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IL PROTESTANTESIMO PARAGONATO COL CATTOLICESIMO NELLE SUE RELAZIONI CON LA CIVILT EUROPEA Volume Secondo OPERA DEL SACERDOTE

SPAGNOLO D. GIACOMO BALMES Tradotta in Italiano dal C. A. C e qui lievemente aggiornata allitaliano odierno dal forumista di totustuus.biz LucioF per il quale si chiede unAve Maria come ringraziamento Una biografia dellapologista cattolico Jaime Balmes leggibile qui: http://www.totustuus.biz/users/altrastoria/balmes.html CARMAGNOLA 1852. TIPOGRAFIA DI PIETRO BARBI. Si permette la stampa Torino 27 aprile 1852 FILIPPO RAVINA Vic. Gen. ___________________________________________ Indice CAPITOLO XXXVIII Istituzioni religiose. Atteggiamento del Protestantesimo riguardo agli Istituti religiosi. Importanza degli Istituti religiosi alla luce della filosofia e della storia. Sofisma di cui si fa uso per combatterli. Definizione degli Istituti religiosi. Comunit dei primi fedeli. Atteggiamento dei Papi nei confronti degli Istituti religiosi. Una necessit del cuore umano. La tristezza cristiana. Vantaggi derivanti dal riunirsi in comunit ai fini della pratica della vita perfetta. Il Voto. Sua relazione con la libert. Vero concetto di libert. CAPITOLO XXXIX Visione storica deglIstituti religiosi. Limpero romano, i barbari, i Cristiani. Stato della Chiesa allepoca della conversione degli imperatori romani. Vita dei Padri del deserto (anacoreti). Influenza degli anacoreti nella filosofia e nei costumi. Leroismo della penitenza risana la morale. Splendore delle pi austere virt nel clima pi corrotto. CAPITOLO XL Importanza dei monasteri dOriente. Perch la civilt trionf in Occidente e per in Oriente. Influenza dei monasteri dOriente sulla civilt araba. CAPITOLO XLI Caratteristiche degli Istituti religiosi dOccidente. San Benedetto. Lotta dei monaci contro la decadenza. Origine dei beni dei monaci. Importanza di tali possessi per instillare il rispetto per la propriet. Osservazioni sulla vita campestre. La scienza e le lettere nei chiostri. Graziano.

CAPITOLO XLII Natura degli Ordini militari. Le Crociate. La fondazione degli Ordini militari la continuazione delle Crociate. CAPITOLO XLIII Caratteristiche dello spirito monastico nel tredicesimo secolo. Nuovi Istituti religiosi. Natura della civilt europea, opposta a quella delle altre civilt. Mescolanza di diversi elementi nel tredicesimo secolo. Societ semi-barbara. Cristianesimo e barbarie. Formula per spiegare la storia di quellepoca. Condizioni in cui si trovava lEuropa agli inizi del tredicesimo secolo. Le guerre diventano pi popolari. Perch il rinnovamento delle idee cominci prima in Spagna che nel resto dEuropa. Effervescenza del male durante il dodicesimo secolo. Tanchelmo. Eone. I Manichei. I Valdesi. Rinnovamento religioso agli inizi del tredicesimo secolo. Ordini mendicanti e loro influenza sulla democrazia. Loro caratteristiche. Loro rapporti con Roma. CAPITOLO XLIV Ordini votati al riscatto degli schiavi. Gran numero di Cristiani ridotti in schiavit. Opere meritorie dei detti Ordini. Ordine della Trinit. Ordine della Mercede. S. Giovanni di Matha. S. Pietro Armengol. CAPITOLO XLV Influenza del Protestantesimo sullo sviluppo della civilt dal sedicesimo secolo in poi. Motivi per cui nei secoli del Medioevo la civilt trionf sulla barbarie. Situazione dellEuropa agli inizi del sedicesimo secolo. Lo scisma di Lutero interruppe e indebol la missione per civilizzare lEuropa. Osservazioni sullinfluenza della Chiesa sui popoli barbari negli ultimi tre secoli. Si esamina se attualmente il Cristianesimo meno idoneo a propagare la fede di quel che fosse nei primi secoli della Chiesa. Missioni cristiane dei primi tempi. Missione terribile di Lutero. CAPITOLO XLVI I Gesuiti: loro importanza nella storia della civilt europea. Motivi dellodio manifestato contro di loro. Qualit distintive dei Gesuiti. Contraddizione del Signor Guizot su questo tema. Se sia vero, come dice il Signor Guizot, che i Gesuiti in Spagna sono stati la rovina del popolo. Fatti ed epoche. Accuse ingiuste contro la Compagnia di Ges. CAPITOLO XLVII Stato attuale degli Istituti religiosi. Quadro della societ. Incapacit dellindustria e del commercio di colmare il cuore delluomo. Disposizione degli spiriti riguardo alla religione. Necessit degli studi religiosi per salvare le societ attuali. Allordine sociale manca un mezzo e un punto fisso. Il progresso delle nazioni europee stato sviato. Non bastano i mezzi materiali per frenare le masse, ci vogliono mezzi morali. Gli Istituti religiosi possono armonizzarsi col futuro della societ. CAPITOLO XLVIII La religione e la libert. Rousseau. I Protestanti. Diritto divino. Origine del potere. Diritto divino inteso erroneamente. San Giovanni Crisostomo. Patria potest. Sue relazioni con lorigine dellautorit civile. CAPITOLO XLIX Dottrine dei teologi sullorigine della societ. Orientamento dei teologi cattolici confrontato con quello dei moderni scrittori. San Tommaso. Bellarmino. Suarez. SantAlfonso Maria de Liguori. Padre Concina. Billuart. Il compendio salmaticense.

CAPITOLO L Diritto divino. Origine divina dellautorit civile. Modo con cui Dio assegna questo potere. Rousseau. Patti. Diritto di vita e di morte. Diritto di guerra. Necessit che lautorit derivi da Dio. Puffendorf. Hobbes. CAPITOLO LI Conferimento indiretto o diretto dellautorit civile. Sotto certi aspetti la differenza tra queste opinioni pu essere importante, sotto altri no. Perch i teologi cattolici sostennero con forza il conferimento indiretto dellautorit civile. CAPITOLO LII Influenza delle dottrine sulla societ. Adulazioni tributate al potere: suoi pericoli. Libert con cui si parlava su questo tema in Spagna negli ultimi tre secoli. Mariana. Saavedra. Senza la religione e la sana morale, le pi rigorose dottrine politiche non possono salvare la societ. Scuole conservatrici moderne: perch sono impotenti. Seneca. Cicerone. Hobbes. Bellarmino. CAPITOLO LIII Facolt dellautorit civile. Calunnie dei nemici della Chiesa. La legge secondo la definizione di S. Tommaso. Ragione universale. Volont universale. Il Venerabile Palafox. Hobbes. Grozio. Dottrine di alcuni Protestanti favorevoli al dispotismo. Come va difesa la Chiesa cattolica. CAPITOLO LIV Sullopposizione allautorit civile. Confronto tra il Protestantesimo e il Cattolicesimo. La dignitosa, ma inutile timidezza di certi uomini. Lattitudine delle rivoluzioni. La forza di persuasione. Si ricorda il principio insegnato dal Cattolicesimo sullobbligo di obbedire alle autorit legittime. Soluzione di questioni preliminari. Differenza delle due autorit. Differenza di opinioni tra il Cattolicesimo e il Protestantesimo sulla separazione delle due autorit. Lindipendenza dellautorit spirituale una garanzia di libert per i popoli. Gli estremi si toccano. Dottrine di S. Tommaso sullobbedienza. CAPITOLO LV Governi fondati sulla sola situazione di fatto. Diritto di opposizione a questo tipo di governo. Napoleone e il popolo spagnolo. Falsit della teoria che stabilisce lobbligo di obbedire ai governi fondati sulla sola situazione di fatto. Soluzione di alcune difficolt. Fatto compiuto. Come deve intendersi il rispetto per il fatto compiuto. CAPITOLO LVI Sullopposizione allautorit legittima. Dottrina del Concilio di Costanza sulluccisione del tiranno. Riflessioni sullinviolabilit dei re. Caso estremo. Dottrine di S. Tommaso dAquino, del Cardinale Bellarmino, di Suarez e di altri teologi. Errori dellAbate de Lamennais. Si respinge la sua pretesa che la sua dottrina condannata dal Papa sia la stessa che quella di S. Tommaso. Confronto tra le dottrine di San Tommaso e quelle di de Lamennais. Una parola sullautorit temporale dei Papi. Antiche dottrine sullopposizione allautorit. Ci che dicevano i Consiglieri di Barcellona. Dottrina di alcuni teologi sul caso in cui il sommo Pontefice, come persona privata, cadesse in eresia. Si spiega perch la Chiesa stata calunniata: ora come amica del dispotismo, ed ora dellanarchia. CAPITOLO LVII La Chiesa e le forme politiche. Il Protestantesimo e la libert. Parole di Guizot. Vengono fissati i termini della questione. LEuropa alla fine del quindicesimo secolo. Rinnovamento sociale. Sue cause. I suoi effetti e il suo obiettivo. I tre elementi: monarchia, aristocrazia, democrazia.

CAPITOLO LVIII Monarchia. Sua idea. Sue applicazioni. Sua differenza dal dispotismo. Qual era al principio del sedicesimo secolo. Sue relazioni con la Chiesa. CAPITOLO LIX Aristocrazia. La nobilt e il clero. Loro differenze. La nobilt e la monarchia. Loro differenze. Classe intermedia fra il trono e il popolo. Cause della decadenza della nobilt. CAPITOLO LX Democrazia. Idea di Democrazia. Dottrine dominanti. Linsegnamento del Cristianesimo annull le dottrine di Aristotele. Caste. Un passo del Sig. Guizot. Riflessioni. Influenza del celibato del clero per prevenire la successione ereditaria. Che sarebbe successo senza il celibato. Il Cattolicesimo e il popolo. Sviluppo delle classi industriali in Europa. Lega anseatica. Stabilimento degli uffizi di Parigi. Sviluppo industriale in Italia ed in Spagna. Il Calvinismo e lelemento democratico. Il Protestantesimo e i democratici del sedicesimo secolo. CAPITOLO LXI Valore delle forme politiche. Il Cattolicesimo e la libert. Necessit della monarchia. Carattere della monarchia europea. Differenza tra lEuropa e lAsia. Un passo del conte de Maistre. Istituzioni per limitare il potere. La libert politica non deve nulla al Protestantesimo. Influenza dei Concili. Laristocrazia del talento promossa dalla Chiesa. CAPITOLO LXII Rafforzamento della monarchia in Europa. Suo predominio sulle istituzioni libere. Perch la parola libert per molti parola di scandalo. Il Protestantesimo contribu a distruggere le istituzioni popolari. CAPITOLO LXIII Due democrazie. Loro andamento parallelo nella storia dEuropa. Loro caratteristiche. Loro cause ed effetti. Perch lassolutismo divenne necessario in Europa. Fatti storici. Francia, Inghilterra, Svezia, Danimarca, Germania. CAPITOLO LXIV Contesa tra i tre elementi: monarchia, aristocrazia e democrazia. Motivi per cui prevalse la monarchia. Conseguenze negative dellaver ridotta linfluenza politica del clero. Vantaggi che questa influenza avrebbe potuto portare alle istituzioni popolari. Relazioni del clero con tutti i poteri e con tutte le classi. CAPITOLO LXV Confronto tra le dottrine politiche della scuola del diciottesimo secolo, quelle dei moderni studiosi di diritto pubblico, e quelle dominanti in Europa prima che comparisse il Protestantesimo. Il Protestantesimo imped lomogeneit della civilt europea. Testimonianze storiche. CAPITOLO LXVI Il Cattolicesimo e la politica in Spagna. Si definiscono i termini della questione. Cinque cause della rovina delle istituzioni popolari in Spagna. Differenza tra la libert antica e quella moderna. Le Comunit di Castiglia. Politica dei re. Ferdinando il Cattolico e Cisneros. Carlo V. Filippo II. CAPITOLO LXVII

Libert politica e intolleranza religiosa. Sviluppo europeo sotto linfluenza esclusiva del Cattolicesimo. Quadro dellEuropa dal secolo undicesimo fino al sedicesimo. Condizioni del problema sociale alla fine del secolo quindicesimo. Potere temporale dei Papi: suo carattere, origine ed effetti. CAPITOLO LXVIII falso che lunit nella fede e la libert politica siano in opposizione. Lempiet si lega, secondo le sue convenienze, alla libert o al dispotismo. Rivoluzioni moderne. Differenza tra la rivoluzione negli Stati Uniti dAmerica e quella francese. Cattivi effetti della rivoluzione francese. La libert impossibile senza la moralit. Importante passo di S. Agostino sulle forme di governo. CAPITOLO LXIX Il Cattolicesimo nei suoi rapporti con lo sviluppo dellintelletto. Si esamina linfluenza del principio di sottomissione allautorit. Si ricerca quali ne siano gli effetti riguardo a tutte le scienze. Confronto tra gli antichi e i moderni. Dio. Luomo. La societ. La natura. CAPITOLO LXX Esame storico dellinfluenza del Cattolicesimo nello sviluppo dellintelletto umano. Si confuta lopinione del Sig. Guizot. Giovanni Eriugena. Roscellino ed Abelardo. SantAnselmo. CAPITOLO LXXI La religione e lintelletto in Europa. Differenza dello sviluppo intellettuale tra i popoli antichi e gli Europei. Motivi del rapido sviluppo dellintelletto in Europa. Motivi dello spirito di sottigliezza. Beneficio procurato allintelletto dalla Chiesa con lopporsi ai cavilli dei novatori. Confronto tra Roscellino e S. Anselmo. Riflessioni su S. Bernardo. San Tommaso dAquino. Utilit della sua dittatura scolastica. Grandi benefici procurati dallopera di S. Tommaso allo spirito umano. CAPITOLO LXXII Progresso dellintelletto umano dallundicesimo secolo fino ad oggi. Sue diverse fasi. Il Protestantesimo ed il Cattolicesimo nei confronti dellerudizione, della critica, delle lingue dotte, della fondazione delle universit, del progresso della letteratura e delle arti, della mistica, dellalta filosofia, della metafisica e della morale, della filosofia religiosa, della filosofia della storia. CAPITOLO LXXIII Epilogo dellopera e dichiarazione dellautore con cui la sottopone al giudizio della Chiesa romana.

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CAPITOLO XXXVIII Istituti religiosi. Atteggiamento del Protestantesimo riguardo agli Istituti religiosi. Importanza degli Istituti religiosi alla luce della filosofia e della storia. Sofisma di cui si fa uso per combatterli. Definizione degli Istituti religiosi. Comunit dei primi fedeli. Atteggiamento dei Papi nei confronti degli Istituti religiosi. Una necessit del cuore umano. La tristezza cristiana. Vantaggi derivanti dal riunirsi in comunit ai fini della pratica della vita perfetta. Il Voto religioso. Sua relazione con la libert. Vero concetto di libert. _______________ Un altro tema sul quale il Protestantesimo e il Cattolicesimo sono in totale disaccordo quello degli Istituti religiosi. Il Protestantesimo li detesta, il Cattolicesimo li ama; quello li distrugge, questo li fonda e li sostiene. Uno dei primi atti del Protestantesimo, ovunque vi sinstalli, di combatterli con le dottrine e con i fatti, e di fare in modo che siano subito distrutti: si direbbe che la pretesa riforma non pu vedere questi santi Istituti senza irritarsi perch le rammentano continuamente lignominiosa apostasia del suo fondatore. I voti religiosi, particolarmente quello di castit, sono stati loggetto delle pi feroci invettive da parte dei Protestanti; ma bisogna tener presente che quanto dicono adesso, e che viene ripetuto da ben tre secoli, non che uneco della prima voce che si alz in Germania. E sapete cosera questa voce? Era il grido di un frate senza pudore che penetrava nel santuario e ne strappava una vittima. Tutto lapparato della scienza per combattere un dogma sacrosanto non baster a nascondere unorigine cos impura. Attraverso lesaltazione del falso profeta traspare il fuoco impudico che gli divorava il cuore. Osserviamo di sfuggita che la stessa cosa accadde per il celibato del clero: i Protestanti fin dallinizio non lo sopportarono e lo condannarono senza farne mistero, combattendolo quindi con un certo sfoggio di dottrina; ma in fondo a tutte queste prediche che si trova? Il grido di un sacerdote che, dimentico dei propri doveri, si agita contro i rimorsi della coscienza, e tenta di nascondere la vergogna cercando di attenuare lorrore dello scandalo con lostentazione di una scienza menzognera. Se i Cattolici avessero tenuto la stessa condotta riguardo al celibato del clero non c dubbio che sarebbero state utilizzate tutte le armi del ridicolo per coprirla di disprezzo e per marchiarla, come avrebbe meritato, con limpronta dellignominia; ma avendolo fatto colui che dichiar una guerra mortale al Cattolicesimo, ecco che certi filosofi non disprezzarono le perorazioni di quel frate che ard per primo disputare contro il celibato, profanare i suoi voti e consumare un sacrilegio. Gli altri perturbatori di quel secolo imitarono lesempio di un s degno maestro, e tutti domandarono e pretesero dalla Scrittura e dalla filosofia un velo per coprire la loro miseria. Fu castigo ben meritato, che laccecamento dellintelletto derivasse dal pervertimento del cuore, e che la spudoratezza sollecitasse ed ottenesse la compagnia dellerrore. Lintelletto non si mostra mai tanto vile come quando, per scusare un errore, se ne rende complice: in tal caso non erra, ma si prostituisce. Questodio contro gli Istituti religiosi, dal Protestantesimo passato in eredit alla filosofia. Quindi tutte le rivoluzioni promosse e dirette dai Protestanti e dai filosofi si sono distinte per la loro intolleranza contro glIstituti stessi e per la crudelt contro i suoi membri: quello che non fece la legge, lo consum il pugnale e la fiaccola incendiaria; e quanto si pot salvare dalla catastrofe fu abbandonato al lento supplizio della miseria e della fame. Su questo fatto, come in molti altri, appare in modo chiarissimo che la filosofia atea figlia della riforma. Non vi cosa pi certa; per convincersene basta fare un raffronto tra la posizione delluna e quella dellaltra riguardo alla distruzione degli Istituti religiosi: la stessa adulazione ai sovrani, la stessa esagerazione dei diritti del potere civile, le stesse perorazioni contro i pretesi mali arrecati alla societ, le stesse calunnie. Non c che da cambiare i nomi e le date, con questa importante particolarit: che la differenza che doveva pur derivare dalla maggior tolleranza e dalla soavit dei costumi della nostra epoca, si fatta appena sentire. Ed poi vero che gli Istituti religiosi siano cosa tanto spregevole come si voluto far intendere? vero che non meritino neanche di richiamare lattenzione, e che tutte le questioni che li

riguardano rimangano completamente risolte col solo proferire enfaticamente la parola fanatismo? Luomo che riflette, il vero filosofo, non trova proprio nulla in essi che sia degno delle sue ricerche? Non cos facile credere che queste istituzioni, che hanno alle spalle una grande storia, possano essere ridotte alla nullit assoluta; queste istituzioni che nella loro vitalit che conservano ancora oggi, fanno pronosticare piuttosto un grande avvenire! Non facile credere che simili istituzioni non siano sommamente degne di richiamare lattenzione, e che la loro analisi sia priva di un vivo interesse e di un solido profitto. Nel vederle presenti in tutte le epoche della storia ecclesiastica, nellincontrare dappertutto le loro memorie e i loro monumenti, nel vederle operanti anche nelle regioni dellAsia, nei deserti dellAfrica e nelle citt e nei recessi dellAmerica, nellosservare che dopo cos dure avversit si conservano ancora pi o meno prospere in molti paesi dEuropa, germogliando nuovamente in quei terreni dove sembrava fossero state estirpate fin dalle radici, naturale che si risvegli nellanimo una viva curiosit di esaminare un tale fenomeno, e dinvestigare quale sia lorigine, lo spirito e il carattere di istituzioni cos singolari; perch gi prima dintrodursi nella questione si percepisce subito che qui deve esserci qualche ricca miniera di cognizioni preziose per la conoscenza della religione, della societ e delluomo. Chi ha letto le vite degli antichi padri del deserto senza esserne commosso, senza sentirsi compreso da profonda ammirazione e senza sentirsi nascere nella mente pensieri profondi e sublimi; chi ha posato senza alcuna emozione il piede sulle rovine di unantica abbazia, senza richiamare fuori della tomba i cenobiti che qui vissero e qui morirono; chi percorre con indifferenza i corridoi e le stanze dei conventi semidistrutti, senza che gli si affollino alla mente gravi ricordi; chi capace di fissare lo sguardo su queste scene senza commuoversi e senza che gli si risvegli nellanima il desiderio di meditare, o almeno la curiosit di esaminare, pu chiudere il libro della storia, pu abbandonare ogni studio su tutto ci che c di bello e di sublime. Per lui non vi sono pi fenomeni storici, n bellezza o sublimit: egli ha lintelletto nelle tenebre e il cuore nella polvere. Al fine di nascondere lintima unione che lega glIstituti religiosi con la religione stato detto che questa pu sussistere senza quelli. Verit inconfutabile, ma astratta e del tutto inutile perch, fine a se stessa e avulsa dalla concretezza dei fatti, non pu portare alcun contributo alla scienza n servire da guida sui sentieri della realt; verit insidiosa, che non tende ad altro che a cambiare completamente i termini della questione, e a far credere che quando si parla di Istituti religiosi la religione non centri per nulla. Ecco un sofisma banale del quale si fa tuttavia un uso esagerato, non soltanto nel caso di cui stiamo parlando, ma anche in molti altri. Questo sofisma consiste nel rispondere a tutte le difficolt con una proposizione perfettamente vera in se stessa, ma che non ha nulla a che fare con quello di cui si sta parlando. Con questo sotterfugio lattenzione di chi ascolta viene stornata su un altro fatto, e presentando una verit tangibile in s si fa deviare il discorso dalloggetto principale finendo col fornire come spiegazione quello che non altro che un puro diversivo. Se per esempio si parla del mantenimento del culto e del clero, si dice: Il temporale non lo spirituale. Si vogliono calunniare sistematicamente i ministri della religione? Si dice: Altra cosa la religione e altra cosa sono i ministri. Si vuole descrivere la condotta di Roma per molti secoli come una serie non interrotta dingiustizie, di corruzione e di attentati? A tutte le osservazioni che si possono fare, si risponde col premettere che il primato del Sommo Pontefice non ha nulla a che far n con i vizi dei Papi, n con lambizione della corte romana. Verit certamente giustissime, e che in alcuni casi servono molto, ma che gli scrittori in malafede usano astutamente affinch il lettore non comprenda quale sia il loro bersaglio: ad imitazione di quei ciarlatani che fanno in modo di far volgere da una parte gli sguardi dellingenua folla intanto che eseguono le loro manovre dallaltra. Bench una cosa non sia necessaria per lesistenza di unaltra, non ne consegue per che non abbia origine da questaltra, che non sia ravvivata dallo spirito di questaltra, e che non esista tra le due un sistema di relazioni intime e delicate. Lalbero pu esistere senza i fiori e i frutti; ed certo che anche se questi cadono il robusto tronco non muore; ma finch lalbero fruttifero esiste, cesser forse di mostrare il suo vigore e la sua bellezza per il fatto di presentare alla vista lincanto dei suoi fiori e al palato il sapore dei suoi frutti? Le onde cristalline del fiume possono continuare il loro

corso senza i verdi tappeti che ne abbelliscono le sponde; ma finch si mantiene quella fonte perenne che distribuisce le acque, e finch per le vene del terreno limitrofo si pu infiltrare il benefico liquido vitale, potranno mai le beate sponde rimanere aride, sterili, senza colore e senza bellezza? Applichiamo ora queste immagini alloggetto che cinteressa. certo che la religione pu sussistere senza le comunit religiose, e che la rovina di queste non porta necessariamente alla scomparsa di quella; e si anche visto diverse volte che un paese, dove queste istituzioni erano state abbattute, ha tuttavia conservato per lungo tempo la religione cattolica; ma altrettanto certo, per, che vi una legame necessario tra le comunit religiose e la religione, perch questa le ha fatte nascere, le ravviva col suo spirito, le alimenta con la sua sostanza; e perci ovunque la religione getti le radici si vedono spuntare immediatamente le comunit religiose; e quando sono state bandite da un paese, se la religione vi rimane non tardano a spuntare di nuovo. Lasciando da parte gli esempi di altri paesi, questo fenomeno si verificato in Francia in modo sorprendente, poich gi aumentato notevolmente il numero dei conventi, sia maschili che femminili, che si vedono eretti nuovamente sul suolo francese. Chi avrebbe mai detto ai componenti dellAssemblea Costituente, della Legislativa e della Convenzione, che non sarebbe trascorso mezzo secolo senza che glIstituti religiosi rinascessero e prosperassero in Francia ad onta di tutti i tentativi che furono fatti perch se ne perdesse perfino il ricordo? Non possibile avrebbero detto costoro, se dovesse succedere questo, sar perch la rivoluzione che stiamo facendo non sar riuscita a trionfare; sar perch lEuropa ci avr sconfitti imponendoci di nuovo le catene del dispotismo: solo in questo caso potr succedere che si vedano in Francia, a Parigi, in questa capitale del mondo civile, nuove fondazioni dIstituti religiosi, vestigia di superstizione e di fanatismo trasmessi fino a noi dalle idee e dai costumi di tempi che passarono per non tornare mai pi. Insensati! La vostra rivoluzione trionf, lEuropa fu da voi sconfitta; gli antichi princpi della monarchia francese furono cancellati dalla legislazione, dalle istituzioni e dai costumi; il genio della guerra pass trionfante per tutta lEuropa spargendo le vostre dottrine e coprendone lorrore con lo splendore della gloria. I vostri princpi, tutti i vostri ricordi trionfarono di nuovo in unepoca recente e tuttora si mantengono forti e rigogliosi, identificati in alcune persone che si vantano di essere eredi di ci che essi chiamano la gloriosa rivoluzione del 1789. Eppure, nonostante tanti trionfi, nonostante la vostra rivoluzione non abbia mai restituito nulla se non quanto era necessario per consolidare ancor pi le proprie conquiste; nonostante tutto ci, gli Istituti religiosi sono tornati a rinascere, si estendono, si propagano da ogni parte, ed occupano un posto ragguardevole nella storia dellepoca presente. Per impedire questo rinascimento sarebbe stato necessario estirpare la religione, non bastava perseguitarla; la fede era rimasta come un seme prezioso coperto di pietre e di spine; la Provvidenza fece discendere un raggio di quellastro divino che frantuma le pietre e feconda il nulla; e lalbero torn ad innalzarsi in tutta la sua bellezza a dispetto delle rovine che ne impedivano la crescita e lo sviluppo; e i suoi rami sono subito spuntati, ricoperti di tanti leggiadri fiori: quegli Istituti che voi credevate di aver annientato per sempre. Ci che abbiamo ricordato un chiaro esempio della verit che stiamo dimostrando sullo stretto legame esistente tra la religione e gli Istituti religiosi; e la storia della Chiesa sta l a confermare questa verit. Daltronde sufficiente conoscere la religione e la natura di tali Istituti per essene convinti, anche senza lesperienza e la storia. I tanti pregiudizi esistenti su questa materia rendono necessarie alcune osservazioni, le quali, andando alla radice delle cose, mostrano quanto siano irrazionali i nostri avversari. Che cosa sono gli Istituti religiosi? Considerati in linea generale, e prescindendo dunque dalle differenze, trasformazioni e mutamenti dovuti ai diversi tempi e luoghi in cui furono eretti e ad altre circostanze, potremo rispondere che lIstituto religioso una comunit di Cristiani che vivono insieme sotto certe regole al fine di mettere in pratica i consigli evangelici. In questa definizione sono compresi anche quelli che non sono legati da alcun voto, perch abbiamo detto che stiamo parlando dellIstituto religioso in senso generale, lasciando qui da parte ci che dicono i teologi e i canonisti sulle condizioni indispensabili per costituire o perfezionare lessenza dellistituzione.

Oltre a ci opportuno considerare che non conveniente escludere dalla gloriosa categoria degli Istituti religiosi quelle Case che ne comprendono tutti i requisiti fuorch quelli del voto. La religione cattolica tanto feconda che produce il bene per le vie pi disparate e sotto le pi diverse forme. Nel complesso degli Istituti religiosi ci ha mostrato ci che pu fare delluomo legandolo con un voto per tutta la vita ad una santa abnegazione della propria volont; ma ha voluto anche farci conoscere che lasciandolo libero, essa ha mezzi sufficientemente forti per trattenerlo con dolcissimi vincoli, e farlo ugualmente perseverare per tutta la sua vita come se si fosse obbligato con voto perpetuo. A questa categoria appartiene la Congregazione dellOratorio di S. Filippo Neri, uno delle maggiori glorie della Chiesa cattolica. So bene che nellessenza di un Istituto religioso, come sintende normalmente, previsto il voto; ma si tenga presente che qui la mia intenzione di difendere dai Protestanti questo genere di comunit; e ben si sa che chi vi appartiene, o simpegni col voto, o si astenga dallemetterlo, non per questo viene escluso dallanatema generale di coloro che guardano in modo accigliato qualunque forma di comunit religiosa. Quando si trattato di bandirle abbiamo visto comprese nella proscrizione quelle con lobbligo dei voti allo stesso modo che quelle che non avevano questobbligo; per cui, se stiamo trattando della loro difesa, logico che si parli sia delle une che delle altre. Del resto non mancher di parlare del voto in se stesso, e di presentare le osservazioni che lo giustificano anche al tribunale dalla filosofia. Non credo che sia necessario dimostrare che il fine di queste comunit, quello cio di mettere in pratica i consigli evangelici, sia conforme allo spirito dello stesso Vangelo; perch questo fine, con questo o con quel nome, sotto questa o quella forma, perfino qualcosa di pi della semplice osservanza dei precetti, in quanto vi sempre contenuta lidea della perfezione: o nella vita attiva, o nella contemplativa. Losservanza dei santi comandamenti indispensabile per tutti i Cristiani che intendono conseguire la vita eterna; glIstituti religiosi si propongono di camminare per un sentiero pi difficile che porta verso la perfezione. L vanno a riunirsi a quegli uomini che, avendo udito dalla bocca del divino Maestro le parole: Se vuoi essere perfetto va, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, non si ritirano malinconici come quel giovane del Vangelo, ma si accingono con coraggio allimpresa di lasciare tutto e seguire Ges Cristo. Ci resta ora da stabilire se per il raggiungimento di una cos santa meta il mezzo pi adatto sia quello di congregarsi. Mi sarebbe facile, per dimostrarlo, citare quei molti testi della Sacra Scrittura che indicano chiaramente quale sia il vero spirito della religione cristiana su questo tema, e la volont espressa del divino Maestro; ma siccome lorientamento del nostro secolo e la delicatezza della materia ci suggeriscono di evitare per quanto possibile qualunque accenno di disputa teologica, rimuover la questione da questo terreno e mi limiter a considerarla sotto altri aspetti puramente storici e filosofici. Voglio dire che, senza accumulare citazioni e testi, dimostrer che gli Istituti religiosi sono del tutto conformi allo spirito della religione cristiana, spirito di cui purtroppo i Protestanti erano privi quando li condannarono e li abolirono. Prover inoltre che quei filosofi, che pur senza ammettere la verit della religione ne riconoscono tuttavia lutilit e la bellezza, non possono condannare glIstituti che sono i frutti naturali della religione stessa. Agli albori del Cristianesimo, quando i cuori serbavano ancora con tutto il vigore e in tutta la loro purezza le scintille provenienti dalle lingue di fuoco del cenacolo; quando erano ancora recenti le parole e gli esempi del divino Fondatore, ed era ancora cos grande il numero dei discepoli che avevano avuto lineffabile privilegio di vederLo e udirLo nella Sua vita terrena, vediamo che i fedeli si riunivano sotto la guida degli stessi Apostoli e mettevano in comune i loro beni formando una sola famiglia con un cuore solo e unanima sola, che aveva il Padre nei cieli. Non star qui a discutere sullestensione che ebbe allora questo fenomeno, sulle circostanze che lo accompagnarono e sulla maggiore o minore somiglianza che si pu rilevare tra esso e glIstituti religiosi: per me basta che esista, e che possa riportarlo qui per mostrare qual il vero spirito di religione ai fini della scelta dei mezzi pi appropriati al conseguimento della perfezione evangelica. Ricorder comunque che Cassiano, nel raccontare come nacquero glIstituti religiosi, individua la loro origine nella stessa situazione della prima comunit cristiana che ho richiamato e che

descritto negli Atti degli Apostoli. Secondo Cassiano questo stile di vita non fu mai del tutto interrotto, per cui vi furono sempre alcuni fervorosi Cristiani che continuarono a seguirlo, formando cos la catena che unisce lesistenza dei monaci con le comunit primitive. Dopo aver descritto il sistema di vita dei primi Cristiani, e delle trasformazioni che sopravvennero, lo stesso autore continua cos: Quelli che conservavano il fervore apostolico con la memoria della perfezione primitiva si allontanarono dalle citt separandosi dagli altri (i quali ritenevano lecito un tenore di vita meno severo) e incominciarono a scegliere luoghi solitari e nascosti dove poter praticare in modo particolare ci che gli Apostoli avevano stabilito in generale per tutta la Chiesa: e cos cominci a formarsi la regola di quelli che si erano separati dallinflusso nocivo del mondo. Con landar del tempo questi devoti, siccome vivevano separati dagli altri fedeli, e si astenevano dal matrimonio e perfino dallavere rapporti col mondo e con le loro stesse famiglie, furono chiamati monaci a motivo del loro particolare modo di vivere solitario. (Collat. 18. cap. 5). Subentr ben presto lepoca delle persecuzioni, la quale tranne alcune sospensioni, che erano come delle pause di riposo, dur fino alla conversione di Costantino. In questo periodo non manc mai chi continuasse il sistema di vita dei primi tempi, come dimostra chiaramente Cassiano nel passo che abbiamo riportato, con i necessari cambiamenti dovuti alle avversit che affliggevano la Chiesa. chiaro che in quei tempi non cera bisogno di cercare i Cristiani nelle comunit: chi desiderava conoscerli li vedeva confessare Ges Cristo con imperturbabile serenit sullo strumento di tortura e in mezzo agli altri tormenti: nei circhi dove si lasciavano sbranare dalle fiere, o sui patiboli dove presentavano docilmente il collo alla scure del carnefice. Ma in questo stesso periodo delle persecuzioni cosa accadeva? Che i Cristiani, di cui il mondo non era degno, perseguitati nelle citt come bestie feroci andavano errando per i luoghi disabitati e cercavano riparo nel deserto. Gli eremi dOriente, i deserti e le rupi dellArabia, i luoghi pi inaccessibili della Tebaide servirono da asilo a quei gruppi di profughi che si rifugiavano nelle tane delle fiere, nei sepolcri abbandonati, nelle cisterne a secco e nelle pi profonde caverne, non chiedendo altro che un asilo per meditare e pregare. E cosa ne venne? Che quei deserti dove i Cristiani andavano errando come granelli di sabbia trasportati dalla tempesta, ben presto si popolarono come per incanto di innumerevoli comunit religiose. E quale ne fu la causa? Qui si meditava, si pregava, si leggeva il Vangelo e appena il seme fecondo cadeva in terra, ovunque la preziosa pianta germogliava. Stupefacenti disegni della divina Provvidenza! Il Cristianesimo, perseguitato nelle citt, feconda e abbellisce i deserti. Il prezioso grano, per svilupparsi, non necessita n dellumore della terra, n del tepore di un clima mite. Anche quando la tempesta portata per laria sulle ali delluragano, esso nulla perde di vigore e di vita: scagliato sulla roccia non muore: la furia degli elementi nulla pu contro lopera di quel Dio che cavalca gli aquiloni; e non sterile la roccia, quando fecondata da Colui che fece scaturire da una rupe fonti di acqua purissima al tocco misterioso della verga del suo profeta. Avendo Costantino, dopo la vittoria su Massenzio, concesso alla Chiesa il diritto di vivere in pace, i preziosi germi racchiusi nel Cristianesimo poterono svilupparsi ovunque; e da allora non si mai vista, neanche per breve tempo, la Chiesa senza comunit religiose. Libro di storia alla mano, possiamo sfidare i suoi nemici a mostrarci lepoca o il periodo, per quanto breve, in cui tali comunit siano mancate del tutto: sotto una forma o laltra, in questo o in quel paese hanno sempre continuato ad esistere nel modo che si detto fin dai primi secoli del Cristianesimo. Questo fatto certo, continuo nel tempo e si trova in tutte le pagine della storia ecclesiastica, ed occupa un ruolo fondamentale in tutti i grandi avvenimenti della storia della Chiesa. E si riprodotto tanto in Occidente quanto in Oriente, in epoche moderne come nelle antiche, nei periodi di prosperit come in quelli sventura, sia quando questi Istituti furono oggetto di grande stima, che quando lo furono di persecuzione, di calunnia e di scherni. Quale prova pi evidente dellesistenza di relazioni intime fra questi Istituti e la religione? Quale indizio pi chiaro che quelli sono di questa il frutto spontaneo? Tanto nellordine fisico che in quello morale si considera come prova della dipendenza di due fenomeni il costante apparire delluno dopo laltro. Se i fenomeni sono tali che ammettono la relazione di causa ed effetto, e se nellessenza di uno si trovano i princpi che hanno prodotto laltro, il primo vien detto causa, ed effetto il secondo. Ovunque si stabilisca la

religione di Ges Cristo si presentano subito sotto una forma o laltra le comunit religiose; dunque queste sono un effetto spontaneo di quella. Io non so cosa potranno mai controbattere i nostri avversari ad una prova cos decisiva! Considerata la cosa sotto questo aspetto si comprender molto facilmente il motivo della protezione e del favore che glIstituti religiosi hanno sempre trovato presso il Sommo Pontefice. Questi agisce conformemente allo spirito che anima la Chiesa di cui egli in terra il capo supremo. E non fu certamente il Papa a disporre che uno dei mezzi pi convenienti a condurre gli uomini alla perfezione fosse quello di riunirsi sotto certe regole in comunit, secondo glinsegnamenti del divino Maestro. LEterno aveva stabilito cos negli arcani della sua infinita sapienza, e la condotta dei Papi non pu essere contraria ai disegni dellAltissimo. Si detto che vi furono di mezzo motivi dinteresse, e che la politica dei Papi ne ebbe un grande vantaggio per sostenersi e ingrandirsi. Ma erano dunque sordidi strumenti di una politica astuta anche le comunit di fedeli dei primi tempi, e i monasteri nelle solitudini dellOriente, e tanti altri Istituti che non hanno avuto altro scopo che la santificazione di coloro che vi risiedevano, o la consolazione e il sollievo di qualche grande male fra quelli che affliggono lumanit? Un fatto cos universale, cos grande, cos benefico non si spiega con i motivi dinteresse o di meschini disegni: lorigine pi sublime e pi nobile; e chi non la trova nel cielo, dovr cercarla almeno in qualcosa di pi eccelso di qualunque progetto umano o della politica di un sovrano; dovr cercarla in idee elevate e in sentimenti sublimi che, se non arrivano al cielo, abbracciano almeno una vasta parte della terra; dovr cercarla in qualcuno di quelle idee che presiedono ai destini dellumanit. Alcuni potrebbero pensare che i Papi, intervenendo negli ultimi secoli con la loro autorit in tutte le istituzioni, e facendo dipendere dalla loro approvazione le regole a cui dovevano assoggettarsi i diversi Istituti, perseguissero degli scopi personali; ma lo sviluppo avuto nel tempo dalla disciplina ecclesiastica su questo particolare ci mostra che la maggior parte degli interventi dei Papi, lungi dallessere causati da motivi personali, deriv piuttosto dalla necessit dimpedire che uno zelo inopportuno non moltiplicasse eccessivamente gli Ordini religiosi e che non vi si introducessero abusi. Nei secoli dodicesimo e tredicesimo la vocazione ad erigere nuovi Istituti fu tale che senza la vigilanza dellautorit ecclesiastica ne sarebbero derivati i pi gravi inconvenienti. E per questo vediamo che il Sommo Pontefice Innocenzo III, per porvi riparo, ordin opportunamente nel Concilio Laterano che se qualcuno voleva fondare una nuova Casa religiosa, scegliesse una delle regole o istituzioni gi approvate. Ma proseguiamo il nostro cammino. Quando viene negata lautenticit della religione cristiana, e vengono messi in ridicolo i consigli evangelici, ben si capisce come si possa anche negare ci che ha di divino lo spirito delle comunit religiose. Ma una volta che abbiano ammessa lautenticit della religione, non si riesce a comprendere come possano, uomini che si gloriano di professarla, essere contrari agli Istituti religiosi considerati in se stessi. Chi ammette il principio pu negare la conseguenza? Chi ama la causa perch mai rigetta leffetto? Costoro simulano da ipocriti una religione che non hanno, oppure professano una religione che non comprendono. Anche se non avessimo altra prova dello spirito antievangelico che guid i promotori della pretesa riforma, dovrebbe bastarci lodio che nutrivano contro unistituzione che cos evidentemente trae la sua origine dallo stesso Vangelo. Ma come: entusiasti comerano della lettura della Bibbia senza note e senza commenti al punto da trovarla tanto chiara in tutte le sue parti, non seppero vedere o intendere il senso cos facile ed ovvio di quei passi dove si raccomanda labnegazione di se stessi, la rinuncia a tutti i beni, la privazione di tutti i piaceri? I testi sono cos chiari da non dare adito ad altre interpretazioni; n, per essere compresi, richiedono lo studio approfondito delle scienze sacre o delle lingue; e tuttavia non furono intesi, o per dir meglio non furono ascoltati! Lintelletto li capiva benissimo, ma la passione li rigettava. Quanto ai filosofi che considerano spregevoli e inutili gli Istituti religiosi, se non addirittura dannosi, evidente che hanno meditato ben poco sullo spirito umano e sui sentimenti pi delicati e profondi rinchiusi nel segreto dei nostri cuori. Se la vista di tante comunit di uomini o di donne che vivono in comunit allo scopo di santificare se stessi o il prossimo o di consacrarsi al soccorso dei

bisognosi o di consolare glinfelici non riesce a parlare al loro cuore, il caso di dire che la loro anima ormai inaridita dallabitudine allo scetticismo. Rinunziare per sempre a tutti i piaceri della vita, seppellirsi in una solitaria dimora per far di s nellausterit e nella penitenza un olocausto allAltissimo, indubbiamente fa orrore a questi filosofi che non hanno mai contemplato il mondo se non attraverso i loro grossolani pregiudizi. Ma lumanit pensa in un altro modo; lumanit si sente attratta da queste stesse cose che i filosofi scettici trovano cos vuote, prive dinteresse e degne di disprezzo. Meravigliosi segreti del nostro cuore! Smaniosi di piaceri, e immersi nella follia di danze e divertimenti, proviamo in noi stessi una profonda commozione alla vista dellausterit dei costumi e del raccoglimento dellanima. La solitudine, la stessa tristezza hanno per noi un incanto ineffabile. Da dove mai avr origine quellentusiasmo che commuove un intero popolo, lo solleva e lo trascina quasi per incanto dietro le orme di un uomo di cui si legge in fronte il raccoglimento dellanima e nei suoi lineamenti lausterit della vita, e nelle vesti e nei modi manifesta il distacco da tutte le cose terrene e loblio del mondo? Questimmagine la troviamo nella storia della vera religione; ma anche delle false. Perch un mezzo cos potente per attirare la stima e il rispetto fu conosciuto anche dalla falsit; infatti la sregolatezza e la corruzione, bramose di far fortuna nel mondo, hanno sentito pi duna volta limperiosa necessit di coprirsi col manto dellausterit e della purezza. Quello stesso sentimento che a prima vista sembra quanto di pi ostile e ripugnante al nostro cuore, quellombra di tristezza diffusa sul raccoglimento e la solitudine della vita religiosa, proprio quello che pi ci incanta e ci alletta. La vita religiosa solitaria e mesta? Dunque sar bella, e la sua bellezza sar sublime, e questa sublimit sar la pi adatta a commuovere profondamente il nostro cuore e a procurarci indelebili sensazioni. In realt nella nostra anima impresso il carattere dellesule: solo le cose tristi le fanno una viva impressione; ed anche quelle che sono normalmente accompagnate da rumorosa allegria hanno bisogno dingegnosi contrasti per comunicarle unombra di tristezza. Perch la bellezza non manchi delle pi seducenti attrattive conviene che le sgorghi dagli occhi una lacrima di angoscia, che le guizzi in fronte un pensiero di amarezza e un ricordo di dolore le copra di pallore le gote. Perch le avventure di un eroe suscitino in noi un vivo interesse egli deve avere per compagna la disgrazia, per consolazione il pianto e per ricompensa dei suoi meriti lingratitudine e la sventura. Vogliamo che un quadro della natura o dellarte richiami con forza la nostra attenzione, simpadronisca delle nostre facolt e ci rapisca lanima? necessario che ci passi per la mente il vago ricordo della nullit delluomo, la tetra immagine della morte; ci devono nascere in cuore sentimenti di serena malinconia; abbiamo bisogno di vedere il colore rossastro che distingue qualche monumento in rovina, la croce solitaria che ci segnala il soggiorno dei morti, le muscose pareti che ci indicano ci che resta dellantica dimora di un grande, il quale pass per alcuni istanti sulla terra e disparve. Lallegria non ci soddisfa il cuore, e non ce lo riempie: lo distrae e lo inebria per qualche momento, ma luomo non vi trova la sua felicit. Perch lallegria di questo mondo frivola e la frivolezza non pu piacere al pellegrino, il quale lontano dalla sua patria cammina penosamente per una valle di lacrime. Questa la ragione per cui, mentre la tristezza e il pianto sono accettati, diremo meglio, premurosamente cercati ogni volta che si voglia produrre nellanima impressioni profonde, al contrario si sfugge e si respinge inesorabilmente lallegria e perfino il pi lieve sorriso. Loratoria, la poesia, la scultura, la pittura, la musica hanno seguito costantemente la stessa regola, o per meglio dire sono state dominate dal medesimo istinto. Era certamente uno dalla mente sublime e dal cuore ardente colui che disse che lanima cristiana per natura, poich riusc a racchiudere in cos poche parole le relazioni ineffabili che uniscono il dogma, la morale e i consigli evangelici di questa religione divina, con quanto c di pi intimo, pi delicato e nobile nel nostro cuore. E allora, conoscete voi la tristezza cristiana? Conoscete questo sentimento austero e sublime che impresso sul volto del fedele come un ricordo doloroso sul viso di un illustre esule; che tempera i piaceri della vita con limmagine del sepolcro e illumina loscurit della tomba con i raggi della speranza; questa tristezza tanto semplice e consolatrice, tanto grande e severa, che fa disprezzare lo

splendore e le grandezze del mondo come unillusione passeggera? Questa tristezza, portata alla perfezione, ravvivata e fecondata dalla grazia e sottoposta ad una santa regola, quella che presiede alla fondazione degli Istituti religiosi, e che sempre li accompagna finch conservano il fervore iniziale che ricevettero da uomini guidati dalla luce divina e animati dallo Spirito di Dio. Questa santa tristezza, che porta con s il distacco da tutte le cose terrene, quella che la Chiesa fa in modo dinfondere in questi uomini, e di sostenere, quando circonda di ombre ispiratrici le loro silenziose dimore. Che in mezzo al furore e alle agitazioni delle opposte fazioni la mano sacrilega di un fanatico, aizzata di soppiatto dalla malvagit, immerga in un petto innocente il pugnale fratricida o getti su di una pacifica dimora la torcia incendiaria, si pu ben capire; perch disgraziatamente la storia delluomo presenta innumerevoli esempi di delitti e di fanatismo. Ma che si vada ad attaccare lessenza stessa dellistituzione; che la si voglia rinchiudere nei ristretti limiti della meschinit e ottusit di spirito spogliandola dei nobili titoli che onorano la sua origine e degli splendori che arricchiscono la sua storia, questo non lo pu permettere n lintelletto n il cuore. Questa filosofia menzognera che corrompe e inaridisce tutto ci che tocca si spinta in tale insensata impresa: ma quandanche la religione e la ragione non si prendessero cura di sbugiardarla, protesterebbero sicuramente contro di essa sia le lettere che le belle arti, le quali si nutrono delle antiche memorie e trovano la sorgente delle loro meraviglie nei pensieri elevati, nei grandi e severi scenari, nei sentimenti profondi e malinconici; e che infine si compiacciono di elevare la mente delluomo alle pi sublimi altezze, di guidare la sua fantasia per nuovi e inviolati sentieri, di colmare il cuore dun misterioso incanto. No, mille volte no! Finch durer sulla terra la religione dellUomo-Dio, che non aveva dove posare il capo, e che stanco dal viaggio si sedeva come un oscuro viandante a riposare presso il margine di un pozzo; dellUomo-Dio la cui venuta fu annunciata ai popoli da una voce misteriosa che grida nel deserto, la voce di un uomo vestito di peli di cammello con una cintura di pelle intorno ai fianchi, che si nutriva di locuste e di miele selvatico; finch, dunque, esister questa religione divina, per noi saranno sempre santi e degni del pi alto rispetto quegli Istituti che hanno per scopo principale e naturale quello di mettere in pratica quanto il Verbo divino insegnava agli uomini con lezioni tanto eloquenti e sublimi. Le epoche subentreranno ad altre epoche, le vicende ad altre vicende, i disordini ad altri disordini; listituzione modificher le sue forme, soffrir trasformazioni e cambiamenti, ne risentir poco o molto della debolezza delluomo, dellazione corrosiva dei secoli e dellimpatto demolitore degli avvenimenti: ma essa continuer a vivere, e non perir. Se una societ la rigetta, andr a cercare asilo presso unaltra; cacciata dalla citt, andr a fissare la sua dimora nei boschi; e se anche qui sar perseguitata, passer a rifugiarsi tra gli orrori del deserto. Vi sar sempre qualche cuore magnanimo che risponder alla chiamata della sublime religione, la quale reggendo nella sua mano uninsegna di dolore e insieme di amore, la Croce, linsegna gloriosa dei tormenti e della morte del Figlio di Dio, si volge agli uomini e dice: Vegliate e pregate, perch non entriate in tentazione; unitevi insieme per pregare, ch il Signore sar in mezzo a voi; ogni carne erba, la vita un sogno; sopra di voi c un mare di luce e di felicit, e ai vostri piedi un abisso; la vostra vita sulla terra un pellegrinaggio, un esilio. E chinandosi sul capo delluomo mortale gli pone sulla fronte il cenere misterioso, dicendogli: Sei polvere, e in polvere ritornerai!. Se ci dovessero chiedere perch mai i fedeli non possano esercitare la perfezione evangelica vivendo ognuno nella propria famiglia senza bisogno di riunirsi in comunit, noi risponderemo che non intendiamo negare la possibilit di tale esercizio anche in mezzo ai trambusti del mondo; e riconosciamo con vero piacere che un gran numero di Cristiani lo ha fatto in ogni tempo e lo fa tuttora, anche nel nostro. Questo per non toglie che il mezzo pi sicuro e pi pratico sia quello della vita in comune con altri che perseguono lo stesso scopo separandosi da tutte le cose del mondo. Prescindiamo per un momento da ogni aspetto religioso, ma sapete voi quale ascendente hanno sullanima i continui esempi di quelli con cui viviamo? Sapete con quanta facilit il nostro spirito si scoraggia quando ci troviamo soli in qualche situazione scabrosa? Sapete che anche nelle

maggiori sventure una consolazione vedere che altri partecipano al nostro dolore? Su questo particolare come in tanti altri la religione va daccordo con la sana filosofia: ambedue cinsegnano il senso profondo che in s racchiudono quelle parole della Sacra Scrittura: Vae soli! Guai a chi solo! Prima di terminare questo capitolo voglio dire due parole sul voto, condizione generalmente prevista per entrare in un Istituto religioso. Chiss che questa condizione non sia una dei principali motivi della forte antipatia del Protestantesimo nei confronti di questi Istituti? Il voto rende decisi e fermi, e il principio fondamentale del Protestantesimo non ammette n stabilit, n fermezza. Molteplice e anarchico per costituzione, il Protestantesimo respinge lunit e distrugge la gerarchia; dissolvente per natura, non permette allo spirito di rimanere stabile in una fede e di sottoporsi a una regola. La stessa virt per esso qualcosa di vago, che non ha una determinata sede, che si nutre di pure illusioni, che non sopporta di sottostare a una norma invariabile e costante. La santa necessit di operare bene e di procedere nel cammino della perfezione, al Protestantesimo deve risultare incomprensibile e ripugnante in massimo grado; deve sembrargli contraria alla libert, come se luomo che si lega con un voto perdesse il libero arbitrio, come se la ratifica che un proponimento acquisisce quando accompagnato dalla promessa fatta a Dio diminuisse in qualche modo il merito di chi mostra la necessaria fermezza per mantenere ci che ha deciso di promettere. Coloro che condannano questa necessit che luomo impone a se stesso e reclamano invece il diritto alla libert, secondo me dimenticano che questo impegno di farsi schiavo del bene, di legare il proprio avvenire, a parte il sublime distacco che suppone, lesercizio pi grande che luomo possa fare della propria libert. Con un solo atto egli decide di tutta la sua vita; e quando va adempiendo i doveri che derivano da tale atto, adempie ugualmente la propria volont. Mi si dice per, che luomo tanto incostante. Ma proprio per prevenire gli effetti di questa incostanza che si lega col voto, e misurando con unocchiata i futuri eventi se ne rende superiore e anticipatamente gi li domina. Ma allora il bene mi si replicher forse, si fa per obbligo, cio per una specie di necessit. Certamente! Non sapete che la necessit di far bene una necessit beata, che in qualche modo rende luomo simile a Dio? E non sapete che linfinita Bont incapace di far male, e la Santit infinita non pu far nulla che non sia santo? E non ricordate quella meravigliosa dottrina dei teologi che individua il motivo per cui lessere creato ha la possibilit di peccare nel fatto essenziale che luomo stato creato dal nulla? Quando luomo si sforza per quanto possibile di far bene, quando rende schiava in questo modo la sua volont, allora col suo nobile agire assomiglia un podi pi a Dio e si avvicina allo stato dei beati, i quali non hanno la trista libert di far male, ma hanno bens la fortunata necessit di amare il Sommo Bene. Il significato di libert pare condannato ad essere male interpretato in tutte le sue applicazioni da quando se ne impadronirono i Protestanti e i falsi filosofi. In campo religioso, in quello morale, nel sociale, nel politico, avvolto in tali tenebre che ci fanno ben capire quanta fatica sia stata fatta per oscurarlo e falsificarlo. Cicerone diede una definizione stupenda della libert quando disse che consisteva nellessere schiavo della legge. Si pu dire ugualmente che la libert dellintelletto consiste nellessere schiavo della verit, e quella della volont nellessere schiava della virt. Invertite questordine ed otterrete il risultato di distruggere la libert. Abrogate la legge: regner la forza. Eliminate la verit: dominer lerrore. Annullate la virt: comander il vizio. Sottraete il mondo alla legge eterna, a quella legge che comprende luomo e la societ e che estesa a tutti i campi ed la Ragione divina applicata alle creature ragionevoli, cercate al di fuori di questa immensa realt una libert immaginaria, e nulla rester nella societ se non il dominio della forza bruta; e nulla rester nelluomo fuorch limperio delle passioni. E sia nelluomo che nella societ la tirannia, e di conseguenza la schiavit.

CAPITOLO XXXIX

Visione storica deglIstituti religiosi. Limpero romano, i barbari, i Cristiani. Stato della Chiesa allepoca della conversione degli imperatori romani. Vita dei Padri del deserto (anacoreti). Influenza degli anacoreti nella filosofia e nei costumi. Leroismo della penitenza risana la morale. Splendore delle pi austere virt nel clima pi corrotto. _______________ Abbiamo esaminato glIstituti religiosi in generale, considerandoli nei rapporti che hanno con la religione e con lo spirito umano; passiamo adesso a dare unocchiata agli aspetti principali della loro storia. Dai quali, a parer mio, verr fuori una verit molto importante: che la nascita e il diffondersi di questi Istituti sotto varie forme fu lespressione delle gravi necessit sociali di quei tempi, e del desiderio di venire incontro a queste necessit. Essi furono quindi un mezzo potente di cui si servita la Provvidenza per procurare non soltanto il bene spirituale della sua Chiesa, ma anche la salvezza e il rinnovamento della societ. chiaro che non potr entrare nei singoli casi passando in rivista i numerosi Istituti che furono fondati; e sarebbe anche del tutto inutile per il fine che mi sono imposto. Mi limiter dunque a scorrere le principali fasi dellistituzione e a presentare su ciascuna di queste fasi qualche osservazione, come il viandante che non potendo trattenersi molto tempo in un paese si accontenta di contemplarlo per breve tempo dai punti pi elevati. Comincio dagli anacoreti dOriente. Il colosso dellimpero romano era prossimo ad un catastrofico crollo. Lo spirito che lo animava andava spegnendosi di momento in momento, e non cera alcuna speranza che un minimo soffio di vita potesse rinvigorirgli lanima. Il sangue circolava ancora nelle sue vene seppur lentamente, ma il male era incurabile perch i sintomi di disfacimento si manifestavano gi ovunque. E questo accadeva precisamente nel momento critico e terribile in cui doveva prepararsi alla lotta e resistere al forte urto che stava per affrettarne la fine: sulla frontiera dellimpero apparvero infatti i barbari come branchi di belve attirate dalle esalazioni di un cadavere. Questa era la situazione estremamente critica in cui si trovava la societ alla vigilia della spaventosa catastrofe. Tutto il mondo conosciuto era in procinto di soggiacere ad un cambiamento totale; il domani non avrebbe assomigliato alloggi. Lalbero doveva essere divelto, ma le radici erano molto profonde, e perci non poteva essere sradicato senza sconvolgere la superficie dello sconfinato terreno dove era piantato. Venendo a confronto la pi raffinata cultura con la ferocia della barbarie, la molle effeminatezza dei popoli del Sud con lenergia dei robusti figli delle selve, lesito della lotta non poteva essere incerto. Leggi, abiti, costumi, testimonianze, arti, scienze, tutta la civilt e la cultura accumulate col trascorrere di molti secoli, tutto era in grave pericolo, tutto lasciava presagire una prossima rovina ed era segno che Dio aveva fissato il momento di por fine al potere e alla stessa esistenza dei dominatori del mondo. I barbari non erano altro che uno strumento della Provvidenza: la mano che aveva ferito a morte la Signora del mondo, la Regina delle nazioni, era quella Mano formidabile che tocca le montagne e le fa fumare riducendole in cenere; che tocca le rocce e le squaglia come metallo fuso; che manda sulle nazioni un alito di fuoco che le divora come paglia. Il mondo doveva restare per un po in preda al caos; ma da questo caos sarebbe sorta la luce? Lumanit si sarebbe fusa come loro nel crogiuolo per uscirne poi pi brillante e pi pura? Si sarebbero modificate le idee su Dio e sulluomo? Si sarebbero diffuse regole di una morale pi santa e pi sublime? Il cuore umano avrebbe ricevute ispirazioni severe ed elevate per sollevarsi dal fango della corruzione in cui giaceva e per vivere in unatmosfera pi alta e pi degna di un essere immortale? S! La Provvidenza aveva decretato cos, e linfinita Sapienza si accingeva a guidare gli avvenimenti per certe vie incomprensibili alluomo. Il Cristianesimo si era gi diffuso su tutta la faccia della terra e le sue sante dottrine, fecondate dalla grazia divina, portavano il mondo ad una meravigliosa rinascita; ma lumanit doveva ricevere dalle mani divine unulteriore spinta e lo spirito delluomo un nuovo impulso finch, con rinnovato vigore, sinnalzasse di slancio ad unaltezza talmente elevata che non potesse mai pi ricadere. La storia ci mostra gli ostacoli che si opposero allaffermarsi del Cristianesimo e al suo successivo sviluppo: fu necessario che Dio prendesse le armi e imbracciasse lo scudo, secondo la vigorosa

espressione del profeta, e che a forza di stupendi prodigi spezzasse la resistenza delle passioni, distruggesse ogni scienza che insorgeva contro la Sua scienza, respingesse tutte le potenze che Gli si ponessero di fronte e soffocasse lorgoglio e lostinazione dellInferno. Passati i tre secoli di persecuzione, quando la vittoria si andava gi delineando ovunque in favore della vera religione; quando i templi delle false divinit rimanevano sempre pi deserti e glidoli che ancora non erano stati rovesciati al suolo gi barcollavano sui loro piedestalli; quando linsegna del Calvario ondeggiava nel labaro dei Cesari e le legioni dellimpero sinchinavano devotamente davanti alla Croce; fu allora che il Cristianesimo con delle istituzioni permanenti, quelle sublimi istituzioni che esso solo concepisce e solo suscita, inizi ad applicare concretamente quegli eccelsi ammaestramenti che tre secoli prima la Palestina attonita ud dalle labbra di un Uomo il quale, senza che alcuno lo avesse istruito, pronunciava e insegnava delle Verit che mai si erano affacciate alla mente del pi illustre mortale. Le virt dei Cristiani erano gi uscite dalloscurit delle catacombe ed ora dovevano risplendere alla luce del sole e nella nuova epoca di pace come risplendevano prima nelloscurit delle carceri e nellorrore dei patiboli. Il Cristianesimo era divenuto Signore dellimpero come del focolare domestico, e i discepoli, cresciuti di numero oltre ogni aspettativa, non vivevano pi in comunit di beni. Quindi chiaro che una continenza assoluta e un completo abbandono delle cose terrene non poteva pi essere, generalmente, la forma di vita abituale delle famiglie cristiane. Il mondo doveva progredire e la vita del genere umano non doveva terminare allora; e perci non tutti i Cristiani dovevano osservare quel sublime consiglio per il quale gli uomini conducono sulla terra la vita degli angeli. Molti si contentarono di osservare i comandamenti per conseguire la vita eterna, senza aspirare a quella perfezione sublime che porta con s la rinuncia di tutte le cose terrene e la perfetta abnegazione di se stessi. Daltra parte, per, il Fondatore della religione cristiana non voleva che i Suoi divini consigli cessassero di avere discepoli in mezzo allindifferenza e alla dissipatezza del mondo. Egli non li aveva dati invano questi consigli; oltre a ci la loro pratica, per quanto ristretta ad un numero esiguo, portava ovunque uninfluenza benefica che facilitava ed assicurava losservanza dei precetti. La forza dellesempio pu tanto, sul cuore delluomo, che molte volte basta da sola a trionfare sulle opposizioni pi tenaci ed ostinate. Nel nostro cuore vi qualcosa che linduce ad affezionarsi a tutto ci che ha sotto gli occhi, sia nel bene che nel male, e sembra che uno stimolo segreto sproni luomo quando vede che altri, in uno o nellaltro caso, gli passano avanti. Per questo motivo fondare Istituti religiosi era di grandissima utilit, perch con le loro virt e con lausterit della vita che vi si conduceva essi fossero di esempio alla totalit dei fedeli, oltre che un eloquente rimprovero al pervertimento causato dalle passioni. La Provvidenza voleva raggiungere questo fine con mezzi singolari e straordinari: lo Spirito di Dio soffi sulla terra e subito apparvero uomini che dovevano dare inizio a questa grande opera. Negli orribili deserti della Tebaide, nelle infuocate solitudini dellArabia, della Palestina e della Siria, si presentano alcuni uomini coperti di rozzo e ruvido sacco: un mantello di pelle di capra sulle spalle e un grezzo cappuccio sul capo comprendono tutto il lusso con cui essi confondono lorgoglio e la vanit degli uomini di mondo. Tenendo esposto il loro corpo ai pi cocenti raggi del sole e ai rigori del freddo pi intenso, estenuati per di pi da lunghi digiuni, appaiono come spettri ambulanti usciti dalla polvere dei sepolcri. Lerba dei campi costituisce il loro unico alimento e lacqua lunica bevanda. Col semplice lavoro delle mani si procurano gli scarsi mezzi di cui hanno bisogno per sovvenire alle loro strette necessit. Soggetti alla direzione di un venerabile vecchio, che non ha altri titoli per governare che una lunga vita condotta nella sua cella e lessere invecchiato in mezzo a privazioni ed austerit inaudite, osservano costantemente il pi profondo silenzio; schiudono le loro labbra solo per articolare parole di preghiera e non fanno sentire la loro voce se non per intonare inni di lode al Signore. Per loro il mondo non esiste: le relazioni di amicizia, i dolci legami di famiglia e di parentela, tutto cancellato da uno spirito di perfezione portato ad unaltezza superiore a tutte le considerazioni terrene. La cura dei loro patrimoni non li preoccupa affatto nella solitudine: prima di ritirarsi nel deserto li abbandonarono senza alcuna riserva allerede

pi prossimo, oppure vendettero i loro beni e distribuirono ai poveri il denaro ricavato. Le Sacre Scritture sono il cibo della loro anima: imparano a memoria le parole di quel libro divino e vi meditano sopra continuamente, supplicando umilmente il Signore che conceda loro la grazia di comprenderne il vero senso. Nelle loro taciturne adunanze si ode solo la voce di qualche venerabile solitario, che con la pi candida semplicit ed affettuosa fermezza spiega il senso del sacro Testo; ma sempre in modo che gli uditori possano ricavarne qualche giovamento per purificare vieppi le loro anime. Il numero di questi cenobiti era tanto immenso che non si potrebbe nemmeno credere se molti testimoni degni della massima fede non ce lo riferissero. E riguardo alla santit, allo spirito di penitenza, al tenore di vita di perfezione che abbiamo descritto, non ce ne lascia alcun dubbio la testimonianza di Rufino, di Palladio, di S. Girolamo, di S. Giovanni Crisostomo, di S. Agostino e di tutti gli uomini illustri che si distinsero in quei tempi. Il fatto singolare, straordinario, prodigioso, ma nessuno ha potuto mai negarne la verit storica: ne fu testimone il mondo intero, il quale da tutte le parti accorreva al deserto per avere luce ai suoi dubbi, rimedi ai suoi mali e il perdono dei suoi peccati. Sarebbe facile per me portare numerosissime e autorevoli testimonianze a conferma di quanto ho affermato: mi accontenter di una sola che basti per tutte, ed quella di S. Agostino. Ecco come il Santo Dottore descrive la vita di quegli uomini straordinari: Questi Padri, non solo di costumi illibatissimi, ma versatissimi nella dottrina divina ed eminenti in ogni cosa, provvedono a coloro che chiamano figli senza alcuna superbia, grazie alla loro grande autorit nel comandare e alla pari volont dei figli nellobbedire. Sul far della sera, mentre sono ancora digiuni, escono ciascuno dalla sua cella e si riuniscono per ascoltare il loro padre e sotto ciascun padre si radunano non meno di tremila uomini: anche di pi ne vivono sotto uno solo. Lo ascoltano con unattenzione incredibile, in assoluto silenzio, e manifestano i sentimenti suscitati nel loro animo dal discorso di colui che parla ora con gemiti, ora con lacrime, ora con gioia moderata e sommessa. (S. Agostino, I costumi della Chiesa cattolica e i costumi dei Manichei, libro I, 31). Ci si chieder: Ma a che servivano questi uomini se non a santificare se stessi? Che vantaggio ne veniva alla societ? Che influenza esercitavano sulle idee, e quale cambiamento produssero nei costumi? Ammettiamo pure che la pianta fosse bella e profumata: ma a che pro, se era sterile?. un grave errore pensare che da tante migliaia di cenobiti non derivasse una grande influenza. In primo luogo, e per ci che riguarda le idee, bisogna dire che in Oriente i monasteri si formarono sotto gli occhi, per cos dire, delle scuole filosofiche. LEgitto fu il paese dove fiorirono maggiormente i cenobiti, e tutti sanno quale prestigio avessero a quel tempo le scuole di Alessandria. Per tutta la costa del Mediterraneo, nella fascia di territorio che cominciando dalla Libia arrivava fino al Mar Nero, gli spiriti erano in uno straordinario fermento. Il Cristianesimo e il Giudaismo, le dottrine dellOriente e dellOccidente, tutto vi si trovava accumulato ed unito. Quello che restava delle antiche scuole di Grecia era l, insieme a tutto il patrimonio acquisito con landar del tempo e a ci che lasciarono i pi famosi popoli della terra che avevano attraversato quel paese. Nuovi e giganteschi avvenimenti erano venuti a spargere unimmensa luce sul carattere e sullimportanza delle idee; gli animi avevano ricevuto una scossa tale che non si accontentavano pi delle tranquille lezioni degli antichi maestri. I pi eminenti personaggi dei primi tempi del Cristianesimo provengono da quei paesi e nelle loro opere si scorge la grandezza e la penetrazione alle quali lo spirito umano era giunto in quellepoca. possibile allora che un fenomeno tanto straordinario come quello che abbiamo riferito, che un susseguirsi di eremi e di celle sparsi per tutta una zona dove erano attive tutte le scuole filosofiche non esercitasse sugli animi una forte influenza? Le idee dei cenobiti passavano continuamente dalleremo alla citt; perch nonostante tutto il loro impegno per evitare il contatto col mondo, il mondo li cercava, li andava a trovare e ne riceveva continuamente linflusso. Nellosservare come le genti andavano in cerca dei Padri di pi eminente santit per ottenerne un rimedio alle proprie pene e una consolazione per le proprie sventure; nel vedere come quegli uomini venerandi spargevano con certezza evangelica le sublimi lezioni apprese durante lunghi anni di

meditazione e di preghiera nel silenzio della solitudine, impossibile non concepire quanto tali rapporti dovessero contribuire a correggere ed elevare le idee sulla religione e la morale, e a modificare e purificare i costumi. Non bisogna dimenticare che lintelletto delluomo era, per cos dire, divenuto materialista a motivo della corruzione e materialit introdotte dalla religione pagana. Il culto della natura e delle forme sensibili aveva gettate radici cos profonde che per portare gli animi a concepire cose superiori alla materia era necessaria una scossa forte e straordinaria, era indispensabile annientare, per cos dire, la materia per presentare alluomo soltanto lo spirito. La vita degli anacoreti era per s molto adattata a produrre questo effetto; nel leggere la preziosissima storia di questi uomini pare che ci si trovi fuori di questo mondo: la carne scomparsa, e non rimane pi che lo spirito. E tanta la forza con cui lhanno assoggettata, e tanto hanno insistito sulla vanit delle cose terrene, che effettivamente si potrebbe dire che la realt stessa sia unillusione, e che il mondo fisico si dilegui per cedere il posto al mondo intellettuale e morale; e rotti tutti i vincoli terreni luomo messo in comunicazione intima col cielo. I miracoli si moltiplicano prodigiosamente in quelle vite, le apparizioni sono continue, le celle degli anacoreti sono unarena dove non entrano pi i mezzi terrestri. Qui gli angeli buoni lottano contro gli angeli ribelli, il cielo combatte con linferno, e Dio con Satana; la terra non esiste se non per servire da campo di battaglia; il corpo non esiste se non per essere un olocausto sullaltare della virt al cospetto del demonio, che lotta furiosamente per tentare di farne lo schiavo del vizio. Dovera pi quel culto idolatra che la Grecia rendeva alle forme sensibili, e quelladorazione che essa tributava alla natura quando divinizzava tutto ci che c di voluttuoso e di bello, tutto ci che eccitava i sensi, la fantasia e il cuore? Quale profondissimo cambiamento! Questi stessi sensi ora venivano sottoposti alle pi terribili privazioni, la pi dolorosa circoncisione ora veniva applicata al cuore, e luomo che poco prima non sollevava la mente da terra, ora la teneva costantemente rivolta al cielo. Non possibile farsi unidea di ci che stiamo descrivendo se non si leggono le vite di quegli anacoreti; non si pu concepire tutto leffetto che ne deriv senza essersi immersi per ore nella lettura di quelle pagine, dove a mala pena si trova qualche minima cosa che segua il corso ordinario. Non basta immaginare una vita pura ed austera, visioni, miracoli: bisogna mettere tutto ci insieme ed elevarlo, portandolo al pi alto grado di singolarit nella via di perfezione. Se non si vuole vedere in fatti cos straordinari lazione della grazia; se non si vuole riconoscere in questo fermento religioso alcun effetto soprannaturale; se si vuole addirittura affermare temerariamente che la mortificazione della carne e linnalzamento dello spirito furono portati ad un eccesso riprovevole; non si potr per negare che una simile reazione era sommamente opportuna per spiritualizzare le idee, risvegliare le forze intellettuali e morali delluomo, e farlo rientrare in se stesso per acquisire la conoscenza di quella vita interiore, intima, morale, alla quale fino a quel momento egli non aveva mai pensato. La fronte che prima si abbassava fino alla polvere ora si alzava verso la Divinit; una visione pi nobile di quello dei piaceri materiali si apriva allanima; e limmoralit bestiale, derivante dallo scandaloso esempio delle false divinit del paganesimo, si rivelava offensiva per lalta dignit della natura umana. Sotto laspetto morale leffetto fu immenso. Fino allora luomo non aveva neanche immaginato di poter resistere allimpeto delle passioni: nella fredda moralit di alcuni filosofi si trovavano, vero, alcune massime di condotta per opporsi alla sfrenatezza delle passioni pericolose; ma questa morale non era che nei libri, il mondo non la considerava praticabile; e se alcuni tentarono di praticarla lo fecero in modo tale che, invece di portarle credito, la resero ancora pi disprezzabile. Che importa infatti abbandonare le ricchezze e mostrarsi distaccati da tutte le cose del mondo, come ostentavano alcuni filosofi, se nello stesso tempo ci si mostrava cos vani e pieni di s da offrire tutti i sacrifici a nessunaltra divinit che al proprio orgoglio? Questo si chiama abbattere tutti gli idoli per metter se stessi sullaltare, e qui regnare senza altre divinit rivali. Questo non significa controllare le passioni e tenerle soggette alla ragione, ma piuttosto creare una passione mostruosa, che si eleva su tutte le altre e le divora. Lumilt, pietra fondamentale su cui i cenobiti erigevano

ledificio delle proprie virt, li collocava dun balzo in una posizione infinitamente superiore a quella di quegli antichi filosofi che si davano ad una vita pi o meno severa. In questo modo luomo imparava a fuggire il vizio e a praticare la virt, non per il vano piacere di essere visto e ammirato, ma per motivi superiori fondati sulla relazione delluomo con Dio, e sui destini di un eterno futuro. Da allora in poi luomo seppe che non era impossibile trionfare sul male nellostinata lotta che sperimenta continuamente dentro di s, ricevendone lesempio da tante migliaia di persone di ambo i sessi che osservavano una regola di vita cos pura ed austera. Lumanit doveva riprendere lena e acquistare lintima persuasione che per luomo il sentiero della virt non era impraticabile. Questa generosa fiducia ispirata alluomo da tanti esempi cos sublimi, non veniva per niente svigorita dal dogma cristiano che esorta a non attribuire alle proprie forze le azioni che portano a procurarsi la vita eterna, e che insegna la necessit di un aiuto divino per non smarrirsi nei sentieri della perdizione. Questo dogma, che daltronde va tanto daccordo con lesperienza quotidiana sulla fragilit umana, tanto lontano dallabbattere le forze dello spirito e da scoraggiare luomo, che, al contrario, lo incoraggia sempre pi a perseverare impavido in mezzo a tutti gli ostacoli. Quando luomo si crede solo, quando non si sente sostenuto dalla potente mano della Provvidenza, cammina vacillando come un bambino che fa i primi passi; gli manca la fiducia in se stesso e nelle proprie forze, e vedendo troppo distante loggetto verso il quale procede, limpresa gli appare troppo ardua e finisce col venir meno. Il dogma della grazia, tal quale lo spiega il Cattolicesimo, non quella dottrina fatalista che getta nella disperazione e che gela i cuori tra i Protestanti, come se ne lamentava Grozio; invece una dottrina che pur lasciando alluomo il libero arbitrio, la completa libert di decisione, glinsegna la necessit di un aiuto superiore, aiuto che verr sparso in abbondanza su di lui dalla bont infinita di un Dio che venne al mondo per riscattarlo, e che vers per lui tutto il Suo sangue in mezzo ai tormenti e allignominia esalando lultimo respiro in cima al Calvario. Sembra anche che la Provvidenza volle scegliere un clima particolare, dove lumanit potesse fare una prova delle sue forze ravvivate e sostenute dalla grazia. Nel clima pi pestifero, data la corruzione del cuore, dove la rilassatezza del corpo conduce come conseguenza a quella dello spirito, dove laria stessa che si respira stimolo alla volutt, fu proprio qui che fu esercitata la maggiore energia dello spirito, dove fu praticata la pi grande austerit, dove i piaceri dei sensi furono estirpati col pi risoluto rigore e la massima durezza. I cenobiti fissavano la loro dimora in quei luoghi dove potevano ancora giungere le fragranze balsamiche che si respiravano nelle vicine contrade; e dalla vetta delle loro montagne di sabbia la loro vista arrivava ancora a scorgere le amene e tranquille campagne che invitavano al godimento e al piacere; simili a quella vergine cristiana che abbandon la sua oscura grotta per sistemarsi nellanfratto di una roccia da cui contemplava il palazzo dei suoi genitori, sovrabbondante di ricchezze, di comodit e di delizie, mentre lei gemeva, qual solitaria colomba, nelle fessure di una pietra. Dallora in poi tutti i climi furono buoni per la virt: lausterit della morale non dipendeva dalla maggiore o minore vicinanza alla linea dellEquatore; la morale delluomo era come luomo stesso, poteva vivere in tutti i climi. Quando la continenza pi assoluta poteva essere praticata in un modo cos meraviglioso nei paesi pi dilettevoli e voluttuosi, nel Cristianesimo poteva ben introdursi e mantenersi la monogamia; e quando negli arcani dellEterno fosse giunta lora di chiamare un popolo alla luce della verit, poco importava che questo popolo vivesse tra le brine della Scandinavia o nelle infuocate pianure dellIndia. Lo spirito delle leggi di Dio non da rinchiudersi nel piccolo cerchio che il preteso Spirito delle leggi di Montesquieu ha tentato di assegnargli.

CAPITOLO XL Importanza dei monasteri dOriente. Perch la civilt trionf in Occidente e per in Oriente. Influenza dei monasteri dOriente sulla civilt araba. _______________

Linfluenza degli eremiti dOriente sulla religione e sulla morale un fatto che non ammette dubbi. vero che non tanto facile valutarla in modo preciso in tutta la sua estensione e in tutti i suoi effetti, ma non cessa per questo di essere reale e certa. E non ag sui destini dellumanit come quegli avvenimenti eccezionali che spesso vanno a finire in una maniera ben diversa da quella che facevano presagire; ma fu come una pioggia benefica che scorre lentamente sopra un terreno riarso, e feconda le praterie e le campagne. Se fosse possibile alluomo comprendere e distinguere bene il vasto complesso delle cause che hanno contribuito ad elevargli lo spirito e a dargli una chiara consapevolezza della propria immortalit, rendendogli pressoch impossibile di tornare allantica degradazione, capirebbe forse che il prodigioso fenomeno degli eremiti dOriente ebbe una parte preponderante in questo enorme cambiamento. Non dimentichiamo che i grandi uomini dellOccidente ricevettero di l le loro ispirazioni, che S. Girolamo visse nella grotta di Betlemme, e che la conversione di S. Agostino fu accompagnata da una santa emulazione che gli si risvegli in cuore nel leggere la vita di S. Antonio Abate. I monasteri che sorsero successivamente sia in Oriente che in Occidente ad imitazione dei primitivi eremi dei cenobiti ne furono una continuazione, bench la diversit dei tempi e delle situazioni li rendessero alquanto diversi in vari sensi. Di l uscirono i Basilio, i Gregorio, i Crisostomo ed altri uomini insigni che diedero lustro alla Chiesa. E se lo spirito meschino delle controversie, se lambizione e lorgoglio non avessero seminato un germe di discordia e di divisione, preparando cos quello scisma che doveva privare le chiese orientali dellinfluenza vivificatrice della Sede Romana, forse gli antichi monasteri dOriente avrebbero potuto servire come quelli dOccidente a promuovere una rigenerazione sociale tale da riunire in un solo popolo i vincitori e i vinti. evidente che la mancanza di unit stata una delle cause della debolezza degli Orientali. Non negher che la situazione in cui si trovarono fosse molto diversa dalla nostra: il nemico che dovettero affrontare non assomigliava punto ai barbari del Nord. Dubito per che fosse pi facile ad intendersi con questi che con i popoli conquistatori dellOriente. L rimase la vittoria agli assalitori, e lo stesso qua; ma un popolo vinto non morto, e comunque non gli mancano grandi prerogative che gli possano dare un ascendente morale sul vincitore, onde preparare segretamente un cambiamento e forse anche lespulsione del vincitore stesso. I barbari del Nord conquistarono il Mezzogiorno dEuropa; ma il Mezzogiorno a sua volta trionf su di loro con laiuto della religione cristiana, e i barbari non furono cacciati, ma trasformati. La Spagna fu conquistata dagli Arabi; gli Arabi non poterono essere trasformati, ma infine furono cacciati. Se lOriente avesse conservata lunit; se Costantinopoli e le altre sedi vescovili avessero continuato ad essere soggette a Roma come quelle di Occidente: in una parola, se tutto lOriente si fosse accontentato di essere un membro del grande corpo, invece di avere lambiziosa pretesa di considerare se stessa, da sola, un gran corpo, io ritengo certo e indubitabile che, supposta pure la conquista da parte dei Saraceni, si sarebbe suscitata una contesa intellettuale, e insieme morale e fisica, che avrebbe finito o col produrre un cambiamento totale nel popolo conquistatore, o col ricacciarlo negli antichi deserti. Si dir che la trasformazione degli Arabi sarebbe stata opera di secoli: ma non lo fu forse anche quella dei barbari del Nord? Rimase forse compiuta lopera con la loro conversione al Cristianesimo? Essi erano in gran parte ariani; ma a parte ci, capivano cos male i princpi cristiani, e provavano tanta difficolt a praticare la morale evangelica che per un lunghissimo periodo fu quasi altrettanto difficile trattare con loro che con un popolo di unaltra religione. Daltra parte non bisogna dimenticare che linvasione dei barbari non fu una sola, in quanto per diversi secoli vi fu una serie continua dinvasioni; tale per era la forza dei princpi religiosi circolanti in Occidente che tutti quei popoli barbari o furono costretti a ritirarsi, o si adattarono ai princpi e ai costumi dei paesi che avevano appena occupati. La disfatta delle schiere di Attila, le vittorie di Carlo Magno sui Sassoni e sugli altri popoli oltre il Reno, le successive conversioni delle nazioni idolatre del Nord per mezzo dei missionari spediti da Roma, le vicende infine e lesito delle invasioni dei Normanni, e in Spagna il trionfo definitivo dei Cristiani sui Mori dopo una guerra di otto secoli, sono una

prova decisiva di quanto ho affermato fin qui, cio che lOccidente vivificato e fortificato dallunit cattolica ha avuto la capacit di assorbire e appropriarsi di ci che non ha potuto cacciare, e la forza sufficiente per cacciare quello che non ha potuto far suo. Questo ci che mancato in Oriente. Limpresa non era pi difficile l che qua. Se lOccidente da solo riusc a liberare il Santo Sepolcro, lOccidente e lOriente uniti o non lavrebbero mai perso, o dopo averlo liberato lavrebbero conservato per sempre. Per lo stesso motivo i monasteri dOriente non acquistarono mai quella vitalit e quella forza che distinsero quelli dOccidente; e per questo andarono indebolendosi col tempo senza far nulla dimportante che servisse a prevenire la dissoluzione sociale e preparasse in silenzio, con un lento lavorio, quella rigenerazione di cui potessero servirsi le generazioni successive dal momento che la Provvidenza aveva stabilito che quelle di allora vivessero oppresse da calamit e da catastrofi. Chi studiando la storia ha conosciuto le splendide origini dei monasteri dOriente si sente stringere il cuore nellosservare come essi siano andati diminuendo di forza e di prestigio nel corso dei secoli, e nel vedere come, dopo i danni sofferti da quel disgraziato paese a motivo delle invasioni, delle guerre, ed infine per lazione letale dello scisma di Costantinopoli, gli antichi monasteri di tanti uomini celebri per dottrina e santit siano andati sparendo dalle pagine della storia, come torce che si spengono, come fuochi sparpagliati e quasi estinti che si vedono qua e l in un accampamento abbandonato. Furono immensi i danni che in tutti i campi delle conoscenze umane derivarono da questa debolezza che rese lOriente sempre pi sterile finendo col farlo morire. Se si guarda bene, al tempo dei grandi sconvolgimenti e dei tumulti che stavano agitando lEuropa, lAfrica e lAsia, il deposito naturale di ci che restava dellantico sapere non era lOccidente, ma lOriente. Non era nei nostri monasteri che venivano conservati i libri e gli altri oggetti preziosi di cui generazioni pi felici e tranquille avrebbero tratto profitto un giorno; ma bens nei monasteri fondati in quei luoghi stessi dove si erano incontrate e mescolate civilt molto diverse, e in cui lo spirito umano aveva svolto una maggiore attivit e si era spinto ad altezze pi elevate. In quei monasteri era stato raccolto un patrimonio preziosissimo di tradizioni, di scienze, di bellezze artistiche: era, in una parola, il grande emporio dove si trovavano accumulate le ricchezze della civilt e della cultura di tutti i popoli del mondo conosciuto. Non voglio tuttavia dare limpressione di voler dire che i monasteri dOriente non abbiano contribuito ad arricchire lintelletto umano: la scienza e la letteratura dEuropa ricordano ancora con piacere limpulso ricevuto dallarrivo sulle coste dItalia dei preziosi materiali dopo la presa di Costantinopoli. Le stesse ricchezze per, che furono portate in Europa da alcuni uomini che a stento riuscirono a salvare la propria vita sbattuti sulle nostre spiagge come dalla furia di una tempesta, giungevano tra noi come un naufrago sfinito il quale, scampato alle onde del mare, serba ancora tra le sue mani intirizzite una certa quantit di oro e pietre preziose. E questo cinduce ancor pi a dolerci, perch ci fa meglio capire di quali immense ricchezze fosse carica la nave che affond, e ci fa deplorare amaramente che i primi tempi deglillustri monaci dOriente non abbiano potuto collegarsi ai nostri. Quando vediamo le loro opere colme di erudizione sacra e profana, quando scorgiamo quellattivit instancabile che traspare dai loro lavori, il nostro pensiero va con dolore al prezioso deposito che dovevano aver posseduto quelle ricche biblioteche. Ciononostante, e ad onta delle precedenti riflessioni purtroppo vere, bisogna anche dire che linfluenza di quei monasteri non manc di essere di grande vantaggio alla conservazione delle antiche conoscenze. Gli Arabi al tempo della loro supremazia si mostrarono sapienti e colti; sotto diversi aspetti lEuropa va loro debitrice di grandi progressi: Bagdad e Granada furono i due importanti centri della rifioritura delle scienze e delle bellezze artistiche, e questo fatto attenua in minima parte leffetto complessivamente sgradevole della vicenda storica dei settari di Maometto, allo stesso modo di due piacevoli e tranquille figure che rendono pi sopportabile la vista di un quadro sgradevole e orribile. Se si potesse seguire la storia dello sviluppo della cultura degli Arabi nel periodo delle trasformazioni e delle catastrofi dOriente, probabilmente si scoprirebbe lorigine di molti loro progressi nelle conoscenze di quegli stessi popoli che essi conquistarono o annientarono. Detto questo, certo comunque che la loro stessa civilt non contiene alcun principio

vitale che favorisca lo sviluppo della conoscenza: ce lo dice la loro stessa organizzazione religiosa, sociale e politica, e ce linsegnano i pochi frutti raccolti da questo popolo dopo tanti secoli di pacifico possesso nei paesi conquistati. Tutto il loro sistema in ci che riguarda le lettere e la cultura negli ultimi tempi va a ridursi in quelle stupide parole che pronunci uno dei suoi capi quando ordin dincendiare unimmensa biblioteca: Se questi libri sono contrari al Corano devono essere bruciati come dannosi; se sono favorevoli, devono essere bruciati come inutili. Leggiamo in Palladio (Rutilio Paolo Emiliano IV sec. d.C.) che i monaci in Egitto, non contenti di lavorare oggetti semplici e rozzi, esercitavano altres ogni genere di arte. Le molte migliaia di persone di ogni classe e di tanti diversi luoghi che abbracciarono la vita monastica dovettero portare nel deserto un patrimonio considerevole di conoscenze. Si sa dove pu giungere nella solitudine lo spirito delluomo, padrone di se stesso, che si dedichi ad una determinata occupazione. Quindi non privo di fondamento ritenere che molte nozioni allora sconosciute sui segreti della natura, sullutilit e le propriet di certe sostanze, sui princpi di alcune scienze ed arti di cui, quando comparvero in Europa, in gran parte furono considerate espressioni della civilt araba, non fossero altro che il resto dellantica scienza raccolto dagli stessi Arabi in quei paesi che prima erano stati popolati da uomini giuntivi da ogni parte. necessario ricordare che nelle prime invasioni dei barbari, quando la Spagna, la parte meridionale della Francia, lItalia, lAfrica del Nord e le isole adiacenti a tutti questi paesi venivano terribilmente devastate, tutti coloro che potevano intraprendere un viaggio si affrettarono a cercare asilo in Oriente. Fu cos che qui si accumul man mano tutto il patrimonio delle conoscenze dellOccidente. E questo contribu molto a conservare i resti dellantico sapere, che ben presto ci torn trasformato e sotto un aspetto diverso per mezzo Arabi. Il forte disinganno derivato dalla constatazione della vanit delle cose terrene, ravvivato da una cos lunga serie di grandi sventure, fortific quegli infelici nel sentimento religioso; e i fuggitivi accolti in Oriente ascoltavano con viva commozione lenergica voce delleremita della grotta di Betlemme. Ed cos che i fuggiaschi si ritirarono in gran parte nei monasteri dove trovavano soccorso per le loro necessit e consolazione per le loro anime; e in tal modo nei monasteri dOriente si accumulava man mano un deposito sempre pi ricco di preziose nozioni e cognizioni di ogni genere. Se mai un giorno la civilt europea dovesse arrivare a dominare su quei luoghi che ora gemono sotto loppressione musulmana, la storia del Sapere forse potr aggiungere una bella pagina ai suoi studi qualora riuscisse ad individuare (attraverso manoscritti che vengano scoperti dalla diligenza o dal caso nelloscurit di quei secoli) quel filo conduttore che mostrerebbe ancor pi chiaramente il collegamento della scienza araba con la scienza antica, e spiegherebbe le trasformazioni che questa sub man mano e che la fecero sembrare di origine diversa. Le ricchezze conservate negli archivi spagnoli, relative al tempo in cui dominavano i Saraceni, archivi nei quali possiamo dire che non stata ancora cominciata la ricerca e lo studio, potrebbero forse spargere un po di luce su questo fatto. Luce che darebbe senzaltro la possibilit di applicarsi a pregevoli ricerche che ci porterebbero a valutare con grande interesse le due civilt fra loro tanto diverse, quali sono la maomettana e la cristiana.

CAPITOLO XLI Caratteristiche degli Istituti religiosi dOccidente. San Benedetto. Lotta dei monaci contro la decadenza. Origine dei beni dei monaci. Importanza di tali possessi per instillare il rispetto per la propriet. Osservazioni sulla vita campestre. La scienza e le lettere nei chiostri. Graziano. _______________ Passiamo ora ad esaminare gli Istituti religiosi che sorsero in Occidente, tralasciando per di parlare di quelli che, sebbene fondati in varie parti dEuropa, non erano che una specie di

diramazione dei monasteri orientali. Questi Istituti sorti in Occidente, oltre ad essere improntati allo spirito evangelico che presiedette alla loro fondazione, presero anche il carattere di societ conservatrici, riparatrici e rigeneratrici. I monaci non si accontentavano di santificare se stessi, ma fecero subito in modo di incidere sulla societ. La luce e la vita racchiuse in queste sante dimore si aprivano la strada per illuminare e fecondare il caos in cui giaceva il mondo. Non so se nella storia dellumanit vi sia uno spettacolo pi bello pi consolante di quello che ci si presenta con la fondazione, la diffusione e il progresso deglIstituti religiosi in Europa. La societ aveva bisogno di grandi energie per mantenersi in vita tra le terribili crisi che stava attraversando, ed il segreto della forza sociale stava nel mettere insieme le forze individuali, nellassociarsi. Ed certamente cosa meravigliosa che questo segreto venisse svelato alla societ europea come per una rivelazione divina. In questa societ tutto stava crollando e cadendo in pezzi, tutto stava andando in rovina. La religione, la morale, lautorit pubblica, le leggi, i costumi, le scienze, le arti: tutto stava soffrendo enormi perdite, ogni cosa stava naufragando; e per chi ritenga che il futuro del mondo dipende dalle capacit umane, i mali erano tanti e tanto gravi che non era pi possibile porvi rimedio. Losservatore che fissa sbigottito lo sguardo su quei tempi, quando vede S. Benedetto dar vita agli Istituti monastici, prescrivere loro la sua saggia regola costituendoli cos in forma stabile, crede di vedere un angelo di luce sorgere in mezzo alle tenebre. La sublime ispirazione che guid questuomo straordinario era la pi adatta che si potesse immaginare per depositare in seno alla societ disgregata un principio di vita e di riorganizzazione. Chi non sa in quali condizioni era ridotta in quei tempi lItalia, o, per dir meglio, lintera Europa? Quanta ignoranza! Quanta corruzione! Quanti elementi di disfacimento sociale! Quante rovine dappertutto! In una cos deplorevole situazione appare il santo eremita, nato da unillustre famiglia di Norcia, deciso a combattere il male che minaccia di dominare il mondo. Armato delle sue virt; con leloquenza del suo esempio esercita sugli altri un ascendente irresistibile; elevato ad unaltezza superiore al suo secolo, ardente di zelo e pieno nello stesso tempo di discrezione e di prudenza, fonda lIstituto destinato a resistere alle agitazioni dei tempi, immobile come una piramide in mezzo agli uragani del deserto. Che grande idea, benefica, piena di lungimiranza e di sapienza! Quando la scienza e le virt non trovavano dove riparare, quando lignoranza, la corruzione e la barbarie andavano diffondendosi rapidamente, vediamo erigere un ricovero alla sventura, formare come un deposito dove poter conservare le preziose testimonianze dellantichit, aprire scuole di scienza e di virt dove istruire la giovent destinata un giorno ad essere protagonista nelle vicende del mondo. Quando losservatore contempla la silenziosa abbazia di Montecassino; quando vede recarvisi da ogni parte i figli delle famiglie pi illustri dellimpero, chi con lidea di rimanervi per sempre, chi per ricevere uneducazione perfetta per poi portare nel mondo un ricordo delle sagge ispirazioni ricevute dal santo fondatore nelleremo di Subiaco; quando osserva che i monasteri dellOrdine si vanno moltiplicando ovunque e si vanno installando come grandi centri di attivit nelle campagne, nei boschi e nei luoghi pi inospitali; non pu fare a meno di sentire la pi profonda venerazione verso luomo straordinario che ha concepito idee cos grandiose. Se non vogliamo considerare S. Benedetto ispirato dal cielo, dovremmo almeno considerarlo come uno di quei personaggi che di tanto in tanto appaiono sulla terra quali angeli tutelari del genere umano. Dimostrerebbe scarsa intelligenza chi rifiutasse di riconoscere leffetto vantaggiosissimo che produssero simili istituzioni. Quando la societ si dissolve non ci vogliono parole n progetti, e neanche leggi; ci vogliono invece istituzioni forti che resistano allimpeto delle passioni, allincostanza dello spirito umano e allurto demolitore degli avvenimenti; istituzioni che innalzino lintelletto, che purifichino e nobilitino il cuore, producendo cos alla base della societ un movimento di resistenza e di reazione contro i cattivi elementi che la conducono alla morte. Se vi allora un intelletto limpido, un cuore generoso, unanima dominata da sentimenti virtuosi, si affretta a rifugiarsi nel sacro asilo. Non sempre vien loro concesso di cambiare landamento del mondo, ma almeno lavorano in silenzio per istruirsi e purificarsi, mentre versano lacrime di compassione sulle

insensate generazioni che si agitano in una tumultuosa frenesia; e talvolta ottengono anche di far sentire la loro voce in mezzo al clamore, e di ferire il cuore del malvagio con le loro parole che sono come un terribile avvertimento disceso dallalto. In questo modo contribuiscono almeno a ridurre la forza del male, dal momento che non loro concesso di porvi riparo. Protestando continuamente contro liniquit, ed impedendo quindi che essa in certo qual modo acquisti valore di norma, essi trasmettono alle generazioni future la solenne testimonianza che in mezzo alle tenebre e alla corruzione vi sono pure degli uomini che si sforzano dilluminare il mondo. Opponendo un argine al sovrabbondare del delitto e del vizio essi conservano la fede nella verit e nella virt e sostengono e ravvivano la speranza dei loro contemporanei, e degli uomini dei tempi futuri che potranno trovarsi nelle stesse condizioni. Questa fu lopera dei monaci in quei tempi calamitosi di cui parliamo; tale fu la bella e sublime missione che adempirono a vantaggio dei grandi interessi dellumanit. Forse si dir che gli immensi beni accumulati dai monasteri furono uneccessiva ricompensa alle loro fatiche ed una dimostrazione del poco disinteresse che guidava le loro opere. Effettivamente se si guardano le cose sotto laspetto con cui le hanno presentate alcuni scrittori le ricchezze dei monaci ci appariranno come il frutto di una smisurata cupidigia e di una condotta astuta ed ingannevole. Ma tutta la storia pronta a smentire le calunnie dei nemici della religione; e il filosofo imparziale, ben sapendo che vi si poterono introdurre degli abusi, cos come accade in tutte le vicende umane, si preoccupa di considerare le cose nel loro complesso nel vasto quadro in cui sono avvenute per tanti secoli; e non curando il male che fu semplicemente leccezione alla regola, contempla ed ammira il bene che fu la regola stessa. Oltre ai molti e legittimi motivi religiosi per i quali venivano elargiti ai monaci dei beni, ve nera uno anchesso legittimo perch sempre stato considerato come uno dei modi pi leciti per trarne guadagno. I monaci dissodavano terreni incolti, disseccavano paludi, innalzavano argini, rinchiudevano i fiumi nel loro alveo, costruivano ponti. Vale a dire che in una societ e in paesi che erano passati attraverso una specie di diluvio universale, i monaci facevano in certo qual modo le stesse cose che fecero i primi popoli quando, dopo il diluvio universale, si diedero da fare per restituire al mondo devastato laspetto primitivo. Una parte considerevole dellEuropa non era mai stata coltivata dalluomo: i boschi, i fiumi, i laghi, le macchie selvatiche di ogni genere erano ancora allo stato primitivo come li aveva lasciati la natura. I monasteri sorti qua e l si possono considerare come quei centri propulsori che le nazioni civili stabiliscono nei nuovi paesi di cui vogliono cambiare laspetto impiantando grandi colonie. Vi fu mai un motivo pi legittimo per lacquisizione di una quantit di beni? Chi dissoda un paese incolto, lo coltiva e lo popola, non forse degno di riservarsi in esso estesi possedimenti? Non questo il normale andamento delle cose? Chi non sa quante citt e borgate nacquero e singrandirono allombra delle abbazie? Le propriet dei monaci, oltre che il loro vantaggio materiale, ne produssero un altro che forse non mai stato abbastanza considerato. La situazione di una gran parte dei popoli europei, al tempo di cui parliamo, si avvicinava molto a quellinstabilit e mobilit in cui si trovano le nazioni che ancora non hanno fatto alcun passo sulla via della civilt e della cultura. Per questo motivo lidea della propriet, che una delle pi fondamentali in ogni organizzazione sociale, era allora ben poco radicata. In quei tempi erano frequentissimi gli assalti sia alle propriet che alle persone. E siccome luomo si trovava spesso nella necessit di difendere ci che possedeva, allo stesso modo si lasciava portare facilmente ad invadere le propriet altrui. Il primo passo per porre riparo ad un male cos grave fu quello di fare in modo che i popoli divenissero stanziali inducendoli alla coltivazione della terra e abituandoli subito al rispetto della propriet, non solamente per fini morali e di interesse privato, ma anche perch divenisse costume. E questo si poteva ottenere mostrando loro grandi propriet appartenenti a territori che venivano considerati inviolabili e che non si potevano assalire senza commettere un sacrilegio: cos i princpi religiosi venivano collegati a quelli sociali, e preparavano man mano una regolamentazione che sarebbe giunta a perfezione in tempi pi tranquilli.

