Un materiale come lalfabeto occidentale complica, ovviamente, limpresa. Il pittogramma, il geroglifico hanno meno distanza da percorrere per ritrovare le cose. Ma proprio questo a rendere interessante la sfida. Le civilt pittografiche sono meno lontane dalla natura. Luomo dellalfabeto luomo dellastrazione: pi di chiunque altro, ha bisogno di avvicinarsi alluniverso sensibile. Che un artista riesca a vedere le cose secondo lalfabeto: ecco il testimone dellalleanza pi improbabile e al tempo stesso pi necessaria. Dei triangoli, dei cerchi, dei rettangoli: la composizione (un pentagono) molto rigida, ma invisibile. un numero di equilibrismo. I raggi che emanano dalle stigmate del santo sostengono in aria la sagoma pesante dellangelo. come un gioco meccanico solidissimo. Un miracolo di cui riesci a vedere tutti gli ingredienti. questo a rendere bello il miracolo: normale, naturale.
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sentare tutta la storia dellarte. Il quadro di Delacroix la contiene tutta, dallinizio alla fine. Fuggiamo: Italia! Italia! Dittatura, terrore, fatica, silenzio o il che lo stesso parola imposta: ecco la costellazione sotto il cui influsso malefico ha luogo la scomparsa della scrittura. Tutti i buoni dipinti si radicano su una scrittura. Se quella firma, se quella scrittura non c (in Puvis, per esempio, o nellOmero di Ingres), entriamo in una dimensione atroce in cui a dipingere non pi lartista, ma la societ. Siamo davanti al San Francesco dAssisi di Giotto: Rappresentare la casa o lalbero in questo modo un po come scrivere albero, casa. Come eseguire dei bellissimi geroglifici. Ci che rende atroci quadri come lApoteosi di Omero che gli autori hanno soppresso se stessi: non c pi scrittura, solo una proiezione di immagini, di clich. Nel Sardanapalo, invece, avverti la scrittura personale. In realt, se Ingres contiene un messaggio dovrebbe possedere anche una scrittura Diciamo che lopera di Delacroix scrittura e quella di Ingres tipografia La mano fondamentale? S. Niente scrittura, senza la mano e senza tutto ci che la supporta e confluisce in quella mano, senza lenorme architettura che la fa muovere: biologia, geologia, storia delluomo. La scrittura solo la punta di una piramide gigantesca. Qualsiasi scrittura buona, dunque? No, ce ne sono anche di pessime. Nelle cattive scritture cogli il lato patologico della societ,

Non folle sperare che una costruzione astratta e arbitraria come lalfabeto corrisponda alla struttura della realt? Ma in fondo non c altrettanta distanza

Giotto, Stimmate di San Francesco, 1295-1300. Tempera e oro su tavola, 313 x 163 cm.

Saul Steinberg, Louse Point, 1969. Olio e timbre su cartone, 46 x 61 cm.

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fra un quadro dipinto intorno al 1450 e luomo che lo guarda oggi? E daltra parte non verrebbe da pensare, guardando la Battaglia di Uccello, a unincarnazione visiva delle preoccupazioni pi profonde di Steinberg? Magnifico! una concezione filosofica della pittura. La cosa pi intrigante il mostro formato dallinfilata dei tre personaggi a sinistra. Il centro la cosa meno interessante (il personaggio del capo vittorioso): scritto su ordinazione, dettato. Ma una parte debole ci vuole sempre. Il suo sguardo torna a quei personaggi di sinistra che, schiacciati luno addosso allaltro dalla prospettiva, si agglomerano in un essere a pi braccia e a pi gambe: Questa specie di amalgami mostruosi tipica degli uomini ossessionati dalla chiarezza. Mi fa pensare a Poussin, cos ossessionato dalla volont di rendere visibili i suoi dipinti da cadere spesso e volentieri nellequivoco. Una pia donna aveva fatto piazzare uno dei suoi quadri, un soggetto mitologico, se non erro un po licenzioso, sullaltare del suo oratorio, pensando si trattasse di unopera religiosa. Il lapsus la vendetta dellinconscio, del naturale bistrattato dalla volont.

mente scoperta, in questo quadro, il volto del condottiere. Dico stranamente perch visto molto pi di fronte che di profilo. Un profilo gi un meccanismo. Tutto il resto mascherato; perfino le gambe dei combattenti sono mascherate di colori vivi. Non sono pi dei piedi, degli alluci, come nel Giotto. E poi le corazze, i cavalli bardati: tutto, qui, mascherata. Uccello il maestro del camouflage. La terra, lorizzonte sono mascherati dal nero, nonch dalla gabbia formata dalle lance. Lintera scena si svolge in mezzo al nulla. una battaglia fra coccodrilli, tartarughe, granchi rinchiusi in una gabbia. Per terra, non resta che qualche ciuffo di ci che stata la natura. Privati del verde (dal pittore o dal tempo), quei ciuffi derba sono divenuti degli animali, dei brandelli di pelliccia. La bandiera! Una bandiera sempre un collage, una maschera. Qui, per, la bandiera mascherata un po di pi dallondulazione, che la rende una scrittura davvero incomprensibile. In ogni caso, la cosa che mi attira di pi langolo sinistro: ogni personaggio mascherato. Leffetto quello di un mostro tricefalo al di l di ogni immaginazione. Mi ricorda lepoca in cui vivevo a Santo Domingo, nella foresta. Una notte mi svegliai in preda al terrore. Sentivo che cera qualcosa di orribile. Accesa la luce, vidi migliaia di formiche che trasportavano un enorme scarafaggio. il raggruppamento a fare il mostro. Un po pi in l, la Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e Caterina dAlessandria del Perugino: Che meraviglia! Quel verde cupo, e quel rosso! Lo amo per via delle oleografie che vedevo da bambino. Davano esattamente la stessa qualit ai colori. Una cosa che potresti amare pi come un dolce, che come un dipinto. Lo guardi con la lingua, non con gli occhi. di una semplicit angelica, assolutamente naturale. Come Braque. Solo che le mostruosit hanno sempre intrigato di pi delle cose angeliche: proprio come nei western, dove i cattivi sono sempre pi interessanti dei buoni. Il culto del mostruoso in quanto vendetta della natura sulla tirannia del nobile, del convenzionale, del mediocre. Stiamo guadagnando luscita quando Steinberg si paralizza di fronte alla marchesa Visconti di Grard. La sua carne bianca e la sua veste ancora pi bianca si stagliano contro i verdi, i blu e i grigi cupi di un giardino e di un cielo preromantici: Da lontano magnifica, quella banana che esce dallombra. In questo quadro ci sono tutti i santini dellarte. Non mi dispiacerebbe avere una cosa del genere in casa. Una civilt

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Gli unici elementi chiari sono il condottiere,* le teste e le groppe dei cavalli. Il resto sono mostri, nature morte. Quelle bandiere, quelle piume Hanno provato a imitare questo quadro per mostrare gli orrori della guerra. Ma Uccello era turbato, affascinato, interessato dallorrore delle armature, degli zoccoli. Era la sua natura. Questa metafora del terrore vale solo per lui. Estesa ad altri, generalizzata, diventa allegoria, ipocrisia. Lunica cosa strana-

* In italiano nel testo. [N.d.T.]

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che lentamente ha creato questimmagine dellopera darte! Qui ci sono tutte le battaglie di san Giorgio e il drago, tutte le Madonne, tutte le citazioni possibili di Zurbarn, di Velzquez, dei veneziani Lo sfondo quello di un grande specialista del teatro. Nel cielo, ha conservato la tecnica dellacquerello. Nel paesaggio ha impiegato quella degli arazzi. Stessa intensit in alto e in basso. Ha inventato il fondale dei fotografi. E quello speciale tocco di pennello per lerba, quelloro che segue le curve dellabito semplicemente orribile. Ma per me questo quadro il mostro che attirava Paolo Uccello. Il mostruoso lassenza di scrittura. Non sufficiente, per, che la scrittura si dia perch possiamo dirci in salvo: bisogna che essa persista. Una volta decifrata, infatti, scompare, dissolta nei significati che si erano serviti di essa come di un veicolo. Occorre dunque che essa appaia non solo in quanto scrittura, ma in quanto scrittura indecifrabile (o per lo meno irriducibile a qualsiasi interpretazione), come la scrittura che Steinberg allinea lungo la pagina. Ogni scrittura si compie nellinvisibile: questa la legge che Steinberg sembra proclamare. E che deve contenere una buona dose di verit, a giudicare dallo sforzo, pi pronunciato del solito (probabile effetto del contagio), che mi occorre per decifrare il taccuino su cui ho annotato le nostre conversazioni al Louvre.

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C pittura pi radicale, pi solitaria di quella di Bram van Velde? Lui dice: Mi sono sforzato tanto di dar voce a una condizione personale da non essere mai caduto nella scia di nessuno. Quale linguaggio prendere dagli altri? Quale messaggio offrire loro? La pittura un tentativo di afferrare se stessi. Non so cosa significhi essere astratti. Perch essere astratti, secondo lui almeno cos suppongo amare, pi ancora di quanto non faccia lartista figurativo, la pittura in se stessa, amarla al punto da sopprimere loggetto da rappresentare, quelloggetto che un tempo le impediva di sbocciare pienamente. Niente di tutto ci, in van Velde, ossessionato, per dirla con le parole di un romanzo di Samuel Beckett lui a citarlo dalla cosa, sempre la cosa, da qualche parte, quella cosa da acciuffare, circoscrivere, mostrare. Van Velde manca di mestiere, di talento, come lui stesso afferma di s? Sicuramente no, ma li maltratta come un anacoreta pronto a castigare il proprio corpo, li rifiuta come un teologo erudito che, toccato dalla grazia divina, si limita volutamente a sgranare un rosario di preghiere. Ho imparato a dipingere come un imbianchino. Un po di colore, un pennello. In fondo non so disegnare. Se dipingendo arrivo a un disegno, sempre il colore a portarmici, la cosa da trasmettere, da vedere e da far vedere. Cio, lui stesso. Sono frammentato in mille pezzi: la pittura, in qualche modo, mi rende uno. Se non si tratta di astrazione, per, non pu nemmeno parlare di Espressionismo. Pi che di una confessione, dunque, si tratta di una conversione, di un tentativo di salvezza. Lopera non propone limmagine di un io intollerabilmente doloroso: in essa, lio cerca lelemento mancante che, anche solo per un istante, render sopportabile il suo destino, quel luogo miracoloso lespressione da qualche parte ritorna spesso nelle affermazioni di van Velde in cui i mille pezzi giungerebbero finalmente a ricomporsi. La pittura mi ricostruisce. Questo sforzo nei confronti dellimmagine fa s che io torni a vedere e, dunque, che possa ricominciare. Pi che nei confronti dellimmagine, un quadro di van Velde mi sembra uno sforzo di localizzare, attraverso tracciati precisi come quelli di una cartina geografica, quellio primario che gli sfugge, sul quale sa che non potr mai fare affidamento e che, tuttavia, non pu fare a meno di cercare. Comunque dice con rabbia spaventoso che non si possa barare, in un mondo in cui non si fa altro che barare.

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Lessenza dellavventura di van Velde sta tutta qui: quel tallone dAchille che gli altri si premurano di proteggere, lui lo espone. La pittura non vive che di scivolamenti nellignoto dentro di noi. Essa inizia a partire da quella falla che incombe perfino sul capolavoro pi compiuto e che il segno della finitezza delluomo, del suo creatore. Conoscendo e accettando la debolezza, il ridicolo, limpotenza, laccecamento che quella falla gli impone, van Velde vi si lascia cadere dentro, rifiutandosi di aggrapparsi ai bordi, acconsentendo solo a quella caduta in cui ogni volta rischia di perdersi per sempre. Una fatalit oggi assunta in modo cos totale che si fatica quasi a concepire il lato vertiginoso, orribile, della scelta sempre che ci sia un libero arbitrio di identificarsi solo con quella parte di se stessi cos vicina al nulla. Per questo amo ricordare la pittura di van Velde nellepoca remota in cui aveva una storia e nella quale si inseriva ancora nella storia della pittura. A quei tempi dice credevo di afferrare il mondo reale, ma diverse cose nei miei quadri indicavano gi che non era cos. Per esempio, la testa viola in mezzo al paesaggio bianco: il suo sguardo talmente vuoto che non riesci a sostenerlo. Ecco, quello ero io. Ogni quadro dotato di vita vive di momenti cos. Un giorno, lavorando la terra, un contadino vede dischiudersi davanti a lui una fessura minuscola, da cui sgorga un filo di fumo. Il contadino laggira, e cos fa il giorno dopo, ma sempre pi a fatica, perch la spaccatura si allarga, finch non arriva il giorno in cui la terra inte146

parte si riesce a ribaltare la situazione, che la debolezza diventa forza. Per lui, il tratto tipico dellarte sta in questa conversione: occorre dunque calarsi in una situazione impossibile, perch limpossibile la condizione necessaria del ribaltamento. In fondo alla prigione c la libert. Che cos esattamente questa libert? Quali segni possono rivelargliene la conquista, per quanto precaria? Ecco il paradosso pi sorprendente. Lui questa libert la riconosce, la vive quando loscuro dibattito interiore prende forma, si oggettiva, si condensa in qualcosa che non risolve i conflitti ma li trasforma in presenza, in opera darte. Larte inizia nellistante in cui lincomunicabile cessa; larte presuppone lesperienza particolare di rendersi trasmissibile o, in caso contrario, di cancellarsi.

