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INTELLETTO E VOLONT Non separiamo ci che Dio ha unito

d. CURZIO NITOGLIA 16 aprile 2011 http://www.doncurzionitoglia.com/intelletto_volonta.htm

Natura dellintelletto e della volont La volont spirituale o appetito razionale la facolt che tende al bene conosciuto dallintelletto (nihil volitum nisi praecognitum, niente voluto se prima non conosciuto). Essa realmente distinta dallappetito sensibile o sensibilit (che si suddivide in concupiscibile e irascibile, S. Th., I, q. 80, a. 2)[1]. La volont una tendenza, un desiderio o un appetito razionale, il quale segue la conoscenza intellettuale e non quella sensibile ed specificata dalloggetto conosciuto dallintelletto e presentatole come buono, anche se in realt non lo (bene apparente, male reale). Infatti loggetto della volont il bene anche solo apparente e non pu essere il male in quanto male, perch ci sarebbe contrario alla natura della volont. Ma un oggetto, prima di essere buono, deve essere o esistere. Quindi in questo senso la volont dipende dallintelligenza: lintelletto conosce lessere o la natura intima e vera del suo oggetto, mentre la volont tende allessere buono o presentatole come tale. Ora ontologicamente lessere anteriore allessere buono. Perci in senso assoluto lintelletto precede la volont. La volont e lintelletto rispetto a Dio Tuttavia quando loggetto (per esempio Dio) pi nobile dellanima umana in cui risiedono lintelligenza e la volont, allora - in rapporto a questo oggetto - la volont superiore allintelligenza. Infatti, latto intellettivo di conoscere attira a s gli oggetti conosciuti perch la loro rappresentazione entra psicologicamente o logicamente (non fisicamente) nellintelletto. Perci Dio conosciuto secondo le capacit finite e limitate dellintelletto umano, ossia rimpicciolito al livello delle nostre idee o concetti intellettuali. La ragione umana pu conoscere con certezza lesistenza di Dio, mediante un sillogismo che parte dagli effetti (creature) per risalire alla Causa prima incausata (Creatore); pu giungere a conoscere anche qualche propriet, nome o attributo di Dio (Essere, Bene, Vero), ma non tutta la sua Natura, che, essendo infinita, sorpassa illimitatamente le capacit conoscitive dellintelletto umano ed infinitamente sproporzionata alla finitezza del concetto intellettuale. Luomo non pu formarsi 1