A tutto questo si aggiunga una nuova necessit prodotta dai cambiamenti che stavano avvenendo in quellepoca. Presso gli antichi non si conosceva praticamente altro modo di vivere che quello delle citt; abitare in campagna, questa dispersione di unimmensa popolazione che nei tempi moderni ha formato una nuova nazione nelle campagne, non era da loro conosciuta; e bisogna notare che questo cambiamento nel modo di vivere avvenne proprio quando sembrava che circostanze calamitose e turbolente lo rendessero pi difficile. Bisogna essere grati proprio alla presenza dei monasteri nelle campagne e nei territori disabitati se questo nuovo genere di vita pot radicarsi, il che sarebbe stato senza dubbio impossibile senza linfluenza benefica e la protezione delle grandi abbazie che avevano tutte le risorse e il potere dei signori feudali, e allo stesso tempo la benefica e amabile influenza dellautorit religiosa. Di quanto non fu debitrice la Germania ai monaci? Non furono essi forse che dissodarono le terre incolte, vi fecero fiorire lagricoltura e formarono numerose popolazioni? Quanto non deve loro la Francia? Quanto la Spagna e lInghilterra? Questultima in verit non sarebbe mai giunta allalto grado di civilt di cui tanto si vanta se le fatiche apostoliche dei missionari che vi penetrarono nel sesto secolo non lavessero tirata fuori dalle tenebre di una grossolana idolatria. E chi erano questi missionari? Il principale fra essi, di nome Agostino, non fu un monaco zelante, inviato da un Papa, S. Gregorio Magno, che era stato anche lui monaco? Nella confusione dei secoli del Medio Evo, dove mai trova il lettore i grandi centri delle scienze e delle virt, se non in quelle dimore solitarie da cui uscirono S. Isidoro Arcivescovo di Siviglia, S. Colombano Abate, SantAureliano Arcivescovo di Arles, lapostolo dellInghilterra S. Agostino, quello della Germania S. Bonifacio, Beda, Cuberto, Auperto, Paolo monaco di Montecassino, Incmaro di Reims educato nel monastero di S. Dionigi, S. Pier Damiani, S. Bruno, S. Ivone, Lanfranco, ed altri che formarono una classe eletta di uomini che in nulla assomigliavano a quelli dei loro tempi? Oltre al servizio reso alla societ sotto laspetto religioso e morale, inestimabile quello che i monaci fecero per le scienze e le lettere. Si gi detto pi volte che queste trovarono rifugio nei chiostri, e che i monaci conservando e copiando gli antichi manoscritti preparavano il materiale per il tempo in cui sarebbero rifiorite le scienze. Non bisogna per sminuire il merito dei monaci considerandoli dei semplici copisti: molti di loro si elevarono ad un grado cos alto di dottrina che, per cos dire, si proiettarono molti secoli pi avanti dellepoca in cui stavano vivendo. Inoltre, non contenti del penoso incarico di conservare e riordinare i manoscritti, rendevano alla storia un importante servizio redigendo le cronache. Con queste, mentre coltivavano un ramo cos importante degli studi, registravano la storia contemporanea che forse senza le loro fatiche non sarebbe conosciuta. Adone, Arcivescovo di Vienna, educato nellabbazia di Ferrieres, scrisse una storia universale dalla creazione del mondo fino ai suoi tempi. Abbone, monaco di S. Germano dei Prati, compose un poema in latino in cui narrato lassedio di Parigi da parte dei Normanni; Aimone di Aquitania scrisse in quattro libri la storia dei Franchi; S. Ivone pubblic una cronaca dei re degli stessi Franchi; il monaco tedesco Ditmaro ci ha lasciato la cronaca di Enrico I, dei due Ottoni (I e II), e di Enrico II: cronaca molto apprezzata per la sua obiettivit, che stata pubblicata pi volte e di cui si serv Leibnitz per illustrare la storia di Brunsvich. Ademaro fu autore di una cronaca che va dall829 fino al 1029; Elabero, monaco di Cluny, scrisse unaltra storia molto apprezzata degli avvenimenti accaduti in Francia dal 980 fino ai suoi tempi; Ermanno redasse una cronaca che abbraccia le sei et del mondo fino al 1054. Non finiremmo mai, se volessimo ricordare i lavori storici di Sigeberto, di Inguiberto, di Ugone, Priore di S. Vittore, e di altri insigni uomini che, elevandosi al di sopra dei loro tempi, si applicarono a questo genere di lavori. Noi difficilmente possiamo comprenderne le difficolt che superarono e il loro grandissimo merito, perch viviamo in tempi in cui i mezzi per istruirsi sono molto facili, e col patrimonio culturale ereditato da tanti secoli di studio, oggigiorno lo spirito trova ovunque vie larghe e conosciute dello scibile umano. Senza lesistenza degli Istituti religiosi e senza lasilo dei chiostri sarebbe stato impossibile che uomini di tanto merito avessero potuto ottenere la formazione che ebbero. Non solamente le scienze e le lettere erano del tutto dimenticate, ma per di pi erano divenuti ben rari i laici che sapevano

leggere e scrivere bene; e tali circostanze non erano sicuramente favorevoli per formare uomini tanto eminenti che potrebbero benissimo onorare con la loro grandezza secoli molto pi avanzati nelle cognizioni. Chi non si soffermato pi volte a contemplare linsigne triumvirato costituito da Pietro il Venerabile, S. Bernardo e lAbate Sugero? E non possiamo dire che il dodicesimo secolo avanz dalla sua posizione quando produsse uno scrittore come Pietro il Venerabile, un oratore come S. Bernardo, e un uomo di stato come Sugero? Ci viene in mente un altro celebre monaco il cui contributo nel progresso dellumano sapere non stato stimato quanto merita da quei critici che provano piacere soltanto nellannotare i difetti. Mi riferisco a Graziano: coloro che hanno infierito contro di lui, mettendo insieme con grande scrupolo gli errori nei quali egli pot incorrere, se si fossero messi nei panni del compilatore del dodicesimo secolo quando mancavano i mezzi e lausilio della scienza critica avrebbero potuto meglio vedere e capire se in questo caso la difficile impresa fu o no condotta a termine con molto maggior successo di quello che si poteva sperare. incalcolabile lutilit che deriv dalla collezione di Graziano. In un breve volume egli espose molte fra le cose di maggior interesse dellantichit riguardo alla legislazione civile e canonica, e raccolse in gran quantit i testi dei santi padri riguardanti ogni genere di argomenti. In tal modo, oltre a stimolare lo studio e linteresse per tali ricerche, fece fare un enorme passo avanti alla societ moderna per soddisfare una delle principali necessit, cio la formazione dei codici, sia nel campo del diritto ecclesiastico che in quello del diritto civile. Si dir che gli errori di Graziano furono contagiosi, e che sarebbe stato molto meglio poter ricorrere direttamente ai testi originali. Ma per leggere gli originali necessario conoscerli, sapere che esistono, essere stimolati dal desiderio di chiarire qualche difficolt, aver preso interesse a tali ricerche: tutte cose che prima di Graziano mancavano; tutte cose che nascevano con la sua impresa. Laccoglienza generale fatta alle sue fatiche la prova pi convincente del merito che esse hanno; e se mi si risponde che questa accoglienza dovuta allignoranza dei tempi, risponder che dobbiamo essere sempre grati a chiunque, in mezzo alle tenebre, cinvia un raggio di luce, per piccolo che sia.

CAPITOLO XLII Natura degli Ordini militari. Le Crociate. La fondazione degli Ordini militari e la continuazione delle Crociate. _______________ Dalla rapida occhiata che abbiamo dato agli Istituti religiosi, dallinvasione dei barbari fino al dodicesimo secolo, si deduce che per tutto questo tempo essi furono un forte sostegno per impedire la completa rovina della societ, un asilo per la sventura, per la virt e per la cultura, un deposito delle cose preziose degli antichi, e una specie di societ civilizzatrice che, senza grandi clamori, lavorava per ricostruire ledificio sociale tendendo a neutralizzare la forza dei princpi disgreganti. E furono anche un seminario dove poterono formarsi gli uomini destinati a ricoprire posizioni di responsabilit sia nella Chiesa che nello Stato. Nel dodicesimo secolo e in quelli successivi apparvero nuovi Istituti con caratteristiche molto diverse; il loro scopo era ancora prevalentemente religioso e sociale, ma i tempi erano cambiati, ed il caso di ricordare le parole dellApostolo: omnia omnibus. Esaminiamo quali furono le cause e quali gli effetti di simili innovazioni. Prima di procedere oltre dir qualche parola sugli Ordini militari, la cui definizione indica gi chiaramente il duplice carattere del religioso e del soldato. Lunione del monachesimo con la milizia! esclameranno alcuni, quale mostruosa mescolanza!. Eppure questa pretesa mostruosit fu del tutto conforme al corso naturale e regolare delle cose, fu un potente rimedio contro gravissimi mali, un riparo a pericoli incombenti: fu insomma lespressione e il soddisfacimento di una grande necessit europea. Non questo il luogo dove comporre la storia degli Ordini militari, storia che al pari di qualunque altra presenta scene bellissime e di grande rilievo, con quellinsieme di eroismo e

dispirazione religiosa che pone la poesia accanto alla storia. Basta pronunciare i nomi dei Templari, degli Ospedalieri, dei Teutonici, di quelli di Calatrava, di S. Raimondo Abate di Fitero, perch il lettore scorra una delle pi belle pagine della storia. Ma lasciamo da parte una narrazione che non ci riguarda, e fermiamoci piuttosto ad esaminare lorigine e lo spirito di quei famosi Istituti. Il vessillo dei Cristiani e lo stendardo della Mezzaluna erano per natura due nemici implacabili, e ancor pi spietati oltre ogni misura a causa della lunga e ostinata lotta che li vedeva di fronte. Entrambi avevano in mente progetti grandiosi; entrambi erano molto potenti; entrambi potevano disporre di popoli risoluti, pieni di entusiasmo e pronti a scagliarsi gli uni sugli altri; entrambi avevano a proprio favore grandi possibilit e fondate speranze di trionfo. A chi arrider la vittoria? Quale condotta dovranno tenere i Cristiani per schivare il pericolo da cui sono minacciati? pi conveniente che restino tranquilli in Europa, aspettando di essere attaccati dai Musulmani, oppure che sollevandosi in massa si scaglino sul nemico andandolo a cercare nel suo paese, l dove egli si considera invincibile? Il problema fu risolto in questultimo senso: si bandirono le Crociate, e i secoli successivi hanno confermato la saggezza della decisione. Che importanza ha che alcuni levino proteste in cui fanno mostra di un certo interesse per la giustizia e lumanit? Nessuno se ne lascia abbagliare. La filosofia della Storia, addestrata dallesperienza e da un pi ricco patrimonio di conoscenze, frutto di uno studio pi maturo dei fatti, ha dato un giudizio definitivo su questa vicenda; e in questa, come in tutte le altre, la religione uscita trionfante dal tribunale della filosofia. Le Crociate, lungi dallessere considerate un atto di temerit e di barbarie, sono considerate giustamente un capolavoro di politica che assicur lindipendenza allEuropa, procur ai popoli cristiani una decisa superiorit sui Musulmani, rafforz e accrebbe lo spirito militare delle nazioni europee e comunic loro un sentimento di fratellanza che ne form un solo popolo. Svilupp inoltre in molti modi lo spirito umano, contribu a migliorare la condizione dei sudditi, prepar il crollo totale del feudalesimo, cre la marina, stimol il commercio e lindustria dando cos un forte impulso per procedere da diverse direzioni sulla strada della civilt. Sia chiaro che non intendo dire con questo che quelli che idearono le Crociate e i Papi che le promossero, i popoli che vi parteciparono, i signori e i prncipi che le sostennero, comprendessero tutta la portata della loro stessa opera, o anche soltanto ne intravedessero glimmensi effetti: sufficiente che la questione esistesse e che si risolvesse nel modo pi favorevole allindipendenza e alla prosperit dellEuropa. sufficiente, ripeto; ed aggiungo che quanto meno ebbe parte la preveggenza degli uomini tanto pi il merito lo si deve attribuire alle cose; e le cose, nella fattispecie, sono appunto i princpi e i sentimenti religiosi nelle loro relazioni con la conservazione e col bene delle societ; le cose insomma non sono altro che il Cattolicesimo, che copre col suo scudo e ravviva col suo soffio vitale la civilt europea. Ed eccoci allora alle Crociate, che abbiamo appena nominate. Questa grande e nobile idea fu per concepita in un modo piuttosto approssimato, e fu portata ad effetto con quella precipitazione che frutto dellimpazienza e di uno zelo ardente. Se tenete presente che questa idea, in quanto generata nel Cattolicesimo che converte sempre le sue idee in istituzioni, doveva appunto per questo realizzarsi in unistituzione che ne fosse lespressione fedele e che le servisse come mezzo per rendersi pi percepibile, e di sostegno perch divenisse pi duratura e feconda; se tenete presente questo, vuol dire che avrete compreso come sia possibile vedere insieme la religione con le armi; e sarete allora pieni di consolazione nello scoprire sotto la corazza di acciaio un cuore pieno di ardore per la religione di Ges Cristo, nel veder sorgere una nuova specie di uomini che si consacrano senza riserva alla difesa della religione e insieme rinunciano a tutte le cose del mondo, pi mansueti degli agnelli, pi coraggiosi dei leoni, secondo unespressione di S. Bernardo: ora si riuniscono nella loro comunit per levare al cielo una fervorosa preghiera, ora marciano impavidi al combattimento brandendo la formidabile lancia, terrore delle orde saracene. No, non si trova negli annali della storia un avvenimento pi grandioso di quello delle Crociate; come non si trova unistituzione pi generosa e pi bella di quella degli Ordini militari. Nelle Crociate si levano innumerevoli nazioni, marciano in mezzo ai deserti, sinoltrano in paesi che non conoscono, si abbandonano senza riserva a tutto il rigore delle stagioni e dei climi. E per cosa poi?

Per liberare un sepolcro!... Impresa grande e immortale, dove cento e cento popoli vanno incontro ad una morte sicura, non gi inseguendo un meschino interesse, n col desiderio di stabilirsi in paesi pi ameni e pi fertili, e nemmeno con la brama di procurarsi un guadagno terreno; ma unicamente ispirati da unidea religiosa, per il vivo desiderio di conquistare il sepolcro di Colui che mor su di una croce per la salvezza del genere umano. In confronto a questo indimenticabile avvenimento, a che si riducono mai le imprese dei Greci cantate da Omero? La Grecia si solleva per vendicare loltraggio di un marito, lEuropa per riscattare il sepolcro di un Dio. Quando dopo i trionfi e i disastri delle Crociate gli Ordini militari, ora in Oriente, ora nelle isole del Mediterraneo fanno mostra di s combattendo e resistendo ai duri assalti dellIslamismo che reso superbo per le sue vittorie cerca di scagliarsi di nuovo sullEuropa, ci sembra di vedere quei valorosi, nel giorno di una gran battaglia, che restano soli nellarena lottando uno contro cento per donare col loro eroismo e con la loro vita la salvezza ai compagni darme, che da loro protetti possono mettersi in salvo. Gloria e onore alla religione che stata capace dispirare princpi cos elevati e che ha saputo ispirare imprese tanto ardue e generose!

CAPITOLO XLIII Caratteristiche dello spirito monastico nel tredicesimo secolo. Nuovi Istituti religiosi. Natura della civilt europea, opposta a quella delle altre civilt. Mescolanza di diversi elementi nel tredicesimo secolo. Societ semibarbara. Cristianesimo e barbarie. Formula per spiegare la storia di quellepoca. Condizioni in cui si trovava lEuropa agli inizi del tredicesimo secolo. Le guerre diventano pi popolari. Perch il rinnovamento delle idee cominci prima in Spagna che nel resto dEuropa. Effervescenza del male durante il dodicesimo secolo. Tanchelmo. Eone. I Manichei. I Valdesi. Rinnovamento religioso agli inizi del tredicesimo secolo. Ordini mendicanti e loro influenza sulla democrazia. Loro caratteristiche. Loro rapporti con Roma. _______________ Per quanto contrario alle comunit religiose possa essere il lettore, forse si sar riconciliato con gli eremiti dOriente dopo che in loro gli abbiamo mostrato una categoria di uomini che, mettendo in pratica i pi sublimi ed austeri consigli della religione, diedero un generoso impulso allumanit finch questa, sollevandosi dal fango in cui il paganesimo la teneva immersa, apr le sue belle ali verso spazi pi puri. Abituare luomo ad una morale grave e severa; concentrare la sua anima in se stessa; comunicarle un vivo sentimento della dignit della sua natura e della sublimit della sua origine e del suo fine; ispirarle per mezzo di esempi straordinari la sicurezza con cui lo spirito aiutato dalla grazia proveniente dal cielo pu trionfare sulle passioni brutali e condurre sulla terra una vita evangelica: questi sono benefci troppo grandi perch un cuore nobile possa fare a meno di gradirli e di mostrare vivo interesse per coloro che li dispensavano. In quanto poi ai monasteri dOccidente, anche qui troppo evidente la loro influenza benefica e civilizzatrice, in modo che chiunque ami il genere umano non pu non considerarli benevolmente. Infine i cavalieri degli Ordini militari ci richiamano un ideale tanto poetico e affascinante, realizzano in modo cos incantevole uno di quei sogni dorati che attraversano la mente in un momento dentusiasmo, che sicuramente ogni cuore che non sia insensibile a ci che c di sublime e di bello non mancher di tributar loro un rispettoso omaggio. Ora mi resta unimpresa pi difficile: quella di presentare al tribunale della filosofia, di quella filosofia agnostica o atea, le comunit religiose non comprese tra quelle che ho descritte fin qui. Contro queste comunit stata gi scagliata una sentenza terribilmente severa: ma in tali materie lingiustizia non pu mai costituire norma; e nemmeno gli applausi dei nemici della religione, n gli effetti di una rivoluzione che rovescia tutto ci che trova sulla sua strada impediranno mai di ristabilire la verit nella sua essenza, e che lirrazionalit e il delitto siano marchiati dignominia.

Si era gi agli inizi del tredicesimo secolo quando cominci ad apparire una nuova classe di uomini, che con diversi titoli, con varie denominazioni e sotto distinte forme professavano una vita singolare e straordinaria. Alcuni vestivano di grossolano bigello, rinunciavano a tutte le ricchezze e a qualunque possesso, si obbligavano ad una mendicit perpetua, sparpagliandosi nelle campagne e nelle citt per guadagnare anime a Ges Cristo; altri portavano sullabito il segno distintivo della redenzione umana e si proponevano di sciogliere dalle catene i numerosi Cristiani che lo sconvolgimento dei tempi riducevano in schiavit nei paesi musulmani; altri inalberavano la croce in mezzo ad una folla di popolo che si precipitava dietro ai loro passi, e istituivano una nuova devozione, inno perenne di lode a Ges e Maria, predicando nello stesso tempo senza mai smettere la fede nel Crocifisso; altri andavano in cerca di tutte le umane miserie, si seppellivano negli ospizi e in tutti gli asili di ogni genere di sventura, per soccorrerla e consolarla. Tutti innalzavano nuovi vessilli, tutti mostravano un grande disprezzo del mondo, tutti formavano gruppi separati dal resto degli uomini, ma non assomigliavano n agli eremiti dOriente, n ai figli di S. Benedetto. Non dimoravano nelleremo, ma in mezzo alla societ; non si proponevano di vivere nei monasteri, ma si disperdevano per le campagne e per i borghi, o penetravano in grossi centri abitati e facevano risuonare la parola del Vangelo tanto nella capanna del pastore, quanto nel palazzo del sovrano. Crescevano e si diffondevano ovunque in un modo prodigioso: lItalia, la Germania, la Francia, la Spagna e lInghilterra li accoglievano nel loro seno; come per incanto sorgevano numerosi conventi nelle campagne, nelle borgate e nelle grandi citt; i Papi li proteggevano e concedevano loro mille privilegi; i prncipi dispensavano grandi favori e li sostenevano nelle loro imprese; i popoli li guardavano con venerazione e li ascoltavano con docilit e rispetto. Ovunque si poteva assistere ad una rifioritura religiosa, nuovi Istituti pi o meno simili germogliavano come rami del medesimo albero; e losservatore che contempla attonito limmenso quadro domanda a se stesso: quali sono le cause di un fenomeno cos singolare? Da dove nasce questo rinnovamento straordinario; dove tende, quali saranno i suoi effetti nella societ? Quando un fatto di tale portata certo e tangibile, e si diffonde in molti paesi e continua per lunghi secoli, segno che stato prodotto da potentissime cause. Ancorch non si vogliano riconoscere in nessun modo le mire della Provvidenza, non si pu per negare che un fatto di tale natura dovette avere le radici nellessenza stessa delle cose; e di conseguenza inutile inveire contro gli uomini e contro le istituzioni. Il vero filosofo in questi casi non deve perdere il suo tempo nel lanciare anatemi contro un tale fenomeno, ma deve considerarlo e farne lanalisi: tutte le proteste e tutte le invettive contro i frati non ne cancelleranno sicuramente la storia; essi sono esistiti per lunghi secoli, e i secoli non tornano indietro. Prescindendo da qualunque intervento straordinario di Dio, lasciando da parte le riflessioni che la religione pu suggerire al vero fedele e considerando gli Istituti moderni soltanto sotto laspetto filosofico, il fenomeno pu essere dimostrato non solo come molto vantaggioso per il benessere della societ, ma anche come molto opportuno per la situazione in cui la stessa societ si trovava; si pu dimostrare che non vi fu in alcun modo malizia, n motivi dinteresse; che questi Istituti ebbero uno scopo altamente lodevole, e che furono lespressione e nello stesso tempo il soddisfacimento di grandi necessit sociali. La questione si presta da se stessa ad essere impostata come abbiamo detto, e c da stupirsi che i vari aspetti sotto i quali pu esser considerata non siano stati valutati come meritano. Per rendere pi chiaro il contesto far alcune osservazioni relative allo stato sociale di quei tempi in Europa. Ad una prima occhiata si nota subito che ad onta della grossolanit degli spiriti, grossolanit che, a quanto pare, avrebbe dovuto mantenere i popoli nella quiete dellabiezione, ci nonostante si percepisce negli animi uninquietudine che li muove e li agita da cima a fondo. Vi lignoranza, ma unignoranza che conosce se stessa e si affanna per arrivare al sapere; vi mancanza di armonia nelle relazioni ed istituzioni sociali, ma questa mancanza sentita e conosciuta dappertutto: una continua smania indica che questarmonia desiderata con ansiet e cercata con ardore. Io non so qual carattere tanto singolare presentino questi popoli europei, ma non vi si scoprono mai sintomi di morte: sono barbari, ignoranti, corrotti, tutto quel che si vuole; per come se fossero sempre in

ascolto di una voce che li chiama alla luce, alla civilt, a nuova vita. Si agitano continuamente per uscire dal cattivo stato in cui furono precipitati da circostanze calamitose; non dormono mai quieti in mezzo alle tenebre, non vivono mai senza rimorso per la depravazione dei costumi; leco della virt non cessa mai di risuonare alle loro orecchie mentre qualche raggio di luce si apre il varco attraverso le ombre. Fanno mille tentativi per fare un passo nel sentiero della civilt; mille volte tentano invano, ma altrettante volte ricominciano da capo, non abbandonano mai la generosa impresa; non si perdono danimo nella cattiva riuscita, ma riprendono i loro tentativi con una vivacit e un coraggio che non vengono mai meno. Quale differenza questa, che distingue cos fortemente gli Europei dagli altri popoli dove non mai penetrata la religione cristiana, oppure dove stata bandita! Lantica Grecia cade, e cade per non pi risollevarsi; le repubbliche della costa asiatica spariscono, e non tornano pi a rialzarsi sulle loro rovine; lantica civilt egiziana fatta a brandelli dai conquistatori, e la posterit ha potuto appena conservarne la memoria; tutti i popoli della costa africana non ci dnno alcun indizio certo che possa farci conoscere la patria di S. Cipriano, di Tertulliano e di S. Agostino. Non basta: in una parte considerevole dellEuropa orientale il Cristianesimo si mantenuto: ma il Cristianesimo separato da Roma, ed eccolo impotente a rigenerare e restaurare. La politica gli ha stesa la mano e lo ha coperto col suo scudo; ma la nazione protetta in questo modo debole e non pu stare in piedi: un cadavere che vien fatto camminare; non il Lazzaro che ha intesa la voce onnipotente: Lazzaro, vieni fuori!; (Lazare, veni foras!). Questa inquietudine, questa agitazione, questardente brama di un pi grande e prospero avvenire, questo desiderio di riforma nei costumi, didee pi vaste e pi rette, di migliori istituzioni, che formano uno delle principali caratteristiche dei popoli europei, si facevano sentire in modo prepotente nellepoca che stiamo considerando. Non parler della storia militare e politica di quei tempi (storia che potrebbe fornire prove abbondanti di questa verit) ma mi limiter, conformemente al nostro scopo, alle vicende che riguardano la religione e la societ. Tremenda forza danimo, gran dispendio di attivit e sviluppo simultaneo delle pi forti passioni; spirito intraprendente, viva brama dindipendenza e forte attitudine a far uso di mezzi violenti; gusto straordinario per il proselitismo; ignoranza unita alla sete del sapere, anzi allentusiasmo e allesaltazione di tutto ci che porta il nome di scienza; grande considerazione per gli attestati di nobilt e di lignaggio, unita con lo spirito democratico e col profondo rispetto per il merito, ovunque esso si trovi; un candore infantile, una credulit eccessiva, e nello stesso tempo lindocilit pi ostinata, lo spirito della pi tenace resistenza e una caparbiet spaventosa; la corruzione e la licenza dei costumi unita allammirazione per la virt, allattrazione per i pi austeri costumi e alla propensione per gli usi e le consuetudini pi stravaganti: ecco i tratti caratteristici di quei popoli che la storia ci presenta. Un miscuglio cos singolare a prima vista pu sembrare strano; tuttavia non c nulla di pi naturale e le cose non potevano avvenire in modo diverso. Le societ si formano sotto linflusso di certi princpi e di particolari circostanze che comunicano loro la natura e il carattere, e ne determinano laspetto. Quello che avviene nellindividuo avviene anche nella societ: leducazione, la conformazione e mille altri fattori fisici e morali concorrono a formare un insieme dinflussi da cui derivano i caratteri pi diversi, e talvolta anche contrapposti. Nei popoli europei questo concorrere di cause si era verificato in modo estremamente singolare e straordinario, e per questo gli effetti erano stati cos sproporzionati e discordi, come abbiamo dimostrato. Basta scorrere la storia dalla caduta dellimpero romano alla fine delle Crociate per rendersi conto che mai vi fu un altro insieme di popoli in cui si combinassero elementi cos vari, e si scorgessero eventi pi grandiosi. I princpi morali che erano alla base dello sviluppo dei popoli europei erano nella pi aperta contraddizione con lindole e le condizioni degli stessi popoli. Questi princpi erano puri per la loro natura, immutabili come Dio che li aveva stabiliti, splendenti perch emanati dalla fonte di ogni luce e di ogni vita; i popoli al contrario erano ignoranti, rozzi, mutevoli come le onde del mare, corrotti perch derivati da impure mescolanze. Per questo motivo si stabil una lotta terribile tra i princpi e i fatti, e si videro le pi singolari contraddizioni secondo il prevalere ora del bene ora del

male. Non si vide mai in modo cos evidente la lotta tra elementi che non potevano vivere in pace tra loro: sembrava che lo spirito del bene e quello del male fossero scesi nellarena per battersi corpo a corpo. I popoli europei non si trovavano nella loro infanzia, perch erano gi dotati di vecchie istituzioni, erano pieni di memorie dellantica civilt e ne conservavano anche parecchi resti, e provenivano essi stessi dalla mescolanza di mille altri popoli diversi per leggi, usi e costumi. Ma non erano neanche popoli adulti, poich una tale qualifica non si pu attribuire n allindividuo n alla societ fino a che non siano giunti ad un certo sviluppo, sviluppo dal quale i popoli europei erano allora ancora ben lontani. dunque molto difficile trovare una parola che esprima la condizione in cui si trovava la societ, perch non essendo una condizione civile, non era per neanche barbara dal momento che esistevano tante leggi ed istituzioni che non meritano certamente di essere definite barbare. Se questi popoli li definiamo semibarbari ci accosteremo forse alla verit, anche se daltra parte le parole hanno poca importanza, purch abbiamo unidea ben chiara delle cose. Non si pu negare che nei popoli europei, a causa di una lunga serie di sconvolgimenti e impedimenti, ed anche per la grande mescolanza di razze, idee e costumi sia dei conquistatori fra loro che di questi con i popoli conquistati, era stata trasfusa una buona quantit di barbarie e un germe fecondo di agitazione e disordine; ma linflusso negativo di questi elementi veniva contrastato dallopera del Cristianesimo il quale, avendo acquisito un deciso predominio sugli spiriti, si trovava per di pi sostenuto da istituzioni molto potenti, e disponeva inoltre di grandi mezzi materiali per condurre a buon fine le sue iniziative. I princpi cristiani erano penetrati ovunque, e come una sostanza balsamica tendevano a render tutto dolce e soave; ma lo spirito si scontrava continuamente con la materia, la morale con le passioni, lordine con lanarchia, la carit con la superbia, il diritto col fatto. Ne conseguiva una lotta la quale, sebbene in una certa misura sia comune in tutti i tempi e in tutti i luoghi in quanto il suo fondamento nella natura delluomo, in quei tempi era per pi forte, pi dura e pi clamorosa perch due princpi cos opposti tra loro, come sono la barbarie e il Cristianesimo, si trovavano nella stessa arena faccia a faccia senza che alcun mediatore vi si interponesse. Osservate attentamente quei popoli, leggetene con attenzione la storia, e vedrete che questi due princpi erano costantemente in lotta fra loro, facevano a gara per avere la preminenza e il predominio sullaltro; e da qui risultavano le pi stravaganti situazioni e i pi bizzarri contrasti. Studiate il carattere delle guerre di allora, e sentirete proclamare continuamente le pi sante massime, invocare la legittimit, il diritto, la ragione, la giustizia. Sentirete che ci si appellava sempre al tribunale di Dio: ed ecco linfluenza cristiana. Ma nello stesso tempo avrete il dispiacere di vedere con i vostri stessi occhi innumerevoli violenze, crudelt, atrocit, il saccheggio, il rapimento, la morte, lincendio e sventure senza fine: ed ecco la barbarie. Dando unocchiata alle Crociate, noterete che in tutte le teste ribollivano idee elevate, grandi progetti, alte ispirazioni, disegni sociali e politici grandiosi; tutti i cuori traboccavano di sentimenti nobili e generosi, e un santo entusiasmo pervadeva ogni anima rendendola capace delle pi eroiche imprese: ed ecco linfluenza del Cristianesimo. Aspettate per che si passi a concretizzarle, e allora vedrete il disordine, la mancanza di previdenza e di disciplina negli eserciti, le ingiurie, le violenze; cercherete invano la concordia e la buona armonia tra coloro che prendevano parte alla pericolosa e gigantesca impresa: ed ecco la barbarie. Una giovent avidissima di conoscenza accorreva dai paesi pi lontani ad ascoltare le lezioni di famosi maestri; litaliano, il tedesco, linglese, lo spagnolo, il francese si trovavano insieme e mescolati intorno alle cattedre di Abelardo, di Pietro Lombardo, di Alberto Magno e del santo Dottore dAquino; una voce potente risuonava alle orecchie di quella giovent, esortandola a lasciare le tenebre dellignoranza e ad elevarsi alle regioni della scienza; la febbre del sapere la consumava, i pi lunghi viaggi non la fermavano, lentusiasmo per i suoi maestri pi illustri era di unesaltazione tale da non potersi descrivere: ed ecco linfluenza cristiana, che muovendo e illuminando continuamente lo spirito delluomo non lo lascia dormire tranquillo nelloscurit, ma lo sprona senza sosta perch stimoli degnamente lintelletto nella ricerca della verit. Ma fate attenzione: questa giovent che manifestava cos belle inclinazioni, ed aveva queste

aspettative cos lusinghiere e legittime, era quella stessa giovent licenziosa, inquieta, turbolenta, che si abbandonava alle pi deplorevoli violenze, che per le strade delle citt metteva continuamente mano alla spada per battersi, e che formava nelle citt pi popolose una specie di piccola repubblica difficile da tenere a freno, per cui a malapena si riusciva a conservare lordine e a mantenere in vigore la legge: ed ecco la barbarie. una buona cosa, e conforme allo spirito della religione, che il colpevole quando offre a Dio un cuore contrito ed umiliato manifesti il dolore e lafflizione dellanima con atti esterni, procurando inoltre di fortificare lo spirito e di frenare le cattive inclinazioni, infliggendo alla carne i rigori di unevangelica austerit. Tutto questo molto ragionevole, giusto, santo, conforme ai princpi della religione cristiana, la quale prescrive queste cose per la giustificazione e la santificazione del peccatore, e per riparare al danno causato ad altri con lo scandalo di una vita malvagia. Ma che in questo si ecceda fino al punto che si vedano, come si vedeva a quei tempi, vagare per il mondo penitenti nudi carichi di ferro che suscitavano al loro apparire orrore e spavento, al punto che lautorit era costretta a reprimere tali eccessi, questo porta gi il marchio del carattere duro e feroce che accompagna sempre lo stato di barbarie. Non vi cosa pi vera, pi bella e pi salutare per la societ quanto il supporre che Dio prenda le difese dellinnocenza, proteggendola contro lingiustizia e la calunnia e facendo s che presto o tardi esca nitida e pura dalla polvere e dalla sporcizia con cui avevano tentato di oscurarla e macchiarla; questo leffetto della fede nella Provvidenza, fede derivata dalle idee cristiane, le quali ci presentano Dio che abbraccia col suo sguardo il mondo intero e penetra nei pi reconditi segreti del cuore; e nel Suo amore paterno non trascura lultima delle sue creature. Ma chi non vede quale immensa distanza separa da simili credenze le prove del fuoco, dellacqua bollente, del duello? Chi non riconosce in queste prove quella rozzezza che tutto confonde, quello spirito di violenza che non lascia di estremizzare ogni cosa pretendendo, in un certo modo, di obbligare lo stesso Dio a mettersi continuamente in bala dei nostri bisogni o dei nostri capricci, di dare con i Suoi miracoli una solenne testimonianza a quanto conviene a noi, o a ci che ci piace mettere alla prova? Presento questi contrasti per richiamarli alla memoria di tutti coloro che conoscono la storia, e per ricavarne una formula semplice e generale che riassuma in poche parole lo stato della societ di quellepoca: la barbarie mitigata dalla religione, la religione interpretata dalla barbarie. Quando studiamo la storia ci troviamo sempre di fronte ad un ostacolo molto serio che ci rende difficile, e spesso anche impossibile, comprenderla perfettamente: quello di riferire tutto a noi stessi e agli oggetti che abbiamo intorno. Questo difetto fino ad un certo punto scusabile perch radicato nella nostra stessa natura; bisogna per farvi attenzione ed esserne prevenuti, se si vuole schivare i deplorevoli equivoci in cui si soliti cadere continuamente. Senza rendercene conto immaginiamo le persone dei tempi passati come se fossero dei nostri tempi; attribuiamo loro le nostre idee, i nostri costumi, le nostre tendenze e il nostro stesso temperamento. Quando ci siamo formati questi uomini, che esistono solo nella nostra fantasia, pretendiamo che gli uomini esistiti veramente abbiano agito conformemente ai nostri immaginari; e nel constatare la discordanza tra i fatti storici e le nostre inconsce pretese, tacciamo di stravagante e di mostruoso quello che a suo tempo era del tutto normale e abituale. La stessa cosa facciamo con le leggi e le istituzioni: quando non le vediamo conformi ai modelli che abbiamo sottocchio ci mettiamo subito ad inveire contro lignoranza, lingiustizia, la crudelt di coloro che le concepirono e le fondarono. E invece quando si desidera farsi unidea precisa di unepoca conviene portarsi col pensiero a quei tempi, fare uno sforzo dimmaginazione per vivere, diciamo cos, e parlare con quelle stesse persone; non accontentarsi del racconto degli avvenimenti ma vederli, esservi presente, divenirne, se possibile, spettatore e attore, chiamare fuori dal sepolcro le generazioni per farle parlare ed agire di nuovo sotto i nostri occhi. Questo, si dir, estremamente difficile! Ne convengo; ma una fatica necessaria se conoscere la storia significa qualcosa di pi che una semplice annotazione di nomi e di date. Noi certamente non possiamo dire di conoscere una persona se non sappiamo quali sono le sue idee, il temperamento, il carattere e il comportamento: lo stesso accade di una societ. Se non

sappiamo quali erano i princpi da cui veniva guidata, il modo di vedere e sentire le cose, vedremo gli avvenimenti solamente in superficie, conosceremo le enunciazioni delle sue leggi, ma non ne penetreremo lo spirito e la ragione; contempleremo unistituzione, ma senza vedere niente pi che il suo aspetto esteriore, senza penetrarne il meccanismo e intuire gli ingranaggi che le comunicano il moto. Volendo evitare questi inconvenienti non c dubbio che lo studio della storia risulta tra tutti il pi difficile; ma gi da un gran pezzo che si sarebbe dovuto sapere che i segreti delluomo e della societ, essendo loggetto pi importante per il nostro intelletto, sono altres il pi difficile, il pi laborioso e il meno accessibile alla maggior parte degli uomini. Luomo dei secoli che stiamo trattando non era luomo dei nostri tempi: le sue idee erano molto diverse, come anche il suo modo di vedere e di sentire le cose; la tempra del suo spirito non era simile alla nostra; ci che per gli uomini del nostro tempo incomprensibile, per quelli di allora era naturalissimo; quello che a noi ora ripugna per loro era cosa gradevolissima. Gli inizi del tredicesimo secolo trovano unEuropa che aveva gi subto lo sconvolgimento prodotto dalle Crociate: cominciavano a fiorire le scienze, a svilupparsi pian piano lo spirito mercantile, spuntava un certo interesse per lindustria; la tendenza degli uomini e dei popoli ad entrare in comunicazione tra loro andava sempre pi aumentando e diffondendosi. Il sistema feudale incominciava a sgretolarsi, il partito dei Comuni si sviluppava rapidamente e lo spirito dindipendenza si faceva vivo ovunque. Con labolizione quasi totale della schiavit, col cambiamento di condizione dei vassalli e degli schiavi avvenuto in seguito alle Crociate, lEuropa si trovava con una popolazione molto numerosa e non pi in catene come nelle antiche societ (quando la maggioranza della popolazione era priva dei diritti di cittadino e perfino di uomo), e sopportava a mala pena il giogo del feudalesimo. Una popolazione ben lontana dal riunire le condizioni necessarie per occupare degnamente il posto che spetta ai liberi cittadini. La democrazia moderna si presentava gi fin da principio con i suoi grandi vantaggi ma anche con i suoi molti inconvenienti e con i suoi immensi problemi che anche adesso, dopo tanti secoli di esperienze e di prove, ci opprimono e ci sconcertano. I signori stessi conservavano ancora in gran parte le abitudini barbare e feroci con cui si erano tristemente segnalati nei secoli precedenti; e il potere dei sovrani era ancora lontano dallavere acquistato la forza e il prestigio necessari per dominare elementi tanto opposti fra loro, e per elevarsi allinterno della societ come simbolo di riferimento per tutti glinteressi, come centro dunione per tutte le forze e come la massima personificazione della ragione e della giustizia. In quello stesso secolo le guerre incominciarono ad avere un carattere pi popolare, e di conseguenza pi esteso e di maggior rilievo. Le agitazioni popolari iniziarono a presentare laspetto di moti politici. Sincominci a intravedere qualcosa di pi dellambizione deglimperatori che pretendevano dimporre il giogo allItalia; non si trattava pi di reucci che si contendevano una corona o una provincia; non erano pi conti e baroni che accompagnati dai loro vassalli combattevano lun contro laltro, oppure contro i vicini municipi, inondando di sangue le contrade e coprendole di stragi; nei sommovimenti di quei tempi si nota qualcosa di pi grave e di pi spaventoso. Popoli interi si levavano e si stringevano intorno a una bandiera che non portava pi gli stemmi di un barone o le insegne di un sovrano, ma il nome di un sistema di dottrine. Senza dubbio i signori sinserivano nella lotta, e grazie al loro potere simponevano ancora sulla turba che li circondava e li seguiva; ma la causa che si agitava non era pi quella dei signori. Anche se questa entrava ancora in parte nei problemi di quel tempo, lumanit aveva spinto lo sguardo al di l delle mura dei castelli. Quellagitazione e quel movimento prodotti dalla comparsa di nuove dottrine religiose e sociali erano lannuncio e il principio di una serie di rivoluzioni che andranno per tutta Europa a sconvolgerne le nazioni. Il male non consisteva nel fatto che i popoli andassero dietro alle idee e rifiutassero di prendere come unica guida glinteressi e il vessillo di qualche tiranno; al contrario, questo era un gran passo avanti sulla via della civilt, era un segno che luomo sentiva e riconosceva la propria dignit, era un indizio che estendendo lo sguardo ad un orizzonte pi vasto, comprendeva meglio la sua condizione e i suoi veri interessi: conseguenza naturale del volo che le facolt dello spirito

andavano spiccando ogni giorno di pi, volo al quale contribuirono in modo particolare le Crociate. Fin da quel tempo tutti i popoli europei si abituarono alla guerra, non gi per la conquista di un territorio limitato, o per soddisfare lambizione o la vendetta di un uomo, ma per sostenere un principio, per vendicare un oltraggio fatto alla vera religione: in una parola, i popoli si abituarono a sollevarsi, a combattere e a morire per unidea grande e degna delluomo, la quale, lungi dal limitarsi ad una piccola contrada, abbracciava il cielo e la terra. Ed da notare che il rinnovamento popolare e lo sviluppo delle idee incominciarono molto prima in Spagna che nel resto dEuropa, perch la guerra contro i Mori fece s che in Spagna lepoca delle Crociate iniziasse prima. Il male, lo ripeto, non stava nellinteresse che i popoli incominciavano a prendere per le idee, ma nel continuo pericolo che, essendo essi ancora molto rozzi e ignoranti, si lasciassero incantare e trascinare da qualsiasi fanatico. Essendo questo movimento cos generalizzato, la direzione che esso stava per prendere avrebbe deciso le sorti dellEuropa; e se non sbaglio proprio i secoli dodicesimo e tredicesimo costituirono lepoca critica nella quale fu risolta la grave questione: se lEuropa sotto laspetto sociale e politico avesse dovuto avvalersi dei benefci del Cristianesimo, o se si doveva far andare in malora tutti gli elementi che promettevano un migliore avvenire. Fermando lo sguardo su quei secoli, in parecchie regioni dEuropa si nota un non so qual germe funesto, infausto indizio delle pi grandi sventure. Tra quelle masse che incominciano ad agitarsi nascono orrende dottrine; e i primi passi che muovono sul sentiero della vita sono accompagnati da spaventosi disordini. Fino a quel momento non si erano visti che re e signori, ma ora sulla scena si presentano i popoli. Vedendo che in quella massa informe sono penetrati alcuni raggi di luce e di calore il cuore si allarga e si riconforta perch pensa al nuovo avvenire che riservato al genere umano; ma anche trema, pensando che quel calore potrebbe produrre uneccessiva fermentazione che potrebbe portare alla decomposizione e ricoprire di immondi insetti quel fertile terreno il quale faceva sperare che si potesse tramutare in un incantevole giardino. Le stravaganze dello spirito umano si presentarono in quei tempi sotto un aspetto cos spaventoso, e con un carattere cos turbolento, che le previsioni apparentemente pi esagerate trovarono nei fatti il presupposto per essere considerate fortemente probabili. Mi sia permesso di rammentare alcuni avvenimenti che ci forniscono degli esempi sulle idee che venivano concepite in quei tempi. Agli inizi del dodicesimo secolo troviamo il famoso Tanchelmo o Tanchelino, il quale insegnava stranezze da pazzo e commetteva i peggiori delitti, e malgrado ci si portava dietro una massa numerosa ad Anversa, nella Zelanda, nel paese di Utrecht e in molte citt di quella regione. Questo sciagurato sosteneva che egli era pi degno di Ges Cristo di ricevere il culto supremo; perch se Ges Cristo aveva ricevuto lo Spirito Santo, egli aveva la pienezza di questo stesso Spirito. Aggiungeva che tutta lintera Chiesa era in lui e nei suoi discepoli. Il pontificato, lepiscopato e il sacerdozio secondo lui erano pure chimere. I suoi insegnamenti e le sue prediche erano dirette particolarmente alle donne, e il frutto delle sue dottrine e dei suoi discorsi era la pi nauseante corruzione. Ci nonostante il fanatismo verso questuomo abominevole giunse a tal punto che i malati bevevano avidamente lacqua in cui si era lavato credendo di trovare in essa il pi efficace rimedio sia per lanima che per il corpo. Le donne reputavano un gran privilegio quello di ottenere i favori di quel mostro, le madri si consideravano onorate quando le loro figlie venivano scelte per saziare le sue impure voglie e i mariti si davano per offesi se le loro mogli non venivano marchiate da cos infame ignominia. Il malvagio, consapevole dellinfluenza che era giunto ad esercitare sugli animi, non tralasciava di trarre profitto dal fanatismo dei suoi seguaci, essendo la generosit nei suoi confronti una delle principali virt che egli si preoccupava dinfondere. Trovandosi un giorno in mezzo ad una grande folla si fece portare un quadro della Vergine, e toccando con un gesto sacrilego la mano dellimmagine, disse che se la prendeva per sposa. Rivolto quindi agli spettatori riprese a dire che egli si era unito in matrimonio con la Regina del Cielo, come avevano visto, e quindi toccava a loro fare i regali di nozze. Fece subito disporre due ceppi, uno a destra e laltro a sinistra del quadro, affinch uno servisse per ricevere le oblazioni degli uomini e

laltro delle donne, in modo che egli potesse constatare quale dei due sessi lo amasse di pi. lecito pensare che un artificio cos sacrilego, sordido e vile avrebbe dovuto suscitare semplicemente lindignazione dei presenti; eppure leffetto corrispose alle previsioni dellimpostore. Ricevette regali di grande valore e in grande abbondanza; e le donne, sempre gelose dellaffetto di Tanchelmo, superarono in generosit gli uomini, spogliandosi, come invasate, delle collane, degli orecchini e di altri preziosi gioielli. Appena Tanchelmo incominci a sentirsi abbastanza forte non si accontent pi di predicare soltanto, ma costitu una milizia armata affinch agli occhi del mondo potesse apparire qualcosa di pi di un semplice apostolo. Tremila uomini lo accompagnavano dappertutto; ed egli, circondato da una guardia cos folta, vestito con grande magnificenza e preceduto da uno stendardo, procedeva con uno sfarzo da re. Quando si fermava a predicare, tremila seguaci gli stavano intorno con le spade sguainate. Gi fin da allora traspariva il carattere violento e aggressivo delle stte eretiche dei secoli successivi. Tutti sanno che moltitudine di seguaci ebbe Eone, a cui si scald la testa per aver inteso pi volte le parole: per eum qui iudicaturus est vivos et mortuos. Costui giunse a persuadersi e a sostenere di essere lui quel giudice che aveva da giudicare i vivi ed i morti. Ugualmente ben noti sono i tumulti provocati dai sediziosi discorsi di Arnaldo da Brescia, come pure il fanatismo iconoclasta di Pietro de Bruis e di Enrico. Se non temessi di annoiare i miei lettori non avrei difficolt a presentar loro delle scene molto disgustose che illustrerebbero efficacemente lo spirito delle stte di quei tempi, e il funesto influsso in cui si trovavano gli animi, desiderosi di novit e avidi di spettacoli stravaganti, che si facevano prendere da non so quale fatale ebbrezza per lasciarsi condurre agli errori pi strani e ai pi deplorevoli eccessi. Non posso tuttavia fare a meno di dire qualcosa sui Catari, sui Valdesi o Poveri di Lione, sui Patarini di Arras e sugli Albigesi. Queste stte, oltre ad avere avuto non poca influenza nelle catastrofi di quei tempi e negli avvenimenti successivi in Europa, ci saranno molto utili per addentrarci vieppi nellesame della questione che stiamo trattando. Gi fin dai primi secoli della Chiesa molto si distinse la setta dei Manichei per i suoi errori e per le sue stravaganze. Con varie denominazioni, con seguaci pi o meno numerosi, con una maggiore o minore variabilit di dottrine, si perpetu di secolo in secolo fino allundicesimo, in cui and a sconvolgere la tranquillit della Francia. Eriberto e Lisoy divennero sciaguratamente famosi per la loro ostinazione e il loro fanatismo. Sappiamo anche che ai tempi di S. Bernardo i settari chiamati Apostolici si distinguevano per lorrore che avevano nei confronti del matrimonio, mentre daltra parte si abbandonavano al pi turpe e sfrenato libertinaggio. Tuttavia tanti traviamenti trovavano unaccoglienza favorevole nellignoranza e nella corruzione dei popoli perch, ovunque apparivano, conquistavano le masse e si diffondevano rapidamente come un contagio. Questi settari, oltre a fare uso dellipocrisia comune a tutte le stte, concepirono lespediente pi appropriato per sedurre i popoli ignoranti e rozzi, presentandosi sotto lapparenza della pi rigida austerit e con un abito poverissimo. Gi prima dellanno 1181 li vediamo audaci abbastanza da arrischiarsi ad uscire dalle loro adunanze segrete e a propagandare le loro dottrine alla luce del sole con grande sfrontatezza; e finalmente dopo essersi uniti con i celebri banditi chiamati Corterales, abbandonarsi ad ogni sorta di eccessi. Siccome erano giunti a sedurre alcuni cavalieri e ad ottenere la protezione di vari signori del paese di Tolosa, riusc loro di provocare una terribile sommossa che non si pot reprimere se non con la forza delle armi. Un testimone oculare, Stefano Abate di S. Genoveffa, inviato a quel tempo dal re a Tolosa, ci descrive con poche parole le violenze commesse dai settari: Ho visto ovunque egli dice chiese bruciate e distrutte fino alle fondamenta; ho visto le abitazioni degli uomini trasformate in covili di bestie. In quello stesso periodo si resero famosi i Valdesi, o poveri di Lione, cos chiamati per lestrema loro povert, per il disprezzo per ogni ricchezza, e per gli stracci di cui erano coperti. Dai calzari che portavano fu dato loro il nome di Sabos. Costoro imitavano in modo perverso una compagnia di poveri, celebri in quei tempi per le loro virt e soprattutto per lo spirito di umilt e di disinteresse. Questi ultimi, che formavano una specie di societ in cui erano inseriti chierici e laici, si erano

guadagnati la stima e il rispetto dei veri Cristiani, ed avevano ottenuto la protezione dei Papi, i quali diedero loro la facolt di esporre i loro insegnamenti in pubblico. I discepoli di Valdo si segnalarono per un sommo disprezzo per lautorit ecclesiastica, e giunsero in seguito ad accumulare un gran numero di errori mostruosi; e finalmente si presentarono come una setta contraria alla religione, dannosa alla buona morale e disturbatrice della quiete pubblica. Questi errori, che furono la sorgente di tante calamit e agitazioni, anzich estinguersi col tempo, si propagarono sempre pi in molti luoghi; e le cose procedevano cos male che gi allinizio del tredicesimo secolo non si trattava pi di tumulti passeggeri e di disturbi isolati. Gli errori si erano estesi enormemente ed erano scesi in campo con mezzi formidabili; e a causa loro il Mezzogiorno della Francia divenne teatro di un terribile conflitto, fu sconvolto da lotte intestine e precipit infine in una spaventosa guerra. In quel secolo: quando il re non aveva la forza necessaria per esercitare unazione inibitrice; quando i signori conservavano ancora mezzi sufficienti per opporsi ai re ed imporsi sulle popolazioni; quando non si vedeva alcun mezzo, tranne la religione, per frenare le masse tra le quali si era diffuso uno spirito ribelle di agitazione e di sovvertimento; quando uomini perversi e fanatici traevano vantaggio dallinfluenza delle stesse idee religiose, fuorviando le masse con violenti discorsi in un confuso miscuglio di religione e di politica e ostentando ipocritamente uno spirito di austerit e disinteresse; quando i nuovi errori non si limitavano pi ad attaccare con astuzia questo o quel dogma, ma incominciavano a stravolgere i princpi basilari della religione e a penetrare fin dentro al santuario della famiglia, condannando il matrimonio e provocando scellerate abominazioni; quando infine il male non rest pi confinato in quei paesi che non erano stati molto coinvolti nel progresso dellEuropa (in quanto di pi recente evangelizzazione o per altri motivi), ma spost il teatro degli scontri in quel Mezzogiorno dove lo spirito umano era progredito con maggiore vivacit e celerit: in quel secolo dunque, e in un simile complesso di funeste circostanze che la storia ci descrive in modo cos chiaro, non sembrava lavvenire dellEuropa fosco e tempestoso? Avendo le idee e i costumi presa una direzione sbagliata, rotti i legami dellautorit e i vincoli di famiglia, i popoli accecati dal fanatismo e dalla superstizione, non incombeva forse il pericolo che lEuropa tornasse a sprofondare nel caos da cui a malapena ne stava venendo fuori? Quando linsegna della Mezzaluna sventolava potente in Spagna, dominava in Africa e trionfava in Asia, era forse utile che lEuropa perdesse lunit religiosa, che si spargessero nuovi errori diffondendo dappertutto lo scisma e insieme ad esso la discordia e la guerra? Tanti elementi di civilt e di cultura creati dal Cristianesimo dovevano dunque disperdersi e rimanere infruttuosi per sempre? Le grandi nazioni che andavano formandosi sotto linflusso cattolico, le leggi e le istituzioni impregnate di questa religione divina, tutto insomma doveva andare in rovina, snaturarsi e morire, per tornare alle menzogne delle antiche credenze? E il progresso della civilt europea doveva anchesso subire un brusco arresto? E le nazioni che confidavano in un avvenire pi tranquillo, pi prospero e pi grande, dovevano dunque vedere annullate dun colpo queste lusinghiere speranze e regredire miseramente fino allo stato di barbarie? Questo era limmenso problema sociale che si presentava a quei tempi, ed io oso affermare che il rinnovamento religioso sorto allora in una maniera tanto inconsueta, e i nuovi Istituti ora tacciati con tanta leggerezza di semplicit e di stravaganza, furono un potentissimo mezzo di cui la Provvidenza si serv per salvare la religione, e con essa la societ. S, lillustre Spagnolo S. Domenico di Guzman, e il meraviglioso Uomo di Assisi, anche se non avessero un posto sugli altari dove ricevono il culto per la loro eminente santit e la venerazione dei fedeli, meriterebbero ugualmente che tutta la societ e lintera umanit per gratitudine avessero loro eretta una statua. Vi scandalizzate forse di queste parole, voi che non avete mai letto la storia o non lavete guardata se non attraverso il prisma deformante delle prevenzioni filosofiche e protestanti? Ditemi allora: in quegli uomini i cui santi Istituti da essi fondati sono stati loggetto delle vostre infinite diatribe come se si trattasse di una delle maggiori calamit del genere umano, cosa trovate voi da rimproverare? Le loro dottrine sono quelle del Vangelo: sono quelle stesse sublimi e sante dottrine alle quali vi siete trovati nella necessit di rendere un omaggio solenne; la loro vita casta, santa, eroica, in tutto conforme ai loro

insegnamenti. Chiedete ad essi quale scopo avessero, e vi risponderanno che era quello di predicare a tutti gli uomini la verit cattolica, di cercare con tutte le loro forze di distruggere lerrore, dintrodurre la riforma dei costumi e dispirare ai popoli il rispetto dovuto alle autorit legittime, sia quelle ecclesiastiche che le civili. Insomma, vedrete in loro la ferma risoluzione di consacrare la propria vita per porre riparo ai mali della Chiesa e della societ. Non si accontentavano di sterili aspirazioni, per loro non bastava fare alcuni discorsi e assumere impegni temporanei; non rinchiudevano i loro progetti nella sfera dei propri interessi, ma allargando la visuale e comprendendo tutti i paesi e i tempi a venire fondavano Istituti da cui i loro figli potessero diffondersi su tutta la superficie della terra e trasmettere alle generazioni future quello spirito apostolico che infonde loro princpi cos elevati. La povert a cui si sottomettevano era estrema; gli abiti con cui si coprivano erano rozzi e meschini. E se non comprendete le profonde ragioni di simile condotta ricordatevi che avevano lo scopo di rinnovare lo spirito evangelico tanto dimenticato in quei tempi; ricordatevi che si trovavano spesso faccia a faccia con gli emissari di stte corrotte, e che questi emissari si sforzavano di imitare lumilt cristiana simulando il massimo distacco dalle cose terrene e presentandosi al pubblico con abiti da mendicante; ricordatevi che andavano a predicare a popoli semibarbari, e che per allontanare questi popoli dal disordine dellerrore che aveva incominciato a dominare le menti non bastavano le parole, anche se accompagnate dalla compostezza di un comportamento normale; ci volevano esempi sublimi e un tenore di vita estremamente edificante, il tutto accompagnato da un aspetto esteriore che colpisse fortemente la fantasia. Il numero dei nuovi religiosi era gi elevato e aumentava sempre pi ovunque si stabilivano; non si diffondevano solo nelle campagne e nei paesi ma si recavano anche nelle citt pi popolate. E bisogna tener presente che lEuropa non era pi formata da un complesso di piccole comunit e di misere capanne ammassate a ridosso di un castello feudale, i cui abitanti ubbidivano umilmente ai comandi e ai cenni di un arrogante barone; o da alcune borgate cresciute intorno a ricche abbazie, i cui abitanti ascoltavano docilmente la parola dei monaci e ricevevano con gratitudine i loro benefci. Un gran numero di vassalli aveva gi scosso il giogo dei loro signori; potenti municipi andavano sorgendo ovunque: al loro cospetto il feudalesimo tremava e spesso anche si umiliava. Le citt andavano popolandosi ogni giorno di pi accogliendo nuove famiglie in seguito allemancipazione dalla schiavit che stava avvenendo nelle campagne. Lindustria e il commercio incominciavano a fiorire procurando maggiori mezzi di sostentamento e dando cos un impulso alla crescita della popolazione. Era necessario, quindi, che lopera religiosa e morale da svolgere tra i popoli europei venisse esercitata con iniziative di pi ampio respiro che utilizzassero mezzi universali i quali, disposti da un centro comune e svincolati dai consueti ostacoli, potessero sovvenire alle urgenti necessit del tempo. Ed ecco i nuovi Istituti, con il loro numero prodigioso, con i loro molti privilegi, e con la diretta dipendenza dallautorit del Papa. La stessa tendenza piuttosto democratica che si osserva in questi Istituti, non soltanto per la convivenza di persone di ogni classe sociale, ma anche per il sistema di governo, era un elemento che portava ad accrescere linfluenza su quella democrazia ambigua e violenta che, insuperbita dalla libert da poco acquisita, non riusciva tanto facilmente a trovare di suo gusto qualunque cosa le si presentasse sotto forma aristocratica ed esclusiva. Nei nuovi Istituti religiosi essa trovava invece una certa analogia con la propria esistenza e con la propria origine. Gli uomini di questi Istituti provenivano dal popolo, vivevano a contatto continuo col popolo, vestivano rozzamente come il popolo, erano poveri come lo stesso popolo; e cos come il popolo teneva le sue assemblee e nominava i suoi consiglieri e i suoi priori, allo stesso modo essi tenevano i loro capitoli ed eleggevano i loro superiori. I nuovi religiosi non erano anacoreti che vivevano in eremi solitari, non erano monaci che alloggiavano in ricche abbazie, non erano ecclesiastici le cui funzioni ed uffici erano circoscritti in un determinato paese: erano bens uomini senza fissa dimora, che ora si trovavano in citt popolose, ora in una meschina borgata; ora sincontravano nel centro del continente, ora a bordo di una nave che li portava in paesi lontanissimi per portare la loro opera in missioni piene di pericoli; ora si vedevano nel palazzo di un sovrano che istruivano con i loro

consigli, e prendevano parte negli importanti affari di stato, ora sotto il povero tetto di unoscura famiglia di cui erano i consolatori nelle sventure, i pacieri nelle discordie, i consiglieri negli affari domestici. Gli stessi uomini che si distinguevano per autorevolezza nelle cattedre universitarie insegnavano poi la dottrina ai fanciulli in un umile villaggio; questi stessi, che predicavano alla corte in presenza del re e dei dignitari, spiegavano poi il Vangelo nella pi miserabile parrocchia. Il popolo li vedeva dappertutto, li incontrava ovunque, in mezzo alla prosperit quanto alle sventure; li trovava sempre disponibili, ora in occasione di un battesimo a prendere parte allallegria della famiglia, ora a piangere la morte di chi laveva immersa nel lutto. Non ci vuole molto a comprendere la forza e lascendente di simili istituzioni: la loro influenza sullanima dei popoli doveva essere incalcolabile; e le stte corrotte, che con le loro pestifere dottrine cercavano di traviare le masse, incontrarono un nuovo avversario che le disorientava completamente. Si voleva cercare di sedurre gli incauti, ostentando molta austerit e un totale distacco, o di impressionare con un aspetto umile e con abiti poveri e rozzi? I nuovi Istituti riunivano tutte queste qualit in modo straordinario, e cos la dottrina della verit non era priva di quel corteo da cui lerrore si fa accompagnare. Sorgevano per caso in mezzo al popolo violenti predicatori che catturavano lattenzione e dominavano gli animi della folla con una focosa eloquenza? In tutti i paesi dEuropa sincontravano ardenti oratori che difendevano la causa della verit, o, conoscendo a fondo le passioni, le idee e i gusti del popolo, sapevano interessarlo, commuoverlo e orientarlo, utilizzando cos in difesa della religione quello di cui altri intendevano servirsi per attaccarla. Dove cera bisogno di resistere ai tentativi di una setta l accorrevano e vi si stabilivano: liberi dai legami del mondo, senza essere vincolati ad una chiesa particolare o ad alcun regno o provincia, avevano tutta lautonomia necessaria per passare rapidamente da un punto allaltro, e trovarsi in tempo opportuno nei luoghi in cui per qualche urgente bisogno fosse necessaria la loro presenza. La forza del sodalizio, conosciuta dai settari e impiegata con tanto successo, nei nuovi Istituti era presente in modo mirabile. L lindividuo era senza una propria volont perch un voto perpetuo di ubbidienza lo aveva messo a disposizione della volont di un altro; la quale a sua volta era soggetta a quella di un altro ancora, e cos via in una sorta di catena di cui il primo anello era nelle mani del Papa. In tal modo si trovavano unite nello stesso tempo la forza del sodalizio e quella dellunit del potere; tutto il dinamismo e tutto il calore di una democrazia, e tutto il vigore e la rapidit di azione della monarchia. stato detto che glIstituti religiosi di cui stiamo parlando furono un forte sostegno dellautorit dei Papi. Questo senzaltro vero, e si pu aggiungere che, se questi Istituti non ci fossero stati, forse lo scisma funesto di Lutero sarebbe accaduto tre secoli prima. Bisogna convenire per che la fondazione di questi Istituti non fu dovuta ad alcun progetto dei Papi: non furono essi che ne concepirono lidea, ma personaggi straordinari che, guidati da sublime ispirazione, ne concepirono lidea, ne tracciarono il metodo, e assoggettandolo al giudizio della Sede Apostolica ne invocarono lautorit per dare inizio allopera. Le istituzioni civili, fondate con lo scopo di consolidare o estendere il potere dei sovrani, furono ispirate dagli stessi sovrani o da qualche loro ministro che, ben consapevole delle mire e dellinteresse del sovrano, sviluppava ed eseguiva le idee del trono. Ma per quanto riguarda i Papi non fu cos: lappoggio dei nuovi Istituti religiosi contribu a sostenere lautorit pontificia contro gli attacchi delle stte dissidenti; ma lidea di fondarli non venne n dai Papi n dai loro ministri. Uomini ignoti sorsero allimprovviso in mezzo al popolo; nella loro vita anteriore nulla si trova che possa muovere il sospetto di una precedente intesa con Roma; anzi, lintera loro vita ci attesta che agirono guidati da unispirazione che sorse nella loro mente e non diede loro riposo fino a quando non ebbero portato ad effetto quanto era stato loro ispirato. N punto n poco vi ebbero parte, o poterono averla, mire particolari di Roma: lambizione non vi entr per nulla. Qualunque persona di senno giunge necessariamente ad una di queste due conclusioni: o la comparsa di questi nuovi Istituti fu opera di Dio che volle salvare la sua Chiesa sostenendola contro i nuovi attacchi e proteggendo lautorit del Pontefice romano; oppure nello stesso Cattolicesimo vi

fu un istinto salutare che lo spinse a creare quelle istituzioni di cui aveva bisogno per uscire trionfalmente dalla terribile crisi in cui si trovava. Agli occhi dei Cattolici le due proposizioni significano la stessa cosa, perch qui non vediamo altro che il compimento della promessa: su questa pietra edificher la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa (Mt 16, 18). I filosofi che non guardano alle cose con la luce della fede potranno spiegare il fenomeno come meglio loro piacer, ma non potranno fare a meno di convenire con noi che nella sostanza dei fatti si scopre una mirabile sapienza e la pi alta preveggenza. Se si ostinano a non vedervi la mano di Dio trovandovi invece nel nocciolo degli avvenimenti soltanto il frutto di ben concertati disegni o il risultato di unorganizzazione ben strutturata, deve essere per impossibile per loro negare il dovuto omaggio a questi disegni e a questa organizzazione. E siccome ammettono che la potest del romano Pontefice, anche considerata con occhio puramente filosofico, la pi straordinaria di tutte le potest che mai furono viste sulla terra, cos non potranno giammai negare che questa societ, che si chiama Chiesa Cattolica, mostra nella sua condotta, nel suo istinto per resistere contro i maggiori nemici, il sistema pi inspiegabile che mai si sia visto in alcuna societ. Che questo si chiami istinto, segreto, spirito, o con qualunque altro nome, poco importa per la verit. Il Cattolicesimo sfida tutte le societ, tutte le stte, tutte le scuole a fare ci chesso ha fatto, a trionfare su ci su cui ha trionfato, e a passare vittorioso attraverso tutte le terribili crisi per le quali passato. Potranno portare alcuni esempi dove lopera di Dio pi o meno imitata: ma i maghi di Egitto alla presenza di Mos incontrarono un termine ai loro artifici; linviato di Dio far tali prodigi cui essi non potranno arrivare, vedendosi costretti ad esclamare: Digitus Dei est hic; Qui c il dito di Dio.

CAPITOLO XLIV Ordini votati al riscatto degli schiavi. Gran numero di Cristiani ridotti in schiavit. Opere meritorie dei detti Ordini. Ordine della Trinit. Ordine della Mercede. S. Giovanni di Matha. S. Pietro Armengol. _______________ Avendo passato in rassegna gli Istituti che comparvero nella Chiesa fin dal tredicesimo secolo, non abbiamo per ancora parlato di uno di essi che, oltre a condividere con gli altri la gloria, porta in s una nota distintiva di sublimit e di bellezza che lo rende particolarmente meritevole che se ne faccia menzione. Mi riferisco allIstituto che ebbe per scopo il riscatto degli schiavi dalle mani deglinfedeli. Lo nomino al singolare perch non mia intenzione esaminare in modo particolare i diversi Ordini in cui fu distinto, ma considero lunicit dello scopo, e a motivo di questa unicit definisco unico lIstituto. Essendo per fortuna mutate le circostanze che diedero occasione ad una tale fondazione noi possiamo solo a malapena apprezzarne adeguatamente il valore e formarci lidea esatta della grata impressione e del santo entusiasmo che questo Istituto produsse in tutti i paesi cristiani. A causa delle lunghe guerre sostenute contro gli infedeli un grandissimo numero di Cristiani gemeva in loro potere, privati della patria e della libert ed esposti ai pericoli, data la loro penosa condizione di schiavi, di apostatare dalla fede dei loro padri. Occupando tuttora i Mori una parte considerevole della Spagna e dominando incontrastati le coste dellAfrica, orgogliosi e potenti in Oriente per le vittorie riportate sui Crociati, glinfedeli avevano circondata la parte meridionale dellEuropa con una linea molto estesa sistemata a ridosso, dalla quale potevano spiare continuamente il momento opportuno e procacciarsi un gran numero di schiavi cristiani. Le rivoluzioni e le vicende di quei tempi presentavano loro continuamente occasioni favorevoli; e lodio e la cupidigia li stimolava a consumare la vendetta sui Cristiani che venivano presi di sorpresa. Si pu essere certi che questo era uno dei pi gravi mali che affliggevano lEuropa; e se la parola carit non doveva restare un nome vano, se i popoli europei non volevano dimenticare i vincoli di fratellanza e di comunione dinteressi che li univa, era necessario ed urgente concordare

un rimedio da applicare ad una calamit tanto dolorosa. Il veterano che invece del premio per il lungo servizio prestato alla religione e alla patria aveva trovata la schiavit nelle tenebre di una prigione sotterranea; il mercante che solcando i mari per portare i rifornimenti allesercito cristiano era caduto in potere dei nemici inesorabili, e scontava la sua ardimentosa impresa con lessere caricato di pesanti catene; la timida fanciulla che in un momento di svago passeggiando assorta sulla spiaggia del mare era stata perfidamente sorpresa e portata via da corsari senza piet come colomba fra gli artigli dello sparviero: questi infelici avevano sicuramente tutta la ragione che i loro fratelli dEuropa volgessero su di loro uno sguardo di compassione e facessero qualche tentativo per rendere loro la libert. Ma come si poteva raggiungere un fine tanto caritatevole? Quali mezzi si sarebbero adoperati per riuscire in unimpresa che non poteva essere affidata alla forza delle armi, n tampoco allastuzia? Non c chi pi del Cattolicesimo sia fertile nellescogitare rimedi. Qualunque necessit si presenti, basta lasciarlo agire in libert e subito trova i mezzi pi adatti per farvi fronte. I richiami e i negoziati delle potenze cristiane non avrebbero ottenuto nulla a favore degli schiavi; nuove guerre intraprese per questo motivo avrebbero aumentato le sventure pubbliche e avrebbero resa ancor peggiore la sorte di quelli che gemevano nella schiavit, e forse ne avrebbero accresciuto il numero fornendo loro nuovi compagni nella disgrazia; i mezzi pecuniari, per mancanza di un punto centrale di direzione e di azione, avrebbero prodotto scarso frutto e si sarebbero dispersi nelle mani di agenti subalterni. Quale mezzo rimaneva dunque? Quel mezzo potentissimo che la religione cattolica ha sempre avuto, quel segreto con cui sa condurre a termine le pi grandi imprese: la carit. Ma in che modo doveva operare questa carit? Nel modo stesso con cui nel Cattolicesimo operano tutte le altre virt. Questa religione divina, la quale discesa dal cielo eleva continuamente a meditazioni sublimi lintelletto umano, ha tuttavia un carattere particolare che la distingue dalle scuole e dalle stte che hanno preteso dimitarla. Ad onta dello spirito di riserbo che la mantiene distaccata dalle cose terrene, nulla si trova in essa di vago, di ozioso o di puramente teorico. Tutto in lei speculativo e pratico, sublime e semplice; si accomoda a tutto, a tutto si adatta, purch la cosa non sia incompatibile con la verit dei suoi dogmi e con la severit dei suoi precetti. Con gli occhi fissi al cielo non dimentica che sta sulla terra e che ha da trattare con uomini mortali soggetti a calamit e miserie: con una mano mostra loro leternit, e con laltra li soccorre nelle sventure, ne allevia le pene e ne asciuga le lacrime. Non si accontenta di vane e sterili parole: per lei lamore per il prossimo nulla vale se non si manifesta col dare da mangiare allaffamato, da bere a chi ha sete, col vestire lignudo, consolare lafflitto, visitare linfermo, confortare il prigioniero e riscattare lo schiavo; e per servirmi di unespressione di moda nel secolo attuale, essa positiva in grado eminente. Essa quindi fa in modo di realizzare le sue idee attraverso istituzioni benefiche e feconde, distinguendosi cos dalla filosofia umana di cui le pompose parole e i giganteschi progetti formano un contrasto cos miserabile con la piccolezza o col nulla delle sue opere. La religione parla poco, per medita ed opera molto: degna figlia dellEssere infinito il Quale, inabissato nella contemplazione di un pelago di luce che contiene nella Sua essenza, ha per creato questuniverso che noi ammiriamo, e non cessa di conservarlo con una bont ineffabile, e di reggerlo con indicibile sapienza. Per aiutare i miseri schiavi non c dubbio che appare ben vantaggiosa lidea di una vasta societ, estesa in tutta Europa, che si trovasse in contatto con tutti quei Cristiani che con le loro elemosine potessero contribuire allo svolgimento di unopera cos santa; e che per di pi avesse sempre a sua disposizione un numero di persone pronte a solcare i mari e decise, se ci fosse bisogno, ad affrontare anche la schiavit e la morte per il riscatto dei loro fratelli. In questo modo si sarebbe ottenuto il vantaggio di mettere insieme molti mezzi, sarebbe stato assicurato il buon uso dei capitali e ci sarebbe stata la certezza che i negoziati per il riscatto degli schiavi sarebbero stati regolati da persone zelanti e di esperienza. Una tale societ avrebbe corrisposto perfettamente al suo scopo, e stabilita che fosse, gli schiavi cristiani potevano subito sperare di essere soccorsi quanto pi rapidamente ed efficacemente possibile. Ed ecco precisamente lidea che fu portata ad effetto dallistituzione degli Ordini votati al riscatto degli schiavi.

I religiosi di questo Istituto si obbligavano con voto a fare questopera di carit. Liberi dagli impacci derivanti da relazioni famigliari e da interessi mondani potevano consacrarsi a questa missione con tutto lardore del loro zelo. I lunghi viaggi, i pericoli del mare, linsalubrit dellaria nei vari climi, la ferocia deglinfedeli: nulla li fermava. Nel proprio abito e nelle preghiere del loro Istituto essi trovavano un ricordo perenne del voto con cui si erano impegnati davanti a Dio. Non erano pi padroni del riposo, delle comodit, della vita stessa, perch tutto questo apparteneva ai miseri schiavi che al di l del Mediterraneo gemevano in un oscuro carcere o si trascinavano ai piedi dei loro padroni oppressi da una pesante catena. Le famiglie delle infelici vittime avevano gli occhi fissi sul religioso ed esigevano da lui che adempisse la sua promessa, obbligandolo a trovare i mezzi e ad esporre, se fosse stato il caso, la stessa vita per restituire il padre al figlio, il figlio al padre, lo sposo alla sposa, linnocente fanciulla alla desolata madre. Gi fin dai primi secoli del Cristianesimo la Chiesa profuse il suo zelo nel riscatto degli schiavi, zelo che sempre si mantenne vivo e che fin da allora spinse i fedeli a fare i pi grandi sacrifici. Nel capitolo XVII di questopera e nelle rispettive note viene dimostrata questa verit in modo incontestabile, e non ho quindi bisogno di soffermarmi per provarla. Ci nonostante non mi trattengo dal far notare che anche in questo caso fu applicata la regola di comportamento della Chiesa, quella cio di portare ad effetto le sue idee per mezzo di istituzioni. Seguite con attenzione i suoi passi, e vedrete che essa cominci con linsegnare ed esaltare una virt, inducendo soavemente a praticarla; la pratica si estese, si consolid; e finalmente ci che era semplicemente unopera buona, per alcuni divent unopera obbligatoria, e ci che era un puro consiglio, si convert, per un numero scelto di persone, in rigoroso precetto. In tutti i tempi la Chiesa si preoccup del riscatto degli schiavi; in tutti i tempi alcuni Cristiani di una carit eroica seppero privarsi dei loro beni e perfino della libert, per attendere a questopera di misericordia; ma lopera rimaneva ancora lasciata alla discrezione dei fedeli e non vi era un organismo che rappresentasse questo proposito ispirato dalla carit. Sopraggiunsero nuovi bisogni e i mezzi ordinari non bastavano pi: era necessario che venissero messi insieme e celermente i soccorsi e che fossero impiegati con discernimento. La carit ha bisogno, per cos dire, di un braccio sempre pronto ad eseguire gli ordini, e si rende necessaria unistituzione permanente: listituzione nasce, e la necessit rimane soddisfatta. Siamo talmente abituati al sublime e al bello nelle opere della religione che a mala pena ci soffermiamo ad osservare i pi grandi prodigi; allo stesso modo che, nel trarre profitto dai benefci della natura, ne contempliamo poi con indifferenza il suo operare e le sue pi meravigliose produzioni. Nei vari Istituti religiosi che sotto diverse forme abbiamo visti fin dagli inizi della Chiesa abbiamo avuto occasione di osservare cose sommamente degne di ammirazione sia per il filosofo che per il Cristiano; ma dubito fortemente che nella storia di questi Istituti si possa trovare cosa pi bella, pi grande e pi commovente dello spettacolo che ci presentano gli Ordini di redenzione. Quale simbolo pi leggiadro di quello della religione che protegge lo sventurato! Quale emblema pi sublime della redenzione consumata sulla Croce che si estende alla redenzione dalla schiavit terrena, come pure alle visioni che precedettero la fondazione di questi santi Istituti! Diranno alcuni che queste apparizioni non erano che pure illusioni: fortunate illusioni, risponderemo noi, che hanno come risultato la consolazione dellumanit! Comunque sia, ne far qui menzione senza temere la derisione dellincredulo il quale, se ancora conserva in cuore alcun sentimento generoso, sar costretto a convenire che quandanche non vi riconosca alcuna verit storica, vi trova almeno unalta poesia, e sopratutto lamore per lumanit, il desiderio ardente di soccorrerla, e leroico disinteresse nel sublime sacrificio che luomo fa quando si sottopone alla schiavit per il riscatto dei suoi fratelli. Un dottore delluniversit di Parigi, assai noto per la sua virt e per la sua dottrina, era appena stato promosso allOrdine del presbiterato, e celebrava per la prima volta il sacrificio dellaltare. Il santo sacerdote, nel vedersi favorito con tanta bont dallAltissimo, raddoppia lardore, ravviva la fede, e si accinge ad offrire lAgnello senza macchia con tutto quel raccoglimento, con quella purezza e fervore di cui capace un cuore inondato di grazia e infiammato di carit. Non sa come

manifestare al suo Dio la sua profonda riconoscenza per un beneficio cos grande, e brama vivamente di potere in qualche maniera dargli una prova della sua gratitudine e del suo amore. Colui che disse: Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli pi piccoli, lavete fatto a me gli indica ben presto la strada per sfogare il fuoco della carit, e la visione incomincia. Si presenta agli occhi del sacerdote un angelo con le vesti bianche come la neve e risplendenti come la luce; porta in petto una croce rossa e azzurra ed ha ai suoi fianchi due schiavi, uno cristiano da un lato e dallaltro uno moro, stendendo le braccia sul loro capo. Il santuomo rapito in estasi, e capisce che Dio lo chiama allopera santa di riscattare gli schiavi, ma prima di fare altri passi si ritira in un eremo, e per la durata di tre anni trascorsi nella preghiera e nella penitenza implora umilmente il Signore affinch gli manifesti la Sua sovrana volont. Sincontra nel deserto con un santo eremita, e i due si aiutano a vicenda con le orazioni e con gli esempi. Assorti un giorno in santi colloqui presso una fonte, apparve loro improvvisamente un cervo che portava inalberata sulla fronte la misteriosa croce dei due colori. Il santo sacerdote racconta al suo attonito compagno la prima visione; raddoppiano ambedue le orazioni e le penitenze, e per tre volte entrambi ricevono lavviso dal cielo. Risoluti quindi a non differire neanche un momento dal compiere la volont di Dio, vanno a Roma, chiedono al Sommo Pontefice lumi e licenza e il Papa, che nello stesso tempo aveva avuto una visione simile, accoglie con piacere la richiesta dei due santi eremiti di fondare lOrdine della Santissima Trinit della redenzione degli schiavi. Il sacerdote si chiamava Giovanni di Matha, e leremita Felice di Valois. Consacratisi con ardente zelo a questopera di carit, asciugarono sulla terra le lagrime di molti infelici, e adesso ricevono in cielo il premio delle loro fatiche e la Chiesa ne celebra la memoria venerandoli sugli altari. La fondazione dellOrdine della Mercede ebbe unorigine simile. S. Pietro Nolasco, dopo avere consumato tutti i suoi averi nella redenzione degli schiavi, e non sapendo come fare per continuare la pia opera, ricorse alla preghiera per fortificarsi vieppi nel suo santo proposito di vendere la propria libert, o di rimanere schiavo al posto di qualcuno dei suoi fratelli. Durante la preghiera gli apparve la Santissima Vergine che gli manifest quanto sarebbe stata gradita a Lei e al Suo Figlio divino listituzione di un Ordine che avesse avuto per scopo la redenzione degli schiavi. Accordatosi il santo col re di Aragona e con S. Raimondo di Penafort, fond il detto Ordine, e convert in voto, per s e per tutti i professi del nuovo Istituto, quel suo desiderio di dare se stesso in schiavit, in riscatto degli altri. Ripeter quanto ho detto sopra: qualunque sia il giudizio che altri vogliano formare su queste apparizioni, ed anche se le rigettassero come pure illusioni, risulter sempre ci che ci siamo proposti di dimostrare: linfluenza della religione cattolica nel far fronte alle grandi sventure, e lutilit dellIstituto nel quale stupendamente personificato leroismo della carit. Supponete infatti che il santo fondatore avesse patito unillusione prendendo per rivelazioni celesti le ispirazioni del suo fervoroso zelo. Si annullano forse per questo i benefci a vantaggio dei miseri? Voi mi parlate sempre di illusioni, ma la cosa certa che queste illusioni produssero la realt. Quando S. Pietro Armengol non avendo mezzi per liberare alcuni infelici si offr in ostaggio al loro posto, e passato il giorno fissato per il pagamento e non arrivando il danaro si preparava serenamente a morire impiccato, le illusioni non rimanevano certo senza frutto, e nessuna realt avrebbe prodotto maggiori prodigi di eroismo e di zelo. Ma da molto tempo ormai che si soliti condannare le cose di religione come illusioni e pazzia. Fin dai primi tempi del Cristianesimo il mistero della Croce fu detta una pazzia; ma questo non imped che la pretesa pazzia cambiasse la faccia del mondo.

CAPITOLO XLV Influenza del Protestantesimo sullo sviluppo della civilt dal sedicesimo secolo in poi. Motivi per cui nei secoli del Medioevo la civilt trionf sulla barbarie. Situazione dellEuropa agli inizi del sedicesimo secolo. Lo scisma di Lutero interruppe e indebol la missione per civilizzare lEuropa.

Osservazioni sullinfluenza della Chiesa sui popoli barbari negli ultimi tre secoli. Si esamina se attualmente il Cristianesimo meno idoneo a propagare la fede di quel che fosse nei primi secoli della Chiesa. Missioni cristiane dei primi tempi. Missione terribile di Lutero. _______________ Nella rapida rassegna fin qui fatta la mia intenzione non stata quella di esporre la storia deglIstituti religiosi (n avrei potuto farlo in modo esauriente), ma soltanto di presentare alcune riflessioni che, mettendo in luce limportanza di questi Istituti, liberassero il Cattolicesimo dalle accuse rivoltegli per la protezione che in ogni tempo ha accordato loro. Sarebbe stato impossibile porre a confronto il Cattolicesimo e il Protestantesimo nelle relazioni che hanno con la civilt europea senza dedicare alcune pagine allesame dellinfluenza che hanno avuto glIstituti religiosi sulla stessa civilt. Per cui, una volta dimostrato che questa influenza fu salutare, resta certo il fatto che il Protestantesimo, il quale con tanto odio ed accanimento ha calunniato e perseguitato questi Istituti, ha alterata la storia della civilt, non ne ha compreso lo spirito e ne ha pregiudicato il legittimo sviluppo. Queste riflessioni mi spingono a ricordare al Protestantesimo unaltra mancanza che ha commesso quando, nellinfrangere lunit della civilt europea, vi ha introdotto la discordia e ne ha indebolita la supremazia materiale e morale sul resto del mondo. LEuropa sembrava destinata a civilizzare il mondo intero. La superiorit delle conoscenze, il predominio delle forze, la sovrabbondanza della popolazione, il carattere valoroso e intraprendente, i tratti di generosit e di eroismo, lo spirito comunicativo e propagatore: sono tutte cose che la spingevano verosimilmente a diffondere i suoi princpi, i sentimenti, le leggi, i costumi e le istituzioni in ogni angolo del mondo. E come mai questo non si verificato? Come mai la barbarie ancora alle porte? Come mai lIslamismo mantiene ancora il suo campo in uno delle regioni pi belle, in uno dei paesaggi pi pittoreschi dEuropa? LAsia con la sua inerzia, la sua prostrazione, il dispotismo, la degradazione della donna, e tutti gli obbrobri dellumanit ancora cos sotto i nostri occhi e a mala pena ha fatto un passo che lasci sperare che si sollevi dalla sua abiezione. LAsia minore, le coste della Palestina e dellEgitto, lintera Africa ci stanno di fronte nel misero stato e nella compassionevole degradazione che fanno da deplorevole contrasto con le loro antiche e nobili memorie. LAmerica, dopo quattro secoli di rapporti continui con lEuropa ancora tanto indietro che gran parte delle sue forze intellettuali e delle sue risorse naturali aspetta ancora chi sappia metterle a profitto. LEuropa piena di vita, ricca di risorse, traboccante di vigore ed energia, come mai rimasta circoscritta dentro i suoi confini? Se ci mettiamo a considerare attentamente un cos funesto fenomeno (a cui pare impossibile che la filosofia della storia non abbia mai posto mente) ne individueremo il motivo nella mancanza di unit che ha sofferto lEuropa, per cui essa ha svolto le sue relazioni con gli stranieri senza un accordo interno, e quindi senza efficacia. Non si fa altro che esaltare, per le societ, la convenienza di restare uniti, se ne proclama la necessit per poter ottenere grandi risultati, e poi non si riesce a capire che, essendo questo principio applicabile alle nazioni cos come agliindividui, esse non possono sperare di ottenere grandi risultati se non si assoggettano a questa legge generale. Quando un insieme di nazioni di origine comune, e sottoposte per molti secoli alle stesse influenze, sono dirette e dominate dagli stessi princpi ed hanno raggiunto insieme un notevole grado di civilt, associarsi fra loro diventa una vera necessit: sono una famiglia di popoli fratelli; e tra fratelli la divisione e la discordia producono effetti peggiori che non tra estranei. Non voglio dire che tra le nazioni europee fosse possibile una concordia tale da restare permanentemente in pace e da condurre in perfetta armonia tutte le iniziative che avessero avviato nelle altre parti del mondo; ma senza abbandonarsi a tante illusioni irrealizzabili non c dubbio, tuttavia, che nonostante i particolari contrasti tra nazione e nazione, e malgrado la maggiore o minore opposizione dinteressi dentro e fuori lEuropa, essa avrebbe potuto conservare un principio civilizzatore che, elevandosi su tutte le miserie e le meschinit delle passioni umane, lavrebbe portata ad acquisire una maggiore autorit e ad assicurare la propria influenza a vantaggio degli altri paesi del mondo.

Nella serie interminabile di guerre e di calamit che afflissero lEuropa durante il periodo dinstabilit causata dalle nazioni barbare, questunit di princpi esisteva; e grazie a questa unit dalla confusione spunt lordine, dalle tenebre la luce. Nella lunga lotta del Cristianesimo contro lIslamismo, ora in Europa, ora in Africa o in Asia, questa stessa unit di princpi fece trionfare la civilt cristiana nonostante le rivalit dei prncipi e il caos tra i popoli. Finch dur questunit, lEuropa conservava una forza trasformatrice: tutto ci che toccava, prima o poi diventava europeo. Il cuore soffre nel considerare quel disastroso avvenimento che ruppe questa preziosa unit, deviando il corso della nostra civilt e mortificandone in modo deplorevole la forza fecondatrice. Fa pena, per non dire dispetto, pensare che la comparsa del Protestantesimo sia coincisa proprio con i momenti critici in cui lEuropa, raccogliendo il frutto di lunghi secoli di continua fatica e di sforzi inauditi, si presentava robusta, vigorosa, splendida ed imponente come un gigante, scopriva nuovi mondi, toccando con una mano lOriente e con laltra lOccidente. Vasco de Gama, passando il capo di Buona Speranza, aveva mostrato la via marittima alle Indie orientali e aveva aperto le comunicazioni con popoli sconosciuti. Cristoforo Colombo con la flotta dIsabella solcava i mari dOccidente, scopriva un mondo e piantava su terre ignote il vessillo di Castiglia. Ferdinando Crtes alla testa di un piccolo gruppo di valorosi penetrava nel cuore del nuovo continente, simpadroniva della capitale, e facendo uso di armi mai viste dagli indigeni del paese si presentava loro come una divinit in mezzo ai fulmini. Ovunque in Europa ferveva unimmensa attivit, uno spirito intraprendente si sviluppava in tutti i cuori, era suonata lora in cui si apriva ai popoli europei un orizzonte di potenza e di gloria tanto vasto che locchio non arrivava a vederne i confini. Magellano attraversando impavido lo stretto che doveva unire lOccidente con lOriente, e Sebastiano dElcano ritornando ai lidi spagnoli dopo aver fatto il giro del mondo, erano il simbolo sublime della civilt europea che prendeva possesso delluniverso. Il potere della Mezzaluna si presentava ad unestremit dellEuropa potente e minaccioso come unombra sinistra che appare nellangolo di un magnifico quadro; ma non temete, perch le sue schiere sono state cacciate da Granata, lesercito cristiano accampato sulle coste dAfrica, il vessillo di Castiglia sventola sulle mura di Orano, e nel cuore della Spagna cresce nelloblio quel prodigioso Fanciullo che appena lasciati i trastulli dellinfanzia far fallire gli ultimi tentativi dei Mori di Spagna con i trionfi di Alpujarras, e subito dopo abbatter per sempre nelle acque di Lepanto la potenza musulmana. Lo sviluppo delle conoscenze andava di pari passo con la potenza, che era giunta al vertice. Erasmo perlustrava tutte le fonti dellerudizione e faceva stupire il mondo con le sue doti e la sua dottrina, e da unestremit allaltra dEuropa diffondeva la gloria della sua fama. Linsigne spagnolo Lodovico Vives emulava il dotto di Rotterdam e si proponeva di rigenerare le scienze, aprendo una nuova strada allintelletto umano. In Italia fermentavano le scuole filosofiche e si arricchivano avidamente delle cognizioni portate da Costantinopoli; il genio di Dante e di Petrarca andavano perpetuandosi in successori illustri; la patria del Tasso ne faceva echeggiare gli accenti come lusignolo gorgheggia ai primi albori intanto che la Spagna, ebbra dei suoi trionfi, orgogliosa e fiera per le sue conquiste, cantava come un soldato vittorioso che si riposa sui trofei ammonticchiati sul campo di battaglia. Chi mai avrebbe potuto resistere a tanta superiorit, a tanto splendore e potenza? LEuropa, sicura della propria superiorit contro ogni nemico, godendo di una prosperit destinata a crescere di giorno in giorno, in possesso delle migliori leggi e istituzioni che mai si fossero viste, il cui perfezionamento e compimento potevano essere lasciati senza timore alla lenta azione dei secoli; lEuropa, ripeto, arrivata ad una condizione cos prospera e lusinghiera doveva disporsi allopera di portare la civilt in tutto il mondo. Le stesse scoperte che si stavano facendo continuamente facevano capire che era giunto il momento opportuno: numerose flotte trasportavano, insieme ai guerrieri conquistatori, missionari che andavano a seminare il prezioso seme, che sviluppato nel tempo doveva produrre lalbero allombra del quale dovevano ripararsi le nuove nazioni. Cos stava avendo inizio il generoso lavoro che, benedetto dalla Provvidenza, doveva portare la civilt in America, in Africa e in Asia.