ramente sprofondata in quel cratere ardente e senza fondo: cos sono i paesaggi, le nature morte e le figure di van Velde, che un giorno si vedono come alterate da una crepa segreta. Le apparenze del reale, le certezze della geometria si svuotano della loro ragion dessere. Il linguaggio appreso (da Breitner, dagli espressionisti tedeschi, dai fauves, da Picasso) si conf sempre meno a quella bocca dombra che si spalanca nelle tele e che lo rende sinistro, ridicolo. Una presenza spettrale o pi precisamente unassenza le perseguita, resa riconoscibile solo dalleffetto che ha sulle forme visibili. Le quali, alla fine, risultano meno vere di quellassenza. Poi, un giorno, van Velde smette di voler colmare quella mancanza, si dedica esclusivamente a se stesso. Fino a quel momento, lartista ha sempre puntato sulla propria forza. Van Velde il primo a contare deliberatamente sulla propria debolezza. Cos facendo, riduce la pittura a quella parte vulnerabile alla quale Baudelaire peraltro spesso invocato aveva ricondotto la poesia un secolo prima. (Uno scarto che si deve forse al fatto che le arti della parola sono le pi pessimiste, essendo le uniche a non fondarsi sui dati positivi dei sensi?) Per van Velde, ormai, nessun aiuto pu provenire dallesterno. Percezione ordinaria, formule e convenzioni pittoriche, ci che sta nel mezzo, che condivisibile, trasmissibile: tutto questo non gli pi di alcuna utilit, perch il suo caso , come si suol dire, assolutamente estraneo a tutto ci. Sono prigioniero della mia stessa capacit. Dice capacit, non incapacit. Come Baudelaire, infatti, convinto che esista un principio di reversibilit: La cosa fenomenale della pittura che da qualche Come pu van Velde, prigioniero di un solipsismo forsennato che lo porta a rifiutare qualsiasi visione o qualsiasi linguaggio comune, considerare anche solo una simile ipotesi? Ci nonostante lo fa, al punto che il suo lavoro smette di avere senso e, per lui, virt catartiche qualora non riesca ad assicurarsi, se non il consenso, almeno la partecipazione di un terzo: vedere e far vedere. Lio profondo, perennemente inseguito, si mostra a lui solo attraverso lo sguardo di un altro. Dalla sua opera, che lui stesso ha voluto priva di qualsiasi rapporto con larte precedente, van Velde si aspetta dunque di vederla integrata nellampio corpus di cui il Museo depositario. Gli chiedo: Lei frequenta il Louvre?. Certo. La mia proposta di andarci viene subito accolta. Sulla strada mi dice: Un tempo ci andavo per imparare. Questo accadeva prima che divenisse prigioniero della sua capacit. AllAia, tempo addietro, aveva copiato il volto di un giovane Rembrandt ritratto da uno spagnolo sconosciuto, perch, dice, quel volto mi affascinava. Poi ci fu la crepa, lo smarrimento vertiginoso e quellisolamento asso-

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luto che oggi gli fa dire: Il passato, la tradizione, la storia? Non ci capisco granch. Sono legati al tempo. Io sento pi la vita, ci che fuori dal tempo. Le spedizioni al Louvre non cessarono, ma si tinsero di altre ragioni. Ci andavo la domenica, dalle due alle cinque. Adoravo venirci con questa folla. In un modo o nellaltro, sentivamo tutti la stessa cosa, un po come al cinema. Pi la solitudine totale, pi grande il desiderio di comunione. Oggi le sue visite si sono fatte meno frequenti. Adesso non ci vengo per curiosit, ma per un bisogno pi profondo. A volte sento come un richiamo. Dentro di me c un vuoto cos grande che mi sento spinto a venirci, come estrema risorsa. Lo faccio senza volerlo, come se qualcosa mi attirasse qui, in uno stato nebuloso. Guardo a sinistra, a destra, mi soffermo, vago come un sonnambulo. A un certo punto, qualcosa mi costringe a vedere. Non facile vedere. Ci vuole un certo coraggio, e non sempre labbiamo. (Lo sguardo di van Velde assente, e poi, allimprovviso, si fa straordinariamente intenso: mi fissa senza battere ciglio.) Porte Denon. Esitiamo. Destra o sinistra? Il Louvre come una citt, conosci solo il tuo quartiere. I mosaici del Nord Africa, i ritratti del Fayum verso cui lo dirigo, non li aveva mai visti. Sono cos lontani da lui, lo coinvolgono cos poco che van Velde sembra la benevolenza fatta persona. Resta in ammirazione, poi, davanti al mosaico dellariete, dichiara, con il distacco tipico del turista: molto bello.
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valletto, potremmo aggiungere, cio a partire da Giotto, dalla pittura moderna: a partire dallistante in cui la pittura ha voluto restituire su uno strato sottile e limitato lo spessore e limmensit del mondo esistente. Van Velde, insomma, riconoscer il suo mondo solo al primo piano, dove si snoda il ciclo postrinascimentale. Una volta l: Se consideri larte seriamente, in un certo senso smette di essere seria. una storia fatta per ridere, ma che in realt fa piangere. O il contrario. Scoppia a ridere e allimprovviso mi riscopro estremamente sensibile al grottesco dellimpresa pittorica: una miriade di persone in coda davanti agli sportelli della Cassa di risparmio mentre fuori monta il diluvio. E questa sensibilit non fa che aumentare quando passiamo davanti ai pezzi da novanta di Gros, Gurin, Girodet. LIncoronazione di David assume laria di una grandiosa beffa. Ma van Velde non ride pi. A irritarlo, qui, non lassurdit, ma la totale incoscienza di quellassurdit; di fronte a queste tele, suppongo, deve provare la rabbia e il disgusto che Pascal sentiva per gli schiavi del divertimento. Tace, e il suo sguardo si fa neutro, per rianimarsi solo di fronte al Sardanapalo di Delacroix: Questo d i brividi, no? il ritratto del voyeur. Spaventoso! Sfiora da vicino lincubo, lo smarrimento. Nella mia ultima opera, in studio, ho avvertito la stessa pugnalata. Lavevo girata contro il muro per non vederla pi. Vedevo quella pugnalata, e pensavo vagamente a questo Delacroix. Ma in lui lorrore risiede nel visibile; per me sta nellinvisibile, in ci che si indovina soltanto. Van Velde, dunque, riconosce i suoi non gi sul piano della plastica, ma della vita, che per lui una sorta di incubo. Tutti i pittori possiedono questo elemento. Solo, noi abbiamo pi coraggio di affrontarla. La frontiera dellangoscia si spostata. Tutta la pittura assurda, ma la coscienza dellassurdit, da cui scaturisce langoscia, modifica stranamente questa prospettiva. In mancanza di questa coscienza, van Velde cerca nei suoi predecessori linquietudine segreta, che aleggia senza motivo apparente e che, in un barlume improvviso, giunge involontariamente a confermarsi. A sollecitare il suo sguardo, al museo, sono i prefiguratori, tanto pi convincenti quanto pi inconsapevoli, del suo vangelo dellimpossibile. Immobile davanti alla Zattera della Medusa: Mi ha ossessionato a lungo per il suo grandioso elemento acqua. Tace, lo sguardo fisso, poi, bruscamente: Quella vela minuscola, in lontananza!. Scoppia a ridere e, fattosi improvvisamente grave, aggiunge: Orrore. La sproporzione, in effetti, intollerabilmente grottesca: un pittore che, pur conoscendo a fondo il suo mestiere, fa ruotare una tela di quelle dimensioni attorno a un punto quasi invisibile. Come un architetto che decida di poggiare una piramide sulla punta. Eppure proprio questo nonsenso a rendere cos emozionante lopera di Gricault. Nel corso della nostra passeggiata locchio di van Velde non far che svelare
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Bello? S, ma non il mio mondo. Il mondo dellarchitettura, delle opere concepite dallarchitettura, tende alla bellezza. La vera pittura tende al brutto, allo smarrimento. Larchitettura, al pari degli oggetti, si situa nello spazio reale, l dove tutto semplice, esente da contraddizioni. Lopera decorativa partecipa di questa gioia, di questa pienezza delle cose cui lessere votato. Van Velde, al contrario, si sente coinvolto solo a partire dallistante in cui la pittura diviene impossibile o la sua stessa assurdit gli permette di esprimere lassurdit della condizione umana. A partire da Rembrandt dice; a partire dallinvenzione del quadro da ca-

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il tallone dAchille, la crepa quasi impercettibile che fa oscillare lintero edificio e che attraverso la breccia permette di scorgere, nella coerenza apparente, una verit pi fondamentale. Davanti al Funerale a Ornans di Courbet: Questa la terra! Quelle facce da mangiatori di patate. E tutto quel nero, quasi senza bianco. Affascinante.

Devessere lui. cos espressivo, cos strano, cos profondo. Uno sguardo affascinante. Non lo vedi, ma lo senti. Cos intimo. Si sofferma a riflettere e, in quei pochi istanti, la tela sembra inondarsi di quello sguardo, come se losservazione del mio compagno avesse aperto una falla nellinvolucro del volto. Si parlato di amore per una ragazzina. (Una pausa) Se non mi sbaglio uno di questi grandi pittori era davvero un piccolo mostro. Watteau? Senza ombra di dubbio in questa fede nella virt del vizio che si radica il suo amore per Brouwer. Van Velde mi trascina verso una scena che raffigura un gruppo di fumatori: Questi tizi arenati, vittime del loro vizio. Non si pu che ridere. Sconfitti, sconfitti! A quei tempi, fumare era proibito. Decadenza feconda, serena accettazione dellintrusione di un mondo altro che finisce per celare al mondo i sicuri sostegni su cui si regge: tutti elementi che Rembrandt incarna in modo supremo. Ma cos grande il posto che van Velde gli concede nel suo universo la pittura, come lui stesso ha detto, comincia a partire da Rembrandt , che finisce per dirne poco. Davanti ai Pellegrini di Emmaus: Il mondo irreale trapassa in quello reale. un effetto che ti coglie lentamente. Lesatto contrario di una cosa spettacolare. (Un lungo silenzio) Emozionante, vicinissimo alle lacrime. Pi tardi, davanti al San Matteo, sottolinea langoscia delle mani. Lapparizione di quel viso infantile lo spinge a parlare di suo figlio. E, infine: stato il primo a dipingere tutto quel mistero nella vita. Dun tratto, lanomalia sembra consistere nellimpercettibile inadeguatezza del fare pittorico rispetto al fatto rappresentato. Uninadeguatezza che a vol-

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A me, un giorno, quel quadro ha fatto cogliere quel miracolo inverosimile che la coincidenza fra plastica e vita, tra fare e fatti: i tocchi scarlatti dei sacerdoti, certo, sono resi inevitabili nella logica della cerimonia, ma in quel punto preciso sono resi inevitabili anche dal quadro, che senza quel focolaio rosso si disferebbe sul tracciato delle orizzontali insistenti. Prodigiosa conciliazione Van Velde, al contrario, cerca la rottura, lanomalia, indice di squilibrio: il cappello strampalato della Venere di Cranach, il fuoco che rosseggia in fondo al dipinto della scuola di Fontainebleau in cui troneggiano serafiche, in primo piano, Gabrielle dEstres e sua sorella (tanto che verrebbe voglia di gridare al fuoco! al fuoco!). La sua attenzione va alla crepa in cui si origina la rovina, ma anche a unimpossibilit pi carica di senso, a quel vizio di fabbricazione che indice di salute. Vizio Lattrazione di van Velde per lossessivo, per la mania capace di soggiogare perfino lessere pi insopportabilmente stabile, finisce per chiarirsi. Pochi istanti fa ha definito Sardanapalo un voyeur. E poco dopo, davanti a un Tintoretto che ignora essere un autoritratto, dir:

te pu manifestarsi nella sproporzione, come nella Zattera della Medusa, e altre attraverso un eccesso non meno risibile di calcolo, di regolarit. Davanti al raggio di sole che cade dritto, come un filo di piombo, nel mare agitato di Claude Lorrain: Si direbbe che cada proprio nel mezzo!. Una risata: lartista, qui, non un agrimensore che si ostina a impugnare i suoi strumenti in pieno terremoto? Una pretesa ridicola, riuscire a fare il proprio mestiere in quelle condizioni: Il mestiere? Frans Hals dipinge bene, Rembrandt dipinge gi meno bene, van Gogh dipinge male. Eppure. In realt, sarebbe un errore pensare che van Velde disprezzi labilit, il saper fare. Quando, impressionato dalla sua allucinata interpretazione del Sardanapalo, gli faccio a mia volta notare laspetto fantomatico del braccio nella Libert sulle barricate, messo l quasi a voler testimoniare la natura astratta del personaggio, mi attiro questa replica secchissima: Lo fa per arrivare in cima alla tela. Certo, dice, preferisco i pittori e la pittura che sono pi legati alla mia storia personale. Ma quando la sua storia gli lascia un po di tregua, in grado di apprezzare

Rembrandt, Cristo si rivela ai pellegrini di Emmaus, 1648. Olio su tavola, 68 x 65 cm.

