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Francesco Lamendola

Se tutta la conoscenza viene solo dallesperienza, cosa distingue la realt dalla parvenza?
Il matematico, scienziato e filosofo Johann Heinrich Lambert (1728-1777), autodidatta, discepolo ideale di Leibniz, Locke, Christian Wolff, stato un tipico esponente del pensiero illuminista: convinto che bisognasse rifondare la filosofia su basi rigorosamente matematiche, si affatic a determinare la assoluta oggettivit e dimostrabilit dei concetti semplici, s da pervenire a delle conclusioni speculative che sfuggano a tutti quegli alti e bassi di tipo soggettivistico, che rendono cos incerto il progresso del pensiero. N a lui, n a quelli come lui, evidentemente, mai venuto in mente che non sia possibile alcun progresso del pensiero, per il semplice fatto che il pensiero non ha da progredire, ma, piuttosto, da focalizzare bene la sua prospettiva. Le scienze progrediscono, perch si basano sullaccumulo dei dati, sempre pi esatti, derivanti dallesperienza e dalla formulazione di teorie atte a spiegare i fenomeni della natura; ma la filosofia unaltra cosa: non si fonda sui dati dellesperienza, ma li trascende, n ha come obiettivo la spiegazione dei fatti naturali, bens la comprensione del reale che si cela dietro le apparenze del dato sensibile. Il tipo di approccio lambertiano alla rifondazione del sapere filosofico presuppone una approfondita fenomenologia, intesa come lo studio delle possibili fonti di errore insite nelle varie forme di apparenza: perch Lambert riconosce che il dato sensibile, fornito dallesperienza immediata, non che parvenza, per adoperare il suo linguaggio. Per lui, per, il filosofo non si pu accontentare del fenomeno, deve penetrare oltre di esso, verso la cosa in s, verso il noumeno (per usare, questa volta, il linguaggio del criticismo kantiano). Potrebbe sembrare, a questo punto, che Lambert si diriga nuovamente verso laborrita metafisica (aborrita dal pensiero illuminista), ma non cos: la cosa in s di cui va in cerca, in effetti, lo interessa meno della strada necessaria per arrivarci; per cui egli dispiega il meglio delle sue energie a tracciare le linee di una semiotica universalmente valida, ossia di un complesso di segni precisi, non sottostanti a interpretazioni opinabili e soggettive, dalla cui combinazione scaturisce la verit o la falsit dei giudizi. Di qui il suo particolare interesse per la filosofia del linguaggio, che ne fa un precursore o, come sarebbe meglio dire, che fa di lui una bandiera per certi pensatori moderni - delle successive filosofie del linguaggio ; e, in particolare, per la definizione dei concetti semplici, come lestensione, la solidit, lesistenza e la durata, s da sottrarre la filosofia alle incertezze e a tutti i possibili equivoci e fraintendimenti di una ermeneutica approssimativa. Dalla ars combinatoria di Leibniz alla filosofia del linguaggio di Wittgenstein: cos, passando per la fenomenologia e la semiotica di Lambert, il cerchio si chiude. Di speciale interesse a noi sembrano gli sforzi profusi da J. H. Lambert per definire, in un quadro concettuale ispirato alla massima chiarezza e linearit, le caratteristiche di una fenomenologia nel senso sopra indicato; sforzi che cos la studiosa Maria Dello Preite sintetizza nel suo libro Limmagine scientifica del mondo dio Johann Heinrich Lambert (Bari, Dedalo Libri, 1979, pp. 146-53): [Nel pensiero di Lambert] laspetto primario della esperienza costituito dalla condizione della parvenza (Schein), nel quale con concetto il nostro filosofo intende la neutralit del mondo dei fenomeni nellanteriorit della distinzione tra errore e verit: Noi non dobbiamo contrapporre soltanto il vero al falso, ma, nella nostra conoscenza, tra questi due estremi si trova anche qualcosa di intermedio, che noi chiamo PARVENZA. [] 1