Intanto nel cuore della Germania gi risuonava la voce dellapostata che andava a portare la discordia tra i popoli fratelli. Cominciarono le dispute, le teste si esaltarono, lirritazione giunse al suo colmo: si ricorse alle armi, il sangue inizi a scorrere a fiumi; e luomo incaricato dallabisso infernale di stendere sulla terra questa nube di sciagura pot contemplare, prima di morire, lorribile frutto delle sue fatiche, ed ingiuriare irridendo con un crudele ed impudente sorriso le sventure dellumanit. In questo modo ci capita alcune volte dimmaginare il genio del male che, abbandonando la sua tetra dimora e il suo trono circondato da orrori, si presenta allimprovviso sulla faccia della terra, sparge in ogni parte la desolazione e il pianto, gira lorrido sguardo sul vasto campo di sterminio, e torna infine ad inabissarsi nelle tenebre eterne. Diffusosi per lEuropa lo scisma di Lutero, lopera degli Europei sulle popolazioni degli altri paesi del mondo si svigor, per cui tutte le belle speranze che prima si potevano concepire sparirono di colpo come vane illusioni. Da quel momento la maggior parte delle forze intellettuali, morali e fisiche era condannata ad essere impiegata e logorata dolorosamente in una lotta che armava fratelli contro fratelli. Le nazioni che erano rimaste cattoliche si vedevano costrette a concentrare tutte le loro forze, tutta lazione e lenergia per far fronte agli emp attacchi che venivano portati dai nuovi settari, sia nei campi delle dispute, che in quelli di battaglia. Le nazioni che erano state infettate dal contagio dei nuovi errori precipitarono in una specie di vortice che non lasciava veder loro altri nemici fuorch i Cattolici, nessunaltra impresa degna dei loro sforzi fuorch la rovina e la distruzione della cattedra di Roma. I loro pensieri non venivano pi indirizzati allo studio dei mezzi per migliorare la sorte dellumanit; il vasto campo aperto dalle nuove scoperte ad una nobile ambizione non era degno che gli si desse neanche uno sguardo. Per loro unopera sola era giusta, santa e necessaria: gettare nella polvere lautorit del romano Pontefice. Con questa disposizione di spirito lascendente che gli Europei avevano precedentemente acquistato sui popoli delle nuove terre e su quelli che avevano assoggettato sindebol e si neutralizz. Quando essi approdavano su nuovi lidi, non vi sincontravano pi come fratelli, n come generosi rivali stimolati da nobile competizione, ma come nemici implacabili ed accaniti che per la diversit della loro religione si combattevano sanguinosamente, come capitava in passato tra Cristiani e Musulmani. Il nome della religione cristiana, che per tanti secoli era stato il simbolo della pace, e che prima di una battaglia, presentandosi alle schiere contrapposte, era capace di far loro deporre il rancore e cambiare in fraterno abbraccio lodio e la vendetta; il nome della religione divina che a questi popoli faceva da bandiera per trionfare sullesercito maomettano; questo stesso nome sfigurato e lacerato da mani sacrileghe si mut in segno dinimicizia e di discordia, Dopo che lEuropa fu ricoperta di sangue e di lutto lo scandalo fu mostrato a quei popoli sprovveduti che guardavano attoniti le miserie, lo spirito di divisione, i rancori e la maldicenza che regnavano tra quegli stessi uomini che essi prima erano giunti a considerare come una razza sovrumana o di semidei. Dallora in poi le forze europee non si unirono pi per qualcuna di quelle grandi imprese che avevano formato la gloria dei secoli precedenti. Il missionario cattolico che bagnava col suo sudore e il suo sangue i boschi dellAmerica e dellIndia, poteva bens far uso di quei mezzi che gli concedeva la nazione alla quale egli apparteneva, se questa era rimasta cattolica; ma non poteva pi sperare che lintera Europa, aderendo allopera di Dio, andasse a sostenere le missioni con laiuto dei suoi mezzi. Sapeva, al contrario, che un gran numero di Europei lo calunniava e linsultava continuamente cercando in tutti i modi immaginabili dimpedire che la parola del Vangelo attecchisse nel nuovo campo, e accrescesse la fama della Chiesa cattolica e lautorit dei Papi. Vi fu un tempo in cui le profanazioni deglinfedeli al Santo Sepolcro e le vessazioni sofferte dai pellegrini che andavano a visitarlo bastavano per sollevare lindignazione di tutti i popoli cristiani, i quali alzando il grido dallarme si precipitavano in massa dietro le orme delleremita che li guidava per vendicare gli oltraggi fatti alla religione e i cattivi trattamenti ricevuti da alcuni dei loro fratelli. Dopo leresia di Lutero tutto cambi: la morte di un religioso sacrificato in paesi lontani, i tormenti, il martirio, tante scene sublimi in cui si mostravano rinnovati lo zelo e la carit dei primi secoli della

Chiesa, tutto era disprezzato e messo in ridicolo da uomini che si definivano Cristiani, dai discendenti indegni di quegli eroi che versarono il loro sangue sotto le mura della citt santa. Per farsi una giusta idea del danno immenso recato sotto questo aspetto dal Protestantesimo immaginiamo per un momento che la pretesa riforma non fosse avvenuta, e ipotizziamo quale sarebbe stato allora il corso degli avvenimenti. In primo luogo tutta lattenzione, tutti i mezzi, tutte le forze che impieg la Spagna per far fronte alle guerre di religione organizzate in Europa avrebbe potuto dedicarle al nuovo mondo. Lo stesso sarebbe accaduto per la Francia, i Paesi Bassi, lInghilterra e gli altri potenti regni. E se queste nazioni, che anche divise hanno potuto far scrivere alla storia pagine tanto gloriose e brillanti, avessero concentrata ed unita la loro azione sulle nuove terre, lavrebbero fatto con tanto vigore ed energia che nessuna cosa al mondo sarebbe stata capace di arrestarne limpeto dominatore. Immaginate per un momento che tutti i porti dal Baltico sino allAdriatico spedissero missionari in Oriente e in Occidente, come facevano la Francia il Portogallo, la Spagna e lItalia; che tutte le grandi citt dEuropa fossero altrettanti centri dove si unissero persone e mezzi per giungere a questo scopo; immaginate che tutti questi missionari fossero diretti dalle stesse intenzioni, dominati dallo stesso pensiero, infiammati dallo stesso desiderio di propagare la stessa fede; che ovunque si incontrassero si riconoscessero per fratelli e collaboratori nella stessa opera, tutti soggetti alla stessa autorit, predicando tutti la stessa dottrina e praticando il medesimo culto. Non vi sembrerebbe allora di vedere la religione cristiana operare in modo grandioso e riportare ovunque i pi grandi trionfi? La nave incaricata di portare in lontani paesi la comunit di missionari potrebbe spiegare le vele senza timore, e vedendo spuntare allorizzonte la bandiera di qualche nazione europea non avrebbe paura di doversi scontrare con gente nemica, ma sarebbe sicura di trovare amici e fratelli ovunque incontrasse Europei. Le missioni cattoliche, a dispetto di tanti ostacoli nati dal torbido spirito del Protestantesimo, recarono a compimento le pi ardue imprese e fecero prodigi che formano una bella pagina della storia moderna; ma impossibile non vedere quanto si sarebbe fatto di pi, se allItalia, alla Spagna, al Portogallo e alla Francia si fossero uniti lintera Germania, i Paesi Bassi, lInghilterra e le altre nazioni del Nord. Questunione era nellordine delle cose, e non sarebbe mancata se lo scisma di Lutero non lavesse impedita. Bisogna inoltre notare che questo funesto avvenimento non solo imped lunione fra tutte le nazioni europee, ma fece s che le stesse nazioni cattoliche non potessero impiegare la maggior parte dei loro mezzi nella grande opera di conversione e di rinnovamento del mondo, essendo costrette a restare continuamente in armi a causa delle guerre di religione e delle discordie civili. In quellepoca glIstituti religiosi sarebbero stati il braccio della religione, la quale, consolidata in Europa e soddisfatta per la rigenerazione sociale che aveva conseguita, avrebbe esteso la sua opera alle nazioni infedeli. Dando unocchiata al corso degli avvenimenti dei primi secoli della Chiesa, e paragonandoli con quelli dei tempi moderni, salta subito agli occhi che negli ultimi secoli deve essere intervenuta qualche causa potente che si opposta alla propagazione della fede. Nasce il Cristianesimo, si dilata rapidamente senza alcun aiuto da parte degli uomini e nonostante lopposizione dei prncipi, dei dotti, dei sacerdoti idolatri, delle passioni e di tutta lastuzia dellinferno. nato ieri, e gi si mostra forte e dominante in tutte le contrade dellimpero romano. Popoli di lingue differenti, di costumi diversi, di vari gradi di civilt abbandonano il culto dei falsi di e abbracciano la religione di Ges Cristo. Gli stessi barbari, popoli indocili e indomabili come destriero che ancor non abbia provato il freno, dnno ascolto ai missionari che sono inviati loro, chinano il capo, e nellebbrezza della conquista e della vittoria si sottomettono alla religione dei conquistati e dei vinti. Vediamo oggi. Nei secoli moderni il Cristianesimo si ritrovato col dominio esclusivo sullEuropa; ma ci nonostante non giunto ad introdursi di nuovo su quelle spiagge dAfrica e dAsia che ha davanti ai suoi occhi. vero che lAmerica per la maggior parte cristiana; ma dovete osservare che i popoli di quelle terre furono conquistati, che le nazioni conquistatrici istituirono governi durati per secoli, che le nazioni europee invasero il nuovo mondo di soldati e di coloni, e che in tal modo una gran parte dellAmerica una specie di colonia dellEuropa. Per questo la conversione religiosa di quei popoli non confrontabile con quella che avvenne nei primi

secoli della Chiesa. Volgete gli occhi allOriente, dove le armi europee non hanno ottenuto una decisiva superiorit, e osservate cosa succede. I popoli giacciono ancora schiavi di false religioni e il Cristianesimo non ha potuto aprirsi una strada; e sebbene i missionari cattolici siano riusciti a fondare alcune missioni di una certa importanza, la preziosa semente non ha generato sufficienti radici, per cui la pianta non ha potuto produrre i frutti desiderati da una carit ardente e da un eroico zelo. Di tanto in tanto i raggi di luce sono penetrati sin nel cuore dei grandi imperi del Giappone e della Cina; per qualche momento si sono potute concepire le pi belle speranze; ma queste speranze sono svanite: la scintilla di luce scomparve come una brillante meteora nella vastit di un cielo tenebroso. E qual la ragione di questa impotenza? Qual la causa per cui nei primi secoli la forza fecondatrice fu cos esuberante e non altrettanto negli ultimi? Lasciamo da parte i profondi segreti della Provvidenza: non vogliamo investigare gli arcani imperscrutabili delle vie del Signore; ma per quanto al debole uomo sia dato di penetrare la verit sulla base degli indizi che fornisce la storia della Chiesa, e per quanto sia possibile immaginare anche se lontanissimamente i disegni dellEterno dalle indicazioni che Egli si compiace di comunicarci, possiamo proporre la nostra opinione sui fatti, i quali, per quanto appartengano ad un ordine superiore, non cessano per di essere soggetti ad un corso regolare che Dio stesso ha stabilito. LApostolo S. Paolo dice che la fede viene dallascolto, e chiede: come si pu ascoltare se non vi chi predichi; come si pu predicare se non vi chi mandi? Dalla qual cosa si deduce che le missioni sono una cosa necessaria per la conversione dei popoli; perch Dio evidentemente non intende fare continuamente nuovi miracoli, mandando legioni di angeli per evangelizzare le nazioni che vivono prive della luce della verit. Premesse queste osservazioni, aggiunger che per la conversione delle nazioni infedeli ci che mancato stata lorganizzazione in grande di missioni che per labbondanza dei mezzi, per il numero e per la qualit degli individui fossero in grado di corrispondere pienamente al grande progetto. Bisogna considerare che le distanze erano immense, i popoli ai quali bisognava rivolgersi erano dispersi in molti paesi e vivevano sotto linflusso di pregiudizi, di climi, di leggi, quanto pi opposti allo spirito del Vangelo. Per far fronte a problemi cos vasti, e per superare le enormi difficolt che sincontravano, era necessaria una vera invasione di missionari, altrimenti lesito sarebbe rimasto dubbio ed incerto, la permanenza delle missioni cristiane molto precaria, e la conversione delle grandi nazioni poco probabile. A meno che la Provvidenza non fosse intervenuta con uno di quei grandi prodigi che in un istante cambiano la faccia della terra: prodigi che Dio non rinnova ogni momento e che non concede se non alcune volte grazie alle pi fervorose preghiere dei santi. Per farsi unidea precisa di ci che accaduto negli ultimi secoli, guardiamo a quello che accade attualmente. Cosa manca alle missioni tra le nazioni infedeli? Qual il continuo lamento di quelle persone zelanti che si dedicano alla propagazione del Vangelo? Non si sentono forse continue lagnanze sullo scarso numero degli operai, sui pochi mezzi di cui si pu disporre per procurar loro il necessario per la sopravvivenza? E non questa la necessit alla quale si proposta di porre riparo lassociazione formata tra i Cattolici dEuropa? Questorganizzazione in grande delle missioni quella appunto che si sarebbe effettuata se non fosse intervenuto il Protestantesimo ad impedirla. I popoli europei, figli prediletti della Provvidenza, avevano lobbligo e mostravano altres una volont decisa di procurare con tutti i mezzi possibili che gli altri popoli della terra fossero partecipi dei benefci della fede. Disgraziatamente in Europa questa fede sindebol, fu abbandonata al capriccio della ragione umana, e da quel momento divenne impossibile ci che prima era possibile e facilissimo da eseguire. E permettendo la Provvidenza una s infausta sventura, permise altres che fosse differita di molto la venuta di quel felice giorno in cui nuovi popoli sarebbero entrati in gran numero nellovile della Chiesa. Forse qualcuno dir che lo zelo dei nostri tempi non come quello dei primi secoli del Cristianesimo, e che questa una delle ragioni per cui non c stata la conversione delle nazioni infedeli. Non mi metter a far confronti su questo punto, e non dir nulla delle molte cose che si potrebbero dire su questo particolare; far soltanto una semplice osservazione che elimina dun

colpo la presunta difficolt. Il Divin Salvatore, per mandare i suoi discepoli a predicare il Vangelo, volle che rinunziassero a quanto possedevano e lo seguissero. Lo stesso Divin Salvatore nel rivelarci il segno infallibile della vera carit ci dice che non ve n maggiore di quella del dar la vita per i propri fratelli. I missionari cattolici dei tre ultimi secoli hanno rinunciato a tutte le cose, hanno abbandonato la patria, la famiglia, le comodit e tutto quanto sulla terra pu interessare il cuore delluomo; sono andati a cercare glinfedeli in mezzo ai pi gravi pericoli; e in tutti gli angoli della terra hanno sigillato col sangue il loro ardore per la conversione dei loro fratelli e per la salvezza delle anime. Secondo me simili missionari sono degni di essere considerati successori di quelli dei primi secoli della Chiesa. Tutte le invettive e tutte le calunnie nulla possono contro levidenza di questi fatti. La Chiesa dei primi secoli, come quella dei nostri tempi, avrebbe considerato un onore comprendere tra i suoi figli un S. Francesco Saverio o i martiri del Giappone. Una grande abbondanza di missionari fu a disposizione della Chiesa per la conversione del mondo antico e del mondo barbaro. Appena essa apparve, le lingue di fuoco del Cenacolo e un gran numero di meravigliosi prodigi supplirono alla scarsit degli operai, e furono allorigine del successivo loro aumento. Nazioni molto diverse fra loro, nellascoltare lo stesso predicatore, ludivano simultaneamente ognuna nella propria lingua. Ma dopo lavvio iniziale in cui lOnnipotente, impiegando i suoi mezzi infiniti, aveva voluto sconfiggere linferno, le cose seguirono il corso ordinario, e per un maggior numero di conversioni ci volle anche un maggior numero di missionari. I grandi centri propulsori di fede e carit, le molte chiese di Oriente e di Occidente, procuravano in gran quantit i missionari necessari per la propagazione della fede; e questo sacro esercito aveva a sua disposizione unimponente riserva per supplire alle carenze qualora le infermit, le fatiche o il martirio ne diradassero le file. Roma era il centro di questo gran movimento; ma Roma per dare limpulso non aveva bisogno di flotte che trasportassero le sante colonie alla distanza di migliaia di miglia, come non aveva bisogno di accumulare somme ingenti per il sostentamento delle missioni in terre deserte e in paesi del tutto sconosciuti. Quando il missionario genuflesso ai piedi del Santo Padre gli chiedeva la benedizione apostolica, il Santo Padre poteva mandarlo in pace e lasciarlo partire col solo bordone. Perch sapeva che il missionario avrebbe attraversato paesi cristiani, e che nel metter piede in quelli degli idolatri non si sarebbe allontanato molto da prncipi cristiani, vescovi, sacerdoti e popoli fedeli, che non avrebbero negato di dare aiuto a chi andava a diffondere la Parola divina tra i vicini popoli infedeli. Lascio con fiducia al giudizio delle persone di senno le riflessioni da me fatte sul danno provocato dallo scisma protestante alla supremazia europea. Io sono intimamente convinto che questa supremazia ne ricevette un terribile colpo, e che senza questo funesto avvenimento attualmente la situazione mondiale sarebbe ben diversa. Pu darsi che su questo punto mi illuda alquanto; e allora sfido chiunque abbia molto senno a negare che lunit di azione, lunit di princpi, lunit di vedute, lunificazione dei mezzi, il coordinamento degli operatori, siano in ogni impresa il grande segreto della forza e la pi sicura garanzia per una felice riuscita. E chiedo anche se non vero che fu il Protestantesimo a rompere questunit rendendo impossibile lunione e impraticabile la cooperazione. Questi sono fatti inoppugnabili, chiari come la luce del sole, recenti: sono, per cos dire, di ieri. Quale ne sia la conclusione da trarre lo vede chiunque non sia parziale, chiunque sia fornito di buon senso, anzi del semplice senso comune, purch abbia per compagna la buona fede. A qualunque persona in grado di riflettere risulta evidente che lEuropa non quel che sarebbe stata se non fosse apparso il Protestantesimo; ed ugualmente chiaro che gli effetti dellinfluenza civilizzatrice di questo gran complesso di nazioni non sono stati quelli che gli inizi del sedicesimo secolo promettevano. In ogni modo, si vantino pure i Protestanti di aver dato alla civilt europea una nuova direzione; si glorino di aver indebolita lautorit spirituale dei Papi strappando dal sacro ovile milioni di anime; si esaltino per aver distrutto nei loro paesi glIstituti religiosi, di aver ridotta in frantumi la gerarchia ecclesiastica e di aver gettato la Bibbia in mezzo a masse ignoranti, rassicurandole che per intendere bene i sacri testi basta lispirazione privata o il suggerimento della ragione: sar comunque certo che in mezzo a loro lunit della religione cristiana svanita; che essi

mancano di un centro da cui possano partire le grandi iniziative; che non hanno una guida e che vanno errando come un gregge senza pastore, vacillanti ad ogni vento di dottrina, e sono colpiti da una sterilit radicale che impedisce loro di produrre alcune di quelle grandi opere che a piene mani ha tanto prodotto e produce il Cattolicesimo. Una cosa sar sempre certa: che con le sue dispute senza fine, con le sue calunnie, con i suoi attacchi contro la fede e la morale della Chiesa, per lo spazio di tre secoli lhanno costretta ad una continua guerra di difesa per respingere i loro assalti, togliendole in tal modo mezzi e tempo preziosi di cui avrebbe potuto far uso per meglio condurre a termine i grandi progetti che aveva in mente di realizzare e dei quali gi sincominciavano a vedere i buoni risultati. Se inoculare negli animi lo spirito di divisione, provocare discordie, suscitare guerre, mutare in popoli rivali quelli che fino ad allora erano stati popoli fratelli, fare di un convito di una grande famiglia di nazioni unarena di accaniti nemici; se il lacerare lanima dei missionari che vanno a predicare il Vangelo ai popoli infedeli, il frapporre tutti gli ostacoli immaginabili, il fare uso di tutti i mezzi per renderne inutile lo zelo e la carit: se tutto questo un merito, bene questo merito lo ha appunto il Protestantesimo. Ma se piuttosto un cumulo di ferite per lumanit, di queste ferite ne deve rispondere il Protestantesimo. Quando Lutero diceva di essere incaricato di unalta missione, proferiva una verit terribile e spaventosa che egli stesso non comprendeva. I peccati dei popoli colmano talvolta la misura della pazienza dellAltissimo; lo strepito degli scandali delluomo sale fino al cielo e chiede vendetta; lEterno nella sua collera formidabile lancia sulla terra unocchiata di fuoco: suona allora negli arcani infiniti lora fatale e nasce il figlio della perdizione che ha da ricoprire il mondo di desolazione e di lutti. Come in altri tempi si aprirono le cateratte del cielo per cancellare il genere umano dalla faccia della terra, cos si apre lurna delle calamit che il Dio delle vendette tiene in serbo per il giorno della Sua ira. Il figlio della perdizione alza la voce, e quello il momento stabilito per linizio della catastrofe. Lo spirito del male percorre la superficie della terra portando sulle sue nere ali leco di quella voce sinistra. Uno stordimento misterioso invade tutte le menti; i popoli hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono; nel loro delirio i pi orrendi precipizi appaiono strade piane, tranquille e ricoperte di fiori; chiamano bene il male e il male bene; bevono con ardore febbrile la coppa di veleno. Loblio di tutto il passato, lingratitudine per tutti i benefci simpadroniscono delle menti e dei cuori: lopera del genio del male consumata; il principe degli spiriti ribelli pu sprofondare di nuovo nei suoi tenebrosi domni e lumanit ha imparato con una terribile lezione che non si provoca impunemente la collera dellOnnipotente.

CAPITOLO XLVI I Gesuiti: loro importanza nella storia della civilt europea. Motivi dellodio manifestato contro di loro. Qualit distintive dei Gesuiti. Contraddizione del Signor Guizot su questo tema. Se sia vero, come dice il Signor Guizot, che i Gesuiti in Spagna sono stati la rovina del popolo. Fatti ed epoche. Accuse ingiuste contro la Compagnia di Ges. _______________ Trattando degli Istituti religiosi non possibile passare sotto silenzio quel celebre Ordine che a pochi anni dalla sua fondazione era cresciuto talmente da assumere dimensioni enormi e dispiegava le forze di un gigante; quellOrdine che per senza che se ne presagisse la decadenza, che non segu la normale via percorsa dagli altri, n per quanto riguarda la sua fondazione, n il suo sviluppo, n tampoco la sua caduta; quellOrdine che, come stato detto molto giustamente, non ebbe n infanzia n vecchiaia: si sar gi capito che sto parlando dei Gesuiti. Capisco che gi il nome sar sufficiente a mettere in allarme una certa categoria di lettori, per cui mi affretto a tranquillizzarli precisando che non ho qui lintenzione di fare lapologia dei Gesuiti: tale compito non corrisponde alla natura di questopera. Inoltre, altri si sono incaricati di farlo, ed io non voglio ripetere quello che tutti sanno. Comunque sia, impossibile menzionare gli Istituti religiosi e dare unocchiata alla

storia religiosa, politica e letteraria dEuropa da tre secoli a questa parte, senza incontrare ad ogni pi sospinto i Gesuiti; impossibile attraversare le terre pi remote, solcare mari sconosciuti, approdare ai pi lontani lidi, penetrare nei pi spaventosi deserti senza trovare dappertutto qualche testimonianza dei Gesuiti; impossibile avvicinarsi a qualche scansia delle nostre biblioteche senza che ci si presenti lopera di qualche Gesuita. Stando cos le cose, i lettori nemici dei Gesuiti mi vorranno perdonare se fermiamo per alcuni minuti la nostra attenzione su un Istituto che ha riempito il mondo con la fama del suo nome. E quandanche si voglia prescindere dalla loro rinascita e si considerino come poco degne di esame sia la loro attuale esistenza che le possibilit del loro avvenire, sarebbe tuttavia della massima sconvenienza non parlarne almeno come fatto storico. Facendo diversamente saremmo simili a quei viaggiatori ignoranti e insensibili che camminano sulle pi preziose testimonianze del passato con stupida indifferenza. Parlando dei Gesuiti salta subito allocchio un fatto singolarissimo: nonostante la breve vita dellIstituto, se paragonata a quella degli altri Istituti, nessuno di questi ultimi dovette dispiegare altrettanta audacia. Ebbero fin dal loro nascere numerosi nemici; non ne furono mai privi, sia nella loro prosperit e grandezza che nella loro caduta; ed anche dopo labolizione del loro Istituto non mai cessata la persecuzione nei loro confronti, o per meglio dire, laccanimento. Da quando sono riapparsi son tenuti continuamente sotto osservazione perch si teme che tornino a riacquistare lantico potere; lo splendore che le pagine della luminosa storia della Compagnia riflettono su di loro li mette ovunque al centro dellattenzione ed accresce il timore di coloro che temono pi la fondazione di un Collegio di Gesuiti che uninvasione di Cosacchi. Vi sar dunque qualcosa di particolare e di straordinario in questo Istituto che attira in tal modo lattenzione della gente e il cui solo nome sufficiente per scombussolare i loro nemici. I Gesuiti non sono disprezzati, ma temuti; di tanto in tanto si vuol provare a metterli in ridicolo, ma subito si capisce che quando contro di loro si maneggia questarma, chi ladopera non ha la tranquillit necessaria per ottenere un buon risultato. Invano si finge di disprezzarli: attraverso la simulazione traspare linquietudine e il turbamento, si vede subito che chi li attacca sa di non essere in presenza di avversari di poco conto e gli si risveglia la bile, i lineamenti del viso si contraggono, le parole escono dalle labbra piene di una terribile amarezza come da una coppa di veleno stillano gocce. Si capisce allistante che prende a cuore la questione, che non guarda la faccenda come cosa su cui scherzare, e sembra dire a se stesso: Tutto ci che riguarda i Gesuiti un affare estremamente grave; con essi non si pu scherzare; non ci vogliono riguardi n condiscendenze, n ragionamenti dalcun genere: bisogna trattarli sempre con asprezza, con durezza, con esecrazione: la pi piccola negligenza potrebbe esserci fatale. O io minganno del tutto, o questa la migliore dimostrazione che si possa dare al sommo merito dei Gesuiti. Alle classi e alle corporazioni succede la stessa cosa che accade aglindividui: meriti eccezionali sono destinati a suscitare un gran numero di nemici per il semplice motivo che tali meriti sono sempre invidiati, e non poche volte temuti. Per formarsi unidea sulla vera origine di questodio implacabile contro i Gesuiti basta considerare quali siano i loro principali nemici. Si sa che in prima fila figurano i Protestanti e gli atei, venendo in seconda tutti coloro che pi o meno apertamente, pi o meno risolutamente, si mostrano poco portati o legati allautorit della Chiesa romana. Sia gli uni che gli altri in questodio che professano nei confronti dei Gesuiti sono guidati da un indubbio istinto, perch effettivamente non hanno mai incontrato un avversario pi temibile. Questa una riflessione sulla quale dovrebbero meditare molto i Cattolici veri, i quali per un motivo o per laltro sui Gesuiti nutrono in cuore ingiusti pregiudizi. Ricordiamo che quando si tratta di formare un giudizio sul merito e la condotta di una persona, molto spesso un mezzo sicuro per stabilire la verit tra opinioni contrastanti quello di chiedersi chi sono i suoi nemici. Considerando attentamente lIstituto dei Gesuiti, lepoca della sua fondazione, la rapidit e lentit dei loro progressi, si conferma sempre pi limportante verit che ho gi esposto in altre parti della meravigliosa fecondit della Chiesa cattolica nel far fronte con qualche intuizione degna di lei a tutte le necessit che sopravvengono. Il Protestantesimo combatteva i dogmi cattolici con uno sfarzoso apparato di erudizione e di dottrina; lo splendore della letteratura, la padronanza delle

lingue, il gusto per gli antichi modelli, tutto veniva adoperato contro la religione con una costanza e una passione degne di miglior causa. Si facevano sforzi incredibili per distruggere lautorit pontificia; e dove non si riusciva a distruggerla, si cercava almeno di screditarla e indebolirla. Il male si diffondeva con una rapidit terribile, il veleno mortale circolava gi nelle vene di una parte considerevole dei popoli europei, e il contagio minacciava di propagarsi nei paesi che erano rimasti fedeli alla verit; e per colmo di sventura lo scisma e leresia avevano incominciato ad attraversare i mari per andare a corrompere la fede pura dei popoli del nuovo mondo da poco evangelizzati. Che si doveva fare per far fronte a questa crisi? Un male cos grave poteva essere affrontato con i consueti accorgimenti? Era possibile opporsi a pericoli cos grandi e imminenti utilizzando le consuete armi? O non era forse opportuno fabbricarne di nuove che fossero di una tempera adatta al nuovo genere di lotte, affinch la causa della verit non si trovasse a combattere nella nuova arena in condizione di svantaggio? Non c dubbio: la comparsa dei Gesuiti fu la giusta risposta a queste domande; il loro Istituto la soluzione del problema. Lo spirito di quei secoli era essenzialmente uno spirito di progresso scientifico e letterario. LIstituto dei Gesuiti non ignorava questa verit, anzi la comprendeva perfettamente: bisognava avanzare rapidamente per non restare mai indietro in alcun ramo dello scibile umano; e cos faceva, e li affrontava tutti, senza per lasciarsi prendere la mano da nessuno di essi. Si studiarono le lingue orientali, si fecero grandi studi sulla Bibbia, si analizzarono le opere degli antichi padri e le testimonianze della tradizione e delle disposizioni ecclesiastiche. I Gesuiti erano sempre al loro posto, e dai loro collegi uscivano in gran numero opere di grande valore su queste materie. Il gusto per le controversie sul dogma si era diffuso per lEuropa, e in molte parti si conservava ancora lamore per le dispute scolastiche? Bene, dai Gesuiti uscivano opere immortali di controversia, mentre nello stesso tempo essi non la cedevano a nessuno in abilit e nelle sottigliezze scolastiche. Le matematiche, lastronomia, tutte le scienze naturali andavano prendendo slancio, e nelle capitali europee si fondavano circoli dintellettuali per coltivarle e favorirle? E i Gesuiti si distinguevano anche in questo ramo di studi, e brillavano di somma gloria nelle grandi accademie. Lo spirito dei secoli era di sua natura dissolvente: ma lIstituto dei Gesuiti era munito di mezzi preventivi contro la dissoluzione, e nonostante la velocit del suo avanzare marciava compatto e in buon ordine come un gran corpo darmata. Gli errori, le dispute senza fine, il numero infinito di nuove opinioni, gli stessi progressi delle scienze agitavano le menti comunicando allo spirito umano una funesta instabilit, un turbine impetuoso agitava tutto e tutto sconvolgeva: ma lIstituto dei Gesuiti, pur essendo in mezzo al turbine, non risentiva n dellincostanza, n della volubilit, proseguendo per la sua strada senza smarrirsi e senza deviare; e mentre nei suoi avversari non si scorgeva altro che lirregolarit di un procedere vacillante i Gesuiti camminavano con passo sicuro andando dritti al loro scopo, simili al pianeta che con leggi costanti percorre la sua orbita. Lautorit pontificia era combattuta accanitamente dai Protestanti e attaccata indirettamente in modo simulato e cauto da altri avversari: i Gesuiti invece le si mostravano fedelmente attaccati, la difendevano ovunque la vedessero minacciata, e quali sentinelle zelanti erano sempre allerta per la conservazione dellunit cattolica. La loro dottrina, il loro ascendente, le loro ricchezze non riducevano mai quella profonda sottomissione allautorit dei Papi con cui si distinsero fin da principio. Con la scoperta di nuove terre in Occidente e in Oriente era nato in Europa il gusto per i viaggi, le esplorazioni di terre lontane e la conoscenza delle lingue, delle usanze e dei costumi dei loro abitanti: e i Gesuiti, sparsi in tutto il mondo, mentre predicavano il Vangelo a tutte le nazioni non dimenticavano di studiare quanto poteva interessare alla colta Europa, e al ritorno dalle loro gigantesche spedizioni arricchivano il patrimonio della scienza moderna con preziosi tesori. Quale meraviglia dunque che i Protestanti si scatenassero con tanto furore contro questIstituto, vedendo in esso, come infatti era, un avversario cos terribile? Non c cosa pi naturale, poi, che su questo punto si trovassero daccordo con loro tutti gli altri nemici della religione, sia quelli che si mostravano tali a viso aperto che quelli che si camuffavano con pi o meno ipocrisia. E siccome tutti costoro incontrarono nei Gesuiti un muro di bronzo su cui andavano a infrangersi gli attacchi contro la religione cattolica; risolvettero allora di minare questo muro e di abbatterlo, e infine ci

riuscirono. Pochi anni erano passati dalla soppressione dei Gesuiti, e il ricordo dei grandi delitti che venivano loro imputati era completamente svanito tra le macerie e i guasti di una cos terribile rivoluzione, che unaltra uguale non sera mai vista. Glincauti che in buona fede avevano prestato orecchio alle insidiose calunnie si convinsero allora che le ricchezze, la dottrina, linfluenza e la presunta ambizione dei Gesuiti non avrebbero recato loro quel danno che era stato fatto credere: questi religiosi non avrebbero mai rovesciato un trono, n decapitato un re sul patibolo. Il Signor Guizot nel dare unocchiata alla civilt europea non ha potuto fare a meno dimbattersi nei Gesuiti; e bisogna pur ammettere che non ha reso loro la giustizia che meritano. Dopo aver sparso lamenti sulla contraddittoriet della riforma protestante e sulla limitatezza di spirito che lha diretta; dopo aver ammesso che i Cattolici sapevano benissimo quel che volevano e quel che facevano, che partivano da princpi fermi e giungevano fino alle estreme conseguenze, che non c mai stato un governo pi coerente di quello della Chiesa romana, che la Sede di Roma ha seguito sempre unidea ben precisa e ha sempre tenuto una condotta regolare e costante; dopo avere ben ponderata la forza che si acquista con la piena consapevolezza di ci che si fa e che si desidera: dopo tutto questo, con un disegno cos ben formato, con la piena e giusta adesione a questo sistema, cio dopo aver fatto senza rendersi conto un brillante panegirico e una convinta apologia della Chiesa cattolica, incontra come per caso i Gesuiti e pretende di muovere loro unaccusa: cosa non degna per un talento come il suo, che per acquistare una giusta reputazione non ha bisogno di compiacere volgari pregiudizi o meschine passioni. Tutti sanno egli dice che i Gesuiti furono il principale potere istituito per combattere la rivoluzione religiosa; leggete la loro storia e constaterete che hanno sempre fallito i loro tentativi, che ovunque sono intervenuti in modo significativo hanno sempre portato disgrazia alla causa a cui prendevano parte: in Inghilterra furono la rovina dei re e in Spagna del popolo. Il Signor Guizot in un primo momento ci ha decantato i vantaggi che uno ha sui suoi avversari con una condotta regolare e coerente, con la piena e precisa adozione di un sistema e con la saldezza in un principio fermo: e in questo modo praticamente ci ha presentato i Gesuiti come lespressione del sistema della Chiesa. Ed ecco che senza neanche accorgersene lo scrittore cambia strada improvvisamente e perde di vista tutti i vantaggi dellelogiato sistema, dal momento che quelli che seguono tale sistema, cio i Gesuiti, falliscono in tutti i loro tentativi e portano disgrazia alla causa che difendono. Chi pu conciliare tali contraddizioni? La potenza, linfluenza, la sagacia dei Gesuiti erano divenute proverbiali; il rimprovero che si muoveva loro era proprio di aver esteso troppo le loro mire, di aver formulato progetti ambiziosi, di essersi procurati con la loro abilit un deciso ascendente ovunque si erano introdotti. Gli stessi Protestanti avevano ammesso pubblicamente che i Gesuiti erano i loro avversari pi irriducibili, e si sempre ritenuto che la fondazione del loro Istituto avesse portato un immenso vantaggio al Cattolicesimo; ma adesso apprendiamo dal Signor Guizot che i Gesuiti hanno sempre fallito i loro tentativi e che il loro appoggio valeva tanto poco da attirare fatalit e disgrazie sulle cause che sostenevano. Se i Gesuiti servivano cos male, ma perch mai i loro servigi erano ricercati con tanta insistenza? Se gestivano cos male gli affari, come mai quelli pi importanti finivano nelle loro mani? Avversari cos inetti o cos sfortunati non avrebbero dovuto certamente mettere lo scompiglio nel campo nemico come invece avveniva. In Inghilterra essi furono la rovina dei re dice il Signor Guizot, e in Spagna del popolo. Non c cosa pi facile che fare simili affermazioni. Le quali racchiudono in pochissime parole una lunga storia, e facendo passare sotto gli occhi del lettore con la rapidit del fulmine uninfinit di vicende ammassate e confuse, non gli lasciano neanche il tempo di guardarle e ancor meno di chiarirle, come sarebbe opportuno. Il Signor Guizot avrebbe dovuto spendere qualche parola a prova della sua affermazione, indicare i fatti e stabilire le ragioni su cui si fonda per poter affermare che linfluenza dei Gesuiti sia stata cos funesta. Per quanto riguarda la rovina dei re dInghilterra, impossibile entrare nellanalisi delle rivoluzioni religiose e politiche che agitarono e desolarono quel paese per la durata di due secoli, iniziando dallo scisma di Enrico VIII. Queste rivoluzioni nel loro immenso percorso si presentano con fasi molto diverse, le quali, deformate e ancor pi falsificate dai Protestanti che ebbero il vantaggio di aver vinto (argomento che, se non

convincente, almeno decisivo) hanno dato occasione ad alcuni sprovveduti di credere che le sventure dellInghilterra si dovessero in gran parte far dipendere dallimprudenza dei Cattolici e, come indispensabile corollario, dai supposti intrighi della Compagnia di Ges. Comunque sia, la rinascita cattolica che iniziata in Inghilterra da mezzo secolo a questa parte, e i grandi lavori che si stanno facendo per rendere giustizia ai Cattolici, vanno dissolvendo le calunnie con cui era stata denigrata la loro reputazione. Ben presto la storia dei tre ultimi secoli sar rifatta come si deve, e la verit torner al suo posto. Questa riflessione mi dispensa dallentrare in modo particolare sul fatto asserito dal Signor Guizot riguardo allInghilterra; per non posso lasciare senza risposta ci chegli afferma gratuitamente riguardo alla Spagna. Afferma dunque il Signor Guizot che i Gesuiti in Spagna furono la rovina del popolo. Avrei voluto che egli ci avesse detto a quale rovina si riferiscono le sue parole, a quale epoca fanno allusione. Ora, percorrendo la nostra storia, non arrivo a capire quale sia la rovina che i Gesuiti recarono al popolo spagnolo, e non riesco a indovinare dove avesse posato locchio il Signor Guizot mentre faceva questaffermazione. Laver contrapposto la Spagna allInghilterra, e il popolo ai re, minduce a pensare che il Signor Guizot volesse alludere alla perdita della libert politica: non mi pare che vi sia altra interpretazione pi fondata e pi ragionevole. Ma in questo caso stento a credere che un uomo cos versato in questo genere di studi, che per di pi stava componendo un corso di storia generale della civilt europea, cadesse nellerrore di un imperdonabile anacronismo. Qualunque sia difatti il giudizio degli studiosi di diritto pubblico sulle cause che produssero la perdita della libert politica in Spagna e sui gravi avvenimenti del tempo dei re cattolici, di Filippo il Bello, della regina Giovanna la Pazza e della reggenza di Cisneros, tutti convengono in ogni caso che la guerra dei comuni fu il momento critico e decisivo per la libert politica in Spagna, tutti sono daccordo nel dire che allora si fecero gli ultimi sforzi da ambo le parti, e che la battaglia di Villalar e il supplizio di Padilla consolidarono ed ingrandirono il potere reale facendo svanire tutte le speranze dei sostenitori delle antiche libert. Ora, dunque, la battaglia di Villalar avvenne nel 1521, quando ancora non esistevano i Gesuiti, e S. Ignazio, loro fondatore, non era che un valoroso cavaliere che combatteva da eroe sotto le mura di Pamplona. Questo non ammette replica: tutta la filosofia e tutta leloquenza non arriveranno mai a cancellare le date. Durante il sedicesimo secolo le Cortes si riunivano pi o meno frequentemente, con pi o meno influenza soprattutto da parte della corona dAragona; ma chiaro, pi della luce del sole, che il potere reale dominava ogni cosa, che nessuno era in grado di resistergli, e il disgraziato tentativo degli Aragonesi, quando avvenne il fatto di don Antonio Perez, dimostra sufficientemente che non rimaneva pi alcuna traccia dellantica libert se non in quelle cose che non si opponevano alla volont dei re. Alcuni anni dopo la guerra dei Comuni Carlo V diede lultimo colpo alle Cortes di Castiglia con lescluderne il clero e la nobilt, e col lasciare solamente lEstamento de procuradores, difesa troppo debole contro le esigenze, e perfino le semplici allusioni, di un sovrano sui cui domni il sole non tramontava mai. Lesclusione del clero e della nobilt avvenne nel 1538, quando S. Ignazio era ancora impegnato nella fondazione del suo Istituto; i Gesuiti dunque non poterono avere nessuna parte in questa storia. Ma c di pi: da quando i Gesuiti si stabilirono in Spagna non fecero mai uso del loro ascendente contro la libert del popolo. Dalle loro cattedre non insegnarono mai dottrine favorevoli al dispotismo; se indicavano al popolo i suoi doveri li rammentavano anche ai re; se volevano che fossero rispettati i diritti del sovrano, non sopportavano per che fossero calpestati quelli del popolo. A testimoniare tali verit chiamo tutti coloro che hanno letto gli scritti dei Gesuiti di quel tempo su argomenti di diritto pubblico. I Gesuiti prosegue il Signor Guizot si opposero al normale corso degli avvenimenti, allo sviluppo della civilt moderna e alla libert dello spirito umano. Se il normale corso degli avvenimenti non che il normale corso del Protestantesimo; se lo sviluppo della civilt moderna lo sviluppo del Protestantesimo; e se la libert dello spirito umano non consiste in altro che nel funesto orgoglio e nella folle indipendenza che gli comunicarono i pretesi riformatori, in tal caso verissimo quanto dice il Signor Guizot. Ma se la difesa del Cattolicesimo ha qualche peso nella

storia dEuropa; se linfluenza cattolica nei tre ultimi secoli deve pur valere qualcosa; se dalla storia moderna non sono da cancellare i regni di Carlo V, di Filippo e di Luigi XIV; se si vuole considerare qualcosa che faccia da grande contrappeso per lequilibrio tra le due religioni; se la religione professata da Cartesio, Malabranche, Bossuet, Fenelon pu figurare degnamente nel quadro della civilt moderna; in questo caso non si riesce a capire come i Gesuiti, difendendo intrepidamente il Cattolicesimo, avessero potuto lottare contro il corso generale degli avvenimenti, contro lo sviluppo della civilt moderna e contro la libert dello spirito umano. Fatto il primo passo su una strada sbagliata, il Signor Guizot continua a sdrucciolare in una maniera deplorevole. Richiamo la massima attenzione dei lettori sulle evidenti contraddizioni che ora leggeranno. Non si vede dice egli nei loro progetti nulla di splendido, e nelle loro opere non si scorge nulla di grande. Evidentemente egli dimentica completamente questa affermazione, o per meglio dire la rinnega senza far mistero, poich alla distanza di poche righe soggiunge: Ci nonostante non vi cosa pi certa: essi sono stati grandi, e lidea della grandezza va unita al loro nome, alla loro influenza e alla loro storia. I Gesuiti sapevano quel che facevano e quello che volevano, avevano una conoscenza piena e limpida dei princpi con cui agivano e dello scopo a cui si dirigevano; in una parola, ebbero la grandezza del pensiero e la grandezza della volont. Vorremmo chiedere al Signor Guizot: com possibile che non vi sia magnificenza nei progetti e grandezza nelle opere quando vi grandezza di idee, grandezza di pensiero e grandezza di volont? Il genio, nel condurre le sue pi grandi imprese, e nelleffettuare i pi giganteschi progetti, cosa ha di pi appropriato che un grande pensiero e una grande volont? Lintelletto concepisce, la volont mette in esecuzione; quello forma il modello, questa lo applica; quando vi sia grandezza nellesecuzione, potr mai mancare la grandezza nellopera? Continuando il Signor Guizot nellimpegno che si assunto di demolire i Gesuiti, fa un confronto tra loro e i Protestanti, confondendo le idee e dimenticando la natura delle cose in modo tale e a tal punto che si stenterebbe a credere, se le sue stesse parole non ce lo dimostrassero con la massima evidenza. Non capendo che i termini di un paragone non devono essere di natura completamente diversa, perch in tal caso non c possibilit di confronto, mette un Istituto religioso a confronto con intere nazioni, e arriva a rimproverare i Gesuiti per non avere sollevato i popoli in massa, e per non aver cambiata la condizione e il regime degli Stati. Ecco le parole del Signor Guizot: I Gesuiti agivano per vie sotterranee, oscure, secondarie, per vie nientaffatto adatte a colpire limmaginazione e a conciliar loro quel pubblico interesse che va sempre unito alle cose grandi, qualunque ne sia il principio e lo scopo. Viceversa, il partito contro cui lottarono i Gesuiti, non solo sconfisse i propri avversari, ma ne trionf con gloria e splendore; fece cose grandi e con mezzi ugualmente grandi; sollev i popoli, riemp lEuropa di uomini grandi, cambi alla luce del sole la sorte e la forma degli Stati. In una parola, tutto era contro i Gesuiti: la fortuna e le apparenze. Sia detto con buona pace del Signor Guizot, ma bisogna pur ammettere che sarebbe preferibile, per lonore della sua logica, che si potessero cancellare dalle sue opere simili proposizioni. Ma come! I Gesuiti avrebbero dovuto manovrare le nazioni, far sollevare in massa i popoli, cambiare la sorte e il regime degli stati? Che razza di religiosi sarebbero stati quelli che avesse fatto simili cose, o le avessero anche semplicemente immaginate? Si detto che i Gesuiti avevano unambizione smisurata e che pretendevano di dominare il mondo; e adesso nel metterli a confronto con i loro avversari si rinfaccia loro che questi avversari hanno messo sottosopra il mondo, e di ci si fa un merito agli stessi avversari per buttar gi i Gesuiti. In verit i Gesuiti non tentarono mai dimitare i loro nemici in queste cose; e in quanto allo spirito di turbolenza e di scompiglio cedono volentieri la palma a coloro cui spetta di diritto. In quanto agli uomini grandi, se si parla di quella grandezza che pu entrare nelle imprese dei ministri di un Dio di pace i Gesuiti ebbero queste qualit in un grado superiore a qualunque elogio. Si trattasse delle incombenze pi ardue, o dei pi giganteschi progetti scientifici e letterari, o di viaggi lunghi e pericolosi, o di missioni piene di gravi e incombenti pericoli, i Gesuiti non si tirarono mai indietro; anzi manifestarono uno spirito cos ardito e intraprendente che merit loro la pi alta reputazione. Se gli uomini grandi di cui ci parla il Signor Guizot, erano queglinquieti

demagoghi che alla testa di un popolo senza freno disturbavano la quiete pubblica; se erano quei soldati protestanti che si distinsero nelle guerre di Germania, di Francia e dInghilterra, il paragone privo di senso e non ha alcun valore. Perch sacerdoti e guerrieri, religiosi e demagoghi appartengono ad ordini cos diversi, e le loro opere hanno un carattere cos differente, che il confronto impossibile. Giustizia voleva che in confronti di questo genere i Gesuiti non venissero presi come termine di paragone con i Protestanti, a meno che non sintendesse fare il confronto con i ministri riformati; ed anche in questo caso non sarebbe del tutto corretto. Perch nella grande contesa tra le due religioni non furono solo i Gesuiti a difendere il Cattolicesimo: nei tre ultimi secoli la Chiesa ha contato grandi prelati, santi sacerdoti, eminenti teologi, scrittori di primordine, che non erano della Compagnia; questa fu uno dei principali lottatori, ma non fu lunico. Se proprio si voleva porre a confronto il Protestantesimo col Cattolicesimo, si sarebbe dovuto contrapporre a nazioni protestanti nazioni cattoliche, a ministri protestanti sacerdoti cattolici, e cos teologi con teologi, politici con politici, guerrieri con guerrieri. Fare il contrario significa confondere mostruosamente i nomi e le cose, e fare assegnamento pi di quanto sia giusto sulla scarsa intelligenza e sullestrema benevolenza di chi ascolta e di chi legge. Senza tema di sbagliare il Protestantesimo, se si segue il metodo che abbiamo indicato, non appare cos brillante come il Signor Guizot pretende di aver dimostrato. Egli sa bene che, sia nella penna, sia nella spada che nellabilit politica, i Cattolici non la cedono ai Protestanti. Questa storia: leggetela.

CAPITOLO XLVII Stato attuale degli Istituti religiosi. Quadro della societ. Incapacit dellindustria e del commercio di colmare il cuore delluomo. Disposizione degli spiriti riguardo alla religione. Necessit degli studi religiosi per salvare le societ attuali. Allordine sociale manca un mezzo e un punto fisso. Il progresso delle nazioni europee stato sviato. Non bastano i mezzi materiali per frenare le masse, ci vogliono mezzi morali. Gli Istituti religiosi possono armonizzarsi col futuro della societ. _______________ Nel fissare lo sguardo sul vasto e immenso quadro che ci presenta le comunit religiose; nel ricordarne lorigine, le diverse forme, le vicende di povert e di ricchezza, di miseria e di prosperit, di tiepidezza e di fervore, di rilassatezza e di austere riforme; nel pensare allinfluenza che sotto tanti aspetti hanno esercitato sulla societ nelle diverse situazioni in cui questa si trovata; nel vederle sussistere ancora, risorgendo or qua or l a dispetto di tutti i tentativi dei loro nemici, viene naturale porsi questa domanda: a questo punto, quale sar il loro avvenire? In alcune parti sono andate decadendo, come va in rovina un muro corroso silenziosamente dal tempo, in altre sparirono improvvisamente come tenera pianticella divelta dal soffio delluragano. A prima vista esse sembrerebbero condannate senzappello soprattutto dallo spirito del secolo. Limmanente, messo sul trono, estende ovunque il suo impero, e a mala pena lascia allo spirito un attimo di tempo per raccogliersi e meditare; non rimane quasi pi palmo di terra dove non giunga lo strepito delle attivit industriali e commerciali. Il quadro sembra dunque confermare le previsioni della filosofia atea, avversa ad una categoria di uomini consacrati allorazione, al silenzio e alla solitudine. Eppure i fatti smentiscono tali opinioni; e mentre il cuore del Cristiano conserva tuttora le pi lusinghiere speranze che si rinforzano e ravvivano ogni giorno di pi, e ammira la mano della Provvidenza che porta a compimento i suoi alti disegni burlandosi dei vani pensieri delluomo, anche al filosofo si presenta un vasto campo di meditazioni con le quali intuire il probabile avvenire delle comunit religiose, e immaginare linfluenza che sar loro riservata nei destini della societ. Abbiamo gi visto che la vera origine degli Istituti religiosi nello spirito stesso della religione cattolica; e la storia conferma questo nostro giudizio dicendoci che questi Istituti sono comparsi

ovunque si sia stabilita la religione. In questa o quella forma, con queste o quelle regole, con questo o quello scopo, ma la cosa non cambia: da ci possiamo dedurre che dove rimasto il Cattolicesimo gli Istituti religiosi torneranno a presentarsi in un modo o nellaltro. Questo una previsione che si pu fate in tutta sicurezza, e non c da temere che sia smentita dai tempi. Viviamo in un secolo immerso in un materialismo edonistico. Ci che viene chiamato interesse positivo, o in termini pi chiari la ricchezza e i piaceri, ha acquistato un tale ascendente che da quel che sembra c pericolo che alcune societ ritornino ai costumi del paganesimo, la cui religione praticamente era la materia divinizzata. Ma in un quadro cos desolante, e mentre lo spirito rattristato e abbattuto, possiamo osservare che lanima delluomo non morta, e che la sublimit delle idee, la nobilt e dignit dei sentimenti non sono ancora del tutto banditi dalla faccia della terra. Lo spirito umano si sente troppo grande per limitarsi a miseri oggetti, e sa che pu ancora risalire pi in alto di un mondo pieno di vapore. Osservate quello che accade riguardo al progresso industriale. Quelle macchine fumanti che escono dai nostri porti con la velocit di una freccia per attraversare limmensit dei mari; quelle altre che solcano le pianure, penetrano nel cuore delle montagne ed effettuano sotto i nostri occhi ci che sarebbe sembrato un sogno ai nostri antenati; quelle altre ancora che comunicano il moto a fabbriche colossali, e che simili allopera di un mago fanno muovere uninfinit di strumenti per eseguire con una precisione incredibile i pi delicati lavori; tutto questo, per quanto sia grande e meraviglioso, non ci fa rimanere attoniti, e non richiama la nostra attenzione pi di quanto non facciano gli altri oggetti comuni che abbiamo intorno. Luomo sente di essere ancora pi grande di queste macchine e di questi congegni, il suo cuore un abisso che nulla pu riempire. Dategli il mondo intero, e sar sempre ugualmente vuoto: non se ne pu scandagliare la profondit; lanima creata ad immagine e somiglianza di Dio non pu essere soddisfatta che dal possesso di Dio. La religione cattolica, richiamando continuamente questi alti pensieri, ci mostra questo vuoto immenso. In tempi di barbarie sinstall in mezzo a popoli rozzi e ignoranti per condurli alla civilt; ora se ne resta tra popoli civilizzati per prevenirli contro la dissoluzione da cui sono minacciati. Nulla la smuove: n la freddezza, n il disprezzo col quale lindifferenza e lingratitudine degli uomini la ripagano; essa ammonisce incessantemente, rivolge senza sosta ai fedeli le sue esortazioni, fa risuonar la sua voce allorecchio dellincredulo e si conserva, intatta e immutabile, in mezzo allagitazione e allinstabilit delle cose umane. Cos vediamo quelle meravigliose basiliche che abbiamo ereditato dalla pi remota antichit rimanersene integre e salde attraverso lazione dei tempi, delle rivoluzioni e delle agitazioni. Intorno ad esse sinnalzano e poi spariscono le abitazioni del mortale: la capanna del povero come il palazzo del potente. Il nereggiante edificio si presenta come una misteriosa apparizione scura in mezzo alle campagne ridenti e alle splendide facciate che la circondano. La cupola gigantesca annulla quanto lattornia e la sua cuspide ardita si perde fra le nuvole. Le opere della religione cattolica non restano senza frutto: glintelletti pi profondi ne riconoscono la verit e anche quelli che non vogliono sottomettersi alla sua fede ne ammettono lutilit, la necessit, la bellezza; la guardano come il fatto storico di maggiore importanza, e convengono che da lei dipende il buon ordine e la felicit delle famiglie e degli Stati. Ma Dio che vigila sulla conservazione della Chiesa non si accontenta di queste concessioni della filosofia: una pioggia di grazie onnipotenti cade dallalto, lo Spirito di Dio si diffonde e rinnova la faccia della terra. Avviene di frequente che uomini scelti si tuffino nel vortice di un mondo corrotto e indifferente, uomini la cui fronte fu lambita dalla fiamma dellispirazione e il cui cuore arde del fuoco dellamore celeste. Nel ritiro delleremo e nella meditazione delle verit eterne il loro spirito acquista quella forte tempra che necessaria per portare a compimento le pi ardue imprese. Di fronte ai motteggi e allingratitudine questi uomini si consacrano imperturbabili al servizio e alla consolazione dellumanit sofferente, alleducazione dellinfanzia e alla conversione dei popoli pagani. La religione cattolica sussister sino alla consumazione dei secoli; e finch essa durer ci saranno sempre di questi uomini privilegiati che Dio sceglie tra tutti gli altri per chiamarli ad una santit straordinaria o per consolare e alleviare i mali dei loro fratelli. Questi uomini si cercheranno

vicendevolmente, si uniranno per pregare, formeranno una societ per aiutarsi lun laltro nei loro progetti, chiederanno la benedizione apostolica al Vicario di Ges Cristo e fonderanno Istituti religiosi. Che poi siano quelli antichi a cui vengano apportate opportune modifiche, o che siano altri completamente nuovi, che abbiano questa o quella forma, questo o quel sistema di vita, che vi si vesta questo o quellabito, tutto ci nulla importa: lorigine, la natura e il fine non saranno mutati nella loro sostanza. Invano gli sforzi delluomo si opporranno ai miracoli della grazia. Lo stesso stato delle societ attuali richieder la presenza degli Istituti religiosi; perch quando si sar fatto un esame pi preciso dellorganizzazione dei popoli moderni, quando con le amare lezioni del tempo e con i terribili suoi disinganni si sar potuto un po chiarire il vero stato delle cose, si constater che tanto nellordine sociale, quanto nel politico si sono fatti degli errori pi gravi di quanto ora si creda, nonostante il molto che gi s fatto per la correzione delle idee grazie allesperienza di tante e tanto dolorose prove. evidente che le societ attuali manchino dei mezzi di cui hanno bisogno per far fronte alle necessit alle quali vanno soggette. La propriet si divide e suddivide sempre pi, e va diventando ogni giorno pi mobile ed incostante; lindustria aumenta le sue produzioni in un modo che fa spavento; il commercio si va dilatando senza limiti. Tutto ci significa che siamo vicini a toccare il culmine della pretesa perfezione sociale indicato da quella scuola materialista che non ha visto negli uomini altro che macchine, e non ha pensato che la societ potesse incamminarsi verso un fine pi utile e grandioso dellimmenso sviluppo deglinteressi materiali. Nella stessa proporzione dellaumento delle produzioni cresciuta la miseria, e per qualunque uomo di senno e perspicace chiaro come la luce del sole che le cose hanno preso una cattiva piega; che qualora non si ponga rimedio in tempo, il fallimento sar inevitabile; e che quella nave che sta navigando a grande velocit, a vele gonfie e col vento in poppa, si sta dirigendo dritta contro uno scoglio che la far colare a picco. Laccumulo delle ricchezze, conseguenti al dinamismo del settore industriale e mercantile, tende a produrre un sistema che sfrutta la vita e il sudore di molti per il vantaggio di pochi. Questa tendenza per trova un contrappeso nelle idee livellatrici che bollono nelle menti di molti, e che espresse in diverse teorie attaccano pi o meno apertamente lattuale organizzazione del lavoro, la ripartizione dei prodotti e la stessa propriet. Una moltitudine immensa di gente che vive in miseria e manca distruzione e di educazione morale si sente disposta a sostenere concretamente disegni criminosi e insensati non appena una funesta combinazione di circostanze permetta di tentarne limpresa. Non c bisogno di confermare con esempi queste sinistre asserzioni; lesperienza quotidiana le conferma anche troppo. In presenza di una simile situazione, vorrei chiedere alla societ di quali mezzi essa disponga per migliorare le condizioni della massa, e per controllarla e contenerla. chiaro che per conseguire il primo di questi due propositi non basta la capacit creativa dellinteresse privato, n listinto di conservazione delle classi pi agiate. Queste, cos come sono formate attualmente, propriamente parlando non hanno le caratteristiche di una classe sociale, perch non sono altro che un insieme di famiglie uscite ieri dallombra e dalla povert, che procedono velocemente per tornare col stesso da dove uscirono, cedendo cos il posto ad altre che andranno a percorrere lo stesso circolo. Non si scorge in esse nulla di fisso e di stabile; vivono loggi senza pensare al domani; non sono come lantica nobilt la cui origine si perdeva nella notte dei tempi, e la cui struttura e robustezza promettevano molti secoli di vita. Con essa si poteva seguire un sistema, ed infatti si seguiva, perch chi viveva oggi era sicuro di vivere domani. Adesso invece tutto mobile ed incostante; glindividui e le famiglie si affannano per accumulare ricchezze, non gi per fondare una solida base che attraverso i secoli sia destinata a sostenere la magnificenza e lorganizzazione di unillustre casata; ma si tesaurizza oggi per godere oggi stesso; e la sensazione della breve durata accresce la vertigine della frenesia dissipatrice. Son passati quei tempi in cui le famiglie opulente facevano a gara per fondare qualche istituzione perenne che ne attestasse la generosit e perpetuasse la fama del nome. Gli ospedali e le altre case di beneficenza non escono dagli scrigni dei banchieri come uscivano un tempo dagli antichi castelli, dalle abbazie e dalle chiese. Bisogna pur dirlo anche se doloroso: le classi agiate della societ attuale non fanno pi il loro dovere. I poveri devono

rispettare la propriet dei ricchi, ma i ricchi sono daltra parte obbligati a soccorrere i poveri nelle loro miserie: cos ha stabilito Dio. Da quanto fin qui esposto si deduce che nellorganizzazione sociale manca il sostegno della beneficenza. Per la verit viene praticata, ma proprio come una pratica amministrativa, e si tenga presente che lamministrazione non costituisce la societ, in quanto la suppone gi esistente e formata; di conseguenza quando per salvare la societ si ricorre a mezzi puramente amministrativi si tenta una cosa che fuori dellordine della natura. Invano verranno studiate nuove misure, invano saranno elaborati ingegnosi progetti e saranno tentati nuovi esperimenti. La societ ha bisogno di un elemento di maggiore efficacia. necessario che il mondo si sottometta o alla legge dellamore o alla legge della forza; o alla carit o alla schiavit: tutti quei popoli in cui non risiedeva la carit, non hanno trovato altro mezzo per risolvere il problema sociale che quello di assoggettare il maggior numero di individui al degradante stato di schiavit. La ragione insegna, e la storia conferma, che lordine pubblico, la propriet, la societ stessa, non possono sussistere senza la scelta di uno di questi due mezzi opposti; le societ moderne non potranno esimersi dalla legge universale, e i sintomi che abbiamo davanti agli occhi ci mostrano in modo inequivocabile quale futuro aspetta le generazioni che ci seguiranno. Per fortuna esiste ancora nel mondo il fuoco della carit, ma costretto a covare sotto la cenere dellindifferenza e dei pregiudizi degli emp, i quali si mettono in allarme per ogni scintilla che di tanto in tanto ne viene fuori come se minacciasse di produrre un pericoloso incendio. Qualora le istituzioni fondate esclusivamente sulla carit venissero assecondate, ben presto si toccherebbe con mano gli effetti benefici che ne deriverebbero e la padronanza che esse hanno su tutto ci che si fonda su princpi diversi. Non possibile far fronte alle necessit accennate se non mediante lorganizzazione di grande sistemi di beneficenza diretti dalla carit; e questa organizzazione non pu avvenire senza gli Istituti religiosi. fuor di dubbio che i Cristiani laici possono formare delle societ che corrispondano a questo fine; ma restano sempre da svolgere numerosissimi impegni, e ci non possibile senza la dedizione di persone che si siano ad essi esclusivamente consacrate. Inoltre c bisogno di un punto di riferimento per tutte le attivit, e che presentando per sua natura una garanzia di continuit, ne impedisca le interruzioni e quegli inevitabili episodi che accadono quando a collaborare sono in molti senza che tra loro vi sia un vincolo abbastanza forte per preservarli dalla divisione, dalla disgregazione e forse anche dai dissidi interni. Il vasto sistema di cui stiamo parlando si deve estendere non solamente al settore della beneficenza come viene intesa comunemente, ma anche alleducazione delle masse. La fondazione di scuole rester sterile, se non addirittura dannosa, qualora non riceva la sua forza dalla religione; ma questa forza sar solamente teorica se le scuole non saranno dirette dai ministri della stessa religione. Il clero secolare potr bens sostenere una parte di questi compiti, ma non tutti: perch sia per la loro scarsit che per le altre incombenze di cui devono farsi carico, non possono ampliare la loro attivit in modo cos rilevante come richiesto dalle necessit del tempo. Considerato tutto ci si pu concludere che la diffusione degli Istituti religiosi attualmente di una tale importanza sociale che non pu non essere riconosciuta, se non da chi voglia chiudere gli occhi allevidenza dei fatti. Riflettendo sullordinamento delle nazioni europee, si vede subito che qualche causa funesta ne ha stravolto il corso originario, poich si trovano indubbiamente in una situazione cos singolare, che non pu dipendere dai princpi sui quali nacquero e si svilupparono. evidente che quel gran numero di persone che nellodierna societ ha modo di disporre liberamente di tutte le sue ricchezze, non ha fatto parte, cos come le vediamo adesso, del disegno originario e della struttura della vera civilt europea. Quando si creano delle forze opportuno sapere per cosa le si utilizzer, in che modo le si debba muovere e dirigere; altrimenti ci si deve aspettare scontri terribili, agitazione infinita, disordine e distruzione. Il meccanico che non pu introdurre nella sua macchina una forza senza sconvolgere larmonia delle altre, si guarda bene dal farcela entrare; e sacrifica volentieri una maggiore velocit o un maggiore impulso del sistema, alla necessit primaria di dover salvaguardare la macchina, nonch larmonia e lefficacia del funzionamento. Nella societ

attuale c questa forza che non in armonia con le altre; e le persone incaricate della direzione della macchina non si dnno granch pensiero per ottenere questa armonia che manca. Nessun mezzo efficace opera sulla moltitudine, fuorch un ardente desiderio di migliorare lo stato sociale, di conquistare lagiatezza e di poter godere i piaceri di cui godono le classi ricche. Nulla c per indurla a rassegnarsi ai rigori della sorte, per consolarla nelle miserie, per rendere tollerabili i mali attuali con la speranza di un migliore avvenire, per ispirarle il rispetto per la propriet, l'osservanza delle leggi, la sottomissione al governo; nulla per far nascere nei cuori la gratitudine verso le classi potenti, nulla che ne temperi i rancori, ne diminuisca l'invidia, ne calmi la collera; nulla che ne sollevi i pensieri al di sopra delle cose terrene, che ne distacchi gli affetti dai piaceri sensuali; nulla, infine, per formare nei cuori una moralit tanto salda da impedirle di imboccare la china verso il vizio e il delitto. Se osserviamo bene, per porre un freno al popolo i filosofi di questo secolo fanno conto su tre mezzi che essi ritengono sufficienti, ma che la ragione e lesperienza dimostrano che sono inefficaci, ed alcuni anche dannosi. Questi mezzi sono: linteresse privato inteso in senso positivo; la forza pubblica bene impiegata; lo snervamento dei corpi e linfiacchimento dellanimo che allontanano la plebe dai mezzi violenti. Facciamo sentire al povero dice la filosofia che anche lui ha il suo interesse a rispettare la propriet del ricco; che anche le sue capacit e il suo lavoro sono una vera propriet, la quale nondimeno non esige meno rispetto delle altre. Manteniamo una forza pubblica imponente, pronta sempre ad accorrere sul luogo del pericolo e a soffocare sul nascere i tentativi di disordine; organizziamo una polizia che come una vastissima rete si estenda sulla societ, e al cui penetrante sguardo niente possa sottrarsi. Saziamo il popolo di divertimenti di ogni genere e a buon mercato, e facciamo in modo che abbia i mezzi per imitare nei suoi grossolani eccessi i raffinati piaceri dei nostri teatri e dei nostri salotti; cos i costumi del popolo si addolciranno, cio si snerveranno, e la plebe, sentendo la debolezza nelle braccia e la codardia nel petto, sar nellimpossibilit di effettuare grandi sommosse. Questo allincirca lidea che si pu dare del sistema suggerito da coloro che, senza prendere in considerazione la religione, pretendono di controllare la societ e di mettere un freno alle passioni turbolente. Fermiamoci un momento ad esaminare questi mezzi. cosa facilissima scrivere con una bella prosa che il povero ha interesse a rispettare la propriet del ricco, e che per questa sola considerazione ritenga utile contribuire al mantenimento dellordine stabilito, anche lasciando da parte tutti i princpi morali e tutto ci che non riguarda linteresse puramente materiale. cosa facilissima scrivere dei libri interi per esporre simili dottrine; ma la difficolt sta nel farlo capire al povero padre di famiglia condannato ad una dura fatica dalla mattina alla sera immerso in unatmosfera puzzolente e malsana, o a lavorare in una miniera nelle viscere della terra, il quale pu guadagnare appena il necessario sostentamento per s e per i suoi figli; e che la sera rientrando nel suo fangoso abituro invece di riposo e di sollievo trova il pianto della moglie e dei figli che gli chiedono un tozzo di pane. In realt non stupisce che una simile teoria non sia accolta favorevolmente da quegli sventurati, e che la loro intelligenza non possa elevarsi tanto da capire perfettamente la parit tra i poveri e i ricchi riguardo allinteresse di tutti nel dovuto rispetto per la propriet. Diciamolo senza ambiguit: se i princpi morali vengono messi al bando, se si vuole fondare il rispetto per la propriet esclusivamente sullinteresse privato, le parole rivolte ai poveri non sono che una solenne impostura; perch falso che linteresse privato del povero sia uguale allinteresse privato del ricco. Immaginate una rivoluzione delle pi terribili, supponete che si sconvolga da cima a fondo l ordine stabilito, che il potere soccomba, che tutte le istituzioni sprofondino, che spariscano le leggi, che le propriet siano spartite o siano lasciate al primo che se ne impadronisca. Non c dubbio che in questo caso il ricco ci rimetta. Vediamo per cosa succede o pu succedere al povero: gli sar forse rubato il suo miserabile avere? Nessuno ci penser, perch la miseria non tenta la cupidigia. Mi direte che gli mancher il lavoro e che poi ne conseguir la fame: vero. Ma non capite che in quel momento il popolo come uno che gioca, e che leventualit della perdita del lavoro viene compensata dalla probabilit di avere parte nel ricco bottino? Mi risponderete che questa parte non

gli sar concesso di conservarla. Ma riflettete: se la sorte gli far cambiare la povert in ricchezza, non c dubbio che in tal caso penser ad un nuovo ordine, una nuova legislazione, un governo che gli garantisca i diritti acquisiti e non permetta che si annullino i fatti compiuti. Gli mancherebbero forse modelli da imitare? Esempi recentissimi sono dunque stati dimenticati cos facilmente? Il povero vede bene che un gran numero di suoi pari soffrir infinite sventure senza alcuna ricompensa; sa bene che egli stesso sar forse nel numero di questi sventurati. Supponete allora che non abbia altra guida che linteresse, supponete che le nuove sventure portate allestremo non possano procurargli che indigenza e fame, alle quali cose egli gi abituato da molto tempo per il minimo compenso alle sue fatiche o per le frequenti interruzioni del lavoro dovute alle vicende dellindustria; vorrete in questi casi bollare di temerario il suo ardire, se si esporr al rischio di aumentare soltanto un poco le sue privazioni con la speranza di potersene liberare per sempre? Qui una questione di calcolo; e quando si tratta del proprio interesse la filosofia non ha alcun diritto di intromettersi nei calcoli del povero. La forza pubblica e la vigilanza della polizia sono le due basi su cui si fonda la principale fiducia; e certamente non senza ragione, perch attualmente dobbiamo a loro se il mondo non va sottosopra da cima a fondo. Oggi non si vedono moltitudini di schiavi avvinti in catene come nei tempi antichi, bens intere armate con le armi in pugno che perlustrano le citt. Se si osserva bene, dopo tante discussioni, tanti esperimenti, tante riforme e cambiamenti, le questioni di governo e di ordine pubblico si sono infine risolte pressappoco in una questione di forza. Guardate la Francia: la classe ricca ha le armi in pugno per resistere ai tentativi del povero; e al disopra delluno e dellaltro ci sono gli eserciti per mantenere lordine a cannonate, se occorre. Non si pu certo dire che la situazione in cui sotto questo aspetto si trovano le nazioni europee non sia singolare. Dalla caduta di Napoleone in poi le grandi potenze hanno goduto di una pax romana, a parte piccole vicende che qua e l linterruppero per qualche momento. N loccupazione dAncona, n la presa di Anversa, n la guerra di Polonia si possono considerare guerre europee; e quella di Spagna, circoscritta per la sua peculiarit in un teatro ristretto, non poteva n attraversare i mari, n varcare i Pirenei. Ad onta di tutto ci, nella situazione europea figurano eserciti immensi, e i costi che ci vogliono per mantenerli opprimono i popoli ed esauriscono lerario. A cosa serve tutto questo apparato militare? Credereste forse che si tengano in piedi forze cos gigantesche soltanto perch i governi si trovino pronti e organizzati nel caso di una guerra totale di cui si sente sempre minacciare ma che non scoppia mai, e che non temuta n dai popoli n dagli stessi governi? No, sono destinate ad un altro fine, servono a supplire alla mancanza di mezzi morali, la quale mancanza si fa sentire dappertutto in un modo biasimevole, e soprattutto proprio in quella nazione dove furono proclamati con la massima ostentazione i nomi di giustizia e libert. Lo snervamento delle classi popolari per mezzo di un lavoro monotono e senza sforzo, e di un completo abbandono ai piaceri pu essere considerato da alcuni come un elemento dordine; perch cos sinfiacchisce quel braccio che dovrebbe vibrare il colpo. Bisogna ammettere che i proletari del nostro secolo non sono in grado di dispiegare la terribile energia dei popolani dun tempo, i quali, scosso il giogo dei signori feudali, combattevano corpo a corpo contro quei formidabili paladini che avevano acquistato un nome immortale sui campi della Palestina. Inoltre, ai nuovi rivoluzionari mancherebbe quellardore e quellentusiasmo che nasce dalle idee grandi e generose: luomo che combatte solo per procurarsi dei piaceri non sar mai capace di eroici sacrifici. Questi sacrifici esigono abnegazione e sono incompatibili con legoismo; e la sete di piaceri precisamente legoismo portato al pi alto grado. A parte queste riflessioni, il caso di notare che un tenore di vita puramente materiale e senza laiuto dei princpi morali finisce con lannebbiare le idee e spegnere i sentimenti, e immerge lanimo in una specie di apatia, e in un oblio di se stesso che in certi casi pu far le veci del coraggio. Il soldato che marcia tranquillo verso la morte dopo unorgia bestiale e il suicida che si toglie la vita con la massima calma senza pensare cosa lo aspetti, si trovano in questa disposizione: nella temerit delluno e nella fermezza dellaltro c il disprezzo per la vita. Allo stesso modo, qualora le passioni venissero riaccese dalle agitazioni dei tempi, le

classi popolari potrebbero manifestare quellenergia di cui essi stessi non si credono capaci, soprattutto se incoraggiate dal loro immenso numero e guidate da astuti ed ambiziosi demagoghi. Comunque sia, certo che la societ non pu procedere senza lazione dei mezzi morali, che questi non possono restare nei ristretti limiti in cui sono tenuti, e che quindi indispensabile favorire lo sviluppo di istituzioni adatte ad esercitare questa influenza morale in un modo concreto ed efficace. Non bastano i libri: diffondere listruzione un mezzo insufficiente e che pu essere addirittura dannoso se non fondato su solide basi religiose. La propagazione di un sentimento religioso vago, indefinito, senza regole, senza dogma, senza culto, non servir ad altro che ad estendere grossolane superstizioni nelle classi popolari e a formare una religione sentimentale e fantasiosa nelle classi agiate: rimedi vani, che senza arrestare il progredire del male accrescono lo stordimento dellinfermo e ne accelereranno la morte. Educazione, istruzione, moralizzazione del popolo: ecco le parole che vanno sulla bocca di tutti, e che mostrano con quanta forza sia generalmente sentita la piaga del corpo sociale e lurgente necessit di porvi riparo in tempo onde prevenire mali incalcolabili. Per questo in tante teste si agitano idee ispirate alla beneficenza, per questo si tenta sotto varie forme di aprire scuole per fanciulli e per adulti, ed altre simili istituzioni; ma qualunque cosa si faccia, sar senza frutto se non si affida alla carit cristiana. Si cerchi pure di ricavare vantaggio dalle conoscenze che su questa materia siano state acquisite con lesperienza; si utilizzino pure le novit di carattere amministrativo per meglio conseguire lo scopo; ci si impegni affinch gli istituti siano adattati alle necessit e ai bisogni attuali, e si faccia in modo che n lo zelo della carit intralci lazione del potere pubblico, n questo dal canto suo metta mai ostacolo allazione della carit: ma non si dimentichi che nulla di tutto ci impossibile quando si lascia la dovuta influenza alla religione cattolica, di cui si pu dir in tutta verit che si fa tutto a tutti per guadagnare tutti. Le menti meschine che non vedono pi in l di un ristretto orizzonte; i cuori malvagi che si nutrono di rancore e godono nel provocare od e attizzare vili passioni; e i fanatici di una civilt meccanizzata che non giungono a vedere altro propulsore che il vapore, altro movente che il denaro, altro fine che la produzione, altro termine che il godere: tutti costoro non faranno certamente molto caso alle riflessioni che ho fatte fin qui. Costoro non vedono neanche quello che passa sotto i loro stessi occhi; per loro lo sviluppo morale dellindividuo e della societ non significa niente, la storia muta, lesperienza sterile e lavvenire un nulla. Ma per fortuna si trova ancora un numero considerevole di persone che credono il loro spirito pi nobile dei metalli, pi potente del vapore e troppo grande per poter essere appagato da un piacere passeggero. Ai loro occhi luomo non un essere che vive per caso, e che trasportato dalla corrente dei secoli in balia delle circostanze; un essere che non debba pensare agli alti destini che lo aspettano e a prepararvisi degnamente facendo buon uso delle qualit intellettuali e morali con cui stato favorito dallAutore della natura. Se il mondo fisico soggetto alle leggi del Creatore non lo meno il mondo morale; e se la materia pu essere in mille modi impiegata a beneficio delluomo, lo spirito creato ad immagine e somiglianza di Dio si sente altres provvisto di una tale quantit di forze da poter operare in una sfera pi elevata onde servire al bene dellumanit, senza limitarsi ad amalgamare o a modificare la materia. Lo spirito immortale non deve essere lo strumento o lo schiavo di quellelemento materiale di cui per voler di Dio gli fu concesso il governo e il dominio. Lasciate che la fede nellesistenza di unaltra vita e la carit discesa dal seno dellAltissimo vengano a fecondare questi nobili sentimenti e ad esaltare e dirigere questi alti pensieri, e vi renderete conto che la materia non ha alcun titolo per essere la regina del mondo, e che il Re della creazione conserva tuttora i Suoi diritti. Ma se pretendete di costruire sopra una base diversa da quella che stata stabilita dallo stesso Dio, guardatevi dallabbandonarvi ad una lusinghiera ma folle speranza, perch il vostro edificio sar la casa costruita sullarena: caddero le piogge, soffiarono i venti, e croll con gran fragore (1).

CAPITOLO XLVIII

La religione e la libert. Rousseau. I Protestanti. Diritto divino. Origine del potere. Diritto divino inteso erroneamente. San Giovanni Crisostomo. Patria potest. Sue relazioni con lorigine dellautorit civile. _______________ Nel capitolo XIII ebbi a dire: Viene da fremere per lindignazione quando si sente che alla religione di Ges Cristo viene attribuita la tendenza a ridurre in schiavit. Certo, se si confonde lo spirito della vera libert con lo spirito dei demagoghi, nel Cattolicesimo la loro libert non si trova; ma se non si vuole cambiare mostruosamente i nomi, se si d alla parola libert il suo senso pi ragionevole, il pi giusto, il pi utile, il pi amabile, in tal caso la religione cattolica pu reclamare la gratitudine del genere umano: essa ha portato la civilt nelle nazioni che lhanno professata, e la civilt la vera libert. Da quanto ho dimostrato finora il lettore avr potuto giudicare se il Cattolicesimo stato favorevole o contrario alla civilt europea, e di conseguenza se la vera libert ne abbia risentito alcun danno. I vari temi sui quali lo abbiamo posto a confronto col Protestantesimo hanno messo in luce gli orientamenti negativi di questo, e i benefci che ha procurato invece il Cattolicesimo: non possiamo aver dubbi sul giudizio di una mente giusta e illuminata. Siccome la vera libert dei popoli non poggia sulle apparenze, ma risiede nellintima loro organizzazione, come la vita nel cuore, potrei dispensarmi dal mettere a confronto le due religioni sul tema della libert politica; ma lo far ugualmente perch non voglio che mi si dica che ho schivato una questione delicata per timore che il Cattolicesimo non ne uscisse con onore, n desidero che resti il sospetto che il Cattolicesimo in questa materia non possa venirne fuori con lo stesso successo ottenuto nelle altre. Per chiarire bene la questione che costituisce loggetto di questopera, sar necessario esaminare a fondo quale fondamento abbiano le accuse generiche che a riguardo vengono fatte al Cattolicesimo, e gli elogi che sono tributati alla pretesa riforma. Sar quindi necessario porre in evidenza il fatto che le imputazioni fatte alla religione cattolica di favorire la schiavit e loppressione, non sono che calunnie gratuite; e smascherare con laiuto della filosofia e della storia la prevenzione menzognera con cui gli atei e i Protestanti hanno tentato dingannare i popoli, sostenendo che il Cattolicesimo era favorevole alla schiavit, che la Chiesa era il baluardo dei tiranni, e che il Papa era lamico e il protettore naturale di quanti si adoperavano per umiliare gli uomini e per renderli schiavi. In questa disputa si presentano due campi sui quali affrontarsi: quello delle dottrine e quello dei fatti. Prima di rivolgerci ai fatti esaminiamo le dottrine. Chi disse che il genere umano aveva perduto i suoi diritti e che Rousseau li aveva ritrovati, sembra che non dovette fare molta fatica nellesaminare i veri diritti del genere umano e quelli falsi tirati fuori dal filosofo di Ginevra nel suo Contratto Sociale. Difatti si potrebbe quasi dire che il genere umano aveva gi i suoi diritti belli e buoni e riconosciuti come tali, e che semmai fu Rousseau a farglieli perdere. Lautore del Contratto Sociale si mise in testa di esaminare a fondo lorigine dellautorit civile, e le sue sconsiderate dottrine invece di chiarire la questione non hanno fatto che ingarbugliarla maggiormente. Credo che su questo tema fondamentale non si siano mai avute idee tanto nebulose e confuse quanto da alcuni secoli in qua. Le rivoluzioni hanno prodotto uno sconvolgimento sia nella dottrina che nella prassi; i governi sono stati o rivoluzionari o reazionari, e le dottrine si sono imbevute sia della rivoluzione che della reazione. difficilissimo acquisire dai libri moderni una conoscenza chiara, certa ed esatta sullorigine, il genere e le relazioni dellautorit civile con i sudditi. In alcuni troveremo Rousseau, in altri Bonald: Rousseau un sabotatore che scava per demolire; e Bonald leroe che porta in salvo gli di tutelari della citt in preda alle fiamme, ma temendone la profanazione, li porta coperti con un velo. opportuno far notare che non sarebbe giusto dire che fu Rousseau il primo che incominci a confondere le idee su questo tema: in diverse epoche vi sono

stati degli scellerati che hanno fatto in modo di turbare la societ per mezzo di dottrine anarchiche; ma il fatto di metterle tutte insieme per formarne teorie fuorvianti risale soprattutto ai tempi in cui nacque il Protestantesimo. Lutero nellopera De libertate christiana sparse i semi dinterminabili dispute con la sua insensata dottrina che il Cristiano non suddito di nessuno. Invano successivamente cerc di rimediare dicendo che non si riferiva ai magistrati n alle leggi civili: i contadini della Germania si presero essi la briga di tirarne le conseguenze con linsorgere contro i loro signori e col provocare una terribile guerra. Il diritto divino proclamato dai Cattolici stato accusato di favorire il dispotismo; e si andati tanto oltre su questa strada, da considerarlo cos contrario ai diritti del popolo che questa espressione spesso usata per mettere quello in contrapposizione a questi. Il diritto divino, inteso bene, non si oppone ai diritti del popolo, ma ai loro eccessi; e lungi dal portare fuori misura la forza del potere, la rinchiude piuttosto nei limiti della ragione, della giustizia e dellinteresse pubblico. Guizot nelle sue lezioni sulla civilt europea, parlando di questo diritto proclamato dalla Chiesa, dice: il nuovo principio sublime e morale, ma difficile che riesca ad accordarsi con i diritti della libert e con le garanzie politiche. (Lez.9). Quando uomini come Guizot, che hanno per scopo specifico dei loro studi questo genere di questioni, prendono equivoci in un modo cos deplorevole su questo punto, non ci si pu meravigliare che accada lo stesso a scrittori dozzinali. Prima di procedere oltre dovr fare una considerazione che dovr essere sempre tenuta presente. In queste materie si parla continuamente della scuola di Bossuet, di quella di Bonald, facendo uso in varie maniere di nomi propri. Rispetto pi di ogni altro il merito di questi e di altri insigni uomini che ha avuto la Chiesa cattolica, tuttavia faccio notare che la Chiesa non si rende garante di altre dottrine che non siano quelle che essa stessa insegna; che non si personifica con nessun particolare studioso; e che essendo stata pronunciata da Dio stesso la Parola di verit infallibile in materia di fede e di morale, non permette che i fedeli aderiscano ciecamente alla semplice parola di un uomo, per quanto grande ne sia il merito, la santit e la sapienza. Chi desidera conoscere linsegnamento della Chiesa cattolica consulti le definizioni dei Concili e quelle dei Sommi Pontefici; consulti anche i dottori di illustre e pura reputazione, ma si guardi bene dal mescolare le opinioni di un autore, per quanto stimabile possa essere, con le dottrine della Chiesa e con la voce del Vicario di Ges Cristo. Facendo questa raccomandazione non intendo giudicare le opinioni di nessuno, ma solamente prevenire le persone poco versate negli studi ecclesiastici a non confondere in nessun caso i dogmi rivelati con le semplici riflessioni delluomo. Fatta questa premessa entriamo pure decisamente nella disputa. In cosa consiste questo diritto divino di cui tanto si parla? Per chiarire bene la questione conviene prima di tutto determinare appropriatamente gli oggetti su cui verte, perch essendo questi assai differenti tra loro, altrettanto differenti saranno le applicazioni che verranno fatte di questo principio. In questa materia importantissima molte sono le questioni che si presentano; ci nonostante non mi sembra difficile ridurle alle seguenti, le quali abbracciano tutte le altre: Qual lorigine dellautorit civile? Quali ne sono le facolt? lecito resisterle in qualche caso? Prima questione: Qual lorigine dellautorit civile? Come va inteso che questa autorit viene da Dio? Io non so quale confusione si sia introdotta su questi punti, ed certamente doloroso che proprio in unepoca cos turbolenta come la nostra se ne abbiano delle idee tanto false ed equivoche; perch per quanto si dica, le dottrine non sono mai del tutto trascurate nelle rivoluzioni e nelle restaurazioni: gli interessi recitano senzaltro la parte principale, ma non restano mai soli sul palcoscenico. Il miglior mezzo per formarsi idee chiare su questo punto quello di ricorrere agli antichi autori, servendosi principalmente di quelli le cui dottrine sono state rispettate per lungo tempo, che continuano ad esserlo tuttora, e che vengono considerati guide sicure per la buona interpretazione delle dottrine ecclesiastiche. Questo modo di studiare la presente questione non pu essere respinto neanche da coloro che stimano poco questi autori, perch qui non si tratta tanto di esaminare la verit di una dottrina, quanto dindagare in che consista la dottrina stessa; e per questo non vi possono essere testimoni

meglio informati, n giudici pi competenti, di quelli che hanno consacrata tutta la loro vita allo studio di quella dottrina. Questultima riflessione non si oppone per nulla a ci che abbiamo detto prima riguardo alla diligenza che bisogna avere per non confondere le semplici opinioni degli uomini con le sacre dottrine della Chiesa; ma tende a ricordare la necessit di rivolgersi ad una certa categoria di autori che non meritano certamente di essere dimenticati in modo cos ingrato. Non possibile che per molti secoli persone tanto scrupolose si siano dedicate a queste gravi fatiche senza produrre qualche frutto. Potremo capire meglio il pensiero di quegli antichi autori andando ad esaminare come essi abbiano applicato il principio generale del diritto divino nei due diversi modi: in quanto origine dellautorit civile, e in quanto origine dellautorit ecclesiastica. Perch da questa diversit uscir una vivissima luce che chiarisce e sbroglia tutte le difficolt. Leggete le opere dei pi insigni teologi, consultate i loro trattati sullorigine dellautorit del Papa, e vi renderete conto che nel fondare questa autorit sul diritto divino essi non soltanto la fanno derivare da Dio in senso generale, cio in quanto ogni essere viene da Dio; non soltanto in senso sociale, cio in quanto essendo la Chiesa una societ, Dio ha voluto che vi sia unautorit che la governi; ma la fanno derivare in un senso del tutto esclusivo, in quanto cio Dio stesso istitu questautorit, Egli stesso ne stabil la forma e design la persona che ne fu rivestita. Da ci deriva che il successore di S. Pietro per diritto divino il supremo Pastore della Chiesa universale ed ha il primato su tutta la Chiesa stessa. Primato sia di onore che di giurisdizione. In quanto allautorit civile, ecco in che modo si esprimono. In primo luogo ogni autorit viene da Dio, perch lautorit un essere, e Dio la fonte di tutti gli esseri; lautorit un dominio, e Dio il Signore e il primo padrone di tutte le cose; lautorit un diritto, e in Dio si trova lorigine di tutti i diritti; lautorit un motore morale, e Dio la causa universale di ogni tipo di movimento; lautorit diretta ad un fine eminente, e Dio il fine di tutte le creature, e la sua Provvidenza ordina e regola tutto con soavit ed efficacia. Cos vediamo che S. Tommaso, nella sua opera De regimine principum, afferma che ogni dominio viene da Dio come primo padrone, la qual cosa pu essere in tre modi: o in quanto il dominio un essere, o in quanto motore, o in quanto fine (Lib. 3. cap. 1). Giacch mi sono riferito a questo criterio per spiegare lorigine dellautorit, mi dispongo subito a confutare Rousseau il quale, alludendo a questa dottrina, mostra di averla capita molto male: Ogni autorit egli dice viene da Dio: sono daccordo. Ma anche le malattie vengono da Dio; e si dovr dire per questo che mi sia proibito di chiamare il medico? (Contratto sociale lib. 1. cap. 3). Effettivamente uno dei significati che si d allorigine divina dellautorit che tutti gli esseri finiti derivano dallessere infinito; ma questo significato non lunico, perch i teologi sanno benissimo che questa idea, in s sola, non definisce la legittimit, e che comune alla forza fisica; giacch, come soggiunge lautore del Contratto sociale, la pistola del ladro anchessa unautorit. Rousseau in questo passo per apparire originale si e mostrato futile; e per lo sfizio di uscirne con un motto arguto ha cambiato i termini della questione. Infatti non ci voleva molto a capire che trattando dellautorit civile non si parla di un potere materiale, ma di unautorit morale, di unautorit legittima, altrimenti sarebbe fatica inutile cercarne lorigine. Sarebbe lo stesso che investigare da dove vengono le ricchezze, la salute, la robustezza, il valore, lastuzia e le altre qualit che contribuiscono a formare la forza materiale di ogni autorit. La questione dunque si riferisce a quellessere morale che si chiama autorit; e nellordine morale lautorit illegittima non unautorit, non un essere: non nulla. E perci non c bisogno di cercarne lorigine n in Dio n altrove. Lautorit dunque deriva da Dio come fonte di ogni diritto, di ogni giustizia e di ogni legittimit; e nel considerare questa autorit non gi come un essere fisico, ma bens come un essere morale, si giunge alla conclusione che pu essere venuta solamente da Dio, in cui risiede la pienezza dellessere. Questa dottrina, presa in generale, non solamente non va soggetta a difficolt di nessun genere, ma deve anche essere accettata senza discussione da quanti non professano lateismo: solo gli atei possono metterla in dubbio. Passiamo ora alle particolarit che la questione racchiude; e vediamo se

i teologi cattolici insegnano la minima cosa che non sia ragionevolissima anche agli occhi della filosofia. Secondo questi teologi luomo non stato creato per vivere solo. La sua esistenza suppone una famiglia perch senza di questa non si potrebbe perpetuare il genere umano: il suo istinto lo porta quindi a formare una famiglia. Le famiglie sono unite fra loro per mezzo di relazioni intime e indistruttibili: hanno delle necessit comuni; le une non possono vivere bene, e neanche conservarsi, senza laiuto delle altre; dunque si sono riunite formando la societ. Questa societ non pu sussistere senza ordine, n lordine pu esistere senza la giustizia; e tanto la giustizia quanto lordine hanno bisogno di un custode, di un interprete e di un esecutore. Ecco lautorit civile. Dio che ha creato luomo, e che ha voluto la conservazione del genere umano, ha di conseguenza voluto anche che si formasse la societ e lautorit di cui questa ha bisogno. Dunque lesistenza dellautorit civile conforme allautorit di Dio, come lo la patria potest: se la famiglia ha bisogno di questa, la societ non ha meno bisogno di quella. Il Signore si degnato di preservare dai sofismi e dagli errori questimportante verit dicendoci nelle Sacre Scritture che ogni autorit deriva da Lui, che siamo obbligati a prestarle obbedienza, e che chi le si oppone si oppone allordine di Dio. Non riesco a vedere cosa si possa mai obbiettare su questo modo di spiegare lorigine della societ e dellautorit che la governa: cos si salva il diritto naturale, il diritto divino e il diritto umano. Tutti questi diritti sintrecciano fra loro e si rafforzano scambievolmente; la sublimit della dottrina pari alla sua semplicit; la rivelazione sancisce quanto ci viene detto dal lume della ragione; la grazia insomma conferma la natura. Ecco a cosa si riduce il famoso diritto divino, quello spauracchio che viene mostrato agli ignoranti o agli sprovveduti per far credere loro che la Chiesa cattolica nellinsegnare lobbligo, fondato sulla legge di Dio, di obbedire alle autorit legittime, propone un dogma che avvilisce la dignit umana ed incompatibile con la vera libert. Quando si sente qualcuno deridere il diritto divino dei re, sembra che costoro intendano che noi Cattolici riteniamo che il cielo spedisca agli individui o alle dinastie reali una specie di decreto che conferisca loro tale diritto, e che noi ignoriamo grossolanamente la storia delle vicende delle autorit civili. Se costoro avessero esaminato meglio la materia avrebbero appreso che noi, ben lungi dal poter essere rimproverati per tali sciocchezze, non facciamo altro che stabilire un principio la cui necessit fu riconosciuta da tutti gli antichi legislatori, e che sappiamo conciliare benissimo il nostro dogma con le sane dottrine filosofiche e con i fatti storici. A prova di tutto questo si veda con quale ammirevole lucidit San Giovanni Crisostomo spiega questo aspetto nella ventitreesima omelia sulla Lettera ai Romani. Non c autorit che non venga da Dio. Che dici dunque: che ogni principe costituito da Dio? Io non dico questo; perch non parlo di nessun principe in particolare, ma della cosa in s, cio dellautorit stessa, e affermo che lesistenza dei principati opera della divina sapienza, e che tutte le cose non sono abbandonate al capriccio del caso(Hom. 23. In epist. ad Rom.). Per questo motivo non dice: Non vi principe che non venga da Dio, ma tratta della cosa in s, dicendo: Non vi autorit che non venga da Dio. Dalle parole di San Giovanni Crisostomo si capisce bene che secondo i Cattolici ci che di diritto divino lesistenza di un potere che governi la societ, e che questa non rimane abbandonata in bala delle passioni e dei capricci. Dottrina la quale, mentre assicura lordine pubblico col fondare su motivi di coscienza lobbligo di ubbidire, non va a toccare le questioni subalterne che lasciano sano e salvo il principio fondamentale. Se ci viene obiettato che, ammessa linterpretazione di San Giovanni Crisostomo, non vi era alcun bisogno che il sacro testo cinsegnasse quello che con tanta evidenza ci va dettando la ragione, risponderemo: primo, che nella Sacra Scrittura sono espressamente prescritti molti obblighi che ci sono imposti dalla stessa natura indipendentemente da qualunque diritto divino, come quello di onorare i genitori, di non uccidere, di non rubare ed altri simili; secondo, che in questo caso cera una fortissima ragione per cui gli Apostoli raccomandassero in modo particolare lubbidienza alle autorit legittime e sanzionassero in termini chiari e decisivi questobbligo fondato sulla stessa

legge naturale. Infatti lo stesso San Giovanni Crisostomo ci dice che in quei tempi era molto estesa lopinione che faceva passare gli Apostoli per dei sediziosi o dei riformatori che in tutti i loro discorsi ed atti cercavano di sovvertire le leggi comuni (S. Joan. Chrisost. hom. 23: in Epist. ad Timoth.). A questo si riferiva senza dubbio lApostolo S. Pietro quando, ammonendo i fedeli sullobbligo di ubbidire alle autorit, diceva loro: Perch questa la volont di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca allignoranza degli stolti (1 Pt 2, 15). Sappiamo anche da S. Girolamo che nei primi tempi della Chiesa alcuni, sentendo predicare la libert evangelica, immaginavano che sintendeva con questo la libert in senso generale. La necessit dinculcare un dovere la cui osservanza indispensabile per la conservazione della societ, molto evidente se ci si rende conto che questo errore poteva radicarsi molto facilmente in quanto lusinga le menti orgogliose e amanti dei disordini. Erano gi passati quattordici secoli, e notiamo che questo errore si manifestato ai tempi di Wicleffo e di Giovanni Hus, e che gli anabattisti portarono le sue orribili conseguenze ad un punto tale da inondare di sangue la Germania. Poco dopo i settari fanatici dInghilterra provocarono i peggiori disordini e le pi spaventose catastrofi con quella sconsiderata dottrina che riuniva nello stesso anatema il sacerdozio e limpero. La religione di Ges Cristo, legge di pace e di amore, predicando la libert parlava di quella che ci libera dalla schiavit dei vizi e dal potere del demonio, facendoci coeredi di Ges Cristo e partecipi della Sua grazia e della Sua gloria; ma era ben lontana dal propagare dottrine che favorissero i disordini o sovvertissero le leggi e le autorit; e perci era importantissimo disperdere le calunnie con cui i suoi nemici cercavano di macchiarla, ed era necessario che proclamasse con le parole e con i fatti che la causa pubblica non aveva nulla da temere dalle nuove dottrine. Cos vediamo che quantunque gli Apostoli avessero ripetuto continuamente questo santo dovere, i padri dei primi tempi ritornarono pi volte ad insistere sul medesimo argomento. San Policarpo, citato da Eusebio (Lib. 4. Hist. cap. 15), parlando al proconsole gli dice: A noi comandato di rendere il dovuto onore ai magistrati e alle autorit costituite da Dio. S. Giustino nellApologia per i Cristiani ricorda allo stesso modo il precetto di Cristo di pagare i tributi. Tertulliano nella Sua Apologia (cap. 3) rinfaccia ai gentili le persecuzioni che dirigevano contro i Cristiani nel mentre questi con le mani levate al cielo pregavano Dio per la salute degli imperatori. Lo zelo apostolico di questi padri incaricati dellinsegnamento e della guida dei fedeli instill talmente questo precetto nei loro cuori che i Cristiani furono ovunque un modello di sottomissione e di ubbidienza. Cos Plinio, scrivendo allimperatore Traiano, ammetteva che, a parte la questione religiosa, i Cristiani non potevano essere accusati della minima mancanza o disubbidienza alle leggi e agli editti imperiali. La natura stessa ha stabilito le persone in cui risiede la patria potest; le necessit della famiglia ne segnano i confini; i sentimenti del cuore prescrivono loggetto e ne regolano la condotta. Nella societ la cosa diversa, perch il diritto dellautorit civile coinvolto nel turbine degli eventi umani: qui risiede in una sola persona, l in molte; oggi appartiene ad una dinastia, domani sar passato ad unaltra; ieri veniva esercitato sotto questa forma, oggi sotto unaltra molto diversa. Il bambino piangendo tra le braccia della madre le ricorda in modo ben chiaro lobbligo che essa ha di nutrirlo e di averne cura; la moglie, fragile e senza sostegno, dice al marito che sia lei che il figlio hanno bisogno di protezione: e linfanzia debole, senza forze per reggersi, senza conoscenze per regolarsi, palesa al padre e alla madre lobbligo di mantenerla ed educarla. Qui si vede chiara la volont di Dio: lordine stesso della natura ne la pi viva espressione; i pi teneri sentimenti ne sono leco e linterprete. Non c bisogno di aspettare altro per conoscere la volont del Creatore, non c bisogno di cavillare per cercare la via per cui la patria potest discesa dal cielo: i diritti e i doveri dei padri e dei figli sono scritti a caratteri chiari e bellissimi. Ma dove troveremo riguardo allautorit civile unespressione cos chiara e fuori di ogni equivoco? Se il potere viene da Dio, attraverso quali mezzi lo comunica? Di quale via si serve? Questo ci porta ad altre questioni secondarie, le quali per sono tutte dirette a chiarire e a risolvere la principale.

C mai stato uomo che sia stato investito dellautorit civile per diritto naturale? Se c stato, si capisce subito che non ha avuta altra origine che quella della patria potest; cio, che la potest civile in questo caso dovrebbe considerarsi come unestensione della patria potest, come una trasformazione del potere domestico in potere civile. Salta subito allocchio la differenza tra lordine domestico e quello sociale, il diverso scopo delluno e dellaltro, la diversit delle regole a cui devono andar soggetti, e il fatto che i mezzi di cui si fa uso nella gestione delluno, sono molto diversi da quelli che simpiegano nellaltro. Non nego che la societ non assomiglia alla famiglia, e che la prima tanto pi bella e soave quanto pi si avvicina allimitazione della seconda, sia nel comandare che nellobbedire; ma le semplici analogie non bastano per costituire i diritti, e resta sempre fuor di dubbio che quelli dellautorit civile non si possono confondere con quelli della patria potest. Daltra parte la natura stessa delle cose ci dimostra che la Provvidenza, nel decidere i destini del mondo, non stabil la patria potest come fonte dellautorit civile; perch non vediamo come si sarebbe potuto trasmetter una simile autorit, n per quali vie fosse possibile giustificare la legittimit dei titoli. facile ammettere il piccolo regno di un uomo anziano che governa una societ composta soltanto di due o tre generazioni della sua stessa stirpe; ma nel momento in cui questa societ cresce, si estende a vari paesi e poi si divide e suddivide, il potere patriarcale sparisce perch se ne rende impossibile lesercizio: e non si riesce a capire come i pretendenti al trono potranno intendersi fra loro e con gli altri per legittimare e giustificare lautorit. La teoria che nella patria potest riconosce lorigine dellautorit civile potr essere bella quanto si vuole; potr vantare la testimonianza che le sembra di trovare nei governi patriarcali delle prime societ umane; ma due cose le si oppongono: la prima, che afferma ma non prova; la seconda, che inutile per lo scopo che si propone, cio quello di legittimare i governi, perch nessuno di questi pu provare la sua legittimit se si pretende di fondarla su una tale attribuzione: dal pi potente sovrano allultimo suddito sanno che sono tutti figli di No, e nientaltro. Questa teoria non contemplata n da San Tommaso, n da alcun altro dei principali teologi, e, andando pi su, tanto meno possibile fondarla sulla dottrina dei santi padri, sulla Tradizione della Chiesa, o sulla Sacra Scrittura. Si tratta dunque di una mera opinione filosofica, e toccher a coloro che la espongono chiarirla e dimostrarla; il Cattolicesimo non dice nulla, n pro n contro. Essendo quindi chiaro che lautorit civile non risiede in alcun uomo per diritto naturale, e sapendo daltronde che lautorit viene da Dio, chi riceve da Dio questa autorit? Come la riceve? Prima di tutto necessario notare che la Chiesa cattolica nel riconoscere lorigine divina dellautorit civile, origine che espressamente manifestata nella Sacra Scrittura, non definisce nulla, n riguardo alla forma di tale autorit, n ai mezzi di cui Dio si avvale per comunicarla. Per cui, una volta stabilito il dogma cattolico, resta ancora un vastissimo campo per esaminare chi riceva direttamente siffatto potere, e come si trasmetta. Questa cosa riconosciuta dagli stessi teologi quando trattano questimportante questione; e ci dovrebbe bastare per fugare i preconcetti di coloro che su questo punto vedono nella dottrina della Chiesa un mezzo per condurre alla schiavit dei popoli. La Chiesa insegna lobbligo di ubbidire alle autorit legittime, e aggiunge che il potere che esse esercitano deriva da Dio; e questa dottrina confacente sia alla monarchia assoluta sia alla repubblica, perch non dice nulla pregiudizialmente n sulle forme di governo, n sui particolari requisiti di legittimit. Queste ultime questioni sono di natura tale che non si possono risolvere in una tesi generale; esse dipendono da mille circostanze alle quali non giungono i princpi universali che in ogni societ sono il fondamento dellordine e della quiete pubblica. Sono talmente convinto dellimportanza di dover chiarire bene le idee su questo tema mediante lesposizione delle dottrine elaborate dai pi eminenti teologi cattolici, che mi accingo a dedicarvi un apposito capitolo.