unidea adeguata di Dio, altrimenti coglierebbe la sua Essenza infinita e il suo intelletto dovrebbe essere infinito, come vogliono gli ontologisti, ma ci evidentemente falso. Solo in Paradiso i Beati vedono Dio faccia a faccia nella sua Essenza come , ma grazie al Lumen gloriae, che dato da Dio allintelletto del Beato e lo sopraeleva soprannaturalmente alla capacit di cogliere intellettualmente e intuitivamente la Natura infinita di Dio (Visione beatifica). Latto della volont, che una tendenza verso un oggetto presentatole come buono, esce, invece, fuori di essa per unirsi alloggetto conosciuto e amato come buono e possederlo o fruire della sua bont. Perci gi in terra, quando la volont ama o desidera Dio, perfezionata, cresce di grado, poich esce da s tende e aderisce ad un oggetto infinitamente pi nobile di s. Causalit reciproca tra intelletto e volont Intelletto e volont non si possono considerare come due agenti separati, ma sono due facolt di un solo uomo, facolt distinte ma non separate, che invece di contrapporsi devono collaborare intimamente. Intelletto e volont sono intimamente legate nella medesima azione: lintelletto sa che la volont vuole e la volont vuole che lintelletto conosca (S. Th., I, q. 82, a. 4, ad 1). Esse sono legate nella libera scelta di un fine, che gi Aristotele chiamava intellezione appettitiva e appetito intellettivo (Etica Nicomachea, IV, 2). Cronologicamente lintelletto precede. Infatti la volont un appetito o una tendenza razionale, che segue cio la conoscenza dellintelletto. Negli scritti di San Tommaso dAquino si trova una certa evoluzione o precisazione del suo pensiero. Sino al 1270 (Somma Teologica e De Veritate) lAngelico attribuisce alla volont la causalit efficiente e allintelletto la causalit finale. Invece con la questione De Malo (q. 6, articolo unico) del 1271 san Tommaso specifica[2]: alla volont spetta la causalit efficiente e finalizzante; allintelletto spetta la causalit specificante e formale estrinseca o esemplare, con la quale lintelletto presenta alla volont, specificandola, un oggetto conosciuto come bene, un esemplare, un modello o un esempio da volere, il quale condizione essenziale affinch il bene eserciti la sua attrazione (quale modello) sulla volont e la volont eserciti la sua causalit finale e tenda a volere il fine o bene propostole come modello dallintelletto. Ora il bene il fine, ma il bene oggetto della volont e non dellintelletto. Infatti ogni bene conosciuto finitamente dallintelletto (fosse anche Dio) non esercita unattrazione determinante sulla volont, che resta indifferente e libera ed lei a scegliere un bene o un altro bene (reale o apparente) come suo fine. Cajetanus scrive: voluntas ex se sola flectit judicium quo vult (In Primam partem, q. 82, a. 4). Quindi il bene, anche se prima stato presentato dallintelletto come esempio, esercita una causalit finale solo dopo che stato scelto liberamente dalla volont. La proposta o lilluminazione (come quella di un faro), che rende possibile o occasiona la scelta del bene, viene dallintelletto, per la scelta o il rifiuto (il movimento avanti o indietro, come quello del motore) vengono dalla volont, non ciecamente, ma razionalmente poich, la scelta libera e volontaria, ma valutata e deliberata dallintelletto: prendo o scelgo con la volont ci che con lintelletto ho valutato come bene per me. Perci lintelletto nellordine statico - che illumina la volont come causa formale estrinseca o esemplare, che specifica la volont, presentandole il suo oggetto: lessere conosciuto come buono, anche se in realt cattivo (S. Th., q. 9, a. 1), ma non bisogna misconoscere che la volont - nellordine dinamico o attivo - muove lintelletto come causa efficiente e finale (S. Th., I, q. 82, a. 4; De Veritate, q. 22, a. 12), sia applicandolo a questo oggetto (matematica) o a questaltro (filosofia) sia facendogli ponderare il lato buono di un bene finito oppure quello cattivo, poich lente-bene finito sempre un bonum mixtum malo. 2

Lintelletto offre alla volont i princpi o le conoscenze (lesempio o il modello) per poter tendere verso qualcosa (niente voluto se prima non conosciuto), le presenta lessere conosciuto come buono, ma tale presentazione solo conditio sine qua non affinch il bene possa attrarre la volont. Perci ogni atto di volont procede cronologicamente innanzitutto e materialmente - da un atto dellintelletto; tuttavia la volont che tende poi - formalmente ed efficacemente - allatto finale dellintelletto, che la beatitudine, e in questo senso latto di volont superiore a quello dintelletto (S. Th., I-II, q. 4, a. 4, ad 2; Ivi, q. 99, a. 1, ad 3). Perci la volont realizza ultimamente luomo intero offrendogli il suo fine, che il bene e la felicit (causalit finale); essa principio di ogni agire (causalit efficiente) e in questo senso la volont muove lintelletto (S. Th., I-II, q. 9, a. 1, ad 3), ma la volont tende allatto finale dellintelletto, che la beatitudine (S. Th., I-II, q. 4, a. 4, ad 2). La libert Nella produzione dellatto libero vi un influsso reciproco tra intelletto e volont. Ambedue sono facolt di un unico uomo e sarebbe falso ipostatizzare intelletto e volont come due soggetti agenti per se sussistenti, di cui luno propone e laltro dispone separatamente. Invece il soggetto che razionalmente propone e liberamente dispone luomo. La volont sceglie il fine o bene e per mezzo del suo intelletto e della sua volont muove lintelletto come causa efficiente a conoscere un oggetto piuttosto che laltro e infine spinge lintelletto ad emettere lultimo giudizio pratico. La scelta deliberata e consapevole (volizione o elezione) costituisce latto libero con cui un uomo accetta (o respinge) un determinato bene finito come in concreto per lui fine buono e ultimo, in cui trovare la felicit. La fase decisiva della produzione dellatto libero una scelta che dovuta alluomo, il quale si serve assieme dellintelletto e della volont: la scelta o unintellezione appetitiva o, meglio, un appetito intellettuale, e il principio che opera tale scelta luomo (Aristotele, Etica Nicomachea, VI, 2). La scelta un atto di giudizio voluto o di volizione ragionata. Il giudizio o valutazione atto dellintelletto. Per giungere alla scelta libera, che atto di volont, bisogna arrivare dal giudizio speculativo, che mi presenta un oggetto (ricchezza) come felicit/bene/fine in maniera assolutamente astratta, universale, valida per tutti o teorica, a quello speculativo-pratico-prossimo, ove la volont spinge lintelletto a deliberare (decidere, interrogarsi o stabilire) quale mezzo prendere (lavorare o rubare) considerando (valutando o giudicando) se loggetto (ricchezza) sia veramente fine buono per me e la mia felicit, concretamente, qui e adesso. Lintelletto delibera mentre la volont ancora si frena o si inibisce di prorompere ad un atto di adesione definitiva che vuole ultimamente un mezzo (non-rubare, ma lavorare), come atto a cogliere il fine/bene/felicit. Inoltre la volont che spinge efficientemente lintelletto a concentrare la sua attenzione su un aspetto o un altro del bene in considerazione (ricchezza) e a deliberare o decidere in maniera pi approfondita quale mezzo prendere (non-rubare) per giungervi. Quindi si giunge al giudizio pratico-pratico o ultimo pratico, che la scelta concreta libera e cosciente (o il rifiuto) del mezzo (nonrubare) atto a farmi cogliere il fine/bene/felicit (ricchezza). Tale bene, che conosciuto dallintelletto finitamente ed cos presentato alla volont, viene scelto dalla volont come concretamente, qui e adesso, un bene totale o fine ultimo, in cui trovare la beatitudine. Questa scelta un giudizio pratico dellintelletto, che mi fa dire per me hic et nunc la ricchezza il bene assoluto, il mio fine ultimo in cui trovo la felicit e per giungervi debbo non-rubare, ma lavorare. Ora in questo giudizio pratico-pratico intervengono cronologicamente assieme intelletto e volont, ma 3