La nozione di PARVENZA derivata dalla teoria della visione, ma designa la condizione generale di relazione tra uomo e mondo, tra soggetto ed oggetto; essa qualifica il mondo delle IMPRESSIONI che evidentemente rappresentano una condizione necessaria del conoscere, ma nello stesso tempo possono divenire causa e origine di conclusioni errate o illusorie. La parvenza dunque la conditio sine qua non per lespressione di giudizi di realt:ogni parvenza assunta come reale non esiste affatto per s, e con ci mostreremo che non pu essere assunta come reale, ma il reale, o ci che la cosa in s, deve essere soltanto ricavato da essa. Il reale ci accessibile in definitiva solo attraverso la parvenza. Sar quindi esigenza della conoscenza scientifica di redigerne il linguaggio e le norme proponendo una PROSPETTIVA TRASCENDENTE. La scienza filosofica, che deve precedere ogni tipo di ricerca scientifica, la FENOMENOLOGIA, assume laspetto di una OTTICA TRASCENDENTE, estendendo la condizione di esperienza della visione alla complessit dellesperienza sensibile. [] La parvenza sensibile base e condizione della conoscenza anche la pi astratta. chuiaro che lesigenza di un conoscere che sia non solo in contraddittorio, formalmente ineccepibile, ma che verifichi anche la verit concreta delle sue asserzioni, ha bisogno di garantirsi dalle illusioni dei sensi. La condizione dellesperienza comune sempre quella della parvenza. Il vero va quindi attivamente ricercato; tuttavia senza parvenza non sarebbe neanche possibile il conoscere. La parvenza sensibile rende conoscibili i corpi, permette lorientamento nella vita comune e inoltre offre i concetti per s pensabili, divenendo quindi la condizione occasionale dei concetti orini e perci dellalfabeto fondamentale della realt che permette di costruire il linguaggio vero. [] Due principi servono principalmente alla prima elaborazione della parvenza: 1) sorge una medesima sensazione, se proprio questo senso riceve la medesima impressione; 2) lisocronismo. Il primo assioma un criterio per esaminare e confrontare le sensazioni secondo la loro gradualit. Il confronto dei gradi sensazione permette un primo rilievo delle anomalie del linguaggio della parvenza e quindi di evidenziare i primi segni della mera parvenza. Il secondo principio, tratto dalla nozione astronomica di paralasse, afferma che appartiene al soggetto la causa del mutamento che si estende nello stesso tempo ad un gran numero di oggetti. Il criterio primo, per, che permette di definire il reale, quello del MUTAMENTO (Vernderung): se si verifica un mutamento nella parvenza infatti, esso sempre segno di un mutamento nella realt, sebbene poi rimanga noin ulteriormente definito riguardo al luogo della sua origine poich, come sappiamo, la parvenza sensibile complessa nelle sue fonti.[] Ma per il problema del vero contro lillusione interessano evidentemente quei segni che sono per s segno della realt, e lespressione SEGNO introdotta nella pienezza del significato semiotico. ESTENSIONE, SOLIDIT E MOTILIT sono questi segni: essi sono i concetti estensibili a tutti i corpi e nessun corpo pu essere pensato prescindendo da essi. Con loro si costituiscono le unit semiotiche con cui scritto il vero linguaggio fisico. [] Ma il nostri filosofo non dimentica la condizione di relazione in cui il percepire ha pur sempre luogo. Il linguaggio vero non coincide perfettamente con la fonte oggettiva della parvenza, la fonte soggettiva vi svolge sempre un ruolo; ci pu voler anche indicare un limite innato nelle condizioni del percepire stesso. Perci tra linguaggio della parvenza vera e e linguaggio fisico si stabilisce un rapporto di omonimia, ma non didentit. [] [Tuttavia] di fronte ai meccanismi impercettibili, come pure alluso linguistico di concetti il cui meccanismo ci noto, noi rimaniamo legati alla parvenza. Altro limite il fatto che laccertamento della realt dei concetti dovrebbe essere legata alla possibilit di ricostruire il modo in cui lazione di un oggetto sui sensi diviene immagine delloggetto per un soggetto. Il vero dei concetti dato come sappiamo dal loro essere pensabili e possibili in s; ma evidentemente anche nel caso in cui il concetto non meramente apparente, e si trascura per di esaminarne le lacune e le possibili contraddizioni, il concetto rimane solo apparente, ovvero esatto solo secondo la parvenza. Lambert per la verit ritiene che le forze dellintelletto e della ragione NON SIANO FONTE DI PARVENZA, perch sono esse che penetrano attraverso i qualsiasi illusione della parvenza, e poich in realt si hanno intelletto e ragione nella misura in cui si pensa e si argomenta con esattezza e correttezza. La difficolt risorge al livello dei concetti fondamentali quali sono certamente per s pensabili ma, 2