CAPITOLO XLIX

Dottrine dei teologi sullorigine della societ. Orientamento dei teologi cattolici confrontato con quello dei moderni scrittori. San Tommaso. Bellarmino. Suarez. SantAlfonso Maria de Liguori. Padre Concina. Billuart. Il compendio salmaticense. _______________ Gli studi di questi teologi concernenti le questioni di diritto pubblico sono quanto mai istruttivi e importanti. Questi autori, senza atteggiarsi a uomini di governo, e non essendo neanche spinti da mire ambiziose, parlano senza adulazione e senza acredine, ed espongono queste materie con tanta tranquillit e pacatezza come se si trattasse soltanto di teorie di scarso impegno e le cui conseguenze siano ristrette ad un mbito di poca importanza. Ai nostri tempi non possibile aprire un libro senza capire subito a quale dei partiti militanti appartenga lautore; ed ben raro che le sue idee non mostrino limpronta di una certa faziosit o lo scopo di propagandare progetti di proprio interesse; ed una fortuna se non cade il sospetto che, per mancanza di convinzioni, si esprime in questo o in quel modo solo perch cos gli conviene. Non succede altrettanto con gli antichi scrittori di cui stiamo parlando: necessario rendere loro la giustizia che meritano, perch le loro opinioni sono conformi alla loro coscienza e il linguaggio onesto e schietto. Qualunque sia il giudizio che se ne formi, sia che vengano consideranti veri sapienti, sia che li si voglia far passare temerariamente per fanatici ed ignoranti, non per lecito dubitare che le loro parole non siano sincere; come non si pu dubitare, siano essi dominati da unidea religiosa, o seguano un sistema filosofico, che la loro penna non sia lo strumento fedele dei loro pensieri. Rousseau decise di indagare sullorigine della societ e dellautorit civile, e incominci il primo capitolo della sua opera in questi termini: Luomo nasce libero, e dappertutto si trova in catene. Non si scorge qui chiaramente il demagogo sotto il manto del filosofo? Non evidente che lo scrittore invece di rivolgersi allintelletto si rivolge alle passioni, toccandone la pi sensibile e pi facile ad insorgere, cio lorgoglio? Invano egli cercherebbe di far credere che non intendeva mettere in pratica le sue dottrine: le sue parole rivelano il cuore. In un altro punto della sua opera, volendo addirittura offrire i suoi consigli ad una grande nazione, appena entrato in argomento che gi scaglia sullEuropa la torcia incendiaria: Quando si legge egli dice la storia antica, uno si crede trasportato in un altro mondo e in mezzo ad altri esseri. Cosa hanno di comune i Francesi, glInglesi, i Russi con i Romani e i Greci? Poco meno dellaspetto. Gli spiriti vigorosi di questi sembrano a quelli esagerazione della storia. Chi si sente cos piccolo, come potrebbe mai pensare che siano esistiti uomini cos grandi? Eppure vi furono, ed erano della nostra stessa specie. Cosa cimpedisce dunque di essere come loro? I nostri pregiudizi, la nostra modesta filosofia, le passioni del meschino interesse concentrate nellegoismo per mezzo di istituzioni inette che non furono mai opera del genio (Considerazioni sul governo di Polonia cap. 2). Non si nota forse il veleno che stillano le parole del filosofo? Non si tocca con mano che cerca qualcosa di pi che illuminare lintelletto? Che tenta con i suoi artifici dirritare gli animi, di ferirli e infiammarli nel modo pi malvagio e scandaloso? Andiamo allestremo opposto del confronto, e vediamo con quale diverso tono S. Tommaso dAquino nella sua opera De regimine principum inizia ad illustrare la stessa materia e fornisce i suoi consigli per il buon governo: Se luomo dovesse vivere solo, come avviene in molte specie di animali, non avrebbe bisogno di nessuno che lo diriga ad un fine, ma ciascuno sarebbe il re di se stesso sotto lautorit di Dio sommo re, in quanto regolerebbe se stesso nei suoi atti per mezzo del lume della ragione che il Creatore gli ha data. Ma luomo per natura un animale sociale e politico, e deve vivere in comunit a differenza degli altri animali, cosa molto evidente per le stesse necessit naturali. Infatti, per gli altri animali la natura prepar gli alimenti, la pelliccia che li ricopre, i mezzi di difesa come zanne, corna, artigli, o almeno la rapidit nella fuga; ma luomo non stato dotato di nessuna di queste qualit, e al loro posto la natura gli ha fornito la ragione per mezzo della quale e con laiuto delle mani pu procurarsi ci di cui ha bisogno. Ma per raggiungere questo scopo non basta un uomo solo, perch non basterebbe a se stesso neanche per difendere la propria vita;

dunque necessit naturale per luomo vivere in societ. Oltre a ci agli altri animali la natura ha dato listinto di distinguere quello che loro utile o dannoso: cos la pecora ha per natura paura del suo nemico, il lupo. Vi sono inoltre certi animali che per natura riconoscono le erbe che possono servire loro come medicamento, ed altre cose necessarie alla loro conservazione; ma luomo non ha alcuna conoscenza naturale delle cose necessarie alla sua esistenza se non in modo generico; perch con laiuto della ragione che dai princpi universali pu arrivare alla conoscenza delle cose particolari necessarie alla vita umana. Non essendo dunque possibile che un uomo arrivi da solo a tutte queste conoscenze necessario che viva in societ con altri, e che tutti si aiutino a vicenda occupandosi ciascuno del rispettivo compito: per esempio uno svolge la sua opera nella medicina, un altro in questo campo e un altro in quello. La stessa cosa si rileva in modo evidentissimo per la facolt di parlare che esclusiva delluomo, il quale pu cos comunicare agli altri tutti i suoi pensieri; mentre gli altri animali comunicano vicendevolmente solo i loro comuni sentimenti, cos come il cane che abbaiando esprime la collera, e pure gli altri esprimono i loro sentimenti in varie maniere. Luomo quindi pi comunicativo nei confronti dei suoi simili di quanto non lo siano tutti gli altri animali, compresi quelli pi inclini a vivere insieme come le gru, le formiche e le api. per questo che il re Salomone dice nellEcclesiaste: meglio esser due che uno solo, poich hanno il vantaggio dellaiuto reciproco. Se dunque naturale per luomo vivere in societ con altri, necessario che vi sia tra loro chi governi tutti. Perch altrimenti, se non ci fosse uno che si prendesse cura del bene comune, stando insieme molti uomini e facendo ognuno ci che gli pare inevitabile che la societ finirebbe per decomporsi, cos come accadrebbe al corpo umano, e a quello di qualunque altro animale, se non vi fosse una forza ordinatrice nel corpo avente per scopo il bene di tutte le membra. Ed perci che Salomone dice: Dove non si trova un governatore, il popolo si disperder. Nelluomo stesso lanima regola il corpo; e nellanima le facolt irascibile e concupiscibile sono governate dalla ragione. Anche tra le membra del corpo ve n uno principale che li muove tutti, come il cuore, o la testa. Dunque in ogni molteplicit vi deve esser un elemento che la governi (S. Tom. De regimine principum lib 1. cap. 1). Questo passo cos prezioso per la profonda dottrina, la chiarezza delle idee, la solidit degli argomenti, il rigore e lesattezza delle deduzioni, contiene in poche parole tutto quanto si possa dire, considerando la materia in generale e col solo lume della ragione, sullorigine della societ e dellautorit, sui diritti di cui questa gode e gli obblighi cui va soggetta. Era fondamentale per prima cosa rendere evidente la necessit dellesistenza della societ, e il santo Dottore lha fatto poggiandosi su un principio semplicissimo: luomo per sua natura non pu vivere solo; dunque ha bisogno di unirsi con i suoi simili. Cera bisogno di una prova a conferma di questa fondamentale verit? Eccola: luomo dotato di parola, il che mostra che destinato dalla stessa natura a comunicare con altri uomini, e di conseguenza a vivere in societ. Dopo aver dimostrato che questa una necessit irrinunciabile bisognava dimostrare che tale anche unautorit che la governasse. Per giungere a questo il Santo non inventa sistemi stravaganti o teorie senza capo n coda, e non ricorre a supposizioni assurde: gli basta una ragione fondata sulla natura stessa delle cose dettata dal senso comune e appoggiata sullesperienza quotidiana: in qualunque comunit di uomini ci deve essere una guida, perch senza di questa inevitabile il disordine ed anche la disgregazione della societ; dunque in ogni societ ci deve essere un capo. Bisogna ammettere che con questa esposizione cos semplice e piana la teoria sullorigine della societ e dellautorit si comprende molto meglio di quanto non si riesca con tutti i cavilli intorno a patti espliciti o impliciti. Basta che una cosa sia insita nella natura stessa, basta vederla dimostrata come una pura necessit, per comprenderne facilmente la fondatezza e linutilit dinvestigare con sottigliezze e supposizioni gratuite ci che risulta subito evidente. Non si creda tuttavia che S. Tommaso non conoscesse il diritto divino, e che non sapesse che lobbligo di sottomettersi allautorit si poteva fondare su di esso. In parecchie parti delle sue opere afferma questa verit; ma lo fa in modo da non dimenticare il diritto naturale e il diritto umano che su questo punto si combinano e si uniscono col divino, il quale una conferma e una legittimazione di quelli. Cos vanno interpretati quei testi del santo Dottore, in cui attribuisce al diritto umano

lautorit civile, contrapponendo lordine di questa autorit civile allordine della grazia. Per esempio, trattando la questione se glinfedeli possono avere supremazia o dominio sui fedeli, dice (2-2 q. 10, a. 10): Qui si deve considerare che il dominio o la supremazia si sono introdotti per diritto umano, mentre la distinzione tra fedeli e infedeli di diritto divino. Il diritto divino che deriva dalla grazia non nega il diritto umano che proviene dalla ragione naturale; e perci la distinzione tra fedeli e infedeli considerata in se stessa non nega il dominio e la supremazia deglinfedeli sui i fedeli. Esaminando in un altro passo se il principe che apostata dalla fede perde per questo fatto il dominio sui suoi sudditi, s che questi non siano pi obbligati ad obbedirgli, si esprime cos (2-2 q. 12, a. 2): Come si detto pi sopra, linfedelt per se stessa non ripugna al dominio; perch il dominio stato introdotto per il diritto delle genti, che diritto umano; mentre la distinzione tra fedeli e infedeli di diritto divino, il quale non nega il diritto umano. E pi avanti, indagando se luomo ha lobbligo di ubbidire ad un altro, dice (2-2 q. 104, a. 2): Siccome le azioni delle cose naturali procedono dalle forze naturali, allo stesso modo le operazioni umane procedono dalla volont umana. Nelle cose naturali fu necessario che le cose superiori guidassero le inferiori alle loro rispettive azioni per mezzo delleccellenza della virt naturale data da Dio; allo stesso modo anche necessario che nelle cose umane i superiori guidino gli inferiori per mezzo della volont in forza dellautorit ordinata da Dio. Guidare per mezzo della ragione e della volont significa comandare; e siccome per lo stesso ordine naturale istituito da Dio nella natura le cose inferiori sono necessariamente soggette al comando delle superiori, allo stesso modo nelle cose umane glinferiori devono per diritto naturale e divino obbedire ai loro superiori. Nella stessa questione esaminando se lobbedienza una virt speciale, risponde (2-2 q. 104, a. 2): Ubbidire al superiore un dovere conforme allordine divino comunicato alle cose. Nellarticolo 6, proponendosi la questione se i Cristiani siano obbligati ad ubbidire alle autorit civili dice (2-2 q. 104, a. 6): La fede di Cristo il principio e la causa della giustizia, secondo quelle parole della lettera ai Romani, capo 3: La giustizia di Dio per mezzo della fede di Ges Cristo; e quindi per questa fede non si nega lordine della giustizia, ma piuttosto si conferma. Lordine poi della giustizia richiede che glinferiori ubbidiscano ai loro superiori, perch altrimenti non si potrebbe conservare la societ umana; e perci la fede di Cristo non esime i fedeli dallobbligo di ubbidire alle autorit civili. Mi sono soffermato alquanto su questi importanti passi di S. Tommaso affinch si constatasse che il santo non intende il diritto divino in modo stravagante come i nemici della religione cattolica hanno voluto far credere; e che anzi, salvando il dogma espressamente riportato nel Sacro Testo, considera il diritto divino come conferma e sanzione del diritto naturale ed umano. Tutti sanno che per lo spazio di sei secoli i teologi cattolici hanno avuto in grande considerazione S. Tommaso. riconoscendone lautorevolezza in tutto ci che riguarda il dogma e la morale; per cui, siccome egli stabilisce il dovere di ubbidire alle autorit come fondato nel diritto naturale, divino ed umano, affermando che in Dio si trova lorigine di ogni autorit senza per stabilire dogmaticamente se questa autorit sia da Dio trasmessa indirettamente o direttamente a coloro che lo esercitano, e lasciando un vastissimo campo aperto nel quale le opinioni umane possano spaziare senza alterare la purezza della fede; cos allo stesso modo i pi celebri dottori che si sono avvicendati nelle cattedre cattoliche si sono limitati ad affermare e sostenere il dogma senza che lo estendessero oltre il necessario, per non pregiudicare temerariamente lautorit della Chiesa. A prova di questo fatto inserir alcuni testi di illustri teologi. Il Cardinale Bellarmino si esprime in questi termini (Bell. De Laicis, L. 3, c. 6): certo che lautorit politica viene da Dio, da cui solo procedono le cose lecite e buone, come prova S. Agostino in molte parti del quarto e del quinto libro della Citt di Dio; perch la Sapienza di Dio esclama nel libro dei Proverbi: Per mezzo mio regnano i re (Prov 8, 15). E pi sotto: Per mezzo mio i Capi comandano (Prov 8, 16). E il profeta Daniele: A te il Dio del cielo ha concesso il regno, la potenza, la forza e la gloria (Dan 2, 37); e pi avanti: La tua dimora sar con le bestie della terra; ti pascerai derba come i buoi e sarai bagnato dalla rugiada del cielo; sette tempi

passeranno su di te, finch tu riconosca che lAltissimo domina sul regno degli uomini e che Egli lo d a chi vuole (Dan 4, 22). Dimostrato con lautorit della Sacra Scrittura il dogma che lautorit civile deriva da Dio, lautore passa a spiegare il senso nel quale si deve intendere questa dottrina, dicendo (Ibid.): Ma qui conviene fare alcune osservazioni. In primo luogo, lautorit politica considerata in generale, senza riferirci in particolare alla monarchia, allaristocrazia o alla democrazia, deriva direttamente soltanto da Dio; perch discendendo necessariamente dalla natura delluomo procede da Colui che fece la natura stessa delluomo. Inoltre questa autorit di diritto naturale, poich non dipende dal consenso degli uomini i quali, lo vogliano o no, devono per forza avere un governo se non vogliono la rovina del genere umano, cosa che contro lordine della natura. Ma il diritto di natura diritto divino, dunque anche il governo stato introdotto per diritto divino. E questo sembra che per lappunto voglia intendere lApostolo nella lettera ai Romani quando dice: Quindi chi si oppone allautorit, si oppone allordine stabilito da Dio (Rom 13, 2). Questa dottrina demolisce tutta la teoria di Rousseau che fa dipendere lesistenza della societ e i diritti dellautorit civile dalle convenzioni umane. E crollano anche gli assurdi sistemi di alcuni Protestanti e di altri eretici a loro precedenti i quali, invocando la libert cristiana, pretendevano di negare ogni autorit. No: lesistenza della societ non dipende dal consenso delluomo; la societ non opera delluomo, ma il soddisfacimento di una necessit pressante che se venisse trascurata provocherebbe lestinzione del genere umano. Dio nel creare luomo non lo abbandon in bala del caso: gli diede il diritto di provvedere alle proprie necessit e glimpose lobbligo di aver cura della propria conservazione. Lesistenza del genere umano include, dunque, sia il diritto di governare che lobbligo di ubbidire. Non pu esserci sul tema una teoria pi chiara, semplice e solida. O si vorr ancora dire che umiliante per la dignit umana e nemica della libert? forse un disonore per luomo il fatto di riconoscersi creatura di Dio, e proclamare che ha ricevuto da Dio il necessario per la propria conservazione? Sar forse per lintervento di Dio che si riterr costretta la libert delluomo? Non potr luomo essere libero anche se non ateo? assurdo accusare una dottrina di essere favorevole alla schiavit, quando essa afferma: Dio non vuole che viviate come le bestie feroci, perci dispone che siate riuniti in societ, e quindi vi comanda di essere soggetti ad unautorit legittimamente costituita. Se questa si chiama oppressione e schiavit noi la desideriamo, mentre rinunciamo molto volentieri al diritto, che qualcuno pretende di darci, di andare errando per i boschi come gli animali. Luomo perde la vera libert se viene privato della pi bella qualit della sua natura, che quella di agire in modo conforme alla ragione. Dopo aver visto come viene inteso il diritto divino dalleminente teologo che abbiamo citato, vediamo quali sono le applicazioni che egli ci fa di questo diritto, e in che modo, secondo lui, Dio comunica lautorit civile a chi incaricato di esercitarla. Dopo le parole sopra citate continua cos (Ibid.): In secondo luogo, si noti che questa autorit risiede direttamente, come soggetto proprio, in tutto il popolo; perch questa autorit di diritto divino. Tale diritto non conferisce lautorit a nessun uomo in particolare, dunque lha data al popolo. Inoltre, prescindendo dal diritto positivo, non vi nessuna ragione per la quale tra uguali dmini uno piuttosto che un altro, per cui lautorit di tutto il popolo. Infine la societ umana deve essere una societ perfetta; dunque deve avere unautorit per potersi conservare e quindi per castigare i perturbatori della pace. Questa dottrina non ha nulla in comune con le folli teorie di Rousseau e dei suoi seguaci; e cose cos diverse non possono essere confuse se non da chi abbia scarsissima conoscenza di diritto pubblico. Infatti ci che il Cardinale Bellarmino definisce nel passo appena citato, cio che lautorit risiede direttamente nel popolo, non si oppone a quanto aveva insegnato poco prima, cio che il potere viene da Dio e non nasce dalle convenzioni umane. La sua dottrina potrebbe essere formulata in questi termini: supposto un insieme di uomini, e facendo astrazione da ogni diritto positivo, non c nessun motivo che uno di essi possa arrogarsi il diritto di governarli. Ciononostante questo diritto esiste, la natura ne mostra la necessit, Dio prescrive che vi sia un governo: dunque in questinsieme di uomini esiste la legittima possibilit di istituirlo. Per chiarire vieppi le idee dellillustre teologo si supponga che un numero considerevole di famiglie uguali fra

loro e del tutto indipendenti le une dalle altre sia stato gettato dalla tempesta su unisola completamente deserta. La nave affondata e non c alcuna speranza di tornare al luogo di partenza, n di arrivare a quello di destinazione; ed preclusa qualunque possibilit di comunicare col resto dellumanit. E allora chiediamo: queste famiglie possono vivere senza governo? No! Qualcuna di esse ha diritto di governare le altre? Certamente no! C qualche individuo che possa avanzare tale pretesa? evidente che no! Queste famiglie, hanno il diritto di istituire quel governo che loro necessario? Certamente! E allora, in quel gruppo di famiglie, rappresentato dai padri di famiglia o in qualunque altro modo, risiede lautorit civile col diritto che sia trasmessa a una o pi persone, secondo il modo che si creder pi conveniente. Sar ben difficile porre qualche obbiezione di un certo valore alla dottrina di Bellarmino esposta in questo modo. Che questo sia il vero senso delle sue parole, si deduce dalle considerazioni che presenta continuando col dire (Ibid.): In terzo luogo, si noti che questautorit viene trasmessa dal popolo ad una o pi persone per lo stesso diritto di natura; perch non potendo la societ esercitarla da s, obbligata a trasmetterla ad uno solo, oppure ad alcuni. E quindi lautorit dei prncipi, considerata in senso generale, di diritto naturale e divino; e lo stesso genere umano, anche se fosse riunito tutto insieme, non potrebbe stabilire il contrario, cio che non debbano esserci prncipi o governanti. Facendo salvo questo principio generale, resta per alla societ, secondo lopinione di Bellarmino, unampia discrezionalit per stabilire la forma del governo che pi le piaccia. La qual cosa dovrebbe bastare per cancellare laccusa mossa alla dottrina cattolica di favorire la schiavit; poich se essa consente di adottare qualunque forma di governo, ne risulta molto chiaramente che una vera calunnia accusarla dincompatibilit con la libert. Vediamo come il citato autore prosegue per spiegare questo aspetto (Ibid.): In quarto luogo, si osservi che le forme di governo sono, in modo particolare, di diritto delle genti e non di diritto naturale; perch, come facile capire, dipende dal consenso del popolo se costituire, per esserne governato, un re, oppure dei consoli o altri magistrati; e qualora sopravvenga una motivazione legittima, il popolo pu cambiare il regno in aristocrazia o democrazia, o viceversa, come ci dice la storia che avvenne a Roma. In quinto luogo, come si desume da quanto detto fin qui, questa autorit particolare viene da Dio, ma indirettamente attraverso lopinione e la scelta del popolo, come tutte le altre cose che appartengono al diritto delle genti; perch il diritto delle genti una specie di derivato del diritto naturale attraverso un processo di elaborazione da parte delluomo. Da ci conseguono due distinzioni tra lautorit politica e quella ecclesiastica: la prima distinzione riguarda il soggetto, e in questo senso lautorit politica direttamente nel popolo, e quella ecclesiastica direttamente in un uomo. La seconda distinzione riguarda la causa, e qui lautorit politica considerata in senso generale di diritto divino, e considerata in senso particolare di diritto delle genti; mentre quella ecclesiastica in ambedue i sensi di diritto divino, e deriva direttamente da Dio. Da queste ultime parole risulta chiaramente con quanta concretezza i teologi intendevano il diritto divino in modo assai diverso secondo che venisse riferito allautorit civile o a quella ecclesiastica. E non si creda che la dottrina esposta fin qui sia soltanto del Cardinale Bellarmino, perch la totalit dei teologi gli fa eco. Ma io ho preferito riportare il suo autorevole pensiero perch, essendo egli molto legato alla Sede romana, se questa fosse stata tanto permeata di idee totalitarie come si vuole far supporre, non c dubbio che il pensiero di questo teologo si differenzierebbe da quello degli altri. Non difficile prevedere le obiezioni che certamente verranno fatte a ci che ho esposto: si dir senzaltro che Bellarmino aveva lo scopo principale di mettere in primo piano lautorit del Sommo Pontefice e di diminuire quella dei re affinch si annullasse, o almeno venisse messo in ombra, tutto ci che potrebbe opporsi allautorit dei Papi. Non star qui ad esaminare le opinioni di Bellarmino sui rapporti tra le due autorit, perch questo mi allontanerebbe dal mio obiettivo. Oltre a ci, vi sono dei punti che riguardano il diritto civile ed ecclesiastico che allora erano molto importanti per il complesso di circostanze relative a quei tempi, e che adesso non lo sono pi per il grande cambiamento avvenuto nelle idee o per il diverso indirizzo che hanno preso gli avvenimenti.

Risponder tuttavia a questa difficolt con due semplicissime osservazioni. La prima che qui non si tratta dellintenzione che poteva avere Bellarmino nellesporre la sua dottrina, ma bens di sapere in che consiste questa dottrina. Qualunque ne fosse il motivo, sar sempre vero che un autore di tanta notoriet le cui opinioni sono molto apprezzate nelle scuole cattoliche, che scriveva a Roma, le cui opere non furono mai condannate, e che anzi fu sommamente onorato e considerato; questo teologo, dunque, nello spiegare la dottrina della Chiesa sullorigine divina dellautorit civile lo fa in termini tali che, garantendo il buon ordine della societ, non reca il minimo pregiudizio alla libert dei popoli. In realt laccusa era diretta contro Roma, e con tale considerazione Roma resta giustificata. La seconda osservazione che il Cardinale Bellarmino non il solo ad esprimere questopinione, ma ha dalla sua parte la totalit dei teologi; perci qualunque cosa si dica contro le sue intenzioni non prova nulla contro le sue dottrine. Fra gli altri non pochi teologi che potrei citare, ne sceglier alcuni che sono l espressione delle diverse epoche; e siccome per motivi di stringatezza devo necessariamente mantenermi in limiti ristretti, prego il lettore di consultare da s le opere dei teologi e dei moralisti cattolici per conoscere il loro vero pensiero su questa importante questione. Ecco come Suarez spiega lorigine dellautorit (Cita a Caiet. Covar. Victor y Soto. De Leg. L. 3. c. 3): Su questo, pare che lopinione comune sia che Dio come Autore della natura d questo potere; potremmo dire che gli uomini costituiscono la materia formando il soggetto capace di questo potere, e Dio d la forma concedendo questa autorit. (De legibus libro 3. cap. 3.) Continua poi a sviluppare la sua dottrina basandola su quei ragionamenti che si soliti condurre in questa materia; e tirando le conclusioni spiega come la societ, che riceve il potere direttamente da Dio, lo trasmetta a determinate persone: In secondo luogo da ci che si detto ne consegue che lautorit civile ogni volta che in un solo uomo, o principe, lo perch gli stata conferita per diritto legittimo e comune dal popolo e dalla comunit, prossimamente o remotamente, e che per essere giusta non pu esserci un altro modo (Ibid. cap. 4). Forse non tutti i lettori sanno che fu un Gesuita spagnolo a sostenere, addirittura contro lo stesso re dInghilterra, la dottrina che i prncipi ricevono il potere indirettamente da Dio e direttamente dal popolo. Questo Gesuita lo stesso Suarez, e lopera a cui mi riferisco ha per titolo: Difesa della fede cattolica ed apostolica contro gli errori della setta anglicana, con una risposta allapologia che il serenissimo re dInghilterra Giacomo ha pubblicato per il giuramento di fedelt, composta dal P. D. Francesco Suarez professore nelluniversit di Coimbra, diretta ai serenissimi re e prncipi cattolici di tutto il mondo cristiano. Nel secondo capitolo del terzo libro, in cui sviluppa la questione se il principato politico proviene direttamente da Dio o dallistituzione divina, Suarez dice: Nella quale il serenissimo re non solamente opina in una maniera nuova e singolare, ma attacca con acrimonia il Cardinale Bellarmino perch ha asserito che i re non hanno ricevuto da Dio lautorit direttamente come i Pontefici. Il re dInghilterra afferma invece che il re non ha ricevuto il suo potere dal popolo, ma direttamente da Dio, e tenta di portare altri alla sua opinione con argomenti ed esempi di cui esaminer il valore nel capitolo seguente. Quantunque questa controversia non appartenga direttamente ai dogmi di fede (perch su questo punto non si pu ricavare alcuna definizione n dalle Divine Scritture n dalla tradizione dei Padri), ci nonostante opportuno trattarla e spiegarla con grande diligenza, sia perch pu essere fonte di errori in altri dogmi, sia perch la suddetta opinione del re, nel modo in cui la definisce e linterpreta, nuova e singolare, e sembra concepita per portare in alto lautorit temporale e diminuire quella spirituale; ed infine perch crediamo che lopinione dellillustrissimo Bellarmino sia antica, accettata, vera e necessaria. Non si creda che queste opinioni esposte da Suarez dipendessero dalle circostanze del tempo, e che dopo essere state pronunciate scomparissero subito dalle scuole dei teologi. Sarebbe molto facile citare un gran numero di autori che esprimono le stesse opinioni e che confermano ci che dice Suarez, cio che la definizione di Bellarmino era accettata ed antica. Ci si renderebbe conto allora che questa definizione continu ad essere accolta come attualissima e mai giudicata, anche se in minima parte, contraria alla dottrina cattolica, o minimamente dannosa per la sicurezza delle

monarchie. A conferma di questo citer alcuni passi di illustri scrittori che dimostrano come questo modo di insegnare il diritto divino, a Roma non sia mai stato considerato sospetto; e che anche in Francia e in Spagna, dove la monarchia assoluta era molto radicata, questa opinione non era considerata pericolosa per la sicurezza dei re. Dopo che fu trascorso molto tempo, e non esisteva pi quella situazione critica che poteva influire in qualche misura sulle opinioni, i teologi continuavano tuttavia a sostenere le stesse dottrine. Cos vediamo che il Cardinale Gotti, che scriveva nei primi anni del secolo scorso, nel suo Trattato delle leggi d come ammessa da tutti lopinione che abbiamo riferita, senza neanche preoccuparsi di provarla. Nella Teologia morale di Ermanno Busembaum ampliata da S. Alfonso de Liguori, si legge: certo che agli uomini stato dato il potere di emanare le leggi; ma questo potere, per quanto riguarda le leggi civili, per natura non compete a nessuno, ma solo alla comunit degli uomini, che la trasferisce ad uno o a molti affinch governino la stessa comunit (lib. 1, trattato 2, delle leggi, cap. 1 , dubbio 2, par. 104). Affinch non si dica che cito solamente teologi gesuiti, e non si sospetti che queste dottrine non siano insegnate che dai casuisti, inserir alcuni passi importanti di altri teologi che non sono n casuisti n hanno alcuna relazione con i Gesuiti. Padre Daniello Concina, che scriveva a Roma circa nella met dellultimo secolo, sostiene la stessa dottrina, come comunemente riconosciuta. Nelledizione stampata nel 1768 a Roma della sua Teologia cristiana dogmatico-morale si esprime in questi termini: Tutti gli scrittori normalmente fanno derivare da Dio lorigine del potere supremo, come dichiar Salomone nel libro dei Proverbi: Per mezzo mio regnano i re e i magistrati emettono giusti decreti (Prov 8, 15). E in verit, siccome i prncipi di rango inferiore dipendono da una maest terrena ad essi superiore, cos necessario che questa dipenda dal supremo Re e Signore dei signori. I teologi e i giuristi disquisiscono se questa suprema autorit proviene prossimamente da Dio, o solo remotamente. Molti ritengono che derivi da Dio direttamente, perch non pu derivare dagli uomini, che siano essi considerati riuniti in societ o individualmente. Perch tutti i padri di famiglia sono uguali, e ognuno di essi ha, allinterno della propria famiglia, soltanto unautorit amministrativa, per cui non possono conferire ad altri lautorit civile e politica di cui essi stessi sono privi. Inoltre, se la comunit, in quanto superiore, avesse conferita ad uno o a molti la detta autorit, potrebbe revocarla a suo piacere, perch il superiore libero di abrogare i poteri conferiti ad altri; e questo sarebbe di grave pregiudizio per la societ. Altri si esprimono in senso contrario, certamente con maggiore credibilit e correttezza, affermando che vero che ogni autorit viene da Dio ma, aggiungono, non data a nessuno in modo diretto, ma mediante il consenso della societ civile. Che questa autorit risieda direttamente non in qualcuno in particolare, ma in tutta la comunit degli uomini, lo afferma espressamente S. Tommaso (1-2. qu. 90. art. 3. ad. 2, e qu. 97. art. 3. ad. 3), cui seguono Domenico Soto (lib. 4 .qu. 1. art. 3), Ledesma (2. part. qu.18. art. 3), Covarrubias (in prat. cap. 1). Il motivo evidente: poich tutti gli uomini nascono liberi riguardo allautorit civile, nessuno ha lautorit civile su di un altro; non risiedendo dunque lautorit civile n in ciascuno di essi, n in qualcuno in particolare, ne segue che si trova in tutta la comunit. E questa autorit non viene conferita da Dio per mezzo di un atto particolare distinto dalla Creazione, ma come una propriet che dipende dalla retta ragione, in quanto questa comanda che gli uomini uniti moralmente in ununica entit stabiliscano con un loro accordo, tacito o chiaramente espresso, il modo per governare, conservare e difendere la societ . Bisogna osservare che quando P. Concina parla di consenso tacito o chiaramente espresso, non si riferisce allesistenza stessa della societ e dellautorit che la governa, ma unicamente al modo di esercitare questo potere, per governare, conservare e difendere la societ stessa. La sua opinione coincide dunque con quella di Bellarmino: la societ e lautorit sono di diritto divino e naturale: di diritto umano solo il modo di costituire la prima, e di trasmettere ed esercitare la seconda. Dopo aver spiegato in qual senso si debba intendere che lautorit civile viene da Dio, P. Concina passa a sviluppare la questione che si era proposto, sul modo con cui quellautorit risiede nei re, prncipi, od altri governanti supremi; e si esprime cos: Da qui consegue che lautorit che risiede

nel principe, nel re, o in pi persone, siano esse nobili o plebee, deriva dalla stessa comunit, prossimamente o remotamente; poich questa potest non viene direttamente da Dio, perch se cos fosse dovremmo saperlo per mezzo di una rivelazione particolare, cos come sappiamo che avvenne per Saul e David, i quali furono stabiliti da Dio. Riteniamo quindi infondata lopinione di coloro che affermano che Dio conferisce direttamente e prossimamente questa autorit al re, al principe, o a qualsivoglia governante supremo, escludendo il tacito o espresso consenso della societ; anche se questa disputa riguarda pi le parole che i fatti. Questa autorit, infatti,viene da Dio, Autore della natura, in quanto dispose e ordin che la stessa societ, per la sua conservazione e difesa, conferisse ad uno o a molti lautorit suprema. Fatta poi la designazione della persona o pi persone che devono governare, si dice che questautorit proviene da Dio in quanto la societ medesima obbligata per diritto naturale e divino ad ubbidire a chi comanda; poich realmente Dio ha ordinato che la societ sia governata da uno, o da molti. In tal modo si conciliano tutte le opinioni e si espongono nel giusto significato le sentenze delle Scritture: Chi si oppone allautorit, si oppone allordine stabilito da Dio (Rom 13, 2); Poich non c autorit se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio (Rom 13, 1); Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re (1 Pt 2, 17); Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dallalto (Giov 19,11). Queste ed altre simili testimonianze provano con ogni evidenza che Dio, come supremo regolatore di tutte le cose, dispone ed ordina tutto, ma non per questo si escludono le azioni e le opinioni delluomo; come saggiamente intendono S. Agostino e S. Giovanni Crisostomo. Padre Billuart, vissuto prima della met del secolo scorso, cio in unepoca in cui le tradizioni fortemente monarchiche del secolo di Luigi XIV erano ancora in tutto il loro vigore, scriveva su questa materia allo stesso modo dei teologi sopra citati. Nella sua opera teologico-morale, che da circa un secolo accettata da tutti, si esprime cos: Dico in primo luogo che lautorit legislativa compete alla comunit o a chi ha cura della comunit stessa . E dopo avere citato S. Tommaso e SantIsidoro soggiunge: Ci va dimostrato innanzi tutto con la ragione: il compito di fare le leggi spetta a colui che ha lobbligo di provvedere al bene comune; perch, come gi si detto, questo bene il fine delle leggi. Tocca alla comunit o a chi ha cura di essa provvedere al bene comune; ma siccome il bene particolare un fine proporzionato allagente particolare, cos il bene comune un fine proporzionato alla comunit o a chi ne fa le veci; dunque fare le leggi compito di quella o di questo. Quindi si conferma il detto: la legge ha forza di comando e di imposizione; ma nessuno in particolare ha questa forza per comandare alla comunit o per imporsi ad essa, se non essa stessa o quello che la dirige; dunque a questi appartiene lautorit legislativa. Dopo queste riflessioni, lo stesso Padre Billuart si pone una difficolt a causa delleccessivo potere che sembra dare ai diritti del popolo, e coglie cos loccasione per sviluppare maggiormente il suo sistema. Forse mi si obbietter egli dice che comandare e obbligare proprio del superiore; cosa che la comunit non pu fare non essendo superiore a se stessa. Risponder facendo una distinzione: la comunit considerata come linsieme di tanti individui non superiore a se stessa, sono daccordo; tuttavia lo se la si considera sotto un certo aspetto. La comunit infatti pu essere considerata collettivamente, come ununit morale, e in questo senso superiore a se stessa considerata come una pluralit di individui. Inoltre pu esser considerata, o come facente le veci di Dio, da cui deriva ogni autorit legislativa secondo il detto dei Proverbi: Per mezzo mio regnano i re e i magistrati emettono giusti decreti (Prov 8, 15); o in quanto destinata ad essere governata avendo come fine il bene comune. Considerata nel primo modo superiore e fa le leggi; considerata nel secondo inferiore ed soggetta alle leggi. Siccome questa spiegazione potrebbe tuttavia lasciare un po dincertezza, egli si addentra ancor pi nellesaminare lorigine della societ e dellautorit civile per dimostrare come il diritto naturale, il diritto divino e il diritto umano si trovino daccordo su questo punto; e definisce quindi ci che appartiene a ciascuno di essi:

Al fine di capire meglio la questione bisogna osservare che, a differenza degli animali, luomo nasce privo di molte cose necessarie al corpo e allanima, per le quali ha bisogno della compagnia e dellaiuto degli altri; e di conseguenza egli per sua stessa natura un animale sociale. Questa societ, che la natura e la ragione naturale gli indicano come necessaria, non pu sussistere per molto tempo senza lesistenza di unautorit che la governi, secondo le parole dei Proverbi: Senza una direzione un popolo decade (Prov 11, 14). Ne consegue che Dio, che cre la natura, nello stesso tempo stabil lautorit governativa e legislativa; perch chi d la forma, d anche tutto ci che le necessario. Ma questa autorit legislativa e governativa non pu essere facilmente esercitata da tutta la comunit, perch difficile che tutti e ognuno di quelli che la formano possano riunirsi ogni volta che ci sia da deliberare su qualche questione importante per il bene comune o per emanare delle leggi; e allora, per questo motivo, la comunit usa trasferire il suo diritto, cio lautorit governativa, o ad alcuni del popolo presi da tutti i gruppi sociali, e questa si chiama democrazia; o ad un numero limitato di nobili, e vien detta aristocrazia; oppure a una sola persona, o per lui solo, o anche per i suoi discendenti per diritto ereditario, e questa forma di governo chiamata monarchia. Di qui deriva che ogni autorit viene da Dio, come dice lApostolo nella Lettera ai Romani (cfr Rom 13,1). La quale autorit risiede nella comunit direttamente e per diritto naturale; ma nei re e negli altri governanti solo indirettamente e per diritto umano, qualora lo stesso Dio non conferisca direttamente ad alcuni questa autorit, come la confer a Mos sul popolo dIsraele, e come Cristo la diede al Sommo Pontefice su tutta la Chiesa. Ed significativo che i nostri governi assoluti non si siano messi minimamente in allarme per queste dottrine dei teologi, non soltanto prima della rivoluzione francese, ma neanche dopo la rivoluzione, n per tutto quel tempo che ancora oggi viene chiamata la decade funesta (dal 1823 al 1833: ultimo periodo del regno di Ferdinando VII). Si sa che il Compendio Salmaticense in questo periodo in Spagna era in gran voga, e nelle universit e nei collegi era il libro di testo per le cattedre di morale. Coloro che si scagliano continuamente contro quellepoca, dicendo che allora non era consentito insegnare altre dottrine se non quelle che favorivano il pi stupido dispotismo, sentano ci che dice il citato autore, la cui opera era studiata da tutti quei giovani che si consacravano alla vita ecclesiastica. Dopo aver stabilito che tra gli uomini esiste unautorit civile legislativa, continua cos (Compendio Salmaticense): Domanderai, in secondo luogo, se questa autorit civile il principe la riceva direttamente da Dio. La risposta la seguente: tutti asseriscono che i prncipi ricevono questa autorit da Dio; ma per essere pi aderenti alla verit si deve dire che essi non la ricevono direttamente, ma indirettamente mediante il consenso del popolo, perch tutti gli uomini sono uguali per natura, e secondo la natura non c n superiore n inferiore. E siccome la natura non diede a nessuno unautorit su un altro, questa autorit Dio lha conferita alla comunit, la quale, giudicando che fosse meglio essere governati da una o pi determinate persone, la trasfer in una o pi persone perch la governassero, come dice San Tommaso (1. 2. qu. 90. art. 3. ad 2). Da questo principio naturale nascono le differenze tra le varie forme di governo civile: perch se la comunit ha trasmessa la sua autorit ad una sola persona si parla di governo monarchico; se lha assegnata ai nobili della nazione, di governo aristocratico; e se infine la nazione o la comunit lha voluta mantenere per s, questo potere prende il nome di governo democratico. Inoltre, il principe ha ricevuto da Dio lautorit di comandare perch, una volta eletto dalla comunit, Dio gli ha assegnato questo potere che era nella comunit. Ne consegue che il principe regge e governa in nome di Dio; e che chi gli si oppone, si oppone ai comandi di Dio, come dice lApostolo citato sopra.

CAPITOLO L Diritto divino. Origine divina dellautorit civile. Modo con cui Dio assegna questo potere. Rousseau. Patti. Diritto di vita e di morte. Diritto di guerra. Necessit che lautorit derivi da Dio. Puffendorf. Hobbes.

_______________ Considerando la dottrina del diritto divino nei suoi rapporti con la societ bisogna distinguere i due punti principali che li riguarda: lorigine divina dellautorit civile, e il modo con cui Dio comunica questa autorit. Il primo punto riguarda la dottrina, e per nessun Cattolico lecito metterlo in dubbio; il secondo soggetto a disputa e, salva la fede, le opinioni possono esser diverse. Riguardo al diritto divino considerato in se stesso, il Cattolicesimo daccordo con la buona filosofia. Infatti se lautorit civile non viene da Dio, quale origine le si potr attribuire? Su quale principio inconfutabile si potr fondare? Se lautorit esercitata dalluomo non legittimata da Dio, tutte le ragioni di questo mondo saranno insufficienti a giustificare il suo diritto: tale diritto sar del tutto nullo, di una nullit assoluta. Se invece si ammette che lautorit viene da Dio, allora si comprender facilmente il dovere di sottomettersi ad essa; e questa sottomissione non offende affatto la nostra dignit. Nel caso contrario invece vedremo nellautorit la forza, lastuzia e la tirannia; niente apparir secondo ragione n secondo giustizia; si riconoscer forse la necessit di sottomettersi, ma mai lobbligo morale. Infatti: con quale titolo pretende un altro uomo di comandarci? Forse per superiorit dintelletto? E chi ha deciso questo confronto e ha stabilito questa superiorit? Ma anche ammesso, questa superiorit non fonda un diritto: in certi casi la sua guida potr esserci utile, ma obbligatoria mai. Forse allora perch pi forte di noi? In tal caso il re di tutta la terra dovrebbe essere lelefante. In quanto pi ricco? La ragione e la giustizia non stanno nel metallo: nudo nacque il ricco, e quando finir nel sepolcro non si porter dietro le sue ricchezze. Sulla terra gli saranno pur servite come mezzo per acquistare il potere, ma non come titolo per legittimarlo. Pretender infine di comandarci grazie alla facolt concessagli da altri uomini? E chi costitu costoro nostri rappresentanti? E dov il loro accordo? E chi ne raccolse i voti? E abbiamo noi, e hanno loro stessi, quella sublime prerogativa cui compete lesercizio dellautorit civile? Se noi non labbiamo, come possiamo delegarla? Una risposta ci viene dalla dottrina che cerca lorigine del potere nella volont degli uomini, individuandola nella conseguenza di un accordo al quale essi sono giunti, accordo in base al quale hanno acconsentito a rinunciare ad una parte della loro libert naturale per godere dei benefci concessi dalla societ. In questo sistema i diritti dellautorit civile, come anche i doveri del suddito, hanno per unico fondamento un patto che non si differenzia dai comuni contratti se non per la natura e lampiezza delloggetto, derivando il potere da Dio soltanto in senso generale, in quanto cio da Lui derivano tutti i diritti e tutti i doveri. Coloro che hanno spiegato in questo modo lorigine del potere non sempre si sono trovati daccordo con Rousseau: il contratto del filosofo di Ginevra non ha nulla a che far col patto a cui quelli si riferiscono. Non questo il luogo adatto per fare un confronto tra la dottrina di Rousseau e quella dei suddetti scrittori: basti rammentare che questi, riferendosi al patto, intendevano stabilire i diritti dellautorit civile come finora li ha intesi il comune buonsenso degli uomini; mentre invece lautore del Contratto sociale si proponeva di risolvere il seguente problema, che egli chiama fondamentale: Trovare una forma di associazione che difenda e protegga la persona e i beni di ogni associato con tutte le forze riunite, e per mezzo della quale ciascuno unendosi a tutti non ubbidisca tuttavia che a se stesso, e resti libero come prima. Questo il problema fondamentale di cui il Contratto sociale d la soluzione. Questo guazzabuglio di non ubbidire che a se stesso, di aver pattuito e rimanere libero come prima, non ha bisogno di commenti, soprattutto se si tiene conto che, come dice lautore nel successivo rigo, le clausole di questo contratto sono talmente definite dalla natura dellatto, che la pi piccola modifica le renderebbe vane e di nessun effetto (Lib. 1. cap. 6). Il fine di Rousseau allora non era lo stesso degli altri scrittori che hanno parlato di un patto per spiegare lorigine dellautorit. Mentre questi si proponevano di elaborare una teoria che ne giustificasse lorigine, Rousseau tentava di distruggere quanto gi esisteva, e di appiccare lincendio a tutta la societ. Colui che ebbe la stravagante idea di presentarci il filosofo di Ginevra nella tomba

del Panteon con la porta socchiusa da cui sporgeva fuori la mano con una torcia accesa, forse ide un simbolo pi significativo e pi vero di quanto egli stesso avesse immaginato. chiaro che lartista intendeva esprimere che Rousseau illuminava il mondo anche dopo la sua morte; avrebbe per dovuto ricordarsi che il fuoco rappresenta anche lincendiario. Non a caso La Harpe aveva detto: la sua parola fuoco, ma un fuoco devastatore (Sa parole est un feu, mais un feu qui ravage). Per tornare in argomento, far notare che la dottrina del patto non pu giustificare la stabilit del potere in quanto non idonea a legittimarne lorigine e lautorit. Innanzi tutto evidente che il patto esplicito non mai esistito, e che anche volendolo supporre nel caso ipotetico di una piccola societ, non ha potuto ottenere il consenso di tutti glindividui. Si presume infatti che in una simile situazione gli unici a partecipare allaccordo sarebbero i capi-famiglia, cosa che comporterebbe le lamentele delle donne, dei figli e dei subalterni. Con qual diritto i padri patteggerebbero in nome di tutta la loro famiglia? La volont di questa, si obietter, implicitamente in quella del suo capo. Ma questo da dimostrare: supporlo facile; provarlo, un po meno. Prima si vuole cercare lorigine dellautorit tra i princpi di rigoroso diritto, e si sostiene che questo non altro che un caso particolare di contratto a cui si debbano applicare le regole generali dei contratti; e poi trovando fin dal primo momento una grave difficolt si decide di ricorrere ad una finzione per superarla? Perch nientaltro che una finzione quella che si compie quando si parla di consenso implicito. E con questo sistema non sar mai possibile liberarsi da una tale finzione; se il consenso delle famiglie implicito anche quando esplicito quello dei capi (cosa del tutto impossibile se si tratta di una societ di una certa importanza), dovr essere implicito anche il consenso delle generazioni future, perch il patto potr essere rinnovato in ogni momento consultando la volont di coloro che sono coinvolti nei suoi effetti. La ragione e la storia cinsegnano che nessuna societ si mai formata in questo modo; lesperienza ci dice che le societ attuali non si salvaguardano e non si governano con questo principio. A che serve allora una dottrina inapplicabile? Quando una teoria ha uno scopo pratico, il miglior modo per convincersi che senza fondamento quello di dimostrare la sua impraticabilit. I poteri di cui si sempre ritenuta dotata lautorit civile sono di tale natura che non possono derivare da un patto. Il diritto di vita e di morte non pu provenire che da Dio; perch luomo non ha questo diritto; e un potere di cui egli privo, sia riguardo a se stesso che agli altri, non pu provenire da alcun patto. Cercher di chiarire questo punto importante esponendo i concetti con la maggior precisione possibile. Se il diritto di dare la morte non derivato da Dio, ma da un patto, si dovr supporre che ci sia avvenuto nella seguente maniera. Ogni appartenente alla societ deve aver detto, espressamente o tacitamente: Io convengo che si facciano leggi con le quali si decreti la pena di morte per certe azioni; e se dovessi contravvenire a tali leggi acconsento, adesso per allora, che mi si tolga la vita. In questo modo tutti gli appartenenti alla societ si saranno impegnati a cedere la loro vita qualora si dovessero verificare le debite circostanze; ma siccome nessuno di essi pu reclamare un diritto sulla propria vita, la rinuncia completamente nulla. La somma dei consensi di tutti gli appartenenti non ha alcuna influenza sulla nullit assoluta ed essenziale per ciascuno di loro: dunque la somma di queste rinunce alla propria vita ugualmente nulla, e perci incapace di produrre diritti di alcun genere. Si dir forse che luomo non ha diritti sulla propria vita se si parla di diritti arbitrari, ma quando si tratta di disporne a proprio vantaggio, il principio generale pu essere limitato. Questa riflessione, che a prima vista potrebbe sembrare plausibile, conduce ad una conseguenza atroce, a legittimare cio il suicidio. Si replicher che il suicidio non reca vantaggio a chi lo commette, ma se viene accordato allindividuo il diritto sulla propria vita quando ne risulti un vantaggio, nessuno pu ergersi a giudice se in un caso particolare questo vantaggio sia effettivo o no. Ma questo allora significa che, secondo chi fa questa obiezione, uno ha diritto di cedere la propria vita nel caso, per esempio, che per soddisfare i propri bisogni o i propri piaceri, si impossessasse della propriet di un altro; cio che egli il giudice tra il vantaggio di conservare la propria vita e quello di soddisfare un desiderio. Cosa risponder lobiettore allora

quando quello gli dir che preferisce la morte alla tristezza, alla noia, allafflizione o ad altri mali che lo tormentano? Il diritto di vita e di morte non pu dunque derivare da un patto. Luomo non padrone della propria vita, ma la tiene solamente in usufrutto finch il Creatore vuole conservargliela; dunque non ha la facolt di cederla, e qualunque patto egli faccia con questo fine, nullo. In certi casi lecito, degno di lode e di gloria, e a volte anche doveroso, andare incontro ad una morte sicura; ma non bisogna confonder le cose, perch in questi casi luomo non cede la propria vita come padrone di essa, ma come vittima volontaria che si consacra alla salvezza della patria o al bene dellumanit. Il soldato che d lassalto alle mura di una fortezza, luomo caritatevole che rischia il contagio per curare gli infermi, il missionario che sfida il pericolo in terre inesplorate, che vive in climi malsani e sinoltra in foreste inaccessibili per venire a contatto con popoli selvaggi, non dispongono della loro vita come padroni, ma la sacrificano per unopera grande, sublime, giusta e gradita a Dio. Perch Dio ama la virt, e pi ancora la virt eroica; e morire per la patria, per soccorrere gli sventurati, e per portare la luce della verit ai popoli immersi nelle tenebre e nelle ombre della morte, virt eroica. Alcuni forse pretenderanno di fondare il diritto di vita e di morte sul diritto naturale di difesa che ha la societ, e di cui lautorit civile sempre stata ritenuta investita. Ogni individuo, si dir, pu togliere la vita ad un altro per difendere la propria; dunque pu farlo anche la societ. Nel trattare il tema dellintolleranza, toccai questo punto di sfuggita facendo alcune riflessioni. Riflessioni che ora dovr ripetere cercando di ampliarle e consolidarle con un altro genere di argomenti. Innanzi tutto concordo sul fatto che il diritto di difesa pu generare nella societ il diritto di dare la morte. Se un individuo assalito da un altro pu lecitamente respingerlo, ed anche ucciderlo se necessario per salvare la propria vita, evidente che un gruppo di uomini avr lo stesso diritto. La cosa tanto chiara che non c bisogno di dimostrarla. Una societ assalita da unaltra ha il diritto incontestabile di resisterle e di respingerla, e la combatte giustamente; a maggior ragione potr opporsi allindividuo, combatterlo e ucciderlo. Tutto questo verissimo e chiarissimo; e sono daccordo che nella stessa natura delle cose si trova una ragione sulla quale poter fondare il diritto di dare la morte. Ma sebbene questo concetto sia conforme alla ragione, e a prima vista pu sembrare che i motivi per i quali ritenevo necessario far risalire a Dio lorigine di questo straordinario diritto non abbiano pi alcun valore, esaminato per a fondo il concetto ben lontane dallapparire tanto soddisfacente. E si pu anche aggiungere che secondo come lo si intende e secondo come lo si applica, pu finire col sovvertire i princpi riconosciuti in ogni societ. Infatti, se si ammette una teoria, se si fa poggiare esclusivamente su di essa il diritto di dar la morte, spariscono subito le idee di punizione, di castigo e di giustizia umana. Si sempre creduto che quando il reo muore sul patibolo, sconta una pena, e sebbene sia certo che in questo terribile fatto si sia sempre visto il soddisfacimento di una necessit sociale e un mezzo di salvaguardia, ci nonostante lidea principale e dominante, quella che si eleva sulle altre, quella che maggiormente giustifica e discolpa la societ, che d al giudice un carattere sacrale, che imprime una macchia al reo, lidea del castigo, della punizione, della giustizia. Ma tutto questo si dilegua e si annulla nel momento in cui noi diciamo che la societ, togliendo la vita, non fa che difendersi: latto sar conforme alla ragione, sar giusto; ma non meriter il nobile titolo di amministrazione della giustizia. Luomo che respinge lassassino, o luccide, fa un atto giusto, ma non amministra la giustizia, non applica una punizione, e non castiga. Queste sono cose fra loro molto differenti e di un genere del tutto diverso, e non possono confondersi senza urtare il buon senso delluomo. Spieghiamo meglio questa differenza, facendo s che i due casi parlino per bocca del giudice: la differenza notevole. Nel primo caso il giudice dice al reo: Tu sei colpevole; la legge ti decreta la pena di morte; io, ministro della giustizia, te la prescrivo; il carnefice sia incaricato dellesecuzione. Nel secondo invece gli dice: Tu hai attaccato la societ; questa non pu mantenersi se tollera simili attacchi; quindi essa si difende, e perci ti arresta e ti uccide; io, che la rappresento, dichiaro che venuto il momento di questa difesa, e perci ti consegno nelle mani del

carnefice. Nella prima ipotesi il giudice un sacerdote della giustizia, e il giustiziato un reo che sconta il giusto castigo; nella seconda il giudice uno strumento della forza, e il giustiziato una vittima. Ma si dir il reo resta sempre reo e meritevole della punizione che sconta. Questo vero in quanto alla colpevolezza, ma non in quanto alla punizione. La colpa esiste agli occhi di Dio ed anche agli occhi degli uomini, in quanto essi hanno una coscienza che giudica della moralit delle azioni. Ma non come giudici; perch dal momento che uno investito di questa funzione, gi fa qualcosa di pi che difendere la societ, e di conseguenza cambiano i termini della questione. Da ci che abbiamo stabilito fin qui consegue che il diritto di imporre la pena di morte non pu derivare che da Dio; e di conseguenza, anche se non vi fosse altra ragione per cercare in lui lorigine del potere, basterebbe questa. La guerra contro una nazione assalitrice pu essere giustificata dal diritto di difesa; anche per la guerra dinvasione si pu applicare lo stesso principio, perch, se giusta, verr fatta per esigere una riparazione o un compenso che il nemico si sar rifiutato di dare; e la guerra per motivi di alleanza rientra nel genere di azioni che si compiono per soccorrere un amico. Per cui tutto ci che riguarda la guerra, con tutta la sua grandezza e con tutte le sue devastazioni, non ci obbliga a ricorrere allorigine divina tanto quanto il semplice diritto di mandare un uomo al patibolo. Sicuramente in Dio si trova anche la conferma delle guerre legittime, perch in Lui risiede la conferma di tutti i diritti e di tutti i doveri; ma per lo meno non c bisogno di unautorizzazione particolare come invece c per prescrivere la pena di morte. Perch sufficiente la regola generale che Dio, in quanto Autore della natura, ha dato a tutti i diritti e i doveri naturali. E come sappiamo che Dio ha dato agli uomini una simile autorizzazione? A questa domanda si possono dare tre risposte. 1 - Per i Cristiani basta la testimonianza della Sacra Scrittura. 2 - Il diritto di vita e di morte una tradizione universale del genere umano, dunque esiste realmente; e siccome abbiamo dimostrato che la sua origine non si pu trovare che in Dio, dobbiamo supporre che Dio lha comunicata agli uomini in modi diversi. 3 - Questo diritto necessario per la salvaguardia della societ, dunque Dio glielo ha dato perch se Egli vuole la conservazione di un essere, a questo essere avr anche concesso tutto il necessario per conservarsi. Riepiloghiamo quanto stato detto fin qui. La Chiesa insegna che lautorit civile viene da Dio: e questa dottrina daccordo con i testi della Sacra Scrittura e con la stessa ragione naturale. La Chiesa si limita a stabilire questo dogma traendo la conseguenza diretta che ne risulta; cio che lubbidienza alle autorit legittime di diritto divino. In quanto al modo con cui questo diritto divino si comunica alla potest civile, la Chiesa non ha determinato niente; e lopinione comune dei teologi che la societ lo riceva da Dio, e che dalla societ passa alla persona o persone che lesercitano attraverso mezzi legittimi. Perch lautorit civile possa esigere lobbedienza, e perch si possa supporre che essa sia investita di questo diritto divino, necessario che sia legittima; cio, che la persona o le persone che la posseggono labbiano acquisita legittimamente, o che dopo averla acquisita si sia legittimata in loro attraverso mezzi riconosciuti conformi al diritto. In quanto alle forme di governo la Chiesa non ha determinato nulla; e in qualunque di queste forme il potere civile deve mantenersi entro i limiti legittimi; come pure il suddito da parte sua obbligato ad ubbidire. Ladeguatezza e legittimit di questa o quella persona, di questa o quella forma di governo, non sono cose comprese nella sfera del diritto divino; sono questioni particolari che dipendono da mille circostanze, per cui nulla pu essere detto in unesposizione generale della materia. Un esempio del diritto privato render chiaro ci che stiamo dicendo. Il rispetto per la propriet di diritto naturale e divino; ma lappartenenza di questa o di quella propriet, i diritti che sulla propriet stessa possono vantare persone diverse, le restrizioni a cui debba andar soggetta, sono questioni di diritto civile che sono state sempre risolte, e si risolveranno sempre, in maniere diversissime. Quello che necessario salvare il principio basilare della propriet, fondamento vitale in ogni organizzazione sociale; ma le applicazioni vanno, e devono andare, necessariamente soggette alla variabilit delle circostanze e dei fatti che dipendono dallandamento delle vicende

umane. La stessa cosa succede col potere: la Chiesa, custode del grande deposito delle verit pi importanti, lo anche di quella che assicura unorigine divina allautorit civile facendo risalire al diritto divino lesistenza della legge; ma non sintromette nei casi particolari, che risentono sempre, molto o poco, della variabilit e dellincertezza in cui si agita il mondo. Spiegata in questo modo la dottrina cattolica non si oppone per nulla alla vera libert, tutela lautorit e non pregiudica le questioni che possono sorgere tra i governanti e i governati. Nessuna autorit illegittima pu appoggiarsi al diritto divino, perch per lapplicazione di un tale diritto necessaria la legittimit. Questa viene determinata e dichiarata dalle leggi di ciascun paese, per cui risulta che linterprete del diritto divino la legge. Questo diritto non consolida se non ci che giusto; e non c dubbio che non si pu accusare di tendere al dispotismo chi garantisce la giustizia nel mondo; perch non c cosa pi contraria alla libert e alla felicit dei popoli quanto la mancanza della giustizia e della legittimit. La libert di un popolo non corre pericolo alcuno dal fatto che gli attestati di legittimit dellautorit che lo governa siano ben garantiti. Viceversa, la ragione, la storia e lesperienza cinsegnano che tutti i poteri illegittimi sono tirannici. Lillegittimit porta necessariamente con s la debolezza; i poteri oppressori non sono forti, ma deboli. La vera tirannia consiste in questo, che il governante cerca i propri interessi e non quelli della comunit; ed proprio ci che accade quando, sentendosi debole e vacillante, si vede obbligato a cercare di conservarsi e di rinforzarsi. Allora non ha per scopo linteresse della societ, ma di s stesso; e quando agisce su di essa, invece di badare al bene che pu recare ai sudditi, calcola prima il vantaggio che pu ricavare dalle proprie disposizioni. Ho detto in unaltra parte e lo ripeto qui: percorrendo la storia troviamo scritta dappertutto a caratteri di sangue questa importante verit: Guai ai popoli che sono governati da unautorit che deve preoccuparsi della propria sicurezza! Verit fondamentale nella scienza politica, che tuttavia stata deplorevolmente dimenticata nei tempi moderni. Si fatto moltissimo, e tuttora si fa, per garantire la libert; ma a tal fine sono stati rovesciati tanti governi, e si fatto in modo dindebolirli tutti, senza pensare che questo era il mezzo pi sicuro per introdurre loppressione. Che importano i veli di cui si copre il dispotismo, e le forme con cui tenta di dare meno nellocchio? La storia, che in silenzio va annotando gli attentati commessi in Europa da mezzo secolo a questa parte (la vera storia, dico, non quella che stata scritta dagli autori di quegli attentati, dai complici, o da coloro che ne traggono profitto), racconter ai posteri le ingiustizie e i delitti commessi in mezzo alle discordie civili dai governi illegittimi che vedevano approssimarsi la loro fine e sentivano lestrema debolezza in cui si trovavano a motivo della condotta tirannica e della loro origine illegittima. Cosa avvenuto perch si dichiarasse una guerra cos spietata alle dottrine che assicurano la stabilit dellautorit civile rendendola legittima, e giustificano questa legittimit col dichiararla proveniente da Dio? Come si potuto dimenticare che la legittimit del potere un elemento indispensabile per la sua forza, e che questa forza garanzia di sicurezza per la vera libert? Non si dica che questi sono paradossi, perch non lo sono. Qual lo scopo dellistituzione delle societ e dei governi? Non si tratta forse di far prevalere la forza pubblica su quella privata, stabilendo cos la supremazia del diritto sul fatto? Dal momento in cui ci si accinge a indebolire lautorit, a renderla oggetto di avversione o di diffidenza agli occhi del popolo, facendola apparire come un nemico naturale; dal momento in cui vengono ridicolizzati i sacri titoli su cui si fonda lubbidienza dovuta allautorit; da quel momento viene attaccato lo stesso scopo per cui stata costituita la societ. E viene inoltre indebolita lazione della forza pubblica a vantaggio di quella privata , che proprio ci che si voleva impedire per mezzo dellautorit conferita al governo. Il segreto dellamabilit della monarchia europea risiedeva in gran parte nella stessa forza e sicurezza fondate sulla nobilt e legittimit dei suoi titoli, allo stesso modo che una delle ragioni del mostruoso dispotismo degli imperatori romani e dei sovrani orientali consisteva nei pericoli legati al possesso di quei troni. Non ho alcun timore di affermare (e nel corso dellopera lo ribadir con forza) che una delle cause delle sventure subite dallEuropa nella difficile soluzione del problema di conciliare lordine con la libert, sta nellaver trascurato le dottrine cattoliche su questo particolare:

esse sono state condannate senza che fossero comprese, e senza che fosse fatto alcun tentativo per cercare di capire in cosa consistessero; e i nemici della Chiesa hanno agito tutti allo stesso modo senza che a qualcuno venisse lidea di ricorrere alle fonti originarie dove sarebbe stato facile recuperare la verit. Il Protestantesimo, deviando dallinsegnamento cattolico, andato a cozzare contro due scogli opposti: quando ha voluto stabilire lordine, lo ha fatto opponendosi alla vera libert; e quando ha voluto sostenere la libert, diventato nemico dellordine. Dal seno della falsa riforma uscirono le insensate dottrine che, predicando la libert cristiana, esentavano i sudditi dallobbligo di ubbidire alle autorit legittime; dal seno della stessa riforma usc anche la teoria di Hobbes che innalza il dispotismo sulla societ come un idolo mostruoso al quale tutto debba sacrificarsi senza alcun riguardo per gli eterni princpi della morale, senza altra regola che il capriccio di chi comanda, senza altro limite al suo potere, al di fuori di quello che gli viene indicato dallentit della sua forza. Questa la conseguenza alla quale si inevitabilmente giunti per aver bandita dal mondo lautorit di Dio: luomo abbandonato a se stesso non riesce a produrre altro che schiavit o anarchia, cio il fatto stesso sotto le diverse forme, cio limpero della forza. Nello spiegare lorigine della societ e dellautorit, vari studiosi moderni hanno parlato molto di un certo stato naturale anteriore a tutte le societ, supponendo che queste si siano formate per mezzo di una lenta trasformazione dallo stato selvaggio a quello della civilt. Questa dottrina erronea ha radici pi profonde di quanto simmagini. Se si analizza bene la questione, lorigine del pervertimento delle idee verr trovato nella decisione di ignorare linsegnamento cristiano. Hobbes fa derivare ogni diritto da un patto. Secondo lui, quando gli uomini vivono nello stato naturale, tutti hanno diritto a tutto; la qual cosa in altri termini significa che non vi differenza alcuna tra il bene e il male. Ne deriva che alla formazione delle societ non ha presieduto nessuna specie di moralit, e che le stesse non devono essere considerate se non come un mezzo utile per arrivare ad un fine. Puffendorf e altri, adottando il principio della socialit, facendo cio derivare dalla societ le regole della morale, cadono in ultima analisi nel principio di Hobbes, mettendo sotto i piedi la legge naturale e quella divina. Riflettendo sulle cause di tanti errori noi le troviamo nel deplorevole capriccio, che ha dominato negli ultimi secoli, di non fare tesoro, nelle discussioni filosofiche e morali, del grande patrimonio di insegnamenti che in tutti i campi impartisce la religione, la quale con i suoi dogmi fissa i punti cardinali di ogni vera filosofia, e con le sue esposizioni presenta lunica guida sicura per sbrogliare il caos dei tempi antichi. Leggete gli studiosi protestanti di diritto pubblico e confrontateli con gli scrittori cattolici: ci troverete una notevole differenza. Questi ragionano, lasciano ampia libert al discorso e fanno emergere lingegno, ma conservano sempre intatti certi princpi fondamentali; e quando vedono che una teoria non si pu conciliare con essi, inesorabilmente la rigettano come falsa. Quelli invece vanno vagando senza orientamenti e senza guida per limmenso spazio delle opinioni umane, e ci presentano una viva immagine della filosofia pagana, la quale (non essendo illuminata dalla luce della fede, ben lontana comera dal distinguere un Dio creatore e ordinatore che come Padre amorevole ha a cuore la felicit degli esseri che ha creato dal nulla), nellandare in cerca del principio delle cose non riusciva a scoprire che il caos, sia nel mondo fisico che in quello sociale. Questo stato di degradazione e di stupida brutalit, che hanno voluto mascherare col nome di natura, in realt non altro che il caos applicato alla societ; caos che troverete in gran quantit nei moderni studiosi di diritto pubblico non cattolici, e che per una sorprendente coincidenza, che d lo spunto alle pi gravi riflessioni, si trova altres nei pi famosi scrittori della cultura pagana. Dal momento che si perdono di vista le grandi tradizioni del genere umano, tradizioni che ci mostrano come luomo abbia ricevuto da Dio lintelligenza, la parola e il modo di governarsi in questa vita; dal momento che si rifiuta la narrazione di Mos: la semplice, la sublime, lunica vera spiegazione dellorigine delluomo e della societ; le idee si confondono, i fatti singarbugliano, unassurdit tira laltra, e chi indaga senza voler tener conto di queste cose subisce il degno castigo della sua superbia come avvenne per gli antichi costruttori della torre di Babele.

Cosa mirabile! Lantichit che, priva della luce del Cristianesimo e perduta nel labirinto delle fantasie umane, aveva quasi dimenticata la tradizione primordiale sullorigine della societ, richiamandosi allassurda trasformazione dallo stato selvaggio a quello civile; quando si trattava di costituire una nuova societ invocava sempre quello stesso diritto divino che certi moderni filosofi hanno considerato con tanto disprezzo. I pi famosi legislatori si preoccupavano di fondare sullautorit divina le leggi che davano ai popoli, e tributavano cos un solenne omaggio alla verit stabilita dai Cattolici, che ogni potere, per essere considerato legittimo ed esercitare la dovuta autorit, necessario che faccia discendere i suoi diritti da Dio. Volete che i legislatori non si trovino nella triste necessit di fingere rivelazioni che non hanno ricevuto, e che non si faccia intervenire continuamente in modo straordinario Dio negli affari umani? Stabilite il principio generale che ogni autorit legittima viene da Dio, che lAutore della natura anche lAutore della societ, che lesistenza di questa societ un precetto imposto al genere umano per la propria conservazione; fate in modo che lorgoglio non si senta ferito dalla sottomissione e dallubbidienza; presentate chi governa come persona investita da unautorit superiore, in modo che il sottomettersi a questa persona non comporti alcuna umiliazione. In una parola: stabilite la dottrina cattolica; e allora qualunque sia la forma di governo, avrete una solida base su cui fondare il rispetto dovuto alle autorit, e avrete eretto ledificio sociale su fondamenta certamente pi stabili delle convenzioni umane. Esaminate il diritto divino tal quale ve lho presentato sui pareri di celebri teologi, e sono sicuro che non potrete fare a meno di accettarlo come perfettamente conforme ai lumi di una sana filosofia. Che se vi ostinate a dargli un senso strano che in s non ha, se credete che debba spiegarsi in altra maniera, esiger da voi una cosa che non potrete negarmi: presentatemi un testo della Sacra Scrittura, una testimonianza della Tradizione tenuta per articolo di fede nella Chiesa cattolica, una decisione dei Concili o dei Papi, la quale dimostri che la vostra interpretazione fondata. Fino ad allora io avr il diritto di dirvi che per la smania che avete di rendere odioso il Cattolicesimo, gli addebitate dottrine che non professa, gli attribuite dogmi che non conosce, e perci non lo combattete da avversari leali e sinceri, perch mettete mano ad armi che non sono legittime (2).

CAPITOLO LI Conferimento indiretto o diretto dellautorit civile. Sotto certi aspetti la differenza tra queste opinioni pu essere importante, sotto altri no. Perch i teologi cattolici sostennero con forza il conferimento indiretto dellautorit civile. _______________ La diversit delle opinioni sul modo con cui Dio conferisce lautorit civile, per quanto sia importante in teoria, nella pratica non lo altrettanto. Come abbiamo gi visto, alcuni sostengono che Dio conferisca questa autorit indirettamente, altri direttamente. Secondo i primi, quando la societ sceglie le persone che dovranno esercitare lautorit civile, essa non solo le designa, cio pone la condizione necessaria per il conferimento del potere, ma conferisce di fatto questo potere, avendolo essa precedentemente ricevuto da Dio stesso. Secondo gli altri invece, la societ non fa altro che designare, e mediante la designazione Dio conferisce lautorit direttamente alla persona designata. Ripeto: in pratica non c alcuna differenza. E forse anche in teoria la differenza non poi tanta quanto a prima vista potrebbe sembrare. Dimostrer questo fatto sottoponendo le due opinioni ad unanalisi rigorosa. La spiegazione che dnno i sostenitori delle due scuole sullorigine divina dellautorit, si pu ridurre ai seguenti termini. Secondo gli uni Dio dice: O societ, per la tua conservazione e perch tu sii felice, ci vuole un governo. Scegli dunque per vie legittime la forma con cui deve essere esercitato e designa le persone che se ne debbano far carico, ed Io conferir loro le facolt necessarie per conseguire il fine. Secondo gli altri Dio invece dice: O societ, per la tua

conservazione, e perch tu sii felice, ci vuole un governo. Io ti conferisco le facolt necessarie per conseguire questo fine; ora scegli tu stessa la forma con cui debba essere esercitato e, designando le persone che se ne debbano far carico, trasmetti loro queste facolt che io ti ho conferito. Per convincersi dellidentit dei risultati a cui le due formule conducono, esaminiamole nella relazione che hanno: 1 - con la santit dellorigine; 2 - con i diritti e doveri del potere; 3 - con i diritti e doveri dei sudditi. Che Dio abbia conferito lautorit alla societ, perch la trasmettesse alle persone che dovranno esercitarla; oppure che le abbia conferito solamente il diritto di determinare la forma e di designare le persone incaricate ad esercitate i diritti annessi allautorit suprema, ne risulta comunque che questa, per poter esistere, deve essere derivata da Dio; e sar in ogni caso sacra, anche supponendo che venga conferita indirettamente attraverso un mezzo stabilito dallo stesso Dio. Chiarir questo concetto con un esempio semplicissimo e facile da comprendere. Si supponga che in uno Stato vi sia una certa comunit che, istituita dal sovrano, non abbia altri diritti che quelli che il sovrano le concede, n altri doveri al di fuori di quelli imposti dallo stesso sovrano. Supponiamo, in altre parole, che la comunit sia debitrice al sovrano di ci che , e di ci che ha. Questa comunit, per piccola che sia, avr bisogno di un governo, il quale potr essere formato in due maniere: o il sovrano, che ha disposto le norme per questo governo, concede alla comunit il diritto di governarsi e di trasmetterne lautorit alla persona o alle persone secondo le proprie preferenze; oppure il sovrano stabilisce che la stessa comunit determini la forma di governo e designi le persone, precisando che, fatta la determinazione della forma di governo e la designazione delle persone, sintender che per questo semplice atto il sovrano accorda alle persone designate il diritto di esercitare le loro funzioni entro i legittimi confini. evidente che il risultato lo stesso; infatti: non forse vero che sia in un caso che nellaltro le facolt del governante saranno considerate e rispettate come una derivazione dellautorit del sovrano? Non forse vero che a mala pena si potrebbe trovare la minima differenza tra le due modalit di investitura? In ambedue le ipotesi la comunit avrebbe il diritto di determinare la forma e di designare la persona; in ambedue le ipotesi il governante non otterrebbe le sue facolt se prima non fossero avvenute questa determinazione e questa designazione; in ambedue le ipotesi non ci sarebbe bisogno di una seconda conferma da parte del sovrano che faccia intendere che la persona nominata stata delegata di tutte le facolt corrispondenti allesercizio delle sue funzioni. Nella pratica dunque non c nessuna differenza. E aggiungo che anche nella pura teoria ben difficile stabilire in cosa differisca un caso dallaltro. Soltanto se analizziamo la questione alla luce di una metafisica minuziosa potremo concepire questa differenza e considerare lentit morale che chiamiamo autorit, non per quello che in s e nei suoi risvolti legali, ma come un qualcosa di astratto che passa da una mano allaltra come avviene per gli oggetti materiali. Ma se esaminiamo la questione, non per la curiosit di sapere se questa entit morale prima di arrivare ad una persona sia precedentemente passata per unaltra, ma soltanto per verificarne lorigine, quali sono le facolt che concede, e quali i diritti che impone, allora ci renderemo conto che dire: Ti conferisco questa facolt, trasmettila a chi vuoi e nel modo che vuoi; lo stesso che dire: Alla persona che tu vuoi, e nella forma che vuoi, verr concessa da me una tale o talaltra facolt con il semplice atto della tua designazione. Ne deriva che, sia che si condivida il parere del conferimento diretto, che di quello indiretto, i supremi diritti dei monarchi ereditari, di quelli elettivi, e in generale di tutte le autorit supreme, qualunque ne sia la forma di governo, non saranno meno sacri e meno confermati dallautorit divina. La differenza delle forme non diminuisce per niente lobbligo di sottomettersi allautorit civile legittimamente stabilita; per cui si opporrebbe alla volont di Dio tanto chi si rifiutasse di obbedire al presidente di una repubblica in un paese ove questa fosse la forma legittima di governo, quanto chi lo facesse nei confronti del sovrano pi assoluto. Bossuet, pur essendo tanto legato alla monarchia, e vivendo in un paese e in unepoca in cui il re poteva dire: Lo Stato sono io, ci nonostante nel comporre un trattato di Politica ricavata dalle parole della Sacra Scrittura, stabil in modo chiaro ed esplicito che un dovere quello di aderire alla forma di governo stabilita nel

proprio paese. E pi in l, dopo aver citato le parole dellApostolo S. Paolo nella lettera ai Romani: Ciascuno stia sottomesso alle autorit costituite; poich non c autorit se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone allautorit, si oppone allordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna ( Rom 13, 1-2), continua cos: Non vi forma di governo, n realt umana, che non abbia i suoi problemi; pertanto conveniente restare comunque nella condizione in cui un popolo assuefatto da lungo tempo: per questo Dio prende sotto la Sua protezione tutti i governi legittimi, qualunque ne sia la forma; e chi intende rovesciarli, non solo nemico pubblico, ma anche nemico di Dio (Lib. 2 propos. 12). Qualunque sia il modo, dunque, dintendere il conferimento dellautorit, che sia cio avvenuto indirettamente o direttamente, non fa venir meno lobbligo del rispetto e dellobbedienza che le dovuta, e quindi resta sempre effettiva la santit della sua origine qualunque sia lopinione seguita. La stessa cosa accade riguardo ai diritti e ai doveri sia del governo che dei governati; infatti questi diritti e doveri non hanno nulla a che fare con lesistenza o meno di un intermediario nel conferimento dellautorit, perch la loro natura e i loro limiti si fondano sulloggetto stesso dellistituzione della societ; il quale oggetto del tutto indipendente dal modo con cui Dio lo ha comunicato agli uomini. Per confutare le mie affermazioni sulla poca o nessuna differenza tra le due opinioni accennate, mi si citer, forse, lautorit di quegli stessi teologi di cui nel capitolo precedente ho riportato alcuni passi. Essi mi verr detto conoscevano benissimo queste cose; dunque se consideravano tanto importante la differenza tra le due opinioni vuol dire che ci vedevano qualche verit da salvaguardare, e che merita dunque di essere considerata. Questa osservazione acquisisce un peso ancora maggiore se si considera che i teologi che facevano questa distinzione non erano mossi dallamore per le sottigliezze, come potremmo sospettare se si trattasse di quella categoria di teologi scolastici nelle cui opere abbondano pi gli argomenti dialettici che i ragionamenti fondati sulla Sacra Scrittura, sulla Tradizione apostolica e sugli altri luoghi teologici nei quali soprattutto si devono cercare gli strumenti per questo genere di controversie. I teologi da me citati non erano certo fra questi: basti nominare Bellarmino per ricordare un autore serio ed estremamente concreto, il quale attaccando i Protestanti con le armi della Sacra Scrittura, della Tradizione, con lautorit dei Santi Padri e i provvedimenti della Chiesa universale e dei sommi Pontefici, non era di quelli di cui si lamentava Melchior Cano, quando rinfacciava loro che dovendo combattere gli eretici, invece di usare armi di buona tempera, non maneggiavano che lunghe canne (arundines longas). Ma c di pi: abbiamo visto che la distinzione tra le due opinioni era ritenuta di tale importanza che il re dInghilterra Giacomo si lamentava fortemente di Bellarmino, perch il Cardinale insegnava che lautorit dei re viene da Dio solo indirettamente; e le scuole cattoliche erano tanto lontane dal considerare come poco importante la distinzione, e da lasciarla senza difesa dallattacco del re, che uno dei pi illustri dottori, linsigne Suarez, entr in campo per sostenere le dottrine di Bellarmino. In un primo momento sembra dunque errata laffermazione riguardo alla poca importanza della distinzione tra le due opinioni dette prima; ci nonostante credo che la difficolt possa facilmente essere superata col distinguere i vari aspetti sotto i quali si presentata la questione. E prima d tutto osserver che i teologi cattolici procedevano su questo tema con una meravigliosa sagacia e lungimiranza; ed io sono talmente lontano dal credere che nel discutere questa questione, cos come veniva proposta allora, vi si trovassero solo delle inezie, che, al contrario, sono del parere che vi si celasse uno degli aspetti pi seri di diritto pubblico. Per esaminare a fondo la questione, e penetrare il vero senso delle dottrine dei teologi cattolici, conviene riflettere sulla piega che la rivoluzione religiosa del sedicesimo secolo fece prendere alla monarchia europea. Anche prima di questa rivoluzione le monarchie avevano acquisito molta forza e stabilit per il declino del feudalesimo e per il rafforzarsi dellelemento democratico. Sebbene la forza di questo elemento col tempo sia diventata quella che noi oggi conosciamo, non era allora ancora tale da permettergli di esercitare la sua influenza in un modo cos ampio. Per questo motivo era ben naturale che si collocasse allombra del trono, il quale innalzato in mezzo alla societ come un simbolo di ordine e di giustizia, era una specie di regolatore e livellatore universale, molto adatto

per ridurre quelle eccessive disuguaglianze che tanto infastidivano ed offendevano il popolo. Cos la stessa democrazia, che nei secoli successivi doveva rovesciare tanti troni, in quei tempi serviva loro di robusto piedistallo e di forte scudo contro gli attacchi provenienti da unaristocrazia turbolenta e vigorosa che non voleva rassegnarsi alla condizione di cortigiana alla quale i re la stavano riducendo. In questo non vi era nulla che potesse arrecare gravi danni, finch le cose si fossero mantenute nei limiti prescritti dalla ragione e dalla giustizia. Ma disgraziatamente avvenne che lapplicazione dei buoni princpi furono ampliati fino al punto di trasformare lautorit del sovrano in un potere totalitario che riuniva in s tutti gli altri, allontanandosi cos dalla vera natura della monarchia europea, che consiste nel restare sempre entro i giusti limiti anche quando questi non sono assegnati e garantiti da istituzioni politiche. Il Protestantesimo, attaccando lautorit spirituale dei Papi, e dipingendo continuamente a fosche tinte i presunti pericoli derivanti dal potere temporale, aument in modo inaudito le pretese dei re, e ancor pi le aument avendo stabilita la funesta dottrina che sottopone alla suprema autorit civile la giurisdizione di tutti gli affari ecclesiastici, e col dare il nome di abuso, di usurpazione, di smisurata ambizione alla giusta rivendicazione dindipendenza che la Chiesa opponeva e che fondava sui sacri canoni, sulla garanzia derivante dalle stesse leggi civili, sulla tradizione di quindici secoli, e soprattutto sulla sacra istituzione del divino Fondatore, il Quale non ebbe bisogno del permesso di alcuna autorit civile per mandare i suoi Apostoli a predicare il Vangelo in tutto il mondo, e a battezzare in nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo. Basta dare unocchiata alla storia europea di quei tempi per constatare le dannose conseguenze di una tale dottrina, e quanto la stessa dovette risultare gradita allautorit civile che veniva da essa lusingata, in quanto ne riceveva un illimitato potere anche sugli affari puramente religiosi. Con questo ampliamento dei diritti dellautorit civile, che andava di pari passo con gli sforzi che venivano fatti per sminuire lautorit pontificia, divenne molto diffusa la dottrina che parificava sotto ogni aspetto lautorit dei re a quella dei Papi; e per questo motivo era ben naturale che si cercasse di stabilire e assicurare che i Papi avevano ricevuto da Dio lautorit nello stesso modo che i re, senza alcuna differenza. Sebbene la dottrina del conferimento diretto dellautorit civile possa benissimo avvalersi, come abbiamo gi visto, di una spiegazione ragionevole, nella situazione descritta tale spiegazione poteva tuttavia subire un senso pi ampio che facesse dimenticare ai popoli il modo speciale e caratteristico con cui fu istituita da Dio stesso la suprema autorit della Chiesa. Quanto appena riferito non pu essere considerata una semplice supposizione, perch poggiato su fatti che nessuno pu aver dimenticato. A conferma di questa purtroppo infausta verit basterebbe senza dubbio accennare ai regni di EnricoVIII e di Elisabetta dInghilterra, e le usurpazioni e le violenze che tutte le autorit civili protestanti si permisero contro la Chiesa cattolica; ma sciaguratamente perfino nei paesi dove rimase dominante il Cattolicesimo si videro allora, si sono visti anche successivamente, e si vedono tuttora, tentativi e conflitti che mostrano quanto grande sia la tentazione che subisce lautorit civile in questo senso, se trova tanta difficolt a mantenersi entro i limiti che le competono. Le circostanze in cui scrissero i due insigni teologi, Bellarmino e Suarez, dnno unulteriore conferma a quanto ho detto fin qui. La famosa opera del teologo spagnolo, di cui ho riportato alcuni passi, fu scritta contro una pubblicazione data alle stampe dal re Giacomo dInghilterra, il quale non voleva accettare quanto era stato stabilito dal Cardinale Bellarmino, cio che lautorit dei re non deriva direttamente da Dio, ma viene loro trasmessa attraverso la societ, che a sua volta lha ricevuta direttamente da Dio. Questo sovrano che, come tutti sanno, aveva la mania di atteggiarsi a teologo, non si limitava peraltro alla semplice teoria, ma trasferendo le sue dottrine dalla teoria alla pratica faceva dire al suo parlamento che Dio lo aveva fatto padrone assoluto, e che tutti i privilegi di cui godevano i collegi amministrativi erano semplici concessioni derivate dalla benevolenza del re. I suoi cortigiani lo adulavano, chiamandolo moderno Salomone, e non fa quindi meraviglia che

se ne avesse a male del fatto che i teologi italiani e spagnoli facessero in modo, attraverso i loro scritti, di umiliare lorgoglio della sua presuntuosa sapienza e di mettere un freno al suo dispotismo. Si leggano attentamente le parole di Bellarmino e ancor pi quelle di Suarez, e si vedr che lo scopo di questi insigni teologi era quello di ben stabilire la differenza che passa tra lautorit civile e quella ecclesiastica per quanto riguarda la loro origine. Essi riconoscevano che ambedue le autorit derivavano da Dio, che era un dovere indiscutibile esserne soggetti, che opporsi loro significava opporsi allordine stabilito da Dio; ma siccome, n nelle Sacre Scritture n nella Tradizione, trovavano alcun fondamento che consentisse di stabilire che lautorit civile fosse stata istituita in maniera singolare e straordinaria come quella del Sommo Pontefice, cercavano di far conoscere bene una tale differenza; e in una questione di tale importanza non permettevano che sintroducesse la minima confusione didee che potesse dar luogo a pericolosi errori. Questa opinione dice Suarez, riferendosi a re Giacomo nuova e singolare, e sembra inventata a bella posta per ingrandire il potere temporale e diminuire quello spirituale. Questa la ragione per cui non permettevano che, riguardo allorigine dellautorit civile, si dimenticasse il ruolo che era stato assegnato alla societ: Mediante consilio, et electione humana, dice Bellarmino; rammentando cos a quel sovrano che, per quanto sacra fosse la sua autorit, era stata per istituita in una maniera ben diversa da quella del Sommo Pontefice. La distinzione tra il conferimento indiretto e quello diretto si adattava benissimo alla definizione di questa differenza, perch in questo modo veniva ricordato che lautorit civile, quantunque stabilita da Dio, non era concessa in modo straordinario, n doveva essere considerata come soprannaturale, ma bens come appartenente allordine naturale ed umano, quantunque sanzionato espressamente dal diritto divino. Probabilmente i teologi citati non avrebbero insistito tanto su questa distinzione se non fossero stati indotti dalla necessit di mettere in chiaro ci che altri tentavano di confondere. Per loro era di grande importanza frenare lorgoglio dellautorit civile, e non lasciare che si attribuisse alla sua origine e ai suoi diritti titoli che non aveva; e che arrogandosi un potere illimitato anche sugli affari ecclesiastici, la monarchia andasse e degenerare in una specie di dispotismo orientale, dove un solo uomo tutto, e le cose e i popoli non sono nulla. Se si pesano attentamente le parole dei suddetti teologi si vedr che il loro pensiero dominante appunto quello che abbiamo esposto. A prima vista si potrebbe pensare che il loro linguaggio sia eccessivamente democratico, in quanto parlano continuamente di comunit, repubblica, societ, popolo; ma esaminando nel suo insieme il loro sistema dottrinale, e ponendo mente al loro modo di esprimersi, ci si accorge subito che in loro non vi era alcun progetto di sovversione, n essi avevano in mente teorie anarchiche. Facevano ogni sforzo per sostenere con una mano i diritti dellautorit, mentre con laltra sostenevano quelli dei sudditi, cercando di risolvere quel problema che costituisce leterna preoccupazione di tutti gli studiosi in buonafede: cio limitare il potere dei governanti senza distruggerlo e senza apporvi eccessivi ostacoli; e mettere la societ al riparo dagli eccessi del dispotismo, senza renderla per disubbidiente o ribelle. Da quanto detto fin qui si pu vedere che la distinzione tra il conferimento indiretto e quello diretto pu essere di poca o di molta importanza secondo laspetto sotto il quale si considera. Ne ha molta quando serve a ricordare allautorit civile che listituzione dei governi e la determinazione della loro forma dipende in qualche modo dalla societ stessa, e che nessun individuo o dinastia si pu vantare di aver ricevuto da Dio il governo dei popoli senza che abbiano avuto nulla a che fare le leggi del paese, n si pu vantare che tutte le leggi esistenti, ed anche quelle che son dette fondamentali, derivino dalla loro libera volont. Inoltre la distinzione serve anche a stabilire lorigine dellautorit civile; la quale deriva da Dio autore della natura, ma non come se fosse istituita da un provvedimento straordinario, come qualcosa di soprannaturale, come invece avvenuto per la suprema autorit ecclesiastica. Da questultima riflessione risultano due conseguenze della massima importanza, una pi dellaltra, per la legittima libert dei popoli e per lindipendenza della Chiesa. Rammentando lintervento tacito o espresso della societ nella fondazione dei governi e nella determinazione della loro forma, la loro origine non viene coperta con misterioso velo: se ne fissa in un modo puro e

semplice la sostanza, e di conseguenza se ne dichiarano i doveri nellatto stesso che se ne determinano le facolt. In questa maniera si pone un argine alla forza e agli abusi dellautorit, e se questa dovesse arrivare a commetterli, sa di non potersi aggrappare a immaginarie teorie. Ed anche lindipendenza della Chiesa pogger su basi solide, perch se lautorit civile tenter di farle violenza essa pu rivolgerle questo discorso: La mia autorit stata stabilita direttamente e senza intermediari dallo stesso Dio in un modo speciale, straordinario e miracoloso; la tua proviene pure da Dio, ma attraverso lintermediazione degli uomini, mediante le leggi, e secondo il corso ordinario delle cose indicato dalla natura e determinato dalla prudenza umana; e n gli uomini, n le leggi civili hanno il diritto di distruggere o di cambiare ci che lo stesso Dio si degnato distituire ponendosi al di sopra dellordine naturale ed operando indicibili prodigi. Finch questi princpi saranno salvi, e il conferimento diretto non sar inteso in un senso troppo ampio confondendo cose che invece importante distinguere bene (sia per la religione che per la societ), la distinzione indicata non di grande rilevanza, e si potrebbe anche far coincidere le due opposte opinioni. Comunque sia, questa distinzione avr dimostrato con quanta elevatezza di pensiero i teologi cattolici esposero le importanti questioni di diritto pubblico e come, guidati dalla sana filosofia e senza perdere mai di vista la rivelazione, andavano incontro con le loro dottrine alle istanze delle due scuole opposte, senza propendere n per luna n per laltra. Essi erano democratici senza essere anarchici; monarchici senza essere vili adulatori. Per stabilire i diritti dei popoli non avevano bisogno di distruggere la religione come fanno i moderni demagoghi, ma con la religione proteggevano i diritti dei popoli, come proteggevano anche quelli dei re. La libert per loro non era sinonimo di abuso e di irreligione: secondo le loro idee gli uomini potevano essere liberi senza essere ribelli ed emp; la libert consiste nellessere schiavi della legge; e siccome essi vedevano che senza la religione e senza Dio la legge non possibile, credevano anche che senza Dio e senza la religione era impossibile la libert. Quello che veniva loro insegnato dalla ragione, dalla storia e dalla rivelazione, la nostra esperienza ce lha fatto toccar con mano. Quanto ai pericoli che le dottrine pi o meno democratiche dei teologi potevano arrecare ai governi, ormai nessuno pi si lascia ingannare da simulate ed insidiose requisitorie: sanno benissimo, i re, se gli esil e i patiboli siano venuti loro dalle scuole teologiche (3).

CAPITOLO LII Influenza delle dottrine sulla societ. Adulazioni tributate al potere: suoi pericoli. Libert con cui si parlava su questo tema in Spagna negli ultimi tre secoli. Mariana. Saavedra. Senza la religione e la sana morale, le pi rigorose dottrine politiche non possono salvare la societ. Scuole conservatrici moderne: perch sono impotenti. Seneca. Cicerone. Hobbes. Bellarmino. _______________ Gli eccessi nelle dottrine non assicurano n la libert dei popoli, n la forza e la stabilit dei governi; ma sia gli uni che gli altri hanno bisogno della giustizia e della verit, che sono le uniche basi sulle quali si pu costruire con la fiducia che ledificio resista. Mai il principio di libert era stato portato pi in alto di quando il dispotismo stava per salire sul trono; e quando si sente elargire a profusione indegne adulazioni al potere c molto da temere che le rivoluzioni e la rovina dei governi non siano lontane. Quando mai si sentito tanto lodare lautorit dei re, pi di quanto si sia fatto intorno alla met del diciottesimo secolo? Chi non ricorda come venivano esagerate le prerogative dellautorit reale quando si trattava di espellere i Gesuiti e di contrastare lautorit pontificia? In Portogallo, in Spagna, in Italia, in Austria e in Francia, sintese un concerto di voci del pi puro e pi fervido realismo; ma dove and a finire tanto amore e tanto zelo per la monarchia quando luragano rivoluzionario la mise in gran pericolo? Avete visto cosa fecero, parlando in generale, i proseliti delle scuole antiecclesiastiche: si unirono ai demagoghi per rovesciare allo

stesso tempo sia lautorit della Chiesa che quella dei re; dimenticarono le basse adulazioni per abbandonarsi aglinsulti e alla violenza. I popoli e i governi non devono mai dimenticare quella regola, che tanto giova alle persone sagge, che consiste nel diffidare delle adulazioni, e di apprezzare piuttosto quelli che ammoniscono e correggono. Facciano bene attenzione, che quando sono accarezzati con un affetto ostentato, e la loro causa sostenuta con troppo ardore, ci vuol dire che si vuole usarli come strumento per degli interessi che non sono i loro. In Francia fu tanto lo zelo monarchico in alcuni momenti che in unassemblea degli stati generali si giunse a proporre la consacrazione del principio che i re ricevono lautorit suprema direttamente da Dio; e quantunque la cosa non ebbe effetto, ci mostra comunque lardore con cui veniva difesa la causa del trono. Ma sapete cosa significava questo ardore? Significava lintolleranza nei confronti della Sede di Roma; il timore che non si estendesse troppo lautorit dei Papi; era un ostacolo che si cercava di opporre al fantasma della monarchia universale. Luigi XIV, che si dava tanto pensiero per le regalie, non prevedeva sicuramente la sventura di Luigi XVI; e Carlo III, nelludire il conte di Aranda e di Campomanes, non pensava che fossero cos vicine le corti costituenti di Cadice. Nel loro accecamento i sovrani non posero mente ad una regola che domina tutta la storia dellEuropa moderna, cio che lorganizzazione sociale derivata dalla religione, e che perci necessario che vivano in buona armonia le due autorit alle quali appartiene la conservazione e la difesa dei grandi interessi della religione e della societ. Lautorit ecclesiastica non sindebolisce mai senza che ne risenta quella civile: chi semina scismi, raccoglier ribellioni. Che importava alla monarchia spagnola che negli ultimi tre secoli si diffondessero in Spagna dottrine molto democratiche e popolari sullorigine dellautorit civile, se quelli che le sostenevano erano i primi a condannare chi si opponeva alle autorit legittime, ad inculcare lobbligo di ubbidire a dette autorit, e ad instillare nei cuori il rispetto, la venerazione e lamore per il sovrano? Lorigine dellirrequietezza dei nostri tempi, e dei pericoli che i sovrani corrono continuamente, non nella propagazione di dottrine pi o meno popolari, ma nella mancanza dei princpi religiosi e morali. Proclamate pure che il potere viene da Dio: ma che ci guadagnerete se i sudditi non credono pi in Dio? Fate conoscere quanto sacro lobbligo di obbedire: che effetto produrr in chi non ammette neanche lesistenza di un ordine morale, e che reputa il dovere unidea utopistica? Viceversa: supponete che i sudditi siano stati educati con princpi religiosi e morali e nel rispetto della divina volont, alla quale sentono il dovere di sottomettersi quando vien loro manifestata; e allora: che lautorit civile derivi da Dio indirettamente o direttamente; o che si mostri loro in una o nellaltra maniera purch sia approvata da Dio che ne chiede la sottomissione, vedrete che essi si sottometteranno sempre con buona volont, perch vedranno nella sottomissione il compimento di un loro dovere. Queste considerazioni fanno capire perch certe dottrine adesso appaiono pi pericolose di prima: il motivo dipende dalle interpretazioni perverse che lincredulit e limmoralit (oggi cos diffuse) dnno del principio di autorit, e dal fatto che tale principio viene fatto applicare in modo da provocare solamente eccessi e stravolgimenti. Sentendo tanto parlare del dispotismo di Filippo II e dei suoi successori sembrerebbe che a quei tempi non circolassero altre dottrine che quelle favorevoli allassolutismo pi puro; eppure sappiamo che circolavano senza alcun timore certi libri nei quali si sostenevano teorie che forse ai nostri giorni sarebbero considerate troppo audaci. Ed cosa degna di nota che la famosa opera del P. Mariana intitolata De rege et regis institutione, la quale fu bruciata a Parigi per mano del carnefice, era stata pubblicata in Spagna undici anni prima senza che n lautorit ecclesiastica n la quella civile avessero posto alcun impedimento o il minimo ostacolo. Mariana compil la sua opera su istanza e preghiera di D. Garcia de Loaisa, precettore di Filippo III, poi Arcivescovo di Toledo; quindi essa doveva servire addirittura come testo di studio per leducazione ed istruzione dellerede al trono. Non si parl mai ai re con maggior libert; non fu mai condannata con accenti tanto terribili la tirannia; non si proclamarono mai dottrine pi popolari; e nonostante ci lopera pubblicata a Toledo nel 1599 nella tipografia del regio stampatore Pietro Rorigo, usc con approvazione del P. Fra Pietro de Ona

provinciale dei Mercedari di Madrid, con licenza di Stefano Hojeda, visitatore della Compagnia di Ges nella provincia di Toledo, essendo generale Claudio Acquaviva; e ci che pi conta, con privilegio reale e con la dedica allo stesso re. opportuno notare che, oltre alla dedica che si trova allinizio, il Mariana volle che sullo stesso frontespizio si conoscesse la persona a cui fu dedicata: De rege, et regis institutione libri tres ad Philippum III, Hispaniae regem catholicum. E come se ci non bastasse, nella dedica che il Mariana fece a Filippo III nelledizione castigliana della Storia di Spagna, scrive: Lanno passato presentai a Vostra Maest un libro da me composto sulle virt che deve avere un buon re: desidero che sia letto e diligentemente capito da tutti i prncipi. Lasciamo da parte la sua dottrina sul tirannicidio, che quella che principalmente caus la condanna in Francia, la quale aveva certamente dei motivi per mettersi in allarme dal momento che vedeva morire i suoi re per mano degli assassini. Esaminando semplicemente il tema dellautorit, la teoria che vi descritta tanto popolare e democratica quanto pu essere quella dei democratici di oggi; e lautore ebbe il coraggio di esporre le sue opinioni senza tanti giri di parole e senza ambiguit. Facendo per esempio il confronto tra il re e il tiranno dice: Il re esercita con molta moderazione lautorit che ricevette dal popolo Cos non governa i suoi sudditi come se fossero schiavi, alla maniera dei tiranni, ma li governa come uomini liberi; ed avendo ricevuto dal popolo il potere ha una cura particolarissima che per tutta la sua vita il popolo gli si mantenga sottomesso di buona volont (Lib. 1. cap. 4. pag. 57). Cos si esprimeva in Spagna un semplice religioso, e i suoi superiori lo approvavano, e i re lo ascoltavano attentamente. A quante e quanto gravi riflessioni d occasione questo solo fatto! E dov quellindissolubile e stretta alleanza che i nemici del Cattolicesimo hanno immaginato tra i dogmi della Chiesa cattolica e le dottrine sulla schiavit? Se in un paese dove il Cattolicesimo dominava in una maniera cos esclusiva era permesso di esprimersi in questo modo, come si potr sostenere che una tale religione sia propensa a mettere in schiavit il genere umano, e che le sue dottrine siano favorevoli al dispotismo? Sarebbe molto facile comporre volumi interi di passi importanti dei nostri scrittori sia laici che ecclesiastici, per dimostrare la grande libert che su questo tema veniva lasciata sia da parte della Chiesa che del governo civile. Qual quel sovrano assoluto in Europa, che esprima un giudizio positivo sul fatto che uno dei suoi funzionari di alto grado parlasse dellorigine del potere nei termini che us il nostro immortale Saavedra? Dal centro della giustizia egli dice stata tracciata la circonferenza della corona; questa non sarebbe necessaria, se si potesse vivere senza di quella. Hoc uno reges olim sunt fine creati, Dicere jus populis injustaque tollere facta (per questo unico scopo in origine erano stati eletti i re: per assicurare ai popoli la giustizia e per rimuovere le opere ingiuste). Alle origini del genere umano la legge non contemplava la pena perch non si conosceva la colpa; n il premio, perch lagire onesto e glorioso era amato per se stesso. Ma col passar del tempo crebbe la malizia, e la virt, che prima risiedeva fra le genti, semplice e incontrastata, divenne timida. Luguaglianza fu disprezzata, la modestia e il pudore furono abbandonati, sintrodussero lambizione e la forza, e dietro a loro la sete del dominio. La prudenza, costretta dalla necessit e risvegliata dallistinto, spinse gli uomini a riunirsi formando la societ civile, affinch esercitassero le virt a cui la ragione li predisponeva e si servissero della parola che diede loro la natura in modo che, scambiandosi lun laltro le proprie idee, e manifestandosi reciprocamente i loro sentimenti e bisogni, sistruissero a vicenda, si dessero buoni consigli e si difendessero. Formatasi poi questa societ, nacque dal comune accordo unautorit, illuminata possiamo dire dalla legge di natura, per salvaguardare i componenti di questa societ e mantenerla nella giustizia e nella pace, castigando i vizi e premiando le virt. E siccome questautorit non poteva restare sparpagliata tra il popolo per la confusione che ne sarebbe derivata nelle decisioni e nelle

attuazioni; e tuttavia era necessario che vi fosse qualcuno che comandasse ed altri che ubbidissero, i componenti della societ si spogliarono di questautorit e la consegnarono a uno, o a pochi, o a molti. Che poi sono le tre forme di governo della societ: monarchia, aristocrazia e democrazia. La monarchia fu la prima forma ad essere attuata, quando allinterno delle loro famiglie, e poi del popolo, gli uomini scelsero per loro governante quello che superava gli altri in bont; del quale, crescendo la dignit, ornarono la mano con lo scettro e cinsero la fronte con la corona in segno di maest e della suprema autorit che gli avevano concesso. Autorit consistente soprattutto nellamministrazione della giustizia per mantenere la pace tra il popolo; per cui se manca questa, cessa lordine nella societ, e cessa quindi il compito del re, come accadde in Castiglia quando fu sottoposta al governo di due giudici, e ne furono esclusi i re a causa delle ingiustizie di D. Ordogno, e D. Fruela (Idea di un principe politico cristiano esposta in cento imprese da D. Diego di Saavedra Faiardo, cavaliere dellOrdine di S. Giacomo, del Consiglio di sua maest nel Consiglio supremo delle Indie etc. Impresa 22). Le espressioni: popolo, patto, consenso, hanno finito con lo spaventare le persone di sani princpi e di rette intenzioni per labuso deplorevole che ne hanno fatto certe scuole immorali, le quali piuttosto che democratiche dovrebbero essere chiamate irreligiose. Non stato certo per il desiderio di migliorare le condizioni dei popoli che queste scuole si sono date a sconvolgere il mondo rovesciando troni e facendo correre fiumi di sangue in guerre civili; ma per la cieca frenesia di rovinare le opere di secoli, attaccando particolarmente la religione che era il pi saldo sostegno di tutto ci che di pi saggio, pi giusto e pi salutare era stato conseguito dalla civilt europea. E infatti, non abbiamo forse visto queste scuole empie, che vantavano tanto il loro amore per la libert, piegare umilmente il capo sotto la mano del dispotismo ogni volta che lhanno ritenuto utile per i loro scopi? Prima della rivoluzione francese non furono esse forse le pi vili adulatrici dei re, di cui ampliavano i poteri oltre ogni misura, con la speranza che il potere del re servisse ad abbattere la Chiesa? E dopo quel periodo rivoluzionario, non le abbiamo viste affollarsi intorno a Napoleone, e non vediamo che ancora oggi lo esaltano? E sapete perch? Perch Napoleone fu la rivoluzione personificata, perch fu il rappresentante e lesecutore delle nuove idee che volevano sostituirsi alle antiche; allo stesso modo che il Protestantesimo inglese esalta la regina Elisabetta perch fond su solide basi la chiesa da lei tutelata. Le dottrine fondate sul disordine e sulla confusione, oltre che disastri alla societ producono indirettamente anche un altro effetto, il quale, sebbene a prima vista possa sembrare benefico, in realt non lo , perch tradotte in pratica esse provocano reazioni pericolose, e in campo scientifico vanificano o minimizzano i concetti, facendo s che vengano condannati come erronei e dannosi, oppure si guardino con diffidenza quei princpi che prima sarebbero passati per veri, o almeno come innocui fraintendimenti. Il motivo semplicissimo: il peggior nemico della libert labuso che se ne fa. A conferma di questa ultima osservazione bisogna notare che le dottrine pi rigorose in materia politica sono nate appunto nei paesi dove lanarchia ha fatto maggiori stragi, e proprio in quei tempi nei quali il male era ancor presente oppure ne era fresca la memoria. La rivoluzione religiosa del sedicesimo secolo, e gli sconvolgimenti politici che ne derivarono, presero piede principalmente nel nord dellEuropa, mentre il Mezzogiorno ne fu preservato quasi del tutto, e specialmente lItalia e la Spagna. Orbene, questi due ultimi paesi furono proprio quelli dove le prerogative e la dignit dellautorit civile furono meno portate alle stelle, ma furono anche quelli dove le stesse prerogative e dignit dellautorit civile non furono disprezzate in teoria n attaccate in pratica. LInghilterra fu la prima tra le nazioni moderne in cui accadde una rivoluzione propriamente detta (poich non considero tra le rivoluzioni n linsurrezione dei contadini in Germania, che anche se provoc spaventose catastrofi non arriv a cambiare lo stato della societ, e nemmeno linsurrezione delle Province Unite, che si deve considerare come una guerra dindipendenza); e appunto in Inghilterra apparvero le dottrine pi estremiste ed erronee a favore della suprema autorit civile. Hobbes, il quale mentre negava a Dio i suoi diritti, li attribuiva senza alcun limite ai monarchi della terra, visse nellepoca pi agitata e torbida della Gran Bretagna: nacque infatti nel 1588, e mor nel 1679.