lintelletto influisce sulla volont come causa esemplare o formale estrinseca (nonrubare lesempio, il modello da seguire e volere per essere felici o ricchi); tuttavia il giudizio intellettivo diviene pratico-pratico o ultimo poich la volont liberamente spinge lintelletto a dare lassenso ad esso e poi la volont lo accetta come bene totale o fine ultimo. Infatti, trattandosi di un bene finito, che sempre unito ad un certo lato spiacevole (bonum mixtum malo) la deliberazione dellintelletto (stabilire quale mezzo prendere: rubare/non-rubare) da s sola non pu concludersi a un giudizio definitivo o ultimo. Vi indeterminazione da parte delloggetto buono che finito, ma vi autodeterminazione della volont. Infatti libero arbitrio significa che la volont arbitra o sceglie di prendere un mezzo (non-rubare) pi che unaltro (rubare), senza essere determinata dal giudizio speculativo o intellettuale. Latto libero primariamente, formalmente e sostanzialmente un atto di volont, ossia emesso dalla volont, che illuminata secondariamente, materialmente e accidentalmente dallintelletto quale causa esemplare. Allora la volont che spinge come causa efficiente e finale lintelligenza a soffermarsi su un dato aspetto del mezzo in questione e a giudicarlo come hic et nunc il migliore per me, non-rubare, ponendo fine alla deliberazione intellettuale e giungendo alla scelta libera della volont. Siccome manca levidenza intellettuale di fronte ad un bene finito, allora la volont che liberamente muove lintelletto ad un assenso giudicativo e sceglie liberamente. Questa scelta, compiuta sotto linflusso mutuo dellintelletto e volont, formalmente atto della volont, sia poich la scelta non atto intellettuale ma volitivo, sia perch la causalit efficiente della volont sullassenso intellettivo pi importante di quella esemplare illuminatrice dellintelletto sulla volont. Una volta posto questo giudizio pratico-pratico su un dato mezzo come atto hic et ninc a farmi cogliere il bene totale e fine ultimo in cui essere felice, allora la volont vuole immancabilmente tale mezzo, poich appetito razionale, altrimenti sarebbe appetito irragionevole e dallaltra parte rinuncerebbe alla sua felicit, al fine ultimo e al bene totale, ossia vorrebbe il male in quanto male, ma ci ripugna alla natura della volont che ordinata al bene. La libert deriva, dunque, dalla mancanza di proporzione tra la volont razionale che specificata da un Bene universale e un bene finito e particolare, che buono sotto un aspetto e non-buono sotto un altro aspetto e assolutamente sproporzionato alla ampiezza illimitata della volont specificata dal Bene universale (De Veritate, q. 22, a. 5). Amare Dio, che in s infinito ma conosciuto da me finitamente, un qualcosa che ha il rovescio della medaglia (bene in s, misto a male per me). Infatti per amare Dio debbo rinnegare il mio amor proprio e quindi un bene reale che a me e al mio egoismo appare come un male apparente (S. Th. I, q. 83, Ivi, I-II, q. 10, aa. 1-4). Ora, se lintelletto a presentare alla volont un oggetto come indifferente, ossia finito e quindi buono sotto un aspetto e non-buono sotto un altro aspetto, , invece, la volont che fissa lintelletto a considerare laspetto buono in s o sgradevole per me delloggetto conosciuto e a farmi giudicare pratico-praticamente e perci scegliere liberamente luno o laltro (S. Th., I-II, q. 57, a. 5, ad 3um; Ivi, q. 58, a. 5): Video meliora proboque, sed deteriora sequor; vedo le cose buone e le approvo speculativamente, ma praticamente faccio quelle cattive. C qui un influsso reciproco tra intelletto e volont, come una specie di matrimonio tra le due facolt (R. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Brescia, Queriniana, 1953, p. 203; Id., Dieu, son existence et sa nature, Parigi, Beauchesne, 1928, pp. 590-657). Ora il male morale consiste proprio nella difformit tra giudizio speculativo e libera elezione della volont. Per cui il male morale o peccato non ignoranza (Socrate), ma cattiva volont[3].