Bram van Velde, Composition 1970, 1970. Olio su tela, 129,6 x 195 cm.

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la buona fattura. Gioendo in anticipo del piacere che gli procurer il Mulino ad acqua di Hobbema, dice di trovare adorabile la mano della Donna con la perla di Corot e, scavalcando la corda che vieta temporaneamente laccesso al ridotto in cui regna la Marchesa de la Solana di Goya, esclama: il colore che si fa vita. Davanti a un van Dyck: Che raffinatezza! Perfino troppa, per un olandese. Viene davvero voglia di sapere chi sono quei due (Il duca di Baviera e il duca di Cumberland). E ha perfino
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Qui c qualcosa che sarebbe visibile anche senza il personaggio. Lo sfondo cos espressivo che il resto non quasi pi necessario. Grazie a quegli uomini, siamo un po meno preda di quel malessere senza nome. Di quella disperazione nera, assoluta, che aleggia in tutti gli episodi della storia umana e nella quale alcuni individui, a volte, sprofondano, riuscendo a mutarla, al pari di un trasformatore, in luce: quellangoscia lampadofora, stando alla mirabile voce di Mallarm. Una miriade di fuochi solitari nel vuoto del tempo, ma sempre alla stessa luce, e alla stessa notte, che attingono: Come lunghi echi che da lungi si confondono in una tenebrosa e profonda unit. La loro ghirlanda brillante delimita loscuro canale, la via avventurosa in cui luomo, pi che mai spossessato della sua condizione, rovescia il segno del proprio destino. Realizzo ogni volta con un certo stupore che lo sforzo di afferrare se stessi si inscrive nel corso della pittura. Nulla si condivide meglio della solitudine assoluta. Per la sua coerenza, per la continuit di cui d prova l dove dovrebbe regnare la confusione, il museo valorizza la robustezza di quella catena di solipsismi riconoscibili. Perch stupirsi, in fondo, che van Velde veda il suo come un nuovo anello da aggiungere a quella catena? Abitavo al boulevard de la Gare.* Un giorno venne fuori un dipinto, una cosa abbastanza lunga, con un elemento che, come dire, racchiudeva bene il mio stato danimo cos inafferrabile. Finito quel lavoro, rimasi soddisfatto per diverse settimane. Quando uscivo restava dentro di me, da qualche parte. Un giorno andai al Louvre. E ci fu un momento in cui, come
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una parola gentile per il Cancelliere Sguier di Le Brun. In realt, queste dimostrazioni di gusto da parte di un artista cos poco preoccupato dal gusto non devono stupire. Senza barca, niente naufragio: ci vuole il talento perch il fallimento divenga significativo. Fallimento? Non fare i conti con la reversibilit. Da qualche parte, in fondo allabisso, la facolt di espressione si ricompone: Vengo al museo per riconoscere in altri lo sfondo dangoscia della pittura. Riconoscere: figlia dellinsolubile paradosso, langoscia suscita il dono capace di rendere il paradosso non gi comprensibile, ma visibile. Il pi delle volte guardiamo meccanicamente, percepiamo un mondo morto. Il museo ci regala dei momenti in cui riusciamo a vedere. La pittura ci sveglia, al tempo stesso scossa e rimedio: Una superficie che cattura il mio occhio, che mi costringe a vederla. Una superficie che ci mostra lassurdit della pittura, ma in modo tale che questa smetta di essere una domanda alla quale non riusciamo a rispondere e divenga presenza, fine in s la accetto per ci che o, come dice van Velde, cosa. Una cosa che non somiglia a nessunaltra, alla quale non si addice altro che il suo nome. Davanti al Combattimento di cervi, di cui ha iniziato a parlare prima ancora di averlo sotto gli occhi: Courbet uno di quegli uomini che riescono a trasformare un nome in cosa. E, inversamente, a far s che una cosa la cosa, da qualche parte, labisso comune a tutti gli uomini assuma, nellatto di farci sprofondare a occhi aperti, il nome di alcuni di loro. Il nome di Gricault: La morte aleggia in un modo incredibile (Ritratto dartista). Il nome di El Greco:

* Dal 1976 boulevard Vincent-Auriol. [N.d.T.]

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in un sogno a occhi aperti, mi sembr di vedere il mio quadro, soltanto il mio quadro, in una sala. Al Louvre, perch non c differenza radicale fra la pittura di ieri e la mia, perch la pittura non cambia nel suo procedimento essenziale: una superficie da coprire nel modo pi intenso che si riesce. Al Louvre, ma da solo: Quando vedi un quadro, sempre da solo.

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Sar per via di quello sguardo che, quando si posa su di me, sembra venire da molto lontano, o forse colpa di quella voce lenta, vellutata come un salmo, che si dissolve cos facilmente nel silenzio? Quando stanno per uscire dalla mia penna, i verbi si volgono inevitabilmente al passato, le frasi vorrebbero assumere la trasparenza tenue e melodiosa dei ricordi e io mi sento quasi costretto a iniziare questo resoconto della mia visita al Louvre insieme a Vieira da Silva con il Cera una volta delle favole. Del resto, non occorrerebbe nemmeno forzare troppo la mano:
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Quando avevo cinque anni, ho visitato parecchi musei inglesi con mia zia. Lei parlava meravigliosamente ai bambini. Vieira, la piccola protagonista di una fiaba in cui le zie (un po streghe) avrebbero guidato le nipoti non gi attraverso castelli incantati, ma nei meandri della National Gallery, e in cui le immagini dei misteriosi libri magici assumerebbero i tratti delle riproduzioni di quadri. Da noi cera una grande biblioteca piena di libri darte. Mia madre era silenziosa, sognatrice. Io non avevo amici: mi affezionai molto a quei libri. Quando volevo sentire un po di rumore, bisognava che fossi io a farlo. Che facesse rumore, ovvero: che facesse musica. Ben presto, tra suoni e visioni, inizi a intessersi una rete di corrispondenze che non si mai allentata: A volte, non so se sto ascoltando o vedendo. E ancora: Quando arrivai in Francia, avevo una cultura pi avanzata in ambito musicale che in pittura. A diciannove anni conoscevo benissimo Debussy, ma non andavo al di l degli impressionisti minori. Arriva nel 1928, si iscrive allAcadmie de la Grande Chaumire. Cercavo dei contatti, avevo bisogno di un posto per lavorare. In Portogallo aveva gi seguito le lezioni allAccademia di belle arti. Studi dal vero, anatomie Amavo le ossa, non i nervi, i muscoli. Poi scopre il Louvre: La prima volta fu una vera sofferenza. Mi sentivo smarrita. Facevo troppa fatica a co-

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gliere la sostanza delle opere antiche. Non riuscivo a superare quella distanza che c fra noi e loro. Mi vergognavo, mi facevo degli scrupoli a copiarle, per via di quella distanza. lesperienza tipicamente moderna della rottura. Se abbiamo acquisito il dono di abbracciare la storia, si direbbe sia solo per riconoscere la sua assenza di omogeneit. Vieira possiede questa sensibilit spiccatissima. Di l a poco mi far notare: Nel Medioevo facevano le gambe sottilissime, e poi dun tratto Rubens si mette a fare le gambe enormi. Pi avanti, nella sala dei veneziani: Se un marziano fosse atterrato sulla Terra nel Quattrocento e vi avesse fatto ritorno un secolo dopo, sicuramente avrebbe pensato che fra il primo e il secondo viaggio una razza diversa si fosse impossessata del nostro pianeta. Una volta constatata la rottura, la nostra epoca ha per lo pi voltato le spalle a quel passato che sembra ergersi al di l di un abisso. Non Vieira da Silva. Piombata nella mischia, nel 1929, visita il Louvre ogni settimana. E, ancora oggi, continua a vivere quelle visite pi sporadiche, vero come un bisogno. Vieira non sembra n scoraggiata n sollevata dallabisso che ci separa dalle opere conservate al Louvre. Piuttosto, attratta. Non che le senta vicine; al contrario, le ama nella loro lontananza, per la loro lontananza. Perch questa distanza lindice stesso di ci che trascorso, in altre parole la dimensione del
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tr. come una favola. Quelle porte che si aprono, che si chiudono nel punto e nel momento giusto, e quei treni che trovano sempre la strada. La favola, per lei, non sono la gente, le cose, gli eventi che punteggiano il percorso, ma il percorso in s, che rende possibili tutti quegli incontri, ciascuno al suo momento. Il bambino che ascolta la storia narratagli amorevolmente da un adulto chino sul suo letto non la pensa diversamente: ben pi della storia, la voce a incantarlo, a fare da filo al racconto. Che importa, in fondo, ci che narra? Limportante che prosegua e che, sul filo di quella voce, lui raggiunga quel luogo al di l dellorizzonte che non esiterebbe a identificare con la pura felicit, se solo ogni volta non si addormentasse prima di averlo raggiunto. Il dramma dunque linterruzione, il filo tagliato, la prospettiva sbarrata. Una delle primissime tele in cui Vieira ha trovato il suo tono si intitola LAtelier:* una stanza che una curva allusiva a un qualche trenino elettrico consacra inequivocabilmente allinfanzia. Lo spazio spoglio e tutte le linee aspirano alla fuga, alla convergenza in un punto ideale cui il muro sullo sfondo sbarra brutalmente laccesso. Nelle piazze di de Chirico, nella sala del Caff di notte di van Gogh o nel Trafugamento del corpo di san Marco del Tintoretto questo slittamento vertiginoso verso linfinito determina leffetto tragico: qui, al contrario, esso deriva da quello scarto interrotto. Libert: attraversare il muro. Vieira dice: La cosa che per me contava di pi, al Louvre, non c pi. Ricordo Giravo, vagavo, cercando la chiave di tutto questo, la chiave per uscire da tutti quei dipinti che mi turbavano, che mi angosciavano. E poi lho trovata. In alto, in fondo al Louvre, come a segnare la fine di qual159

ricordo potremmo quasi dire: la figura presente del passato. Queste cose non sono pi per noi. Ci danno il piacere dellevasione. Le sale del Louvre, lunghi corridoi della memoria: tunnel del tempo personale e culturale che si confondono, o piuttosto si completano, per definire un luogo ideale, remoto. Un luogo che per Vieira da Silva rappresenta, o almeno cos suppongo, il germe della vita, linfanzia della sua arte, come quelle linee prospettiche che ci permettono di risalire fino al punto privilegiato in cui la sua arte ha origine: Io dipingo dei luoghi, ma visti da molto lontano. Delluccello possiede, fra le altre qualit, la vista penetrante: Quando vedi da lontano, vedi cose che non sono del tutto spiegate. Sono quelle cose che io dipingo da vicino. Prospettive: eccoci penetrati nel cuore dellopera di Vieira da Silva. Linee che conducono nel luogo pi prezioso: il filo dArianna del labirinto della vita. Tutto ci che lo ingarbuglia o lo interrompe deve essere attraversato, penetrato: sono le ossa che contano, non i muscoli o i nervi. Parlando della gente per strada, un giorno ha scritto: Penso ai fili invisibili che tutte quelle persone tirano. Non si possono fermare per nessun motivo. Non li vedo pi, cerco di vedere lingranaggio che li muove. Mi sembra che sia questo, in un certo senso, che io provo a dipingere. Ama i colori, le reti ben congegnate: Quando sono arrivata a Parigi, ero affascinata dal metr, dallorganizzazione del me-

* Quello dellatelier un tema al quale la pittrice dedicher diversi dipinti; il titolo dellopera in questione Atelier Lisbonne (1935). [N.d.T.]