In Spagna, dove fino allo scadere del secolo passato non erano penetrate le dottrine empie ed anarchiche che avevano turbata lEuropa dallo scisma di Lutero in poi, abbiamo gi visto che si discuteva con la massima libert sui punti pi importanti di diritto pubblico, e vi si sostenevano dottrine che in altri paesi avrebbero potuto mettere in allarme. Ma appena gli errori entrarono anche in Spagna, lestremismo si fece subito sentire; e non furono mai tanto esaltati i diritti dei sovrani come al tempo di Carlo III, cio quando per la Spagna iniziava lepoca moderna. La religione, che guidava tutte le coscienze, le manteneva nellobbedienza dovuta al sovrano senza che ci fosse bisogno di adularlo con titoli immaginari, bastandogli, come effettivamente gli bastavano, quelli veri. A chiunque sa che Dio prescrive la sottomissione allautorit legittima, poco importa che questa derivi dal cielo indirettamente o direttamente, e quale parte abbia avuto la societ nella composizione delle forze politiche e nellelezione delle persone o dinastie scelte per esercitare il potere supremo. Cos vediamo che in Spagna, per quanto si parlasse comunemente di popolo, di consenso, di patti, i Sovrani ricevevano ovunque la pi profonda devozione senza che negli ultimi secoli la storia ci presenti un solo esempio di attentato contro le loro persone; e anche i tumulti popolari erano rarissimi, e quando avvenivano erano originati da cause che non avevano nulla a che fare con queste o quelle dottrine. Come mai sul finire del sedicesimo secolo il Consiglio di Castiglia non si preoccup dei princpi audaci espressi da Mariana nel libro De rege, et regis institutione, mentre sul finire del diciottesimo secolo quelle dellAbate Spedalieri causarono allo stesso Consiglio tanta preoccupazione? Non dobbiamo cercarne la causa nel contenuto delle opere quanto nellepoca in cui furono pubblicate: la prima venne alla luce in unepoca in cui gli Spagnoli, ben saldi nei princpi religiosi e morali, assomigliavano a quei robusti complessi fisici che possono sopportare alimenti poco digeribili; la seconda fu introdotta quando le dottrine e le vicende delle rivoluzioni in Francia facevano tremare in Europa tutti i troni, e la propaganda di Parigi incominciava a corrompere gli Spagnoli con i suoi libri e i suoi emissari. E allora, in una nazione in cui prevalgano e dminino la ragione e la virt, dove non si agitino passioni malvagie, dove tutti i cittadini si propongano il bene e la prosperit della patria in tutti i loro atti civili, non sarebbero per niente da temere le forme pi popolari e pi democratiche, perch n le assemblee numerose provocherebbero disordini, n glintrighi offuscherebbero il merito, n sordidi maneggi farebbero cadere il governo in mano a persone indegne, n si farebbero valere i nomi di libert e di benessere pubblico per formare il patrimonio e soddisfare lambizione di pochi. E ancora, in un paese dove la religione e la morale regnino in tutti i cuori, dove il dovere non sia considerato una vana parola, dove compromettere lordine dello Stato e la ribellione contro le autorit legittime siano ritenuti delitti davanti a Dio, saranno meno pericolose le teorie nelle quali, facendo lanalisi della creazione della societ, e investigando lorigine del potere civile, si passi a supposizioni pi o meno ardite e si esprimano princpi favorevoli ai diritti dei popoli. Ma quando mancano queste condizioni, poco importa proclamare dottrine rigorose: a nulla giova astenersi dal nominare il popolo come se fosse una parola sacrilega. Chi non rispetta lautorit divina, volete forse che rispetti quella umana? Le scuole conservatrici dei nostri tempi, che si sono proposte di bloccare limpeto rivoluzionario e di riportare lordine nelle nazioni, hanno quasi sempre un difetto che consiste nel non tener presente la verit che ho esposta. La maest reale, lautorit del governo, la supremazia della legge, la sovranit parlamentare, il rispetto per le forme di governo stabilite, lordine, sono parole che pronunciano continuamente, e presentano questi concetti come il palladio della societ, e condannano con tutte le loro forze la repubblica, linsubordinazione, la disubbidienza alle leggi, linsurrezione, le sommosse e lanarchia; ma non ricordano che queste dottrine sono insufficienti quando non c un punto saldo al quale sia fissato il primo anello della catena. Queste scuole escono generalmente dal seno stesso delle rivoluzioni ed hanno per maestri uomini che parteciparono alle rivoluzioni stesse, e che contribuirono ad organizzarle e portarle avanti, e che bramosi di raggiungere lobiettivo non si fecero scrupoli di rovinare ledificio fin dalle fondamenta, indebolendo linfluenza della religione e lasciando libero il campo alla rilassatezza morale. Ecco

perch si sentono impotenti quando la prudenza o il proprio interesse li consiglia a dire basta; ma trascinati insieme a tutti gli altri nel furioso vortice non riescono a trovare i mezzi per arrestarne il percorso o per dargli la direzione conveniente. Non si fa altro che condannare il Contratto sociale di Rousseau per le sue dottrine anarchiche, e poi si spargono altre dottrine che sono visibilmente dirette a indebolire la religione. E credete forse che solo il Contratto sociale abbia messo sottosopra lEuropa? Senza dubbio esso ha prodotto gravissimi danni; ma ancor maggiori ne ha provocati lirreligione, che tanto profondamente rovina tutte le basi della societ, che allenta i vincoli di famiglia, e che lasciando lindividuo senza alcun freno morale labbandona al capriccio delle passioni senzaltra guida che i consigli del turpe egoismo. I filosofi in buonafede cominciano gi a persuadersi di queste verit: ma nellambiente politico si compie ancora lerrore di attribuire alla semplice azione dei governi civili una forza creatrice che, indipendentemente dalle influenze religiose e morali, pu costituire, ordinare e conservare la societ. E invece importa poco che si dicano in teoria cose giuste quando in pratica non si tiene conto dei princpi morali e religiosi; importa poco proclamare alcune buone regole se non si cerca nel proprio agire di conformarsi ad esse. Queste scuole politico-filosofiche che si illudono di regolare i destini del mondo procedono in una maniera diametralmente opposta a quella del Cristianesimo. Questo, che pur tendendo al cielo non ha mai trascurato sulla terra il benessere degli uomini, si rivolge direttamente al cuore e alla mente convinto che per dare buon ordine alla comunit necessario guidare lindividuo, e che per avere una buona societ indispensabile formare buoni soci. Invece per quelle scuole, che credono possibile regolare la societ senza esercitare unefficace influenza sulla mente e sul cuore delluomo, il rimedio universale costituito dalla semplice proclamazione di certi princpi politici e dallistituzione di particolari forme di governo. La ragione e lesperienza sono daccordo nel dirci cosa ci si possa aspettare da un tale sistema. Radicare profondamente negli animi la religione e la sana morale: ecco il primo passo per prevenire le rivoluzioni e il disordine: quando queste sante regole hanno il predominio nei cuori, la diffusione delle opinioni politiche non pu creare alcun timore. Che fiducia un governo pu avere in un uomo che professa idee monarchiche, se a queste unisce lempit? Chi nega i suoi diritti allo stesso Dio, credete forse che rispetter quelli dei re della terra? Prima di tutto diceva Seneca viene il culto degli di; credere alla loro esistenza e venerarne la maest e la bont; senza di che non c alcuna maest sulla terra (Seneca, epist. 95). Ed ecco come sullo stesso argomento parla il pi grande oratore e forse anche il pi grande filosofo di Roma, Cicerone: Conviene che i cittadini comincino con lessere persuasi che esistono gli di, signori e governatori di tutte le cose, che guidano tutti gli avvenimenti, che dispensano continuamente grandissimi beni al genere umano, che vedono il cuore delluomo, quello che fa, e lo spirito e la piet con cui professa la religione, e tengono in debito conto sia la vita delluomo pio che quella dellempio (Cicero., De natura deorum 2). Bisogna scolpirsi profondamente nellanimo queste verit: i danni della societ non derivano tanto dalle idee e dai sistemi politici; la radice del male nel rifiuto della religione, e se non vi si mette un freno sar inutile proclamare i princpi monarchici pi rigidi. Hobbes adulava i re indubbiamente pi di quel che facesse Bellarmino; e con tutto ci, qual quel sovrano saggio che non avrebbe preferito avere come suddito il dotto e pio polemista piuttosto che lautore del Leviathan? (4).

CAPITOLO LIII Facolt dellautorit civile. Calunnie dei nemici della Chiesa. La legge secondo la definizione di S. Tommaso. Ragione universale. Volont universale. Il Venerabile Palafox. Hobbes. Grozio. Dottrine di alcuni Protestanti favorevoli al dispotismo. Come va difesa la Chiesa cattolica.

_______________ Dopo aver dimostrato che la dottrina cattolica sullorigine dellautorit civile non ha in s nulla che non sia pienamente conforme alla ragione e conciliabile con la vera libert dei popoli, passiamo ora alla seconda delle questioni proposte; ad investigare cio sui requisiti dellautorit stessa, e se sotto questaspetto la Chiesa insegni alcuna cosa che sia favorevole al dispotismo e a quelloppressione di cui con la peggiore delle calunnie stata accusata di esserne il sostegno. Invitiamo i nostri avversari a documentare queste loro calunnie, essendo noi sicuri che per loro non sar altrettanto facile quanto laccumulare accuse vaghe e buone solo per ingannare gli sprovveduti. Per dimostrare queste loro affermazioni in maniera conveniente, dovrebbero citare i testi della Scrittura, della Tradizione, delle definizioni conciliari e pontificie, delle dichiarazioni dei santi Padri, e mostrare dove in queste fonti ci sia qualche passo che conceda un potere eccessivo allautorit civile con lo scopo di limitare ingiustamente o di annullare la libert del popolo. Alcuni forse diranno che le fonti sono bens rimaste pure, ma che poi ci hanno pensato gli interpreti ad intorbidirne i ruscelli: in altri termini, che i teologi degli ultimi secoli, fattisi adulatori dellautorit civile, si sono dati molto da fare per allargarne i poteri, e di conseguenza per rafforzare il dispotismo. Siccome molti si arrogano il diritto di giudicare i dottori della cos detta epoca di decadenza, e lo fanno con tanta maggiore sicurezza e disinvoltura in quanto non si sono mai presi il fastidio di aprire i libri di quegli uomini illustri, necessario entrare in alcuni dettagli su questa materia al fine di dissipare i preconcetti e gli errori che portano gravissimo danno alla religione e non poco pregiudizio alla conoscenza dei fatti. Grazie alle prediche e alle invettive dei Protestanti alcuni pensano che se non fosse sopraggiunta in tempo la pretesa riforma del sedicesimo secolo in Europa sarebbe svanita ogni idea di libert. E pertanto costoro si figurano i teologi cattolici come una manica di frati ignoranti che sappiano soltanto scrivere in una lingua rozza e scorretta, e con uno stile anche peggiore, un ammasso di sciocchezze che hanno per scopo soltanto di esaltare lautorit dei Papi e dei re, e di istigare loppressione intellettuale e politica, loscurantismo e la tirannia. Che si sia soggetti ad abbagli su argomenti di cui sia difficilissimo fare un maturo esame; e che i lettori si lascino ingannare da un autore su materie nelle quali bisogna fidarsi delle sue parole per non restare al buio, come quando, per esempio, lautore descrive un paese o un fenomeno visti solo da lui, non c nulla di straordinario. Ma che dobbiamo essere schiavi di errori che possono svanire con un soffio soltanto che si trascorra qualche momento nella pi scadente delle biblioteche; che gli autori delle splendide edizioni di Parigi abbiano la facolt di alterare impunemente le opinioni di uno scrittore che giace coperto di polvere e dimenticato nella stessa biblioteca, e forse nella stessa scansia dove quelle splendide edizioni risaltano; che di queste splendide edizioni il lettore scorra avidamente le belle pagine, imbevendosi dei pensieri dellautore senza curarsi di allungar la mano al voluminoso tomo che sta l aspettando che qualcuno lo apra per smentire in ogni pagina le accuse che con tanta leggerezza, per non dire malafede, gli sta dando il moderno collega, beh! Questo ci che non si comprende cos facilmente; questo ci che non ha scusanti per chiunque si vanti di amare il sapere e di cercare sinceramente la verit. Sicuramente molti scrittori non si metterebbero cos facilmente a parlare di ci che non hanno studiato e a fare lanalisi di opere che non hanno mai letto, se non si fidassero della docilit e leggerezza dei loro lettori. Sicuramente si guarderebbero bene dal dare giudizi da esperti su unopinione, un sistema, una scuola; dal riepilogare in due parole le opere di molti secoli; e dal liquidare con un motto arguto le pi gravi questioni, se temessero che il lettore, preso egli pure da diffidenza, e partecipando anche lui (almeno un poco) dello scetticismo del tempo, non stesse a credere cos alla cieca alle loro asserzioni senza farne il confronto con i fatti ai quali si riferiscono. I nostri avi non si ritenevano autorizzati, non dico a raccontare, ma neanche a fare una semplice allusione senza mettere in note col massimo scrupolo le citazioni delle fonti da cui avevano attinto. In questo la loro delicatezza era eccessiva; ma noi siamo talmente guariti da questo male, che ci

crediamo dispensati da ogni formalit, anche quando si tratta della materia pi importante e che per questo a maggior ragione richiede la testimonianza dei fatti. Ora, le opinioni degli antichi scrittori sono altrettanti fatti, e fatti registrati nelle opere; e chi li giudica nel loro complesso senza andare nei dettagli e senza imporsi lobbligo di citare le fonti incorre nel sospetto di falsificare la storia. La storia, ripeto, e la pi preziosa, che quella dello spirito umano. Questa leggerezza di certi scrittori proviene in gran parte dal carattere che ha acquisito la scienza nel nostro secolo. Non ci sono pi scienze specifiche, c ununica scienza generale che le abbraccia tutte, e che nel suo vasto giro racchiude tutti i rami della conoscenza umana, e che di conseguenza obbliga le menti ad accontentarsi di nozioni vaghe, adatte disgraziatamente a simulare lastrazione e luniversalit. Mai, come adesso, si sono tanto generalizzate le conoscenze, e mai stato cos difficile meritare il titolo di dotto. Lo stato attuale della scienza richiede, in chi ne aspira il possesso, unattivit laboriosa per acquistare lerudizione, una meditazione profonda per metterla in ordine ed assimilarla bene, una vasta penetrazione per renderla semplice e centrale, una comprensione sublime che possa elevarsi a quelle altezze dove la scienza ha stabilito la sua sede. E quanti sono gli uomini che riuniscono tutte queste qualit? Ma torniamo a noi. I teologi cattolici sono tanto lontani dallabbassarsi a favorire il dispotismo, che dubito molto che si possano trovare libri migliori per formarsi unidea chiara e vera sulle legittime facolt dellautorit; e aggiunger che, in genere, propendono particolarmente allo sviluppo della vera libert. Il tipo pi diffuso delle scuole teologiche, il modello sul quale per molti secoli sono stati rivolti gli occhi di tutti, sono le opere di San Tommaso dAquino; e noi possiamo sfidare senza alcun timore i nostri avversari a presentarci un giureconsulto o un filosofo che con maggiore lucidit, con maggior sapienza, con pi nobile indipendenza e generosa elevazione abbia esposte le norme a cui deve attenersi lautorit civile. Il suo Trattato sulle leggi unopera immortale; e chiunque labbia ben compreso, non ha bisogno di sapere altro riguardo alle norme generali che devono guidare il legislatore. Voi che con tanta leggerezza disprezzate i secoli passati; che pensate che prima dei nostri giorni non si avesse alcuna conoscenza di politica e di diritto pubblico; che nella vostra immaginazione costruite mostruose alleanze tra la religione e il dispotismo; che vedete ordire complotti nefandi nella penombra dei chiostri; qual era secondo voi lopinione di un religioso del tredicesimo secolo sulla natura della legge? Non vi sembra forse di vedere che la forza domina su ogni cosa e invoca la religione per coprire la grave colpa col velo di alcune menzognere parole? E allora sappiate invece che voi non ne dareste una definizione pi dolce; che mai vi sareste immaginati, al pari di lui, di far sparire perfino lidea della forza; che non arrivereste mai a capire come in cos poche parole egli seppe dir tutto, e con tanta esattezza e tanta chiarezza, e con parole cos propizie alla vera libert dei popoli e alla dignit delluomo. Siccome questa definizione un epilogo di tutta la sua dottrina, e per di pi la norma sulla quale si sono basati tutti i teologi, pu essere considerata come un compendio delle dottrine teologiche nelle loro relazioni con i poteri dellautorit civile, e sintetizza i princpi predominanti tra i Cattolici sotto questaspetto. Lautorit civile agisce sulla societ per mezzo della legge. Orbene, secondo S. Tommaso la legge una disposizione della ragione diretta al bene comune, e promulgata da chi ha la cura della comunit (1-2. q. 99, art. 4). Disposizione della ragione, rationis ordinatio: ecco banditi larbitrio e la forza; ecco proclamato il principio che la legge non una semplice conseguenza della volont; ecco corretta nel modo migliore la celebre sentenza: Quod principi placuit, legis habet vigorem (ci che decise il principe ha valore di legge); la quale sentenza, sebbene si possa intendere in un senso ragionevole e giusto, non lascia per di esser alquanto inesatta, e di avere il sapore delladulazione. Un celebre scrittore moderno ha scritto molte pagine per dimostrare che la legittimit non ha la radice nella volont, ma nella ragione, volendo dire che questa e non quella deve comandare gli uomini. Con minore apparato, ma con maggiore concisione, e con una concretezza per niente inferiore lo espresse il santo Dottore nelle citate parole: rationis ordinatio.

Osservando bene, il dispotismo, larbitrio, la tirannia, non sono altro che assenza di ragione nel potere e dominio della volont. Quando comanda la ragione c legittimit, c giustizia, c libert; quando comanda la sola volont, c illegittimit, ingiustizia, e dispotismo. Per questo motivo lidea fondamentale di ogni legge che essa sia conforme alla ragione, che ne sia una derivazione, la sua applicazione alla societ; e quando la volont la sanziona e la fa eseguire, non deve essere altro che lausilio, lo strumento e il braccio della ragione. chiaro che senza un atto della volont non vi legge; poich gli atti della pura ragione senza il concorso della volont sono pensieri e non comandi; servono per conoscere, ma non per agire; motivo per cui non possibile concepire lesistenza della legge sino a quando al dettame della ragione che dispone non si aggiunga la volont che comanda. Questo non toglie che ogni legge debba avere un fondamento nella ragione, e che vi si debba conformare se vuole essere degna del nome di legge. Queste osservazioni non sfuggirono alla penetrazione del santo Dottore il quale, occupandosene, dissip lerrore in cui si poteva cadere, cio che la sola volont del principe costituisca la legge, esprimendosi quindi in questi termini: La ragione d alla volont la forza di muovere, come si detto sopra (Quest. 17. art. 1); e appunto perch la volont vuole il fine, la ragione impera sulle cose che sono ordinate al fine; ma la volont, per avere forza di legge in ci che si comanda devesser regolata da qualche ragione; e in tal modo sintende che la volont del principe ha forza di legge; altrimenti la volont del principe sarebbe piuttosto iniquit che legge (Quest. 90. art. 1). Queste dottrine di S. Tommaso sono state accolte da tutti i teologi; e se esse sono favorevoli allarbitrio e al dispotismo, se in alcuna cosa si oppongono alla vera libert, se non sono sommamente conformi alla dignit delluomo, se non sono la proclamazione pi esplicita e completa dellautorit civile, se non valgono qualcosa di pi che le dichiarazioni dei diritti incontestabili, lo dica limparzialit, lo dica il buon senso. Quello che umilia la dignit delluomo, quello che ferisce il sentimento di giusta indipendenza, che introduce nel mondo il dispotismo, limperio della volont, la sottomissione che esige per questo solo titolo; ma il sottomettersi alla ragione, il regolarsi come essa prescrive, non umilia, ma anzi solleva e ingrandisce, perch ingrandisce ed innalza il vivere conformemente allordine eterno e alla ragione divina. Lobbligo di ubbidire alla legge non fondato sulla volont di un altro uomo, ma sulla ragione; ma la ragione soltanto, secondo i teologi, non sufficiente per comandare. E allora cercarono in una regione pi elevata la sanzione della legge; e quando si tratt di agire sulla coscienza delluomo e di vincolarla ad un dovere, nulla trovarono nella sfera delle cose terrene che potesse giungere a tanto. Le leggi umane dice il santo Dottore, se sono giuste, ricevono dalla legge eterna, dalla quale provengono, la forza di obbligare nel tribunale della coscienza, secondo il passo dei Proverbi (8, 15): Per mezzo mio regnano i re e i magistrati emettono giusti decreti. (1-2. Quest. 96. art. 3). Dal che ne segue che secondo San Tommaso la legge giusta deriva non gi precisamente dalla ragione umana, ma dalla legge eterna, dalla quale riceve la forza di obbligare nel tribunale della coscienza. Questo indubbiamente un po pi filosofico che cercare nella sapienza umana, nei patti, nella volont generale, la forza obbligatoria delle leggi: cos si spiegano i diritti, i veri diritti dellumanit; cos si limita ragionevolmente lautorit civile, cos si ottiene facilmente lubbidienza; cos si stabiliscono su basi ferme e indistruttibili i diritti e i doveri sia dei governanti che dei governati. Cos comprendiamo, senza difficolt, cos il potere, cos la societ, cosa sono lubbidienza e il comando. Cos non regna sugli uomini la volont di un altro uomo, non regna la semplice ragione, ma la ragione derivata da Dio, o per dir meglio la stessa ragione di Dio, la legge eterna, Dio medesimo. Teoria sublime, in cui lautorit trova i suoi diritti, i doveri, la forza, il potere, il fascino; e la societ vi trova la pi ampia garanzia di ordine, di felicit, di vera libert! Teoria sublime, che dal comando fa sparire la volont delluomo, convertendola in uno strumento della legge eterna, in un ministero divino! Diretta al bene comune, ad bonum commune: questa unaltra condizione assegnata da S. Tommaso per costituire la vera legge. Fu chiesto se i re erano per i popoli, o i popoli per i re. Quelli

che fecero questa domanda non avevano riflettuto abbastanza n sulla natura della societ, n sul fine di essa, n sullorigine e il fine dellautorit. Lespressione concisa che abbiamo citata, al bene comune, ad bonum commune, risponde in modo soddisfacente a questa domanda. Le leggi possono essere ingiuste dice il santo Dottore in due modi: o perch sono contrarie al bene comune, oppure per il fine, come quando un governo impone leggi onerose ai sudditi, non per il vantaggio comune ma piuttosto per cupidigia o ambizione... e queste sono piuttosto violenze che leggi (1-2. Quaest. 96. art. 4). Da questa dottrina si deduce che il comando per il bene comune, che mancandogli questa condizione ingiusto, e che i governanti sono investiti dellautorit per farne uso a vantaggio dei governati. I re non sono gli schiavi dei popoli, come ha preteso una filosofia assurda che ha voluto mettere mostruosamente insieme cose contraddittorie; tantomeno il potere un semplice mandatario che eserciti unautorit fittizia che dipenda per ogni minima cosa dal capriccio di coloro a cui comanda. Ma neanche i popoli sono propriet dei re, e anche questi non possono considerare i loro sudditi come schiavi dei quali sia lecito disporre secondo il loro libero volere; e i governi non sono arbitri assoluti della vita e delle cose dei governati; e hanno lobbligo di vigilare su di essi, non come il padrone sullo schiavo da cui vuole ricavare profitto, ma come il padre sul figlio che egli ama e che procura di rendere felice. Il regno non per il re, ma il re per il regno dice il santo Dottore, che non mi stancher mai di citare; e con uno stile mirabile per la forza e lenergia prosegue: Perch Dio li costitu per reggere e governare, e per conservare a ciascuno i propri diritti: questo il fine dellistituzione; che se operano diversamente, facendo le cose per il loro interesse particolare, non sono re, ma tiranni. (Divus Thomas de reg. princ. cap. 11). Secondo questa dottrina evidente che i popoli non sono per i re, e che i governati non sono per i governanti; ma che tutti i governi sono stabiliti per il bene della societ, e che questo bene deve essere la bussola di chi comanda, qualunque ne sia la forma di governo. Dal presidente della pi piccola repubblica fino al pi potente sovrano nessuno pu esimersi da questa legge perch una legge anteriore alle societ, legge che presiedette alla formazione delle societ, legge che superiore alle leggi umane, perch derivata dallAutore di ogni societ, dalla Fonte di ogni legge. E quindi i popoli non sono per i re, e i re sono per il bene dei popoli, perch mancando questo fine il governo non serve a nulla, diventa inutile; e su questo punto non c alcuna differenza tra la repubblica e la monarchia. Chi adula i re esprimendo princpi contrari a quelli detti sopra, li perde; non cos che la religione ha parlato loro in tutti i tempi; non questo il linguaggio di quegli uomini illustri che, vestiti di abiti sacerdotali, hanno portato ai potenti della terra le ambasciate del cielo: Re, prncipi, magistrati esclama il venerabile Palafox, ogni giurisdizione ordinata da Dio per la conservazione, non per la distruzione dei popoli; per la difesa, non per loffesa; per il diritto, e non per lingiuria degli uomini. Coloro che scrivono che i re possono ci che vogliono, e fondano il potere sulla propria volont, aprono la porta alla tirannia. Coloro che scrivono che i re possono ci che debbono, e possono tutto ci di cui hanno bisogno per la conservazione dei sudditi e per la difesa della corona, per lesaltazione della fede e della religione, per la buona e retta amministrazione della giustizia, per la conservazione della pace e per il giusto sostegno della guerra, per il giusto e conveniente splendore della dignit reale, e per lonesto mantenimento della loro casa e della loro famiglia; questi dicono la verit senza adulazione, aprono la porta alla giustizia e a tutte le virt magnanime e regali (Storia reale sacra lib 1. cap. 11). Quando Luigi XIV diceva: Lo Stato sono io, non laveva imparato certo n da Bossuet, n da Bourdaloue, n da Massilon. Quello che parlava con la sua bocca era lorgoglio esaltato da tanta grandezza e potenza e infatuato da vili adulazioni. Profondi segreti della Provvidenza! Il cadavere di questuomo, che si definiva lo Stato, al momento delle esequie fu oltraggiato; e non era ancora passato un secolo che un suo discendente finiva sul patibolo! cos che le dinastie e le nazioni vanno espiando i loro errori; ed cos che, quando piena la misura del divino sdegno, il Signore rammenta ai popoli sbigottiti che il Dio delle misericordie anche il Dio delle vendette; e come apr sulla terra le cateratte del cielo, cos scatena sui re e sui popoli le tempeste della rivoluzione.

Fondati che siano i diritti e i doveri dellautorit su una base solida come lorigine divina, e guidati da una regola tanto sublime come la legge eterna, non vi alcuna necessit di esaltarla con eccessive lodi, n di attribuirle delle facolt che non le appartengono; cos come,daltra parte, non neanche necessario che se ne esiga ladempimento degli obblighi con quellimperiosa alterigia che la umilia e la infastidisce. Sia le adulazioni che le minacce allautorit legittima sono inutili quando ci siano altre spinte che la fanno muovere, ed altri freni che la mantengono nei limiti convenienti. Il popolo non innalzi una statua al re per tributargli un culto; ma non si abbandoni neanche in bala di tribuni che ben presto ne facciano oggetto di scherni e di beffe, qual vile trastullo delle passioni dei demagoghi. Nella definizione che stiamo analizzando del santo Dottore, bisogna notare la moderazione e la delicatezza, perch non c la minima parola che possa offendere la sensibilit dei settari pi fanatici delle libert pubbliche. Dopo aver posto la legge sotto limperio della ragione, dopo averle assegnato come unico fine il bene comune, quando passa a trattare dellautorit di chi la promulga e di chi deve averne cura, metterla in esecuzione e farla osservare, non parla affatto di dominio, non adopera nessuna espressione che possa indicare una sottomissione eccessiva: fa uso bens della parola pi misurata che si possa trovare: cura: qui comunitatis curam habet promulgata. Se si nota come lautore pesi le parole come si pesa loro, come se ne serva con la pi scrupolosa delicatezza, dilungandosi, se necessario, cio se ve ne fosse qualcuna un po ambigua, nello spiegare il senso; se si nota questo allora si capir quali erano le idee di questo grande teologo sullautorit. E allora si vedr se le dottrine favorevoli alloppressione e al dispotismo abbiano potuto prevalere nelle scuole cattoliche, quando pensava e si esprimeva in questi termini colui che fu, ed tuttora, considerato quasi un oracolo e ritenuto poco meno che infallibile. Si confronti la definizione di S. Tommaso sulla legge, che adottata da tutti i teologi, con quella che ne d Rousseau. In quella del Santo, la legge lespressione della ragione, in questa di Rousseau lespressione della volont; in quella unapplicazione della legge eterna, in questa il prodotto della volont generale. Da che parte sta la sapienza e il buon senso? Fu proprio perch tra i popoli europei la legge fu compresa come la spiega S. Tommaso, e con lui tutte le scuole cattoliche, che la tirannia fu bandita dallEuropa, il dispotismo asiatico fu reso impossibile e si fond la meravigliosa istituzione della monarchia europea. Quando poi la legge fu intesa come la spiega Rousseau, allora nacque la Convenzione con i suoi patiboli e i suoi orrori. La teoria della volont universale stata gi abbandonata da quasi tutti gli studiosi di diritto pubblico; e gli stessi sostenitori della sovranit popolare, nel descrivere in che modo esercitarla, escludono che la legge debba essere il prodotto della volont di tutti i cittadini. La legge, dicono, non lespressione della volont universale, ma della ragione universale; e come il filosofo di Ginevra credeva che fosse necessario raccogliere tutte le volont individuali per farne la somma (cio la volont universale, secondo lui), cos adesso gli studiosi di cui parliamo ritengono necessario raccogliere, nella nazione governata, la maggior parte della ragione, affinch, trasferita nel governo, possa servire di guida e di regola, non essendo i governanti che strumenti per applicarla. Chi comanda, dicono essi, non sono gli uomini, ma la legge; e la legge non altro che la ragione e la giustizia. In Europa questa teoria, in tutto ci che ha di vero e prescindendo dalle errate applicazioni che se ne fanno, non una scoperta della scienza moderna, ma un principio tradizionale che ha presieduto alla formazione delle nostre societ, ed ha regolato il potere civile in un modo che non assomiglia per niente a quello degli antichi, e neanche a quello degli altri popoli moderni che non appartengono alla nostra civilt. Se si considera bene, questo il principio che ha creato quel fenomeno singolare che rende le monarchie europee, anche le pi assolute, molto diverse da quelle asiatiche; e che anche quando la societ era priva di garanzie legali contro il potere dei re, ne aveva tuttavia ugualmente di fortissime, cio quelle morali. La scienza moderna dunque non ha scoperto un nuovo principio di governo, ma senzaccorgersene ha riesumato lantico; e nel rigettare la dottrina di Rousseau non ha fatto, come suol dirsi, un passo avanti, ma piuttosto uno indietro; e non sempre

un danno andare indietro, perch non lo , n pu esserlo, allontanarsi dallorlo del precipizio per rimettersi sulla giusta strada. Rousseau deplor, con giusta ragione, certi scrittori che avevano troppo esaltato le prerogative dellautorit civile al punto di mutare il popolo in un gregge di cui i governanti potessero disporre secondo i loro interessi o i loro capricci. Queste critiche per non si possono addebitare n alla Chiesa cattolica n ad alcuna delle illustri scuole che da essa hanno avuto origine. Il filosofo di Ginevra attacc energicamente Hobbes e Grozio per aver essi sostenuta questa dottrina; e sebbene noi Cattolici non abbiamo nulla a che fare con questi autori, osserver tuttavia che sarebbe ingiusto mettere il secondo sulla stessa linea del primo. vero che Grozio fornisce qualche motivo allaccusa quando sostiene che vi sono dei casi in cui i poteri non sono a vantaggio del popolo ma di quello dei governanti; egli infatti dice: Sic imperia quaedam esse possunt comparata ad regum utilitatem (De jure belli et pacis. lib. I cap. 3). Ma nel riconoscere la tendenza pericolosa di un tale principio bisogna convenire che il complesso delle dottrine dello studioso olandese di diritto pubblico non vanno, come quelle di Hobbes, a distruggere completamente la morale. Resa a Grozio la giustizia che merita, perch non vogliamo che in nessun senso si esagerino gli errori anche quando riguardano un nostro avversario, giusto che i Cattolici si compiacciano nellosservare che simili dottrine non furono mai nemmeno pensate da coloro che professano la vera fede; e che i funesti princpi che conducono alloppressione del popolo sono nati proprio tra coloro che si allontanarono dallinsegnamento della cattedra di S. Pietro. I Cattolici non hanno mai pensato di approfondire se i re, per quanto portassero allestremo larbitrio ed il dispotismo, potessero avere un diritto illimitato sulla vita e sulle cose dei sudditi al punto da far loro ingiustizia. Quando ladulazione ha alzato la voce per esaltare le prerogative dei re, stata subito soffocata dalle grida unanimi dei sostenitori delle sane dottrine; e non manca un esempio singolare di una solenne ritrattazione comandata dal tribunale dellInquisizione ad un predicatore che aveva passato i limiti (vedi al Cap. XXXVII). Non accadde certo in Inghilterra, che per eccellenza il paese contrario al Cattolicesimo. Mentre in Spagna era severamente proibito spargere queste massime degradanti, in Inghilterra tale questione fu affrontata molto seriamente, e gli studiosi si dividevano in opinioni opposte. Ogni lettore, purch sia imparziale, si sar gi fatta unidea sul valore che hanno le querimonie contro il diritto divino e la pretesa apertura delle dottrine cattoliche al dispotismo e alla schiavit. Lesposizione che ho fatto su queste dottrine non certo fondata su vani ragionamenti fatti apposta per rendere oscura la questione e schivando, come suole dirsi, la parte pi ardua della difficolt. Si trattava di sapere in che consistessero queste dottrine, ed io ho dimostrato con molta evidenza che chi le calunnia non le comprende, e che dobbiamo supporre che molti non abbiano fatto mai la fatica di esaminarle, tanta la superficialit e lignoranza con cui ne parlano. Forse avr ecceduto nel riportare testi e citazioni; ma bisogna notare che non intendevo esporre una dottrina, ma esaminarla storicamente; e la storia non richiede discorsi, ma fatti; e i fatti, in materia di dottrine, non sono altro che il modo di pensare degli autori che le professarono. Poich in questi tempi si sta notando un salutare ritorno verso i sani princpi, bisogna guardarsi bene dal presentare agli intelletti una verit parziale; molto importante, per la causa della religione cattolica, che i suoi difensori non siano sospettati neanche lontanamente di simulazione o malafede. Per questo motivo non ho esitato a sviluppare il complesso delle dottrine degli scrittori cattolici cos come le ho trovate nelle loro opere. Per cui, se i Protestanti e gli atei sono riusciti a trarre la gente in inganno col rendere queste dottrine oscure, e confonderle sempre pi, io nutro in cuore la speranza di essere a mia volta riuscito a scoprirne gli inganni, restituendo alle dottrine loriginale chiarezza e distinzione. Nel sguito dellopera mi propongo tuttavia di esaminare altre questioni relative allo stesso argomento; questioni che, se non sono le pi importanti, sono certamente le pi delicate. Per questo motivo ho dovuto sgombrare la strada dagli errori, per poter poi proseguire con pi libert e con maggiore scioltezza.

Ho fatto in modo che la causa della religione si difendesse con le proprie forze, senza mendicare aiuti di cui non ha bisogno. E cos continuer a procedere come ho fatto finora, perch sono intimamente convinto che al Cattolicesimo venga prodotto un danno quando, nel farne lapologia, vi simmischino interessi politici o si tenti di rinchiuderlo in uno spazio ristretto in cui non pu essere contenuto per la sua vastit immensa. Glimperi passano e si dileguano, ma la Chiesa di Ges Cristo durer sino alla consumazione dei secoli; le opinioni vanno soggette a cambiamenti e a modifiche, ma i sacri dogmi della nostra religione rimangono immutabili; i troni si innalzano e cadono in rovina, ma la pietra sulla quale Ges Cristo edific la sua Chiesa sfida la corrente dei secoli, e le porte dellinferno non prevarranno mai contro di essa. Quando ci disponiamo a difenderla dobbiamo renderci conto della grandezza della nostra missione: niente esagerazioni n adulazioni ma la pura verit, con un linguaggio misurato ma fermo e severo. Sia che rivolgiamo la parola ai popoli, sia che parliamo ai re, non dimentichiamo che al di sopra della politica c la religione, e al di sopra dei popoli e dei re c Dio.

CAPITOLO LIV Sullopposizione allautorit civile. Confronto tra il Protestantesimo e il Cattolicesimo. La dignitosa, ma inutile timidezza di certi uomini. Lattitudine delle rivoluzioni. La forza di persuasione. Si ricorda il principio insegnato dal Cattolicesimo sullobbligo di obbedire alle autorit legittime. Soluzione di questioni preliminari. Differenza delle due autorit. Differenza di opinioni tra il Cattolicesimo e il Protestantesimo sulla separazione delle due autorit. Lindipendenza dellautorit spirituale una garanzia di libert per i popoli. Gli estremi si toccano. Dottrine di S. Tommaso sullobbedienza. _______________ Ora che sulla questione dellorigine e dei poteri dellautorit civile il Cattolicesimo ne uscito giustificato, andiamo ad affrontarne unaltra la quale, se non pi grave della precedente, tuttavia molto delicata e spinosa. Ed affinch si sappia che io affronter la questione di petto, e che per difendere la verit non ricorrer a simulazioni ed ambiguit, dir apertamente che mi accingo ad esaminare se possa esser lecito in qualche caso opporre resistenza allautorit civile. Non credo di poter essere pi chiaro, e di poter impostare in termini pi semplici e comprensibili la questione pi importante, difficile e pericolosa che si possa presentare in questo genere di materie. Tutti sanno che il Protestantesimo fin dalla sua origine proclam il diritto di ribellarsi allautorit civile, come anche noto a tutti che il Cattolicesimo ha sempre predicato l ubbidienza alla stessa autorit civile: possiamo allora dire che il Protestantesimo fin dalla nascita fu un elemento di rivoluzioni e sconvolgimenti, il Cattolicesimo invece di tranquillit e di ordine. Questa differenza potrebbe far pensare che il Cattolicesimo sia favorevole alloppressione perch lascia il popolo senza armi per rivendicare la libert. Voi ci diranno i nostri avversari predicate lubbidienza allautorit civile e scagliate sempre lanatema contro la ribellione dei sudditi; pertanto, qualora si giunga alla tirannia, voi ne sarete i pi potenti difensori, perch con la vostra dottrina trattenete il braccio che vuole sollevarsi in difesa della libert, e soffocate con la voce della coscienza lo sdegno che prorompe dai cuori generosi. E allora della massima importanza chiarire, per quanto possibile, questa importantissima questione, distinguendo la verit dallerrore e la certezza dal dubbio. Non mancano persone timide che non si arrischiano ad affrontare questo genere di argomenti, e forse preferirebbero che siano coperti da un velo che non si azzarderebbero a sollevare per timore di scoprirvi un abisso. Bisogna dire che la loro pusillanimit non senza giustificazione, perch realmente qui abbiamo degli abissi, e abissi senza fondo! Vi sono dei pericoli, e pericoli tali da far tremare! Un passo incerto pu farci precipitare; con un gesto imprudente si pu spalancare la porta ad ogni tempesta e metter sottosopra la societ. Ci nonostante a codeste persone troppo timide, ma

peraltro di buoni propositi, conviene far notare che a nulla giova il loro riserbo, e che dalla loro prudente accortezza non si ricava alcun utile. Senza di loro, e loro malgrado, le questioni sono sostenute, discusse e risolte in un modo penoso; e quel ch peggio, le teorie hanno lasciato la sfera speculativa per passare alla pratica. Le rivoluzioni non dispongono solamente di libri, ma anche della forza, e abbandonando il recesso appartato del filosofo sono andate correndo per le strade e per le pubbliche piazze. Se le cose sono giunte ad un tale eccesso inutile andare avanti con palliativi, minimizzare il problema o ricorrere al silenzio. Conviene dire la verit quale tutta intera, perch la verit non teme lesposizione alla luce n gli assalti dellerrore; essendo la verit non pu ricevere danno dallessere manifestata e diffusa, perch Dio, autore della societ, non lha fondarla sulle menzogne. E questo tanto pi necessario in quanto le vicende politiche hanno fatto s che alcuni non la conoscessero, o almeno non la comprendessero perfettamente, ed altri credessero che le dottrine che prescrivono lubbidienza allautorit legittima non siano altro che la voce di un partito che tenta di assicurarsi il dominio. Gli uomini che seguono dottrine degenerate o dalle intenzioni perverse hanno un loro prontuario, una guida a cui ricorrono ogni volta torni utile ai loro disegni; errori funesti o vili interessi guidano i loro passi, e qui cercano lumi, e da qui traggono le loro ispirazioni. Bisogna dunque che anche le persone di sana dottrina e di retta intenzione sappiano come regolarsi nelle incertezze politiche, e non si limitino a conoscere solo in modo generico il principio dellubbidienza allautorit legittima, ma sappiano anche come questo principio debba essere applicato. vero che nei conflitti che i moti popolari si portano appresso non sono pochi quelli che mettono da parte le proprie convinzioni per agire secondo i propri interessi; ma anche certo che le persone di coscienza sono ancora in gran numero. Inoltre, non essendo molto frequente che in una nazione ci si trovi oppressi al punto da non poter scegliere tra il sacrificio della propria convinzione e laffrontare pericoli gravi ed immediati, accade generalmente che tale convinzione possa esercitare la sua influenza e prevenire molti mali o porvi riparo. Secondo certi pessimisti la ragione e la giustizia hanno abbandonato per sempre questo mondo lasciandolo in preda agli interessi, e sostituendo ai dettami della coscienza le sollecitazioni dellegoismo. A detta di costoro inutile esporre e studiare a fondo gli argomenti che possono servirci come regola del nostro agire, perch qualunque sia la convinzione teorica, la sua applicazione sar sempre la stessa. Io ho la fortuna, o la disgrazia, di vedere le cose un po meno cupe, e di credere che al mondo ci siano ancora, e soprattutto in Spagna, persone di convinzioni profonde e di forza danimo sufficiente per avere una condotta conforme alle medesime. La prova pi evidente dellesagerazione in cui si cade quando si proclama linutilit delle dottrine, la premura con cui tutti i partiti cercano dimpadronirsene. O per interesse, o per un certo pudore, tutti le invocano; e questinteresse e questo pudore non esisterebbero se le dottrine non conservassero ancora nella societ un forte ascendente. Non c cosa che ingarbugli ancor pi le varie questioni quanto il discuterle tutte insieme; e per questo motivo far in modo di distinguere le varie questioni che si presenteranno, risolvendo quelle che interessano e mettendo da parte quelle che non centrano col nostro argomento. Prima di tutto conviene rammentare il principio generale sempre insegnato dal Cattolicesimo, cio lobbligo di ubbidire allautorit legittima. Vediamo adesso quali sono le considerazioni che dobbiamo fare su questo principio. In primo luogo: si deve ubbidire allautorit civile quando comanda cose per s cattive? No, n si pu, n si deve obbedire per la semplice ragione che tutto ci che di sua natura male, proibito da Dio, e bisogna ubbidire piuttosto a Dio che agli uomini. In secondo luogo: si deve ubbidire allautorit civile quando comanda in materie che non sono nella sfera delle sue facolt? No, perch riguardo a queste materie essa non autorit; infatti, il fatto stesso che si presume che le sue facolt non si estendano a queste materie dice che su questo punto essa non vera autorit. E non si creda che io mi riferisca particolarmente alle cose spirituali, o che faccia allusione soltanto a queste, perch intendo questa limitazione dellautorit civile anche riguardo a cose puramente temporali. Per meglio capirci voglio ricordare quanto gi dissi in un capitolo precedente di questopera (cap. XXIII): cio, che sebbene lautorit civile debba avere la

forza e le caratteristiche necessarie per conservare lordine e lunit nel corpo sociale, necessario tuttavia che il governo non assimili lindividuo e la famiglia a tal punto da provocare lannientamento della loro vita privata, facendo mancare la sfera intima dove poter agire prescindendo dal fatto di essere un elemento appartenente alla societ. Una delle differenze tra la civilt cristiana e la pagana consiste proprio in questo: la pagana si preoccupava talmente dellunit sociale che non badava affatto ai diritti dellindividuo e della famiglia; mentre la civilt cristiana ha combinato glinteressi dellindividuo e della famiglia con quelli della societ in modo tale che gli uni non distruggano gli altri, n siano vicendevolmente dintralcio. Quindi, oltre la sfera su cui si estende lazione dellautorit pubblica, ne concepiamo delle altre dove lautorit pubblica non ha nulla a che fare, e dove gli individui e le famiglie possano vivere senza il timore di scontrarsi contro la forza preponderante del governo. giusto far notare quanto abbia contribuito il Cattolicesimo a mantenere questo principio, che una potente garanzia per la libert dei popoli. La separazione delle due autorit, temporale e spirituale, lindipendenza di questa da quella, il fatto che non sono riunite nello stesso soggetto, hanno prodotto meglio di ogni altra cosa quella libert che i popoli europei godono sotto le varie forme di governo. Questa indipendenza dellautorit spirituale, a parte il fatto che insita nella sua stessa natura, origine e fine, stata fin dagli inizi della Chiesa come un monito perenne che quella civile ha i suoi poteri limitati, e che vi sono materie in cui lautorit civile non pu intromettersi, e vi sono casi in cui luomo pu e deve dirle: io non ti ubbidir. Il Protestantesimo invece anche sotto questo aspetto oper per un regresso della civilt europea; e anzich aprire la strada alla libert fabbric le catene della schiavit. Incominci con labolire lautorit del Papa, abbattere la gerarchia, negare alla Chiesa ogni autorit e attribuire ai prncipi lautorit spirituale. In altre parole, la sua opera consistette nel tornare alla civilt pagana in cui erano riuniti lo scettro e il pontificato. La grande opera politica, prima del Protestantesimo, era consistita proprio nel separare questi due poteri affinch la societ non si trovasse sottomessa ad un potere unico ed illimitato il quale, esercitando le sue facolt senza alcun contraddittorio, giungesse a vessarla ed opprimerla. E questa separazione fu condotta ovunque si fosse stabilito il Cattolicesimo, senza alcun interesse politico o mira particolare da parte degli uomini, perch cos richiedeva la morale e cos insegnavano i suoi dogmi. cosa veramente singolare che i fanatici delle teorie dellequilibrio e dei contrappesi, che tanto hanno esaltata la divisione del potere per evitare che degeneri in tirannia, non abbiano poi percepita la profonda sapienza racchiusa in questa dottrina cattolica, anche considerandola soltanto sotto laspetto sociale e politico. Infatti, contrariamente ai loro princpi, possiamo notare che tutte le rivoluzioni moderne hanno manifestato una decisa tendenza a riunire in un unico soggetto lautorit civile e quella ecclesiastica. E questa la prova evidente che tali rivoluzioni sono derivate da unorigine opposta al principio creatore della civilt europea, e che invece di farla procedere verso la perfezione lhanno fatta fuorviare. Lautorit ecclesiastica unita a quella civile produsse in Inghilterra il dispotismo pi atroce sotto i regni di Enrico VIII e di Elisabetta; e se quel paese ebbe successivamente il beneficio di conquistare un maggior grado di libert non fu certamente per linvestitura religiosa che il Protestantesimo diede al capo dello Stato, ma bens a suo discapito. Bisogna infatti osservare che se negli ultimi tempi in Inghilterra si iniziato un periodo di pi ampia libert, questo avvenuto per lindebolirsi dellautorit civile in ci che riguarda la religione, e per lincremento del Cattolicesimo, che per principio si oppone a questo mostruoso connubio tra le due autorit. Nel Nord dellEuropa, dove pure prevalente il sistema protestante, lautorit civile non conosce limiti; e attualmente possiamo vedere limperatore delle Russie abbandonarsi alla pi fiera persecuzione contro i Cattolici, manifestando maggiore diffidenza nei riguardi di coloro che difendono lindipendenza del potere spirituale che nei confronti dei circoli rivoluzionari. Lautocrate avido di unautorit senza limiti; e un istinto sicuro lo spinge ad irritarsi in modo particolare contro la religione cattolica, che per lui lostacolo principale.

degno della massima attenzione la concordanza che si nota per questo fatto in tutti i poteri che tendono al dispotismo, qualunque ne sia la forma, rivoluzionaria o monarchica. Quello stesso motivo che spingeva lassolutismo di Luigi XIV a sopportare di malanimo gli ostacoli che gli frapponeva lindipendenza dellautorit spirituale, e ad evitare per quanto fosse possibile quella di Roma, muoveva anche lassemblea Costituente quando percorreva la strada della rivoluzione. Il sovrano si appoggiava alle regalie e alle libert della Chiesa gallicana; la Costituente invocava i diritti della nazione e i princpi della filosofia: ma in sostanza era la stessa questione che si agitava, trattandosi sempre del fatto se lautorit civile dovesse o no riconoscere qualche limite. Nel primo caso era la monarchia che tendeva al dispotismo, nel secondo era la democrazia che sincamminava verso il terrore della Convenzione. Quando Napoleone volle troncare il capo allidra rivoluzionaria, riordinare la societ e creare unautorit legittima, us la religione come il pi potente strumento; e non essendovi in Francia altra religione influente che la cattolica, chiam questa in aiuto e firm il concordato. Si osservi per, che appena egli pens di aver completata lopera di restaurazione e di riorganizzazione, e appena furono passati i momenti critici nei quali si consolid il suo potere, subito inizi a espanderlo e a liberarsi di qualunque ostacolo, cominciando a vedere di malocchio quello stesso Pontefice che con tanto piacere egli aveva visto assistere allincoronazione imperiale; e provocando gravi dissensi con lo stesso Pontefice fin col rompere i buoni rapporti e col divenirne il pi violento nemico. Queste osservazioni che sottopongo al giudizio di tutti gli uomini che pensano con rettitudine acquistano un peso ancora maggiore qualora si consideri ci che accaduto nella monarchia religiosa e cattolica per eccellenza, vale a dire in quella spagnola. Nonostante il predominio che ha avuto in Spagna la religione cattolica, fa ben meraviglia che il principio di opposizione alla Sede di Roma sia sempre rimasto vivo, al punto che sotto la dinastia austriaca e quella borbonica, mentre si faceva in modo di mettere da parte le antiche leggi in tutto ci che avevano di favorevole per la libert politica, si conservava per come un sacro deposito la tradizione di opposizione di Ferdinando il Cattolico, di Carlo V e di Filippo II alla Sede di Roma. Per la verit le profonde radici che il Cattolicesimo aveva gettato in Spagna non permettevano che le cose arrivassero agli estremi; ci non toglie che il germe esisteva e si andava trasmettendo di generazione in generazione, come se vi fosse la speranza che si potesse sviluppare completamente in tempi pi opportuni. Ed infatti, salita al trono la dinastia dei Borbone, ed inaugurata cos in Spagna praticamente la monarchia di Luigi XIV, vi furono cancellate le ultime tracce delle antiche libert in Castiglia, in Aragona, in Valenza e in Catalogna; e la mania delle regalie giunse al pi alto grado nei regni di Carlo III e di Carlo IV. E per una coincidenza, che merita di essere considerata, lepoca in cui fu pi viva la diffidenza contro le richieste della Sede di Roma e contro lindipendenza dellautorit spirituale fu proprio quella in cui il dispotismo dellautorit civile e, quel che peggio, larbitrio di un privato, era giunto al massimo livello. vero che a quei tempi i re, e forse anche alcuni ministri, senza che se ne avvedessero erano gi influenzati dallo spirito delle idee della scuola francese; ma un tale fatto, ben lungi dal far apparire meno valide le riflessioni che stiamo conducendo, le rende ancora pi pertinenti, ne mostra la solidit e lampiezza in quanto vengono applicate a situazioni molto diverse. Si trattava di distruggere lantico potere e sostituirlo con un altro non meno ampio, e si faceva quindi in modo da indurlo ad abusare della sua autorit; e nello stesso tempo si instillavano delle idee che potessero successivamente tornare utili quando alla monarchia assoluta fosse subentrata la rivoluzione. Gravi riflessioni si affollano alla mente (e si scoprono interessanti analogie tra situazioni apparentemente opposte) nel vedere istruire processi contro i vescovi per motivi simili a quelli che furono avviati in un famoso processo ai tempi di Carlo III; quando cio vediamo nei supremi tribunali dei nostri giorni i magistrati che ripetono quelle stesse dottrine che lantico Consiglio sent uscire dalla bocca dei suoi magistrati di allora. Cos, per quanto paiono distanti, gli estremi si toccano; cos, per strade diverse, si giunge al medesimo traguardo. Secondo le massime degli antichi magistrati lautorit del sovrano era tutto e i diritti della corona erano larca santa che non era consentito toccare, e forse

neanche guardare, senza commettere un sacrilegio. Lantica monarchia scomparve, il trono non che unombra di quello che fu, la rivoluzione trionfante ha imposto la sua legge, e dopo un cambiamento cos profondo, non molto che un magistrato del tribunale supremo, accusando un vescovo di attentato contro i diritti dellautorit civile, disse: Nello Stato neanche una foglia si pu muovere senza il permesso del governo. Queste parole non hanno bisogno di commenti; le ud lo stesso autore di questopera, e al sentir proclamare larbitrio con tanta schiettezza e semplicit gli parve che una nuova luce illuminasse la storia. La gravit e limportanza della materia richiedeva questa breve digressione per mostrare quanto pu contribuire alla vera libert il principio cattolico dellindipendenza dellautorit spirituale; perch racchiude il concetto che i poteri dellautorit civile hanno i loro limiti, e perci una perenne condanna del dispotismo. Per tornare dunque alla questione iniziale, deve essere chiaro che obbligatorio obbedire allautorit civile quando essa comanda nella sfera delle sue attribuzioni; ma nessuna dottrina cattolica ne prescrive lubbidienza quando lautorit civile esce da questa sfera. Non dispiacer al lettore sapere quale fosse sullobbedienza il pensiero di uno dei pi illustri interpreti del dogma cattolico, il santo Dottore da me tante volte citato. Secondo San Tommaso quando le leggi sono ingiuste (e secondo lopinione del Santo lingiustizia pu essere fondata su molte ragioni) non obbligano la coscienza, e non si deve quindi prestare loro ubbidienza se non per evitare lo scandalo e per non arrecare mali maggiori. Cio, in certi casi losservanza della legge ingiusta potr essere obbligatoria non per un dovere che ne derivi, ma per seguire i consigli della prudenza. Ecco le sue parole, alle quali prego i lettori di prestare la massima attenzione: Le leggi sono ingiuste per due motivi: o perch contrarie al bene comune, o per il loro fine, come nel caso in cui il governante imponga ai sudditi leggi onerose non per motivi di bene comune, ma per propria cupidigia o ambizione; oppure a causa del suo autore, come quando uno fa una legge uscendo dai limiti delle facolt che ha; oppure ancora per la forma, come, per esempio, quando gli oneri, per quanto siano ordinati al ben comune, non sono ripartiti equamente sui sudditi: e queste leggi sono piuttosto violenze che leggi, perch come dice S. Agostino (lib. 1. de lib. Arb. cap. 5), non si ritiene legge quella che non sia giusta, e perci queste leggi non obbligano nel tribunale della coscienza se non, eventualmente, per evitare lo scandalo o il disonore; per il quale motivo luomo deve cedere il proprio diritto, secondo le parole di S. Matteo: A chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringer a fare un miglio, tu fanne con lui due. (Mt. 5, 40 s). In altro modo possono essere ingiuste le leggi, cio per opposizione al bene divino, come le leggi dei tiranni che spingono allidolatria, o a qualunque altra cosa contraria alla legge divina; e in questi casi non lecito in alcuna maniera osservare tali leggi, perch, come leggiamo negli Atti degli apostoli, dobbiamo ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini (cfr. At 5, 29) (D. Th. 1-2. Q. 90. art. 1). Da questa dottrina si cavano le seguenti regole. Prima: in nessuna maniera si deve ubbidire allautorit civile quando comanda cose contrarie alla legge divina. Seconda: quando le leggi sono ingiuste non obbligano nel tribunale della coscienza. Terza: potrebbe essere necessario ubbidire a queste leggi per ragioni di prudenza, cio per evitare lo scandalo o il disordine pubblico. Quarta: le leggi sono ingiuste per i seguenti motivi: quando sono contrarie al bene comune; quando non sono dirette a questo bene; quando il legislatore va oltre le sue facolt; quando, sebbene dirette al bene comune e deliberate dallautorit competente, non posseggono la dovuta equit, come per esempio se gli oneri non sono ripartiti equamente tra il popolo. Abbiamo citato e trascritto lautorevole testo dal quale sono state ricavate queste regole; lillustre autore stato la guida di tutte le scuole teologiche nei sei ultimi secoli; la sua autorit, quando si tratta di argomenti riguardanti il dogma e la morale, non stata mai rigettata dalle scuole e perci queste regole devono essere considerate come un compendio delle dottrine dei teologi cattolici riguardo allubbidienza dovuta allautorit. Adesso possiamo ben appellarci con piena fiducia al giudizio di tutti gli uomini di senno affinch stabiliscano se in queste dottrine si trovi la minima

traccia di dispotismo, la minima tendenza alla tirannia, se attentino anche minimamente alla vera libert. Non vi si scorge il pi leggero indizio di adulazione al potere, ma anzi ne vengono assegnati i confini col massimo rigore; e se il potere li oltrepassa gli si dice apertamente: Le tue leggi non sono leggi, ma violenze; non obbligano la coscienza; e se vi si presta ubbidienza non per obbligo, ma piuttosto per prudenza, onde evitare tumulti o scandali; e a te ne viene un tale disonore che, lungi dal poterti vantare del trionfo, ti rendi simile al ladro che ruba alluomo pacifico la tonaca, e a cui questo uomo per spirito di pace ti abbandona anche il mantello. Se queste dottrine sono dottrine di oppressione e di dispotismo, allora vero che siamo partigiani di un tale dispotismo e di una tale oppressione, perch non riusciamo a capire quali saranno mai le dottrine che potranno esser dette favorevoli alla libert. Con questi princpi stata fondata la meravigliosa istituzione della monarchia europea, e con questi insegnamenti sono stati stabiliti i confini morali nei quali circoscritta e che la mantengono nei limiti dei suoi doveri anche senza tante garanzie politiche. Lo spirito, stanco di leggere tante e cos insulse prediche contro la tirannia dei re, e per altro verso nauseato dal linguaggio adulatore e vile che nei tempi moderni viene adoperato per lusingare il potere, si esalta e si compiace nel trovare lespressione pura, sincera e disinteressata in cui con tanta sapienza, con retta intenzione e generosa schiettezza si definivano i diritti e i doveri dei governi e dei popoli. E gli uomini che parlavano cos che libri avevano consultato? La Sacra Scrittura, i Santi Padri, le raccolte dei documenti ecclesiastici. Ricevevano essi per caso le ispirazioni dalla societ che li circondava? Per niente. Anzi, al contrario, in essa regnava il disordine e la confusione: ora vi dominava una torbida disubbidienza, ora il dispotismo. E ci nonostante essi parlavano con una discrezione, una prudenza, una calma tale come se vivessero in mezzo alla societ pi ordinata. Avevano per guida la divina rivelazione, la quale insegnava loro la verit, e provavano spesso il dispiacere di vederla dimenticata e combattuta. Ma che importano le circostanze, per quanto funeste, quando si scrive in una regione superiore allatmosfera delle passioni? La verit di tutti i tempi: dirla sempre, e Dio far il resto (5).

CAPITOLO LV Governi fondati sulla sola situazione di fatto. Diritto di opposizione a questo tipo di governo. Napoleone e il popolo spagnolo. Falsit della teoria che stabilisce lobbligo di obbedire ai governi fondati sulla sola situazione di fatto. Soluzione di alcune difficolt. Fatto compiuto. Come deve intendersi il rispetto per il fatto compiuto. _______________ Le questioni sullubbidienza dovuta al potere civile, che abbiamo fin qui trattate, sono di grande importanza; ma ancora pi importante quella sullopposizione al potere stesso. possibile pensare che possa verificarsi un caso in cui sia lecito opporsi fisicamente allautorit? contemplato da qualche parte il diritto di destituirla? Fino a che punto arrivano in questa materia le dottrine cattoliche? Ecco i punti di estrema importanza che stiamo per esaminare. Prima di tutto bisogna premettere, come gi dimostrato, che falsa la dottrina di quelli che sostengono di dover ubbidire ad un governo per il solo fatto che esiste, anche quando sia illegittimo. Questo contrario alla retta ragione e non mai stato insegnato dal Cattolicesimo. Quando la Chiesa predica lubbidienza allautorit si riferisce a quelle legittime; e nel dogma cattolico non c spazio per lassurdit che la semplice situazione di fatto costituisca il diritto. Se fosse vero che si debba ubbidire ad ogni governo stabilito anche se illegittimo, se fosse vero che non sia mai lecito resistergli, sarebbe altres vero che il governo illegittimo avrebbe il diritto di comandare, poich allobbligo di ubbidire corrisponde il diritto di comandare, e quindi il governo illegittimo rimarrebbe legittimato dal solo fatto della sua esistenza. Rimarrebbero in questo caso legittimate tutte le usurpazioni, condannate le pi eroiche opposizioni dei popoli, e il mondo sarebbe

abbandonato alla pura legge della forza. Ma questa dottrina che fa dipendere la legittimit dal successo dellusurpazione; questa dottrina che dice ad un popolo vinto e soggiogato da un usurpatore qualunque: Ubbidisci al tuo tiranno; i suoi diritti si fondano sulla sua forza, e il tuo obbligo sulla tua debolezza; questa avvilente dottrina non vera. Non pu essere vera questa dottrina che cancellerebbe dalla nostra storia le pi belle pagine, quando sollevandosi contro il potere dellusurpatore straniero la Spagna lott per la durata di sei anni per lindipendenza, e finalmente vinse il vincitore dEuropa. Anche se il potere di Napoleone si fosse affermato, il popolo spagnolo avrebbe conservato quello stesso diritto di sollevarsi che ebbe nel 1808. La vittoria non avrebbe legittimata lusurpazione; le vittime del 2 maggio non legittimarono il potere di Murat; e quandanche in ogni angolo della penisola si fossero viste le scene orribili del Prado, il sangue dei martiri della patria, coprendo di indelebile ignominia lusurpatore e i suoi seguaci, avrebbe sanzionato vieppi il sacro diritto di sollevarsi in difesa del trono legittimo e dellindipendenza della nazione. Conviene ripeterlo: sia nellordine privato che in quello pubblico la semplice situazione di fatto non forma il diritto; e se un giorno dovesse venir riconosciuto un tale principio, in quello stesso giorno sparirebbero dal mondo le idee di ragione e di giustizia. Coloro che per mezzo di questa funesta dottrina pretesero forse di lusingare i governi non si avvidero che ne minavano le fondamenta e spargevano il pi fecondo germe di usurpazione e di rivoluzione. E chi pu pi sentirsi sicuro se viene stabilito come principio che il successo costituisce il diritto e che il vincitore sempre il padrone legittimo? Non si spalanca forse cos la porta a tutte le ambizioni e a tutti i delitti? E non sarebbe un eccitare gli uomini a dimenticare tutte le nozioni di diritto, di ragione, di giustizia, per non avere altra norma che la forza bruta? In verit quei governi che si trovassero difesi con dottrine tanto strane dovrebbero mostrare ben poca gratitudine ai loro insensati difensori. Questa non difesa, ma offesa; e invece di considerarla unapologia, dovrebbe piuttosto esser vista come un brutale sarcasmo. Infatti, sapete a cosa si riduce? Sapete come si pu riassumere? In questo modo: Popoli, ubbidite a chi vi comanda; voi dite che la sua autorit fu usurpata: vero, ma lusurpatore, proprio perch ha raggiunto il suo scopo, ha acquistato anche un diritto. Egli un ladro che vi ha assalito per strada, vi ha rubato il denaro: vero; ma proprio perch voi non gli poteste resistere e foste obbligati a darglielo, ora che in suo possesso dovete considerare questo danaro come una sua sacra propriet. un furto: ma essendo il furto un fatto compiuto, non pi lecito che si torni indietro. Presentata sotto questo aspetto la dottrina del fatto appare cos contrastante con le nozioni generalmente ammesse da tutti, che non pu essere seriamente condivisa da nessuna persona ragionevole. Io non negher che vi siano dei casi nei quali anche sotto un governo illegittimo convenga raccomandare al popolo lubbidienza; come, per esempio, quando si prevede che la resistenza sarebbe inutile e non produrrebbe altro che disordini e spargimento di sangue; ma nel raccomandare al popolo la prudenza, non bisogna farlo in modo che sia interpretata per una falsa dottrina; e nel temperare lesasperazione per la sventura bisogna guardarsi dal propalare errori che sovvertano e i governi e le societ. Occorre notare che tutti i poteri, anche i pi illegittimi, hanno un istinto pi concreto di quello dei sostenitori di tali dottrine. Ogni potere allinizio della sua esistenza, prima dincominciare ad agire, prima di esercitare un atto qualunque, si preoccupa per prima cosa di legittimare se stesso. E lo fa cercando nel diritto divino o umano il pretesto della sua legittimazione: la fonda sulla nascita o sullelezione, la fa derivare da diritti storici o dallo sviluppo improvviso di avvenimenti straordinari; ma sempre va a finire allo stesso punto, cio alla pretesa della legittimit. La parola fatto non la pronuncia; listinto della propria conservazione gli dice che non pu adoperarla, e che se lo facesse toglierebbe forza alla sua autorit, distruggerebbe lincantesimo, additerebbe al popolo la via allinsurrezione, commetterebbe il proprio suicidio. Questo fatto costituisce la pi esplicita condanna della dottrina che stiamo contestando. I pi impudenti usurpatori sanno tuttavia rispettare il buon senso e la coscienza pubblica meglio di coloro che sostengono questa dottrina.

Avviene talvolta che le dottrine pi erronee vengano coperte col velo della mitezza e della carit cristiana; e in questo caso bisogna rivolgersi agli argomenti che si oppongono ai fanatici di una cieca sottomissione ad ogni potere costituito. I quali ci diranno che la Sacra Scrittura prescrive di obbedire allautorit senza fare alcuna distinzione, dunque non deve farla neanche il Cristiano, il quale si deve sottomettere con rassegnazione a qualunque autorit gli si presenti. A questa difficolt si pu dare le seguenti risposte, e tutte decisive: 1 Lautorit illegittima non autorit; lidea di autorit contiene implicitamente lidea di diritto; altrimenti non altro che potere fisico, cio forza. Ma quando la Sacra Scrittura prescrive lubbidienza allautorit, parla di quella legittima. 2 - Il Sacro Testo, spiegando per qual motivo dobbiamo sottometterci allautorit civile, ci dice che essa ordinata da Dio medesimo, e che il ministro dello stesso Dio; ed chiaro che lusurpazione non investita di una cos alta qualifica. Lusurpatore potr essere, piacendo a Dio, lo strumento della Provvidenza, il flagello di Dio, come si definiva Attila, ma non gi il Suo ministro. 3. La Sacra Scrittura, cos come prescrive lubbidienza ai sudditi verso lautorit civile, la ordina anche agli schiavi verso i loro padroni. Orbene: di quali padroni si parla? evidente che si parla di quelli che avevano un dominio legittimo, come allora veniva inteso, conforme alla legislazione ed ai costumi in vigore; altrimenti si dovrebbe dire che il Sacro Testo ordina la sottomissione anche a quegli schiavi che si trovavano in tale stato per un puro abuso della forza. Dunque, siccome lubbidienza verso i padroni comandata nei Libri Santi non priva del suo diritto lo schiavo che fosse ingiustamente tenuto in schiavit, cos anche lubbidienza alle autorit costituite va intesa quando queste siano legittime, o quando cos lo prescriva la prudenza per evitare sconvolgimenti e scandali. A sostegno della dottrina del fatto talvolta si porta come esempio il modo di agire dei primi Cristiani: Questi si dice ubbidirono alle autorit costituite senzandare a vedere se fossero legittime o no. In quei tempi le usurpazioni erano frequenti; lo stesso trono dellimpero era fondato sulla forza; coloro che lo occupavano erano spesso debitori del loro insediamento allinsurrezione militare o allassassinio del loro predecessore. Con tutto ci non si vide mai che i Cristiani si mettessero a fare questioni di legittimit: rispettavano il potere stabilito, e quando questo cadeva, si sottomettevano senza far storie al nuovo tiranno che diventava il padrone dellimpero. Non pu negarsi che questo argomento abbia una certa apparenza di validit, e che possa in un primo momento presentare una difficolt molto grave; ciononostante basteranno poche riflessioni per convincersi della sua estrema inconsistenza. Se linsurrezione contro un potere illegittimo vuole essere legittima e prudente, necessario che chi si accinge allimpresa di rovesciarlo sia assolutamente certo della sua illegittimit, che abbia lintenzione di sostituirvi un potere legittimo, e per di pi abbia la probabilit del successo. Senza queste condizioni linsurrezione manca di uno scopo e non sar altro che unazione sterile, una vendetta impotente, la quale ben lungi dallarrecare alla societ alcun vantaggio, non produrr che spargimento di sangue, esasperazione del potere aggredito, e di conseguenza maggiore oppressione e maggiore tirannia. Ai tempi di cui stiamo parlando, normalmente non esisteva nessuna di queste condizioni. Quindi lunica decisione che potevano prendere le persone oneste era quello di rassegnarsi pazientemente alle circostanze calamitose dei tempi, e di elevate al cielo le loro preghiere affinch il Signore si muovesse a piet della terra. Chi poteva giudicare se questo o quellimperatore fosse eletto legittimamente, quando le armi decidevano su tutto? Quali regole esistevano per la successione imperiale? Dove stava la legittimit da doversi sostituire al potere illegittimo? Stava forse nel popolo romano, in quel popolo umiliato e degradato che baciava vilmente le catene del primo tiranno che gli forniva pane e spettacoli? Stava forse nellindegna prole di quegli illustri patrizi che dettero la legge alluniverso? Stava nei figli o parenti di questo o di quellimperatore assassinato, quando nelle leggi non cera alcuna norma che prescrivesse la successione ereditaria, quando lo scettro dellimpero era in bala delle legioni, quando accadeva con tanta frequenza che limperatore che rimaneva vittima dellusurpazione, altro non era stato egli stesso che un usurpatore salito sul trono calpestando il cadavere del suo rivale? Stava negli antichi diritti dei popoli conquistati i quali, ridotti a semplici province dellimpero, avevano perduta la memoria di ci che erano stati un

giorno, e privi di spirito di nazionalit, e senza unidea che li potesse guidare verso lemancipazione, si trovavano per di pi senza mezzi con i quali opporsi alle forze schiaccianti dei loro padroni? Mi si risponda sinceramente: quale scopo poteva mai avere chi in simili circostanze avesse pensato di congiurare contro il governo stabilito? Quando le legioni decidevano dei destini del mondo innalzando e successivamente trucidando i loro padroni, cosa doveva o poteva mai fare il Cristiano? Come discepolo di un Dio di pace e di amore non gli era lecito prendere parte a scene criminose di insurrezione e di sangue. Oltretutto egli non era in grado di poter stabilire se era legittima o no unautorit vacillante ed incerta, e non gli restava altra soluzione che sottomettersi allautorit che era comunemente riconosciuta; e al verificarsi di uno di quei cambiamenti che avvenivano cos spesso, poteva soltanto rassegnarsi e prestare la stessa ubbidienza ai nuovi governanti. Immischiandosi in tumulti politici i Cristiani non avrebbero fatto altro che screditare la religione divina che professavano, dando motivo ai falsi filosofi e agli idolatri di intensificare le vili calunnie con cui questi cercavano di macchiarla, e fornire pretesti che facessero diffondere e rendere credibile la diceria che accusava il Cristianesimo di sovvertire gli Stati, tirandosi addosso lodio dei governanti ed accrescendo i rigori della persecuzione che con tanta crudelt opprimeva i discepoli del Crocifisso. Questa situazione assomiglia forse a molte altre occorse nei tempi antichi e moderni? Questo modo dagire dei primi Cristiani poteva essere, per esempio, come alcuni pretendono, quello che tennero gli Spagnoli quando si tratt di resistere allusurpazione di Bonaparte? Pu esserlo per un altro popolo che si trovi in simili circostanze? Ma daltra parte dobbiamo anche chiederere: pu essere un argomento per garantire il potere a tutta la genia degli usurpatori? No, luomo non lascia, per il fatto di essere Cristiano, di essere cittadino, di essere uomo, di avere i suoi diritti, e di agire il meglio possibile quando nei limiti della ragione e della giustizia corre a difenderli con franchezza e coraggio. Monsignor D. Felice Amat Arcivescovo di Palmira, nella sua opera postuma che ha per titolo Disegno della Chiesa militante, pronuncia queste importanti parole: Che il solo fatto del trovarsi costituito un governo basti per convincere della legittimit dellobbligo che hanno i sudditi di ubbidire, lo indic esplicitamente Ges Cristo con questa chiara ed energica risposta: date a Cesare quel che di Cesare. Siccome quanto ho detto sopra pare che basti a demolire una tale asserzione, e siccome penso di tornare su tale materia soffermandomi maggiormente sul citato scrittore per esaminarne lopinione e le ragioni su cui la fonda, non mi dilungher ora a discuterla. Mi limito soltanto ad unosservazione che feci leggendo i passi nei quali egli la spiega. La citata opera stata proibita a Roma: qualunque sia stato il motivo della proibizione, si pu star sicuri che trattandosi di un libro dove sinsegna una tale dottrina, tutti i popoli che amano i loro diritti potrebbero sottoscrivere il decreto della Congregazione. E poich loccasione cinvita, diciamo qualche parola sui fatti compiuti, i quali hanno una relazione molto intima con la dottrina che stiamo esaminando. Compiuto significa una cosa perfetta nel suo genere: cos un atto sar compiuto quando sar stato portato a compimento. Questa parola applicata ai delitti si contrappone a tentato, dicendosi, per esempio, che vi fu tentativo di furto, dassassinio, dincendio, quando con qualche atto si dimostr lintenzione di commetterli; come sarebbe rompere la serratura di una porta, assalire con unarma pericolosa, o iniziare ad accendere il fuoco ad un oggetto combustibile: in questi casi il delitto non si dice compiuto finch realmente non sia stato commesso il furto, data la morte, recato ad effetto lincendio. Allo stesso modo, nellordine sociale e politico si chiameranno fatti compiuti unusurpazione in cui sia stato completamente rovesciato il potere legittimo, e lusurpatore ne stia gi occupando il posto; unoperazione che sia stata eseguita in tutte le sue parti, come la soppressione dei canonici regolari in Spagna e lincorporazione dei loro beni allerario; una rivoluzione che abbia trionfato e che disponga senza rivali dei destini di un paese, come quella dei nostri possedimenti in America. Con questa espressione si evidenzia che un fatto non cambia natura con lessere compiuto: esso un fatto terminato, ma non che un semplice fatto; e questo aggettivo non vuole esprimerne n la giustizia o ingiustizia, n la legittimit o illegittimit. Gli orribili attentati per i quali non vi mai prescrizione

e che non cessano mai di essere degni di ignominia e di condanna, si chiamano anchessi fatti compiuti. E allora, che significato hanno le seguenti espressioni che si sentono cos spesso sulla bocca di certe persone: Si rispetti il fatto compiuto; Noi accettiamo sempre il fatto compiuto; una follia lottare contro il fatto compiuto; Una saggia politica si adatta e si sottomette al fatto compiuto? Lungi da me laffermare che tutti coloro che stabiliscono simili regole professino la funesta dottrina che esse suppongono. Accade spessissimo che noi ammettiamo dei princpi di cui rigettiamo le conseguenze, e che diamo per buona una regola di condotta senza pensare ai princpi immorali da cui deriva. Nelle cose umane il male tanto vicino al bene, e lerrore alla verit; la prudenza confina in tal modo con la timidezza colpevole; e la condiscendenza indulgente si trova cos vicina allingiustizia; che sia in teoria che nella pratica non sempre facile mantenersi nei limiti stabiliti dalla ragione e dagli eterni princpi della sana morale. Quando si parla di rispettare il fatto compiuto non mancano uomini perversi i quali intendono che questa espressione ha il significato di approvare i delitti, assicurare la legittimit del bottino fatto nelle sommosse, togliere alle vittime ogni speranza di riparazione, e chiudere loro la bocca per non udirne i lamenti. Altri per non covano tali disegni, ma soffrono soltanto di una confusione di idee che nasce dal non distinguere tra i princpi morali e la convenienza pubblica. Ci che necessario dunque su questo particolare, di fare le opportune distinzioni e fissare bene i concetti. Ed eccoli in poche parole. Un fatto compiuto non legittimo per il solo fatto di essere compiuto, n, di conseguenza, degno di rispetto. Il ladro che ha rubato non acquista alcun diritto sulla cosa rubata; lincendiario che ha ridotto una casa in cenere non meno degno di castigo n meno meritevole di esser costretto a ripagare i danni, di quel che sarebbe se non fosse andato pi in l del semplice tentativo. Tutto questo tanto chiaro ed evidente che non ammette risposta. Chiunque dica il contrario nemico di ogni morale, di ogni giustizia e di ogni diritto, e stabilisce il dominio esclusivo dellastuzia e della forza. I fatti compiuti non cambiano natura, neanche quando appartengano allordine sociale e politico: lusurpatore che ha sottratto la corona al legittimo possessore, il conquistatore che col solo diritto della forza delle armi ha sottomessa una nazione, non acquistano con la vittoria alcun diritto; il governo che abbia commesso grandi iniquit, spogliando intere categorie di cittadini, esigendo contribuzioni non dovute, abolendo diritti legittimi, non pu giustificare le sue azioni solamente perch ha forza sufficiente ad eseguirle. Anche questo ugualmente evidente; e se vi qualche differenza, consiste certamente in questo: che in questultimo caso il delitto tanto maggiore in quanto i danni arrecati sono pi estesi e pi gravi, e in quanto si provocato uno scandalo pubblico. Questi sono i princpi di sana morale; morale dellindividuo, morale della societ, morale del genere umano, morale immutabile, eterna. Passiamo ora alla convenienza pubblica. Vi sono dei casi in cui un fatto compiuto, nonostante tutta la sua ingiustizia, la sua immoralit e il suo orrore, acquista ci nonostante una forza tale, che il non volerlo riconoscere, e lostinarsi a resistergli, arreca una serie di sommosse e agitazioni, e senza alcun frutto certo. Ogni governo obbligato a rispettar la giustizia e a far s che i sudditi la rispettino; ma non deve impegnarsi a comandare una cosa in cui non sarebbe ubbidito quando non abbia i mezzi per far prevalere la propria volont. In tale situazione, se non combatte glinteressi illegittimi, se non fa in modo che le vittime siano debitamente risarcite, non commette alcuna ingiustizia, perch sarebbe simile a colui che, vedendo i ladri che stanno per consumare il delitto, fosse privo dei mezzi per costringerli a restituire le cose rubate. Supposta limpossibilit, non ha alcun significato dire che il governo non un semplice privato ma il protettore costituito di tutti glinteressi legittimi, perch nessuno obbligato a fare cose che gli impossibile fare. E bisogna aggiungere che in questo caso non necessario che limpossibilit sia fisica, ma potrebbe anche essere morale. Cio, anche se il governo avesse i mezzi materiali sufficienti per far avvenire il risarcimento, se per prevedesse che qualora lo facesse lo stato ne verrebbe gravemente compromesso in quanto metterebbe in pericolo lordine pubblico o spargerebbe germi di futuri dissidi, in tal caso per il governo si tratterebbe dimpossibilit morale. Perch lordine pubblico e gli interessi generali sono cose a cui si deve dare la preferenza in quanto fondamentali per ogni

governo; e perci quello che non si pu fare senza metterli in pericolo si deve considerare come impossibile. Lapplicazione di queste dottrine sar sempre una questione di prudenza, per cui nulla si pu stabilire parlandone in senso generale. Perch, dipendendo da mille circostanze, deve essere effettuata non con princpi astratti, ma considerando i fatti presenti in quella circostanza, pesandoli e valutandoli con criterio politico. Ecco spiegato il caso del rispetto per il fatto compiuto: conoscendone bene lingiustizia, non bisogna lasciar di conoscerne la forza; il non combatterlo non significa approvarlo. Lobbligo del legislatore di ridurne il pi possibile il danno, non di rischiare di aggravarlo pretendendo un impossibile risarcimento. E siccome fortemente dannoso per la societ che gli interessi generali restino compromessi od incerti sul loro futuro, bisogna cercare i giusti mezzi con i quali prevenire i danni che potrebbero risultare da una situazione incerta causata dalla stessa ingiustizia, senza essere coinvolti in questa ingiustizia. Una politica giusta non sanziona lingiusto; ma una politica saggia sa ben conoscere la forza dei fatti. Li conosce, ma non li approva; li accetta, ma non se ne rende complice; se esistono, e non si possono rimuovere, li tollera ma con dignit, trae dalle situazioni difficili il miglior partito possibile, e fa in modo di conciliare i princpi di eterna giustizia con la necessit della convenienza politica. Non sar difficile chiarire questo punto con un esempio che ne vale molti. Dopo i grandi mali, e dopo le enormi ingiustizie della rivoluzione francese, comera possibile una piena riparazione? Era possibile nel 1811 ritornare al 1789? Rovesciato il trono, livellate le classi, distrutta la propriet, chi era capace di ricostruire lantico edificio? Nessuno. Ecco come intendo il rispetto per il fatto compiuto, che dovrebbe chiamarsi meglio indistruttibile. E per rendere pi chiaro il mio modo di pensare, lo presenter in forma semplicissima. Un proprietario che stato scacciato dal possesso dei suoi beni da un prepotente vicino, non ha i mezzi per recuperarli. Non ha n danaro n prestigio, mentre il prestigio e loro sovrabbondano in colui che lo ha spogliato. Se ricorre alla forza, sar respinto; se ai tribunali, perder la causa. Quale partito gli rimane? Negoziare per venire ad un accordo, ottenere quel che pu, e rassegnarsi alla cattiva fortuna. Con questo detto tutto: ed appunto a tali princpi che si ispirano i governi. La storia e lesperienza cinsegnano che i fatti compiuti si rispettano quando sono indistruttibili; cio quando i fatti stessi hanno forza sufficiente per farsi rispettare; in caso diverso, non vanno rispettati. Non c cosa pi naturale: ci che non si fonda sul diritto, non pu che appoggiarsi alla forza (6).

CAPITOLO LVI Sullopposizione allautorit legittima. Dottrina del Concilio di Costanza sulluccisione del tiranno. Riflessioni sullinviolabilit dei re. Caso estremo. Dottrine di S. Tommaso dAquino, del Cardinale Bellarmino, di Suarez e di altri teologi. Errori dellAbate de Lamennais. Si respinge la pretesa che la sua dottrina condannata dal Papa sia la stessa che quella di S. Tommaso. Confronto tra le dottrine di San Tommaso e quelle di de Lamennais. Una parola sullautorit temporale dei Papi. Antiche dottrine sullopposizione allautorit. Ci che dicevano i Consiglieri di Barcellona. Dottrina di alcuni teologi sul caso in cui il sommo Pontefice, come persona privata, cadesse in eresia. Si spiega perch la Chiesa stata calunniata: ora come amica del dispotismo, ed ora dellanarchia. _______________ Da quanto si detto nei capitoli precedenti ne consegue che lecito resistere con la forza ad un potere illegittimo. La religione cattolica non prescrive di obbedire ai governi fondati sulla sola situazione di fatto, perch nellordine morale il puro fatto nullo. Ma quando il potere pur essendo legittimo viene esercitato in modo tirannico, forse vero che la religione cattolica proibisce sempre la resistenza fisica, e che quindi uno dei suoi dogmi sia il dovere della non resistenza? Che non consideri lecita linsurrezione in nessun caso e per nessun motivo? Quantunque io abbia gi

sistemate varie questioni, tuttavia necessario precisare alcune nuove distinzioni onde stabilire con esattezza dove finisce il dogma, e dove iniziano le opinioni. Innanzi tutto certo che un privato non ha diritto di uccidere il tiranno di propria iniziativa. Nel Concilio di Costanza, sessione 15, fu condannata come eretica la seguente proposizione: Qualunque vassallo o suddito pu e deve lecitamente e meritoriamente uccidere qualsiasi tiranno, valendosi anche di insidie nascoste o di astute lusinghe o adulazioni, nonostante qualunque giuramento o patto stabilito con lui e senza aspettare la sentenza o il mandato di qualche giudice. Questa decisione del Concilio non condanna ogni genere dinsurrezione. Essa parla della morte data al tiranno da un qualunque privato; e le opposizioni al tiranno non le fa un semplice privato, e non in tutte le insurrezioni si tratta di uccidere il tiranno. Ci che questa dottrina vuole stabilire lassoluta proibizione dellassassinio; mettendo un argine ad infiniti mali che affliggerebbero la societ se venisse stabilito che chiunque di propria iniziativa possa uccidere il governante supremo. E chi avr la sfrontatezza di dire che tale principio favorevole alla tirannia? La libert dei popoli non deve formarsi sullorrendo reato di assassinio; e la difesa dei diritti della societ non va affidata al pugnale di un esaltato. Essendo i confini del pubblico potere tanto vasti, e cos vari gli mbiti in cui viene esercitato, inevitabile che capiti con una certa frequenza che le sue deliberazioni urtino glinteressi di diversi individui Luomo portato agli eccessi e alla vendetta ingrandisce facilmente i danni che riceve; e passando dal caso particolare al generale propende a considerare malvagi coloro che gli rechino in qualche maniera danno o gli siano contrari. Appena riceve il minimo aggravio da chi comanda, si mette subito a protestare che uninsopportabile tirannia; e dipinge larbitrio immaginario o reale che viene commesso nei suoi confronti come una delle infinite iniquit che si commettono o come linizio di quelle che si vogliono commettere. Accordate dunque ad un qualunque privato il diritto di uccidere il tiranno; dite al popolo che per consumare lecitamente e meritatamente un simile atto non c bisogno di sentenza o mandato di alcun giudice, e vedrete che lorrendo delitto verr commesso frequentemente e senza problemi. I sovrani pi saggi, pi giusti e pi clementi saranno vittime del ferro parricida o della coppa di veleno; e senza che ne venga alcuna garanzia per la libert dei popoli avrete sottoposto a casi incresciosi i pi alti interessi della societ. La Chiesa cattolica con questa dichiarazione solenne ha concesso allumanit un immenso beneficio. La morte violenta di chi esercita il potere supremo porta con s altro spargimento di sangue e grandi scompigli, provoca diffidenti misure di sicurezza che degenerano facilmente in iniziative tiranniche: e ne deriva che un delitto, causato da una grande avversione per la tirannia, finisce per renderla pi arbitraria e crudele. I popoli moderni devono essere molto grati alla Chiesa cattolica per aver stabilito una norma cos protettiva e santa. Chi non sa apprezzarne il giusto valore, e chi preferirebbe tornare alle sanguinose scene dellimpero romano o della monarchia barbara manifesta ignobili sentimenti ed istinti feroci. Si son viste grandi nazioni, e se ne vedono ancora, in preda ad angosce crudeli per aver dimenticata questa regola cattolica. La storia dei tre ultimi secoli e lesperienza di oggi ci dicono che il sacro insegnamento della Chiesa cattolica fu impartito ai popoli nella facile previsione dei pericoli da cui erano minacciati. Qui non c alcuna adulazione verso i re, perch non sono solo loro che traggono beneficio da questa dottrina; la regola generale e perci riguarda tutte le persone che con qualsiasi titolo esercitano il potere supremo, qualunque sia la forma di governo, dal sovrano delle Russie fino al presidente della repubblica pi popolare. degno di nota che nelle costituzioni moderne, uscite dal seno delle rivoluzioni, senza che ci si rendesse conto si reso un solenne omaggio al principio cattolico: vi si dichiara infatti la persona del sovrano sacra e inviolabile. Che significa questo, se non la necessit di metterla sotto unimpenetrabile salvaguardia? Rimproverate alla Chiesa cattolica di aver protetta con una specie di scudo la persona dei re, e voi la dichiarate inviolabile; vi burlavate della cerimonia della consacrazione del re, e voi lo dichiarate sacro. I dogmi e la morale della Chiesa dovevano evidentemente contenere, uniti con eterna verit, princpi di ben alta politica, se voi vi siete visti

nella necessit dimitarla. Avete soltanto presentata come opera della volont degli uomini ci che la Chiesa esponeva come opera della volont di Dio. Ma se lautorit suprema abusa in modo scandaloso dei suoi poteri, se li estende al di l dei limiti dovuti, se conculca le leggi fondamentali, persguita la religione, corrompe la morale, oltraggia il pubblico decoro, insidia lonore dei cittadini, esige contribuzioni sproporzionate ed illegali, viola il diritto di propriet, aliena il patrimonio della nazione, smembra province trascinando i suoi popoli allignominia e alla morte: in questi casi il Cattolicesimo prescrive ancora lubbidienza? Proibisce ancora di opporsi obbligando i sudditi a mantenersi quieti e tranquilli come agnelli tra le zanne di belve feroci? Dopo aver esaurito tutti i mezzi pacifici di protesta, di consiglio, di avvertimento, di supplica, ci sar la possibilit di trovare nei privati o nelle principali corporazioni, o nelle classi pi distinte, o nellintero corpo della repubblica, in qualche parte insomma, il diritto di opporsi e di fare resistenza? In questi disgraziatissimi casi la Chiesa cattolica lascia forse i popoli senza speranza, e senza freno i tiranni? In tali situazioni estreme alcuni eminenti teologi opinano che lecita lopposizione; per i dogmi della Chiesa non arrivano a contemplare questi casi particolari. La Chiesa si astenuta dal condannare alcuna delle opposte dottrine; in circostanze cos critiche la non resistenza non un dogma. La Chiesa non ha insegnato mai una tale dottrina: chi volesse sostenere il contrario, ci mostri una decisione conciliare o dogmatica che gli serva da prova. San Tommaso dAquino, il Cardinale Bellarmino, Suarez ed altri insigni teologi conoscevano a fondo i dogmi della Chiesa; ci nonostante consultatene le opere, e invece di trovarvi una tale dottrina vi troverete lopposta. E la Chiesa non li ha condannati, e non li ha messi n tra quegli autori sediziosi che tanto abbondarono trai Protestanti, n tra i moderni rivoluzionari, eterni sovvertitori di ogni societ. Bossuet ed altri autori di grido non la pensano come San Tommaso, Bellarmino e Suarez: questo fa s che lopinione contraria sia da rispettare, ma non gi che diventi un dogma. Vi sono punti della massima importanza in cui le opinioni dellillustre vescovo di Meaux mostrano delle contraddizioni; ed noto che su questa stessa questione riguardante leccesso di tirannia, gi tempo fa furono riconosciuti al Papa facolt che Bossuet gli nega. LAbate de Lamennais, nella sua impotente ed ostinata resistenza alla Sede romana, ha ricordato queste dottrine di S. Tommaso e di altri teologi, pretendendo che condannare lui (cio Lamennais) significasse condannare tutte le scuole fin allora rispettate e ritenute infallibili (Affari di Roma). LAbate Gerbet, nelleccellente confutazione degli errori di Lamennais, ha osservato con molto giudizio che il sommo Pontefice, nel condannare le dottrine moderne, aveva voluto troncarla l per impedire che si rinnovassero gli errori di Wicleffo; che al tempo della condanna di questo eresiarca erano bene conosciute le dottrine di San Tommaso e degli altri teologi, e che tuttavia non era venuto in mente a nessuno che queste cadessero sotto quella condanna. Il celebre confutatore credette che ci bastasse per togliere allAbate de Lamennais lo scudo dietro al quale cercava di difendersi e di nascondere la sua apostasia, e per questo motivo tralasci di fare il confronto tra le due dottrine. Infatti, agli occhi di qualunque persona di giudizio questa riflessione sufficiente per essere persuasi che le dottrine di S. Tommaso non hanno nulla a che fare con quelle del Sig. Lamennais. Ma forse non sar inutile presentare in poche parole questo importante confronto; perch nei tempi in cui viviamo, e in simili materie, molto conveniente sapere non soltanto che queste dottrine sono tra loro differenti, ma anche in cosa consista la differenza. La teoria di Lamennais si pu ridurre ai seguanti termini: uguaglianza di natura in tutti gli uomini; e come necessarie conseguenze: 1 - uguaglianza di diritti, compresi quelli politici; 2 ingiustizia di ogni ordinamento sociale e politico in cui non si trova questa completa uguaglianza, come accade in Europa e in tutto il mondo; 3 - convenienza e legittimit dellinsurrezione per distruggere i governi e cambiare lordinamento sociale; 4 - abolizione di ogni governo, come fine del progresso del genere umano. Le dottrine di S. Tommaso su questi punti si riassumono come segue. Uguaglianza di natura in tutti gli uomini, cio uguaglianza di essenza, salve per le disuguaglianze delle doti fisiche, intellettuali e morali; uguaglianza di tutti gli uomini di fronte a Dio, cio uguaglianza di origine essendo stati tutti creati da Dio; uguaglianza di fine per essere stati tutti creati per godere Dio;

uguaglianza di mezzi per essere stati tutti redenti da Ges Cristo, e per poter ricevere tutte le grazie da Ges Cristo, salve per le disuguaglianze che nei gradi di grazia e di gloria piaccia al Signore di stabilire. Riguardo alle tesi di Lamennais: 1 - Uguaglianza dei diritti sociali e politici. Impossibile secondo il santo Dottore: anzi utilit e legittimit di certe gerarchie; rispetto per quelle che sono stabilite dalle leggi; necessit che alcuni comandino e gli altri ubbidiscano; obbligo di vivere sottomessi al governo stabilito nel paese, qualunque ne sia la forma; preferenza data al sistema monarchico. 2 - Ingiustizia di ogni ordinamento sociale e politico in cui non si trovi questa uguaglianza. Errore che si oppone alla ragione e alla fede. Perch anzi, al contrario, la disuguaglianza fondata sulla natura stessa delluomo e della societ; e se questa disuguaglianza, in ci che ha talvolta dingiusto o dannoso, effetto e castigo del peccato originale, ci nonostante agli occhi del santo Dottore sarebbe esistita anche nello stato dinnocenza. 3. Convenienza e legittimit dellinsurrezione per distruggere i governi e cambiare lordinamento sociale. Opinione erronea e funesta. La sottomissione dovuta ai governi legittimi; c la necessit di sopportare pazientemente anche quelli che abusano dei loro poteri, e lobbligo di esaurire tutti i mezzi di preghiera, di consiglio, di protesta, prima di ricorrere ad altri rimedi, e ricorrere allimpiego della forza solamente nei casi del tutto estremi, rarissimi, e sempre con molte restrizioni, come vedremo a suo tempo. 4 Fine del progresso del genere umano: labolizione di ogni governo. Proposizione assurda, sogno irrealizzabile. In ogni insieme di persone vi la necessit di un governo; gli argomenti sono fondati sulla natura delluomo; esposizione di analogie tratte dal corpo umano e dallordine stesso delluniverso. Anche nello stato dinnocenza necessaria lesistenza di un governo. Ecco esposte le due dottrine: fatene il confronto e giudicate. Io sono nellimpossibilit di riportare i testi del Santo, perch da soli essi riempirebbero il volume. Ci nonostante, se qualche lettore desidera studiare la materia, oltre a quei brani che ho inseriti e quelli che inserir in seguito, pu leggere tutto lopuscolo De regimine principum, i Commenti alla lettera ai Romani, e i passi della Somma in cui il santo Dottore tratta dellanima, della creazione delluomo, dello stato dinnocenza, degli angeli e loro gerarchie, del peccato originale e suoi effetti; e poi in particolare il prezioso trattato delle leggi e quello della giustizia, dove discute lorigine del diritto di propriet e di quello di castigare. Chi vorr farlo si render conto della verit ed esattezza di quanto ho detto; e vedr anche che il Sig. de Lamennais si ingann completamente quando per difendere i suoi errori tent di rendere complici della sua apostasia insigni scrittori e Santi che noi veneriamo sugli altari. Nelle materie importanti e delicate, siccome la confusione conduce allerrore, i nemici della verit hanno tutto linteresse a diffondere tenebre, a inventare proposizioni generiche, vaghe, che possono intendersi in mille sensi. Allora cercano disperatamente qualche testo che possa giustificare qualcuna delle molte interpretazioni possibili, e quando lhanno trovato ci dicono con baldanza: Vedete con quanta ingiustizia ci condannate; vedete quanto siete ignoranti; quello che diciamo noi lavevano detto molti secoli prima di noi i pi celebri ed accreditati dottori. LAbate de Lamennais doveva contare molto sulla credulit dei suoi lettori quando volle dar loro ad intendere che non vi era a Roma unanima buona che avvertisse il Papa che nel condannare le dottrine dellapostolo della rivoluzione, condannava insieme con lui langelo delle scuole ed altri insigni teologi. Bisogna dire che il Sig. de Lamennais deve averli letti in gran fretta e a tratti, quando invece a Roma ci sono molti studiosi che hanno consumato una lunga vita nello studio delle loro opere. Sono ben note le focose proteste di Lutero, Zuinglio, Knox, Jurieu, e degli altri corifei del Protestantesimo per sollevare il popolo contro i loro prncipi, e le violente e grossolane invettive che si permettevano contro di essi per infiammare la moltitudine. Questi traviamenti sono visti con orrore dai Cattolici. E con altrettanto spavento i Cattolici vedono la dottrina anarchica di Rousseau, quando stabilisce che le clausole del contratto sociale sono talmente determinate dalla natura dellatto, che la minima modifica le renderebbe vane e di nessun effetto... rientrando ciascuno nei suoi diritti primitivi, e nella sua libert naturale. (Contratto sociale lib. 1 cap. 6). Le dottrine dei citati teologi non contengono questo germe fecondo dinsurrezioni e disastri; ma non bisogna neanche dire che essi si mostrino timidi e pusillanimi nel caso in cui si giungesse agli estremi. Essi

predicano la rassegnazione, la pazienza, la tolleranza; ma vi un punto in cui dicono basta: non consigliano linsurrezione, ma neanche la proibiscono; invano si vorrebbe che in una tale situazione estrema predicassero lobbligo della non resistenza come una verit dogmatica. Non possono insegnare ai popoli come dogma quello chessi non conoscono come tale. Non colpa loro se infuria la tempesta, se si sollevano fragorose le onde senza che possa calmarle altra mano che quella del Signore, che cavalca gli aquiloni e doma le burrasche. Per molti secoli fu professata e praticata in Europa una dottrina molto criticata da coloro che non hanno mai potuto comprenderla. Lintervento dellautorit pontificia nelle contese tra i popoli e i sovrani, cosera mai se non il Cielo che veniva come arbitro e giudice a metter fine alle discordie sulla terra? Il potere temporale dei Papi servito in un modo meraviglioso di pretesto ai nemici della Chiesa per accendere gli animi e declamare contro Roma; ma questo non cessa di essere un fatto storico ed un fenomeno sociale che ha riempito di ammirazione i pi insigni uomini dei tempi moderni, compresi alcuni Protestanti. Nella Sacra Scrittura simpone lobbligo ai servi di ubbidire ai loro signori, anche quando sono cattivi; ma tutto quello che si pu ricavarne estendendo le parole allordine civile che un principe, se cattivo, non perde per questo lautorit sopra i suoi sudditi, condannando cos sul nascere lerrore di coloro che facevano dipendere il diritto di comandare dalla santit della persona che lo possedeva. Questo principio anarchico ed incompatibile con lesistenza di ogni societ; perch stabilito che sia lascia il potere incerto e vacillante, offrendo ampie possibilit ai nemici dellordine e della quiete per dichiarare decaduto dal potere chiunque piacesse loro di considerare cattivo. Ma la questione che stiamo trattando molto diversa, e lopinione dei citati teologi non ha nulla a che fare con un simile errore, Essi infatti dicono che si deve ubbidire ai prncipi, anche qualora siano cattivi; e condannano linsurrezione quando non ha altro pretesto o motivo che i vizi delle persone che esercitano il potere supremo. E ancora, non ammettono che un qualunque abuso dellautorit sia sufficiente a legittimare lopposizione; tuttavia non ritengono di contraddire il Sacro Testo quando ammettono che in casi estremi sia lecito porre un argine agli eccessi di un tiranno. Se pure quando sono cattivi i governanti non perdono lautorit, come si pu concepire che sia lecito far loro opposizione? Non lo sar certamente in tutto ci che ordinano entro i limiti delle loro facolt; ma quando passano tali limiti i loro comandi, come dice S. Tommaso, sono piuttosto violenze che leggi. Nessuno pu giudicare lautorit suprema; questo vero, ma al di sopra dellautorit suprema ci sono i princpi di ragione, di morale, di giustizia, di religione; ed anche se suprema lautorit resta tuttavia obbligata a mantenere le promesse e ad osservare i giuramenti. Le societ non si formano col patto sognato da Rousseau, ma in certi casi esistono veri patti tra i prncipi e i popoli, che n quelli n questi possono tradire. Nella famosa Proclamazione cattolica alla pia maest di Filippo il Grande, re delle Spagne e imperatore delle Indie, dei consiglieri e Consiglio dei cento della citt di Barcellona nel 1640, in unepoca in cui la religione aveva delle radici cos profonde che i consiglieri citavano come ornamento di somma gloria lattaccamento dei Catalani alla Chiesa cattolica, la loro devozione alla Vergine nostra Signora e al Santissimo Sacramento, in quellepoca che lignoranza e lorgoglio chiamano epoca di fanatismo e di degradazione servile, dicevano i nostri consiglieri al sovrano: Oltre ad avere valore di obbligo civile (si riferivano agli usi, costituzioni ed atti della corte di Catalogna), obbligano anche la coscienza, e violarli sarebbe peccato mortale, perch non lecito al principe non tener fede al contratto: si fa liberamente, ma si rompe illecitamente; e quantunque non vada mai soggetto a leggi civili va soggetto per a quella della ragione. E quantunque il principe sia il padrone delle leggi; non lo dei contratti che fa con i suoi sudditi; poich in questo caso egli persona privata, e il suddito acquista uguale diritto in quanto il patto va fatto tra uguali. Quindi, siccome il suddito non pu lecitamente mancare alla fedelt verso il suo signore, cos anche questi non pu mancare lecitamente a quanto promise con un patto solenne, la cui violazione ancor meno lecito presumere da parte del principe. Se la parola del principe deve avere forza di legge, quella che si d in un contratto solenne comporta una forza ancora maggiore (Proclamazione cattolica, 27). I

cortigiani spingevano il sovrano ad agire con la forza per far ridurre allobbedienza i Catalani; lesercito di Castiglia si stava preparando a penetrare nel principato. E in questa difficile situazione, dopo avere esauriti tutti i mezzi di protesta e di supplica, i consiglieri si espressero in questi termini: Coloro che disprezzano i Catalani e li odiano a morte sono riusciti infine con le loro continue insinuazioni a far allontanare dalla rettitudine e dallequit della Vostra Maest i mezzi proposti di pace e di tranquillit, che pure dovevano essere ammessi, non fosse altro per sperimentarli; ma per giungere al colmo della malizia, propongono a vostra maest come cosa necessaria di proseguire loppressione del Principato, facendolo occupare da un esercito, e abbandonandolo alla rovina e al saccheggio indiscriminato da parte degli avidi soldati; e dandogli la possibilit di dire (se non fosse per lamore e la fedelt che ha avuto, ha ed avr sempre per la Vostra Maest) che a causa di una grave violazione dei patti resta nella sua indipendenza; cosa che alla provincia non passa neanche per la mente, ed anzi prega Iddio che non lo permetta. E siccome il Principato sa per esperienza che questi soldati non hanno n rispetto n piet per le donne sposate, per le vergini innocenti, per le chiese, per lo stesso Dio, per le immagini dei santi, per i vasi sacri delle chiese, e neanche per il Santissimo Sacramento dellaltare che questanno gli stessi soldati hanno dato due volte alle fiamme; per questo motivo il Principato tutto in armi per difendere (in caso di tale disgrazia e necessit, e senza speranza di rimedio) le propriet, la vita, lonore, la libert, la patria, le leggi, e soprattutto i sacri templi, le sante immagini e il Santissimo Sacramento dellaltare, che sia sempre lodato. In simili casi i sacri teologi sono del parere che non solamente lecita la difesa, ma per prevenire il male anche permesso luso delle armi da parte di tutti, sia laici che religiosi, potendosi e dovendosi contribuire anche con i beni secolari ed ecclesiastici in quanto questa una causa universale; e che i popoli assaliti possono unirsi e confederarsi, e tenere assemblee per porre con ogni prudenza rimedio a questi danni ( 36). Cos si parlava ai sovrani al tempo in cui la religione era ritenuta superiore a qualunque altra cosa; e sappiamo che le dottrine dei consiglieri, i quali secondo luso di quei tempi ebbero lavvertenza di citare a margine le fonti da cui le avevano attinte, non furono condannate come eretiche. Sarebbe una grave malafede confonderle con quelle di molti Protestanti e rivoluzionari moderni; basta dare unocchiata a questo genere di scritti per constatare subito la differenza dei princpi e dei propositi. Quelli che sostengono che in nessun caso, per quanto estremo, ed anche se vi sia in gioco quanto di pi prezioso e di pi sacro possa esistere, mai lecito opporsi allautorit civile, credono in questo modo di rafforzare il trono dei re, ed effettivamente in genere si riferiscono quasi sempre ai re; ma dovrebbero specificare che la loro dottrina si estende a tutte le supreme autorit, qualunque sia la forma di governo. Perch i testi della Sacra scrittura che raccomandano lubbidienza allautorit, non si riferiscono unicamente ai re, ma parlano delle autorit superiori in generale, senza eccezioni e senza distinzione alcuna; dunque non si potrebbe resistere in nessun caso neanche al presidente di una repubblica. Mi si dir che le facolt di un presidente sono determinate; ma non lo sono forse anche quelle di un monarca? Negli stessi governi assoluti non esistono forse delle leggi che ne fissano i confini? Non questa la distinzione che fanno continuamente i difensori della monarchia, quando combattono la malafede dei loro avversari che vorrebbero confonderla col dispotismo? Mi si replicher forse: Ma il presidente di una repubblica temporaneo; e se fosse perpetuo? Oltre a ci, lessere pi o meno duraturi non rende le facolt n maggiori n minori. Se un esecutivo, un uomo, una dinastia, sono investiti di un tal diritto in forza di questa o di quella legge, con queste o quelle limitazioni, con certi patti, con certi giuramenti; lesecutivo, luomo, la dinastia sono obbligati a stare ai patti e ai giuramenti, bench siano pi o meno grandi i poteri, e limitata o perpetua la durata. Questi sono princpi di diritto naturale tanto semplici e sicuri che non ammettono difficolt. Gli stessi teologi pi legati al Sommo Pontefice insegnano una dottrina che conviene menzionare per lanalogia che ha col tema che stiamo esaminando. Si sa che il Papa, riconosciuto come infallibile quando parla ex cathedra, non lo invece come persona privata; e come tale potrebbe cadere in eresia. In questo caso, dicono i teologi, il Papa perderebbe la sua dignit: sostenendo

alcuni che lo si dovrebbe destituire, e affermando altri che la destituzione sarebbe automatica per il solo fatto che egli si sia allontanato dalla fede. Qualunque si scelga tra queste due opinioni, resta il fatto che lopposizione sar lecita. E questo perch il Papa si sarebbe scandalosamente sviato dallo scopo della sua istituzione; avrebbe vilipeso il fondamento delle leggi della Chiesa, che il dogma, e di conseguenza verrebbero a cessare le promesse e i giuramenti di ubbidienza che gli erano stati prestati. Spedalieri, nel proporre questo argomento, osserva che i re non sono certamente in una condizione migliore rispetto ai Papi, perch sia agli uni che agli altri lautorit stata concessa in aedificationem, non in destructionem; e soggiunge che se i sommi Pontefici permettono questa dottrina riguardo a loro, anche i sovrani temporali dal canto loro non se ne debbono offendere. cosa strana vedere lo zelo monarchico con cui i Protestanti e i filosofi atei accusano la religione cattolica per aver alcuni Cattolici sostenuto che in certi casi i sudditi possono rimanere liberi dal giuramento di fedelt; mentre altri delle stesse scuole protestanti e filosofiche rinfacciano alla religione cattolica lappoggio che presta al dispotismo con la detestabile sua dottrina della non resistenza, secondo lespressione del dottor Beattie. Lautorit diretta, quella indiretta, la declaratoria dei Papi sono servite egregiamente da spauracchio per i re; i princpi pericolosi dei trattati teologici erano un eccellente pretesto per gridare allarme, e per far passare il Cattolicesimo per un semenzaio di princpi sovversivi. Lora delle rivoluzioni suon, cambiarono le condizioni, sopravvennero altre necessit, e a queste si adatt il linguaggio. I Cattolici, prima sediziosi e tirannicidi, furono dichiarati fautori del dispotismo e vili adulatori dellautorit civile; e i Gesuiti, daccordo con la politica infernale della Sede di Roma, andavano minando tutti i troni per innalzare sulle loro rovine la monarchia universale del Papa; ma il filo dellorribile trama fu scoperto, e per fortuna! Perch manc poco che il mondo andasse incontro ad una spaventosa catastrofe. Vivevano ancora i Gesuiti espulsi, ed espiavano i loro delitti nellesilio, quando allo scoppiare della rivoluzione francese, che fu il preludio di tante altre, le cose cambiarono improvvisamente di aspetto. I Protestanti, gli atei, gli amici dellantica disciplina, gli zelanti avversari degli abusi della Sede romana, compresero a fondo la nuova situazione e vi si uniformarono completamente: da allora in poi i Gesuiti, i Cattolici, il Papa, non furono pi sediziosi e tirannicidi, ma sostenitori machiavellici della tirannia, nemici dei diritti e della libert del popolo. Quindi, siccome era stata prima scoperta la lega dei Gesuiti col Papa per fondare la teocrazia universale, cos ora, grazie alle indagini di filosofi di gran merito e di Cristiani severi ed incorruttibili, si scoperto il patto nefando dei Papi con i re per opprimere, avvilire e degradare la misera umanit. Volete che vi sia decifrato lenigma? Eccolo in poche parole. Quando i re sono potenti, quando regnano sicuri sui loro troni, quando la Provvidenza tiene incatenate le tempeste, e il sovrano leva orgogliosa la fronte al cielo e comanda ai popoli con aria altera, la Chiesa cattolica non lo adula: Sei polvere gli dice e in polvere ritornerai; il potere non ti stato dato per distruggere, ma per edificare; le tue facolt sono molte, ma hanno per i loro limiti; Dio tuo giudice cos come lo del pi umile dei tuoi sudditi . Allora la Chiesa viene tacciata dinsolenza; e se qualche teologo tenta di rintracciare lorigine dellautorit civile, di assegnare con generosa libert i doveri cui va soggetta, e a scrivere sul diritto pubblico, con prudenza s, ma non servilmente, i Cattolici sono sediziosi. Scoppia la tempesta, cadono i troni, la rivoluzione prende il comando, versa a torrenti il sangue dei popoli, tronca teste coronate, e fa tutto questo in nome della libert; la Chiesa dice: Questa non libert, questa una serie di delitti; la fratellanza e luguaglianza da me insegnate non furono mai i vostri stravizi, le vostre ghigliottine. In questo caso la Chiesa una vile adulatrice, e con le parole e con i fatti ha mostrato oltre ogni dubbio che il supremo pontificato era lncora pi sicura dei despoti; e si avuta la prova che la curia romana era compromessa nel patto nefando (7).