Luomo intelligente e libero, non solo intelletto non sola volont Tomisticamente non bisogna mai dimenticare che tutto luomo anima e corpo, con lintelletto, la volont, la sensibilit e le passioni (nihil in intellectu quod prius non fuerit in sensu; nulla entra nellintelletto se prima non passa attraverso i sensi), che conosce e vuole ed agisce, per cui bisogna educare la sensibilit e le passioni ad obbedire alla volont, e questa allintelletto e viceversa. Padre Reginaldo-Garrigou Lagrange scrive: se nego il valore della intelligenza retta, comprometto la bont dellazione libera e volontaria. La volont deve essere educata, illuminata e rettificata dalla sana e retta intelligenza e dal giudizio speculativo vero circa il Fine ultimo. Non si pu amare Dio, Sommo Bene e Vero, senza la retta conoscenza della realt. Tuttavia, lintelletto pratico, che sceglie i mezzi, dipende dalla buona volont. Ognuno giudica praticamente secondo la propria tendenza: se linclinazione del proprio appetito sensibile o razionale cattiva (lambizioso), il giudizio pratico non retto (per me qui e adesso bene rubare). La verit del giudizio dellintelletto pratico dipende dalla buona volont (La sintesi tomistica, Brescia, Queriniana, 1953, p. 203). Limportanza di una buona volont San Tommaso insegna: Penso [] perch voglio pensare (De malo, q. 6, a. 1; Summa contra Gent., lib. I, cap. 72). Se mi manca la buona volont non metto a frutto lintelligenza o la metto malamente a frutto per fare il male. Mediante la volont ci gioviamo di tutto ci che si trova in noi. Per cui chiamata buona non la persona intelligente, ma quella che ha la buona volont (S. Th., I, q. 5, a. 4, ad 3). Infatti la nostra anima mantiene la grazia infusa da Dio in forza della buona volont (S. Th., I, q. 83, a. 2, sed contra). La libert vera consiste nella scelta libera di voler amare Dio e pi amiamo Dio, pi siamo liberi (In III Sent., dist. 29, a. 8, quaestiunc. 3, n. 106, sed contra). Per cui la vera libert libert dal peccato; mentre la vera schiavit la schiavit del peccato (S. Th., II-II, q. 183, a. 4). Se lintelligenza rende luomo dotto, la volont lo fa virtuoso. Non separiamo ci che Dio ha unito Ecco limportanza di non separare ci che Dio ha unito in matrimonio: intelletto e volont, ma di farli cooperare unitamente e subordinatamente come causa formale estrinseca che illumina (intelletto) ed efficiente e finale che muove (volont) luomo a conoscere il vero e ad agire bene. Luomo composto di anima (in cui si trovano lintelletto e la volont) e corpo (in cui vi sono la conoscenza sensibile: sensi esterni, interni e lappetito sensibile: irascibile e concupiscibile). La sola intelligenza senza la buona volont porta al male, la sola volont senza conoscenza cieca e devia, sbanda, si schianta. Inoltre le passioni sensibili debbono essere educate a rispondere positivamente alla buona volont per essere applicate alla conoscenza del vero. Altrimenti prendono il sopravvento e trascinano lintelletto e la volont verso oggetti falsi e cattivi. Occorre coltivare il corpo con i suoi sensi esterni (vista, tatto, gusto, olfatto e odorato) ed interni (memoria e fantasia), lappetito sensibile (irascibile e concupiscibile), le passioni (ira, odio, amore, timore); poi lintelletto a conoscere il vero e rifiutare il falso ed infine la volont ad amare il bene ed odiare il male. Fa il bene ed evita il male, questo tutto luomo. Non siamo solo ragione pura, nemmeno 5