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cosa, cera una piccola sala con i quadri degli impressionisti. Sul muro in fondo, tre Czanne: un Paesaggio, la grande Natura morta con arance e, in mezzo, I giocatori di carte. Quei due ometti che non la smettono di mescolare le carte, di giocare Era la chiave per passare oltre quel muro apparentemente senza uscita. Vieira possiede il dono che Lewis Carroll accorda ad Alice: gli specchi non riflettono la sua immagine. Una portentosa inclinazione alla vertigine, che rappresenta per il corpo ci che la prospettiva per lo spirito. Di l a poco, discendendo la grande scalinata, si aggrapper alla rampa: Sono attirata dal baratro. A San Pietro, a Roma, mi sono sentita risucchiare dalle volte. orribile, lo so. Ma ho adorato il colonnato del Bernini. Sarei rimasta l per sempre, a passare in mezzo alle colonne. Ci che per gli altri estensione, intervallo, in lei diviene corridoio. Lessenziale del racconto il suo filo. Vieira narra larte di narrare: I miei quadri sono innanzitutto unorganizzazione. Sul metr preferisce senzaltro il passaggio alle stazioni. Tutto ci che fermo, immutabile, la fa star male. Le idee, per esempio: Da giovane non potevo soffrire le persone dalle idee immutabili. Amo lesitazione, il venire a galla dei pro e dei contro, il cambiamento. Dicono che la terra potrebbe sprofondare
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cos umile. Gli altri ti sbattono in faccia le loro nature morte. Quelle di Chardin non ti viene voglia di mangiarle. Le altre, s. E perch? Per farle sparire. Le perle, se brillano troppo, finiscono per oscurare il filo che le regge. Vieira arretra sempre davanti alla roboante grancassa del colore. La pittura gi di per s un eccesso. Un giorno ci siamo fermati, mio marito e io, in un castello della Loira adibito ad albergo. Nella sala da pranzo, sotto dei ritratti mediocri, un gruppo di pensionati dallaria cupa, grigissima, cenava in silenzio. I ritratti, invece, parlavano. Facevano un tale baccano! I vivi non esistevano pi. Nutre un vero culto per Corot; la sua pittura, dice, non impedisce di esistere. La grande sinfonia barocca Tiziano, Veronese non vicina al suo cuore: Non ho alcuna inclinazione per il colore violento pazzesco, quel grigio! esclama davanti al Baldassar Castiglione. E del Calvario di Mantegna dice: Per me, c quasi fin troppo colore. (Silenzio.) Plinio il Giovane si lamenta delleccesso di colore che linfluenza orientale ha generato nei mosaici romani. (Silenzio.) Quando dipingi grigio, hai gi tutti i colori. Poi, dopo essersi soffermata a lungo davanti al San Sebastiano del Mantegna: Questo il mio quadro. Non posso pensare al Louvre senza che mi venga subito in mente. Quelle gradazioni di grigio nel volume dei corpi Quel disegno cos acuto Larciere un ritratto romano. Il disegno teso, sostenuto, acuto. Le frecce, guardi come sono fatte. Nascondono una forza portentosa. Impossibile essere pi duri e pi silenziosi di quelle frecce. A un pianista occorre una grande forza per suonare senza rumore. Le suite per violino o per violoncello di Bach mi sembrano il massimo che il suono possa aspirare a raggiungere. Pi di una grande orchestra. Poi il turno dello smorto, trasfigurato Chopin di Delacroix: Senti lodore del cimitero. Raramente i pianisti suonano Chopin come lha dipinto De161

sotto il peso dei ghiacci. A volte mi sembra che anche i nostri pensieri abbiano questo potere. La sua fronte solcata dalla ruga dolente di chi divorato dagli scrupoli. Della Samaritana di Rembrandt dice: Lho guardata per intere domeniche. Non perch la amassi, ma perch avevo limpressione che fosse il quadro per eccellenza da studiare, che mi avrebbe insegnato qualcosa. Il giorno dopo, in effetti mi sembrava di disegnare meglio. Tutto il peso della luce, una luce pesante, come loro. Arpad, che ha la vista di un gatto, mi ha raccontato di essere venuto al Louvre in un giorno molto buio. Solo un quadro si vedeva: La Samaritana. Pi avanti, per, quando passiamo davanti ai Poussin perennemente condannati alla penombra a prescindere dal tempo che fa, indica Apollo e Dafne: Anche questo bellissimo nelloscurit, ma non pesante come Rembrandt. leggero. Eppure sono bellissimi entrambi. per questo che non si pu parlare di pittura. E dopo un lungo silenzio aggiunge: Klee ha scritto un libro in cui definisce lEspressionismo, lImpressionismo Ma il Quattordici luglio* di Manet non ha niente a che vedere con tutto ci E faceva ingoiare queste cose ai suoi studenti. Vieira ama Signorelli: Parla pochissimo. Davanti alla Pipa di Chardin:

* Quadro comunemente noto con il titolo di Rue Mosnier imbandierata. [N.d.T.]

lacroix.

Andrea Mantegna, San Sebastiano, 1481. Olio su tela, 250 x 140 cm.

Maria-Elena Vieira da Silva, Bibliothque, 1949. Olio su tela, 1145 x 1475 cm.

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Contempla a lungo la Finette di Watteau, su cui sembra aleggiare come un sentore di chitarra.

Un gusto del funereo, dellaustero, grazie al quale si manifesta la volont di convergenza. Ma in fondo quellAtelier di Vieira che abbiamo gi evocato, con le sue linee prospettiche che sembrano fuggire in maniera ancora pi marcata, in quella stanza completamente spoglia, non a suo modo una cella da monaco? In tutte le tele di Vieira presente questo punto interiore verso il quale il mosaico della superficie immancabilmente risucchiato. LAutoritratto del Tintoretto: Guarda in dentro. LAutoritratto di Rembrandt della Frick collection guarda in fuori. Quando lho visto, mi sono detta: Riconosco quegli occhi, Picasso! . Uno sguardo vorace: certo non il tipo di sguardo che Vieira preferirebbe incrociare. Davanti al Paradiso di Poussin, leggermente ingoffito dal tremore della mano invecchiata e reso quasi naf dalleccesso di letteralismo erudito: Fa pensare a Bauchant. In fondo si somigliavano. Nonostante lItalia, Poussin ha qualcosa degli antichi pittori-vetrai francesi: quei colori luminosi su uno sfondo cupo davvero consolante, la pittura. Puoi dipingere con la mano che trema, perfino da cieco. Il fisico non centra nulla, o quasi. Non ama affatto le opere in cui lelemento fisico gioca un ruolo preponderante. Davanti alla salumeria erotica del pittore della Pompadour mi racconta, con tono gaiamente maligno, di quella coppia incrociata tempo addietro nella bottega di un mercante di quadri: Ha dei Boucher? chiedevano con insistenza, al punto che lantiquario, non resistendo alla curiosit, aveva domandato a sua volta il perch. Siamo macellai avevano risposto.* Di fronte al grande ritratto di Madame Hartmann in piedi dipinto da Renoir: Ci si deve inginocchiare davanti a un dipinto del genere, ma non lo si pu amare. come un pallone gonfiato, molle, soffice, fatuo. La grassezza di quelle donne mi comunica un che di malato, pi che di florido. In tutto quel che dipinge c qualcosa che si avvicina alla putrefa-

Da bambina, mi confessa, aveva strappato dallIllustration un disegno raffigurante una donna di spalle intenta ad appendere un quadro e laveva inchiodato al letto. Watteau ha un disegno potente come Rembrandt La cosa che amo di pi, in pittura, questo lato musicale.

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cos seducente, la voce, che solo a posteriori, rileggendo le parole annotate, riesco ad afferrarne davvero il contenuto. Il Funerale a Ornans: stata una delle mie passioni di giovent. Avevo la passione dei funerali. In questa sala, Courbet che conta. di un nero tale! E ha anche quel lato triste dellOttocento: una societ scontrosa, ribelle, violenta e ben nutrita. I chierichetti mi fanno pensare ai ritratti dei bambini messicani morti, dipinti in piedi, diritti, come se fossero vivi. Su quel momento assoluto che il ritratto di Chopin: Senti lodore del cimitero. questo che amo del Romanticismo. E del Funerale di Zurbarn:* Quella gente nei monasteri conduceva una vita cos austera Io non possiedo la fede, ma per me quella vita di reclusione e concentrazione sarebbe stata il paradiso.

zione. Eppure, che miracolo: quel blu con quel nero Perfino la poltrona ha un che di lunare. La voce fioca, dolcissima. In guardia, per: la fiochezza quella dellonda, e la dolcezza quella della piuma che corona la freccia. La punta acuminata, cos implacabile da sfiorare a tratti la crudelt. Davanti al Cherubini di Ingres: spaventosamente ridicolo, eppure contiene alcune meraviglie. Le striature sulla sinistra, per esempio: fanno pensare a Lger. Ho sempre colto unaffinit tra Ingres e Lger. Lger usava colori vivissimi, ma li separava con dei grigi, dei bianchi, dei neri. Il vecchio compositore, per lei, fa tanto accademia, con quella mano sullorecchio per cogliere i suoni che gli detta la musa: Sembra che stia ascoltando il suo agente di borsa che gli comunica il crollo dei titoli. E se la voce quella della zia che sa parlare cos bene ai bambini, locchio

* Gioco di parole intraducibile in italiano, fondato sullomonimia di Boucher e boucher, ma* Il titolo esatto Lesposizione del corpo di san Bonaventura. [N.d.T.] cellaio. [N.d.T.]

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Vieira da Silva

quello del predatore, del pittore: Constable, Bonington si avvicinano a noi attraverso il cielo. Goya, attraverso la terra. Sfuggente, perspicace, lopposizione soltanto apparente. Perspicace: colui che vede attraverso e fa cadere le muraglie che si oppongono a quella fuga vertiginosa e meravigliosa delle linee che la prospettiva. Un giorno, subito dopo la guerra, Wols mi ha detto: Mi piace moltissimo quello che fa, ma perch usa la prospettiva?. Io mi rendevo perfettamente conto che in arte moderna era una cosa che non si faceva; eppure, gli ho risposto, bisognava che lo facessi comunque. Per ricostituire la prospettiva, Vieira si serve proprio degli elementi che il

ciato o di una coperta per addentrarsi nello spazio, ancora cos poco profondo, ereditato da Bisanzio e dallepoca romana. Ho usato la parola spazio nellaccezione divenuta tradizionale a partire dal Rinascimento: quello di tridimensionalit fittizia. La nostra epoca gli ha attribuito un altro significato: quello di estensione reale. Le tovaglie di Bonnard non slittano pi, compongono una superficie frontale. In realt, la storia della pittura moderna pu essere letta come un progressivo prosciugarsi di quella profondit immaginaria scavata dalla fuga delle linee. il corso del tempo, dun166

que, che Vieira sembra voler rimontare percorrendo a ritroso il cammino della prospettiva. E tuttavia dice: Cubismo influenza dominante nel momento in cui inizia a dipingere aveva inventato per abolirla. Il Cubismo aveva scomposto gli oggetti in lame sottili come carta per poi sparpagliarle sulla superficie, costringendo le forme alla frontalit e alla sottomissione assoluta al piano. Vieira, al pari dei Giocatori di Czanne, rimescola le carte e ricomincia il gioco. E non si tratta di una semplice metafora: le carte, al pari delle caselle della scacchiera, dei libri sugli scaffali di una libreria o dei tasti del pianoforte, sono fra gli strumenti che Vieira predilige per costruire le sue prospettive. La ripetizione di ununit semplice, facilmente riconoscibile, innesca linfilata, riordina le simultaneit in sequenze. La moltiplicazione ravvicinata di un quadratino inoffensivo fa s che ci si perda in essa, che la vertigine abbia la meglio su di noi, e la vertigine affonda le sue radici al di l dellorizzonte: Amo i grandi corridoi di maiolica blu che ci sono in Portogallo; le piastrelle bianche del mtro a Parigi. Ho amato moltissimo i Bonnard esposti verso il 1928 da Georges Petit: tavoli con tovaglie a quadratini rossi, gialli, rosa. Ma se Bonnard si serviva di quei quadratini per riorganizzare lo spazio della tela e dare al colore un supporto formale omogeneo, Vieira se ne serve alla maniera dei primitivi fiamminghi e italiani, che ricorrevano ai quadrati di un selVieira negli anni pi bui deriva da una doppia negazione. Gli uomini sono falciati, atterrati dal tocco acuminato delle linee di fuga, colpiti, gettati a terra come carte in un gioco tanto pi crudele in quanto rovescia le preferenze stesse dellartista, facendo apparire infernale quella prospettiva che avrebbe preferito impossibile tornare indietro. Soave, elegante, aerea, la prospettiva pu essere anche, come la freccia del Mantegna, uno strumento di morte. Lelemento tragico della Guerra dipinta da

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La musica un susseguirsi, una fuga di suoni, che la volont del compositore non fa per che prevedere, che richiamare in ogni momento, tessendo nella filigrana del tempo unaltra rete capace di negare il tempo: una rete che comincia senza cominciamenti, che finisce senza fine. Una rete che attraversa lo specchio e al tempo stesso si specchia nella sua superficie. Attraversare la superficie riuscendo a inscriversi in essa: questa la sfida che lartista portoghese chiamata a raccogliere. Una sfida che avrebbe giudicato senza dubbio impossibile, senza quello che da piccola costituiva il suo modo personale di fare rumore: la musica. Dopo aver attraversato le monotone sale-corridoio piene di sarcofagi e di coconsiderare, al pari degli uomini del Rinascimento, divina. La linea che luccello crede essere solo quella del suo volo spensierato anche la sbarra di una gabbia: contro cui finisce per schiantarsi. Lo slancio si perde in una lontananza irreale, il colore sanguina, qui, in superficie. La ferita inflitta da quellimpossibile evasione tinge i muri della cella dei colori della vita. Tutti accidenti, che per conferiscono allopera di Vieira il carattere della presenza. Accidenti? Certo: la mia organizzazione non perfetta come il mtro. Quando riuscir a fare una prospettiva senza accidenti e senza cadere nella fotografia, allora mi sentir soddisfatta. Laccidente lattrazione magnetica del presente della pittura, la quale, che
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pie di esemplari antichi capaci di scoraggiare ogni slancio, finalmente abbiamo visto sorgere sotto i nostri occhi quei dipinti cos lontani da noi, cos lontani fra loro. E allora ho sentito rinascere in Vieira quella perplessit, quella tensione carica dangoscia che aveva provato durante la sua prima visita al Louvre. Oggi quellangoscia ha lasciato il posto al fervore. Alla fine se ne accorge anche lei: Per me, il Louvre come lOde a santa Cecilia di Purcell. Linizio unouverture senza voce, nobile, monotona. Ma a poco a poco le voci entrano, e tutto finisce nella variet, nellesaltazione.