CAPITOLO LVII

La Chiesa e le forme politiche. Il Protestantesimo e la libert. Parole di Guizot. Vengono fissati i termini della questione. LEuropa alla fine del quindicesimo secolo. Rinnovamento sociale. Sue cause. I suoi effetti e il suo obiettivo. I tre elementi: monarchia, aristocrazia, democrazia. _______________ Abbiamo visto quale fosse latteggiamento della religione cristiana nei confronti della societ: poco curandosi che in un paese vigesse una forma di governo piuttosto che unaltra, si rivolgeva sempre alluomo mirando ad illuminarne lintelletto e a purificarne il cuore, sicura che ottenuti questi due fini la societ si sarebbe avviata da s sulla buona strada in modo naturale. Dovrebbe bastare questo per assolverla dallaccusa che si preteso di rivolgerle chiamandola nemica della libert dei popoli. Essendo innegabile che il Protestantesimo non abbia rivelato al mondo alcun dogma che conferisca alluomo maggiore dignit, n nuovi motivi di stima e rispetto, n pi stretti vincoli di fratellanza, la riforma non pu pretendere di aver dato alle nazioni moderne limpulso per un bench minimo progresso; e perci non pu neanche pretendere sotto questo aspetto alcun titolo che la renda meritevole della riconoscenza dei popoli. Ma siccome accade frequentemente che senza badare alla sostanza delle cose venga data grande importanza alle apparenze; e siccome abbiamo detto che il Protestantesimo molto pi del Cattolicesimo ha avuto a che fare con quelle istituzioni che si soliti considerare garanti di un maggior grado di libert, sar bene non sottrarsi al confronto, perch altrimenti non verrebbe messo in luce lo spirito del secolo, e si potrebbe inoltre dar valore al sospetto che da un tale confronto il Cattolicesimo non possa venir fuori con successo. Osserver in primo luogo che coloro che considerano il Protestantesimo strettamente legato alla libert pubblica hanno come oppositore su questo punto lo stesso Guizot, al quale non si pu certo dare la nomea di avere scarsa simpatia per la pretesa riforma. In Germania dice questo celebre esperto di diritto pubblico lungi dal chiedersi libere istituzioni, non dico che venisse accettata la servit, ma nel vedere dileguarsi la libert, non si fece alcun lamento (Storia generale della civilt europea. Lez. 12). Ho citato il Sig. Guizot perch, siccome siamo tanto abituati a tradurre, e si anche cercato di convincerci che noi Spagnoli siamo capaci solo di credere ciecamente a quanto ci dicono gli stranieri, il caso che, disquisendo su questioni serie, si consulti lautorit straniera; altrimenti laudace scrittore correrebbe il rischio di essere deriso e trattato da ignorante ed arretrato. Inoltre per certi esperti di diritto pubblico lautorit del Sig. Guizot sar decisiva; perch in alcuni libri che sono stati pubblicati, e spacciati per Filosofia della storia, si vede anche da lontano che le opere dello scrittore francese sono servite di testo per i loro autori. Cosa c di vero o di falso, di giusto o sbagliato nellassunto che unisce il Protestantesimo alla libert? Che ci dicono la filosofia e la storia? Ha il Protestantesimo fatto progredire i popoli contribuendo a fondare e sviluppare le forme libere di governo? Per porre la questione nel suo vero aspetto, e per svilupparla compiutamente, necessario fissare lo sguardo sulla situazione dellEuropa tra la fine del quindicesimo secolo e linizio del sedicesimo. fuor di dubbio che sia lindividuo che la societ stavano procedendo speditamente sulla via del progresso come dimostrano a sufficienza il meraviglioso sviluppo delle conoscenze in quei tempi, lintroduzione di molti perfezionamenti, il desiderio di ottenerne altri, e unorganizzazione pi efficiente che si andava formando in tutti i campi; organizzazione che, sebbene avesse ancora molto da migliorare, era per tale da non temere confronti con quella dei tempi precedenti. Osservando con attenzione la societ dellepoca, sia che ci atteniamo a quanto ci dicono i libri, sia che ricorriamo allanalisi degli avvenimenti che vi si svolsero, vi scorgiamo uninquietudine, unansiet, un fermento, che mentre testimoniano lesistenza di grandi necessit non ancora soddisfatte, fanno anche capire che tali necessit erano conosciute abbastanza chiaramente. Nello spirito delluomo di allora si scopre tuttaltro che trascuratezza dei propri interessi, o scarsa considerazione dei suoi diritti e della sua dignit o pusillanime sfiducia di fronte alle difficolt e agli

ostacoli; vi si scorge invece previdenza e sagacia, si percepisce un uomo dominato da idee grandiose, pieno di nobili sentimenti e avente in petto un cuore intrepido e vigoroso. Nella societ europea vi era a quel tempo un forte movimento, al quale contribuivano tre fattori importantissimi: lingresso nella vita civile della totalit degli uomini, come conseguenza dellabolizione della schiavit e del declinare del feudalesimo; il carattere stesso della civilt, che faceva avanzare contemporaneamente e di pari passo tutte le cose; e infine lesistenza di uno strumento che ne accresceva continuamente lestensione e la rapidit, cio la stampa. Se volessimo adoperare unespressione fisico-matematica, molto adatta a ci che stiamo esprimendo, diremmo che la quantit del moto doveva essere enorme, perch essendo questa il prodotto della massa per la velocit, tanto la massa quanto la velocit erano allora grandissime. Questo forte movimento, che traeva origine da un bene (perch in se stesso era un bene), e sincamminava alla volta di un bene, era tuttavia accompagnato da inconvenienti e pericoli; mentre ispirava le pi lusinghiere speranze, incuteva nello stesso tempo apprensione e timori. Quello europeo era un popolo vecchio; ma si pu dire che allora trov nuova giovinezza. Le sue inclinazioni e i suoi bisogni lo spingevano a grandi imprese, e vi si precipitava con lardore e il coraggio di un giovane ardente e inesperto che si sente battere in petto un cuore generoso e nella mente serena agitarsi la scintilla del genio. In una tale situazione si present subito un gran problema da risolvere: trovare i mezzi pi idonei che permettessero, senza arrestarne il moto, di guidare la societ per un sentiero che lallontanasse dai precipizi e la conducesse ad un traguardo dove avrebbe trovato ci che formava loggetto dei suoi desideri: conoscenza, moralit, felicit. sufficiente dare unocchiata allenormit di questo problema per provarne spavento, perch gli oggetti a cui si estende, le relazioni che abbraccia, gli ostacoli e le difficolt che contiene sono numerosi. Se lo si considera con attenzione, e lo si confronta alla debolezza delluomo, lanimo si sente scoraggiato ed abbattuto. Ma il problema esisteva, e non come oggetto di speculazione scientifica, ma come una vera necessit, ed una necessit urgente e incalzante. In tali casi la societ fa come lindividuo: singegna, prova, tenta, fa degli sforzi per uscire dallimbarazzo nel miglior modo possibile. La condizione civile degli uomini andava migliorando ogni giorno, ma per continuare questo miglioramento e portarlo alla perfezione ci voleva un mezzo: ed ecco il problema delle forme politiche. Quali dovevano essere? E prima di tutto, di quali si poteva allora disporre? Qual era la forza di ognuna di queste, le tendenze, le relazioni e ladattabilit? Come costituirle? Monarchia, aristocrazia, democrazia: ecco i tre poteri che si contendevano la guida e il comando della societ. Per la verit non erano proprio uguali, n riguardo alla forza, n ai mezzi per operare, n alla sagacia nellapplicarli; ma tutti comunque erano adatti; ognuno aveva la pretesa di essere preferito; e nessuno era privo della probabilit di prevalere. Questa competizione fra i tre poteri, tanto diversi per lorigine, la natura e loggetto, fu una delle caratteristiche pi distintive di quei tempi, ed la chiave per spiegare gran parte dei principali avvenimenti. E nonostante i vari aspetti con cui si presenta, si pu considerare come un fatto comune a tutti i popoli che in Europa erano avviati sulla via della civilt. Prima di addentrarci nella materia, il solo accenno a questo fatto suggerisce la considerazione che completamente falsa la diceria che il Cattolicesimo abbia tendenze contrarie alla vera libert dei popoli; perch la civilt europea, che per tanti secoli era stata sotto linfluenza e la tutela di questa religione, non presentava nessuna forma di governo che dominasse sulle altre in modo esclusivo. Girando lo sguardo per lEuropa, non cera un solo paese in cui non avvenisse lo stesso fatto: in Spagna, in Francia, in Inghilterra, in Germania o sotto il nome di Cortes, o di Stati generali, o di Parlamenti, o di Diete ovunque era la stessa cosa, con le sole variazioni che le specificit di ogni paese comportavano. Ci che bisogna notare piuttosto il fatto che laddove esisteva qualche eccezione, questa era a favore della libert. E per una combinazione singolare questo succedeva proprio in Italia, cio dove linfluenza dei Papi era pi forte. A tutti sono note le repubbliche di Genova, Pisa, Siena, Firenze e Venezia; tutti sanno che lItalia era il paese dove sembrava che le forme democratiche si adattassero meglio, perch l erano ancora

efficienti quando in altre parti andavano gi perdendo terreno. Io non voglio sostenere che le repubbliche italiane fossero un modello che gli altri popoli europei dovessero imitare; e sono convinto che quelle forme di governo portavano con s gravissimi inconvenienti; ma siccome si parla tanto di spirito e di tendenze, siccome si vuole addebitare alla religione cattolica legami col dispotismo e ai Papi linclinazione ad opprimere, sar bene rammentare questi fatti che possono spargere qualche dubbio sulle asserzioni che con un tono da professori ci vengono presentate come dogmi storico-filosofici. Se lItalia conserv la sua indipendenza nonostante i tentativi degli imperatori di Germania per levargliela, ne fu in gran parte debitrice alla fermezza e allenergia dei Papi. Per comprendere a fondo le relazioni del Cattolicesimo con le istituzioni politiche, per verificare fino a qual punto esso abbia avuto legami con queste o con quelle, e per formarci unidea precisa dellinfluenza che sotto questo aspetto il Protestantesimo esercit sulla civilt europea, sar opportuno esaminare ponderatamente, e separatamente ad uno ad uno, gli elementi che si contendevano la preminenza; e passando poi ad esaminarli nei rapporti tra loro comprenderemo, per quanto possibile, che cosa doveva essere in realt quellinforme complesso. Ciascuno di questi tre elementi pu essere visto in due modi: o considerando lidea che di essi si aveva in quei tempi; oppure gli interessi che essi rappresentavano e il ruolo che svolgevano nella societ. necessario valutare molto bene questa distinzione, perch altrimenti potremmo andare incontro ad equivoci madornali. Infatti non sempre le idee che circolavano su un certo principio di governo andavano di pari passo con gli interessi che questo stesso principio rappresentava e con il ruolo che svolgevano nella societ. E sebbene queste due cose dovessero avere tra loro relazioni strettissime, e non potevano quindi sottrarsi ad una reciproca e reale influenza, non per questo meno certo che sono differentissime tra loro; e che la loro differenza fa nascere considerazioni ben diverse, e presenta la cosa sotto aspetti diversi che non sono per niente somiglianti.

CAPITOLO LVIII Monarchia. Sua idea. Sue applicazioni. Sua differenza dal dispotismo. Qual era al principio del sedicesimo secolo. Sue relazioni con la Chiesa. _______________ Lidea di Monarchia sempre stata presente nella societ europea, anche ai tempi in cui questa forma di governo fu meno usata; e bisogna notare che anche quando il suo potere sindeboliva o veniva meno, nei suoi principi teorici lidea si manteneva sempre forte e vigorosa. Non si pu dire che la natura delloggetto rappresentato da questa idea per i nostri antenati fosse qualcosa di costante: non poteva esserlo, perch considerando le continue variazioni ed i cambiamenti che vedevano in essa non potevano formarsene un concetto ben distinto e preciso. Ci nonostante se diamo unocchiata ai codici l dove parlano della monarchia, e ai trattati su di essa che ancora si conservano, vedremo che le idee su tale materia erano definite pi di quanto si possa credere. Studiando attentamente la storia del pensiero di quellepoca si osserva che generalmente gli uomini erano di spirito piuttosto analitico, e che il loro sapere era rivolto pi allerudizione che alla speculazione; per cui a mala pena erano capaci di scrivere un passo senza laiuto di un numero infinito di citazioni autorevoli. Questa tendenza allerudizione (che si percepisce subito sfogliando le pagine delle loro opere che riempivano di citazioni; e questo era evidentemente un loro normale sistema, dal momento che fu cos generalizzato e usato costantemente) produsse dei rilevanti vantaggi, dei quali non fu certo il minore quello che ha permesso alla societ moderna di mettersi in contatto con quella antica grazie alle molte testimonianze che quelle opere hanno portato fino a noi, e che senza questa loro tendenza si sarebbero perdute; e se ne son potute riesumare altre che diversamente sarebbero rimaste sepolte sotto la polvere. Daltra parte per questa tendenza arrec anche molti mali, fra i quali quello di soffocare il pensiero, non permettendogli di abbandonarsi alle

proprie ispirazioni che, in verit, su alcuni aspetti sarebbero forse apparse pi felici di quelle degli antichi. Comunque sia le cose stanno cos. E per ci che riguarda la materia che stiamo trattando possiamo notare che le idee sulla monarchia erano una specie di sintesi tra le caratteristiche dei re del popolo ebreo e quelle degli imperatori romani; il tutto ritoccato da una visione cristiana di questa istituzione. Vale a dire, che i princpi sulla monarchia erano formati da ci che si ricavava dalle Sacre Scritture e dai codici romani. Cercate dove volete lidea di imperatore, di re, di principe, e troverete sempre la stessa cosa; sia che consideriate lorigine del potere, la sua estensione, lesercizio o il fine. Ma quali erano dunque queste idee che a quei tempi avevano della monarchia? Che significava questa parola? Prescindendo dalle differenze del suo significato secondo le varie situazioni, questa parola esprimeva comunemente il comando supremo della societ messo nelle mani di un solo uomo, obbligato per ad esercitarlo conformemente alla ragione e alla giustizia. Questa era lidea fondamentale, lunica ovunque stabile e fissa, ed era come il centro intorno al quale giravano tutte le altre questioni. Aveva il sovrano la facolt di fare le leggi autonomamente, cio senza consultare le assemblee generali che sotto diversi nomi rappresentavano le varie classi del regno? Entrando in questa questione siamo gi in un altro mbito: dalla teoria siamo passati alla pratica; abbiamo avvicinata lidea alla sua applicazione. Da questo momento, bisogna ammetterlo, tutto vacilla e tutto si oscura; ci passano davanti agli occhi mille fatti incerti, strani, contraddittori; e le pergamene su cui sono vergati i diritti, le libert e le leggi dei popoli dnno luogo a mille interpretazioni differenti che moltiplicano i dubbi ed aumentano le difficolt. Si capisce subito che le relazioni del sovrano con i sudditi, o per meglio dire, il modo con cui egli doveva esercitare il governo, non era ben determinato, e che risentiva del disordine dal quale stava uscendo la societ e di quella difformit inevitabile derivante dallunione di corpi molto diversi e dalla combinazione di elementi contrastanti, se non ostili: vediamo cio un embrione, ed quindi impossibile che ci si presentino forme regolari e ben distinte. In questa idea di monarchia si celava forse qualche principio di dispotismo? Qualcosa che assoggettasse luomo alla mera volont di un altro uomo, prescindendo dalle leggi eterne della ragione e della giustizia? Questo no; e vedremo subito un orizzonte limpido e chiaro dove gli oggetti si presentano lucidi e senzombra che li offuschi o li annebbi. Infatti la risposta a queste domande, fornita da tutti gli scrittori, decisiva: il comando deve essere conforme alla ragione e alla giustizia, tutto il resto tirannia. Possiamo dunque dire che il principio proclamato dal Sig. Guizot nel suo Discorso sulla democrazia moderna e nella Storia della civilt europea, cio che la sola volont non forma diritto, e che le leggi, perch siano tali, devono essere in accordo con quelle della ragione eterna, unica origine di ogni potere legittimo; questo principio, che forse alcuni penseranno attribuito di recente alla societ, gi tanto vecchio quanto lo il mondo, conosciuto dagli antichi filosofi, sviluppato, insegnato, applicato dal Cristianesimo, e che si trova in tutte le opere dei teologi e dei giureconsulti. Ma sappiamo bene che valore avesse nelle monarchie antiche questo principio, e quanto ne abbia ancora oggi nei paesi dove non radicato il Cristianesimo! Chi si assume in questi paesi lincarico di ricordare continuamente ai re lobbligo di essere giusti? Osservate al contrario che succede tra i Cristiani: i termini ragione e giustizia sono sempre sulla bocca dei sudditi, perch essi sanno bene che nessuno ha il diritto di trattarli diversamente: e lo sanno bene perch il Cristianesimo ha instillato in loro un vivo sentimento della propria dignit, e col Cristianesimo si sono abituati a considerare la ragione e la giustizia non come nomi senza significato, ma come valori eterni impressi nel cuore delluomo dalla mano di Dio, come un ricordo perenne che, se luomo una creatura debole soggetta ad errori e a mutabilit, ci nonostante porta in s scolpita limmagine della verit eterna e della perenne giustizia.

Se qualcuno si ostinasse a mettere in dubbio quanto detto finora, per dimostrare il suo errore basterebbe ricordare il gran numero di testi da me citati in questo tomo, nei quali i pi illustri scrittori cattolici manifestano il loro pensiero sullorigine e i poteri dellautorit civile. Abbiamo parlato delle idee. Per quanto riguarda i fatti c molta variabilit secondo i tempi ed i paesi. Durante le migrazioni dei popoli barbari, e per tutto il tempo in cui prevalse il regime feudale, la monarchia fu molto inferiore allidea che le sta alla base; ma nel sedicesimo secolo le cose cambiarono aspetto. In Germania, in Francia, in Inghilterra, in Spagna regnarono monarchi potenti che riempirono il mondo della loro fama. In loro presenza laristocrazia e la democrazia si dovevano inchinare umilmente; e se talvolta osavano sollevare la testa erano costrette a soccombere e ad essere ancor pi umiliate. Il trono non era ancora giunto al massimo della potenza e di quel fascino che acquist nel secolo successivo; ma il suo futuro era fissato irrevocabilmente: il potere e la gloria lo aspettavano; laristocrazia e la democrazia potevano cercare di prendervi parte, ma invano avrebbero tentato di conquistarli. Le societ europee avevano bisogno di un centro forte e stabile, e la monarchia soddisfaceva pienamente questa imperiosa necessit: i popoli che lo sentirono e lo compresero, si diressero senza indugio verso il principio soccorritore, mettendosi sotto la tutela del trono. Il problema a quel punto non era se la monarchia dovesse esistere o no; ancora meno se dovesse prevalere sullaristocrazia e la democrazia, perch i due problemi erano gi risolti: allinizio del sedicesimo secolo sia lesistenza che la supremazia della monarchia erano due fatti certi e indispensabili. Restava per da risolvere se il trono doveva imporsi in modo cos decisivo da annientare politicamente i due elementi aristocratico e democratico; cio se per lavvenire i tre elementi dovevano continuare ad esistere come era avvenuto fino allora,; o se eliminando i due rivali dovesse continuare a dominare solo il potere monarchico. La Chiesa si opponeva allautorit del re quando questi cercava di allungare la mano sulle cose sacre; ma la sollecitudine della Chiesa faceva in modo da non arrivare al punto di abbassare agli occhi dei popoli unautorit che era loro tanto necessaria. Al contrario, oltre a rinsaldare ancor pi il potere dei re con le sue dottrine favorevoli ad ogni autorit legittima, faceva in modo di rivestirli di un carattere sacro mediante la celebrazione di sacre cerimonie dincoronazione. Alcuni hanno accusato la Chiesa di tendenze anarchiche perch si era opposta con energia alle ingiuste pretese dei sovrani; ed altri, al contrario, le hanno creata la nomea di favorire il dispotismo per aver predicato ai popoli lobbligo di ubbidire alle autorit legittime. Queste accuse, cos opposte fra loro, se non mi sbaglio provano che la Chiesa non stata mai n adulatrice n anarchica; e che tenendo la bilancia in equilibrio ha sempre proclamata la verit tanto ai re quanto ai popoli. Lasciamo agli spiriti faziosi il compito di andare in cerca di fatti storici per dimostrare che Papi avevano intenzione di abbattere la monarchia civile, eliminandola a proprio vantaggio; intanto per non dimentichiamo che, come dice il Protestante Muller, nei secoli barbari il Padre dei fedeli era il tutore che Dio aveva dato alle nazioni europee, e cos non ci meraviglieremo che tra il Muller e i suoi allievi sorgessero contrasti. Per capire le intenzioni con le quali furono formulate le accuse sullatteggiamento della Sede di Roma nei confronti della monarchia, basta riflettere sul seguente fatto. Quello di creare tra i popoli europei unautorit centrale molto forte, fissandole nello stesso tempo dei limiti affinch non abusasse della sua forza, considerato come un immenso beneficio da tutti gli studiosi di diritto pubblico, i quali esaltano grandemente tutto ci che, direttamente o indirettamente, ha contribuito a produrlo. Come mai allora quando si tratta della condotta dei Papi, lappoggio che hanno dato allautorit dei sovrani viene chiamato amore per il dispotismo, e poi limpegno che hanno impiegato per limitare su certe cose i poteri degli stessi sovrani viene definito usurpazione sovvertitrice? La risposta non difficile (8).

CAPITOLO LIX

Aristocrazia. La nobilt e il clero. Loro differenze. La nobilt e la monarchia. Loro differenze. Classe intermedia fra il trono e il popolo. Cause della decadenza della nobilt. _______________ LAristocrazia, il cui nome riferito alle classi privilegiate, ne comprendeva due, molto diverse per lorigine e la natura: la nobilt e il clero. Ambedue avevano in abbondanza ricchezze e potere, ambedue si elevavano di molto sulle masse, ed erano nel sistema politico due elementi di grande importanza. Ci nonostante tra luna e laltra passava una grandissima differenza. Mentre alla base della grandezza e del potere del clero cerano i princpi religiosi, princpi che pervadevano tutta la societ, lanimavano e le davano la vita, e di conseguenza garantivano la preminenza di questa classe ancora per molto tempo; la grandezza e linfluenza della nobilt poggiava invece solo su un fatto necessariamente transitorio, cio sullordinamento sociale di quei tempi, ordinamento che fin da allora gi si stava modificando profondamente in quanto la societ andava liberandosi senza indugio dai vincoli del feudalesimo. Non intendo dire che i nobili non avessero diritti legittimi riguardo al potere e allinfluenza che esercitavano; ma che la maggior parte di questi diritti, quantunque si suppongano fondati lecitamente su leggi e su titoli, non avevano tuttavia un legame essenziale con nessuno dei grandi princpi conservatori della societ; princpi che dnno una forza immensa ed un grande ascendente alla persona o alla classe che a qualunque titolo li rappresenti. Siccome questa materia stata sempre poco esaminata, e la comprensione di importanti eventi sociali dipende dal fatto che essa sia spiegata a dovere, torner utile svilupparla con una certa estensione, ed approfondirla con ponderazione. Cosa rappresentava la monarchia? Un principio altamente conservatore della societ, un principio che sopravvissuto a tutti gli attacchi direttigli dalle teorie e dalle rivoluzioni, ed a cui si sono attaccate come alla sola ncora di salvezza anche quelle nazioni nelle quali le idee democratiche si sono maggiormente sviluppate, e in cui le istituzioni liberali hanno gettato pi profondamente le radici. Questa una delle cause per cui anche nei tempi pi funesti per la monarchia, quando ostacolata dallarroganza feudale e dallinquietudine e dallagitazione della nascente democrazia lasciava appena vedere la sua forza in mezzo ai sommovimenti della societ, come lalbero ondeggiante di una nave naufragata, anche in questi tempi, ripeto, allidea di monarchia venivano associate quelle di forza e di sovranit. La dignit reale veniva di fatto calpestata ed oltraggiata in mille modi, ma nonostante ci tutti riconoscevano che era una cosa sacra ed inviolabile. Questo fenomeno della discordanza della teoria dalla pratica, che mostrava come unidea sia pi forte del fatto che essa esprime, non deve destare meraviglia, perch tipico di quelle idee che producono grandi cambiamenti. Incominciano ad apparire nella societ, poi si diffondono, gettano le radici, sinsinuano in tutte le istituzioni. Il tempo fa maturare le cose, e se lidea morale e giusta, e se mostra la sua attitudine a soddisfare una necessit, arriva infine il momento che lidea trionfa e tutto sinchina e si umilia alla sua presenza. Ecco ci che accadde riguardo alla monarchia: sotto una o laltra forma, con queste o quelle varianti, essa era per i popoli europei una vera necessit, come lo tuttora; per questo appunto doveva prevalere sui suoi rivali e sopravvivere a tutte le contrariet. Riguardo al clero, non necessario fermarsi per dimostrare che esso rappresentava il principio religioso, vera necessit sociale per tutti i popoli della terra se la si considera in senso generale; e vera necessit sociale per i popoli europei, se la si considera in senso cristiano. gi abbastanza evidente che la nobilt non poteva paragonarsi n alla monarchia n al clero in quanto non possibile riscontrare in essa lespressione di qualcuno di quei princpi elevati che vengono rappresentati dalla monarchia o dal clero. Grandi privilegi, antico possesso di grandi beni, il tutto garantito dalle leggi e dai costumi del tempo ed unito a gloriose memorie di fatti darme, fregiato di nomi altisonanti, blasoni e titoli di antenati illustri. Ecco in sostanza su cosa si basava laristocrazia secolare: ma tutto questo non aveva in s nessuna relazione diretta ed essenziale con le grandi necessit sociali, e apparteneva ad un ordinamento particolare dalle caratteristiche

inevitabilmente transitorie. Questa classe era troppo fondata sul diritto puramente positivo ed umano perch potesse contare su una lunga durata ed illudersi di uscire vincitore nelle sue pretese ed esigenze. Mi si obbietter, forse, che lesistenza di una classe intermedia tra il sovrano ed il popolo una vera necessit riconosciuta da tutti gli esperti di diritto pubblico, e fondata sulla natura stessa delle cose. Infatti noi stessi vediamo che nelle nazioni dove scomparsa lantica aristocrazia se n formata unaltra nuova, sia per via degli avvenimenti, sia per lazione del governo. Ma questo fatto non ha nulla a che fare con laspetto che stiamo considerando della questione. Io non nego la necessit di una classe intermedia; ma dico soltanto che lantica nobilt, cos comera, non conteneva elementi che ne assicurassero la conservazione, poich la si poteva sostituire con unaltra, come effettivamente successo. Quella che d alle classi secolari unimportanza sociale e politica la superiorit del sapere e della forza; quando questa superiorit viene a mancare nella nobilt, essa decade. Al principio del sedicesimo secolo il trono e il popolo andavano acquistando ogni giorno di pi un maggiore ascendeste: quello con laccentrare tutte le forze sociali, e questo accumulando maggiori ricchezze per mezzo dellindustria e del commercio. In quanto alle conoscenze tecniche, linvenzione della stampa le andava diffondendo, ed era ormai impossibile che da quel momento restasse il patrimonio esclusivo di una qualunque classe. Era dunque evidente che alla nobilt stava sfuggendo di mano lantico potere, e che non aveva altri mezzi per conservarli almeno in parte se non quelli che la premunisse dal perdere completamente i diritti che glielo avevano procurato. Disgraziatamente per lei, il valore delle propriet andava diminuendo ogni giorno, non soltanto a causa degli sprechi provocati dal lusso, ma anche perch laumento straordinario della ricchezza mobile, ed i grandi cambiamenti cui andarono soggetti tutti i valori a motivo del nuovo ordinamento sociale e della scoperta dellAmerica, fecero perdere ai beni immobili una gran parte della loro importanza. Se andava diminuendo il potere della propriet fondiaria, con anche maggior rapidit andavano in rovina i diritti giurisdizionali, combattuti da una parte dal potere dei re, e dallaltra dalle municipalit e dagli altri centri ove operava lelemento popolare; al punto che, anche supponendo un profondo rispetto per i diritti acquisiti, e lasciando semplicemente che le cose seguissero il loro corso ordinario, era inevitabile che dopo un certo tempo lantica nobilt arrivasse a quello stato di prostrazione in cui attualmente si trova. Non poteva accadere la stessa cosa al clero, al quale, bench sia stato spogliato dei beni ecclesiastici, e i suoi privilegi siano stati ridotti o aboliti, restava tuttavia il ministero religioso. Questo ministero nessuno poteva esercitarlo senza del clero: la qual cosa bastava per assicurargli una forte influenza a dispetto di tutte le sommosse e di tutti gli sconvolgimenti.

CAPITOLO LX Democrazia. Idea di Democrazia. Dottrine dominanti. Linsegnamento del Cristianesimo annull le dottrine di Aristotele. Caste. Un passo del Sig. Guizot. Riflessioni. Influenza del celibato del clero per prevenire la successione ereditaria. Che sarebbe successo senza il celibato. Il Cattolicesimo e il popolo. Sviluppo delle classi industriali in Europa. Lega anseatica. Stabilimento dei mestieri di Parigi. Sviluppo industriale in Italia ed in Spagna. Il Calvinismo e lelemento democratico. Il Protestantesimo e i democratici del sedicesimo secolo. _______________ Prima del sedicesimo secolo la situazione in Europa era tale che la democrazia non sembrava poter facilmente occupare un posto di rilievo nelle teorie politiche. Soffocata da tanti poteri gi affermati, e ancora priva di quei mezzi che solo con landare del tempo le avrebbero fatto acquistare una certa influenza, era ben naturale che quanti sinteressassero degli affari di governo la considerassero appena. Essa era molto svalutata; e perci non ci si deve meravigliare se per

linfluenza della regalit sulle idee, queste rappresentassero il popolo come una parte abietta della societ, indegna di onori e di agi, e fatta unicamente per ubbidire, lavorare e servire. Eppure bisogna notare che le idee stavano gi prendendo unaltra direzione; e si pu anche assicurare che queste erano molto pi elevate e generose dei fatti. Ed ecco una delle prove pi convincenti dello sviluppo intellettuale che il Cristianesimo aveva prodotto nelluomo, ed una delle testimonianze pi indiscutibili di quel sentimento profondo di ragione e di giustizia che lo stesso Cristianesimo aveva immesso nel cuore della societ: elementi tali che non potevano essere soffocati dai fatti pi ostili e malvagi, perch erano sostenuti dagli stessi dogmi della religione, la quale restava immutabile ad onta di tutti gli sconvolgimenti, come dopo la distruzione di una macchina un asse robusto resta immobile ed inalterato. Negli scritti di quei tempi leggiamo come indiscutibile il diritto, da parte del popolo, che gli venisse amministrata la giustizia, che non fosse oppresso con nessun tipo di vessazioni, che le cariche fossero distribuite con equit, che non si obbligasse nessuno a fare ci che non risultasse essere conforme alla ragione e che portasse beneficio alla societ: vale a dire che vediamo riconosciuti e stabiliti tutti quei princpi sui quali dovevano fondarsi le leggi e i costumi che avrebbero prodotto la libert civile. E questo tanto vero che, man mano che le circostanze lo permettevano, questi princpi andavano sviluppandosi con la maggiore estensione e rapidit; furono ampiamente applicati, e la libert civile rimase tanto radicata tra i popoli dellEuropa moderna, che non pi venuta meno, e si vista sia sotto le forme del governo misto, che di quello assoluto. A conferma che i princpi favorevoli al popolo provenivano dal Cristianesimo porter un esempio che mi sembra significativo. La filosofia che allora dominava nelle scuole era quella di Aristotele. La sua autorit era indiscutibile: era il filosofo per antonomasia; un buon commentario delle sue opere pareva il punto pi alto a cui si potesse arrivare in queste materie. Ci nonostante il caso di notare che riguardo alle relazioni sociali le dottrine del filosofo di Stagira non erano adottate perch gli scrittori cristiani avevano dellumanit un concetto pi nobile ed elevato. Quellinsegnamento umiliante intorno agli uomini nati per servire, destinati a questo scopo dalla natura stessa ancor prima che dalle leggi, quelle dottrine orribili sullinfanticidio, quelle teorie che negavano il titolo di cittadino a tutti coloro che esercitavano arti meccaniche: in una parola, quei mostruosi sistemi che gli antichi filosofi elaboravano, senza neanche pensarci, basandoli sullo stato della societ nella quale vivevano, furono rigettati dai filosofi cristiani. Colui che aveva finito di leggere la politica di Aristotele andava subito a consultare la Bibbia o le opere di un santo Padre. Lautorit di Aristotele era grande, ma quella della Chiesa lo era molto di pi: era dunque necessario interpretare in modo pi favorevole le parole dello scrittore pagano, oppure abbandonarlo: in ambedue i casi erano salvi i diritti dellumanit, e questo era dovuto alla superiorit della fede cattolica. Una delle cause che impediscono maggiormente lo sviluppo dellelemento democratico, facendo s che il maggior numero degli abitanti di una nazione non esca mai dalloriginario stato dabiezione e di servit, la faccenda delle caste; perch essendo collegati ad esse onori, ricchezze e comando, trasmettendosi tali privilegi di padre in figlio sinnalza una barriera che separa gli uomini gli uni dagli altri, e finisce col far considerare i pi forti come appartenenti ad una specie pi nobile. La Chiesa si sempre opposta allintroduzione di un sistema cos dannoso; coloro che hanno applicato al clero il nome di casta hanno dimostrato di non conoscerne il significato. Su questo punto il Sig. Guizot ha reso pienamente giustizia alla causa della verit. Ecco in qual modo egli si esprime nella quinta lezione della sua Storia generale sulla civilt europea. Quanto al modo egli dice con cui si forma e si trasmette il potere nella Chiesa, vi una parola di cui si spesso fatto uso parlando del clero cristiano e che io mi sento di escludere, ed quella di casta. Spesse volte il corpo dei ministri ecclesiastici stato definito casta. Questa espressione non giusta perch allidea di casta legata quella di eredit. Girate il mondo e considerate tutti i paesi in cui il sistema delle caste si affermato: nelle Indie, in Egitto, e ovunque vedrete la casta ereditaria per natura; essa la trasmissione della stessa situazione, dello stesso potere da padre in figlio. Dove non vi eredit, non c casta, ma corporazione; lo spirito di corpo

ha i suoi inconvenienti, ma diversissimo dallo spirito di casta. Non si pu applicare la parola di casta alla Chiesa cristiana: il celibato dei preti ha impedito al clero cristiano di diventare una casta. Avrete gi capito quali sono le conseguenze di una tale differenza. Nel sistema della casta, alleredit va necessariamente unito il privilegio; questo deriva dalla definizione stessa della casta. Quando le stesse funzioni, gli stessi poteri diventano ereditari allinterno della stessa famiglia, chiaro che vi collegato il privilegio e che nessuno pu acquistarlo se non in virt della propria origine. Cos appunto si verificato dove lautorit religiosa capitata nelle mani di una casta; essa divenuta materia di privilegio, e nessuno vi ha potuto partecipare fuorch gli appartenenti alle famiglie che componevano la casta. Tutto il contrario avvenuto nella Chiesa cristiana; e non soltanto avvenuto il contrario, ma per di pi la Chiesa ha mantenuto costantemente la norma che tutti gli uomini, qualunque ne sia lorigine, possono essere ammessi a tutti i suoi impieghi e a tutte le sue dignit. La carriera ecclesiastica, particolarmente dal quinto al dodicesimo secolo, era aperta a tutti senza distinzione alcuna. I ministri della Chiesa provenivano da tutte le classi sociali, tanto dalle inferiori, quanto dalle superiori, e dalle inferiori anche pi spesso. Al di fuori della Chiesa tutto cadeva sotto il potere del privilegio; soltanto lei manteneva il principio delluguaglianza e della concorrenza; lei sola permetteva a tutti di accedere a tutte le autorit legittime, e di prendere possesso del potere. Questa la prima grande conseguenza che sia derivata in modo naturale dal fatto che la Chiesa un corpo e non una casta. Questo stupendo passo del pubblicista francese assolve pienamente la Chiesa cattolica dallaccusa di esclusivismo con cui hanno creduto di diffamarla; e questo mi offre loccasione per fare alcune riflessioni sulla benefica influenza del Cattolicesimo nello sviluppo della civilt riguardo alle classi popolari. Tutti sanno quanto abbiano strepitato contro il celibato religioso i pretesi difensori dellumanit; strano per che non si siano accorti dellesattezza dellosservazione del Sig. Guizot, cio che il celibato ha impedito al clero cristiano di diventare una casta. Vediamo infatti cosa sarebbe accaduto nel caso contrario. Allepoca di cui stiamo parlando linfluenza del potere religioso non aveva limiti, e i beni della Chiesa erano immensi; tali cio da permettere ad una casta di assicurare la sua preminenza e stabilit. Che le mancava dunque? La successione ereditaria, e nulla pi; e questa successione sarebbe stata stabilita col matrimonio degli ecclesiastici. Questa non una pura ipotesi, ma un fatto che pu essere dimostrato consultando la storia. La legislazione ecclesiastica ci presenta documenti importantissimi dai quali si apprende che fu necessario tutto il vigore dellautorit pontificia per impedire che non sintroducesse la successione ereditaria. La natura stessa delle cose tendeva inevitabilmente a questo; e se la Chiesa si liber di una tale calamit fu proprio perch ebbe sempre in orrore un cos dannoso costume. Leggasi il titolo 17 del primo libro delle decretali di Gregorio IX, e dalle disposizioni pontificie che vi sono contenute chiunque si convincer che il male presentava sintomi preoccupanti. Le parole usate dal Papa sono le pi severe che si possano immaginare: Ad enormitatem istam eradicandam - Observato apostolici rescripti decreto quod successionem in Ecclesia Dei aereditariam detestatur - Ad extirpandas successiones a Sanctis Dei Ecclesiis studio totius sollicitudinis debemus intendere - Quia igitur in Ecclesia successiones, et in praelaturis et dignitatibus ecclesiasticis statutis canonicis damnantur. Queste ed altre simili espressioni manifestano chiaramente che il pericolo aveva gi raggiunto una certa gravit, e giustificano la prudenza della Santa Sede nel riservarsi il diritto esclusivo di gestire questa materia. Senza la vigilanza continua dellautorit pontificia labuso si sarebbe allargato ogni giorno di pi, poich a ci spingevano i pi forti istinti della natura. Erano passati quattro secoli da che erano state prese le disposizioni di cui abbiamo parlato, che nel 1533 il Papa Clemente VII si vide costretto a limitare una norma di Alessandro VI per ovviare a gravi scandali di cui quel pio Pontefice si lamentava con gran dolore. Immaginate ora che la Chiesa non si fosse opposta con tutte le sue forze ad un tale abuso e che il malcostume fosse divenuto comune ovunque. Pensate inoltre che in quei secoli regnava la pi crassa ignoranza e che ai privilegiati veniva concesso tutto mentre al popolo era riconosciuta appena lesistenza civile. E allora, formata che si fosse una casta del clero accanto alla casta dei nobili, e

unitesi ambedue con vincoli di famiglia e di interessi comuni, non avrebbero opposto un ostacolo insuperabile allo sviluppo ulteriore della classe popolare, immergendo la societ europea in quel medesimo avvilimento in cui giacciono quelle asiatiche? Questo il bel frutto che ci avrebbe portato il matrimonio degli ecclesiastici se la cosiddetta riforma fosse avvenuta alcuni secoli prima. Essendo invece avvenuta agli inizi del sedicesimo secolo trov gi formata in gran parte la civilt europea; aveva ormai a che fare con un adulto a cui non era tanto facile far dimenticare le idee e cambiare i costumi. Quanto accaduto servir a farci capire ci che sarebbe potuto accadere. In Inghilterra si form una stretta alleanza tra laristocrazia laica e il clero protestante; e bisogna notare che qui si visto, e si continua tuttora a vedere, qualcosa di simile alle caste, per con le varianti inevitabilmente conseguenti al grande sviluppo di un certo tipo di civilt e di libert a cui giunta la Gran Bretagna. Se nel Medioevo il clero si fosse organizzato in una classe esclusiva, assicurandosi la perpetuit con la successione ereditaria, ne sarebbe certamente nata quellalleanza aristocratica di cui abbiamo detto; e in tal caso, chi lavrebbe potuta rompere? I nemici della Chiesa fanno derivare da mire segrete tutta la sua disciplina, e alcuni di essi anche i suoi dogmi; e quindi considerano pure la norma sul celibato come frutto di scopi opportunistici. E invece facile comprendere che se la Chiesa avesse avuto soltanto mire mondane avrebbe potuto benissimo prendere per modello i sacerdoti delle altre religioni, i quali hanno formato una classe separata, predominante, esclusiva, senza opporre la severit del dovere agli istinti naturali. Mi si obbietter che lEuropa non lAsia: non c dubbio; ma neanche lEuropa attuale, n quella del sedicesimo secolo, lEuropa dei secoli di mezzo, quando nessuno sapeva n leggere n scrivere tranne gli ecclesiastici; quando tutta la scienza di quel tempo era nel clero; quando questo, se avesse voluto lasciare il mondo nelle tenebre, non avrebbe dovuto far altro che spegnere la torcia con la quale lo illuminava. anche certo che il celibato ha dato al clero una forza morale ed un ascendente sulle anime che con altri mezzi non avrebbe ottenuto; ma questo prova soltanto che la Chiesa ha preferito a quella materiale lautorit morale, e che lo scopo delle sue istituzioni quello di agire, con questa autorit, sullintelletto e sul cuore. E non forse cosa altamente degna di lode adoperare per quanto possibile i mezzi morali per disciplinare lumanit? Non forse da preferirsi che il clero cattolico abbia fatto con norme severe per se stesso, quello che sarebbe riuscito a fare solo in parte adottando sistemi allettanti per le proprie passioni e avvilenti agli occhi degli altri? Oh, come risplende sotto questo aspetto lopera di Colui che star con la sua Chiesa fino alla consumazione dei secoli! Ma qualunque sia la fondatezza di queste riflessioni, non si potr negare che, laddove il Cristianesimo non ha piantato le sue radici, il popolo rimasto sottomesso ad una minoranza che ricompensa le sue fatiche solo con oltraggi e disprezzo. Si consulti la storia e si considerino i fatti: la cosa generale e ricorrente, senza che siano escluse le antiche repubbliche delle quali sono state portate tanto in alto le loro libert. In quelle antiche repubbliche sotto una certa forma di libert, per la maggioranza degli uomini vi era la schiavit vera e propria, anche se nascosta con belle apparenze agli occhi di quellanonima moltitudine soggetta ai capricci di un tribuno, e che credeva di esercitare i propri alti diritti quando condannava allostracismo o alla morte i cittadini virtuosi. Nelle societ cristiane talvolta poteva capitare che, pur essendoci nella sostanza, la libert non apparisse; ma se per libert dobbiamo intendere il predominio delle giuste leggi, nella sostanza le cose erano sempre in favore di essa. Perch le leggi erano dirette al bene del popolo ed erano fondate sulla stima ed il profondo rispetto dovuti ai diritti dellumanit. Osservate tutte le grandi fasi della civilt europea nei tempi in cui dominava esclusivamente il Cattolicesimo. Diverse nelle loro forme, nelle loro origini e nelle loro tendenze, tutte andavano per a favore del popolo. Tutto ci che rivolto a questo fine perdura; tutto ci che vi si oppone, finisce. Come mai negli altri paesi non successa la stessa cosa che in Europa? Anche se le ragioni evidenti e i fatti concreti non ci dimostrassero la benefica influenza della religione di Ges Cristo, dovrebbe bastare una cos grande coincidenza per far nascere serie riflessioni a coloro che meditano sul corso e sul carattere di quegli avvenimenti che cambiano o modificano la sorte del genere umano.

Coloro che ci hanno descritto il Cattolicesimo come nemico del popolo avrebbero dovuto indicarci qualche dottrina della Chiesa in cui venissero approvati gli abusi che lo vessavano, o le ingiustizie con cui lopprimevano; avrebbero dovuto dirci se allinizio del sedicesimo secolo, quando lEuropa si trovava sotto lesclusiva influenza della religione cattolica, il popolo non era gi tutto ci che poteva essere secondo landamento ordinario delle cose. Non c dubbio che non possedesse le ricchezze che ha accumulato in seguito, e che le conoscenze non erano altrettanto estese quanto lo divennero in tempi a noi pi vicini; ma tali progressi sono forse dovuti al Protestantesimo? Il sedicesimo secolo non cominciava forse sotto migliori auspici del quindicesimo, cos come questo era progredito rispetto al precedente? Ci prova che lEuropa sotto la tutela del Cattolicesimo era sulla strada del progresso, e che la causa del popolo non riceveva pregiudizio dallinfluenza cattolica. Che poi col tempo si siano fatti grandi miglioramenti, questi non sono stati certamente il frutto della pretesa riforma. Ci che ha fatto aumentare dimportanza la democrazia moderna, e ridurre il predominio delle classi aristocratiche, stato lo sviluppo dellindustria e del commercio. Se esamino ci che accadeva in Europa prima che nascesse il Protestantesimo, vedo che le dottrine e le istituzioni cattoliche, lungi dallostacolare un tale sviluppo, piuttosto lo favorivano; infatti sotto la loro protezione glinteressi industriali e mercantili andavano sviluppandosi in un modo sorprendente. Tutti sanno come in Spagna questi interessi avevano avuto un meraviglioso sviluppo, e sarebbe un errore pensare che un tale progresso fosse dovuto ai Mori. La Catalogna, soggetta esclusivamente allinfluenza cattolica, ci appare tanto attiva, prospera ed intraprendente nellindustria e nel commercio, che se non risultasse da incontestabili documenti il suo progresso sembrerebbe inverosimile. Leggendo le Memorie storiche sulla marina, commercio ed arti dellantica citt di Barcellona, del nostro celebre Campmany, si pu essere fieri di appartenere alla nazione catalana i cui antenati si davano con tanta alacrit ad ogni genere dimpresa, non permettendo ad altri di sopravanzarli sulla strada della civilt e della cultura. Mentre nel Mezzogiorno dellEuropa accadeva questo fenomeno positivo, nel Nord era sorta la lega delle citt anseatiche, di cui lorigine si perde nelloscurit dei secoli di mezzo, e che acquist col tempo una tale potenza da poter misurare le proprie forze con quelle dei monarchi. I ricchissimi stabilimenti installati in molti punti dEuropa, e favoriti da proficui privilegi, la elevarono al grado di una vera potenza. Non contenta del potere che aveva nel suo paese ed in Svezia, Norvegia e Danimarca, lo estesero fino in Inghilterra e in Russia; Londra e Novgorod ammiravano i grandi stabilimenti di questi arditi commercianti i quali, superbi delle loro ricchezze, si facevano accordare privilegi spropositati, avevano i loro magistrati particolari e formavano tra i paesi stranieri uno stato indipendente. degno di nota il fatto che la lega anseatica, riguardo al sistema di vita degli impiegati dei loro stabilimenti, aveva preso per modello le comunit religiose: mangiavano in comune, avevano dormitori comuni, e a nessuno di essi era permesso di prendere moglie. Se uno violava una di queste norme perdeva i diritti di socio anseatico e di cittadino. Anche in Francia le classi industriali si organizzarono in modo da poter resistere meglio agli elementi di dissoluzione che nutrivano in seno; e questa organizzazione, che port tanti benefci, fu dovuta a un re che la Chiesa cattolica venera sugli altari. Lo stabilimento dei mestieri di Parigi contribu potentemente ad avviare lindustria, a renderla pi intraprendente e pi etica. E qualunque sia il genere di abusi che vi sintrodussero in seguito, non si pu negare che S. Luigi fondando e organizzando questo stabilimento nel miglior modo possibile (considerati i tempi che rispetto al progresso raggiunto in seguito erano ancora molto indietro), soddisfece ad una grande necessit. E che diremo poi dellItalia che contava nel suo seno le potenti repubbliche di Venezia, Firenze, Genova e Pisa? Pare incredibile la strada che lindustria e il commercio avevano preso in quella penisola e il conseguente sviluppo dellelemento democratico. Se linfluenza del Cattolicesimo fosse per sua natura cos deprimente, se lalito della corte romana fosse tanto micidiale per il progresso dei popoli, non forse vero che i cattivi effetti avrebbero dovuto farsi sentire maggiormente dove potevano agire pi da vicino? Come mai invece, mentre una buona parte

dellEuropa gemeva sotto loppressione del feudalesimo, la classe media, quella che non aveva altri titoli di nobilt che il frutto della propria intelligenza e delle proprie opere, in Italia si mostrava in modo evidente cos potente e florida? Non voglio dire che questo sviluppo fosse dovuto ai Papi; ma sar almeno necessario concedere che i Papi non vi frapponevano alcun ostacolo! E giacch vediamo un fenomeno simile in Spagna, e particolarmente nel regno dAragona dove linfluenza pontificia era grande; e giacch lo stesso avveniva nel Nord dellEuropa, dove abitavano popoli civilizzati solo dal Cattolicesimo; e giacch lo stesso avveniva con maggiore o minore rapidit in tutti i paesi sottomessi esclusivamente alla fede e allautorit della Chiesa, mi sar lecito concludere che il Cattolicesimo non ha in s nulla che sia contrario allavanzare della civilt e che si opponga ad un giusto e legittimo sviluppo dellelemento popolare. Non riesco a comprendere con quali occhi abbiano studiato la storia quelli che hanno voluto regalare al Protestantesimo il bel titolo di favorevole aglinteressi del popolo. Lorigine del Protestantesimo fu essenzialmente aristocratica; e nei paesi dove ha potuto gettare le radici ha messo laristocrazia su basi tanto solide che le rivoluzioni di tre secoli non hanno avuto forza sufficiente a rovesciarla. Si veda, a conferma di questa verit, ci che accadde in Germania, in Inghilterra e in tutto il Nord Europa. stato detto che il Calvinismo era pi favorevole allelemento democratico, e che se avesse prevalso in Francia, avrebbe sostituito alla monarchia un complesso di repubbliche confederate. Checch ne sia di tale ipotesi intorno ad un cambiamento che non sarebbe certamente stato molto propizio allavvenire di quella nazione, risulta comunque che in Francia non si sarebbe potuto stabilire altro sistema che laristocratico perch a quellepoca le circostanze non permettevano altro; e i grandi signori che si trovavano alla guida delle innovazioni religiose non avrebbero permesso un diverso ordinamento. Se il Protestantesimo avesse trionfato in Francia, forse i poveri di quel paese avrebbero cercato di avere per s una parte del pingue bottino come fecero quelli della Germania; ma sicuramente la proverbiale durezza di Calvino non sarebbe stata per loro meno funesta di quello che fu per i tedeschi la furiosa stupidit di Lutero. probabile che quei miseri contadini (che secondo quanto affermano scrittori contemporanei non mangiavano che pane nero di segale, non assaggiavano mai carne, dormivano sulla paglia e non usavano altro cuscino che un pezzo di legno), nel sollevarsi per reclamare a proprio vantaggio le conseguenze delle nuove dottrine avrebbero avuto la stessa sorte dei loro fratelli tedeschi, i quali non furono castigati, ma sterminati. In Inghilterra la distruzione contemporanea dei conventi provoc il pauperismo; poich passando i beni nelle mani dei secolari rimasero senza mezzi di sussistenza sia i religiosi espulsi dai loro conventi che glindigenti che prima vivevano delle elemosine di quei luoghi pii. E si noti bene che il danno non fu passeggero, ma continuato fino ai giorni nostri, ed ancora il maggiore di tutti i mali che affliggono la Gran Bretagna. Non ignoro quanto stato detto sul fomentare lozio e la pigrizia per mezzo delle elemosine; certo per che lInghilterra, con le sue leggi sui poveri, con la sua carit prescritta dalle leggi, presenta un numero molto maggiore di poveri di quel che sia nei paesi cattolici. Difficilmente mi si potr convincere che lasciar morire di fame il povero sia un buon mezzo per far progredire lelemento popolare. Se vediamo che il Protestantesimo non riusc ad affermarsi in Spagna e in Italia, che erano allora i paesi dove il popolo godeva i maggiori diritti e stava meglio che altrove, evidentemente in esso c qualcosa che non lusingava i democratici di quei tempi. E tanto pi si pu notare questo, in quanto vediamo che i novatori ebbero miglior successo dove laristocrazia feudale contava di pi. Mi si parler delle Province Unite: ma questo esempio prova unicamente che il Protestantesimo, cercando sostenitori, faceva volentieri alleanza con tutti i malcontenti. Se Filippo II fosse stato un fervoroso Protestante, le Province Unite probabilmente avrebbero sostenuto di non voler continuare ad essere soggette ad un principe eretico. Per molti secoli quei paesi stettero sotto linfluenza esclusiva del Cattolicesimo, e ci nonostante prosperarono, e la forma di governo popolare veniva esercitata senza incontrare ostacolo da parte della religione. Fu proprio sul cominciare del sedicesimo secolo che fecero la grande scoperta di

non poter pi prosperare senza abiurare la fede dei loro padri? Guardate la situazione geografica delle Province Unite, osservate come sono circondate da riformati che offrivano loro aiuto, e coglierete nel fatto politico le cause che non troverete mai se insistete a cercarle in una immaginaria inclinazione del Protestantesimo a sostenere glinteressi del popolo (9).

CAPITOLO LXI Valore delle forme politiche. Il Cattolicesimo e la libert. Necessit della monarchia. Carattere della monarchia europea. Differenza tra lEuropa e lAsia. Un passo del conte de Maistre. Istituzioni per limitare il potere. La libert politica non deve nulla al Protestantesimo. Influenza dei Concili. Laristocrazia del talento promossa dalla Chiesa. _______________ Quellentusiasmo per certe istituzioni politiche che negli ultimi tempi si era tanto diffuso in Europa andato man mano raffreddandosi, perch lesperienza ha insegnato che un ordinamento politico, che non sia daccordo con quello sociale, non utile se si vuole conseguire il bene della nazione ma serve, al contrario, a procurarle uninfinit di mali. Si anche capito, e non senza fatica nonostante la cosa sia molto semplice, che le forme politiche vanno considerate solamente come strumento per migliorare le condizioni dei popoli; e che la libert politica, perch sia accettabile, non pu essere che un mezzo per acquistare la libert civile. Queste idee sono comuni a tutte le persone di senno: il fanatismo per questa o quella forma politica senza alcuna preoccupazione per le conseguenze civili ormai patrimonio degli illusi, oppure usato come infame strumento di cui si servono ipocritamente quegli ambiziosi che, essendo privi di un vero merito, non hanno altra strada per tentare il successo che quella delle agitazioni e dei tumulti. Ci nonostante, considerate le forme politiche come strumento, non si pu negare che in alcuni paesi abbiano acquistato importanza e consistenza quelle che vengono dette di governo misto, temperato, costituzionale, rappresentativo, o comunque si voglia; e per questo motivo in molte parti si presenter con scarsi favori qualunque principio che si supponga nemico naturale delle forme rappresentative e amico di quelle assolute. Per i popoli europei la libert civile divenuta una necessit; e siccome presso alcune nazioni lidea di questa libert civile vincolata strettamente a quella di libert politica, ed essendo difficile far capire che anche la libert civile pu essere presente in un governo di monarchia assoluta, necessario analizzare quali siano in questa materia le tendenze della religione cattolica e quali quelle della religione protestante: tendenze che far in modo di mettere in luce esaminando obiettivamente i fatti storici. Dice in modo egregio il Signor Guizot: Mai come oggi, forse, sono meno conosciuti gli impulsi naturali del mondo e le segrete vie della Provvidenza. Dove non vediamo assemblee, elezioni, urne e voti, supponiamo che il potere sia assoluto e la libert senza garanzie (Discorso sulla democrazia). Quando pi sopra ho parlato di tendenze, ho usato apposta questa parola perch chiaro che il Cattolicesimo su questo punto non ha nessun dogma, e non precisa nulla sui vantaggi di questa o di quella forma di governo; il Pontefice romano riconosce per figlio sia il Cattolico che siede sui banchi di unassemblea americana che il suddito che riceve umilmente gli ordini di un potente sovrano. La religione cattolica troppo saggia per poter scendere in una simile arena. Partendo dallo stesso cielo si espande come la luce del sole su tutte le cose, le illumina tutte e le rende feconde; ma essa non si oscura e non si appanna mai. La sua missione quella di guidare luomo al cielo, somministrandogli strada facendo grandi beni e consolazioni sulla terra: gli mostra continuamente le verit eterne, gli d consigli salutari in tutte le imprese; ma quando si passa in certi campi particolari non lo obbliga n lo costringe. Gli ricorda i santi precetti della sua morale, lo ammonisce a non allontanarsene, e come una tenera madre che parla al figlio gli dice: Purch tu non ti allontani dai miei insegnamenti, fa pure come ti sembrer pi conveniente.

Ma poi vero che il Cattolicesimo abbia in s almeno una minima tendenza a limitare la libert? Cosa ha prodotto in Europa il Protestantesimo riguardo alle forme politiche di governo? In cosa ha corretto o migliorato lopera del Cattolicesimo? Prima del sedicesimo secolo lordinamento della societ europea era diventato talmente complesso, ed inoltre lo sviluppo di tutte le facolt intellettuali, la lotta tra i pi forti interessi e lingrandirsi delle nazioni per la progressiva annessione di altre province erano giunti ad un punto tale che era in ogni caso indispensabile, per la tranquillit e per la prosperit dei popoli, un potere centrale, forte, energico e che si elevasse molto al di sopra di tutte le pretese degli individui e delle classi. Non poteva assolutamente concepirsi altro modo che potesse far sperare allEuropa giorni di pace; poich dove gli elementi sono numerosi, molto diversi e in contrasto fra loro e tutti potentissimi, necessaria unazione ordinatrice che, prevenendo gli scontri, temperando lardore eccessivo, e moderando la velocit del cambiamento, eviti le continue guerre e le distruzioni e il caos che ne consegue. Questo fu il motivo che produsse una tendenza irresistibile verso la monarchia; e siccome la stessa tendenza si fece sentire in tutti i paesi dEuropa, ed anche in quelli che avevano istituzioni repubblicane, evidentemente cerano fortissime ragioni perch essa fosse diffusa ovunque. Attualmente nessun pubblicista autorevole dubita pi di queste verit. Perch proprio da mezzo secolo a questa parte si sono succeduti degli avvenimenti che sembrano accaduti apposta per dimostrare che la monarchia in Europa era qualcosa di pi che unusurpazione ed una tirannia; ed anche nei paesi dove le idee democratiche si sono fortemente radicate si dovuto modificarle e ridurle il necessario per poter conservare il trono, che viene considerato come la pi sicura garanzia dei grandi interessi della societ. nella misera natura di tutte le cose umane che, per buone e salutari che siano, si portino sempre appresso inconvenienti e mali, e si pu ben vedere che la monarchia non poteva sfuggire a questa regola generale, perch la grande estensione e la forza del potere doveva inevitabilmente portare a compiere abusi ed eccessi. I popoli europei non sono di carattere tanto remissivo, e di spirito cos moderato da sopportare senza reagire qualunque genere di avversit. Il sentimento della sua dignit per lEuropeo tanto profondo che gli incomprensibile la passivit dei popoli orientali, i quali vegetano in mezzo allavvilimento ed ubbidiscono con la fronte china al despota che li opprime e li disprezza. Ne deriva che sebbene in Europa sia stata sentita e riconosciuta la necessit di un potere molto forte, si per sempre dovuto prendere quelle misure che potessero prevenirne o reprimerne gli abusi. Non c cosa pi adatta a mettere in evidenza la grandezza e la dignit dei popoli europei quanto il paragonarli con quelli dellAsia sotto questo aspetto. In Asia per sottrarsi alloppressione non si conosce altro mezzo che uccidere il sovrano; il cui sangue ancora caldo che gi sul suo trono ne siede un altro che sdegnoso calpesta con lorgoglioso piede il collo di quegli nomini crudeli e nello stesso tempo umiliati. In Europa questo non avviene. In Europa si ricorre, come si sempre ricorso, ai mezzi dettati dallintelligenza, come quelli di fondare delle istituzioni che mettano in un modo duraturo e stabile il popolo al riparo dalle vessazioni e dagli eccessi. Non sintende dire che tali tentativi non siano costati fiumi di sangue, n che si sia sempre presa la strada pi opportuna; ma lo spirito dellEuropa in questo campo quello stesso che lha guidata in qualunque altro campo, quello cio di sostituire il diritto al fatto. Il problema di cui stiamo trattando non di oggi, ma esiste fin dallorigine delle societ europee: ben lungi dallessere apparso in questi ultimi tempi, gi da molto tempo che sono stati fatti grandi sforzi per risolverlo. Ecco in che modo il conte de Maistre espone le sue idee sulle cause che rendono difficile il problema: Sebbene la sovranit non abbia n maggiore n pi generale interesse che quello di essere giusta, e sebbene i casi in cui pu avere la tentazione di non esserlo siano senza paragone in numero minore degli altri, ci nonostante sono disgraziatamente molti; e il carattere particolare di certi sovrani pu aumentare glinconvenienti al punto che, per renderli sopportabili, non vi quasi altro mezzo che quello di farne il confronto con gli inconvenienti che senza dubbio risulterebbero se non ci fosse un sovrano.

Era dunque impossibile che gli nomini di tanto in tanto non facessero qualche sforzo per mettersi al coperto dagli eccessi di questo enorme potere; ma su questo punto il mondo si diviso tra due concezioni del tutto diverse. Laudace razza di Jafet, se mi lecito esprimermi in questo modo, non ha cessato di gravitare verso quella che si chiama libert, cio verso quella condizione in cui il governatore governi il meno possibile, e il popolo sia altrettanto poco governato. LEuropeo, sempre prevenuto nei confronti dei suoi signori, ora li ha sbalzati dal trono, ora ha imposto loro delle leggi; ha tentato tutte le strade ed ha esaurite tutte le forme immaginabili di governo per emanciparsi da qualunque padrone, o per limitarne il potere. Limmensa posterit di Sem e di Cam ha preso invece una strada ben diversa; e dai primi tempi fino ai giorni nostri ha sempre detto ad un uomo solo: Fa di noi tutto ci che vuoi; e quando saremo stanchi di sopportarti ti uccideremo. A parte ci non ha mai potuto n voluto sapere cosa sia una repubblica; non ha mai capito nulla di equilibrio di poteri, di tutti quei privilegi e di tutte quelle leggi fondamentali di cui noi ci vantiamo tanto. Da loro luomo pi ricco quello che pi padrone delle proprie azioni; il possessore di unimmensa fortuna mobile, assolutamente libero di portarsela appresso dove pi gli piaccia (e che sarebbe sicuro di una protezione assoluta sul suolo europeo), vedendosi venire incontro la corda o il pugnale li preferisce tuttavia alla disgrazia di morire di tedio fra noi. Nessuno naturalmente consiglier allEuropa di adottare questo diritto pubblico cos conciso e cos chiaro dellAsia e dellAfrica; ma poich il potere tra noi sempre temuto, discusso, attaccato o trasferito, poich per il nostro orgoglio non vi cosa pi insopportabile del governo dispotico, il maggior problema europeo si riduce dunque a stabilire: come si possa limitare il potere sovrano senza distruggerlo. (Del Papa lib. 2. cap. 2). Questo spirito di libert politica, questo desiderio di limitare il potere per mezzo delle istituzioni, non dunque cominciato allepoca dei filosofi francesi, perch prima di loro gi circolava nelle vene dei popoli europei, ed anche molto tempo prima che sorgesse il Protestantesimo: la storia ci ha conservato testimonianze indiscutibili di questa verit. Quali furono le istituzioni che furono ritenute adatte a questo fine? Certe assemblee, nelle quali potesse farsi sentire la voce dellopinione e degli interessi della nazione; assemblee formate in un modo o nellaltro, e in certe circostanze convocate intorno al trono per presentare i loro reclami e le loro richieste. Siccome era impossibile che queste assemblee potessero esercitare il governo, perch sarebbe stato lo stesso che distruggere la monarchia, erano adatte a far s che in un modo o nellaltro influissero suglinteressi dello Stato. E non mi sembra che fino ad ora sia stato teorizzato un mezzo migliore del diritto dintervenire nella formulazione delle leggi, a garanzia dellaltro diritto che pu definirsi lo strumento della rappresentanza nazionale, cio la deliberazione delle imposte. Si scritto molto sulle costituzioni e sui governi rappresentativi, ma lessenziale sta qui; le varianti possono essere molte e molto diverse, ma alla fine tutto va a terminare su un trono, centro di potere e di azione, circondato da assemblee, le quali deliberano sulle leggi e sulle imposte. Considerata sotto questo aspetto, la libert politica deve forse la sua origine alle idee protestanti? Ha forse motivo di esser loro grata? Ha qualcosa da rinfacciare al Cattolicesimo? Consulto i libri degli autori cattolici anteriori al Protestantesimo per vedere che cosa essi pensavano su questa materia; e vi trovo che il problema da risolvere era considerato come meritava. Osservo se riesco a trovare qualcosa che fosse contrario allavanzare del progresso, che si opponesse alla dignit delluomo o ne diminuisse i diritti, oppure che avesse relazione col dispotismo e con la tirannia; e li trovo invece pieni di premura per il miglioramento e il progresso del popolo, infiammati da sentimenti nobili e generosi e zelantissimi per il bene del popolo; e mi par di vederli adirarsi al solo udire il nome di tirannia e di dispotismo. Apro gli annali della storia, esamino le idee e i costumi dei popoli, le istituzioni dominanti; e vedo dappertutto statuti, privilegi, libert, Cortes, stati generali, municipalit, giurati. Vedo tutto ci con una certa confusione, ma lo vedo; e non mi meraviglio che manchi di regolarit, perch una specie di mondo nuovo che appena uscito dal caos. Domando se il sovrano ha il potere di fare le leggi da solo; e in questo, come

naturale, trovo difformit, confusione, incertezza. Osservo per che le assemblee, che rappresentano le varie classi della nazione, prendono parte nella formulazione delle leggi. Domando se le assemblee intervengono nei grandi affari di stato, e trovo scritto nei codici che devono essere consultate negli affari di maggior gravit ed importanza, e vedo i sovrani agire frequentemente in questo modo. Domando se le assemblee hanno qualche garanzia della loro esistenza e del loro influsso, ed i codici mi mostrano testi chiari e precisi, e mille fatti servono a rammentarmi che tali istituzioni sono consolidate nelle abitudini e nei costumi dei popoli. E qual era a quel tempo la religione dominante? Il Cattolicesimo. Erano i popoli molto attaccati alla religione? Lo erano talmente che lo spirito religioso dominava tutto. Aveva il clero molta influenza? Grandissima. Qual era il potere dei Papi? Immenso. Dove sono i maneggi del clero per accrescere le facolt dei re a spese dei popoli? Dove i decreti pontifici contro queste o quelle forme di governo? Dove sono le decisioni e i piani dei Papi per limitare qualche diritto legittimo? Se le cose stanno cos, come lo sono infatti, io dico dunque, non senza essere indignato: se sotto linfluenza del Cattolicesimo lEuropa usciva dal caos; se la civilt procedeva a passi rapidi e sicuri e il gran problema delle forme politiche occupava gi i pensieri dei dotti; se le questioni sui costumi e sulle leggi cominciavano a risolversi in senso favorevole alla libert; se quando linfluenza del clero era assai grande anche riguardo alle faccende temporali, e il potere in tutti i sensi dei Papi era colossale, avveniva tutto questo; se quando sarebbe bastato una sola parola del Pontefice contro una forma democratica per ferirla a morte, le forme libere si sviluppavano rapidamente; se consideriamo tutte queste cose, dove mai la tendenza della religione cattolica a rendere schiavi i popoli? Dove lempia alleanza dei re e dei Papi per vessare ed opprimere, e per mettere sul trono il feroce dispotismo sotto la cui protezione sguazzare tra le miserie e le lagrime dellumanit? Quando i Papi avevano qualche contrasto con alcuni regni, era nei confronti dei prncipi, oppure dei popoli? Quando vi era da prendere una risoluzione contro la tirannia o contro loppressione di qualche classe, chi cera che alzasse la voce in modo pi alto e pi forte del Pontefice romano? E non sono i Papi, come ammette lo stesso Voltaire, che hanno tenuto a freno i sovrani, protetto i popoli, posto fine alle contese tra prncipi con un saggio intervento, ammoniti i re e i popoli sui loro doveri, e lanciate scomuniche contro i grandi attentati che non avevano potuto prevenire? (Citato dal Sig. De Maistre: Del Papa, lib. 2. cap. 3). E non da mettere in gran rilievo la bolla In coena Domini, quella bolla che provoc tanto scompiglio, per il contenuto dellart. 5 che prevede la scomunica per coloro che mettessero sulle loro terre nuove imposizioni o aumentassero le antiche, fuori dei casi previsti dal diritto? Lo spirito di deliberazione, tanto comune anche in quei tempi in cui costituiva un singolare contrasto con la tendenza alluso dei mezzi violenti, proveniva in gran parte dallesempio che per tanti secoli aveva fornito la Chiesa cattolica. Infatti impossibile trovare una societ in cui siano state pi frequenti le assemblee nelle quali si riunivano gli uomini pi illustri per dottrina e virt. Concili ecumenici, nazionali, provinciali, sinodi diocesani: ecco ci che si trova ad ogni passo nella storia della Chiesa: e chiunque pu immaginare che un tale esempio posto sotto gli occhi di tutti i popoli per lo spazio di tanti secoli non poteva rimanere senza influenza e senza conseguenze riguardo ai costumi e alle leggi. In Spagna la maggior parte dei Concili di Toledo erano nel tempo stesso congressi nazionali, dove mentre lautorit episcopale svolgeva le sue funzioni di vigilanza sullosservanza dei dogmi e provvedeva alle necessit della disciplina, di concerto con lautorit civile venivano trattati anche i grandi affari dello Stato e si formulavano quelle leggi che riscuotono tuttora lammirazione degli studiosi moderni. Ora che presso i migliori studiosi di diritto pubblico le utopie di Rousseau sono cadute in totale discredito, e che non si tratta pi di parlare a favore dei governi rappresentativi come mezzi per porre in atto la volont generale, ma come strumento adatto a consultare la ragione e il buon senso, che altrimenti rimarrebbero dispersi per la nazione; ora che nei libri di diritto costituzionale ci dipingono lassemblea legislativa come centro dove possono convergere tutti i lumi atti a chiarire le questioni sugli affari pubblici, come rappresentante di tutti glinteressi legittimi, come organo di tutte le opinioni ragionevoli, eco di tutti le giuste rimostranze, veicolo di tutti i reclami, canale di

perenne comunicazione tra governanti e governati, garanzia di prudenza nelle leggi, mezzo per farle rispettare e venerare dai popoli, e infine come una sicurezza costante che il governo senza badar mai a se stesso ha sempre gli occhi fissi sullutilit e la convenienza pubblica; ora che con tante belle parole ci dicono ci che tali assemblee dovrebbero essere, ma non quello che sono; ora, dunque, torna sommamente utile ricordare i Concili; perch tenendo presente i Concili si vede ad occhio nudo, e si pu comprendere la natura e lo spirito di tali assemblee moderne, e da dove esse abbiano attinto i motivi e il fine. Conosco bene le grandi differenze che corrono tra le une e le altre assemblee, non potendosi in alcun modo paragonare coloro che ricevono i loro poteri da una nomina popolare con quelli che lo Spirito Santo ha posto al governo della Chiesa di Dio; come non pu esservi paragone tra il sovrano che ha i suoi diritti sulla corona in forza delle leggi fondamentali della nazione, e quella Pietra sulla quale stata edificata la Chiesa di Ges Cristo. E non ignoro neanche che, o ci si riferisca alle materie che vengono trattate nei Concili, o alle persone che vi partecipano, o allestensione della Chiesa cattolica a tutta la superficie della terra, impossibile che non ci sia molta differenza tra i Concili e le assemblee politiche: sia riguardo ai tempi delle loro adunanze, sia per il loro ordinamento e per il loro modo di procedere. Ma io non intendo qui elaborare un parallelo ingegnoso, o cercare a forza di sottigliezze delle somiglianze che non esistono; il mio unico scopo quello di mostrare linfluenza che le leggi e i costumi politici dovettero ricevere dalle lezioni di equilibrio e di prudenza che la Chiesa ha impartito per tanti secoli. E allora sia che consideriamo la storia delle antiche nazioni, che di quelle moderne, vedremo che in tutte le assemblee deliberanti vi partecipano soltanto coloro che ne hanno diritto per disposizione delle leggi. Ma farvi partecipare il dotto per il solo fatto che dotto: questo tributo pagato al merito, questa proclamazione solenne che assegna al sapere il compito di governare il mondo, questo lha fatto la Chiesa, e soltanto la Chiesa. Siccome nel fare questa osservazione non ho altro fine che quello di dimostrare che lo Stato civile fu debitore in gran parte alla Chiesa di quanto ha stabilito di ragionevole sotto questo aspetto, rammenter un fatto a cui forse non si posta lattenzione che merita, e che tuttavia manifesta molto chiaramente che stata la Chiesa cattolica prima di chiunque altro a cercare la sapienza ovunque si trovi, e a darle un posto eminente nei pubblici affari. Non parler ora dello spirito per il quale si distinta costantemente dalle altre societ e che lha indotta a cercare sempre il merito, e soltanto il merito, per innalzarlo ai primi posti; spirito che nessuno le pu negare, e che molto ha contribuito a darle preminenza e splendore. Ma quello che bisogna notare che questo spirito ha esercitata la sua influenza anche dove apparentemente sembrava che non dovesse esercitarla. Infatti tutti sanno che secondo le dottrine della Chiesa un semplice privato non ha alcun diritto dintervenire nelle decisioni e deliberazioni dei Concili; e di conseguenza, per quanto sia grande la scienza di un teologo o di un giureconsulto, non per questo ha alcun diritto di prendere parte in quelle auguste assemblee. Con tutto ci tutti sanno anche che la Chiesa ha sempre fatto in modo che con un titolo o un altro vi assistessero le persone pi ragguardevoli per talento e dottrina. Chi non ha letto con grande compiacimento lelenco dei dotti che, senza esser Vescovi, parteciparono al Concilio di Trento? Nelle societ moderne, non forse il talento, e il sapere, e il genio, a tenere pi alta la fronte, ad esigere maggiore stima e rispetto, a pretendere di elevarsi ai pi alti posti, regolare i pubblici affari o esercitare su di essi una grande influenza? Sappiano dunque questo talento, questa scienza, questo genio, che in nessuna parte i loro titoli sono stati tanto rispettati quanto nella Chiesa; che in nessuna parte, quanto nella Chiesa, stata maggiormente riconosciuta la loro dignit; che in nessuna societ si cercato tanto dinnalzarli, di consultarli negli affari pi seri, di farli emergere nelle grandi assemblee, come stato fatto nella Chiesa cattolica. La nascita e le ricchezze nella Chiesa non hanno alcun significato: non offuscare il tuo merito con una condotta sregolata, e nel tempo stesso fatti distinguere per i tuoi talenti e per il tuo sapere: questo basta: sei un uomo grande, sarai considerato con grande stima, sarai sempre trattato con rispetto e sarai ascoltato con deferenza; e giacch la tua testa, anche se emersa dalloscurit, ci si

presenta adorna di una brillante aureola, non disdegneranno di posarvici sopra n la mitra episcopale, n il cappello cardinalizio, n la tiara pontificia. Lo ripeto a chiare parole: laristocrazia del sapere fortemente debitrice della sua importanza alle idee ed ai costumi della Chiesa cattolica (10).

CAPITOLO LXII Rafforzamento della monarchia in Europa. Suo predominio sulle istituzioni libere. Perch la parola libert per molti parola di scandalo. Il Protestantesimo contribu a distruggere le istituzioni popolari. _______________ Dando unocchiata alla situazione europea nel quindicesimo secolo si fa presto a vedere che un simile stato di cose non poteva durare a lungo, e che dei tre elementi che si contendevano la preferenza doveva necessariamente prevalere quello monarchico. E non poteva essere altrimenti: poich si sempre visto che le societ, dopo molti tumulti e agitazioni, vanno infine a mettersi al riparo di quel potere che offre loro maggior sicurezza e maggiore speranza di benessere. Nel vedere quei Grandi tanto orgogliosi, esigenti e turbolenti, nemici gli uni degli altri e rivali del re e del popolo; quei Comuni, la cui realt si presentava sotto forme tanto diverse, di cui i diritti, i privilegi, le franchigie e le libert avevano un aspetto cos vario e complesso, di cui le idee non avevano una direzione costante e ben distinta; si capisce subito che n gli uni n gli altri erano in grado di lottare contro il potere reale, il quale gi agiva con un progetto chiaro, con un sistema fisso, spiando tutte le occasioni che potevano essergli propizie. Chi non ammette la sagacia di Ferdinando il Cattolico nel concepire e sviluppare la sua idea dominante, quella cio di concentrare il potere, di rinvigorirlo, di renderne lazione forte, regolare ed universale, vale a dire lidea di fondare una monarchia? Chi non riconosce nellimmortale Cisneros un degno e ancor pi grande continuatore di tale politica? E non si creda che questa politica causasse danno alle nazioni: tutti gli studiosi convengono che era necessario dare nerbo e stabilit al potere evitando di agire in modo debole o discontinuo; e il vero potere non aveva allora altro rappresentante fisso che il trono. E quindi fu per una vera necessit che il potere reale si fortific e ingrand, e tutti i progetti e gli sforzi degli uomini non furono capaci dimpedirlo. Rimane tuttavia da stabilire se questo ingrandimento del potere reale oltrepass i limiti dovuti; ed qui che, appunto, bisogna mettere a confronto il Protestantesimo e il Cattolicesimo, affinch si constati, qualora uno di essi ne fu responsabile, quale fu dei due, e fino a che punto. Tale questione molto importante, ed anche curiosa; ma nello stesso tempo difficile e delicata. Perch in questi ultimi tempi il significato delle parole stato talmente alterato, ed inoltre tale lostilit reciproca tra i partiti e la veemenza con cui si rifiuta tutto ci che seppur minimamente possa assomigliare ad una lode nei confronti degli avversari, che una difficilissima impresa cercare di far loro intendere i termini della questione e il significato delle parole. Quello di cui prego coloro che mi leggono, qualunque sia la loro opinione, di sospendere il giudizio finch non avranno letto completamente tutto quello che sto per esporre su questo tema; perch allora, se non andranno in collera per qualche espressione che a prima vista possa dar loro fastidio, se sapranno trattenersi abbastanza da aver avuto il tempo di capire prima di esprimere il loro giudizio, sono sicuro che, se non saremo del tutto daccordo (la qual cosa impossibile in tanta diversit di opinioni), dovranno almeno ammettere che laspetto sotto il quale considero le cose non manca di apparire ragionevole, e che le mie deduzioni non sono prive di fondamento. Innanzi tutto eviter di indagare se per la societ fu un vantaggio o un danno che nella maggior parte delle monarchie europee il potere restasse in mano al re senza alcuna restrizione, se non quella che glimponevano in modo naturale le idee e i costumi dellepoca. Alcuni saranno del parere che

fu un vantaggio, ed altri un danno; e non c bisogno che io indichi con i loro nomi chi sono quelli del primo partito e quelli del secondo. La parola libert per molte persone una parola di scandalo; come lespressione potere assoluto per altri sinonimo di dispotismo. E qual la libert che i primi rigettano con tanta forza? Cosa significa nel loro dizionario questa parola? Questi sono coloro che hanno visto sfilare sotto i propri occhi la rivoluzione francese, carica dingiustizie e di orrendi delitti, ed hanno sentito che sulla bocca aveva sempre la parola libert. E poi hanno visto la rivoluzione spagnola col suo inneggiare alla morte, coi suoi sanguinosi eccessi, con le sue ingiustizie, col disprezzo di quanto di pi venerabile e di pi sacro gli Spagnoli avevano sempre considerato; e con tutto ci hanno inteso che anche questa rivoluzione gridava libert. E cosa poteva succedere? Ci che appunto successo! Che hanno collegato lidea di libert a quella di empiet e delitti di ogni genere, e di conseguenza sono arrivati a odiarla, a respingerla e combatterla con le armi. Invano si detto che anche anticamente cerano le Cortes: hanno risposto che quelle di allora non erano come queste di oggi. Invano stato ricordato che le nostre leggi gi contemplavano il diritto che la nazione potesse intervenire nella determinazione delle imposte: essi hanno risposto che lo sapevano, ma che quelli che lo fanno adesso non rappresentano la nazione, e che usano questo potere per tenere in schiavit sia il popolo che il sovrano. Invano si ribattuto che nei grandi affari dello Stato anticamente intervenivano i rappresentanti delle varie classi. Essi hanno risposto: qual la classe dello Stato che voi rappresentate, voi che degradate il sovrano, insultate e perseguitate la nobilt, oltraggiate e spogliate il clero e disprezzate il popolo, facendovi beffe dei suoi costumi e delle sue credenze? Chi rappresentate dunque? Come potete rappresentare la nazione spagnola, quando ne calpestate la religione e le leggi, provocate dappertutto il disfacimento della societ e fate correre fiumi di sangue? Come potete chiamarvi restauratori delle nostre leggi fondamentali quando n in voi n nei vostri atti troviamo alcuna cosa che faccia riconoscere il vero Spagnolo; quando tutte le vostre teorie, i vostri progetti, i vostri disegni sono copie meschine di libri stranieri fin troppo conosciuti; quando insomma avete dimenticato perfino la nostra lingua? Prego i miei lettori di prendersi il disturbo di dare unocchiata alle raccolte dei giornali, alle sessioni delle Cortes e agli altri documenti che ci sono rimasti delle due epoche del 1812 e del 1820; che richiamino alla mente le cose che sono accadute sotto i nostri occhi in queste due epoche, che scorrano poi le testimonianze delle epoche anteriori, i nostri codici, i libri, e tutto ci che ci pu descrivere il carattere, le idee ed i costumi del popolo spagnolo. E allora, mettendosi la mano sul cuore, ci dicano da uomini donore qualunque sia la loro opinione politica, se trovano alcuna somiglianza tra lantico e il moderno; ci dicano se gi alla prima occhiata non scorgano la pi forte differenza e contrapposizione, se non si accorgano dellabisso che divide le due epoche, abisso che se lo si volesse colmare si dovrebbe farlo ah, mi penoso dirlo! si dovrebbe farlo, come si fatto, con mucchi di rovine, di ceneri, di cadaveri e con fiumi di sangue. Ma ponendo la questione al di fuori della sfera avvelenata delle passioni e dei ricordi sgradevoli, si potrebbe esaminare se fosse o no conveniente che lautorit del re crescesse al punto tale da restare libero da ogni genere di vincoli, anche riguardo alle cose di maggiore importanza e allimposizione dei tributi. In questo modo la questione diventerebbe semplicemente storicopolitica, e non avrebbe nulla a che fare con la situazione attuale, evitando cos che tocchi interessi ed opinioni dei nostri tempi. Pertanto voglio prescindere da tutto ci che stato detto fin qui, e partir dallipotesi che a quel tempo il fatto che dal sistema politico fossero spariti tutti gli elementi, eccetto quello monarchico, fu un danno per i popoli ed un ostacolo al progresso della vera civilt. E di chi fu la colpa? Prima di tutto conviene osservare che il culmine della potenza delle monarchie in Europa coincise proprio con lavvento del Protestantesimo. In Inghilterra, iniziando da Enrico VIII, prevalse non la monarchia, ma un dispotismo cos duro che invano alcune parvenze di impotenti forme politiche tentavano di mascherarne gli eccessi. In Francia dopo la guerra degli Ugonotti il potere monarchico si mostr pi forte che mai. In Svezia sal al trono Gustavo, e da quel momento i re esercitarono un potere quasi illimitato. In Danimarca la monarchia divent sempre pi forte. In Germania si costitu il regno di Prussia, e nelle altre regioni prevalsero generalmente le forme

assolute. In Austria sorse limpero di Carlo V con tutta la sua potenza e il suo splendore. In Italia le piccole repubbliche sparirono gradatamente e i popoli passarono sotto il dominio di prncipi con un titolo o con laltro. In Spagna le antiche Cortes di Castiglia, dAragona, di Valenza e di Catalogna non furono pi riunite. Tutto questo ci dice che allapparire del Protestantesimo, lungi dal vedere i popoli fare un passo verso le forme rappresentative, avvenne il contrario, cio che sincamminarono speditamente verso il governo assoluto. Questo fatto certo ed incontestabile: forse non si badato abbastanza ad una coincidenza cos singolare; ma non per questo essa manca di esser vera e di suggerire molte e sottili riflessioni. Questa coincidenza fu davvero casuale? O vi fu tra il Protestantesimo e il pieno sviluppo e consolidamento delle forme assolute qualche relazione nascosta? Io credo che fu cos; e aggiunger che se in Europa il dominio esclusivo fosse rimasto al Cattolicesimo, il potere delle monarchie sarebbe stato alquanto limitato e probabilmente non sarebbero del tutto scomparse le forme rappresentative; il popolo avrebbe continuato a prendere parte ai pubblici affari, e noi ci troveremmo molto pi avanti sulla strada della civilt, pi avvezzi alluso della vera libert, e questa non farebbe ricordare le orribili scene delle rivoluzioni accennate prima. S, la malaugurata riforma modific il corso delle nazioni europee facendole deviare dalla strada della civilt, cre delle necessit che prima non esistevano, form dei vuoti che non pot colmare, distrusse molti elementi benfici. Insomma cambi da cima a fondo le condizioni della questione politica. E credo di poterlo dimostrare.

CAPITOLO LXIII Due democrazie. Loro andamento parallelo nella storia dEuropa. Loro caratteristiche. Loro cause ed effetti. Perch lassolutismo divenne necessario in Europa. Fatti storici. Francia, Inghilterra, Svezia, Danimarca, Germania. _______________ Un particolare di notevole importanza caratterizza tutta la storia europea, ed presente anche ai nostri giorni. Si tratta dellandamento parallelo di due democrazie le quali, sebbene talvolta simili in apparenza, sono in realt molto diverse per la loro natura, origine e fine. Una delle due fondata sulla conoscenza della dignit delluomo, e del diritto che egli ha di godere di una certa libert conforme alla ragione e alla giustizia. Le sue idee, se possono essere non troppo chiare sulla vera origine della societ e del potere, sono per molto chiare, precise e salde sul vero oggetto e fine di entrambi. Infatti, che ritenga il diritto di comandare proveniente direttamente e immediatamente da Dio, oppure lo supponga comunicato inizialmente alla societ e quindi trasmesso da questa ai governanti, sempre dellavviso che il potere dato per il bene comune, e che se non rivolge i suoi atti a questo bene cade nella tirannia. I privilegi, gli onori, le distinzioni di qualunque genere, tutto essa esamina e sperimenta con la sua pietra di paragone preferita, che il bene comune: tutto ci che contrario a questo bene condannato come dannoso; se non gli serve viene rifiutato come inutile. Fortemente convinta che le uniche cose che abbiano un valore effettivo, e che siano da tener presente nella designazione degli incarichi sociali, siano la dottrina e la virt, incita sempre a cercarle e ad elevarle al massimo grado del potere e della gloria, anche se si debbano tirar fuori dalla pi profonda oscurit. Un nobile che tronfio dei suoi titoli e del suo blasone vanta le imprese degli antenati senza saperle imitare, per questo tipo di democrazia un elemento ridicolo. A questuomo essa consentir di godere delle proprie ricchezze per non ledere il sacro diritto di propriet, non mancher per di usare tutti i mezzi legittimi per levargli linfluenza che gli provenga esclusivamente dalla nobilt del sangue. Se tiene conto della nascita o delle ricchezze, non lo fa per quello che sono in s, ma come segni di educazione pi compita, o di maggiore onest e sapere.