volont assoluta, neppure solo istinti, sensi, passioni, ma un misto di queste cose che debbono lavorare assieme, subordinatamente a farci cogliere il nostro vero Fine ultimo conosciuto ed amato. LImitazione di Cristo ci insegna che il giorno del Giudizio non ci verr chiesto ci che abbiamo letto, detto o scritto, ma ci che abbiamo voluto e fatto. Lideale la retta scienza accompagnata dalla buona volont (doctus cum pietate, pius cum doctrina), conoscere per amare e voler conoscere per poter amare sempre meglio. Senza dimenticare che abbiamo un corpo con i suoi sensi e le passioni, che vanno educate e innalzate dalla conoscenza amorosa del Fine ultimo e non represse, altrimenti scoppiano e si rivoltano. Chi vuol far langelo, finisce per diventare una bestia. Luomo ununit sostanziale di anima e corpo, sensibilit, intelletto/volont e tutto deve essere utilizzato in armonia e gerarchia allo scopo finale. Luomo completo dovrebbe tendere, pian piano e soprattutto con laiuto di Dio, ad acquisire una intelligenza profonda, chiara, riflessiva, penetrante, agile, viva e rapida, non superficiale, non fredda, arida o egoista, ma accompagnata da un caldo e intenso amore di Dio e del prossimo. Una volont forte, ferma, costante, attiva e tenace, non timida, ma impavida e accompagnata dalla bont di cuore, evitando la pignoleria e la meticolosit ristrette, la durezza, lostinazione, linsensibilit. Infine la sensibilit, controllata da intelletto e volont, dovrebbe arricchire lappetito irascibile con la benignit, la serenit, la compassione, laffabilit e lespansivit, senza durezza di cuore e lappetito concupiscibile con la padronanza di s e la flemma, la costanza, la metodicit, la perseveranza e la prudenza, schivando langelismo come pure la schiavit o la dipendenza dalle passioni o dagli istinti disordinati[4]. Per cui intelletto, volont e sensibilit debbono concorrere al perfezionamento delluomo assieme e subordinatamente. d. Curzio Nitoglia 16 aprile 2011

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[1] La volont razionale e spirituale illuminata dallintelligenza ed specificata dal bene universale, che solo lintelligenza pu conoscere. Invece lappetito sensibile, chiamato anche sensibilit, illuminato direttamente dalla conoscenza sensibile (sensi esterni e interni: vista, tatto, udito/immaginazione e memoria) ed specificato dal bene sensibile, utile o dilettevole. Questa la distanza immensa tra volont e sensibilit, che oggi negata a pie sospinto, non solo dagli psicologi freudiani, ma anche dai teologi modernisti, che si basano sul sentimento o esperienza religiosa, dopo aver volto le spalle alla ragione illuminata dalla Fede e alla volont fortificata dalla Carit. [2] Cfr. O. Lottin, Psychologie et morale aux XII et XIII sicles, Gembloux, 1942, I, pp. 225-389; Id., Morale fondamentale, Tournai, 1954, pp. 96-100. [3] Cfr. C. Fabro, Riflessioni sulla libert, Rimini, 1983. [4] Cfr. A. Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, Roma, Descle, VIII ed., 1954, A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma, Paoline, 1960.

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