proprio in ragione di quanto di empirico in essi rimane, si ripropone la questione decisiva: parvenza o realt? Gira e rigira, quando si parte da una siffatta impostazione empiristica e positiva del fatto conoscitivo, si torna sempre allo stesso punto: se tutta la conoscenza viene solo dallesperienza e se sufficiente verificare la non contraddittoriet e la pensabilit degli enunciati, chi o che cosa potr mai garantirci che la realt sia qualcosa di distinto e di fondamentalmente diverso dalla mera apparenza o parvenza, come preferisce chiamarla Lambert? Chi o che cosa potr garantirci che le cose esperite nella veglia siano di natura essenzialmente diversa da quelle che vengono esperite nel sogno, nellallucinazione, nella visione mistica e cos via? I due capisaldi dun tale realismo filosofico di matrice razionalista sono, infatti, che una cosa sia pensabile e che ci appaia con evidenza. Eppure una cosa pu essere pensabile e in se stessa non contraddittoria, e tuttavia non esistere, o anche non esistere nella maniera in cui ci si offre mediante i sensi. Questi ultimi, a loro volta, non offrono alcuna garanzia circa la verit intrinseca della cosa: tutto quel che di essa ci dicono, ce lo dicono in maniera riflessa, allinterno del nostro processo conoscitivo e non in virt di una sostanza oggettiva che faccia loro da substrato. Si racconta che una volta, mentre Bertrand Russell affermava, durante una lezione: In questa stanza non vi sono rinoceronti, il suo allievo (ben pi profondo) Ludwig Wittgenstein si chinasse sotto il banco a sbirciare pi volte, intensamente e significativamente. Laffermazione del maestro era, infatti, perfettamente logica, ma non per ci stesso doveva considerarsi vera: logicit e verit non sono sinonimi. Nello steso tempo, si deve ricordare anche la possibilit contraria: che una cosa appaia vera, in quanto cade sotto levidenza dei nostri sensi, ma in realt non lo sia. Il Sole sembra sorgere, culminare e tramontare nel cielo: noi sappiamo, per, che tale movimento frutto di apparenza, perch non il Sole a muoversi, ma la Terra, la quale, girando su se stessa con il moto di rotazione, produce una simile illusione. Lambert, dunque, sembra andare a cacciarsi da se stesso in un vicolo cieco: da un lato si dice consapevole della differenza che corre fra cosa e apparenza, fra razionalit e realt, fra possibilit ed esistenza; dallaltro finisce per cadere nel pi vieto dei pregiudizi illuministi, ossia che la ragione, in se stessa, non sia fonte di parvenza, ma solo di certezza. La parvenza, dunque, sarebbe tutta nelle cose, negli oggetti: ammettiamolo per un momento, per puro amore dipotesi. Ma non forse un fatto, un fatto oggettivo e assolutamente incontrovertibile, che ciascuno di noi non solo soggetto di conoscenza, ma anche oggetto di conoscenza per tutti gli altri enti capaci di pensare e di osservare? E dunque: come pu la nostra ragione garantirci contro la parvenza, ossia contro linattendibilit del conoscere, se quella stessa ragione fa s che noi, proprio noi, IN QUANTO DOTATI DI RAGIONE, siamo, per gli altri, oggetto di mera parvenza e, dunque, mistero, vale a dire il contrario della certezza e della verit gnoseologica? Come possibile che una cosa sia, nello stesso tempo, oggetto (di parvenza) e soggetto (di conoscenza certa e vera)? Eppure, se Lambert fosse coerente con le sue premesse, dovrebbe ammettere che noi nulla possiamo dire di certo circa lesistenza di altri soggetti, perch tutto quel che possiamo dire nasce e finisce con noi, con la nostra ragione e con il nostro intelletto. Dovrebbe, cio con Berkeley ammettere che lunico essere che a noi sia dato, lessere in quanto viene percepito, lessere in quanto oggetto della percezione, che nostra e soltanto nostra. E dovrebbe pure, con Hegel, giungere alla conclusione che non esistono differenti soggetti pensanti, ma un unico Pensiero che pensa la realt e, pensandola, la determina e la modifica incessantemente. Singolare capovolgimento delle premesse e nemesi inevitabile di tutte le arroganti filosofie illuministe: per esse, infatti, in ultima analisi non la realt a determinare il pensiero, le sue condizioni, i suoi criteri di giudizio sulla verit e sulla falsit delle cose; ma il pensiero a creare la realt, a dare forma allesistente, a fare del mondo quello che . Inevitabile conclusione, date le premesse: che tutta la conoscenza derivi dallesperienza e che la ragione non possa ingannarsi, una volta fissato un metodo di ragionamento oggettivo, di tipo matematico. Dunque, le premesse sono sbagliate. Dunque, le filosofie illuministe sono un inganno... 3

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