Questa democrazia, pervasa di idee generose e con un alto concetto della dignit dell uomo di cui rammenta i diritti senza dimenticarne i doveri, si sdegna al solo sentire il nome di tirannia: la odia, la condanna, la rigetta, e pensa continuamente al modo pi opportuno per prevenirla. Prudente e tranquilla come compagna inseparabile della ragione e del buonsenso, va daccordo con la monarchia; ma sappiamo benissimo che ha sempre desiderato che in un modo o nellaltro le leggi del paese mettessero un freno al potere eccessivo dei re. Sa che lo scoglio contro cui questi correvano il rischio dinfrangersi era quello di caricare il popolo dimposte eccessive, e per questo la sua idea preferita che non ha mai abbandonato, neanche quando non poteva metterla in pratica, sempre stata quella di restringere il potere eccessivo in materia di contribuzioni. Unaltra sua idea fissa sempre stata quella che la volont delluomo non dovesse mai prevalere nel formulare le leggi o nellapplicarle, e quindi ha sempre voluto qualche garanzia perch la volont non usurpasse il posto della ragione. Questaspirazione stata cos forte che si trasmessa ai costumi europei in modo permanente; ed i sovrani pi assoluti non hanno potuto esimersi dal tenerla presente. E infatti si pu osservare che nelle monarchie venivano costituiti i Consigli della corona, la cui esistenza era assicurata dalle leggi o dai costumi della nazione. Consigli che indubbiamente non sempre conservavano una totale indipendenza tale da poter ottenere pienamente i loro intenti, ma non mancavano comunque di fare un gran bene, perch in questi casi la loro esistenza era gi uneloquente protesta contro le disposizioni ingiuste ed arbitrarie. Essi costituivano dunque unesemplare personificazione della ragione e della giustizia, e come tale avevano il compito di indicare i sacri confini che non dovevano essere mai superati dal pi potente sovrano. Ed per questo che i sovrani in Europa non esercitano personalmente la facolt di giudicare, distinguendosi in questo dai sultani. Le leggi e i costumi europei rigettano con forza una tale facolt tanto funesta al popolo e al sovrano; ed il solo accenno ad una simile eventualit provocherebbe la pubblica indignazione contro chi la proponesse. Tutto questo significa che il principio che oggi viene tanto esaltato, quello che non il sovrano che comanda, bens la legge, in Europa era gi esistente molti secoli fa; molto prima che i moderni studiosi di diritto pubblico lavessero scoperto, proclamandolo con tanta enfasi, questo principio era gi in vigore presso tutte le nazioni europee. Si potr dire che lo era in teoria ma non in pratica: non negher che vi fossero eccezioni riprovevoli; ma in generale il principio era rispettato. Prendiamo come esempio il regno pi assoluto dei tempi moderni, lautorit reale in tutta la sua massima estensione e in tutto il suo splendore, il regno di chi pot dire con orgoglio smisurato, e con una certa ragione: Lo Stato sono io, il regno cio di Luigi XIV. Nel mezzo secolo e pi che dur, e con tanta variet e concatenazione di avvenimenti, quante condanne capitali, confische, esil furono eseguiti per ordine del re senza che venisse istruita una causa? Si potranno forse citare alcuni atti arbitrari; ma se si fa un paragone con ci che accade nei paesi fuori dEuropa in simili circostanze, e si richiami alla memoria quanto accadeva ai tempi dellimpero romano, e tutti gli eccessi dei regni assoluti ovunque il Cristianesimo non abbia preso piede, allora si vedr che gli eccessi commessi nelle monarchie europee meritano appena che se ne faccia cenno. Questo prova che non arbitraria n fittizia la distinzione che si fatta tra i governi monarchici e dispotici; e per chiunque conosca la legislazione e la storia dEuropa, questa distinzione tanto evidente che non si potr fare a meno di sorridere sentendo quelle veementi filippiche nelle quali o per malizia o per ignoranza si confondono i due sistemi di governo. Tale limitazione del potere, tali confini costituiti dalla ragione e dalla giustizia entro i quali stato posto il trono, sia che abbiano la loro garanzia nelle idee e nei costumi, sia che labbiano nelle forme politiche, traggono la loro origine soprattutto dai princpi che ha diffuso il Cristianesimo. stato il Cristianesimo a dire: La ragione e la giustizia, la conoscenza e la virt sono tutto; la pura volont delluomo, la nascita illustre, i titoli, soltanto per s non sono nulla. Questi princpi sono penetrati nel palazzo del re come nella capanna del povero; e quando un popolo intero si imbevuto di simili idee il dispotismo asiatico non pi possibile. Perch anche qualora non vi fossero state forme politiche che avessero limitato il potere del monarca, questi ha sempre e ovunque sentita risuonare una voce che gli diceva: Non siamo tuoi schiavi, siamo tuoi sudditi; tu sei re, ma sei

uomo come noi, e come noi dovrai presentarti un giorno davanti al Giudice supremo. Tu puoi fare delle leggi, ma solo per il nostro bene; puoi chiederci i tributi, ma unicamente quelli che sono necessari per il pubblico bene. Non puoi giudicarci a capriccio, ma come prescrivono le leggi; non puoi sottrarci le nostre propriet senza diventare pi colpevole di un comune ladro; non puoi toglierci la vita soltanto perch questo il tuo volere senza comportarti da assassino. Il potere che hai ricevuto non finalizzato alle tue comodit e piaceri, non per soddisfare le tue passioni, ma unicamente per il nostro bene; tu sei una persona consacrata esclusivamente al bene pubblico; se lo dimentichi, sei un tiranno. Ma per disgrazia, accanto a questo spirito di legittima indipendenza, di ragionevole libert, accanto a questa democrazia tanto giusta, nobile e generosa, ce n sempre stata unaltra che ha formato con essa il pi vivo contrasto e le ha provocato il peggior pregiudizio, impedendole di ottenere ci che reclamava tanto giustamente. Erronea nei suoi princpi, perversa nelle sue intenzioni, violenta ed ingiusta negli atti, questa seconda democrazia ha lasciato sempre dietro di s orme di sangue; ben lungi dal procurare ai popoli la vera libert non servita che a togliere loro quella che avevano; o se realmente li ha trovati gementi nella schiavit, non ha fatto altro che rinsaldare le loro catene. Facendo sempre lega con le pi vili passioni si mostrata come emblema di quanto la societ aveva in seno di pi basso ed abietto: ha riunito intorno a s tutti gli uomini turbolenti e malvagi, affascinando con parole ingannevoli una turba di miserabili, allettando i suoi seguaci con la succulenta esca delle spoglie dei vinti. Essa stata un continuo riprodursi di disordini, di scandali e di od accaniti, i quali produssero infine il loro frutto naturale, cio le persecuzioni, le proscrizioni e i patiboli. Essa ha avuto sempre per dogma fondamentale il rifiuto dellautorit di qualsiasi genere, e per scopo costante la sua distruzione. E la ricompensa che sperava di tutti i suoi sforzi era quella di sedersi sui mucchi di macerie e di rovine da lei provocati e di saziarsi col sangue di migliaia di vittime; e nellatto di spartire le spoglie insanguinate, abbandonarsi allinsensata allegria di abiette gozzoviglie. Ogni epoca ed ogni paese hanno visto disordini, sommosse popolari, rivoluzioni; ma lEuropa da sette secoli a questa parte ci presenta queste scene con un carattere tanto singolare che merita lattenzione di tutti i filosofi. In Europa non soltanto c stata questa tendenza alla sovversione sociale, tendenza di cui non difficile scoprire lorigine nel cuore stesso delluomo, ma si visto elevarla a teoria, difenderla nel campo delle idee con tutta lostinazione e la caparbiet dello spirito di setta; e ogni volta si sia presentata lopportunit, stata portata ad effetto con audacia, con tenacia e accanimento. Stravaganze e deliri formavano il complesso del sistema; ostinazione, spirito di proselitismo, mostruosit e delitti: ecco gli elementi con cui stata impiantata. In tutte le pagine della storia una tal verit viene attestata a caratteri di sangue; felici noi che non abbiamo dovuto farne lesperienza. LEuropa assomiglia a quelle persone di grande capacit e di carattere attivo e risoluto che nel bene sono le migliori, e le peggiori nel male. In Europa, se un fatto di qualche gravit, a mala pena lo si riesce ad isolare; non c una verit che non sia utile, n un errore che non sia dannoso. Il pensiero tende sempre a sorpassare la realt, mentre i fatti cercano lappoggio nel pensiero; se vi sono virt, ecco che con teorie sublimi ne viene ricercato il fondamento e attribuita la ragione; se vi sono delitti si cerca di giustificarli, e per riuscirvi si ricorre a sistemi perversi. La gente che fa il bene o il male non si accontenta di farlo privatamente: tenta di propagarlo e non sa darsi pace se non viene imitato dai suoi vicini. qualcosa di pi di un proselitismo ristretto, limitato a certi determinati paesi: si direbbe che da noi tutte le idee nascono con la pretesa di tendere allimpero universale. Lo spirito di propaganda non nato dalla rivoluzione francese, e neanche nel sedicesimo secolo; fin dai primi albori della civilt, fin da quando lintelletto cominci a dare segni di qualche attivit, questo fenomeno si present in modo notevolissimo. NellEuropa turbolenta dei secoli undicesimo e tredicesimo possiamo intravedere lEuropa del diciannovesimo secolo, allo stesso modo che nei confusi lineamenti dellembrione sindividuano le forme del futuro vivente. La maggior parte delle stte che preoccuparono la Chiesa fin dal decimo secolo era fortemente rivoluzionaria: queste stte o nascevano direttamente dalla funesta democrazia di cui ho fatto la

descrizione, o in essa cercavano il loro appoggio. Disgraziatamente questa stessa democrazia inquieta, ingiusta e turbolenta, che aveva compromesso la tranquillit dellEuropa nei secoli anteriori al sedicesimo, trov nel Protestantesimo i pi fervorosi protettori; tra le molte stte nelle quali la pretesa riforma si suddivise sul nascere, alcune le aprirono le porte, ed altre la presero per bandiera. E quali dovevano risultarne gli effetti nellordinamento politico dEuropa? Lo dir chiaramente: lannullamento dellinfluenza delle istituzioni politiche con cui le varie classi che le formavano prendevano parte agli affari dello Stato. E siccome, considerato il carattere, le idee ed i costumi dei popoli europei, era ben difficile che questi si sottomettessero per sempre alla loro nuova condizione, e che seguendo linclinazione naturale non cercassero di porre un argine allestensione del potere, era ben naturale che con landar del tempo sopravvenissero rivoluzioni, ed era altrettanto naturale che le generazioni future venissero a trovarsi in mezzo a grandi catastrofi, quali la rivoluzione inglese del diciassettesimo secolo e quella francese del diciottesimo. Una volta queste verit potevano essere difficili da comprendere, ma adesso non pi. Perch le rivoluzioni in cui da molto tempo i popoli europei sono di volta in volta coinvolti, hanno fatto capire anche ai meno perspicaci il meccanismo di quella legge che si ripete continuamente: lanarchia conduce al dispotismo, e il dispotismo genera lanarchia. In nessunepoca e in nessun paese (e qui sia la storia che lesperienza mi fanno da testimone) si sono diffuse le idee antisociali e lo spirito dinsubordinazione e di rivolta, senza che apparisse come unico rimedio per venir fuori da questi conflitti listituzione di un governo molto forte il quale, con giustizia o ingiustizia, legittimamente o meno, alzi un braccio di ferro su tutte le teste e faccia chinare tutte le fronti. Al rumore ed al tumulto succede il pi profondo silenzio e il popolo si rassegna subito alla nuova condizione, perch sia col ragionamento, sia per istinto, sa che, per quanto la libert sia molto apprezzabile, la prima necessit della societ quella della sua salvaguardia. Che successe in Germania sotto il Protestantesimo, iniziando dallepoca delle rivoluzioni religiose? Furono diffusi princpi demolitori di ogni societ, sorsero fazioni, si fecero insurrezioni; ma quando ancora sul campo di battaglia e sui patiboli scorreva il sangue a fiumi; subentr dimprovviso listinto di conservazione della societ; e allora non furono le forme popolari a gettare le loro radici, ma avvenne lesatto contrario. E non fu forse in questo paese che il popolo era stato tanto lusingato con la prospettiva di una libert senza limiti, con la distribuzione delle propriet, e perfino con la comunit dei beni e con lassoluta uguaglianza in tutte le cose? Ed ecco che proprio qui prevalse la pi irritante disuguaglianza e laristocrazia feudale continu a dominare con tutto il suo potere. Mentre in altri paesi dove non era stato fatto tutto questo sfoggio di libert e di uguaglianza a mala pena si percepiva la differenza tra il popolo e la nobilt, in Germania questa si manteneva tuttora ricca, prepotente e piena di diritti, di privilegi e di distinzioni di ogni genere. Sempre in Germania, dove si era tanto gridato contro il potere dei re, dove si era proclamato che re era sinonimo di tiranno, e che oppressione e legge erano la stessa cosa, proprio qui si vide sorgere la monarchia pi assoluta, e lapostata dellordine teutonico fond il regno di Prussia, dove ancora oggi le forme rappresentative non sono riuscite a penetrare. In Danimarca si install il Protestantesimo, e insieme ad esso anche il potere assoluto vi gett profonde radici; ed anche in Svezia nello stesso periodo inizi a dominare la dinastia dei Gustavo. E in Inghilterra che avvenne? Le forme rappresentative non furono certo introdotte dal Protestantesimo, dal momento che esistevano gi da pi secoli come in altre nazioni dEuropa. Ma quando proprio il monarca fondatore della chiesa anglicana si distinse per il suo dispotismo atroce, il parlamento che doveva servirgli da freno si umili nel modo pi vergognoso. Che dovremmo pensare della libert di un paese, del quale i legislatori e i rappresentanti di governo si degradavano al punto di ordinare che chiunque avesse notizia degli amori illeciti della regina era obbligato a denunciarli sotto pena di condanna per alto tradimento? Che dovremmo pensare della libert di un popolo, quando coloro che avrebbero dovuto esserne i difensori lusingavano vilmente le passioni del depravato monarca, quando per compiacere le gelosie del sovrano non si vergognavano di stabilire per legge che la fanciulla destinata a sposare un re dInghilterra fosse obbligata a rivelare (sotto pena, anche qui, di condanna per alto tradimento) se aveva subto qualche offesa al proprio

onore? Queste vergognose meschinit dimostrano senza dubbio la pi abietta schiavit, ancor pi di quella stessa dichiarazione con la quale il parlamento inglese stabil che la sola volont del monarca aveva forza di legge. Il mantenimento delle forme rappresentative in Inghilterra, quando negli altri paesi dEuropa erano gi fallite, non ebbe dunque la forza di liberarla dalla tirannia; e gli Inglesi non ricorderanno certo con molto piacere la libert di cui godettero sotto i regni di Enrico VIII e di Elisabetta. Non cera forse paese in Europa in cui si godesse meno libert, in cui sotto apparenti forme popolari di governo il popolo fosse pi oppresso, in cui il dispotismo regnasse con pi sfrenatezza. E qualora a convincerci di questa verit non bastassero i fatti gi citati, ci riusciranno senzaltro gli sforzi che fecero gli Inglesi per conquistare la libert; e se lo sforzo che si fa per scuotere un giogo un segno sicuro della violenza e delloppressine cui si sottoposti, abbiamo tutto il diritto di pensare che quella cui furono sottoposti glInglesi dovette essere enorme, perch essi passarono attraverso una rivoluzione tanto estesa e terribile che tante lacrime fece loro versare, e tanto sangue. Se consideriamo ci che accadde in Francia vedremo che il potere della monarchia dopo le guerre di religione aument notevolmente. E quando dopo tante agitazioni, tumulti e guerre civili diamo unocchiata al regno di Luigi XIV, e sentiamo dire dallorgoglioso monarca :Lo Stato sono io, ci troviamo di fronte alla pi completa personificazione di quel potere assoluto che viene sempre dopo lanarchia. Se i popoli europei hanno qualcosa di cui dolersi riguardo al potere senza limiti che esercitarono i monarchi, se hanno da lamentarsi che tutte le forme rappresentative, che avrebbero dovuto essere una garanzia delle loro libert, sono andate in rovina, possono ringraziare il Protestantesimo, il quale, spargendo per tutta Europa i germi dellanarchia, cre la necessit imperiosa, urgente e inevitabile di concentrare il comando, di rafforzare il potere reale e di chiudere tutte le vie dalle quali potessero venire alla luce princpi dissolutori, e di separare ed isolare tutti gli elementi che per contatto o per vicinanza fossero capaci di prender fuoco e di produrre conflagrazioni devastanti. Chiunque sia abituato a riflettere non pu che essere daccordo con me; e nel considerare il modo con cui in Europa il potere assoluto si ingrandito non vedr altro che il verificarsi di un fatto gi da lungo tempo osservato dappertutto. I sovrani europei non possono certo essere paragonati, n per lorigine, n per il loro agire, a quei despoti che con un titolo o laltro si sono impadroniti del potere nelle societ che in determinati momenti critici stavano per sciogliersi; si potr per dire che lestensione illimitata del loro potere provenuta ugualmente da una grande necessit sociale, cio dal fatto che senza unautorit unica e forte non era pi possibile garantire la conservazione dellordine pubblico. Se si d unocchiata allEuropa dopo la nascita del Protestantesimo, fa veramente orrore. Che terribile e spaventosa dissoluzione! Quale traviamento di idee! Che rilassatezza di costumi! Quale proliferare di stte! Che animosit nei cuori! Che accanimento e ferocia! Dispute violente, contrasti interminabili, accuse, recriminazioni senza fine, tumulti, rivolte, guerre intestine, guerre tra Stati, battaglie sanguinose, atroci supplizi: ecco il quadro che presentava lEuropa, ecco gli effetti del pomo della discordia gettato in mezzo a popoli fratelli. E cosa doveva venir fuori da questa confusione, da questo imbarbarimento in cui sembrava che la societ sincamminasse nuovamente verso i sistemi violenti, e a sostituire il fatto al diritto? Doveva venir fuori ci che di fatto venne: listinto di conservazione, pi forte delle passioni e dei deliri degli uomini, fin col prevalere e sugger allEuropa lunico mezzo che essa aveva di salvarsi; cio che il potere reale, che a quel tempo stava acquistando grande importanza e potenza, vi arrivasse al sommo grado; che si isolasse e separasse completamente dal popolo e facesse zittire tutte le passioni, ottenendo cos con la forza di unistituzione potentissima quello che si sarebbe potuto ottenere con una saggia direzione delle idee, ed impedendo con la forza dello scettro le conseguenze dellindirizzo che aveva preso la societ, di correre cio verso la propria rovina. Se si riflette bene, quanto abbiamo detto descrive ci che avvenne in Svezia nel 1680, quando il popolo si sottomise interamente alla libera volont di Carlo XI; in Danimarca nel 1669, quando la nazione, stanca dellanarchia, supplic il re Federico III che si degnasse di dichiarare ereditaria ed assoluta la monarchia, come di fatto avvenne; ed anche in Olanda nel 1747, con la creazione di uno

Statolder ereditario. E se vogliamo degli esempi ancora pi violenti, possiamo ricordare il dispotismo di Cromwell in Inghilterra dopo tante rivoluzioni, e quello di Napoleone in Francia dopo la repubblica (11).

CAPITOLO LXIV Contesa tra i tre elementi: monarchia, aristocrazia e democrazia. Motivi per cui prevalse la monarchia. Conseguenze negative dellaver ridotta linfluenza politica del clero. Vantaggi che questa influenza avrebbe potuto portare alle istituzioni popolari. Relazioni del clero con tutti i poteri e con tutte le classi. _______________ Quando i tre elementi di governo: monarchia, aristocrazia e democrazia, si affrontavano per contendersi la supremazia, per la monarchia il modo migliore per prevalere sulle altre era quello di spingere una di loro sul sentiero della violenza e degli eccessi. In tal caso si sarebbe creata una necessit urgente: quella che un unico centro dazione, forte e libero da ogni impedimento, mettesse un freno allabuso e assicurasse lordine pubblico. E proprio lelemento democratico si trovava in una condizione che dava adito a molte speranze, vero, ma non privo di pericoli. Per conservare lautorit che aveva acquistata e per guadagnare maggiore influenza e potere bisognava che agisse con molta circospezione e molti riguardi. Lautorit reale allora era gi fortissima; e siccome aveva acquistato una parte della sua forza col prendere le parti del popolo nelle lotte e nei contrasti che questo aveva con i signori, il sovrano appariva come il protettore naturale deglinteressi del popolo. In questo vi era molto di vero; ci non toglie che alla monarchia veniva aperto un vasto campo nel quale poter estendere senza limiti il suo potere a spese delle leggi municipali e alla stessa libert del popolo. Tra laristocrazia e i Comuni vi era un sentimento naturale di reciproca opposizione, la qual cosa dava ai re loccasione di ridurre i diritti dei signori e di diminuirne il potere, essendo sicuri che qualunque iniziativa avessero presa per questo fine sarebbe stata bene accolta dalla massa. E, in senso contrario, potevano essere ugualmente sicuri che dai signori sarebbe stata accolta con favore qualunque azione diretta a far abbassare la testa a quel popolo che cominciava a sollevarla troppo in alto quando si trattava di opporre resistenza alle aristocrazie feudali. E quando allora il popolo si abbandonava a qualche eccesso e provocava danni, quando metteva in pratica dottrine e princpi sovversivi dellordine pubblico, nessuno si opponeva al monarca che con tutti i suoi mezzi bloccava le intemperanze del popolo. Soltanto i Grandi avrebbero potuto intervenire, ma si astenevano bene dal farlo: primo, per timore che il sovrano si scatenasse anche contro di loro e li privasse, oltre che delle prerogative e degli onori, anche delle propriet e della vita stessa; e poi perch essendo in opposizione al popolo da molti secoli, opposizione inasprita da tanti accaniti contrasti, era naturale che guardassero con segreta soddisfazione lumiliazione di quel popolo da cui erano stati tanto umiliati, e vi cooperassero con tutte le loro forze visto che la cattiva strada che incominciava a prendere il movimento popolare presentava loro loccasione favorevole di trarne vendetta, che camuffavano sotto il velo della pubblica utilit. A quel tempo il popolo poteva contare su diversi mezzi di difesa; ma restando isolato, o in contrasto col trono, questi mezzi erano troppo deboli perch potesse sperare di resistere. La cultura non era certo un patrimonio esclusivo di alcuna classe privilegiata, ma bisogna ammettere che non era ancora giunto il momento in cui listruzione sarebbe stata talmente diffusa da permettere che si formasse unopinione pubblica abbastanza forte da influire direttamente sugli affari di governo. Sebbene la stampa incominciasse gi a produrre i suoi frutti non si era per ancora sviluppata in modo tale che le idee acquistassero quel grado di diffusione e di rapidit che hanno poi avuto nei tempi successivi. Nonostante gli sforzi che ovunque si facevano per favorire la diffusione della cultura, sufficiente avere qualche conoscenza della sua natura e delle sue caratteristiche in quei

tempi per essere persuasi che sia per il contenuto che per la forma essa non era adatta a far s che le classi popolari ne prendessero parte. Con lo sviluppo delle arti e del commercio si stava accumulando un nuovo genere di capitali destinati a costituire il patrimonio del popolo; ma erano ancora allo stato iniziale, e non erano giunti a quella grandezza e solidit a cui arrivarono in seguito quando si poterono stabilire rapporti intimi con tutte le classi della societ. Ad eccezione di qualche paese di scarsa importanza la qualifica di commerciante o di artigiano non aveva ancora un prestigio sufficiente da poter esercitare molta influenza per questo solo titolo. Visto il corso degli avvenimenti, e laltezza alla quale il potere reale si era elevato sulle rovine del feudalesimo prima che lelemento democratico fosse divenuto abbastanza forte da suscitare un certo rispetto, il solo mezzo che si presentava per mettere un limite allautorit dei monarchi era lintesa dellaristocrazia col popolo. Questo non era facile, avendo noi gi viste le fortissime rivalit esistenti tra loro, e che queste erano inevitabili perch avevano origine dal contrasto dei rispettivi interessi. Ma bisogna ricordare che la nobilt non costituiva lunica aristocrazia, in quanto ve nera unaltra ancora pi potente, cio il clero. Questa classe aveva allora tutta quellautorit e quellinfluenza che provengono dai mezzi morali uniti con quelli materiali; perch oltre al carattere religioso, che la rendeva rispettabile e veneranda agli occhi del popolo, possedeva nel tempo stesso abbondanti ricchezze con le quali, mentre poteva facilmente procurarsi in mille modi la gratitudine ed assicurarsi il predominio, poteva anche farsi temere dai Grandi e rispettare dai sovrani. Ed ecco allora lerrore madornale che comp il Protestantesimo: distruggendo il potere del clero non fece altro che accelerare il completo trionfo della monarchia assoluta, lasciare il popolo senza alcun sostegno, il monarca senza freni, laristocrazia senza legami e senza vitalit. Fu impedito cos che i tre elementi, monarchico, aristocratico e democratico, potessero combinarsi opportunamente per formare quel governo moderato verso cui si stavano dirigendo quasi tutte le nazioni dEuropa. Abbiamo gi visto che non bisognava lasciare indifeso il popolo perch la sua forza politica era ancora troppo debole e precaria; ed altrettanto chiaro che se la nobilt doveva restare come strumento di governo, non conveniva lasciar sola neanche questa; perch essa, non avendo in s altro principio vitale al di fuori dei loro titoli e privilegi, non poteva difendersi dai continui attacchi diretti dal potere reale. Suo malgrado si vedeva costretta a piegarsi alla volont del monarca, abbandonando i suoi inaccessibili castelli per trasferirsi nei sontuosi palazzi reali dove svolgeva il ruolo di cortigiana del re. Il Protestantesimo annient il potere del clero non solo nei paesi in cui giunse a diffondere i suoi errori, ma anche negli altri; perch dove non pot introdursi, le sue idee si diffusero ugualmente in una certa misura presso quei gruppi che non erano in aperta opposizione alla fede cattolica. Dallora in poi il potere del clero rimase privo di uno dei suoi principali appoggi, che era linfluenza politica del Papa, perch non solamente i re divennero pi audaci contro le pretese della Sede apostolica, ma anche gli stessi Papi, per non dare la minima occasione o pretesto alle invettive dei Protestanti, incominciarono ad agire con molta circospezione in tutto ci che riguardava le faccende temporali. Tutto questo stato presentato come un progresso sul cammino della civilt in Europa, e un passo avanti verso la libert; ma il quadro sommario che ho presentato della politica di quei tempi dimostra chiaramente che, lungi dal prendere la strada pi sicura verso forme rappresentative, si and per il sentiero che portava al governo assoluto. Il Protestantesimo, a cui interessava soprattutto distruggere in qualunque modo il potere del Papa, esalt quello dei re anche nelle cose di ordine spirituale; e concentrando cos nelle mani dei monarchi il temporale e lo spirituale elimin ogni genere di contrapposizione al potere reale. E allora, togliendo ogni speranza di ottenere la libert con mezzi pacifici, costrinse i popoli a fare uso della forza, ed apr il vulcano delle rivoluzioni che tante lacrime sono costate allEuropa moderna. Se si voleva che le forme di libert politica si affermassero e perfezionassero, era necessario che non uscissero prima del tempo dallatmosfera in cui erano nate. E quando i tre elementi, monarchico, aristocratico e democratico, fossero stati in questa atmosfera fecondati e diretti tutti e tre dalla religione cattolica, e sotto linfluenza della stessa religione avessero incominciato ad

amalgamarsi in maniera pacifica, sarebbe stato il caso di non separare la politica dalla religione. E lungi dal guardare il clero come se fosse stato un elemento dannoso, sarebbe stato opportuno considerarlo come mediatore tra tutte le classi ed i poteri in modo da temperare la passione dei contrasti, metter freno agli eccessi e non permettere la preminenza esclusiva del monarca o dellaristocrazia o del popolo. Quando si tratta di mettere insieme poteri ed interessi molto diversi necessario che vi sia sempre un mediatore, perch sempre inevitabile qualche intervento per impedire scontri violenti; se un tal mediatore non esiste per la natura stessa delle cose, bisogna crearlo mediante la legge. Per questo motivo evidente il danno che il Protestantesimo fece allEuropa isolando per prima cosa il potere temporale e mettendolo in competizione o in contrasto con lautorit spirituale, e di lasciare il monarca solo a tu per tu col popolo. Laristocrazia laica perdette subito linfluenza politica perch le manc la forza e la connessione che ricavava dallessere insieme allaristocrazia ecclesiastica; e ridotti i nobili allo stato di cortigiani, non ci fu pi alcuno che potesse controbilanciare il potere del re. Lho gi detto, e lo ripeto di nuovo: fu un gran vantaggio per la conservazione dellordine pubblico, e di conseguenza per il progresso della civilt, che si rinforzasse il potere della monarchia anche a spese dei diritti e della libert dei signori e dei Comuni. Giacch per nellammettere queste verit dobbiamo sempre dolerci che siffatto potere diventasse assoluto, bisogna osservare che una delle cause che vi contribuirono maggiormente fu quella di escludere il clero dallazione politica. Allinizio dellundicesimo secolo il problema non comportava il quesito se si dovesse conservare quel gran numero di castelli dai quali orgogliosi baroni dettavano legge ai loro vassalli e si credevano nel diritto di non rispettare le disposizioni del monarca. Il problema non consisteva neanche nel chiedersi se si dovesse conservare quella moltitudine di autonomie comunali che non avevano tra loro alcuna connessione, che erano in contrasto con le pretese dei Grandi e intralciavano la politica del sovrano, impedendo che si formasse un governo centrale che potesse assicurare lordine e la salvaguardia di tutti glinteressi legittimi e desse impulso allavanzamento della civilt, avanzamento che era incominciato ovunque con tanto dinamismo. Il problema non consisteva in queste cose che abbiamo appena dette, perch i castelli gi da s stavano andando rapidamente in rovina, i signori scendevano dalle loro fortezze mostrandosi pi tolleranti verso il popolo col ridurre le loro pretese, e chinavano rispettosamente la fronte davanti allautorit del monarca; ed i Comuni, che erano costretti a partecipare all unificazione che si stava realizzando di tante piccole repubbliche al fine di formare grandi monarchie, si vedevano nella necessit di accettare la riduzione delle loro franchigie e autonomie nella misura in cui queste si contrapponevano alla fusione nellunit politica. Il problema era invece se, acquistando il popolo quei benefci che dovevano venir loro dallunificazione e dallingrandimento del potere reale, vi fosse poi qualche strumento per fissarne nello stesso tempo i limiti legali in modo che, senza intralciarne o indebolirne la politica, il popolo potesse poi esercitare uninfluenza ragionevole sugli affari dello Stato, e soprattutto conservare il diritto che aveva gi acquisito di controllare limpiego che si faceva delle pubbliche entrate. Si trattava insomma di evitare le scene di sangue delle rivoluzioni, e gli abusi e gli eccessi dei cortigiani. Affinch il popolo potesse avere autonomamente tale influenza era necessario che disponesse di un mezzo indispensabile per questa necessit, ma di cui era generalmente sprovvisto: la conoscenza degli affari pubblici. Non vogliamo dire che tra i Comuni non vi fosse una certa conoscenza riguardo a questi, ma non bisogna dimenticare che la parola pubblico aveva acquistato una dimensione molto superiore, perch non limitandosi pi ad una municipalit o ad una provincia, per via del raggruppamento che stava generalmente avvenendo si estendeva ora a tutto un regno, e ad un regno oltretutto che aveva rapporti con molti altri popoli. Fin da allora la civilt europea cominciava a presentare quel carattere di universalit che la distingue; fin da allora per formarsi una vera idea di un affare di stato era necessario alzare ed estendere lo sguardo allEuropa intera, e talvolta al mondo. Si capisce bene che gli uomini capaci di tanta elevatezza di vedute non dovevano essere molto numerosi; ed logico che quanto di pi

illustre ci fosse nella societ, essendo attratto dallo splendore che circondava il trono dei sovrani, formasse intorno ad esso un centro di cultura che poteva pretendere il diritto esclusivo di partecipare al governo. Se a questo centro dazione e di cultura aveste contrapposto il popolo da solo, ancora debole ed ignorante comera, cosa sarebbe successo? Non ci vuole molto a immaginarlo, poich la debolezza e lignoranza non hanno mai prevalso sulla forza e sullintelligenza. E in che modo si sarebbe potuto rimediare a simile inconveniente? Mantenendo la religione cattolica in tutta Europa e conservando cos linfluenza del clero, perch nessuno ignora che il clero possedeva ancora lo scettro del sapere. Nel lodare il Protestantesimo per avere indebolito linfluenza politica del clero cattolico non si riflettuto abbastanza sulla natura di questa influenza. Sarebbe difficile trovare una classe che avesse una certa affinit coi tre elementi del potere ed avesse interessi comuni con ciascuno di essi senza essere collegata esclusivamente con alcuno. La monarchia non aveva nulla da temere dal clero, perch i ministri di una religione che considera il potere come disceso dal cielo mai avrebbero potuto dichiararsi nemici del potere reale, il quale, come abbiamo visto, era superiore a tutti gli altri. Anche laristocrazia non aveva molto da temere dal clero finch restava entro confini ragionevoli. Esibendo i titoli che le conferivano il possesso delle sue ricchezze e il diritto ad una certa stima e distinzione, non si sarebbe vista contrastare da una classe che per i suoi princpi ed i suoi interessi non poteva essere avversa a tutto ci che non superi i limiti della ragione, della giustizia e delle leggi. La democrazia, e con questa parola intendo il popolo in generale, allepoca della sua massima degradazione aveva trovato il pi saldo sostegno e la pi generosa protezione nella Chiesa. E allora come poteva questa che tanto si era affaticata per emanciparlo dallantica schiavit e per alleggerirne loppressione durante il feudalesimo essere nemica di una classe che guardava come una sua creatura? Se il popolo aveva migliorato il suo stato civile lo doveva al clero; se aveva ottenuto uninfluenza politica lo doveva al miglioramento della sua situazione, e questo miglioramento era dovuto al clero; e daltra parte, se il clero aveva un appoggio sicuro lo aveva in questa stessa classe popolare con la quale era continuamente in contatto, e che dal clero riceveva tutte le ispirazioni e linsegnamento. A parte questo, la Chiesa attingeva indistintamente gli elementi da tutte le classi senza esigere, per innalzare un uomo al sacro ministero, n titoli di nobilt, n ricchezze; e questo da solo bastava perch il clero avesse con le classi inferiori delle relazioni intime, e perch queste non potessero guardarlo con avversione. Per concludere, evidente che il clero, che aveva relazioni con tutte le classi, era lelemento ideale per impedire che una di esse prevalesse in modo esclusivo, e perch tutti gli elementi mantenessero un certo fervore pacifico e fecondo s da produrre poi con landar del tempo una coesione naturale e perfetta. Con questo non si vuol dire che sarebbero mancati contrasti, liti e forse anche lotte; tutte cose inevitabili finch gli uomini non cesseranno di essere uomini; ma chi non vede che comunque non ci sarebbe stato lorribile spargimento di sangue che si avuto nelle guerre in Germania, nella rivoluzione dInghilterra, e in quella di Francia? Forse mi si dir che lo spirito della civilt europea gi si avviava inevitabilmente a ridurre leccessiva disuguaglianza tra le classi: lo ammetto, e aggiungo anche che questa tendenza era del tutto conforme ai princpi e ai precetti della religione cristiana, la quale ricorda continuamente agli uomini che sono uguali di fronte a Dio, che hanno tutti la stessa origine e lo stesso fine, che le ricchezze e gli onori non sono nulla, e che lunica cosa veramente importante sulla terra, lunica che ci rende graditi agli occhi di Dio, la virt. Ma riformare non significa distruggere; per riparare al male non si deve ammazzare chi lo patisce. E invece si volle rovesciare dun colpo ci che si poteva correggere con mezzi legali: snaturata la civilt europea dalle funeste innovazioni del sedicesimo secolo; ripudiata la legittima autorit anche nelle materie sue proprie, se ne sostitu lazione pacifica e benefica con il disastroso ricorso alla violenza. Tre secoli di calamit hanno ammaestrato alquanto le nazioni facendo loro vedere quanto sia rischioso, per la stessa buona riuscita delle imprese, affidarle ai crudeli pericoli delluso della forza; ma probabile che se il Protestantesimo non fosse venuto fuori come il pomo della discordia, tutte le grandi questioni sociali e politiche sarebbero

molto vicine ad una soluzione sicura e pacifica, se addirittura non sarebbero state gi risolte molto tempo fa (12).

CAPITOLO LXV Confronto tra le dottrine politiche della scuola del diciottesimo secolo, quelle dei moderni studiosi di diritto pubblico, e quelle dominanti in Europa prima che comparisse il Protestantesimo. Il Protestantesimo imped lomogeneit della civilt europea. Testimonianze storiche. _______________ La recentissima scienza politica si vanta dei suoi grandi progressi nello studio dei governi rappresentativi, e continua a dirci che la scuola che aveva impartito le lezioni ai deputati dellassemblea costituente non sapeva nulla di costituzioni politiche. Ebbene, se confrontiamo le dottrine della scuola attuale con quelle della scuola che la precedette, qual la differenza che la distingue? In quali punti sono discordi? In cosa consiste il tanto vantato progresso? La scuola del diciottesimo secolo diceva: Il re il naturale nemico del popolo; opportuno distruggerne totalmente il potere, o almeno restringerlo e limitarlo in modo che resti in cima alledificio sociale, ma con le mani legate e con la sola facolt di approvare quello che stabiliscono i rappresentanti del popolo. E cosa dice ora la scuola moderna che si gloria di aver compiuto grandi progressi, che si vanta di aver fatto tesoro delle lezioni dellesperienza, che si loda di aver seguita la strada indicatale dalla ragione e dal buonsenso? La monarchia essa dice una vera necessit per le grandi nazioni europee checch ne sia degli esperimenti fatti in America, perch questi devono ancora superare la prova del tempo; per di pi, essendo stati fatti in situazioni molto diverse dalle nostre, non potranno mai essere validi per noi. Il re non deve essere visto come il nemico del popolo, ma come il padre; e lungi dallesporlo al pubblico con le mani legate, necessit vuole che lo si presenti circondato da potere, grandezza, ed anche maest e fasto; perch altrimenti il trono non potr adempiere le alte funzioni che gli sono affidate. Il re deve essere inviolabile; e questa inviolabilit necessario che non sia solo teorica, ma vera e concreta, e che non possa mai essere minacciata sotto qualunque pretesto. necessario che il monarca sia posto ad un livello superiore allimpeto delle passioni e delle fazioni, come una divinit tutelare che completamente estranea a qualunque interesse meschino e a qualunque bassa passione; e che sia il rappresentante della ragione e della giustizia. Insensati hanno detto i seguaci di questa scuola agli avversari non vi rendete conto che piuttosto che avere un re come lo intendete voi sarebbe meglio non averne alcuno? Non vedete che il monarca tra voi sar sempre il nemico naturale della costituzione, perch dappertutto lavr sempre tra i piedi per ostacolarlo, vincolarlo ed umiliarlo?. Se ora facciamo il confronto tra questi progressi scientifici e le dottrine che dominavano in Europa molto prima che apparisse il Protestantesimo, ci si accorger che quanto contengono di ragionevole, di giusto e di utile, era gi conosciuto da tutti quando in Europa non vi erano altre influenze al di fuori di quella della Chiesa cattolica. necessario un re, dice la scuola moderna; e grazie allinfluenza della religione cattolica tutte le grandi nazioni dEuropa avevano un re: il re si deve considerare non come nemico, ma come padre del popolo, e padre del popolo era gi chiamato; il potere del re deve essere grande, e questo potere era ugualmente grande; il re deve essere inviolabile e la sua persona deve essere sacra, e la persona del re era sacra; e questa prerogativa fin dai primi tempi gli veniva assicurata dalla Chiesa con una cerimonia solenne ed augusta: la consacrazione. Il popolo sovrano diceva la scuola del secolo scorso, la legge lespressione della volont generale; i rappresentanti del popolo sono dunque i soli che abbiano il potere legislativo; il sovrano non pu andar contro una tale volont: le leggi verranno assoggettate per pura formalit alla sua ratifica; se rifiutasse di darla, tuttal pi andranno soggette ad un nuovo esame; ma se la volont dei rappresentanti del popolo continuasse ad essere la stessa, acquister la dignit e la forza di legge; ed

il sovrano che, non avendola ratificata aveva dimostrato di crederla nociva al bene pubblico, sar obbligato a mandarla in esecuzione con discapito della propria dignit ed indipendenza. E che risponde a questo la scuola moderna? La sovranit del popolo o non significa niente, oppure ha un significato molto pericoloso; la legge non deve essere lespressione della volont, ma della ragione; la semplice volont non basta per fare le leggi, ci vogliono la ragione, la giustizia e la convenienza pubblica. E tutte queste idee erano gi comuni molto prima del sedicesimo secolo, non soltanto tra i dotti, ma anche tra la gente pi semplice ed ignorante. Un Dottore del tredicesimo secolo lo aveva espresso con la sua solita meravigliosa concisione: ordine della ragione diretta al bene comune. Se volete continua la scuola moderna, se volete che il potere reale sia una realt necessario assegnargli il primo posto tra i poteri legislativi, necessario il veto assoluto. E nelle antiche Cortes, negli antichi stati e parlamenti, il re aveva il primo posto tra i poteri legislativi, e non si faceva nulla contro la sua volont: aveva il veto assoluto. Si elimini qualunque classe dicono quelli dellassemblea costituente, si elimini ogni distinzione; il re stia direttamente faccia a faccia col popolo; il di pi un attentato contro i diritti imprescindibili. Siete dei folli risponde la scuola moderna; se non vi sono distinzioni, bisogna crearle; se nella societ non vi sono classi che per loro natura formino un secondo corpo legislativo, un mediatore tra il re e il popolo, bisogner formare tali classi. Sar necessario creare per legge ci che non esiste nella societ; se non c la realt vi deve essere almeno la finzione. E queste classi esistevano pure nella societ antica, e prendevano parte ai pubblici affari; erano ordinate in magistrature e formavano i primi corpi legislativi. Ora io domando: da un tale confronto, non risulta pi chiaro della luce del sole che quanto attualmente si chiama progresso in materia di governo, non in sostanza che un tornare di fatto verso ci che veniva insegnato e praticato dappertutto prima del Protestantesimo sotto linfluenza della religione cattolica? Per rispetto nei confronti delle persone dotate di una certa conoscenza delle materie sociali e politiche potr fare a meno dinsistere sulle differenze che inevitabilmente passano tra unepoca e laltra. So bene che lo stesso andamento delle cose avrebbe prodotto delle importanti modifiche, essendo necessario adattare le istituzioni politiche alle nuove necessit cui bisognava far fronte. Ma sostengo che il progresso della civilt europea, per quanto lo permettevano le circostanze, procedeva sulla buona strada verso un migliore avvenire, e che conteneva in se stesso i mezzi di cui aveva bisogno per riformare senza rovesciare. Ma per ottenere questo era necessario che gli avvenimenti si sviluppassero in un modo spontaneo e senza alcun tipo di violenza; era necessario non dimenticare che lazione delluomo da s sola vale pochissimo; che gli esperimenti improvvisati sono pericolosi; che le grandi produzioni sociali assomigliano a quelle della natura, perch come quelle della natura hanno bisogno di un elemento indispensabile: il tempo. C un fatto al quale, da quel che mi sembra, non si posta la debita attenzione nonostante in esso si racchiuda la spiegazione di alcuni strani fenomeni avvenuti nel corso dei tre ultimi secoli. Il fatto questo: il Protestantesimo ha impedito alla civilt moderna di essere omogenea, opponendosi alla fortissima tendenza che spingeva tutte le nazioni europee ad una tale omogeneit. Non c dubbio che il progredire della civilt riceve lorigine e il carattere da quegli stessi princpi che le hanno trasmesso il movimento e la vita; ed essendo questi princpi pi o meno gli stessi per tutte le nazioni europee, queste risultavano molto simili fra loro. Su questo fatto la storia va daccordo con la filosofia; indubbio quindi che le nazioni europee, finch non fu instillato loro alcun germe di divisione, per quanto riguarda le loro istituzioni civili e politiche procedevano in un modo molto simile. Naturalmente tra loro vi erano quelle differenze che dipendono necessariamente dalla diversit delle situazioni; ciononostante si vede benissimo che erano sulla strada per diventare sempre pi simili, tendendo a formare dellEuropa un tuttuno di cui noi, avvezzi come siamo alla divisione, non possiamo formarci unidea precisa. Questa omogeneit sarebbe giunta a compimento grazie alla rapidit della propagazione intellettuale e materiale che si ebbe con lincremento e la prosperit delle arti e del commercio, e soprattutto della stampa; perch il flusso e riflusso delle idee avrebbero ben presto livellate le differenze che distinguevano una nazione dall'altra.

Ma per disgrazia nacque il Protestantesimo, e divise i popoli europei in due grandi famiglie che fin dal primo momento nutrirono un reciproco odio mortale; odio che produsse guerre spietate in cui furono versati fiumi di sangue. Anche peggiore di queste catastrofi fu il germe di scisma civile, politico e letterario che deriv dalla mancanza di unit religiosa. In Europa le istituzioni civili e politiche, e tutti i rami del sapere, erano nati e prosperati sotto linfluenza della religione; lo scisma fu religioso, attacc la radice e si estese inevitabilmente a tutti i rami. Questa fu la ragione per cui tra le diverse nazioni si alzarono quelle mura di bronzo che le isolarono luna dallaltra, e si sparse dappertutto lo spirito del sospetto e della diffidenza; e quelle cose che prima sarebbero state giudicate innocue o di poco conto, vennero poi reputate sommamente pericolose. Ben si comprende allora linquietudine, il disagio e lagitazione che nacquero da circostanze tanto funeste, e pu ben dirsi che in questo germe maligno racchiusa la storia delle catastrofi che hanno sconvolto lEuropa negli ultimi tre secoli. A chi deve la Germania le guerre degli anabattisti, quelle dellimpero e quella dei trentanni? E la Francia le guerre degli Ugonotti e le scene feroci della Lega, a chi le deve? A chi deve quella causa profonda di divisione, quel semenzaio di discordie che cominci con gli Ugonotti, col Giansenismo, poi prosegu con la filosofia per arrivare alla Convenzione? LInghilterra, se non avesse nutrito in seno quella miriade di stte che nacquero col Protestantesimo, avrebbe sofferto i disastri di una rivoluzione che dur tanti anni? Se Enrico VIII non si fosse separato dalla Chiesa cattolica la Gran Bretagna non avrebbe trascorso i due terzi del sedicesimo secolo tra le pi atroci persecuzioni religiose e sotto il pi brutale dispotismo, e non si sarebbe vista affogare per la maggior parte del diciassettesimo secolo in fiumi di sangue sparso dal fanatismo delle stte. Senza il Protestantesimo, sarebbe forse arrivata a quella condizione catastrofica in cui si trova con la questione irlandese, che resta sospesa tra uno smembramento dellimpero ed una spaventosa rivoluzione? Se negli ultimi tre secoli non fossero stati divisi da un lago di sangue alimentato dalle discordie religiose, questi popoli fratelli non avrebbero trovato il modo dintendersi amichevolmente? Quelle leghe difensive ed offensive tra nazioni e nazioni che dividevano lEuropa in due partiti non meno ostili fra loro di quanto non siano Cristiani e Maomettani, quegli od divenuti tradizionali tra il Settentrione e il Mezzogiorno, quella profonda divisione tra la Germania protestante e quella cattolica, tra la Spagna e lInghilterra, e tra questa e la Francia, contribuirono enormemente a ritardare le relazioni tra i popoli europei, ed a far s che avvenisse solo con lo sviluppo dei mezzi materiali ci che si sarebbe potuto ottenere molto tempo prima con laiuto dei mezzi morali. Il vapore tende a trasformare lEuropa in unimmensa citt: di chi la colpa se quegli uomini destinati un giorno a ritrovarsi sotto il medesimo tetto si sono odiati tra loro per tre secoli? Se fosse avvenuta molto tempo prima lunione dei cuori, non sarebbe stato anticipato il felice momento in cui si fosse giunti a stringere le mani?

CAPITOLO LXVI Il Cattolicesimo e la politica in Spagna. Si definiscono i termini della questione. Cinque cause della rovina delle istituzioni popolari in Spagna. Differenza tra la libert antica e quella moderna. Le Comunit di Castiglia. Politica dei re. Ferdinando il Cattolico e Cisneros. Carlo V. Filippo II. _______________ Non potrei considerare completamente svolto questo tema se evitassi di risolvere la seguente difficolt: In Spagna si avuto esclusivamente il Cattolicesimo, e nello stesso tempo si affermata la monarchia assoluta, il che dimostra che le dottrine cattoliche sono avverse alla libert politica. La maggior parte degli uomini non si preoccupa di esaminare a fondo la vera natura delle cose, n il vero significato delle parole; purch una certa cosa gliela si presenti in grande, che colpisca fortemente la fantasia, accetta i fatti tali quali appaiano a prima vista e confonde senza riflettere la casualit con la coincidenza. Non pu negarsi che il predominio della religione cattolica in Spagna

venne a coincidere con la dominazione della monarchia assoluta; ma la questione sta piuttosto in questo: stabilire se la religione fu la vera causa di questa dominazione, se fu essa a spodestare le antiche Cortes consolidando il trono dei monarchi assoluti sulle rovine delle istituzioni popolari. Prima di affrontare la questione, cio prima di passare allesame delle cause particolari che eliminarono la partecipazione della nazione agli affari pubblici, sar utile ricordare che in Danimarca, in Svezia e in Germania lassolutismo si stabil e gett le radici insieme al Protestantesimo; la qual cosa basta per dimostrare che ben poca utilit porta largomento delle coincidenze; poich siccome lo stesso fatto si verificato sia col Cattolicesimo che col Protestantesimo, avremmo dimostrato allo stesso modo che il Protestantesimo conduce alla monarchia assoluta. E qui faccio notare che quando nei capitoli precedenti dimostrai che la falsa riforma contribu alla rovina della libert politica, sebbene richiamassi lattenzione dei lettori sulle coincidenze, non mi fondai soltanto su queste, ma anche sul fatto che il Protestantesimo, seminando dottrine dissolutrici, aveva reso necessario un potere pi forte; e distruggendo linfluenza politica del clero e del Papa aveva sconvolto lequilibrio delle classi, aveva lasciato il trono senza contrappeso, e ne aveva accresciuto il potere con laccordargli nei paesi protestanti lautorit suprema ecclesiastica, e con lampliarne le prerogative nei paesi cattolici. Ma lasciamo da parte le considerazioni generali, e puntiamo lo sguardo sulla Spagna. Questa nazione ha la disgrazia di essere una delle meno conosciute perch non viene fatto un vero studio della sua storia, e la situazione presente non viene osservata a dovere. I suoi disordini, gli sconvolgimenti, le guerre civili, ci dicono chiaramente che non vi si indovinato il giusto sistema di governo: la qual cosa ci fa capire che si ha poca conoscenza della nazione che si deve governare. In quanto poi alla sua storia labbaglio , se possibile, anche maggiore; perch siccome gli avvenimenti sono ormai molto lontani da noi, e se influiscono sul presente lo fanno in un modo nascosto e non molto facile ad essere compreso, gli osservatori si accontentano di unocchiata superficiale lasciando poi libero corso alle loro opinioni, e infine per sostituire queste alla realt dei fatti. Quasi tutti gli autori che parlano delle cause che fecero perdere in Spagna la libert politica rivolgono lo sguardo esclusivamente o soprattutto sulla Castiglia, e attribuiscono alla sagacia dei sovrani molto pi di quello che il corso degli avvenimenti assegna loro. Si soliti prendere come punto di riferimento la guerra dei Comuni; al dire di certi scrittori sembrerebbe che senza la sconfitta di Villalar la libert spagnola avrebbe fatto senza dubbio grandi progressi. Non nego che la guerra dei Comuni sia un punto di riferimento eccellente per studiare questa materia, che nei campi di Villalar si sia in qualche modo giunti alla soluzione del dramma, che la Castiglia debba considerarsi come il centro degli avvenimenti, e finalmente che i monarchi spagnoli adoperassero molta sagacia nel condurre limpresa a buon fine. Con tutto ci io credo che non sia giusto dare a qualunque di queste considerazioni un valore assoluto. Oltre a ci mi sembra anche che nel complesso non si colga il vero aspetto della difficolt, e che talvolta si prendano gli effetti per cause, e laccessorio per fondamentale. A mio giudizio le cause della rovina delle istituzioni libere furono le seguenti: 1 - lo sviluppo prematuro ed eccessivo di queste istituzioni; 2 - lessere composta, la nazione spagnola, da elementi troppo dissimili, ciascuno dei quali con proprie istituzioni popolari; 3 - laver stabilito il centro del potere tra le province dove le suddette forme erano meno ampie, e dove dominava maggiormente lautorit del re; 4 - leccessiva abbondanza di ricchezze e gloria di cui il popolo spagnolo si vide circondato, e nella felicit di questa abbondanza il popolo si addorment; 5 - lassetto militare e di conquista in cui si ritrovarono i monarchi spagnoli; assetto che era giunto allapice del suo splendore proprio nel momento critico in cui la contesa stava per giungere alla sua soluzione. Esaminer queste cause rapidamente, giacch la natura dellopera non mi permette di farlo con quellestensione che richiederebbero la seriet e limportanza dellargomento. Il lettore mi

perdoner questa digressione politica in considerazione dello stretto collegamento che la presente materia ha con la questione religiosa. Non c dubbio che le forme popolari si svilupparono in Spagna prima che nelle altre nazioni monarchiche. Ma lo sviluppo fu troppo precoce e sproporzionato, e questo fatto contribu a farle cadere, cos come si ammala e muore prima il bambino che in tenera et cresce troppo di statura o manifesta unintelligenza eccessivamente precoce. Questo spirito esuberante di libert, questa infinit di franchigie e di privilegi, questi ostacoli che intralciavano lavanzare del potere centrale impedendogli di sviluppare il suo dinamismo e la sua energia, questo grande sviluppo dellelemento popolare, per sua natura torbido e smanioso, accanto alle ricchezze, alla potenza e all orgoglio dellaristocrazia, dovevano produrre naturalmente molti contrasti. Tanti elementi cos diversi e contrastanti non potevano operare tranquillamente e in sintonia, considerando anche che non avevano avuto ancora il tempo sufficiente per intendersi, come sarebbe stato necessario per vivere in pacifica comunione ed armonia. Lordine il primo bisogno delle societ, ad esso devono piegarsi le idee, i costumi e le leggi; in questo modo anche se c qualche seme di discordia, per quanto esso sia radicato si pu essere sicuri che sar estirpato o almeno allontanato in modo che non continui a presentare un pericolo per la quiete pubblica. Lordinamento municipale e politico della Spagna aveva questinconveniente, ed ecco limperiosa necessit di modificarlo. A quei tempi per la mentalit e i costumi erano tali che la cosa non tanto facilmente poteva essere effettuata con una semplice modifica; poich allora non cera, come adesso, quello spirito costituente che con tanta facilit crea numerose assemblee per formare nuovi codici fondamentali o per riformare gli antichi; e le idee non avevano acquistato quella universalit con la quale, superando i limiti ristretti di un particolare paese, vanno fino a quelle alte regioni dove si perdono di vista tutte le situazioni locali ed altro non si scorge che luomo, la societ, la nazione, il governo. Allora non era cos: un diploma di libert concesso da un re a qualche citt o contrada; una franchigia concessa da un signore che a ci fu costretto dai propri vassalli armati; un privilegio ottenuto per unazione eroica in guerra, per proprio merito o di un proprio antenato; una concessione fatta nelle Cortes dal sovrano al momento di votare qualche contribuzione o, come la chiamavano allora, servigio; una legge, una consuetudine, lantichit della quale si perdeva nella notte dei tempi o si confondeva con la culla della monarchia; questi ed altri simili erano i titoli su cui si fondava la libert della nobilt e del popolo, titoli di cui andavano superbi, e della conservazione ed integrit dei quali erano gelosissimi ed irriducibili difensori. La libert al giorno doggi qualcosa di pi vago, e talvolta di meno positivo a motivo della stessa universalit ed elevatezza a cui sono salite le idee, ma daltra parte anche meno soggetta ad essere distrutta, perch parlando un linguaggio comune a tutti i popoli, e presentandosi come causa comune a tutte le nazioni, riscuote consensi universali, e pu formare delle associazioni pi vaste per tutelarsi dalle manovre che il potere cercasse di dirigere contro di essa. Le parole libert, uguaglianza, diritti delluomo, intervento del popolo nei pubblici affari, responsabilit ministeriale, opinione pubblica, libert di stampa, tolleranza ed altre simili, hanno certamente una gran variet di significati molto difficile da stabilire e classificare quando si tratta di farne delle applicazioni concrete; ma non lasciano tuttavia di presentare allo spirito certe idee che, sebbene complesse e confuse, hanno una falsa apparenza di semplicit e di chiarezza. E siccome daltra parte presentano concetti grandiosi che abbagliano con vivi e lusinghieri colori, ne vien fuori che pronunciandole tutti vi ascoltano con grande interesse, siete capito da tutti i popoli, e sembra che costituendovi campione delle idee che esprimono vi eleviate alla posizione sublime di difensore dei diritti dellintera umanit. Recatevi per tra i popoli liberi dei secoli quattordicesimo e quindicesimo e vi troverete in una situazione molto diversa: prendete una franchigia di Catalogna o di Castiglia e rivolgetevi a quegli Aragonesi che mostrano la loro baldanza quando si tratta delle loro franchigie: questa non cosa loro, non eccita n il loro zelo n il loro interesse; finch non trovano il nome che ricordi qualcuna delle loro citt o castelli, quella pergamena sar per loro una cosa indifferente ed estranea.

Questinconveniente, che aveva la sua origine nelle stesse idee, limitate per loro natura alle situazioni locali, in Spagna era molto pi grave perch si stava cercando di amalgamare sotto lo stesso scettro popoli tanto diversi nei costumi e nellordinamento municipale e politico, e che per di pi non erano immuni da rivalit e rancori. In tale situazione era molto pi facile poter combattere la libert di una provincia senza che le altre si sentissero coinvolte o temessero per la propria libert. Quando in Castiglia i Comuni si sollevarono contro Carlo V, se ci fosse stata quellunione didee e di sentimenti e quelle affinit che adesso uniscono tutti i popoli, la sconfitta di Villalar sarebbe stata una sconfitta e nulla pi; perch diffondendo lallarme in Aragona e in Catalogna, sicuramente avrebbero dato molto pi da pensare allinesperto e mal consigliato monarca. Ma non fu cos: furono fatti dei tentativi isolati, e di conseguenza sterili. Lesercito della monarchia, procedendo sempre allo stesso modo, pot sconfiggere separatamente quelle forze sparpagliate, e il risultato non fu pi in dubbio. Nel 1521 morirono sul patibolo Padilla, Bravo e Maldonado; nel 1591 in Aragona ebbero la stessa sorte D. Diego de Heredia, D. Giovanni de Luna, e lo stesso supremo giustiziere D. Antonio della Lnuza. E quando nel 1640 si sollevarono i Catalani per difendere le loro franchigie, nonostante i manifesti esposti per procurarsi alleati non trovarono nessuno ad aiutarli. Allora non cerano ancora quei fogli volanti che ogni mattina richiamano la nostra attenzione su questioni di ogni genere, e che al minimo pericolo gridano allarme. I popoli attaccati ai loro usi e costumi, contenti delle conferme delle loro franchigie che i re davano ogni giorno, allegri e soddisfatti della venerazione che gli stessi re manifestavano alle antiche libert, non pensavano di avere di fronte un avversario scaltro che non adoperava la forza se non quando era il momento di dare il colpo decisivo, ma che in ogni caso la teneva sempre pronta per schiacciarli con la sua mano potente. Quando si studia attentamente la storia di Spagna si capisce subito che il progetto di concentrare tutta lazione governativa nelle mani del sovrano escludendo per quanto possibile linfluenza della nazione cominci fin dal regno di Ferdinando e di Isabella. E non c da meravigliarsi, perch allora fu maggiormente necessario, ed anche pi facile farlo. Fu maggiormente necessario perch partendo lazione di governo dallo stesso centro, ed estendendosi a tutta la Spagna che allora presentava una gran variet di leggi, di usi e costumi, si sentiva pi fortemente e pi acutamente lostacolo che tanta diversit di Cortes, di magistrati municipali, di codici e di privilegi causava allazione del potere centrale. E siccome ogni governo desidera operare con rapidit ed efficacia, era ben naturale che i consiglieri dei re di Spagna pensassero di appianare, di uniformare e di concentrare. Non difficile capire che ad un re, che allora si trovava alla testa di eserciti possenti, che disponeva di grandi flotte, che aveva umiliato in tanti scontri poderosi nemici, che si vedeva rispettato dalle nazioni straniere, non poteva far molto piacere di andare continuamente in giro a celebrare Cortes, ora in Castiglia, ora in Aragona, poi a Valenza, quindi in Catalogna; e che dovevano infastidirlo alquanto quei ripetuti giuramenti di mantenere le franchigie e le libert, e quella continua cantilena che gli facevano risuonare allorecchio i procuratori di Castiglia e i magistrati di Aragona, di Valenza e di Catalogna. Ci vuole poco a capire che quel doversi umiliare a chiedere alle Cortes qualche servizio per le spese dello stato, e in particolare per le continue guerre che venivano condotte, doveva andar poco a genio ai sovrani, i quali a mala pena si sarebbero rassegnati a farlo per timore della nobile fierezza di quegli uomini che combattevano come leoni sul campo di battaglia a difesa della religione, della patria, del re; ma che con lo stesso ardimento avrebbero combattuto per le strade e nelle loro case se altri avessero tentato di toglier loro i diritti e le franchigie che avevano ereditato dai loro antenati. Gi con la semplice riunione delle monarchie di Aragona e di Castiglia in ununica Corona fu segnato il destino delle istituzioni popolari, che era quasi impossibile che non venissero esautorate. Da allora in poi il trono si trov in una situazione troppo dominante perch le istituzioni dei regni appena unificati potessero opporre un argine al suo potere. Se volessimo immaginare un potere politico che in quei tempi fosse stato capace di far fronte al trono, dovremmo pensare tutte le assemblee che col nome di Cortes si radunavano di quando in quando nelle varie parti del regno, riunite insieme e amalgamate in una rappresentanza nazionale, in modo da aumentare la loro forza

nella stessa misura con la quale era cresciuta la forza dei re. Dovremmo immaginare questa assemblea generale come erede delle sue componenti per lo zelo della conservazione delle prerogative e privilegi, sacrificando sullaltare del pubblico bene tutte le rivalit, e dirigendosi al suo fine con passo fermo e in massa compatta, perch non sarebbe stato tanto facile aprirvi una minima breccia. Insomma sarebbe come dire che dovremmo immaginare una cosa impossibile: impossibile per la mentalit del tempo, impossibile per le usanze locali, impossibile per le rivalit tra i popoli, per la loro incapacit di vedere la questione sotto un aspetto generale, per la resistenza che avrebbero opposto i re; e impossibile infine per le complicazioni e gli ostacoli provocati dallordinamento municipale, sociale e politico. In una parola: dovremmo immaginare cose tanto impossibili allora di essere concepite, quanto di essere messe in pratica. Tutte le circostanze erano favorevoli allingrandimento del potere del sovrano. Gi per il fatto che non era soltanto re di Aragona o di Castiglia, ma di Spagna, gli antichi regni andavano rimpiccolendo di fronte allelevatezza e allo splendore del soglio, e cominciarono fin da allora ad assumere la condizione che doveva poi toccar loro, cio quello di province. Inoltre il sovrano, avendo da esercitare unazione pi estesa e pi complessa, non poteva pi stare in continuo contatto con i sudditi; e quando era necessario presiedere le Cortes in qualcuno dei regni soggetti si doveva aspettare molto tempo in quanto il re era impegnato in unaltra parte dei suoi domin. Per punire una sedizione, per bloccare un abuso o per reprimere un eccesso non aveva pi bisogno di ricorrere alle armi di tutto il paese: con quelle di Castiglia poteva soggiogare coloro che insorgevano nel regno dAragona, e con lesercito dAragona domava i ribelli di Castiglia. Granata si era arresa, lItalia si sottometteva alla spada vittoriosa di un suo generale, con le sue flotte navigava Colombo che aveva scoperto un nuovo mondo. Volgete adesso lattenzione al mormorio di Cortes e municipalit, e spariranno ai vostri occhi, come di fatto sparirono. Se i costumi della nazione fossero stati pacifici, senza essere in uno stato permanente di guerra, forse ci sarebbe stata qualche possibilit di salvare le istituzioni democratiche. Rivolta lattenzione esclusivamente sul governo municipale e politico, i popoli avrebbero potuto capire meglio quali fossero i loro veri interessi; gli stessi re non si sarebbero cos facilmente abbandonati ad ogni sorta di guerre, e quindi il trono avrebbe perso in parte quel prestigio che gli comunicavano lo splendore e lo strepito delle armi; il tono dellamministrazione non avrebbe avuto quella durezza che poco o molto mutua dai costumi militari, e sarebbe stato pi facile conservare qualcosa delle antiche giurisdizioni. Di fatto la Spagna era allora la nazione pi bellicosa del mondo. Il campo di battaglia era il suo elemento naturale: sette secoli di guerre avevano formato di essa si pu dire un vero soldato. Le recenti vittorie sui Mori, le prodezze delle armate dItalia, le scoperte di Colombo, tutto contribuiva a renderla altera e a conferirle quello spirito cavalleresco che per tanto tempo fu la sua nota pi distintiva. Il re doveva essere un condottiere, e allora finch si rendeva illustre con brillanti fatti darme poteva essere sicuro di accattivarsi lanimo degli Spagnoli. E le armi sono molto terribili per le istituzioni popolari; perch laver vinto sul campo di battaglia, abitua a trasferire nelle citt lordine e la disciplina militare. Fin dai tempi di Ferdinando e dIsabella il soglio dei re di Castiglia poggi tanto in alto che le libere istituzioni in confronto a loro appena si distinguevano. E se dopo la morte della regina il popolo e i Grandi tornarono ad apparire sulla scena ci dipese dai dissapori tra Ferdinando il Cattolico e Filippo il Bello, che fecero perdere al trono lunit e di conseguenza la forza. Ma poi, cessate quelle condizioni, si vide sulla scena solamente il trono; e questo non solo negli ultimi giorni di Ferdinando, ma anche sotto la reggenza di Cisneros. I Castigliani, esacerbati dagli eccessi dei Fiamminghi, ed animati forse dalla speranza della debolezza che suole portarsi appresso il regno di un monarca giovanissimo, tornarono ad alzare la voce. I reclami ed i lamenti degenerarono ben presto in tumulti, e poi finirono in aperta insurrezione. Nonostante le molte circostanze che favorivano oltremisura i popolani, e nonostante questa situazione fosse comune a tutte le province della monarchia la ribellione, quantunque fosse consistente, non present tuttavia lestensione e la gravit di uninsurrezione nazionale. Una buona parte della penisola si mantenne in una effettiva neutralit ed unaltra ader al partito del monarca.

Se non giudico male questo fatto indica limmenso prestigio che aveva acquistato il trono, il quale era gi considerato listituzione pi poderosa e predominante. Tutto il regno di Carlo V fu dedicato a completare lopera iniziata; essendosi inaugurato sotto gli auspici della battaglia di Villalar, continu con una serie ininterrotta di guerre in cui i tesori e il sangue degli Spagnoli furono versati con incredibile prodigalit per tutti i paesi dEuropa, Africa e America. Non si lasciava neanche il tempo alla nazione di pensare ai propri affari, essa era quasi sempre priva della presenza del suo re e divenne come una provincia di cui limperatore di Germania, dominatore dellEuropa, disponeva a suo piacere. anche vero che le Cortes del 1538 alzarono alta la voce e diedero a Carlo una lezione severa invece del servizio chegli chiedeva, ma era ormai troppo tardi: la conseguenza fu che il clero e la nobilt furono esclusi dalle Cortes, e la rappresentanza di Castiglia fu ristretta per il futuro ai soli procuratori, fu condannata cio a non esser pi che un mero simulacro di quello che era prima, ed uno strumento della volont dei re. Si detto molto contro Filippo II, ma a mio parere egli non fece altro che stare al suo posto e lasciare che le cose seguissero il corso naturale. La crisi era ormai passata, la questione era stata decisa, e affinch la nazione recuperasse linfluenza che aveva perduto fu necessario che sulla Spagna passasse lazione riformatrice dei secoli. Ma non si deve credere con questo che il processo di formazione del potere assoluto fosse terminato e che non rimanesse traccia dellantica libert. Questa si era rifugiata in Aragona ed in Catalogna, ma nulla poteva contro quel colosso che la teneva a freno dal centro di un paese gi tutto dominato dalla capitale della Castiglia. Forse i sovrani avrebbero potuto fare un tentativo audace, come quello di vibrare un unico colpo ben assestato su coloro che ancora li ostacolavano; ma per quanto fosse grande la possibilit di un esito favorevole grazie ai molti mezzi di cui disponevano, si guardarono bene dal farlo: permisero agli abitanti di Navarra e del regno di Aragona di godere tranquillamente delle loro franchigie, prerogative e privilegi, fecero s che il contagio non si attaccasse alle altre province, e con attacchi parziali e generali ottennero col passar del tempo che lo zelo per le antiche libert venisse raffreddato, e che gradatamente i popoli si abituassero allazione livellatrice del potere centrale (13).

CAPITOLO LXVII Libert politica e intolleranza religiosa. Sviluppo europeo sotto linfluenza esclusiva del Cattolicesimo. Quadro dellEuropa dal secolo undicesimo fino al sedicesimo. Condizioni del problema sociale alla fine del secolo quindicesimo. Potere temporale dei Papi: suo carattere, origine ed effetti. _______________ Nel quadro fin qui abbozzato, del quale nessuno pu mettere in dubbio la rigorosa esattezza, non si nota alcuna influenza persecutoria del Cattolicesimo e non vi si scopre alcuna alleanza fra il clero e il trono per distruggere la libert; allo sguardo si presenta soltanto landamento regolare e naturale delle cose con il progressivo succedersi degli avvenimenti sviluppatisi gli uni sugli altri, come la pianta sulla semenza. Riguardo allInquisizione credo di averne parlato gi abbastanza nei capitoli ad essa dedicati; qui voglio soltanto osservare che non vero che si piegasse alla volont dei sovrani e che venisse da questi utilizzata come strumento politico. Il suo scopo era religioso; e tanto poco era propensa a compiacere la volont del sovrano che, come abbiamo gi visto, non aveva alcuna difficolt a condannare le dottrine che accrescevano ingiustamente le facolt del re. Se mi si obbietta che lInquisizione era per sua natura intollerante, e che quindi si opponeva allo sviluppo della libert, risponder che la tolleranza, cos come lintendiamo adesso, non esisteva allora in nessun paese dEuropa; e che appunto in mezzo allintolleranza religiosa si emanciparono i Comuni, si

organizzarono le municipalit e si stabil il sistema delle grandi assemblee che sotto nomi diversi intervenivano pi o meno direttamente nei pubblici affari. Le idee non si erano ancora snaturate al punto di far credere che la religione fosse amica e sostenitrice delloppressione del popolo. Al contrario, proprio il popolo nutriva un vivo desiderio di libert e di progresso che nella sua mente si accordava perfettamente con una fede tanto ardente ed entusiasta da considerare come giustissimo e salutare il non tollerare idee opposte allinsegnamento della Chiesa romana. Lunit nella fede cattolica non costringe i popoli con una mano di ferro, non impedisce affatto che si muovano in tutte le direzioni: la bussola che nellimmensit dellOceano impedisce ai naviganti di perdere lorientamento non fu mai chiamata oppressione. Era forse priva di grandezza, variet e bellezza lantica unit della civilt europea? Quellunit cattolica che presiedeva ai destini della societ, ne impediva forse il progresso anche nei secoli barbari? Avete mai fissato lo sguardo sul grandioso e gradevole spettacolo che presentano i secoli anteriori al sedicesimo? Fermiamoci un momento a considerarlo, cos si capir meglio quanto sia vera la mia tesi, che cio lo sviluppo della civilt fu fuorviato dal Protestantesimo. Con limmensa scossa prodotta dalla colossale impresa delle crociate si pu capire come fermentarono i poderosi elementi riposti nel seno della societ. Ravvivatane lazione con glincontri e gli scontri, e moltiplicatesi le forze col riunirle insieme, ovunque e in tutte le direzioni si diffuse un movimento di calore e di vita, sicuro annuncio dellalto grado di civilt e di cultura che lEuropa stava per raggiungere. Come se una voce potente avesse richiamate in vita le scienze e le arti, queste apparvero di nuovo nella societ, e reclamavano ad alta voce protezione ed accoglienza favorevole; e i castelli feudali, retaggio dei costumi dei popoli conquistatori, furono illuminati allimprovviso da un raggio di luce che percorse tutti i paesi e le regioni con la velocit del fulmine. Quelle moltitudini di uomini che con tanta fatica lavoravano curvi la terra a vantaggio dei loro signori alzarono la fronte, e con lardore nel cuore e la franchezza sulle labbra chiesero la loro parte dei beni della societ; e scambiandosi tra loro uno sguardo di intelligenza e dintesa, si unirono insieme, e cos uniti reclamarono ad alta voce che le leggi venissero a sostituire gli abusi. Allora si formarono e singrandirono le borgate e le citt, e si cinsero di mura; si fondarono e si svilupparono le istituzioni municipali; e i re, che fino a quel momento erano stati lo zimbello dellorgoglio, dellambizione e dellostinazione dei signori, approfittando di una cos favorevole occasione, fecero causa comune col popolo. Il feudalesimo, minacciato a morte, entr coraggiosamente nella lotta, ma invano: una forza pi potente dellacciaio stesso dei suoi avversari lo tratteneva; come se fosse oppresso dallambiente che lo circondava si sentiva impacciato nei movimenti e indebolito del suo vigore; e disperando oramai della vittoria si abbandon ai piaceri ai quali lo attirava lo sviluppo delle arti. Cambiando la corazza di ferro con le vesti delicate, il forte scudo con linsegna del lusso, il contegno e laspetto guerresco con le gentili maniere di corte, minava cos dalle sue stesse fondamenta tutto il suo potere lasciando che lelemento popolare si sviluppasse completamente e che il potere dei monarchi acquistasse ogni giorno maggiore forza. Consolidato il potere dei re, sviluppate le istituzioni municipali, minato e indebolito il feudalesimo, crollando sotto i colpi di tanti avversari i residui di barbarie e di oppressione ancora presenti nelle leggi, si vide un numero considerevole di grandi nazioni presentare, e questo per la prima volta nel mondo, il pacifico spettacolo di alcuni milioni dindividui riuniti in societ, e che godevano dei diritti di uomo e di cittadino. Fino allora la quiete pubblica e lesistenza stessa della societ erano state preservate dal fatto che gran parte degli uomini era ridotta in schiavit, e quindi impedita a partecipare alla vita politica; il che testimonia la degradazione e nello stesso tempo la debolezza intrinseca delle antiche costituzioni. La religione cristiana con quel coraggio che viene ispirato dal sentimento delle proprie forze e dallardente amore per lumanit, non dubitando affatto di avere a disposizione molti altri mezzi per frenare luomo senza che vi fosse bisogno di ricorrere alla degradazione e alla forza, aveva risolto il problema nel modo pi brillante e generoso. Essa aveva detto alla societ: Tu temi

questa moltitudine immensa che non ha titoli sufficienti per meritare la tua fiducia? Ebbene: io me ne rendo garante; tu la tieni soggiogata con una catena di ferro, io dominer il suo cuore. Scioglila tranquillamente, e questa moltitudine che ti fa tremare come se fosse un branco di bestie feroci si muter in una classe utile per s e per te stessa. Questa parola era stata ascoltata; e liberati che furono tutti gli uomini dal ferreo giogo, inizi quella nobile gara che doveva portare la societ ad un giusto equilibrio senza distruggerla e senza scuoterla dalle fondamenta. Abbiamo gi visto che in quei tempi si trovavano di fronte avversari molto potenti; e sebbene fossero inevitabili alcuni scontri pi o meno violenti nulla per faceva presagire grandi catastrofi, purch funeste coincidenze non venissero a infrangere il freno (lunico capace di dominare tanti cuori ardenti e talvolta inaspriti), cio a toglier di mezzo quella voce forte che aveva detto ai combattenti: basta; quella voce che veniva ascoltata con maggiore o minore docilit, ma sempre quanto bastava per temperare il calore delle passioni, moderare limpeto degli scontri e prevenire scene di sangue. Dando unocchiata allEuropa tra la fine del quindicesimo e linizio del sedicesimo secolo, nel cercare gli elementi che emergevano sulla societ e che entrando in lotta fra loro potevano disturbarne la pace, si nota che il potere reale si era gi molto innalzato al disopra dei signori e del popolo. Se rammentiamo come esso cercava di compiacere i suoi rivali avvicinandosi agli uni per sottomettere gli altri, si capisce facilmente che quel potere era ormai indistruttibile. Tuttavia, stretto tra le memorie della superba aristocrazia feudale e la forza sempre crescente ed invadente del popolo, doveva comunque restare il centro che proteggesse la societ dalle violenze e dagli eccessi. Era tanto evidente che ci si dirigeva verso questa meta, che con maggiore o minore chiarezza, e con caratteristiche pi o meno simili, dappertutto si presentava lo stesso fenomeno. Le nazioni erano grandi, sia per estensione che per popolazione; con labolizione della schiavit era stato stabilito il principio che luomo doveva vivere libero nella societ usufruendo dei suoi benefci fondamentali, e aveva la strada aperta per poter occupare qualunque posizione nella scala gerarchica, secondo i mezzi di cui poteva disporre per conseguirla. Fin da allora la societ diceva a ciascun individuo: Ti riconosco come uomo e come cittadino, e fin da questo momento ti garantisco questi diritti; se vuoi condurre una vita tranquilla in seno alla tua famiglia lavora e fa dei risparmi, e nessuno ti sottrarr il frutto dei tuoi sudori n frapporr limiti allesercizio delle tue facolt; se desideri grandi ricchezze osserva come le acquistano gli altri e sviluppa lo stesso grado di attivit e di conoscenze; se aspiri alla gloria, se ambisci a cariche importanti ed ad alti titoli, sono a tua disposizione le scienze e le armi; se la tua famiglia ti ha trasmesso un nome illustre, potrai aumentarne lo splendore, altrimenti potrai guadagnartelo tu stesso. Questo era laspetto della societ sul finire del quindicesimo secolo. Tutte le conoscenze erano a portata di mano; tutti i grandi mezzi dazione erano stati attuati e si andavano sviluppando rapidamente; la stampa trasmetteva le idee da unestremit allaltra del mondo con la rapidit del lampo, e ne garantiva il passaggio alle generazioni future; le relazioni tra i popoli, il rifiorire delle belle lettere e delle arti, la cultura delle scienze, lamore per i viaggi e lattitudine al commercio, la scoperta di una nuova strada per le Indie orientali e di quella delle Americhe, la propensione per i negoziati politici onde regolare le relazioni tra le nazioni; tutto era stato gi preparato perch gli animi ricevessero quel forte impulso e quella scossa che risveglia e sviluppa tutte le facolt delluomo e comunica ai popoli una nuova vita. In presenza di fatti cos positivi e sicuri e di tale enorme importanza, che basta aprire il libro di storia per restarne subito colpiti, non si riesce a capire come si sia potuto dire seriamente che il Protestantesimo fece progredire il genere umano. Se prima della riforma di Lutero la societ fosse stata stazionaria nel suo caos in cui era stata immersa dalle scorrerie dei barbari; se i popoli non fossero riusciti a costituirsi in grandi nazioni con forme di governo pi o meno bene ordinate, e comunque migliori di quelle che le avevano precedute; se lamministrazione della giustizia pi o meno bene esercitata non avesse avuto un sistema legislativo fortemente morale, ragionevole ed equo da cui attingere per formulare le sue sentenze; se i popoli non avessero scosso in gran parte il giogo del feudalesimo acquistando cos gran quantit di mezzi per la conservazione e difesa della

libert; se il governo amministrativo non avesse gi fatto passi da gigante con la fondazione, lampliamento e lo sviluppo delle municipalit; se con lingrandirsi, rafforzarsi e consolidarsi il potere reale non si fosse formato nella societ un forte centro di potere per operare il bene, impedire il male, tenere a freno le passioni, prevenire contrasti dannosi e vigilare suglinteressi generali, fornendo una costante protezione e uno sprone continuo; se non si fosse gi vista fin da allora in tutti i popoli unacuta intuizione dello scoglio contro cui la societ correva il rischio dinfrangersi se si fosse lasciata senza alcun genere di contrappeso la potenza dei re; se tutto questo, dunque, fosse accaduto dopo la rivoluzione religiosa del sedicesimo secolo allora lasserzione potrebbe avere qualcosa di verosimile, o almeno non avrebbe linconveniente di apparire in aperta contraddizione con i pi certi ed innegabili fatti. Ammetto senzaltro che in campo sociale, politico ed amministrativo siano stati fatti fin da allora grandi progressi; ma ne consegue forse che siano dovuti alla riforma protestante? Per provarlo occorrerebbe che due societ perfettamente simili per la loro situazione e per le circostanze, ma separate da un lungo intervallo di tempo affinch luna non potesse influire sullaltra, fossero state soggette, una allinfluenza cattolica, e laltra a quella protestante. In tal caso le due religioni avrebbero potuto dire: questa opera mia. Ma confrontare loggi con tempi molto diversi; circostanze che non sono per niente simili; epoche che presentavano situazioni eccezionali con epoche normali; e non considerare che i primi passi in tutte le cose sono sempre i pi difficili e che il maggior merito quello dellinvenzione; ed ostinarsi, anche dopo esser caduti in errori di logica tanto evidenti, ad attribuire ad un fatto (la nascita del Protestantesimo) tutti gli altri fatti (relativi al progresso della civilt) solamente perch questi sono superiori a quello: in questo modo non si mostra di desiderare sinceramente la verit; ma piuttosto linteresse di falsificare la storia. Lassetto della societ europea, cos come lo trov il Protestantesimo, non era certamente quello che doveva essere, ma era tuttavia tutto quello che poteva essere. A meno che la Provvidenza avesse voluto guidare il mondo a forza di prodigi non era possibile in quei tempi che lEuropa fosse strutturata in modo migliore. Aveva in s gli elementi di progresso, di compiacimento, di civilt e di cultura, e questi erano abbondanti e forti. Con landar del tempo si andavano sviluppando in una maniera veramente meravigliosa; e poich a furia di dolorose esperienze le dottrine dissolutrici vanno perdendo sempre pi il loro prestigio e il loro credito, non forse lontano il giorno in cui tutti i filosofi che studiano in modo imparziale questa epoca della storia converranno che la societ a quel tempo aveva ricevuto il pi giusto impulso; e che venendo il Protestantesimo a traviarne il percorso, non fece che deviarla su di un sentiero disseminato di scogli dove stata in procinto dinfrangersi, e dove forse sinfrangerebbe ancora se la mano dellAltissimo non fosse pi potente del debole braccio delluomo. I Protestanti si vantano di aver fatto un grande servizio alla societ portando la distruzione in alcuni paesi e indebolendo in altri lautorit dei Papi. Riguardo alla supremazia in materia di fede basti ci che dissi sulle disastrose conseguenze dello spirito privato; e per quanto concerne la disciplina, siccome non voglio ingolfarmi in materie che allargherebbero troppo i limiti di questopera, pregher soltanto i miei avversari di riflettere se sia prudente lasciare una societ diffusa su tutta la terra senza legislatore, senza giudice, senza arbitro, senza consultore, senza capo. Potere temporale. Questa parola stata per molto tempo lo spauracchio dei re, linsegna dei partiti anticattolici, il laccio che ha fatto cadere molti uomini di sicura fede, il bersaglio su cui hanno maggiormente diretto i loro strali uomini politici insoddisfatti, scrittori offesi, arcigni canonisti; e non c niente di pi logico, perch in questa materia incontravano un vasto campo per sfogare i loro risentimenti e divulgare sospette dottrine, essendo sicuri che mostrando il loro zelo per lautorit dei sovrani avrebbero trovato presso la reggia una sicura protezione contro qualunque disgrazia avesse potuto loro capitare. Non qui il posto per discutere una materia che ha dato motivo a tante dispute accalorate ed erudite; e tanto meno opportuno, in quanto nello stato attuale delle cose nessuna potenza pu avere il minimo sospetto riguardo ad usurpazioni temporali della Santa Sede. Questa, in tutti i tempi e checch ne dicano i suoi nemici ha mostrato, anche umanamente parlando, pi prudenza, giudizio, pazienza e saggezza di qualunque altra autorit sulla

terra; anche nei difficilissimi tempi moderni ha saputo mettersi in una posizione tale da restare (senza diminuirne la dignit, senza allontanarsi dai suoi alti doveri) libera di agire secondo ci che esigono le diverse circostanze. Non c dubbio che il potere temporale del Papa nel corso dei tempi si era elevato ad unaltezza tale che gi non era pi soltanto il successore di S. Pietro, ma un consigliere, un arbitro, un giudice universale dalle cui sentenze, anche in materia puramente politica, era pericoloso prendere le distanze. Con lavanzare del progresso in tutta Europa questo potere si era un poindebolito; ma alla nascita del Protestantesimo conservava ancora una tale influenza sugli animi, ispirava tali sentimenti di venerazione e rispetto, e disponeva di mezzi tanto forti per difendere i suoi diritti, per sostenere le sue pretese, sostenere i suoi decreti e far rispettare i suoi pareri, che anche i pi potenti sovrani dEuropa consideravano un grave inconveniente provocare il dissenso della Sede di Roma in qualsiasi faccenda. Per cui cercavano sempre di propiziarsene la benevolenza e di guadagnarne lamicizia; e cos Roma divenne il centro universale dei negoziati, e non vi era faccenda di una certa importanza che potesse sottrarsi alla sua influenza. Si tanto declamato contro questo enorme potere, contro questa pretesa usurpazione di diritti, che i Papi finirono per esser visti come una manica di grandi cospiratori che con i loro maneggi e i loro artifici aspirassero niente di meno che alla monarchia universale. Giacch i declamatori hanno fondato le rimostranze sul loro presunto spirito di osservazione e di analisi dei fatti, avrebbero dovuto osservare che il potere temporale dei Papi si rinforz e si estese quando non era ancora costituito concretamente alcun altro potere. Quindi chiamarlo usurpazione, non solamente uninesattezza, ma anche un anacronismo. Nella confusione generale in cui si trovavano immerse tutte le societ europee durante linvasione dei barbari, nellinforme e mostruoso miscuglio che avvenne di razze, di leggi, costumi e tradizioni, non rest altra base su cui poter formare la civilt e la cultura, n altra fonte di luce che illuminasse quel caos, n altro elemento che bastasse a fecondare il seme di rigenerazione che giaceva sepolta in mezzo alle rovine e al sangue, al di fuori del Cristianesimo; il quale, dominando, umiliando, annientando i resti delle altre religioni, sinnalz come una colonna solitaria nel centro di una citt in rovina, come un faro luminoso in mezzo ad un mare di tenebre. Barbari comerano i popoli conquistatori, e superbi dei loro trionfi, ciononostante piegavano il capo sotto la verga dei pastori del gregge di Ges Cristo; e questi uomini cos singolari per loro, che parlavano con un linguaggio superiore e divino, acquistarono sui feroci capi di quelle genti uninfluenza tanto efficace e durevole che col passare del tempo non venne mai meno. Ecco la radice del potere temporale: e ben si arriva a comprendere che, elevato il Papa sopra tutti gli altri pastori delledificio della Chiesa, come la superba cupola sulle altre parti di un tempio magnifico, il suo potere doveva allo stesso modo elevarsi al di sopra del potere temporale dei semplici vescovi e gettare altres radici pi profonde, pi vigorose, pi solide e sempre pi estese. Tutti i princpi delle leggi, tutte le basi della societ, tutti gli elementi della cultura, tutto quanto era rimasto di arti e di scienze, tutto era in mano alla religione, e come conseguenza naturale fu messo tutto sotto la tutela del soglio pontificio, essendo questo lunico potere che operava con ordine, continuit e organizzazione, lunico che presentava garanzie di stabilit e di fermezza. A guerre succedettero guerre, tumulti ad altri tumulti, a forme di governo altre forme, ma il fatto dominante, straordinario, universale, fu sempre lo stesso: ed cosa che fa veramente ridere sentire tanti declamatori chiamare serie di attentati e di usurpazioni contro il potere temporale un fenomeno cos naturale, cos inevitabile e soprattutto di cos grande utilit. Perch un potere sia usurpato bisogna che esista; e dove esisteva allora? Forse nel re, zimbello e spesso anche vittima di orgogliosi baroni; o nei signori feudali che erano in continua guerra tra loro, con i re e con i popoli? Forse nel popolo, massa di schiavi che grazie agli sforzi della religione andava lentamente emancipandosi, che riunendosi per opporsi ai signori, alzando la voce per reclamare la protezione dei re, o domandando alla Chiesa un aiuto contro le violenze e le vessazioni degli uni e degli altri, altro non era che un confuso embrione di societ, senza regole fisse, senza governo e senza leggi? Con quale onest si potuto paragonare i nostri tempi a quelli di allora, e si

voluto applicare regole sulla limitazione dellautorit, le quali regole possono essere ammesse solo in quella societ che, avendo gi sviluppati gli elementi di vita e di civilt fondate su basi ferme e durevoli, disciplinano le funzioni dei poteri sociali, entrando nei pi minuti dettagli sui limiti delle rispettive attribuzioni? Immaginare qualcosa di diverso come chiedere ordine al caos e uniformit alle onde in una burrasca. Bisognerebbe anche ricordarsi di un fatto universale e costante fondato sulla natura stessa delle cose, fatto di cui la storia di tutti i tempi e di tutti i paesi ci d continue lezioni, e che ci viene dimostrato soprattutto e in modo efficacissimo dalle rivoluzioni dei popoli moderni. Questo fatto il seguente: ogni volta che nella societ si sia generato un gran disordine, subito si presenta un principio forte per fermarlo. Comincia la lotta, si ripetono, si riaccendono, si moltiplicano gli scontri, ma infine il principio di disordine cede a quello di ordine, e colui che ha ottenuto il trionfo rimane per lungo tempo padrone nella societ. Questo principio sar pi o meno giusto, pi o meno ragionevole, pi o meno violento, pi o meno adatto a conseguire lo scopo; ma comunque esso sia, e qualunque sia, sempre prevale, purch durante la lotta non se ne presenti un altro migliore, o pi forte, da potergli subentrare. Ora, nel Medioevo questo principio era la Chiesa cristiana; ed essa era lunica che potesse esserlo perch nei suoi dogmi aveva la verit, nelle sue leggi la giustizia, nel suo governo la regolarit e la prudenza. Era lei in quel tempo lunico elemento di vita, la depositaria di quel pensiero sublime che non era n astratto, n vago, ma positivo, pratico ed applicabile, perch disceso dalla bocca di quel Signore la cui parola feconda il nulla e fa sorgere la luce dalle tenebre. Cos successe che dopo aver fatto penetrare nel cuore della societ i suoi dogmi sublimi, la Chiesa divenisse anche maestra dei costumi con la sua morale pura, caritatevole e consolatrice; e che le forme di governo e i sistemi legislativi venissero ispirati in varia misura dalla sua potente e soave influenza. Questi sono fatti e nientaltro che fatti, e se a questi ne aggiungiamo un altro, quello cio che il centro di questa religione, che con tanti legittimi titoli andava estendendo il suo benefico predominio, era nelle mani del Pontefice romano, allora molto chiaro che il potere del Pontefice dovesse inevitabilmente essere innalzato sopra tutti gli altri poteri della terra. Se dopo aver contemplato questo magnifico quadro che la semplice e fedele narrazione della storia ci mette davanti agli occhi ci si ferma a considerare i vizi di alcuni uomini, si citano eccessi, errori e difetti, patrimonio inseparabile dellumanit, si va frugando attraverso una lunga serie di oscuri secoli accumulandoli ed esponendoli tutti insieme perch colpiscano maggiormente e sorprendano la credulit e lignoranza; e si insiste sugli stessi, esagerandoli, sfigurandoli e dipingendoli con nere tinte; questo non fa altro che manifestare una vista ben corta e una scarsa conoscenza della filosofia della storia; e soprattutto significa avere uno spirito di faziosit, visuali molto basse, sentimenti meschini e miseri rancori. Bisogna dirlo a voce alta perch tutti sentano; necessario ripeterlo mille e mille volte perch nessuno lo dimentichi: non si viene meno al rispetto dei limiti, quando i limiti non esistono; non si usurpa il potere quando lo si crea; non si violano le leggi quando le si forma; non si mette scompiglio nella societ quando si sbroglia il caos in cui essa avvolta: questo ci che fece la Chiesa, questo ci che fecero i Papi (14).

CAPITOLO LXVIII falso che lunit nella fede e la libert politica siano in opposizione. Lempiet si lega, secondo le sue convenienze, alla libert o al dispotismo. Rivoluzioni moderne. Differenza tra la rivoluzione negli Stati Uniti dAmerica e quella francese. Cattivi effetti della rivoluzione francese. La libert impossibile senza la moralit. Importante passo di S. Agostino sulle forme di governo. _______________ L opposizione assoluta, che si voluta supporre tra lunit nella fede e la libert politica, uninvenzione della filosofia atea del secolo scorso.