Vieira lo voglia o no, accettazione della superficie. Quando la freccia scoccata verso il punto focale subisce questa attrazione, la sua traiettoria si flette, devia. La rete della prospettiva si riempie allora di esitazioni, di nodi. E quel trambusto, quellopacit, quel calpestio rabbioso non fanno che testimoniare unanaloga fedelt alla nostalgia e al realismo, indicando il punto esatto fra superficie materiale e punto di fuga ideale nel quale si annoda e si snoda il conflitto che definisce tutta lopera di Vieira da Silva. S, stranamente si snoda. La ferita inferta in lontananza sanguina vicinissimo a noi. Vieira dichiara: Voglio dipingere quello che non c come se ci fosse. E ci riesce, proprio come alcuni artisti del Rinascimento riescono a riconciliare due mondi antinomici sottomettendo entrambi alla stessa legge armonica: alla proporzione musicale, per esempio, che Palladio affida la missione di conciliare i caratteri contrastanti e divergenti della villa di campagna e del tempio antico, proprio come lopera lirica riesce ad accordare la voce di due cantanti che sulla scena non si vedono, sottomettendoli entrambi a una sola partitura. Il ruolo della musica, in Vieira, non una mera questione di motivi, di equivalenze. Occorre che il quadro sia di per s musica, per superare la contraddizione. Perch, fra le arti, solo la musica insieme sequenza (prospettiva) e presenza (frontalit). Solo in essa il susseguirsi delle note si fonde in una totalit.

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Ci stavamo dilungando in uninfinit di cerimonie davanti alla doppia porta, la pi pesante e la pi scomoda di Parigi. Poi lui, costringendomi a precederlo con un gesto perentorio, ha detto: Niente cineserie. Non avrei tardato molto a scoprire, con mio grande rammarico, che non scherzava affatto. In effetti, devo ammetterlo: quel pomeriggio, mentre mi dirigevo verso il Louvre, carezzavo un sogno. Credevo di avere in mano il mio urone, il mio barbaro, lo straniero che con le sue reazioni avrebbe finalmente gettato nuova luce su un ambito fin troppo vecchio, fin troppo noto. Era il momento del confronto assoluto, non edulcorato, da cui sarebbero immancabilmente emerse verit crude, semplici. Certo, non ignoravo che luomo cui avevo dato appuntamento aveva lasciato da tempo la sua Cina natale. Ma la Cina cos lontana che a me sembrava impossibile che qualche anno bastasse a colmare interiormente la distanza che separa Pechino da Parigi. Contando sulla forza isolante di quella distanza, studiavo i primi sguardi, le prime parole di Zao Wou-Ki come quei teologi che, per dimostrare che la lingua della Bibbia era la pi antica del mondo, si erano decisi a crescere un neonato al riparo dalla parola, convinti che il piccolo avrebbe pronunciato i suoi primi vagiti in ebraico. Il mio neonato conosce la Bibbia a memoria. Andiamo a vedere la scultura egizia. Passando possiamo dare unocchiata alla Grecia arcaica. La scultura romana no: per gli amanti del Rinascimento. A me quella roba non interessa. E con un sorriso contrito, abbassando la voce quasi mi stesse confessando un vizio deplorevole cui non riesce a resistere, aggiunge: Non dovrei dirlo, ma per me il Rinascimento linizio della decadenza.
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Scusarsi di dire ad alta voce tutto ci che gli altri, a furia di proclamarlo, hanno finito per tacere: ecco a cosa si riduce lesotismo. Scusarsi di averci deluso, rivelandoci di maneggiare fin troppo bene la nostra lingua. Davanti allAtelier di Corot e alla ragazza con la camicia rossa dice: Degas ha imparato parecchio da qui. E di fronte al Sentiero infossato di Ravier, un paesaggio cupo, impastato, tormentato: come i primi Matisse, no?. O davanti alle nature morte di Chardin: Non so perch, ma guardarlo mi fa pensare a Czanne. E, quasi volesse punirmi per le mie speranze ridicole, esaspera beffardo il suo lato giallo. Davanti alla donna affaccendata ai piedi della Susanna al bagno di Tintoretto, dice, serissimo: Pedicure: si dice cos?. Pi che lassenza, la vastit delle sue conoscenze a lasciarci indovinare in quelluomo uno straniero venuto da molto lontano. Quale parigino mai salito sulla torre Eiffel o ha visto le Folies-Bergre? Quale pittore francese contemporaneo direbbe, davanti a un quadro di Albert Besnard: il professore dei miei professori?. Pochi segnali di irregolarit in quella parlata familiare: uninflessione, un accento spostato. Adoro Cranach. lesatto opposto della pittura orientale. Immobile, congelata. La Lettrice di Corot strappa a Zao Wou-Ki unesclamazione sorprendente: Che pessimo gusto!. La ragazza con la perla e i ritratti infantili gli sembrano
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Stele del Re serpente: Questo s che bello! In fondo la differenza minima, ma sufficiente a distinguere il capolavoro dallopera mediocre. Lei sembra preferire i lavori geometrici. Una preferenza quantomeno curiosa, se si pensa alla sua pittura. perch io non riesco ad arrivarci. Ma in realt, pi che la geometria, lestrema economia di questi blocchi a toccarmi. Il minimo di mezzi per il massimo di idee. Un pittore Song diceva: Vorrei che, quando il mio pennello tocca la carta, la mia idea fosse gi pi avanti. In fondo la pittura di oggi che amiamo di pi la meno leccata, la meno lavorata. Laltra faticosa.

Si dichiara ammirato davanti al gruppo di Akhenaton e Nefertiti, ma arriccia il naso davanti allo Scriba rosso: troppo. Troppo cosa? Troppo vero. La Portatrice di offerte, in compenso, lo affascina: Fine ma non complicata. Bella! Infine, davanti ai Seduti nella sala dellAntico regno: Dellarte egizia amo questo connubio di pittura e scultura. Questo scarto, questa risonanza. Timidamente, si fa strada unimpressione che il resto della nostra passeggiata non far che confermare. Il criterio di Zao Wou-Ki la spontaneit. at173

magnifici, ma i paesaggi non mi toccano granch. Poi, per, davanti a uno di essi, indicando dei rami con gesto delicato, esclama: Guardi l! Come ha fatto? un bellissimo dipinto cinese!. E allimprovviso capisco: proprio la componente cinese di Corot a suscitare in lui quella reazione severa e insieme freddissima. Con i membri della propria famiglia, si sa, si sempre pi duri.

Sulla via dellEgitto, il Kouros intriso di quella stessa aria familiare: In Cina si ignorava larcaico. Noi conoscevamo soltanto i classici: il xvi, il xvii secolo e tutto ci che si amava allepoca. In fondo, abbiamo scoperto lOccidente grazie al suo lato pi pomposo. Al lavoro ben fatto. Ancora oggi, la Cina continua ad amare le cose compiute. Non tollera nemmeno un braccio spezzato. Stele di Antou: Questo misto di immagini e scrittura mi piace. I dettagli sono meccanici, ma linsieme bello. Le parti nuove sono troppo belle. Preferisco le cose un po malandate. Una raffinatezza troppo voluta, troppo calcolata. Non ci sono pi sorprese. Cominciano sapendo gi dove arriveranno. In Cina, nellepoca Song o Tang, ci sono ancora moltissime sorprese. Poi si codifica tutto: il gesto che prevale.

tratto da ci che sgorga e si diffonde con limprevedibilit e la precisione di una sorgente. Il resto, malgrado il talento, faticoso: Ingres, David. Il ratto delle Sabine: Troppo uguale dappertutto. come le foto di classe. Ti sembra di sentire il professore che dice: niente preferenze!. Ma che dire quando il professore non pi geniale? Davanti allAngelus di Millet: uno dei primi dipinti occidentali che ho visto in riproduzione. La terra, la gente, il cielo: tutto dipinto allo stesso modo. Curioso: il sole, laria, una gamba lei li vede forse allo stesso modo?. Rigidit delle scuole o della mediocrit, eccessiva eloquenza che vizia il discorso, impermeabilit del genio: tutte infedelt alla sorgente viva che spiegano i gusti di Zao Wou-Ki . A Botticelli preferisce Filippino Lippi, a Fra Angelico

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Paolo Veneziano: Quei marmi, quelloro sono di un cattivo gusto assoluto! una pittura leccata, manierata. Certo, si pu fare un dipinto accurato, ma se vediamo che il pittore fa fatica, facciamo fatica anche noi. Preferisco chi si fa carico di un peso minore ma che non mi d la sensazione di sfiancarsi. Carracci lo annoia, ma non cos il Caravaggio, La Tour o Vermeer. Dice anche: Preferisco Tiziano al Veronese. Il Veronese mostra troppo. I suoi personaggi sono in posa. Come in unopera lirica. Tiziano pi sincero. Si meraviglia davanti ai pezzi da novanta di Courbet (con una netta preferenza per LAtelier: C pi respiro, pi intimo), ma davanti al Forno da gesso confessa: Gricault non mi tocca granch. Fa tanto cinema. In fondo, tutti i romantici fanno cinema. A parte alcuni Delacroix. Al contrario, la semplicit a sedurlo nel Concerto campestre di Giorgione, nella Marchesa de la Solana di Goya, nellIndifferente di Watteau, nella Betsabea di Rembrandt: Dipinge solo un colore, il bruno dorato. Eppure non mai faticoso. Dei Pellegrini di Emmaus dice: La quintessenza della luce! incredibile che un uomo sia riuscito a fare una cosa del genere. Quando ci arrivi davanti sei attratto come una zanzara di fronte a una lampada. E dellAutoritratto del Tintoretto: fatto di niente. La cosa pi preziosa la cornice. Trasparenza, luce: la parte inafferrabile, effusiva, tremolante del gamberetto subito dopo la mutazione. La luce di un paesaggio di Monet, la luce virginale di Vermeer: Il tocco, la trasparenza fanno pensare un po a Poussin. Ed eccoci proprio davanti alle tele di questultimo, che un destino infausto ha relegato
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Ki guarda da vicino il Ritratto dartista di Gricault: Il nero si screpola sempre un po. I blu, invece, restano immutati. Il nero davorio un colore snervante. Io ne so qualcosa. Perch lo usa? Perch non c nessun colore che abbia tanta intensit. A prima vista, lattenzione alla tecnica (strumento della durata) sembra incompatibile con la spontaneit (strumento dellessere). Zao Wou-Ki sembra riconoscerlo quando, davanti a un paesaggio impastato di Huet, dice: Fa un po troppo ceramica. In realt, la spontaneit a condurre alle soluzioni tecniche pi efficaci. Davanti a La giustizia e la vendetta divina che perseguono il crimine di Proudhon: I volti sono screpolati, il cielo no. Perch? Perch il cielo lo ha lavorato meno. In profondit limmediato si allea al permanente. Dun tratto, davanti alla Donna con la perla di Corot: Che freschezza, che solidit! Hai limpressione che questo dipinto sia stato cotto per milioni di anni. In Cina si fanno bollire alcune erbe per anni, a fuoco lento, per esaltarne le propriet. Anche in Courbet, lalleanza della rosa e dellacciaio che Zao Wou-Ki sottolinea. Davanti al suo piccolo Rifugio: Che fondo! (Una pausa.) come i bronzi antichi. Solido, non spesso. Sembra un dipinto appena nato ma che esiste gi da secoli. Effusione e precisione, leggerezza e solidit si interpellano, si rispondono. Come distinguere il ruolo che ciascuna di esse gioca nella Maest di Cimabue? la cosa pi bella che ci sia al Louvre. Una tale serenit: quasi tutto sullo stesso piano, ma le aureole doro creano una prospettiva strana, dei piani. Mi fa pensare ai paesaggi cinesi dellantichit, in cui i piani sono separati da banchi di nebbia. Il taglio delle ali e del trono, la cornice: che composizione prodigiosa! Un tempo, i dipinti venivano colmati; qui, si direbbe che apra. Il Rinascimento fa emergere un soggetto contro lo sfondo nella pittura occidentale, il soggetto ha ucciso molte cose. Qui non riesci a staccare il soggetto dallo sfondo. Tutte quelle cose in basso i piedi del trono, il piede dellangelo fanno vivere il quadro: non pensi
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nella parte pi buia della Grande Galerie: un poeta. Che incanto! Ecco la gioia di dipingere. Hai limpressione che sia cos felice da tremare davanti alla tela. Effusione non sinonimo di vaghezza, e imprevisto non equivale mai a gratuito. Davanti al Calvario di Mantegna: Magnifico! Quel modo di trattare le montagne, come se fossero incise, tagliate con la scure. I dettagli spiccano tutti, ma si avverte che c ununit. Nessuna fatica: si direbbe che labbia fatto in un soffio. Golia potrebbe scaraventare dappertutto la sua gigantesca mole. A Davide non resta dunque che colpire nel punto esatto: la precisione la salvezza della sensibilit. La Donna allo specchio di Tiziano: Ha notato il tocco bianco nello specchio nero?. La Battaglia di Paolo Uccello: I cavalli sono modellati come manichini snodabili. I personaggi sono come acciaio inciso. E tutte quelle lance! Non c niente di pi bello. Nel quadro di Firenze ci sono dei rosai sul campo di battaglia. La rosa e la lancia: certezza del presente, garanzia del futuro. Lincognita del futuro d origine a unaltra serie di considerazioni. Zao Wou-

Cimabue, La Maest, 1270. Olio su legno, 427 x 280 cm.

Zao Wou-Ki, 21 dicembre 1962. Olio su tela, 162 x 130 cm.

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a dei piedi. Loro scava dei solchi nel quadro, ma quei solchi fanno respirare il quadro. Come delle sorgenti. Come sorgenti sul fondo di un lago che ne rinnovano incessantemente la limpidezza e ne colmano di continuo le acque. Uno dei segni pi inconfondibili della spontaneit la capacit di sfuggire alle influenze. In realt, di influenze, Zao Wou-Ki sembra averne subite pi di molti altri artisti. Nel xvii secolo, un italiano fu nominato pittore ufficiale dellimperatore. Fu l che si introdussero il chiaroscuro, il volume, la prospettiva alloccidentale: solo la composizione restava cinese. I cinesi erano entusiasti: Ah, com vivo, com vero!. Oggi c perfino qualche imbecille che dice che la pittura cinese non scientifica. I cinesi sono venuti a studiare larte ufficiale a Parigi. Ne venuta fuori una specie di pittura russa: dei Meissonnier, dei Luc Simon. Mio zio, che aveva studiato alla Sorbona, mi port qualche cartolina che riproduceva le opere di Prudhon, di Picot ecc. Furono le prime che vidi. AllAccademia nazionale di belle arti, a Hangzou, ci insegnavano tutto il peggio che possa aver prodotto lOccidente. Ci facevano disegnare i gessi greci. Mi fa pensare a quei bambini del Congo che conoscono i nomi dei fiumi francesi meglio di quelli del loro paese.
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su Vogue o da riproduzioni giapponesi. Ritagliavo tutte quelle immagini e le incollavo su un grande volume rilegato. Passavo cos le mie domeniche. Amavo Czanne, Renoir, Modigliani. Modigliani, con le sue linee allungate, molto facile per un principiante. Amavo anche Picasso. Si faceva tutto senza troppa seriet. Non cera professore o ambiente che potessero aiutarci. Nel 1936 scoppi la guerra. La scuola traslocava di continuo, i giapponesi erano sempre alle calcagna. Limmobilismo dur sei anni. Dopo la guerra, la tentazione dellOccidente divenne irresistibile. Avevo imparato alloccidentale: era normale che finissi qui. Pu darsi. Ma a muoverlo non fu anche il bisogno di avvicinarsi a quella fiamma che si sposta di luogo in luogo, di scuola in scuola quasi a volerci dimostrare che nessun luogo, nessuna scuola ne diverranno mai i padroni e che allora sembrava ardere proprio a Parigi? Giunsi dritto a Parigi. Il 1 aprile 1948, alle otto del mattino. Quel pomeriggio ero gi al Louvre. Ricordo ancora la mia prima visita. Troppe cose da vedere: ero smarrito. Ripiegai sulla Gioconda, come tutti. Alcuni pittori Botticelli, Fra Angelico mi delusero: li amavo di pi nelle riproduzioni. Tutte quelle Madonne stitiche! Venivo al Louvre regolarmente. Met giornata imparavo il francese, laltra met giravo per mostre e musei. La sera disegnavo (non dipingevo pi). Ho passato cos un anno e mezzo. Viaggiavo moltissimo. Da mattina a sera visitavo i musei. Una vera follia. Perfino la chiesetta gotica italiana pi insignificante Uno strano modo di liberarsi! Il fatto che non facile uscirne. Tutti sono prigionieri di una tradizione; io lo ero di due. Per fare della buona pittura bisogna capire. Van Gogh, da giovane, amava dei pittori davvero pessimi. Ma come capire ci che non appartiene allorizzonte della nostra cultura? Smarrita per sempre la conoscenza di una lingua, non ci resta che ammirare la forza o la grazia dei segni che quella lingua ha lasciato su una stele, su un manoscritto. Unesperienza superficiale, che se nel 1948 equivaleva a tradire il tempo in cui quei segni si radicavano nel tessuto intellettuale, sociale, religioso di chi li tracciava, oggi non sembra essere nemmeno pi unesperienza, dal momento che il destino della pittura si gioca tutto in superficie. Lestetica, strappando lopera alle sue radici, diviene un linguaggio universale: le cartoline arrivano dappertutto, e velocemente. Lastrazione, conseguenza estrema di quel lento processo che dai veneziani in avanti ha portato il quadro a coincidere con la superficie, abolisce gli strati segreti che differenziavano le opere fra loro. Da quando mi sono dato allastrazione riesco a vedere meglio i quadri del Louvre. Afferro meglio le vere intenzioni del pittore. I lati positivi di Corot o di Courbet emergono con pi forza. Vedo lessenziale. Credo che Corot volesse fare un bel quadro, non un bellalbero. Il frenetico apprendistato sullOccidente dur un anno e mezzo. Poi mi venne voglia di dipingere. Volevo essere al corrente, e adesso lo ero. Cos mi dissi: al lavoro! Ogni tanto tornavo al Louvre. Sempre meno, per. Dipingevo. Gi in Cina, cercavo di
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Oh, no: imparavamo anche i nostri fiumi! Insieme allapproccio occidentale ci insegnavano anche la prospettiva alla cinese. Ci mostravano i paesaggi Song. Ma il gioco dellinchiostro e dellacqua non sufficiente. Alla fine non ci capivamo pi niente. Alcuni si schieravano di qua, altri di l. Lolio, lacqua: eravamo doppiamente pomposi. In fondo, una simile formazione serve a dipingere quasi di propaganda. Non cercavate di affrancarvi? Certo. Sperimentavamo un po di Fauvisme. Dal xv secolo avevamo perso il colore. Ci restava solo latmosfera. Il Fauvisme ci sembrava accettabile per via del ruolo che giocava la linea. Dal Cubismo, invece, ci tenevamo accuratamente alla larga. Era una pittura da decifrare, mentre per noi si trattava di sentire, di proiettare. E cos mi dedicai a una specie di Fauvisme, partendo da riproduzioni che trovavo su Life o

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dipingere moderno senza capire. Guardavo i disegni della mia sorellina di sette o otto anni. La copiavo, perch mi sembrava pi libera di me. Poi, verso il 1945, incappai casualmente in Klee: la sua opera, mi sembr, non si differenziava granch da ci che provavo davanti ai disegni di mia sorella. Questo mi fece avvicinare a lui. Klee rappresentava un altro modo di conoscere la natura rispetto allapproccio accademico. Non tanto il suo modo di dipingere a essere moderno, il suo modo di vedere. Oggi, la pittura di Zao Wou-Ki sembra essere nata solo da se stessa. Le-

scimento italiano. Come un navigante che, senza documenti, si vede rifiutare da tutti i paesi che accosta il diritto di scendere a terra ed costretto a passare parecchi anni in mare, cos Zao Wou-Ki ha scelto di non sbarcare pi. E proprio come il bianco la risultante di tutti i colori, cos la sua astrazione deriva dalla totale accettazione di rappresentazioni in contrasto fra loro. Un bisogno istintivo o consapevole di contraddire la vetta, perch lessenziale non la vetta, ma ci che la tensione riesce a originare: Io mi dico sempre che non sono un paesaggista. Mi rifiuto che il paesaggio entri nel mio studio. Forse, per, la sola cosa cui mi oppongo che vi entri pi facilmente del resto. La condizione privilegiata quella del passaggio, della sospensione: quella in cui lopera non gi pi unemanazione della soggettivit e non ancora un oggetto: Per me, una tela buona quando riesco a farne unaltra subito dopo. Un cattivo quadro irrimediabile. Leccesso equivale alla fine, ma il mezzo termine vibra solo a patto di non

mozione la sua unica fonte; la fine di quellemozione, la sua forma. Eppure


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dice: Tutti sono prigionieri di una tradizione; io di due. Impossibile, direte voi. Ma lopera esiste, e della sua doppia cultura Zao Wou-Ki ha appena dato ampiamente prova. Eccoci dunque costretti a ricordare una verit semplice: esistono due forme di innocenza. La prima, la pi diffusa, si colloca prima del sapere. Ed anche la pi fragile. Quelli che negano o ignorano la storia ne sono le prime vittime. I pittori naf non possono in alcun modo liberarsi delle intenzioni o delle etichette che vengono affibbiate loro. Nauseata dalla propria cultura, ogni epoca inventa i propri naf. I naf si situano in un margine che il testo a determinare. La seconda innocenza quella che, a volte, sorge al di l del sapere. E, proprio per questo, non mai in sua balia. La spontaneit di Zao Wou-Ki rientra in questa seconda categoria. Ma come pu un uomo cos impressionabile essere sfuggito alle influenze? Risposta: non rifiutandole, ma accettandole tutte. LOccidente lo libera dallOriente, lOriente lo salva dallOccidente. Tra i due, Zao Wou-Ki costruisce il suo impero di mezzo. Il suo luogo quella zona nientaltro che un punto in cui non si mai arrivati, da cui non si mai partiti. Un luogo di passaggio in cui tutto sospeso, leggero, delicato, preciso e precario: come la foce, frangia unica, indistinta, formata dalle acque del fiume e quelle delloceano. Zao Wou-Ki cavalca questa cresta instabile con estremo virtuosismo. Londa pu rompersi, travolgendo chi se ne lascia portare: come accadde ai manieristi delle Fiandre nel xvi secolo, sul crinale dellinflusso dei primitivi fiamminghi e del Rinasgorgare dalla moderazione: dallo scontro degli estremi che deve nascere. Penso alle tele recenti di Zao Wou-Ki, alla sua capacit di trasformare in un batter di ciglio: quel che ci vuole per cogliere la possibilit di un passaggio la pazienza silenziosa in gesto tempestivo e infallibile. Pi ampie, pi movimentate che in passato, queste tele non fanno che svelare pi chiaramente la natura singolare del suo temperamento. Una fitta trama di valori lascia al pittore una certa libert di manovra; i contrasti accentuati, al contrario, non permettono che passaggi estremi, folgoranti. Lanimazione drammatica nasce da questi punti nevralgici, nei quali gli elementi contraddittori finiscono per capovolgersi, per trasformarsi lun laltro. A volte il dramma non si concentra solo in qualche punto: ogni zona, a turno, diviene il perno su cui le altre oscillano per risorgere. lintero quadro a divenire passaggio. Zao Wou-Ki evoca un cielo minaccioso e un mare di piombo, cos dissimili che la linea dellorizzonte sembra avallare una rottura insanabile. Ma una condensazione improvvisa, impalpabile, li mette in comunicazione: cos il movimento riprende, il ciclo della vita salvo. Zao Wou-Ki sa cogliere i momenti, delicati ed esatti come una bilancia di precisione, della concentrazione e della

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Pierre Schneider

deconcentrazione, senza i quali tutto non sarebbe che dualit, frattura, inerzia. Il paesaggio aereo si condensa in una pioggia di segni. Riusciremo a leggerli? No, perch non sono altro che le pieghe di universo liquido. Strada facendo, il colore si attenua fino a non essere altro che luce, il gesto si appesantisce fino a ridursi a forma. A tratti lungo, diluito, sereno, il tocco diviene breve, esacerbato, carico. Qui il pennello sembra essere maneggiato dal polso, l dallintero braccio. Londa pesante scaglia verso il cielo una schiuma che tocca il sole fino a divenire perla, per ricadere e confondersi nuovamente con lacqua. Lessenziale non la somma di quegli stati o quel particolare stato, ma la loro inclinazione alla metamorfosi perpetua. N pittura-progetto n pittura-oggetto. N inizio n fine. Lopera si situa l dove le cose vivono. In altre parole: l dove le cose passano. Libert, certo, ma conquistata a furia di servit rigorosamente pesate. Se Zao Wou-Ki ha il raro dono di far coesistere dei mondi antagonisti, perch conosce larte di mantenersi in equilibrio nello squilibrio, di oscillare sullago di una bilancia. Questo rigore non sono stati n lOriente n lOccidente a insegnarglielo. Zao Wou-Ki lo aveva gi, dentro di s. Ma stato grazie a loro che lha riconosciuto. Ed per questo che il loro ruolo, per quanto lo riguarda, pu dirsi concluso. Mentre lasciamo il Louvre, Zao Wou-Ki mi dice:
182
p. 46 p. 47 p. 38 p. 39

Crediti delle immagini

Jean-Antoine Watteau, Gilles, 1718-19. Olio su tela, 184 x 149 cm. Museo del Louvre, Parigi. 2012. Foto Scala, Firenze. Marc Chagall, la Russie, aux nes et aux autres, 1911. Olio su tela, 157 x 122 cm. Parigi, Musee National dArt Moderne - Centre Pompidou. 2012. bi, adagp, Paris/Scala, Firenze. Chagall, by siae 2012. Sam Francis, Arcueil, 1956-58. Olio su tela, 205 x 193 cm. Sam Francis Foundation, California. Ritratto romano-egizio di Fayum, Ritratto di donna, 2 secolo d.C. Encausto e doratura su legno di cedro, 42 x 42 cm. Museo del Louvre, Parigi. rmn-Grand Palais (Muse du Louvre) / Grard Blot/distr. Alinari.

Non sono pi curioso, per niente.

p. 62 p. 63

Alberto Giacometti, Nudo in piedi, 1951. Olio su tela, 62 x 23 cm. Alberto Giacometti Estate / siae 2012. Francisco Goya, La contessa del Carpio, marchesa de la Solana, 1794-95. Olio su tela, 181 x 122 cm. Museo del Louvre, Parigi. rmn-Grand Palais (Muse du Louvre) / Ren-Gabriel Ojda/distr. Alinari.

183

p. 74

Joan Mir, Figura che lancia una pietra a un uccello, 1926. Olio su tela 73 x 92 cm. Museum of Modern Art (moma), New York. 2012. Digital image, The Museum of Modern Art, New York/Scala, Firenze. Successi Mir, by siae 2012.

p. 75 p. 96 p. 97 p. 110

Amazzonomachia, 3-4 sec. d.C. Mosaico. Museo del Louvre, Parigi. rmn-Grand Palais (Muse du Louvre) / Christian Jean / Jean Schormans/distr. Alinari. Eugne Delacroix, La morte di Sardanapalo, 1827. Olio su tela, 392 x 496 cm. Museo del Louvre, Parigi. 2012. Foto Scala, Firenze. Barnett Newman, The Station of the Cross - First Station, 1958. Olio su tela, 198 x 154 cm. Barnett Newman, by siae 2012. Jean-Paul Riopelle, Untitled, 1951.Olio su tela, 129,5 x 160,5 cm. Los Angeles County Museum of Art (lacma). Los Angeles (ca). 2012. Digital Image Museum Associates/ lacma/Art Resource ny/Scala, Firenze. Jean-Paul Riopelle, by siae 2012.

p. 111

Gustave Courbet, Funerale a Ornans, 1849-50. Olio su tela, 311,5 x 668 cm. Parigi, Muse dOrsay. Lewandowski Herv rmn-Runion des Muses Nationaux/ distr. Alinari Herv Lewandowski.

p. 126 Pierre Soulages, Peinture, 260 x 202 cm, 19 juin 1963. Olio su tela, 260 x 202 cm. Muse national dArt moderne - Centre Georges Pompidou, Parigi. Centre Pompidou,mnamcci, Dist. rmn-Grand Palais / Philippe Migeat/distr. Alinari. Pierre Soulages, by siae 2012. p. 127 Paolo Uccello, Battaglia di San Romano, 1456. Olio su tavola, 182 x 317 cm. Museo del Louvre, Parigi. 2012. Foto Scala, Firenze. p. 140 Giotto, Stimmate di San Francesco, 1295-1300. Tempera e oro su tavola, 313 x 163 cm. Museo

Pierre Schneider del Louvre, Parigi. 2012. Foto Scala, Firenze. p. 141 p. 152 p. 153 p. 162 p. 163 Saul Steinberg, Louse Point, 1969. Olio e timbre su cartone, 46 x 61 cm. The Saul Steinberg Foundation, New York. The Saul Steinberg Foundation, by siae 2012. Bram van Velde, Composition 1970, 1970. Olio su tela, 129,6 x 195 cm. Courtesy Carnegie Museum of Art, Pittsburgh; Patrons Art Fund. Bram van Velde, by siae 2012. Rembrandt, Cristo si rivela ai pellegrini di Emmaus, 1648. Olio su tavola, 68 x 65 cm. Museo del Louvre, Parigi. Bridgeman Art Library/Archivi Alinari Louvre, Parigi/Giraudon. Andrea Mantegna, San Sebastiano, 1481. Olio su tela, 250 x 140 cm. Museo del Louvre, Parigi. rmn-Grand Palais (Muse du Louvre) / Ren-Gabriel Ojda/distr. Alinari. Maria-Elena Vieira da Silva, Bibliothque, 1949. Olio su tela, 1145 x 1475 cm. Muse national dArt moderne - Centre Georges Pompidou, Parigi. Centre Pompidou, mnam-cci, Dist. rmn-Grand Palais / Philippe Migeat/distr. Alinari. Maria-Elena Vieira da Silva, by siae 2012 p. 176 p. 177 Cimabue, La Maest, 1270. Olio su legno, 427 x 280 cm. Museo del Louvre, Parigi. rmn-Grand Palais (Muse du Louvre) / Herv Lewandowski/distr. Alinari. Zao Wou-Ki, 21 dicembre 1962, 1962. Olio su tela, 162 x 130 cm. Coll. Privata 2012. bi, adagp, Paris/Scala, Firenze. Zao Wou-Ki, by siae 2012. Akhenaton e Nefertiti, 173 Amazzonomachia (frammento di mosaico), 57, 72, 75, 133, 134 Apollinaire, Guillaume, 31, 32 Architetto col piano, 119 Arp, Jean, 92 Bach, Johann Sebastian, 161 Bardot, Brigitte, 137 Barnes, Albert, 87 Cancelliere Nakhti, 77 Caravaggio (Michelangelo Merisi detto il), 34, 174 86, 106 de Fontral, 106 Carracci, Annibale, 174 Carroll, Lewis, Attraverso lo specchio, 160 Cellini, Benvenuto, 23 Cendrars, Blaise, 31, 37 Czanne, Paul, 11, 16, 18-21, 25, 33, 36-37, 64, 87, 89-90, 95, 106, 137, 160, 166, 172, 179 Bagnanti, 18 I giocatori di carte, 160 Natura morta con arance, 160 la Russie, aux nes et aux autres, 39 Ex voto, 106 64-65, 160-161, 172 La pipa, 160 La razza, 36, 51 Paesaggio, 160 Chagall, Marc, 25-40, Champaigne, Philippe de, 22, 106 Chardin, Jean-Baptiste Simon, 16, 18, 36, 51, Carpaccio, Vittore, Predica di Santo Stefano, Carpeux, Jean-Baptiste, Busto di Madame Delthil Busto in marmo di fanciulla romana ignota, 137

Indice dei nomi

184

Barrat (cittadino parigino), 15 Bassano, Jacopo, 25, 31 Bauchant, Andr, 165 Baudelaire, Charles, 11, 17, 42, 51, 78, 101, 146 Dessert, 108, 109 Natura morta con scacchiera, 108 Decapitazione di Cosma e Damiano, 123 Lincoronazione della Vergine, 48, 122 Baugin, Lubin, 108, 109, 112

185

Beato Angelico, 48, 122-123, 173-174, 179

Beckett, Samuel, 145 Bernini, Gian Lorenzo, 160 Bibbia, 27, 40, 171 Bonaparte, Napoleone, vedi Napoleone Bonington, Richard Parkes, 166 Bonnard, Pierre, 12, 26, 71, 115, 166-167 Bosch, Hieronymus, 79 Botticelli, Sandro, 88, 173, 179 Boucher, Franois, 16, 36, 45, 165 Boudin, Eugne, Brancusi, Constantin,34 Braque, Georges, 29, 31, 143 Breitner, Georg Hendrik, 146 Brouwer, Adriaen, 151 Buonarroti, Michelangelo vedi Michelangelo

Chassriau, Thodore, 30, 77-78 Cima da Conegliano, Madonna col Bambino, 86 Cimabue, 34, 36, 48-50, 59, 88-89, 117, 122, 175 La Maest, 48-49, 59, 88, 122, 175, 176 Coiffard, Jean, 73 Colbert, Jean-Baptiste, 15 Collardet, 18 Constable, John, 36, 166

Pierre Schneider Hampstead Heat, 36 78-79, 86, 91, 94-95, 98, 105-106, 122, 128, 138, 149, 161, 174 Autoritratto, 30 Babbucce, 35 Cavalli arabi che combattono in una stalla, 35 Donne di Algeri, 33, 94, 128, Entrata dei crociati a Costantinopoli, 19, 95 Il massacro di Scio, 95 La Libert che guida il popolo, 95 La morte di Sardanapalo, 18, 94-95, 96, 106, 138, 149-151 Nudo seduto (La signorina Rose), 35 Orfana al cimitero, 35 Ritratto di Chopin, 30, 161, 164 Giacometti, Alberto, 53-65, 87-88 Nudo in piedi, 62 Giorgione, Concerto campestre, 90, 174 Giotto, 21, 34, 59, 118, 123, 138, 143, 149, San Francesco dAssisi riceve le stigmate, 139, 140 Girodet-Trioson, Anne-Louis, 77, 149 Grard, Franois, Giuseppa Carcano, Marchesa Visconti di Borgorato, 143 Gricault, Thodore, 29-30, 34-35, 65, 78, 95, 98-99, 122, 149, 154, 174-175 Il forno da gesso, 35, 174 La folle, 30 La zattera della Medusa, 29, 78, 95, 128, 149, 151 Ritratto dartista, 154, 175 Ufficiale dei cacciatori a cavallo durante la carica, 95 Gottlieb, Adolph, 87 Goya, Francisco de, 31, 49-50, 61, 79, 131, 154, 166, 174 Marchesa de la Solana, 31, 49, 61, 63, 79, 154, 174 Lancret, Nicolas, 36 128, 137-138, 165, 173

Indice dei nomi

Corneille, Pierre, 92 Corot, Jean-Baptiste Camille, 26, 35-37, 40, 61, 65, 71-73, 79, 104, 109, 154, 161, 172, 175, 179 Castello di Rosny, 109 Chiesa di Trinit dei Monti vista da Villa Medici, 35 Donna con la perla, 61, 79, 154, 175 Hayde, 36 La lettrice, 172 Lo studio del pittore, 172 77-79, 87, 89-90, 95, 98, 104, 109, 112, 122, 128, 150, 154, 164, 174-175, 179 Caccia al capriolo guardingo, 35 Combattimento di cervi, 29, 154 Funerale a Ornans, 29, 78, 95, 111, 128, 150, 164 Latelier del pittore, 29, 77-78, 95, 174 Londa, 78 La falesia di tretat dopo la tempesta, 78 Rifugio di caprioli, 16, 95 Ritratto di Baudelaire, 78

Apoteosi di Omero, 16, 91, 137-138 Autoritratto, 94 Giove e Teti, 92 Il sogno di Ossian, 92 Il voto di Luigi xiii, 93 La bagnante di Valpinon, 92 La sorgente, 94 Let delloro, 92 Madonna dellOstia, 94 Martirio di san Sinforiano, 92 Napoleone sul trono, 91 Ritratto di Luigi Cherubini, 165 Ritratto di Madame de Senonnes, 92 Ritratto di Madame Panckoucke, 30 Ritratto di Madame Rivire, 91, 128 Ritratto di Monsieur Bertin, 93

Courbet, Gustave,16, 20, 26, 28-31, 34-35,

Delaunay, Robert, 25-26, 31, 33 Denis, Maurice, 100 Derain, Andr, 36 Desportes, Alexandre-Franois, 16 Dio fiume sdraiato, 72 Diaz de la Pea, Narcisse-Virgile, 35 Diderot, Denis, 15 Dostoevskij, Fdor Michajlovi, 32 Drer, Albrecht, 57, 61 El Greco, Cristo in Croce adorato dai donatori, 12, 31, 71, 90, 105-106, 125, 154 Encyclopdie, 15 Eroe armato di spada, 34 Eschilo, Agamennone, 32

Lagrene, Louis-Jean-Franois, 16 La Tour, Georges de, 174 Maddalena penitente, 48 La Tour, Maurice Quentin de, 19 Le Brun, Charles, 17 Pierre Sguier, Cancelliere di Francia, 154 Le Nain, Antoine, 65 Le Nain, Louis, 34, 45, 64-65 Famiglia felice, 64 Il pasto dei contadini, 45, 65 La carretta, 57, 64

Coypel, Nol, 16-17

Gleizes, Albert, 25-26, 31 Greuze, Jean-Baptiste, 16 Gris, Juan, 27, 32 Gros, Antoine-Jean, 29, 78, 95, 149 Battaglia di Eylau, 29, 95 Grnewald, Matthias, 89-90 Guardi, Francesco, 72, 106 Gudea, principe di Lagash, 72, 76 Gurin, Pierre-Narcisse, 77, 149 Guitry, Lucien, 11 Hals, Frans, 106-107, 151 Hitler, Adolf, 22 Hobbema, Meindert, Mulino ad acqua, 154 Huet, Paul, 35, 175 Kandinskij, Vasilj Vasilevi, 57, 104 Kline, Franz, 85, 91 Klee, Paul, 160, 180 Kouros, 172 Jacopo del Sellaio, San Gerolamo penitente, 134 Garbo, Greta, 137 Gauguin, Paul, 107 Fienagione in Bretagna, 107 Villaggio bretone sotto la neve, 107 Ingres, Jean-Auguste-Dominique, 16-17, 30-31, 33-35, 40, 61, 77-79, 91-94, 103, 106, Jarry, Alfred, 107

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Cranach, Lucas, il Vecchio, Venere in un paesaggio, 122, 150, 172 Cristina (regina di Svezia), 14 Crollius, Oswald, Trait des signatures, 135 Dama di Elche, 70 David, Jacques-Louis, 15-17, 30-31, 33-35, 61, 77, 89, 91-92, 106, 137, 149, 174-175 Autoritratto, 33 Giuramento degli Orazi, 34 Lincoronazione di Napoleone, 34, 89, 91, 137, 149 Leonida alla Termopili, 34, 77 Ratto delle Sabine, 34, 45, 106, 173 Ritratto di Madame Rcamier, 34, 89, 137 Ritratto di Madame Trudaine, 35 Ritratto di Madame de Verninac, 30-31 Ritratto di Napoleone, 30

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Fantin-Latour, Henri, 11, 17 Felino incatenato al disco, 121 Fnon, Flix, 20 Flahaut de La Billarderie, Charles Claude, conte dAngiviller, 15 Fontana a forma di aquila, 72, 76 Fragonard, Jean-Honor, 16-17, 36, 45 Coreso e Calliroe, 45 Francesco i (re di Francia), 14, 16, 90 Francesco Giuseppe i (imperatore dAustria), 85, 99 Francis, Sam, 41-52 Arcueil, 46 Fry, Roger, 87, 95

Lger, Fernand, 25-26, 31, 165 Leonardo da Vinci, 14, 20, 57, 61, 89, 106 Bacco, 61 Gioconda (Monna Lisa), 14, 71, 79, 89-90, 179 San Giovanni Battista, 14 SantAnna, 14, 106

Lpici, Nicolas Bernard, 17 Levitan, Isaac Ili, 36 Libro di Kells, 88, 100 Linard, Jacques, Cesto di fiori, 106 Lippi, Filippino, 173 Lhote, Andr, 31 Lorenzetti, Ambrogio, 103 Lorenzetti, Pietro, 103 Lorrain, Claude, 41, 122, 151 Luigi xiii (re di Francia), 14, 93 Luigi xiv (re di Francia), 12, 15, 17 Luigi xv (re di Francia), 15 Luigi xvi (re di Francia), 15-16

Daumier, Honor, 35-36, 40, 79, 131 Debussy, Claude, 157 Decamps, Alexandre-Gabriel, 35-36 Degas, Edgar, 12-13, 17, 21, 90, 109, 172 De Kooning, Willem, 85, 91, 98 De la Fresnaye, Roger, 26, 30-31 Del Sarto, Andrea, 16 Delacroix, Eugne, 18-19, 29-30, 33-35, 40, 51,

Pierre Schneider Madame de Pompadour, 15, 165 Maestro di Moulins, Il Delfino Charles, 106 Maeterlinck, Louis, 36 Magritte, Ren, 30, 87 Mallarm, Stphane, 19, 155 Manet, douard, 17-22, 30, 34, 91, 112-113, 160 Colazione sullerba, 112-113 Bevitore di assenzio, 18 Il balcone, 112 Il flauto, 112 Lasparago, 112 La donna dei ventagli, 112 Ritratto di Clemenceau, 112-113 Rue Mosnier imbandierata (Quattordici luglio), 160 Mansard, Franois, 85 Mantegna, Andrea, 60-61, 78-79, 87, 123-124, 167 Il Calvario, 123-124, 161, 174 San Sebastiano, 60-61, 87, 124, 161, 162 go-Lorena), 12 Marquet, Albert, 18 Marx, Harpo, 26 Napoleone, 11-12, 16-17, 30, 34, 89, 91-92, 94-95, 137 The Station of the Cross, 97 Newman, Barnett, 85-102 Nike di Samotracia, 28, 34, 43, 86, 88, 103, 121 Panofsky, Erwin, 88 Paolo Uccello, 79, 87, 90, 95, 106, 109, 118, 122, 124, 142-144, 174 La battaglia di San Romano, 79, 87, 90, 106, 109, 122, 124, 127, 142-144, 174 La Gare Saint-Lazare, 113 Regate ad Argenteuil, 113 bianco, 36 Moreau, Gustave, 18, 36, 92 Morisot, Berthe, 17, 109 Ortensia, 109 Morisot, Edma, 17 Mosaico della Fenice, 72, 135-136 Mozart, Wolfgang Amadeus, 30, 35 Giovane, 161 Poisson, Jeanne Antoinette, marchesa di Pompadour, vedi Madame de Pompadour Pollock, Jackson, 85, 98 Portatrice di offerte, 77, 173 Potter, Paulus, 106, 109 Poussin, Nicolas, 14, 18, 33, 45, 48-50, 57, 7980, 87, 122, 142, 160, 165, 174 Apollo e Dafne, 48, 160 Autoritratto, 48, 79 Autunno, 79 Baccanale con suonatrice di liuto, 79 Estate, 79 Il trionfo di Flora, 18, 45 La Primavera, o il Paradiso terrestre, 165

Indice dei nomi Renoir, Pierre-Auguste, 87, 165, 179 Madame Charpentier, 87 Ritratto di donna (Madame Hartmann?), 165 Ritratti del Fayum, 19, 23, 37, 47, 49, 53, 57-58, 64, 70, 136-137, 148 Ragazza romana anonima, 49 Ritratto di Annio Vero, 136 Ritratto di giovane donna, 49

Ninfee (serie), 43 Monticelli, Adolphe, Natura morta con boccale

Robert, Hubert, 15-17 Rouault, Georges, 26, 71 Rousseau, Henri, 36, 137 Rubens, Pieter Paul, 17-18, 30, 79, 106, 108, 138, 158 Larrivo di Maria de Medici a Marsiglia, 18, 108 Sacrificio di Abramo, 106 Tarquinio e Lucrezia, 30

Ladultera, 45 Sacramenti (serie), 80 Prudhon, Pierre-Paul, 175, 178, La Giustizia e la Vendetta divina che perseguono il Crimine, 175 Purcell, Henry, Ode a Santa Cecilia, 169 Puvis de Chavannes, Pierre, 35, 136, 138 Quatremre de Quincy, Antoine Crhysostome, 20 Raffaello, 17, 92, 94, 138, 161 Ritratto di Baldassar Castiglione, 161 Raffet, Auguste, Maresciallo Ney, 35 Rauschenberg, Robert, 95 Ravier, Franois-Auguste, Sentiero infossato, 172 Richelieu, Armand Jean Du Plessis de (cardinale), 22 Redon, Odilon, 32 Reinach, Salomon, Apollo, 86 Riopelle, Jean-Paul, 103-115 Untitled, 110 99, 105-106, 147-148, 151, 160, 164-165, 174 Autoritratto, 165 Betsabea al bagno, 174 Cristo e la Samaritana al pozzo, 160 Cristo si rivela ai pellegrini di Emmaus, 151, 153, 174 Ronda di notte, 41 San Matteo e lAngelo, 151 brandt, Reni, Guido, 28 Rembrandt, 34, 36, 41, 44, 59, 64-65, 69, 79,

Saint-John Perse, Anabasi, 41 Sanzio, Raffaello, vedi Raffaello Schwitters, Kurt, 27 Scriba rosso, 173 Scuola di Fontainebleau, Ritratto presunto di Gabrielle dEstres e sua sorella, 150 Shakespeare, William, 27 Shelley, Percy Bysshe, 41 Seurat, Georges, 57, 107 Simon, Luc, 178 Soulages, Pierre, 117-129 Peinture, 126 Soutine, Cham, 30-32 Stanislavskij, Kostantin Sergeevi, 40 Statua di Manishinsu, 76 Steinberg, Saul, 131-144 Louse Point, 141 Stele di Antou, 172 Stele di Naram-Sin, 76 Stele del Re serpente, 77, 173 Stele di Zakir, 119-120 Stella, Frank, 86 Testa virile del Hawran, 120 Thiebaud, Wayne, 134 Tintoretto, (Iacopo Robusti detto il), 64, 90, 105, 106, 125, 150, 159, 165, 172, 174 Autoritratto, 64, 106, 150, 165, 174 Susanna e i vecchioni, 90, 125, 172 Trafugamento del corpo di San Marco, 159 Donna allo specchio, 174

Maria Luigia dAustria (Maria Luisa dAsbur-

188

Martorell, Bernat, Martirio di San Giorgio, 79 Masaccio, 29, 34 Matisse, Henri, 18, 21, 26, 37, 90-91, 104, 115, 172 La danza, 90 Ritratto di Greta Moll, 18 Mazarino (cardinale), 14-15, 90 Mazarino, Giulio, vedi Mazarino (cardinale) Meissonnier, Jean-Louis-Ernest, 178 Michelangelo, 27, 92, 99 Millet, Jean-Franois, 36, 173 Angelus, 173 Donna nuda sdraiata, 36 Bouquet, 73 Costellazioni (serie), 80 Figura che lancia una pietra a un uccello, 74 Mano che afferra un uccello, 70 Ritratto di Mrs. Mills, 68-69 Terra arata, 73

Paolo Veneziano, 174 Paolo Veronese, 18, 20, 43, 89-91, 106, 122, 125, 161, 174 Esther, 20 Il Calvario, 90 Madonna, 106 Matrimonio mistico di Santa Caterina, 122 Nozze di Cana, 43-44, 89, 125

189

Pappagalli (frammento di mosaico), 72 Pascal, Blaise, 60, 149 Pasteur, Louis, 32 Perugino (Pietro Vannucci detto il), Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e Caterina dAlessandria, 143 Picabia, Francis, 26 Picasso, Pablo, 19-20, 37, 87, 90, 165, 179 Guernica, 87, 93-94 Les demoiselles dAvignon, 90, 146 Amore e Psiche, 109, 137 Picot, Franois-douard, 178 Piero della Francesca, 45 Piet di Avignone, 79 Piranesi, Giovanni Battista, 43, 77 Pissarro, Camille, 20, 36 Petit, Georges, 166 Plinio Cecilio Secondo, Gaio, detto Plinio il

Mir, Joan, 67-83

Modigliani, Amedeo, 179 Mondrian, Piet, 57 Monet, Claude, 20, 27, 34, 36-37, 43, 87, 113, 174 Cattedrale di Rouen (serie), 87, 113 Il Bacino dArgenteuil, 113

Rembrandt Harmenszoon van Rijn vedi Rem-

Tiziano, 29, 37, 90, 125, 161, 174

Pierre Schneider Giove e Antiope, detta anche la Venere del Pardo, 90, 125 Ritratto di Francesco I, 90 Toulouse-Lautrec, Henri de, 17 Trionfo di Nettuno e Amfitrite (mosaico), 72 Turner, William, 41 Urgell y Englada, Modest, 69 Van Dyck, Antoon, Ritratto di Carlo Ludovico e Rupert, principi palatini, 154 Van Eyck, Jan, 21, 60 Van Gogh, Vincent, 31, 105, 107, 109, 138, 151, 179 Caff di notte, 159 Accampamento di zingari, 107 Composition 1970, 152 Vermeer, Jan, 64, 71, 109, 174 Veduta di Delft, 109 Atelier Lisbonne, 159 Le dsastre ou La guerre, 167 Vieira da Silva, Maria Helena, 157-169 Bibliothque, 163 Vien, Joseph-Marie, 16 Vlaminck, Maurice de, 35 Voltaire (Franois-Marie Arouet detto), 85 Wagner, Richard, 92 Watteau, Jean-Antoine, 27, 30-31, 34, 36, 52, 79, 106, 151, 164, 174 Finette, 164 Giudizio di Paride, 36 Limbarco per Citera, 36 Pierrot detto Gilles, 36, 38, 52

Van Velde, Bram, 145-153 Van Dongen, Kees, 34 Van Ruysdael, Salomon, 106 Vasarely, Victor, 89 Velzquez, Diego, 17, 31, 105-106, 144 Infanta, 17 Vecellio, Tiziano vedi Tiziano, Venere di Milo, 70 Vernet, Claude Joseph, 16

Lindifferente, 174 Whistler, James Abbott McNeill, 94 Wildenstein, Daniel, 87 Wols (pseudonimo di Alfred Otto Wolfgang Schulze), 166 Wright, Frank Lloyd, 136 Zao Wou-Ki, 171-182 Senza titolo (21 dicembre 1962), 177

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