Qualunque sia lopinione politica che si professa molto importante tenersi distanti da questa idea. E bisogna invece tener presente che la religione cattolica appartiene ad una sfera molto superiore a tutte le forme di governo, che non rigetta dal suo seno n il cittadino degli Stati Uniti, n labitante della Russia e accoglie tutti con la stessa tenerezza, che a tutti prescrive di ubbidire al governo legittimo stabilito nel proprio paese, che considera tutti come figli dello stesso Padre, come partecipi alla stessa redenzione, come eredi della stessa gloria. Ed anche importante tener presente che lirreligione fa lega con la libert o col dispotismo secondo i suoi interessi; che si compiace nel vedere una plebe furibonda incendiare le chiese e scannare i ministri del Signore, e allo stesso modo sa adulare i monarchi, esaltandone oltre misura i poteri quando essi, spogliando il clero, rovesciando la disciplina o insultando il Papa, giungono a meritarne gli elogi. Che le importa dello strumento che adopera? Purch lopera sia portata ad effetto vanno tutte bene. Sar realista se potr dominare lanimo dei re, espellere i gesuiti dalla Francia, dalla Spagna e dal Portogallo e perseguitarli in tutti gli angoli della terra senza dar loro n tregua n riposo; sar liberale quando vi siano delle assemblee che esigano dal clero giuramenti sacrileghi, e mandino in esilio o al patibolo i ministri sacri fedeli ai loro doveri. Bisogna aver dimenticato la storia, bisogna aver chiusi gli occhi ad una recente esperienza, per non conoscere la verit e lesattezza di queste mie affermazioni. Con la religione e la morale tutte le forme di governo possono andare avanti; senza di esse nessuna. Un monarca assoluto, imbevuto delle idee religiose, circondato da consiglieri di sana dottrina, regnando su un popolo dove tali dottrine non cessino di dominare, pu fare la felicit dei suoi sudditi, e la far senza alcun dubbio per quanto lo permettono le circostanze del luogo e del tempo. Un monarca empio, o diretto da consiglieri emp, far tanto pi danno quanto pi ampi saranno i suoi poteri. Sar da temere pi della stessa rivoluzione, perch concepir meglio i suoi disegni e li eseguir con maggiore rapidit, con meno ostacoli, con pi apparenza di legalit, con pi pretesti di convenienza pubblica, e di conseguenza con maggior garanzia di esito positivo e immutabilit del risultato ottenuto. Le rivoluzioni hanno provocato certamente molti danni alla Chiesa; ma non sono minori quelli che le hanno causato quei monarchi che si sono abbandonati alla persecuzione. Un capriccio di Enrico VIII stabil in Inghilterra il Protestantesimo; la cupidigia di altri prncipi produsse lo stesso effetto nei paesi del Nord; e ai giorni nostri un decreto dellautocrate di Russia costringe milioni di anime a vivere nello scisma. Ne deriva allora che la monarchia non da preferire se non religiosa: lirreligione, siccome immorale per natura, per natura tende allingiustizia, e di conseguenza alla tirannia. Se giunge a sistemarsi su un trono assoluto, o domina la mente di chi loccupa, i suoi poteri non avranno pi limiti; ed io non conosco cosa pi orribile dellonnipotenza dellempiet. La democrazia europea negli ultimi tempi si distinta in modo deplorevole per i suoi attentati criminali contro la religione; la qual cosa invece di favorirne la causa le ha causato un danno incredibile. Perch si pu concepire che un governo sia pi o meno folto quando nella societ c la virt, la morale, la religione; ma in mancanza di queste impossibile. In tal caso non c altro sistema di governo che il dispotismo e limpiego della forza, perch questa lunica che pu governare gli uomini senza coscienza e senza Dio. Se riflettiamo sulle differenze che passano tra la rivoluzione degli Stati Uniti dAmerica e la rivoluzione francese ci accorgeremo che una delle pi importanti consiste nel fatto che la prima stata democratica per essenza, la seconda essenzialmente empia. Nei manifesti con cui la prima diede inizio allinsurrezione si leggono dappertutto i nomi di Dio e della Provvidenza; gli uomini che si accinsero allimpresa pericolosa di emanciparsi dalla Gran Bretagna non bestemmiavano il Signore, ma anzi ne invocavano laiuto ben persuasi che la causa dellindipendenza la causa della ragione e della giustizia. In Francia invece si cominci col fare lapoteosi dei corifei dellirreligione, si rovesciarono gli altari, sinondarono le chiese, le vie e i patiboli del sangue dei sacerdoti, si mostr ai popoli come emblema della rivoluzione lateismo che stringe la mano alla libert. Questa demenza ha prodotto i suoi frutti: il fatale contagio si propagato alle altre rivoluzioni degli ultimi

tempi, il nuovo ordine di cose stato inaugurato con attentati sacrileghi, e la proclamazione dei diritti delluomo ha dato inizio alla profanazione dei templi di quel Dio da cui derivano tutti i diritti. vero che i moderni demagoghi non hanno fatto altro che imitare i loro predecessori: i Protestanti, gli Ussiti e gli Albigesi. Con la sola differenza che ai tempi nostri lempiet si manifestata apertamente accanto alla sua degna compagna, la democrazia di sangue e di fango, mentre anticamente questultima era associata al fanatismo delle stte. Le dottrine dissolutrici del Protestantesimo resero necessario un potere pi forte, portarono alla rovina le antiche libert ed obbligarono lautorit a restare continuamente allerta e pronta a colpire. Indebolita linfluenza del Cattolicesimo, fu necessario riempirne il vuoto con lo spionaggio e con la forza. Non dimenticate questo fatto, voi che fate la guerra alla religione in nome della libert; non dimenticate che le stesse cause producono gli stessi effetti; che se non esistono le influenze morali, bisogner supplire con la forza fisica; che se togliete ai popoli il dolce freno della religione, non lasciate altri mezzi di governo che la vigilanza della polizia e lacciaio delle baionette. Meditate e regolatevi. Prima del Protestantesimo la civilt europea, posta sotto legida della religione cattolica, tendeva indubbiamente verso quellarmonia universale la cui mancanza ha portato alla necessit dimpiegare ingenti forze militari. Lunit della fede disparve, e cos vennero introdotte la corruzione del pensiero e la discordia religiosa; in alcune parti si distrusse e in altre sindebol linfluenza del clero, e cos si ruppe lequilibrio delle classi e divenne inutile quella che per sua natura era destinata ad essere la mediatrice; sindebol il potere dei Papi, e cos si tolse ai popoli ed ai governi un freno soave che li moderava senza rovesciarli e li correggeva senza umiliarli. Il risultato fu che i re e i popoli rimasero faccia a faccia senza una classe che avesse lautorit dinterporsi per evitare i contrasti, e senza un giudice amico di tutti che, non parteggiando per nessuno, ponesse fine alle discordie. Il governo allora cerc un appoggio nelle armate, che allora venivano normalmente impiegate, ed il popolo lo trov nelle insurrezioni. E non ha nessun valore dire che nelle nazioni dove prevalse il Cattolicesimo accadde in politica qualcosa di simile che nei paesi protestanti; certamente anche tra i Cattolici gli avvenimenti non seguirono quellandamento naturale che avrebbero seguito se non fosse sopraggiunta la malaugurata riforma. La civilt europea per svilupparsi perfettamente aveva bisogno di conservare quellunit da cui aveva avuto origine; non poteva avere altro mezzo per stabilire larmonia tra i vari elementi che nutriva in seno. Appena disparve lunit nella fede venne meno lomogeneit; da quel momento ogni nazione si vide costretta ad organizzarsi nel modo pi conveniente, non soltanto riguardo alle necessit interne, ma anche tenendo conto dei princpi che regnavano nelle altre nazioni, dalla cui influenza era molto importante cautelarsi. Credete forse che la politica del governo spagnolo, difensore della causa cattolica contro potenti nazioni protestanti, non dovesse risentire fortemente delle circostanze eccezionali e sommamente pericolose in cui si trovava la Spagna? Credo di aver dimostrato che la Chiesa non si mai opposta allo sviluppo legittimo di qualsiasi forma politica, che ha preso tutti i governi sotto la sua protezione, e che di conseguenza una vera calunnia dire, come tanti dicono, che la Chiesa per sua natura nemica delle istituzioni popolari. Ho dimostrato anche, e in modo da non lasciare dubbi, che le stte separate dalla Chiesa cattolica istigando una democrazia empia o accecata dal fanatismo. Invece di contribuire a creare una giusta e ragionevole libert misero i popoli nellalternativa di optare tra un abuso sfrenato della stessa libert e il potere illimitato della suprema autorit. Questa lezione della storia viene confermata dallesperienza, e non sar smentita neanche in futuro. Luomo tanto pi degno di libert quanto pi religioso e morale; poich in questo caso ha meno bisogno di un freno esterno avendone uno fortissimo nella propria coscienza. Un popolo irreligioso ed immorale ha necessit di tutori che dirigano i suoi interessi; egli abuser sempre dei suoi diritti, e otterr come conseguenza che gli verranno tolti. SantAgostino aveva compreso in modo meraviglioso queste verit, e in poche parole spiega con somma saggezza le condizioni necessarie per le diverse forme di governo. Il santo Dottore afferma che quelle popolari saranno adatte se il popolo morigerato e di retta coscienza; ma se fosse

corrotto, ci vorr o laristocrazia ristretta a pochi, o la monarchia. Sono sicuro che si legger con molto piacere questo passo importante che in forma di dialogo si trova nel lib. 1 Del libero arbitrio, cap. 6: Agostino Gli uomini e i popoli hanno forse una natura tale da non poter n morire n mutare, s da essere addirittura eterni? Evodio chi ha mai dubitato che siano mutevoli e soggetti allazione del tempo? Agostino Dunque se il popolo moderato e saggio, ed anche custode diligente del comune benessere in modo che ognuno preferisca linteresse pubblico al proprio, non forse vero che sar una cosa buona stabilire per legge che il popolo elegga i propri magistrati per lamministrazione della repubblica? Evodio S, certamente. Agostino Ma se il medesimo popolo arriva a pervertirsi talmente che i cittadini pospongano il pubblico bene al privato, se vende i voti, se corrotto dagli ambiziosi mette il governo della repubblica in mano ad uomini malvagi e rei della sua stessa risma, non forse vero che se c una persona potente e di retta coscienza, essa far bene a togliere al popolo il potere di conferire le cariche, e concentrare questo diritto nelle mani di poche persone oneste o anche di una sola? Evodio Non c dubbio. Agostino E queste leggi, sembrando tanto opposte fra loro che una d al popolo il potere di conferire le cariche, e laltra glielo toglie; ed essendo impossibile che tutte e due siano in vigore nello stesso tempo, dovremmo dunque dire che una di esse sia ingiusta, e che non doveva essere promulgata? Evodio In nessuna maniera. Ecco detto tutto in poche parole: possono essere legittime, ed anche opportune, sia la monarchia, che laristocrazia o la democrazia? S. Cos che ci deve far decidere su questa legittimit e convenienza? Il diritto vigente e le condizioni del popolo al quale vanno applicate queste forme. Quella che prima andava bene, pu diventare non pi adatta? Certamente, perch tutte le cose umane vanno soggette a mutazione. Queste riflessioni tanto salde quanto semplici preservano da qualunque eccessivo entusiasmo per questa o per quella forma politica. Non una questione di pura teoria, ma bens di prudenza; e la prudenza non emette il suo giudizio se non dopo aver considerato con matura riflessione tutte le circostanze. Nella dottrina di santAgostino domina sempre il principio che ho riferito sopra; cio la necessit di grandi virt e di molto disinteresse nei governi liberi. Meditino bene le parole dellinsigne Dottore coloro che vogliono fondare la libert politica sulla distruzione di tutte le dottrine. E come volete che il popolo eserciti ampi diritti, se fate in modo di renderlo incapace, traviandone le idee e corrompendone i costumi? Affermate che nelle forme rappresentative attraverso le votazioni vengono elette la ragione e la giustizia che poi vanno ad operare nellambito del governo; e com allora che non vi date alcun pensiero che questa giustizia e questa ragione siano presenti nella societ da cui si dovrebbero tirar fuori? Voi seminate vento, e per questo raccogliete tempeste; per questo invece di modelli di saggezza e di prudenza voi presentate ai popoli scene di scandalo. Non ci venite a dire che parlando in questo modo condanniamo il secolo, perch il secolo va avanti malgrado noi: noi non rigettiamo ci che c di buono, ma non possiamo fare a meno di condannare il male. Il secolo va avanti, non c dubbio , ma n voi n noi sappiamo dove vada. Noi Cattolici sappiamo soltanto una cosa senza che per questo sia necessario essere profeti: che con uomini cattivi non si pu formare una societ buona; che gli uomini immorali sono cattivi; che mancando la religione, la morale non ha pi base. Fermi nelle nostre credenze vi lasceremo tentare varie forme, cercare palliativi al male ed ingannare linfermo con belle parole; le sue continue convulsioni e il continuo star male manifestano la vostra impotenza; e beato lui se si mantiene ancora nella sua inquietudine, indizio sicuro che non ne avete ancora conquistata la piena fiducia. Che se un giorno arrivaste ad ispirargliela s che si dovesse sentire tranquillo tra le vostre

braccia, quello stesso giorno si potrebbe dare per certo che ogni carne ha corrotto la sua strada; in quello stesso giorno si potrebbe temere, Dio non voglia, che luomo venga cancellato dalla faccia della terra.

CAPITOLO LXIX Il Cattolicesimo nei suoi rapporti con lo sviluppo dellintelletto. Si esamina linfluenza del principio di sottomissione allautorit. Si ricerca quali ne siano gli effetti riguardo a tutte le scienze. Confronto tra gli antichi e i moderni. Dio. Luomo. La societ. La natura. _______________ stato accuratamente dimostrato nel corso dellopera che la falsa riforma non ha per niente contribuito al miglioramento n dellindividuo n della societ; e da ci logico dedurre che neanche lo sviluppo delle conoscenze sia ad essa debitore. Ci nonostante non voglio lasciare questultima affermazione allo stato di semplice deduzione perch ritengo che sia possibile chiarirla con precisione. Si pu iniziare la disamina andando direttamente a cercare i vantaggi che il Protestantesimo avrebbe procurato ai vari rami dellumano sapere, senza timore che al Cattolicesimo ne venga alcun danno. Quando si tratta di esaminare cose che per loro natura contengono tante e diverse relazioni, non basta pronunciare alcuni nomi illustri o citare enfaticamente un fatto o laltro: in questo modo la questione non posta sul suo vero terreno e non viene prospettata nel modo giusto. Se rimane circoscritta in un piccolo mbito non pu mostrarsi in tutta la sua estensione e variet; e se la si fa vagare in uno spazio non ben definito, a chi non possiede uno sguardo penetrante essa presenta una certa universalit, elevazione e volo ardito, mentre invece non fa altro che ondeggiare con incertezza senza una fissa direzione e in bala di ogni genere di contraddizione. E allora se si vuole esaminare la questione come merita sar necessario, secondo il mio parere, affrontare il principio cattolico e quello protestante e indagarne i pi reconditi recessi per vedere fino a che punto vi si possa trovare qualcosa che aiuti od ostacoli lo sviluppo dello spirito umano. Ma dopo questo esame losservatore non sar ancora soddisfatto, e dovr fare qualcosa di pi. Dovr scorrere la storia del sapere e fermarsi in modo particolare su quelle epoche in cui linflusso del principio di cui si vogliono conoscere le tendenze e gli effetti ha potuto prevalere. Sar qui che, se si prescinder da casi strani ed eccezionali che non provano nulla n a favore n contro e da quei fatti che per la loro piccolezza od unicit influiscono punto sul corso degli avvenimenti, se si sollever lo sguardo alla giusta altezza con spirito di osservazione e col desiderio sincero di trovare la verit, si scoprir se le considerazioni filosofiche vanno daccordo con i fatti, e il problema sar perfettamente risolto. Uno dei princpi fondamentali del Cattolicesimo, che anche una delle sue caratteristiche distintive, la sottomissione dellintelletto allautorit in materia di fede. Questo il punto contro cui sono stati sempre diretti gli attacchi dei Protestanti, e lo sono tuttora; la qual cosa pi che naturale, perch essi professano come principio fondamentale e costitutivo la resistenza allautorit; e tutti gli altri loro errori non sono altro che tanti corollari che derivano da questo principio corrotto. Se nel Cattolicesimo si scopre qualcosa che impedisce al nostro spirito di rinnovarsi e di elevarsi, dobbiamo ritrovarlo senza alcun dubbio nel principio di sottomissione allautorit: ad esso dovremo addebitarne la colpa, se verr stabilito che la religione cattolica ne abbia alcuna. Non si pu negare che chiunque senta parlare della sottomissione dellintelligenza ad unautorit, chiunque senta pronunciare questa parola, se non se ne spiega il vero senso e non si determinano gli oggetti ai quali rivolta potr pensare che in essa vi sia qualcosa che si opponga allo sviluppo della conoscenza. E se siete rispettosi della dignit delluomo, se siete entusiasti dei progressi scientifici, se vi gradito vedere lo spirito umano alzarsi in volo per mostrare il suo vigore, la sua agilit e il suo ardire, non potrete fare a meno di sentire una certa avversione per un principio che, impedendo

il volo della mente e lasciandola come un debole uccello annaspante, sembra condurre alla schiavit. Ma se esaminando il principio qual in s, se applicandolo a tutti i campi scientifici e osservando quali siano i punti di contatto che ha con essi si trover che questi timori e sospetti sono infondati, cosa rester allora di vero delle calunnie a cui stato sottoposto il Cattolicesimo? Quanto invece si scoprir dinsulso e puerile nelle invettive che a questo proposito le sono state rivolte? E allora esaminiamo a fondo questa difficolt, affrontiamo il principio cattolico studiandolo con locchio di una filosofia che non sia di parte. Portiamolo subito con noi a fare il giro di tutte le scienze e interroghiamo la testimonianza dei pi grandi uomini. E se scopriremo che questo principio si sia opposto al vero sviluppo di qualche ramo del sapere; e se andando a interrogare nelle loro tombe i pi celebri ingegni, questi sollevando il capo dal sepolcro ci diranno che il principio di sottomissione allautorit ne blocc lintelletto, ne oscur linventiva o ne inarid il cuore, in tal caso riconosceremo ai Protestanti la fondatezza delle accuse che per questo motivo rivolgono continuamente alla religione cattolica. Dio, luomo, la societ, la natura, lintera creazione: ecco gli oggetti di cui pu occuparsi il nostro spirito: non opportuno allontanarsi da questo campo, perch infinito, ed anche perch fuori di esso non c pi nulla. Il progresso della conoscenza di Dio, delluomo, della societ, della natura non imbarazza minimamente il principio cattolico: in nulla lo impedisce, in nulla gli si oppone; lungi dal recargli danno, pu considerarsi come un gran faro che invece di opporsi alla libert del navigante gli serve piuttosto di guida perch non perda la rotta nelle tenebre della notte. Cosa mai potr trovarsi nel principio cattolico che si opponga al volo dellumano intelletto in tutto ci che appartiene alla Divinit? Non potranno certo dire i Protestanti che ci sia qualcosa da correggere nellidea che la religione cattolica d di Dio. Essi sono daccordo con noi che lidea di un Essere eterno, immutabile, infinito, creatore del cielo e della terra, giusto, benefico, santo, che premia il bene e punisce il male, sia lunica che possa presentarsi come ragionevole allintelletto delluomo. La religione cattolica unisce a questidea un mistero inimmaginabile, profondo, ineffabile, coperto con cento veli agli occhi del debole mortale: laugusto arcano della Trinit. Ma riguardo a questo i Protestanti non possono rinfacciare nulla ai Cattolici, a meno che non vogliano dichiararsi apertamente partigiani di Socino. I Luterani, i Calvinisti, gli Anglicani e molte altre stte condannano come noi coloro che negano laugusto mistero: e qui si osservi che Calvino fece bruciare vivo a Ginevra Michele Serveto per le dottrine eretiche che costui diffondeva sulla Trinit. Non ignoro i danni che il socinianesimo ha provocato nelle chiese separate, dove lo spirito privato e il diritto di libero esame in materia di fede trasformano i Cristiani in filosofi atei; ma questo non toglie che il mistero della Trinit sia stato rispettato per lungo tempo dalle principali stte protestanti, e che lo sia tuttora, almeno in apparenza, nella maggior parte di esse. Oltretutto io non riesco a capire quale possa essere lostacolo che questo mistero ponga alla ragione nelle sue contemplazioni sulla Divinit. Le vieta forse di spaziare in un immenso orizzonte? Restringe ed oscura quel mare di Essere e di Luce che racchiuso nella parola Dio? Quando lo spirito umano, sollevandosi al di sopra della realt creata e liberandosi per alcuni momenti dal corpo che lo grava, si abbandona a sublimi meditazioni sullEssere infinito, creatore del cielo e della terra, laugusto mistero forse gli si fa avanti per fermarlo od ostacolarlo? Lo dicano glinnumerevoli volumi scritti sulla Divinit: essi sono una testimonianza eloquente ed indiscutibile della libert che rimane allintelletto delluomo, ovunque domini la religione cattolica. Le dottrine cattoliche sulla Divinit si possono considerare sotto due aspetti: in quanto si riferiscono ai misteri che superano lintelligenza umana; o in quanto cinsegnano ci che a portata della ragione. Il primo aspetto situato in una sfera cos alta, e si riferisce a oggetti talmente superiori ad ogni pensiero creato, che la ragione, anche se si abbandonasse alle indagini pi estese, pi profonde e nello stesso tempo pi libere, non potrebbe mai, senza la rivelazione, concepire la pi remota idea di misteri tanto ineffabili. Non potranno mai essere dintralcio luna allaltra quelle cose che non sincontrano perch appartengono a realt del tutto diverse e che si trovano ad unimmensa distanza tra loro. Lintelletto pu meditare sopra una di esse, anche inabissarvisi, senza

pensare allaltra: lorbita della luna, che ha a che fare con quella dellastro che gira nella pi lontana regione delle stelle fisse? Temete forse che la rivelazione di un mistero limiti lo spazio dove pu estendersi la vostra ragione? O di rimanere soffocati dalla limitatezza del luogo quando divagate per limmensit? Manc forse un vastissimo spazio al genio di Cartesio, di Gassendo e di Malebranche? Si lamentarono mai che la loro intelligenza si trovasse limitata e ristretta? E come potevano farlo, se non solamente essi, ma tutti i dotti moderni che hanno trattato della Divinit non possono fare a meno di ammettere che vanno debitori al Cristianesimo dei pi alti e sublimi pensieri con cui hanno arricchito le loro opere? Quando gli antichi filosofi ci parlano della Divinit restano ad unimmensa distanza dal minimo dei nostri teologi e metafisici; lo stesso Platone, cosa sar mai se lo confrontiamo a Granata, a Luigi di Leone, a Fenelon o Bossuet? Prima che apparisse sulla terra il Cristianesimo, e prima che la fede della cattedra di San Pietro si fosse impadronita del mondo, essendo state dimenticate le primitive nozioni sulla Divinit lintelligenza umana divagava in bala di mille mostruosit e di mille errori; e sentendo la necessit di un Dio metteva al suo posto i parti della propria fantasia. Dacch apparve per quellineffabile splendore che, scendendo dal seno del Padre dei lumi, d luce a tutta la terra, le idee sulla Divinit sono rimaste cos salde, cos chiare, cos semplici, e nel medesimo tempo cos grandi e sublimi, che hanno espanso la ragione umana, hanno sollevato il velo che copriva lorigine delluniverso, hanno annunciato quale ne fosse il destino, ed hanno data la chiave per la spiegazione di tanti prodigi quanti ne vede luomo in se stesso e in tutte le cose che lo circondano. I Protestanti sentirono la forza di questa verit: il loro odio contro tutto ci che proveniva dai Cattolici degenerava in fanatismo; ma per ci che riguarda lidea di Dio, generalmente parlando, si pu dire che la rispettarono. Questo il punto in cui si fece meno sentire lo spirito innovatore: non poteva essere diversamente! Il Dio dei Cattolici era troppo grande perch gli potesse essere sostituito un altro Dio: Newton e Leibnitz, abbracciando nei loro calcoli e meditazioni il cielo e la terra, non trovarono nullaltro da dire sullAutore di tante meraviglie fuor che quello che era stato gi detto in precedenza dalla religione cattolica. Felici i Protestanti, se in mezzo ai loro traviamenti avessero almeno conservato questo prezioso tesoro; se seguendo fedelmente le orme dei loro predecessori avessero rigettato quella mostruosa filosofia che minacciava di riesumare tutti gli errori antichi e moderni, incominciando col sostituire quel deforme panteismo al Dio sublime dei Cristiani. Ne siano avvertiti quei Protestanti che professano amore per la verit e hanno cura dellonore della loro comunione per il bene della loro patria e per lavvenire del mondo! Se il panteismo dovesse arrivare a prevalere non sar la filosofia spiritualista quella che uscir trionfante, bens la materialista. Invano i filosofi tedeschi si abbandonano allastrazione e allenigma, invano condannano la filosofia sensualista del secolo passato: un Dio confuso con la natura non Dio; un Dio che sidentifica con tutto un nulla; il panteismo lapoteosi delluniverso, cio la negazione di Dio. La piega che vanno prendendo gli spiriti in diversi paesi dEuropa, e particolarmente in Germania, suggerisce dolorose riflessioni. I Cattolici avevano avvertito che chi avesse iniziato ad opporsi allautorit negando un dogma avrebbe finito col negarli tutti, col precipitarsi nellateismo; e il percorso che hanno seguito le idee negli ultimi tre secoli ha confermato pienamente la previsione. Cosa incredibile! La filosofia tedesca si accinse a promuovere una reazione contro la scuola materialista, e con tutto il suo spiritualismo ha finito col diventare panteista. Pare che la Provvidenza abbia voluto rendere sterile per la ricerca della verit quel secolo da cui uscirono gli araldi dellerrore. Fuori della Chiesa tutto stordimento, tutto delirio. Si abbracciano alla materia e si fanno atei! Divagano per regioni ideali, vanno in cerca dello spirito, e si fanno panteisti! proprio vero che Dio ha sempre in orrore lorgoglio e ripete il tremendo castigo della confusione di Babele. Questo un trionfo per la religione cattolica, ma un ben triste trionfo! Unaltra cosa che non comprendo come possa il Cattolicesimo fermare il volo dellintelletto su ci che riguarda lo studio delluomo. Su questa materia cosa esige da noi la Chiesa? Qual

linsegnamento che ci d? Qual il luogo dove sono contenute le dottrine alle quali ci viene proibito di opporci? I filosofi si sono divisi in due scuole: quella dei materialisti e quella degli spiritualisti. I primi affermano che la nostra anima non che una parte di materia la quale, modificata in una certa maniera, produce dentro di noi ci che chiamiamo pensare e volere. I secondi pretendono che le attivit che svolgono il pensiero e la volont sono incompatibili con linerzia della materia; e che ci che divisibile, ci che costituito di molte parti, e quindi di molti esseri, non compatibile con la semplice unit, la quale si deve trovare necessariamente nellessere che pensa, che vuole, che rende conto a se stesso di tutto, e che possiede il profondo sentimento di un io; e cos sostengono che lopinione contraria falsa ed assurda, e lo provano con ogni specie di ragionamenti. La Chiesa cattolica, intervenendo nella contesa, ha detto: Lanima delluomo non corporea, ma uno spirito; chi vuole essere Cattolico non pu essere materialista. Domandate per alla Chiesa qual il sistema con cui devono spiegarsi le idee, le sensazioni, gli atti della volont, i sentimenti delluomo; domandateglielo e vi risponder che siete in piena libert di pensare su questo fatto quel che vi sembrer pi ragionevole: il dogma non scende alle questioni di dettaglio, le quali appartengono a quel mondo che Dio ha lasciato alle controversie degli uomini. Prima che il Vangelo portasse la sua luce le scuole dei filosofi erano immerse nelle tenebre della pi profonda ignoranza sulla nostra origine e sul nostro fine; nessuno di essi sapeva come spiegare quelle mostruose contraddizioni che si osservano nelluomo; nessuno riusciva ad assegnare la causa di quella mescolanza informe di grandezza e di meschinit, di bont e di malizia, di sapere e dignoranza, di elevazione e di abiezione. Venne la religione e disse: Luomo opera di Dio; il suo fine quello di unirsi a Dio per sempre; la terra per lui un esilio; egli adesso non come usc dalle mani del Creatore; tutto il genere umano sopporta le conseguenze di una grande caduta. Ed io sfido tutti i filosofi antichi e moderni a dimostrarmi che lobbligo di credere a tutte queste cose sia in opposizione ai progressi della vera filosofia. tanto lontano il dogma cattolico dal contrastare minimamente i progressi filosofici che, al contrario, esso la feconda semente di tutti. Non poco, quando si tratta di fare progressi in qualche scienza, avere un punto sicuro e fisso intorno al quale possa girare lintelletto. Non cosa da poco quella di poter evitare fin dallinizio una serie di questioni dai cui labirinti non si uscirebbe mai, oppure si uscirebbe per cadere in assurdit peggiori. Non cosa da poco, se si vogliono esaminare queste stesse questioni, trovarle gi risolte in ci che c di pi importante, sapere dov la verit e dove il pericolo di perdere la strada. In queste condizioni il filosofo come quelluomo il quale, sicuro che in un certo luogo esiste una miniera, non perde tempo inutile per scoprirla; ma recatosi subito sul posto mette a profitto fin da principio tutte le sue ricerche e le sue fatiche. Questo il motivo dellimmenso vantaggio che i moderni filosofi hanno sugli antichi, i quali camminavano a tentoni nelle tenebre mentre quelli moderni camminano con passo fermo e sicuro illuminati da unintensa luce e andando direttamente verso lo scopo. Non importa che dicano ogni momento che prescindono dalla rivelazione; non importa che talvolta la guardino con disprezzo o addirittura la combattano apertamente: anche in questo caso la religione li illumina e ne dirige i passi cos che non dimenticano i mille concetti luminosi che hanno appresi dalla religione, concetti che hanno trovato nei libri, appreso nei catechismi, succhiato col latte; concetti che sono sulla bocca di tutti, che si sono diffusi dappertutto, e che impregnano, per cos dire, latmosfera che respiriamo come un elemento vivificante e benefico. Quando i moderni rigettano la religione, portano ben lontano la loro ingratitudine, perch nel momento stesso che linsultano, approfittano dei suoi benefci. Non questo il posto dove entrare nei dettagli su questa materia: sarebbe facile portare una quantit di prove a conferma di quanto ho detto: mi basterebbe aprire il libro di un qualunque filosofo tra quelli moderni e farne il confronto con gli antichi. Ma un simile lavoro non sarebbe sufficiente per coloro che non sono versati in tali materie, e sarebbe inutile per quelli che vi si sono applicati. Affido con la massima fiducia la questione allintelligenza di coloro che giudicano in

modo imparziale, e sono certo che converranno con me che ogni volta che i filosofi moderni parlano delluomo con dignit e verit, nel loro linguaggio si trova sempre leco delle idee cristiane. Se tale linfluenza del Cattolicesimo riguardo alle scienze che limitandosi allordine puramente speculativo lasciano risaltare con maggior vigoria lingegno del filosofo; se rispetto a queste scienze invece di limitare in qualcosa lampiezza dellintelletto, lo dilata oltremisura; se lungi dal deprimerne il volo, non fa che innalzarlo rendendolo pi sicuro dandogli maggiore ardimento e preservandolo dal divagare e dal traviarsi; che diremo allora se parliamo delle scienze morali? Tutti i filosofi messi insieme, cosa hanno mai scoperto nel campo morale che gi non si trovi nel Vangelo? Quale dottrina supera in purezza, in santit, in elevazione quella che viene insegnata dalla religione cattolica? A questo punto bisogna rendere giustizia ai filosofi, ed anche a quelli che sono pi avversi alla religione cristiana: ne hanno attaccato i dogmi, si son fatti beffe della sua divinit; ma quando hanno parlato della morale le hanno portato rispetto: non so qual forza segreta li abbia costretti a fare una confessione che doveva costar loro molto: S hanno detto tutti non si pu negare, la sua morale eccellente. Nel Cattolicesimo vi sono alcuni dogmi che non si pu dire che appartengano direttamente n a Dio, n alluomo, n alla morale, nel senso che diamo comunemente a questa parola. chiaro che essendo la religione cattolica una religione rivelata, di un ordine molto superiore a quanto pu essere concepito dallintelletto umano e destinata a condurci ad un fine che non potremmo n conseguire n forse neanche immaginare con le nostre sole forze; e partendo oltretutto dal principio che la natura decaduta e corrotta e che di conseguenza ha bisogno di riparazione e purificazione; considerando tutto questo chiaro che la religione cattolica doveva contenere alcuni dogmi i quali insegnassero il modo con cui erano avvenute in generale, e con cui avvengono in particolare, la detta riparazione e purificazione, e spiegassero quali siano i mezzi di cui Dio ha voluto servirsi per condurre gli uomini alla felicit eterna. Ed ecco i dogmi dellIncarnazione, della Redenzione, della Grazia e dei Sacramenti. Essi abbracciano un vasto campo, e le relazioni che hanno con Dio e con gli uomini sono molto estese: e su questi dogmi la fede della Chiesa cattolica ed stata sempre immutata. E si noti bene, che nonostante tanta ampiezza non c alcun punto in cui possa dirsi che impediscano la libera azione dellintelletto per ogni genere di ricerche. Il motivo quello che ho gi indicato: tutti coloro che hanno fatto uno studio comparativo delle scienze filosofiche e teologiche avranno potuto osservare che riguardo agli estremi da me indicati, la teologia va per una strada tanto diversa e tanto superiore che sfiora appena lambiente filosofico. Sono due orbite, ambedue grandi, immense, ma che nellimmensit dello spazio occupano posti molto distanti luno dallaltro. Luomo talvolta cerca di avvicinarle, vuole che si tocchino, che sincrocino; vuole che un raggio di luce terrena penetri in quella regione di arcani incomprensibili. Ma sa a malapena come farlo: sente egli stesso la sua debolezza, e lo sentirete ammettere che parla per congruenze e analogie, non avendo altro modo di farlo capire meglio. E la Chiesa lo tollera in grazia della sua buona volont, e talvolta lo stimola anche a farlo, affinch, per quanto possibile, i dogmi incomprensibili si avvicinino un poco alla capacit di comprensione della gente. I filosofi, dopo aver tanto parlato sugli attributi della Divinit e sulle relazioni delluomo con Dio, hanno trovato qualcosa col quale opporsi a questi dogmi del Cattolicesimo? Hanno mai urtato contro di essi come contro un ostacolo che non permettesse loro di andare avanti nelle ricerche? Nella rivoluzione filosofica promossa da Cartesio nel diciassettesimo secolo vi da notare un fatto singolare che sparge molta luce sulla materia. nota la dottrina della religione cattolica riguardo allaugusto mistero dellEucaristia; si sa ugualmente in che consista il dogma della transustanziazione, e che molti teologi per spiegare il fenomeno soprannaturale che accade dopo la consumazione del miracolo, ricorrevano agli accidenti e alla distinzione di questi dalla sostanza. La teoria di Cartesio e di quasi tutti i filosofi moderni era incompatibile con questa spiegazione, perch negavano lesistenza degli accidenti come distinti dalla sostanza; e per questo motivo sembrava che dovesse conseguirne qualche imbarazzo per la dottrina cattolica, e che la Chiesa venisse costretta ad entrare in lotta contro questi sistemi filosofici. forse accaduto cos? No: esaminata a fondo la

questione, si riconosciuto che il dogma cattolico era in una realt molto pi alta a cui non potevano arrivare le vicende di quella dottrina filosofica che pure sembrava che gli stesse molto vicino. E per quanto abbiano disputato i teologi, per quanti rimproveri si siano fatti gli uni gli altri, per quante conseguenze abbiano voluto tirare dalla nuova dottrina onde presentarla come pericolosa, la Chiesa si dimostrata aliena da tali dispute, superiore ai pensieri degli uomini, e si mantenuta in quellattitudine grave, maestosa ed inalterabile che si addice cos bene alla custode del sacro deposito che le fu affidato da Ges Cristo. Questa la libert che la Chiesa lascia ai filosofi onde spaziare con lingegno per tutte le materie; non ha bisogno di andare sempre con restrizioni e condizioni; i sacri dogmi di cui depositaria si trovano in una regione tanto sublime, che a fatica luomo pu incontrarli qualora nelle sue ricerche non voglia allontanarsi dal sentiero della vera filosofia. Per la ragione delluomo, che tanto grande ma nello stesso tempo tanto debole, talvolta si gonfia troppo ed alza orgogliosa la fronte arrogante ed offensiva: in nome della libert e dellindipendenza reclama il diritto di bestemmiare Dio, di negare alluomo il libero arbitrio e allanima la spiritualit, limmortalit e la sublimit dellorigine e del fine. E allora s, lo diciamo con orgoglio, la Chiesa alza la voce: non per opprimere, non per tiranneggiare lintelletto delluomo, ma per difendere i diritti dellEssere supremo e della dignit umana. Allora si oppone con fermezza inflessibile a quella libert insensata che consiste nel funesto diritto di formulare ogni sorta di stravaganze. Questa libert noi Cattolici non labbiamo, ma neppure la vogliamo, perch sappiamo che anche in queste materie vi un sacro limite che distingue la libert dalla licenza. Beata schiavit! Che cimpedisce dessere atei o materialisti, di dubitare che lanima nostra viene da Dio e si dirige a Dio, e che dopo i patimenti che opprimono in questa vita lo sfortunato mortale, fa s che unaltra vita eternamente felice lo attenda grazie ai meriti di un Uomo Dio. In quanto alle scienze che hanno per oggetto la societ credo di potermi dispensare dal difendere la religione cattolica dallaccusa di opprimere lintelletto umano. Perch le molte considerazioni che ho esposte in modo pi chiaro della luce del sole riguardanti le dottrine e linfluenza che riguardano la natura e lestensione dellautorit, e sulla libert civile e politica dei popoli, dimostrano che la religione cattolica, senza scendere nellarena delle passioni e delle meschinit in cui si agitano gli uomini, insegna la dottrina pi conveniente alla vera civilt e alla vera libert delle nazioni. Dir ora una parola sulle relazioni del principio cattolico con tutto ci che riguarda lo studio della natura. Per la verit non cos facile capire in cosa il detto principio possa danneggiare il progresso dello spirito umano nelle scienze naturali. Dico che non cos facile capirlo, e potrei aggiungere che anche impossibile: e tutto questo per una ragione semplicissima fondata su un fatto che alla portata di tutti, cio che la religione cattolica estremamente prudente in tutto ci che appartiene a cognizioni puramente naturali. Si direbbe che Dio volle dare una lezione severa alla nostra eccessiva curiosit: leggete la Bibbia e rimarrete convinti di questo fatto. Non che nella Bibbia non si parli della natura, ma ce la presenta sotto laspetto pi bello, grande e sublime; viene offerta al nostro sguardo tutta insieme, tutta animata, con le sue grandi relazioni e con i suoi alti fini, ma senza analisi e senza alcun genere di separazione: il pennello del pittore e la fantasia del poeta vi troveranno modelli magnifici, ma il filosofo che scruta cercher invano gli indizi che desidera. Lo Spirito Santo non ha inteso fare dei naturalisti, ma uomini virtuosi; e per questo ci presenta i portenti della creazione solamente sotto laspetto pi adatto a suscitare in noi lammirazione e la gratitudine verso lAutore di tante meraviglie e di cos grandi benefci. La natura cos come viene mostrata nel sacro Testo soddisfa poco la curiosit filosofica mentre ricrea e ingrandisce la fantasia, colpisce e penetra il cuore.

CAPITOLO LXX Esame storico dellinfluenza del Cattolicesimo nello sviluppo dellintelletto umano. Si confuta lopinione del Sig. Guizot. Giovanni Eriugena. Roscellino ed Abelardo. SantAnselmo.

_______________ Dalla rapida occhiata che abbiamo dato sui vari rami della scienza nelle loro relazioni con lautorit della Chiesa risulta chiaramente che la pretesa schiavit dellintelletto dei Cattolici un falso spauracchio, ed falso quindi che la nostra fede impedisca del tutto o svigorisca il progresso delle scienze. Ma siccome avviene spesso che i ragionamenti apparentemente pi solidi siano manchevoli in qualche aspetto che non si conosce bene, e il difetto viene fuori quando sono messi alla prova dei fatti, sar bene condurre queste prove sulla questione che stiamo trattando, perch sono sicuro che la causa della verit ci guadagner molto. Incominciamo dunque dallorigine. Afferma il Sig. Guizot che la contesa tra la Chiesa e i difensori del libero pensiero inizi nel Medioevo. Dopo aver ricordato i tentativi di Giovanni Eriugena, di Roscellino e di Abelardo, e lallarme che tali tentativi suscitarono nella Chiesa, ci dice: Allora incominci la lotta tra il clero e coloro che si dichiaravano difensori del libero pensiero; poi soggiunge: Allora ebbe inizio quel fatto importante che occupa tanto spazio nei secoli undicesimo e dodicesimo, e tanti effetti produsse nella Chiesa teocratica e monastica (Storia generale della civilt europea, lezione 6). Da tutto il contesto dellopera del Sig. Guizot si deduce che secondo lopinione di questo studioso di diritto pubblico il rimprovero principale da rivolgere alla Chiesa cattolica era questo: la Chiesa tarpava, per cos dire, le ali al pensiero; e questo, secondo lui, costituiva un grande punto di vantaggio del sistema protestante sul Cattolicesimo. Questidea che egli si proponeva di sviluppare con grande perizia trattando dei propositi della rivoluzione religiosa del sedicesimo secolo, doveva gi essere depositata come un seme nel complesso delle sue lezioni precedenti; perch altrimenti lidea sarebbe stata percepita isolatamente come un fatto a s, e sarebbe quindi venuta meno la sua importanza. Oltre a ci, era anche molto importante che lopposizione dei Protestanti alla Chiesa cattolica non apparisse un fatto qualunque, ma si presentasse come lespressione di un pensiero grande e generoso, come la proclamazione della libert dello spirito umano. Per arrivare a questo fine era necessario: da una parte, che la Chiesa venisse mostrata come se nel Medioevo avesse accampato una pretesa che non aveva avuto in epoche precedenti; e dallaltra che venissero esaltati certi scrittori per la resistenza che fecero a simili pretese, e si esagerasse oltremisura la portata delle loro mire. Questo il filo del discorso del Sig. Guizot, e qui si trova il motivo dei tentativi che fa nel punto citato per preparare il trionfo delle sue opinioni. Egli per stato cos poco accorto nel procedere, che sembra aver dimenticato i fatti pi evidenti della storia della Chiesa, ed anche di non conoscere le dottrine dei tre campioni di cui evoca i nomi con tanta compiacenza. Perch non si dica che io proceda con leggerezza ne riporto fedelmente le parole: La Chiesa presentava il pi bellaspetto, e gi sembrava che tutto tornasse a vantaggio della sua unit quando nel suo stesso seno sorsero alcuni uomini intraprendenti, i quali senza attaccare minimamente alcun dogma e le credenze consolidate, chiedevano ad alta voce il diritto di far intervenire lesame in materia religiosa e negli argomenti di fede. Giovanni Eriugena, Roscellino, Abelardo: ecco i dotti che si proclamarono interpreti della ragione umana, difensori del suo libero esercizio, acerrimi oppositori dellautorit delluomo come giusto criterio in materia di religione: ecco quelli che ai tentativi riformatori di Ildebrando e di San Bernardo unirono i loro. Nellinvestigare la natura ed il carattere di questo movimento non si nota una tendenza a voler cambiare radicalmente le opinioni, o lintenzione di provocare una rivoluzione contro la pubblica fede: nulla di tutto questo; si reclamava soltanto di poter ragionare liberamente, e di rimuovere anche nelle questioni di fede gli ostacoli posti dallautorit (Storia generale della civilt europea, lezione 6). Lasciamo da parte la particolare stranezza di presentare i tentativi di Giovanni Eriugena, Roscellino ed Abelardo come se fossero dello stesso genere di quelli di Ildebrando, ossia San Gregorio VII, e di San Bernardo: questi due simpegnarono per riformare la Chiesa con legittimi mezzi, per rendere il clero pi degno di venerazione attraverso la pratica delle virt, per far s che lautorit fosse oggetto di maggior rispetto attraverso gli opportuni mezzi di santificazione; quei tre al contrario, a detta del Sig. Guizot, combattevano questa autorit in materia di fede, cio facevano

in modo di rovesciarla, e perci andavano con la scure alla radice; questi due erano riformatori, e quei tre demolitori; e nonostante ci ci vengono a dire che i tentativi di questi e di quelli fossero uniti, come se mirassero allo stesso fine e procedessero allo stesso scopo! Sarebbe cosa ben meschina la filosofia della storia se giungesse ad ammettere una tal confusione di idee: ben poco progresso faranno in questa scienza coloro che si accontentano di osservare i fatti in un modo cos stravagante. Ma lasciamo, ripeto, siffatte stranezze, e concentriamoci in modo particolare su due oggetti: limportanza dei tre scrittori che ci vengono tanto esaltati, e lidea che ci viene data della loro opposizione. Sono certo che i nomi di Giovanni Eriugena e di Roscellino sono gi pronunciati con rispetto da coloro che, desiderando di passare per filosofi della storia senza forse averla mai letta, si vedono costretti ad accontentarsi di quelle facili lezioni che si ascoltano in un breve ritaglio di tempo o si studiano in una serata: baster loro di averli intesi nominare con enfasi e sentirli definire uomini intraprendenti, dotti, interpreti della ragione umana, difensori del suo libero esercizio, per ritenere che le scienze non sono meno debitrici ad Eriugena e a Roscellino di quanto non siano a Cartesio o a Bacone. Se non si tenesse conto delle osservazioni fatte sopra sulla situazione in cui si trovava il Sig. Guizot, non sarebbe facile indovinare perch voglia presentare come nuovo e straordinario quello che era antico e comune; come mai abbia affermato che la Chiesa incominci a contendere con la libert del pensiero quando blocc Eriugena, Roscellino ed Abelardo; come mai abbia attribuito a questi tre scrittori uninfluenza cos eccezionale, quando non fu che quella di qualsiasi settario, e di cui tanti esempi erano stati visti nei tempi anteriori. E in verit: chi era questo Giovanni Eriugena? Uno scrittore che, poco versato nelle scienze teologiche, e insuperbito dai favori che gli concedeva Carlo il Calvo, diffuse certi errori sullEucaristia, sulla predestinazione e sulla grazia; fin qui non si vede altro che luomo che si allontana dalla dottrina della Chiesa; e quando Nicol I lo blocc vediamo un Papa che fa il suo dovere. Cosa c di nuovo e di straordinario in tutto questo? Forse nella storia della Chiesa non troviamo fin dal tempo degli Apostoli unininterrotta catena di fatti simili? Lo ripeto: impossibile indovinare come potesse venire in testa al Sig. Guizot di ritenere importante fare il nome di Eriugena, poich n i suoi errori ebbero grandi conseguenze, n lepoca in cui visse ebbe particolare influenza sullo sviluppo dellintelletto nei tempi successivi. Giovanni Eriugena viveva nel nono secolo che non fu interessato dal rinnovamento che avvenne nei secoli seguenti, essendo cosa ben nota che il decimo secolo fu il culmine dellignoranza dei secoli di mezzo e che il rinnovamento intellettuale inizi tra la fine del decimo e linizio dellundecimo secolo. Tra Eriugena e Roscellino passano due secoli. Quanto a Roscellino ed Abelardo forse pi facile capire perch ci vengano citati su questo argomento. Infatti tutti sanno come Abelardo avesse messo il mondo a rumore con le sue dottrine, e forse pi ancora con le sue avventure; e in quanto a Roscellino, anche questi richiama lattenzione non soltanto per i suoi errori, ma anche e soprattutto per essere stato il maestro di Abelardo. Per dare unidea dello spirito da cui erano guidati questi uomini e cosa bisogna pensare delle loro intenzioni necessario entrare in alcuni particolari sulla loro vita e sulle loro dottrine. Roscellino era uno tra i pi cavillosi del suo tempo: sottile dialettico e ardente sostenitore della setta dei nominali, sostitu le proprie opinioni allinsegnamento della Chiesa fino al punto di spargere gravissimi errori sullaugusto mistero della Trinit. La storia ci ha conservato un episodio su Roscellino che dimostra in una maniera incontestabile la rinomata malafede e la mancanza di onest e di pudore. Quando Roscellino propalava i suoi errori era ancora vivente S. Anselmo, che poi divenne Arcivescovo di Canterbury e che era allora Abate di Bech. Poco prima era morto Lanfranco, Arcivescovo di quella sede, con una tale reputazione di virt e di santa dottrina che non si poteva chiedere di meglio. Roscellino pens che i suoi errori avrebbero acquistato maggior credito se avessero potuto apparire sotto il manto autorevole di un nome cos illustre; e imbastendo la pi nera calunnia afferm che le sue opinioni erano le stesse dellArcivescovo Lanfranco e di Anselmo Abate di Bech. Lanfranco non pot rispondere perch era gi morto, ma lAbate di Bech si

oppose vigorosamente ad una attribuzione cos ingiusta, e nello stesso tempo difese Lanfranco che era stato suo maestro. Quali fossero gli errori di Roscellino lo dimostrano fuor dogni dubbio le opere di S. Anselmo nelle quali sono descritti con la massima precisione. In verit non si riesce proprio a capire come il Sig. Guizot desse tanta importanza a questuomo, e perch dovesse presentarcelo come uno dei principali difensori della libert di pensiero, non essendovi in lui alcuna cosa che lo distingua dagli altri eretici. Fu un uomo capzioso, pieno di sottigliezze e di errori; ma nella storia della Chiesa questa cosa indecente non desta nemmeno meraviglia. Molto pi degno della nostra attenzione il famoso Abelardo, perch il suo nome divenuto cos celebre che non c chi non conosca le sue tristi avventure. Discepolo di Roscellino ed ugualmente bravo nella dialettica del suo secolo, dotato di grande talento e bramosissimo di sfoggiarlo nelle principali dispute letterarie, arriv a procurarsi quellalta stima cui non giunse mai il dialettico di Compiegne. Gli errori che propal in materie molto importanti causarono gravi danni alla Chiesa, ma non risparmiarono neanche a lui gravissime pene. Non vero per, come dice il Signor Guizot, che non tanto furono riprovate le sue dottrine quanto il suo metodo, e che tanto lui quanto il suo maestro Roscellino non avessero intenzione di operare un vero mutamento nelle dottrine. Per fortuna abbiamo testimonianze inconfutabili che non ci lasciano alcun dubbio sul fatto che non fu del metodo che fu accusato Roscellino bens degli errori sulla Trinit; ed infatti i vari errori estratti dalle opere di Abelardo sono conservati tuttora sotto forma di articoli. Sappiamo da S. Bernardo che Abelardo sulla Trinit la pensava come Ario, sullIncarnazione come Nestorio, e sulla Grazia come Pelagio: e gi si vede che tutto questo non tendeva soltanto ad un cambiamento radicale delle dottrine, ma lo era gi di sua natura. vero che Abelardo afferm che tali imputazioni erano false, ma sappiamo quanto valgano tali negazioni; e comunque c di certo che nella famosa assemblea di Sens sollecitata dallo stesso Abelardo egli non pot rispondere una parola al santo Abate di Chiaravalle, il quale gli contest i suoi errori mostrandogli le proposizioni estratte dalle sue stesse opere e portandolo al punto di doverle difenderle o abiurarle. In una tale temibile situazione Abelardo, vedendosi di fronte un avversario di tanto valore, seppe rispondere soltanto che si appellava a Roma. E sebbene il Concilio di Sens per rispetto alla Santa Sede si fosse astenuto dal condannare la persona del novatore, non lasci per questo di condannarne gli errori; condanna che fu poi confermata dal Sommo Pontefice ed estesa anche alla persona. Dagli articoli che contengono gli errori di Abelardo non si rileva che questo scrittore avesse in particolare lidea di proclamare la libert di pensiero. Si sa invece che si abbandonava troppo alle proprie sottigliezze, non facendo altro che dogmatizzare erroneamente sui punti pi importanti, cosa che fecero allo stesso modo tutti gli eretici che lavevano preceduto. Il Sig. Guizot conosceva certamente tutte queste cose e non capisco come abbia fatto a dimenticarle, n comprendo perch volesse attribuire ai detti autori unimportanza che in realt non meritano. Andando in cerca della ragione che pot indurlo a menzionare con tanta enfasi i nomi di Roscellino e di Abelardo, vien da pensare che forse avesse lintenzione di fornire ai Protestanti alcuni illustri predecessori: e siccome in verit Roscellino ed Abelardo non furono privi di talento e di dottrina, e daltronde vissero nella stessa epoca in cui iniziava in Europa il rinnovamento intellettuale, dovette sembrargli questa lepoca opportuna per mettere in scena questi novatori onde far sapere che fin dallinizio dello sviluppo dellintelletto gli uomini pi illustri avevano fatto sentire la propria voce in favore della libert di pensiero. Ma anche se il Sig. Guizot potesse provarci che Eriugena, Roscellino ed Abelardo non avessero altro scopo che quello di proclamare lesame privato in materia di fede, non ne verrebbe come conseguenza che questi novatori non volessero un cambiamento radicale nelle dottrine, non potendovi essere cosa pi radicale in materia di fede quanto lattaccare la radice della certezza, che lautorit. E non potrebbe neanche conseguirne che la Chiesa nel condannare i loro errori si fosse messa in allarme per un semplice metodo; poich se questo metodo doveva consistere nel sottrarre lintelletto al giogo dellautorit anche in materia di fede, era gi questo un errore gravissimo per sua natura, combattuto in ogni epoca dalla Chiesa cattolica che non ha mai permesso n tollerato che si mettesse in dubbio la sua autorit in questioni riguardanti il dogma.

Ci nonostante, se i citati novatori si fossero presentati per combattere in primo luogo lautorit in materia di fede il Sig. Guizot avrebbe avuto ragione di indicarcene i nomi come iniziatori di una nuova epoca; ma, si noti bene, non risulta che compilassero le loro proposizioni in particolare in favore dellindipendenza del pensiero e contro lautorit in materia di fede; non risulta che la Chiesa li abbia condannati soltanto per questo motivo, ma bens per altri errori. Dove sono allora lesattezza e la verit storica alle quali si presume dovesse appoggiarsi un uomo come il Sig. Guizot? Come fa a prendersi la libert di esporre i propri pensieri al posto dei fatti, rivolgendosi, come infatti si rivolse, ad un numeroso auditorio? Sapeva bene il Sig. Guizot che queste sono materie che tutti trattano ma che pochi esaminano a fondo; e che per suscitare simpatie negli uomini superficiali sufficiente parlare con sussiego della libert di pensiero, e di proferire certi nomi che molti sicuramente sentono per la prima volta come quelli di Eriugena e Roscellino, e soprattutto di ricordare quello dellinfelice amante di Eloisa. Siccome il Sig. Guizot non poteva non sapere che le osservazioni che andava facendo intorno a quellepoca erano alquanto deboli, cerc di rimediarvi con linserire un passo dellIntroduzione alla teologia di Abelardo; il quale passo a mio giudizio ben lontano dal provare ci che si propone il pubblicista. Egli vorrebbe persuaderci che gi allora incominciava a regnare un forte spirito di opposizione allautorit della Chiesa in materia di fede, e che lintelletto delluomo era gi impaziente di rompere i legami con cui lo tenevano avvinto. Secondo il Sig. Guizot risulta che su richiesta dei propri discepoli Abelardo si diede a scuotere il giogo dellautorit, e che i suoi scritti furono gi, in un certo modo, lespressione di una necessit che si faceva vivamente sentire, di un pensiero che gi da gran tempo ferveva in molti cervelli. Ecco le parole a cui alludo: Nellinvestigare dice il Sig. Guizot la natura ed il carattere di questo rinnovamento non si nota una tendenza a voler cambiare radicalmente le opinioni, o lintenzione di provocare una rivoluzione contro la pubblica fede: nulla di tutto questo; si reclamava soltanto di poter ragionare liberamente, e di rimuovere anche nelle questioni di fede gli ostacoli posti dallautorit. Abbiamo gi visto quanto sia lontano dal vero ci che qui afferma lo scrittore, e che anche qualora fosse stato attaccato solamente il principio di autorit questo stesso fatto racchiudeva in s un cambiamento radicale nelle opinioni ed una rivoluzione contro la pubblica fede, perch linfallibilit della Chiesa era un dogma in s, e per di pi era la base di ogni credenza. A mio parere lesperienza lo ha dimostrato a sufficienza fin da quando apparve il Protestantesimo nei primi anni del sedicesimo secolo. Ma lasciamo continuare il Sig. Guizot: Lo stesso Abelardo nella sua introduzione alla teologia ci dice che i suoi discepoli gli chiedevano argomenti adatti a soddisfare la ragione; che insegnasse loro non a ripetere le sue spiegazioni, ma a comprenderle bene: perch nessuno pu veramente credere senza prima aver capito, e sarebbe perfino ridicolo insegnare cose che non dovessero capire n il professore n i discepoli Quale pu essere lo scopo di una sana filosofia se non di condurci alla pi perfetta conoscenza di Dio, al quale devono dirigersi tutte le nostre meditazioni e tutti i nostri stud? Con quale fine si consente ai fedeli la lettura delle cose del secolo, ed anche dei libri dei pagani, se non per disporre il loro intelletto a penetrare le verit della Sacra Scrittura, e per esercitarsi a difenderle con la parola? Per questo scopo indispensabile adoperare tutte le forze della ragione in modo da impedire che in questioni tanto difficili e complesse, come quelle che si presentano ad ogni passo nello studio delle dottrine del Vangelo, la purezza della nostra fede non abbia mai da alterarsi per le sottigliezze dei suoi nemici. Non pu negarsi che ai tempi di Abelardo si fosse risvegliato un vivo desiderio di conoscenza che spronava lo spirito a far uso di tutte le sue capacit per rendersi conto delle cose in cui credeva; ma non vero che la Chiesa si opponesse ad un tale movimento considerato come metodo scientifico e finch non fosse andato al di l dei confini legittimi, e non si fosse spinto a combattere o a minare i dogmi di fede. Non possibile presentare la Chiesa sotto un aspetto pi negativo di quello che non abbia fatto a questo punto il Sig. Guizot; non possibile una pi clamorosa svista, o per dir meglio, alterazione dei fatti. La Chiesa egli dice nonostante fosse impegnata nella sua riforma interna, non lasci per questo di percepire e di comprendere limportanza di quel movimento e si mise subito in allarme per gli effetti che ne potevano derivare. Dichiar allora guerra ai novatori, che

tanto pi dovevano temersi in quanto era dai loro metodi e non dalle dottrine che proveniva la minaccia. Ecco dunque la Chiesa che cospira contro lo sviluppo del pensiero, e con mano forte soffoca i tentativi che faceva lintelletto per fare i primi passi sul cammino delle scienze; eccola che prescinde dalle dottrine e combatte i metodi. E tutto questo ci viene presentato come una cosa nuova, perch, secondo il Sig. Guizot, allora cominci la lotta tra il clero e coloro che si dichiaravano difensori del libero pensiero, allora ebbe inizio quel gran fatto che occupa tanto spazio nei secoli undicesimo e dodicesimo e che tanti effetti produsse nella Chiesa teocratica e monastica. I lamenti di Abelardo, e fino a un certo punto quelli di San Bernardo, i Concili di Soisson e di Sens che condannarono il primo, sono una vera manifestazione di quel fatto, che per unocculta catena di vicende si perpetuato fino ai nostri giorni. La solita confusione didee. Lho gi detto, e devo ripeterlo: la Chiesa non ha mai condannato nessun metodo. Ci che condanna sono gli errori, quando non si voglia intendere per metodo quello che tanto piace al Sig. Guizot, cio quello di rimuovere anche nelle questioni di fede gli ostacoli posti dallautorit; e questo non un semplice metodo, ma un errore di prima grandezza. Nel disapprovare una dottrina pericolosa e sovversiva della fede, come quella che nega linfallibilit della Chiesa in materia di dogma, questa non ebbe alcuna nuova pretesa; il suo agire rimasto sempre lo stesso, quello cio che ha sempre tenuto fin dal tempo degli Apostoli e che tiene ancora oggi. Quando si diffonde una dottrina che presenta un pericolo essa la esamina e la confronta col sacro deposito di fede che le stato affidato: se la dottrina non ripugna alla verit divina la lascia andare in piena libert, perch non ignora che Dio ha lasciato il mondo alle dispute degli uomini; ma se si oppone alla fede la condanna irrimediabilmente senza riguardi e senza condiscendenze. E se facesse il contrario negherebbe se stessa, cesserebbe di essere ci che , non sarebbe pi la gelosa depositaria della divina Verit. Se permettesse di mettere in dubbio la sua infallibile autorit, fin da quel momento dimenticherebbe uno dei suoi pi sacri obblighi e non avrebbe pi diritto di essere creduta; perch mostrando di non avere interesse per la verit darebbe prova di non essere una religione discesa dal cielo, e di conseguenza entrerebbe nella sfera delle illusioni umane. Precisamente in quei tempi a cui riferisce il Sig. Guizot avvenne un fatto che dimostra come la Chiesa lasciasse libero il campo allintelletto perch potesse spaziarvi. Si sa di quale reputazione godette SantAnselmo durante tutta la sua vita, e in quanta stima fu tenuto dai Pontefici del suo tempo; con tutto ci santAnselmo lasciava andare il suo pensiero con la massima libert. Nel prologo del suo Monologio ci dice che alcuni lo pregavano che insegnasse loro a spiegare le cose con la sola ragione prescindendo dalla Sacra Scrittura. Il santo non temette di condiscendere alle loro richieste, e per accontentarli scrisse su questo tema il citato opuscolo; n lasci di adottare in altre parti delle sue opere lo stesso metodo. Siccome oggi sono pochi coloro che si curano degli scrittori antichi, non saranno molti quelli che hanno letto qualche opera di questo santo; in esse vi si trova una chiarezza didee, una solidit di ragionamento, e soprattutto un giudizio cos sobrio e moderato che pare quasi impossibile che fin dallinizio del rinnovamento intellettuale il pensiero si elevasse tanto. Qui si pu vedere la massima libert di pensiero unita al rispetto dovuto allautorit della Chiesa; e questo rispetto, ben lungi dallindebolire minimamente il vigore del pensiero, non serviva che ad illuminarlo e fortificarlo. Qui si vede che non era solo Abelardo che insegnava a non ripetere le lezioni, ma a comprenderle; poich alcuni anni prima SantAnselmo stava facendo la stessa cosa con una chiarezza e solidit molto superiori a quanto si potesse sperare a quei tempi. Si vede anche che nella Chiesa cattolica ci si voleva servire, per quanto possibile della ragione, sapendo per rispettare i limiti che le vengono assegnati dalla propria debolezza, e inchinandosi rispettosamente davanti al sacro velo che copre gli augusti misteri. Nelle opere di questo dotto scrittore si vedr che non era Abelardo colui che doveva insegnare al mondo che lo scopo di una sana filosofia quello di condurci alla pi perfetta conoscenza di Dio e che indispensabile adoperare tutte le forze della ragione in modo da impedire che in questioni tanto difficili e complesse, come quelle che si presentano ad ogni passo nello studio delle dottrine del Vangelo, la purezza della nostra fede non abbia mai da alterarsi per le sottigliezze dei suoi nemici. Ma nella profonda sottomissione che il santo mostra allautorit della Chiesa, nella

pura lealt con cui riconosce i limiti dellintelletto umano, si capisce che egli era convinto che non impossibile credere prima di comprendere; poich non la stessa cosa essere certi dellesistenza di un oggetto, e conoscerne con certezza la natura.

CAPITOLO LXXI La religione e lintelletto in Europa. Differenza dello sviluppo intellettuale tra i popoli antichi e gli Europei. Motivi del rapido sviluppo dellintelletto in Europa. Motivi dello spirito di sottigliezza. Beneficio procurato allintelletto dalla Chiesa con lopporsi ai cavilli dei novatori. Confronto tra Roscellino e S. Anselmo. Riflessioni su S. Bernardo. San Tommaso dAquino. Utilit della sua dittatura scolastica. Grandi benefici procurati dallopera di S. Tommaso allo spirito umano. _______________ Giacch ci troviamo nei secoli undicesimo e dodicesimo, ci fermeremo un po per esaminare quale sia stata la condotta della Chiesa in quei secoli nei confronti dei novatori e per osservare, come da un buon punto dosservazione, il cammino dello spirito umano partendo da l. Abbiamo detto che lo sviluppo dellintelletto in Europa era stato interamente teologico. Questa una verit fondamentale, e la ragione semplicissima: tutte le facolt delluomo si vanno sviluppando in un modo conforme alle circostanze in cui egli si trova: e siccome la salute, il temperamento, le forze, ed anche il colore e la statura dipendono dal clima, dagli alimenti, dal tenore di vita e dalle altre circostanze che agiscono sulluomo, cos allo stesso modo le facolt intellettuali e morali portano limpronta delle norme che dominano nella famiglia e nella societ di cui si fa parte. In Europa lelemento predominante era la religione: questa si sentiva, si vedeva, si trovava in tutti gli oggetti: senza di lei non si scorgeva in nessun luogo un principio di azione e di vita; e perci era inevitabile che tutte le facolt dell Europeo si sviluppassero in senso religioso. Se si osserva bene non era soltanto lintelletto a presentare questo carattere; lo era anche il cuore, le passioni stesse, insomma tutto luomo morale. Al punto che, siccome in Europa non si pu fare un passo in qualsivoglia direzione senza imbattersi in qualche testimonianza religiosa, cos non si pu esaminare alcuna qualit dellEuropeo senza incontrare le tracce della religione. Quello che accadeva nellindividuo succedeva anche nella famiglia e nella societ: la religione dominava queste e quello. Un simile fenomeno si scorge ovunque luomo si sia incamminato verso uno stato di perfezione; ed un fatto costante nella storia del genere umano che nessuna societ and mai avanti sulla via della civilt se non sotto la direzione e limpulso dei princpi religiosi. Veri o falsi, ragionevoli o assurdi, questi princpi si trovano ovunque luomo si perfeziona; e sebbene siano degni di compassione alcuni popoli per le mostruosit superstiziose in cui piombarono, dobbiamo tuttavia ammettere che sotto quella superstizione si nascondevano dei germi di bene che non mancavano di produrre vantaggi consistenti. Gli Egiziani, i Fenici, i Greci e i Romani erano molto superstiziosi; e ciononostante fecero tanti progressi nella civilt e nella cultura da suscitare anche adesso la nostra ammirazione per i loro monumenti e le loro memorie. facile farsi beffe di una pratica stravagante o di un dogma insensato; ma non dobbiamo mai dimenticare che c un certo numero di princpi morali, i quali non nascono e non si conservano che sotto la tutela delle credenze; princpi indispensabili perch lindividuo non si trasformi in mostro e non si spezzino tutti i vincoli della societ e della famiglia. Si molto parlato contro limmoralit tollerata, permessa e talvolta predicata da alcune religioni: certamente non c cosa pi deplorevole di quella che, dovendo essere la principale guida delluomo, lo porta invece alla depravazione; ma se guardiamo attraverso quelle ombre che tanto ci urtano a prima vista non tarderemo a scoprire alcuni raggi di luce, i quali ci faranno considerare le false religioni, non dico con indulgenza, ma con minore ripugnanza di quella che ci suscitano quegli emp sistemi i quali non riconoscono altro essere che la materia, n altro Dio che il piacere.

Il fatto di conservare le idee del bene e del male morale, le quali non hanno alcun senso se non supponendo lesistenza di una divinit, gi di sua natura un beneficio incomparabile; e questo beneficio sempre unito alle religioni, perfino a quelle che permettono o impongono azioni mostruose e crudeli. Nei popoli antichi si sono senzaltro visti, e si vedono anche oggi tra quei popoli che non sono illuminati dal Cristianesimo, traviamenti che fanno piangere; ma in mezzo a questi stessi traviamenti c sempre qualche scintilla di luce la quale, per poco che illumini, per quanto pallidi e deboli ne siano i raggi, vale senza confronti molto pi che le dense tenebre dellateismo. Tra i popoli antichi e gli Europei c una grandissima differenza, perch quelli camminarono verso la civilt uscendo dallinfanzia, e questi si sono pure diretti verso la civilt, ma partendo da quello stato indefinibile che risult dalla confusa mescolanza che si era formata, con linvasione dei barbari, tra una societ giovane e unaltra decrepita; tra popoli rozzi e feroci, e altri inciviliti e colti, o per meglio dire svigoriti. Ne venne quindi che nei popoli antichi la fantasia si svilupp prima dellintelletto, e tra gli Europei lintelletto prima della fantasia. Di conseguenza, in quelli la prima ad essere coltivata fu la poesia; in questi la dialettica e la metafisica. Cerchiamo ora la ragione di una cos grande differenza. Quando un popolo nellinfanzia (o che sia effettivamente nellinfanzia, o che, avendo vissuto per lungo tempo nella stoltezza, si trovi poi in uno stato simile a quello di un popolo bambino) abbonda di sensazioni mentre scarso didee. La natura, con tutta il suo splendore, con tutte le sue meraviglie e i suoi segreti, quella che pi vivamente limpressiona; il linguaggio di questo popolo enfatico, pittoresco, poetico. Le passioni non sono raffinate, ma energiche e violente; e lintelletto, che cerca ingenuamente la ragione della luce, ama la verit pura e semplice, la confessa, labbraccia; e non fatto per sottigliezze, cavilli e dispute. La pi piccola cosa lo sorprende e gli desta meraviglia, purch colpisca vivamente i sensi e la fantasia; e se uno vuole ispirargli entusiasmo necessario che gli presenti qualcosa di sublime e di eroico. Nellosservare lo stato dei popoli dEuropa nel Medioevo si vede subito che presentavano qualche somiglianza con un popolo bambino; ma vi erano anche molte e notevoli differenze. Le loro passioni avevano una grande energia, amavano molto il meraviglioso e lo stupefacente, e quando mancava la realt la loro fantasia creava immagini gigantesche. La professione delle armi era loccupazione preferita; cercavano ansiosamente le avventure pi pericolose che affrontavano con incredibile audacia. Tutto questo indicava uno sviluppo del sentimento e dellimmaginazione in ci che queste facolt racchiudono di pi forte e audace. Eppure, insieme a queste attitudini era mischiato un gusto particolare per gli oggetti puramente intellettuali; accanto alla realt pi viva, pi ardente, pi pittoresca, sorgevano le astrazioni pi aride e fredde. Un cavaliere crociato riccamente vestito, circondato da trofei, risplendente di gloria conquistata in cento combattimenti; e un dialettico sottile che disputa sul sistema dei nominali, e porta le astrazioni ed i cavilli fino ad un grado inintelligibile: ecco due personaggi che sicuramente si assomigliano poco; ma con tutto ci questi personaggi coesistevano nella societ, e non gi come gente qualunque, ma con molto prestigio, riveriti con ogni genere di ossequi e seguiti da ardenti sostenitori. Tenendo presente anche la situazione straordinaria descritta sopra in cui si trovarono le nazioni in Europa, non facile spiegare il motivo di questanomalia. Si arriva a capire senza difficolt che i popoli europei, usciti per la maggior parte dalle foreste del Settentrione, e che avevano vissuto per molto tempo in guerra tra loro o con i popoli conquistati, conservassero con le loro abitudini guerriere unimmaginazione viva e forte e passioni energiche e violente; quello per che non si riesce a comprendere altrettanto bene quella loro inclinazione ad un ordine didee puramente dialettico e metafisico. Ci nonostante, se si esamina a fondo la questione, si arriva a capire che questa anomalia aveva la sua origine nella natura stessa delle cose. Perch un popolo nellinfanzia abbonda tanto dimmaginativa e di sentimento? Perch di queste cose abbondano gli oggetti che stimolano le sue facolt, e perch questi oggetti possono esercitare la loro azione con maggior forza in quanto lindividuo si trova continuamente esposto allinfluenza delle cose esteriori. Luomo prima sente e immagina, successivamente comprende e pensa; cos

richiedono in modo naturale lordine e la dipendenza delle facolt. Ed ecco la ragione per cui in un popolo limmaginativa e le passioni si sviluppano prima dellintelletto: quelle trovano subito sia loggetto che il nutrimento, lintelletto no; e per questa stessa ragione il secolo dei poeti ha sempre preceduto quello dei filosofi. E allora ne consegue che i popoli bambini pensano poco perch mancano di idee; e proprio in questo si trova la principale differenza che li distingue da quelli europei nellepoca di cui parliamo: in Europa abbondavano le idee. La qual cosa serve a spiegare perch erano tenute in tanto pregio le cose puramente intellettuali anche in mezzo alla pi profonda ignoranza, e perch lintelletto faceva ogni sforzo per elevarsi quando pare che non fosse ancora arrivata lora. Le vere idee su Dio, sulluomo e sulla societ erano gi diffuse dappertutto grazie allinsegnamento continuo del Cristianesimo; e siccome rimanevano ancora molte tracce dellantico sapere sia cristiano che pagano, ne risultava che lintelletto di un uomo un po istruito era in realt pieno didee. Nonostante i molti vantaggi chiaro che per effetto dellignoranza prodotta da tanti sconvolgimenti lintelletto restava offuscato e confuso da quella mescolanza che gli si presentava di erudizione e di filosofia, e che scarseggiava di discernimento e di giudizio onde potersi dedicare nello stesso tempo e con profitto allo studio della Bibbia, degli scritti dei santi Padri, del diritto civile e canonico, delle opere di Aristotele, e dei commentari degli Arabi. Eppure, nello stesso tempo si studiava tutto questo, si disputava con ardore di tutto; e accanto agli errori e alle stravaganze, che erano inevitabili, non mancava la presunzione, compagna inseparabile dellignoranza. Per spiegare con buon esito vari punti della Bibbia, dei santi Padri, dei codici, delle opere dei filosofi, sarebbe stato necessario prepararvisi con molte e lunghe fatiche, come lo ha dimostrato lesperienza dei secoli posteriori. Si sarebbe dovuto studiare le lingue, frugare gli archivi, scavare reperti, raccogliere da tutte le parti un gran cumulo di materiali; e poi ordinare, confrontare, discernere: in una parola, ci sarebbe voluta una grande base di erudizione illuminata dalla fiaccola della critica. Tutto questo a quel tempo mancava, e non si poteva acquisire se non col passare dei secoli. E che succedeva? Quello che precisamente doveva succedere quando si ha il prurito di spiegare tutto: si presentava una difficolt? Mancavano i fatti e le notizie per risolverla? Si andava per la via pi breve: invece di appoggiarsi ad un fatto, vi si fondava sopra unidea; invece di un solido raziocinio, si metteva avanti unastrazione cavillosa. Giacch non era possibile formare un corpo di sana dottrina, si accumulava una farragine confusa di idee e di parole. Chi per esempio non ride di Abelardo, o non lo compatisce, vedendolo presentare ai suoi discepoli un commento sul profeta Ezechiele dopo essersi impegnato a prendersi pochissimo tempo per prepararsi? E pare dunque al lettore che nel dodicesimo secolo, trattandosi del profeta Ezechiele ed essendo il maestro poco preparato, pot il commento riuscire felicissimo e di molto interesse? Tanto fu lentusiasmo con cui fu abbracciato lo studio della dialettica e della metafisica che in poco tempo queste materie giunsero ad offuscare tutte le altre discipline. Il che rec gravissimo danno allo spirito, poich essendo assorbita tutta la sua attenzione dalloggetto di sua preferenza guard con indifferenza la parte pi solida delle scienze: si cur poco della storia, non pens punto alla letteratura, e avvenne quindi che non si svilupp completamente. Avendo lasciato indietro tutto ci che attinente alla fantasia e ai sentimenti, lintelletto rimase padrone del campo, ma non di ci che utile, come la comprensione chiara e precisa, il giudizio maturo e il ragionamento solido ed esatto, bens di quanto c di pi sottile, cavilloso e bislacco. Oserei dire che coloro che accusano la Chiesa per la condotta che tenne allora coi novatori hanno capito malissimo la situazione scientifica e religiosa in cui lEuropa si trovava in quel tempo. Abbiamo gi visto che lo sviluppo intellettuale era caratterizzato da unimpronta religiosa; e di qui ne venne che lintelletto, anche quando si allontan dalla vera strada, conserv sempre questo carattere; ne deriv altres che si videro accostate le sottigliezze pi stravaganti ai pi sublimi misteri. Quasi tutti gli eretici di quei tempi erano famosi dialettici e incominciarono a prendere delle cantonate per eccesso di sottigliezze, Roscellino era uno dei principali dialettici del suo tempo, fondatore della setta dei nominali, o almeno uno dei principali caporioni; Abelardo era celebre per

la sottigliezza del talento, per labilit nelle dispute, e per la destrezza con cui sapeva spiegare tutto a modo suo. Labuso dellingegno lo fece cadere negli errori di cui ho parlato prima; errori che avrebbe potuto evitare benissimo se non si fosse abbandonato con tanto orgoglio in bala dei suoi vani pensieri. Lo spirito di sottilizzare tutto condusse Gilberto Porretano ai pi deplorevoli errori sulla Divinit; ed Amauri, altro filosofo celebre secondo la moda di quei tempi, si scald tanto la testa con la materia prima di Aristotele, che arriv a dire che questa materia era Dio. La Chiesa si oppose con tutte le sue forze a questa caterva di errori che uscivano da tutte queste teste allucinate da tanti futili argomenti ed esaltate da un orgoglio insensato; e bisogna non conoscere affatto i veri interessi delle scienze per non convenire che la resistenza della Chiesa ai sogni dei novatori era sommamente proficua al progresso del sapere. Quegli uomini cos focosi, i quali avidi di sapere si lanciavano con tutto lardore verso la prima chimera che produceva la propria fantasia, avevano un estremo bisogno di essere ammoniti da una voce giudiziosa che ispirasse loro sobriet e temperanza. Lintelletto faceva appena i primi passi sulla strada del sapere, e gi credeva di sapere tutto; tutto pretendeva di conoscere, eccetto lo sciocco, il non so; come rinfacci San Bernardo al vanitoso Abelardo. E com possibile non rallegrarsi per il bene dellumanit e per lonore dellumano intelletto, vedendo la Chiesa condannare gli errori di Gilberto, errori che tendevano nientemeno che a stravolgere le idee che abbiamo di Dio; e quelli di Amauri e del suo discepolo Davide di Dinant, i quali confondendo il Creatore con la materia prima, distruggevano dun colpo lidea della Divinit? Che vantaggio poteva trarre lEuropa dincominciare il rinnovamento intellettuale precipitandosi subito nellabisso del panteismo? Se lintelletto umano avesse continuato a seguire la strada sulla quale lo stava guidando la Chiesa la civilt europea sarebbe avanzata almeno di due secoli: il quattordicesimo secolo avrebbe potuto essere il sedicesimo. Per convincerci di questo fatto non dobbiamo fare altro che confrontare testi con testi, uomini con uomini: i pi legati alla fede della Chiesa si elevarono ad una tale altezza da lasciarsi dietro di un buon tratto il loro secolo. Roscellino ebbe per avversario SantAnselmo: questi si mantenne sempre sottomesso allautorit, quello le fu ribelle; e chi potrebbe mettere il dotto Arcivescovo di Canterbury a confronto col dialettico di Compiegne? Che differenza immensa tra il profondo e giudizioso metafisico autore del Monologio e del Prosologio, e il frivolo disputatore corifeo dei nominali! Che valore hanno mai le sottigliezze e i cavilli di Roscellino messi a confronto con gli alti pensieri di quellillustre personaggio che gi nellundicesimo secolo aveva portato tanto avanti le sue idee metafisiche? Questi per provare lesistenza di Dio invece di ricorrere a parole vane e fantasiose si concentrava in se stesso per esaminare le proprie idee, sottoponendole allanalisi, confrontandole con loggetto, e fondando la dimostrazione dellesistenza di Dio nella stessa idea di Dio, precedendo cos di cinque secoli Cartesio. Chi interpretava meglio i veri interessi della scienza? Dov quel funesto influsso che avrebbe dovuto rimpicciolire e restringere lintelletto di santAnselmo, quella tanto terribile autorit della Chiesa, quellusurpazione dei Papi sui diritti dello spirito umano? Ed Abelardo, sempre Abelardo, pu forse esser messo a confronto col suo avversario cattolico, San Bernardo? Certamente no! N come uomo, n come scrittore. Cosa fu Abelardo paragonato allinsigne Abate di Chiaravalle? Abelardo simmergeva in tutte le sottigliezze della scuola, si perdeva in dispute clamorose, si gonfiava tra gli applausi dei suoi discepoli abbagliati dal talento e dallardire del loro maestro, e ancor di pi dalla stravaganza scientifica che dominava in quel secolo; e intanto che sorte hanno avuto le sue opere? Chi le legge? Chi va a cercare in esse una pagina ben ragionata, la descrizione di un grande avvenimento, un quadro dei costumi del tempo, qualsiasi cosa cio che interessi la scienza o la storia? E qual invece luomo di cultura che non abbia cercato pi volte tutto questo negli scritti immortali di San Bernardo? Non possibile trovare una pi sublime personificazione della Chiesa che combatte gli eretici del suo tempo, di quel che fu lillustre Abate di Chiaravalle che lott contro tutti i novatori e parlava, per cos dire, in nome della fede cattolica. Non si pu trovare un pi degno rappresentante delle idee e dei sentimenti che la Chiesa faceva in modo di ispirare e diffondere, n unespressione pi fedele

del cammino che il Cattolicesimo stava facendo seguire allo spirito umano. Fermiamoci un momento di fronte alla colonna gigantesca che si sollevava ad unaltezza immensa al di sopra di tutti i monumenti del suo secolo, a quelluomo straordinario che riempie il mondo del suo nome, lo eleva con la parola, lo domina con la sua autorevolezza; che lo illumina nelloscurit, che funge da misterioso anello per unire due epoche tanto distanti tra loro quali furono quella di San Girolamo e SantAgostino, e quella di Bossuet e Bourdaloue. La rilassatezza e la corruzione lo circondavano, ed egli si schermiva dai loro attacchi con la pi rigida osservanza e con la pi delicata purezza di costumi; lignoranza si era diffusa in tutte le classi, ed egli studiava giorno e notte per illuminare lintelletto. Una scienza falsa e fittizia tentava di occupare il posto del vero sapere: egli la apprese, la disdegn, la disprezz, e con uno sguardo daquila colse a prima vista che lastro della verit procedeva ad una distanza immensa da questo splendore menzognero, da questa farragine informe di sottigliezze ed inezie che veniva chiamata filosofia dagli uomini del suo secolo. Se a quel tempo si poteva incontrare da qualche parte una scienza utile, era certamente nella Bibbia e negli scritti dei santi Padri; e San Bernardo si abbandonava senza riserva allo studio delluna e degli altri. Lungi dal consultare i frivoli parolai che cavillavano e declamavano nelle scuole, andava a cercare le ispirazioni nel silenzio del chiostro e nellaugusta maest dei templi; e se talvolta ne usciva era per contemplare il gran libro della natura, di cui studiava le eterne verit nella solitudine del deserto, o, come ci dice lui stesso, in mezzo a boschi di faggi. Cos questuomo illustre, elevandosi al di sopra delle pretese dei suoi tempi, giunse ad evitare il danno prodotto nei suoi contemporanei dal metodo allora dominante, il quale consisteva nello spegnere limmaginazione e il sentimento, falsare il giudizio, aguzzare troppo lingegno, confondere e ingarbugliare le dottrine. Leggete le opere del santo Abate di Chiaravalle e vedrete subito che tutte le facolt camminavano dandosi la mano, per cos dire, tutte insieme. Volete limmaginazione? Ci troverete bellissimi quadri, ritratti fedeli, pitture magnifiche. Volete coglierne gli effetti? Ve li sentirete insinuare delicatamente nel cuore, incantarlo, soggiogarlo, dirigerlo: ora riempiendo di salutare terrore il peccatore ostinato, delineando con energiche pennellate la formidabile giustizia di Dio e leterna vendetta; ora consolando e confortando luomo abbattuto dalle avversit del mondo, dagli assalti delle passioni, dal ricordo dei suoi trascorsi, da un timore eccessivo della giustizia divina. Volete sentimenti teneri? Sentitelo nei colloqui con Ges e con Maria; sentitelo parlare della Santissima Vergine con una dolcezza incantata che vi pare esaurisca quanto la speranza e lamore possano mai suggerire di pi bello e di pi delicato. Volete fuoco, volete veemenza, volete quellimpeto irresistibile che spiana quanto gli si oppone, che esalta lanima, che la fa uscire da se stessa, che linfiamma del pi ardente entusiasmo, che la trascina per le vie pi ardue e la porta alle pi eroiche imprese? Eccolo infiammare con la parola di fuoco i popoli, i Grandi, i monarchi, farli uscire dalle loro abitazioni, armarli, riunirli in eserciti numerosi e spingerli sulle contrade dellAsia per riscattare il Santo Sepolcro. Questuomo straordinario si trovava in tutti i luoghi e si sentiva da tutte le parti: esente da ogni ambizione, egli ha tuttavia la pi grande influenza nei grandi affari dEuropa; amante della solitudine e del ritiro, si vedeva continuamente costretto ad uscire dalloscurit del chiostro per assistere ai Consigli dei prncipi e dei Papi; non adulava mai, non lusingava; mai tradiva la verit, mai dissimulava il sacro ardore che gli bruciava in cuore; ci nonostante egli era ascoltato dappertutto con profondo rispetto, e faceva sentire la sua voce severa tanto nella capanna del povero quanto nel palazzo del re; ammoniva con terribile austerit sia il pi oscuro monaco che il Sommo Pontefice. Ad onta di tanto ardore e di tanta attivit il suo spirito conservava tutta la sua nitidezza e la sua precisione; se spiegava un articolo di dottrina, si distingueva per la disinvoltura e la limpidezza; se faceva una dimostrazione, procedeva con un rigore pieno di forza; se argomentava, lo faceva con una logica stringente che incalzava lavversario senza lasciargli scampo; e se doveva difendersi, agiva con somma agilit e destrezza. Le sue risposte erano limpide ed esatte, le repliche penetranti e vivaci; e senza essersi formato con le sottigliezze della scuola districava in modo egregio la verit dallerrore, e la ragione inconfutabile dallingannevole fallacia. Ecco un uomo interamente ed esclusivamente formato dallinfluenza cattolica; ecco un uomo che non si allontanava mai dal

grembo della Chiesa e non pens mai di scuotere dallintelletto il giogo dellautorit, e che ci nonostante sinnalza come una piramide colossale al di sopra di tutti i contemporanei. Per la gloria eterna della Chiesa cattolica, e per respingere laccusa rivoltale di restringere lintelletto umano, il caso di osservare che non fu solo S. Bernardo ad elevarsi al di sopra del suo secolo e a mostrare la strada che si doveva seguire per il vero progresso. Possiamo esser certi che gli uomini pi illustri di quei tempi, quelli che non ebbero parte in quei deplorevoli traviamenti che per tanto tempo spinsero lintelletto umano dietro alle vanit e ai sogni, furono proprio quelli che si mostravano pi legati alla religione cattolica. Essi diedero lesempio di come si doveva agire se si voleva progredire nelle scienze: esempio che, sebbene per molto tempo fosse seguito da pochi, ebbe finalmente molti imitatori nei secoli successivi, essendo le scienze progredite in proporzione al numero di persone che hanno messo in pratica tale esempio: mi sto riferendo allo studio dellantichit. Loggetto principale di studio di quei tempi erano le scienze sacre; perch essendo lo sviluppo dellintelletto in senso teologico la dialettica e la metafisica si studiavano con lo scopo di applicarle alla teologia. Roscellino, Abelardo, Gilberto Porretano, Amauri, dicevano: Ragioniamo, sottilizziamo, applichiamo i nostri sistemi ad ogni genere di questioni, la nostra ragione sia nostra regola e guida; altrimenti la conoscenza impossibile. SantAnselmo, S. Bernardo, Ugo di S. Vittore, Riccardo di S. Vittore, Pietro Lombardo, dicevano invece: Vediamo cosa cinsegna lantichit, studiamo le opere dei santi Padri, analizziamo, confrontiamo i loro testi. Non c molto da fidarsi dei ragionamenti puri, a volte pericolosi e altre volte senza fondamento. Di questi giudizi, qual quello che stato convalidato dalla posterit? Di questi metodi, qual quello che fu adottato quando si volle seriamente fare dei progressi? Non si fece ricorso allo studio assiduo delle testimonianze antiche? Non furono messi da parte i cavilli dialettici? Gli stessi Protestanti, non si gloriano di aver proceduto per questa strada? E i loro teologi, non considerano un sommo onore di esser detti versati nellantichit? E non considererebbero unoffesa essere chiamati dialettici puri? Da quale parte dunque stava la ragione, dalla parte degli eretici o da quella della Chiesa? Chi capiva meglio quale fosse il metodo pi conveniente per il progresso delle scienze? Chi batteva la strada pi sicura, i dialettici eretici o i dottori cattolici? Questo non ammette replica, perch non sono ipotesi, sono fatti; non una teoria, ma la storia delle scienze tale quale la conoscono tutti, tale quale ce la presentano testimonianze innegabili; e chiunque fosse condizionato dallautorit del Sig. Guizot non potr certamente lamentarsi che io sia andato di palo in frasca, che abbia schivate le questioni storiche, n che abbia preteso che mi si credesse sulla parola. Disgraziatamente lumanit sembra condannata a non trovare la vera strada se non dopo molti giri e rigiri. Avvenne quindi che lintelletto, seguendo la peggior direzione, and dietro alle sottigliezze ed ai cavilli e abbandon il sentiero segnato dalla ragione e dal buonsenso. Sul principio del dodicesimo secolo il male era andato tanto avanti che non era per niente semplice cercare di porvi riparo. Non tanto facile immaginare a quali estremi sarebbero giunte le cose, e i mali che in diversi sensi sarebbero sopravvenuti, se la Provvidenza, che sempre si prende cura delluniverso sia nellordine fisico che in quello morale, non avesse fatto nascere un genio straordinario, il quale, elevandosi ad unaltezza immensamente superiore ai suoi contemporanei, si accinse a districare quel caos, e qui tagliando, l aggiungendo, e illustrando, classificando, riusc a ricavare da quellindigesta mole un corpo di vera scienza. Chiunque sia versato nella storia delle scienze di quei tempi avr capito subito che sto parlando di San Tommaso dAquino, che dobbiamo fissare dal punto dosservazione indicato se vogliamo comprendere tutta lestensione dei suoi meriti. Essendo questo Dottore dotato della mente pi chiara, pi vasta e pi penetrante di cui si possa gloriare il genere umano, verrebbe da dire che fosse fuori posto nel tredicesimo secolo, e dispiace che non sia vissuto nei secoli successivi per disputare il primato agli uomini pi illustri di cui possa gloriarsi lEuropa moderna. Tuttavia se si riflette con maggiore ponderatezza sui grandi benefci da lui arrecati allintelletto umano ci si rende conto della convenienza che egli fosse apparso nel suo secolo, e non si potr quindi fare a meno di ammirare i profondi disegni della Provvidenza.

Cosera la filosofia del suo tempo? Dove sarebbero andate a finire la dialettica, la fisica, la morale in mezzo allabbietto miscuglio di filosofia greca, filosofia araba e princpi cristiani? Abbiamo gi visto quali frutti cominciavano a produrre queste mescolanze favorite dalla grossolana ignoranza che non faceva distinguere la vera natura delle cose, e fomentate dallorgoglio che pretendeva di sapere gi tutto. Eppure il male era solo allinizio, e sviluppandosi man mano avrebbe certamente presentato sintomi pi spaventosi. Fortunatamente comparve questo uomo illustre che di punto in bianco fece avanzare la scienza di due o tre secoli, e giacch non pot evitare il male, vi pose riparo. Ottenendo una superiorit indiscutibile, il suo metodo e la sua dottrina prevalsero ovunque, ed egli divenne il centro di un gran sistema intorno al quale furono costretti a girare tutti gli scrittori scolastici; e cos furono repressi un numero immenso di sbagli che diversamente sarebbero stati pressoch inevitabili. Trov le scuole in piena anarchia, ed egli stabil la dittatura: dittatura sublime di cui fu investito per la sua mente angelica, abbellita ed illustrata da uneminente santit. Cos io comprendo la missione di San Tommaso, cos lintenderanno quanti si sono impegnati nello studio delle sue opere non accontentandosi della rapida lettura di un articolo biografico. Questuomo era Cattolico, ed venerato sugli altari nella Chiesa cattolica; e con tutto ci la sua mente non fu ostacolata dallautorit in materia di fede, e lo spirito spazi liberamente per tutti i rami del sapere con tanta ampiezza e profondit di cognizioni che rispetto al tempo in cui visse sembra un vero portento. E bisogna notare che in San Tommaso, nonostante il metodo sia molto scolastico, si osserva lo stesso fatto che si gi osservato negli autori cattolici che si sono maggiormente distinti in quei secoli. Ragiona molto, ma si capisce che diffida della ragione, con quella diffidenza prudente che segno non equivoco di vera sapienza. Si serve delle dottrine di Aristotele, ma si capisce che se ne sarebbe servito molto meno, e si sarebbe invece occupato maggiormente dello studio dei santi Padri, se non avesse seguita la sua idea principale che era quella di utilizzare la filosofia del suo tempo per la difesa della religione. Ma non si creda per questo che la sua metafisica e la filosofia morale siano un miscuglio di cavilli inesplicabili come ci si potrebbe aspettare dalle tendenze di quei tempi, perch non cos; e chi lo pensasse dimostrerebbe di aver impiegato ben poco tempo nello studio delle sue opere. Quanto alla metafisica, si sa quali fossero le opinioni allora dominanti; ma nelle sue opere si trovano ad ogni passo idee tanto luminose sui punti pi complicati di ideologia, ontologia, cosmologia e psicologia, che vi sembra di sentire un filosofo che scrive dopo che le scienze hanno fatto i maggiori progressi. Abbiamo gi visto quali fossero le sue idee in materia politica; e se vi fosse bisogno e lo permettesse la natura di questo scritto potrei citare molti passi del suo Trattato delle leggi e della giustizia dove si trova tanta solidit di princpi, tanta elevatezza di vedute, una conoscenza cos profonda dello scopo della societ senza dimenticare la dignit delluomo, che farebbero ottima figura nelle migliori opere di legislazione che sono state scritte nei tempi moderni. I suoi trattati sulle virt e i vizi in generale ed in particolare esauriscano la materia; e si potrebbero ben sfidare tutti gli autori che hanno scritto dopo di lui a presentarci una sola idea di qualche importanza che non vi fosse sviluppata, o almeno accennata. Delle sue opere si pu ammirare soprattutto la massima conformit allo spirito del Cattolicesimo: nelle dottrine esposte vi si trova una moderazione, una temperanza, che se fosse stata imitata da tutti gli autori sicuramente il campo delle scienze sarebbe simile ad unaccademia di veri dotti e non gi ad una sanguinosa palestra dove combattono accanitamente campioni furibondi. Basti dire che la sua modestia era tale che della sua vita privata e di quella pubblica non riporta un solo fatto; dalla sua bocca non si ode che la parola del sapere che va sviluppando tranquillamente i suoi tesori. Ma luomo, con tutte le sue glorie, con tutte le avversit, le fatiche e con tutte quelle frivolezze con cui generalmente gli altri autori ci infastidiscono, tutto questo manca e non si vede per niente (15).

CAPITOLO LXXII

Progresso dellintelletto umano dallundicesimo secolo fino ad oggi. Sue diverse fasi. Il Protestantesimo ed il Cattolicesimo nei confronti dellerudizione, della critica, delle lingue dotte, della fondazione delle universit, del progresso della letteratura e delle arti, della mistica, dellalta filosofia, della metafisica e della morale, della filosofia religiosa, della filosofia della storia. _______________ Credo di aver scagionata completamente la Chiesa cattolica dalle imputazioni che le hanno attribuito i nemici per la condotta che tenne nei secoli undicesimo e dodicesimo riguardo allo sconvolgimento dello spirito umano. Seguiamo ora a gran passi la marcia dellintelletto fino ai nostri giorni, e vediamo quali sono i titoli che la riforma ci mostra per meritare la gratitudine degli amanti del progresso dellumano sapere. Se non erro le fasi dello sviluppo delle scienze, dalla restaurazione dei lumi incominciata nellundicesimo secolo, furono le seguenti: prima si sottilizz, ammucchiando nel tempo stesso unerudizione indigesta; poi si critic, imbastendo convenientemente dibattiti approfonditi su ci che presentavano le testimonianze, e infine si medit, inaugurando lepoca della filosofia. La dialettica e la farragine di erudizione formarono il carattere dellundicesimo secolo e dei secoli seguenti fino al sedicesimo; la critica e la controversia furono il distintivo del sedicesimo e di una parte del diciassettesimo, lo spirito filosofico incominci a prevalere circa alla met del diciassettesimo, e continua a dominare ancora ai nostri giorni. Che beneficio produsse il Protestantesimo in materia di erudizione? Nessuno. La trov gi messa su, e per dimostrarlo basti dire che ai tempi di Lutero brillavano Erasmo e Lodovico Vives. Contribu forse il Protestantesimo a stimolare lo studio della critica? S! Come un contagio che, decimando le popolazioni, serve al progresso della medicina. Non si creda che senza la falsa riforma non si sarebbe diffuso ugualmente il gusto per questa disciplina: man mano che si dissotterravano le testimonianze del passato, che si diffondeva la conoscenza delle lingue, che si apprendevano nozioni pi chiare e precise sulla storia, era ben naturale che si cercasse di discernere il falso dallautentico. I documenti erano a portata di tutti, se ne faceva uno studio continuo perch questa era la passione preferita del tempo: comera possibile allora che non si risvegliasse il desiderio di esaminare i motivi per i quali essi venivano attribuiti a questo o a quellautore, a questo o a quel secolo, e fino a che punto lignoranza o la malafede li avessero alterati, o vi avessero tolte o aggiunte delle parti? A questo proposito ricorder quanto accadde alle famose Decretali di Isidoro Mercatore. Prima del quindicesimo secolo queste circolavano ovunque senza che nessuno le contestasse grazie allignoranza dei tempi e al fatto che la critica non si era ancora sviluppata; ma appena si ebbe unabbondanza di indizi e cognizioni ledificio dellimpostore incominci a vacillare. Gi nel quindicesimo secolo il Cardinale Cusano attacc lautenticit di alcune Decretali che erano dichiarate anteriori a Papa Siricio; le riflessioni del dotto Cardinale aprirono la strada a quelli che si accinsero ad attaccare le altre. Si intavol una disputa seria e, comera naturale, vi presero parte anche i Protestanti; ma certamente sarebbe avvenuto lo stesso tra gli autori cattolici. Quando sincominciarono a leggere i codici di Teodosio e di Giustiniano, e le opere degli antichi autori e le collezioni delle testimonianze ecclesiastiche, non fu pi possibile non accorgersi che nelle false decretali si trovavano sentenze e frammenti di scritti risalenti ad epoche posteriori al tempo al quale era stato detto che appartenessero. Da qui venne prima il sospetto, e poi la dimostrazione dellinganno. Quanto abbiamo detto sulla critica si pu riferire anche alla controversia; pure questa non sarebbe mancata anche con lunit della fede; e a prova di tale verit basti ricordare ci che avvenne tra le scuole cattoliche. E se questo avveniva in presenza del nemico comune, non ci vuole molto a capire che, non essendo distratte da tal nemico, si sarebbero abbandonate alla polemica con maggior vivacit e calore.

N per la critica n per la controversia i Protestanti hanno alcun vantaggio sui Cattolici; perch sebbene sia vero che non tutti i nostri teologi compresero la necessit di far fronte ai nemici della fede con armi pi solide e di miglior tempera di quelle che provenivano dallarsenale della filosofia aristotelica, certo per che molti furono coloro che si elevarono alla debita altezza ben consapevoli della gravit della crisi e dellurgente necessit dintrodurre negli studi teologici profonde modificazioni. Bellarmino, Melchior Cano, Petavio, e molti altri che potrei citare, sono uomini che non stanno per niente indietro ai pi famosi Protestanti, per quanto si voglia esagerare il merito scientifico dei difensori dellerrore. La conoscenza delle lingue antiche doveva contribuire in modo particolare al progresso della critica e della polemica intesa in senso positivo; ed io non vedo che nella lingua latina, nella greca o nellebraica i Cattolici rimanessero indietro. Antonio di Nebria, Erasmo, Lodovico Vives, Lorenzo Valla, Leonardo Aretino, il Cardinale Bembo, Sadoleto, Poggio, Melchior Cano, ed infiniti altri che potrei ricordare: tutti costoro furono forse istruiti nella scuola protestante? E non furono i Papi quelli che diedero il principale impulso a quel movimento letterario? E non furono essi che proteggevano con la massima liberalit gli eruditi, che dispensavano onori, somministravano i mezzi e cacciavano i denari per lacquisto dei migliori manoscritti? Si forse dimenticato che il gusto per la colta latinit giunse alleccesso, fino al punto che alcuni eruditi avevano quasi scrupolo di leggere la Volgata per timore di rimanere contaminati da parole poco latine? Quanto al Greco, per convincersi che lo sviluppo di questa lingua non dovuto alla falsa riforma basti ricordare le cause per cui si diffuse in Europa. Tutti sanno che con la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi i resti delle opere letterarie di quella sfortunata nazione approdarono alle coste dItalia; in Italia si cominci a studiare seriamente la lingua greca, e dallItalia questo studio si estese alla Francia e agli altri paesi dEuropa. Un mezzo secolo prima che comparisse il Protestantesimo gi litaliano Gregorio di Tiferno insegnava a Parigi la lingua greca. Nella stessa Germania fioriva tra la fine del quindicesimo secolo e linizio del sedicesimo il celebre Giovanni Reuchlin, che insegn il Greco con lustro e gloria prima ad Orleans e Poitiers, e successivamente ad Ingolstad. Reuchlin conosceva questa lingua con tanta perfezione che, trovandosi a Roma, interpret con tale bravura e profer con un accento cos puro un passo di Tucidide in presenza del celebre Argiropilo, che questi pieno di ammirazione esclam: Graecia nostra exilio transvolavit alpes. In quanto alla lingua ebraica inserir qui un passo importante dellAbate Gujet: I Protestanti egli dice vorrebbero accaparrarsi lonore di passare per i restauratori della lingua ebraica in Europa; ma sono costretti a riconoscere che se sanno qualcosa in questa materia ne vanno debitori ai Cattolici che sono stati i loro maestri e dai quali ci pervenuto quanto abbiamo di meglio e di pi utile rispetto alle lingue orientali. Giovanni Reuchlin, che pass la maggior parte della sua vita nel quindicesimo secolo, era certamente cattolico, e fu uno dei pi preparati nella lingua ebraica e il primo tra i Cristiani che la ridusse ad arte. Giovanni Wessel di Groninga gliene aveva insegnato a Parigi gli elementi, ed egli stesso ebbe altri discepoli a cui ispir lamore per questo studio. Lardore per la lingua ebraica si ravviv in Occidente per limpulso di Pico della Mirandola, che apparteneva anchegli alla comunione della Chiesa romana. Ai tempi del Concilio di Trento coloro tra gli eretici che conoscevano questa lingua lavevano imparata quasi tutti in seno a quella Chiesa che avevano abbandonato; e le loro vane sottigliezze intorno al senso del Testo stimolarono vieppi i veri fedeli a studiare a fondo una lingua che poteva tanto contribuire al proprio trionfo e alla disfatta dei nemici. Non dovevano far altro, per questo, che seguire lo spirito di Papa Clemente V, il quale gi dallinizio del quattordicesimo secolo aveva disposto che per listruzione delle lingue straniere, a Roma, Parigi, Oxford, Bologna e Salamanca sinsegnassero pubblicamente il Greco, lEbraico, il Caldeo e lArabo. Lintenzione di questo Papa, che conosceva cos bene i vantaggi che provengono dal fare studi approfonditi, era quella di ottenere dallo studio delle lingue maggior luce che illuminasse la Chiesa, e a formare uomini di scienza capaci di difenderla contro lerrore. Egli aveva in particolare lintenzione di rinnovare lo studio dei Libri Santi servendosi delle lingue, e sopratutto dellEbraico; voleva che la Sacra Scrittura, letta nelloriginale, sembrasse ancora pi

degna nei confronti dello Spirito Santo che la dett, e che conosciutane pi da vicino lelevazione e la semplicit, fosse venerata con maggior riverenza, in modo che senza minimamente diminuire il rispetto dovuto alla versione latina, si potesse comprendere che la conoscenza del Testo originale era tuttavia pi utile alla Chiesa per rendere la fede pi salda e per far tacere leresia (Abate Gujet, Discorso sul rinnovamento degli stud ecclesiastici dal secolo XLV in poi). Una delle cause che contribuirono maggiormente allo sviluppo dellintelletto umano fu la creazione di grandi centri dinsegnamento dove fu messo insieme quanto cera di pi illustre riguardo agli uomini di scienza ed al sapere; e dai quali si diffondesse la luce in tutte le direzioni. Non so come si sia potuto dimenticare che questa iniziativa nulla debba alla falsa riforma, e che la maggior parte delle universit dEuropa furono fondate molto tempo prima della nascita di Lutero. Quella di Oxford sorse nellanno 895; quella di Cambridge nel 1280; quella di Praga in Boemia nel 1358; quella di Lovanio nel Belgio nel 1425; quella di Vienna in Austria nel 1365; quella dIngolstad in Germania nel 1372; quella di Lipsia nel 1408; quella di Basilea in Svizzera nel 1469; quella di Salamanca nel 1200; quella di Alcal nel 1517. Ed inutile ricordare lantichit di quelle di Parigi, Bologna, Ferrara, e molte altre che avevano acquistata la pi alta reputazione molto tempo prima che apparisse il Protestantesimo. Si sa che i Papi partecipavano alla fondazione delle universit, che concedevano loro molti privilegi, e che le favorivano con grandi prerogative; e come si potuto dunque affermare che Roma covasse il disegno di sterminare la luce delle scienze e di mantenere i popoli nelle tenebre dellignoranza? Come se la Provvidenza avesse voluto confondere i futuri calunniatori, il Protestantesimo comparve proprio nellepoca in cui sotto la protezione di un gran Papa si svolgeva il pi vivace progresso nelle scienze, nelle lettere e nelle arti. I posteri che giudicheranno senza parzialit le nostre dispute pronunceranno senza dubbio una sentenza molto severa contro quei pretesi filosofi che si affaticano ostinatamente per trovare nella storia prove sicure che il Cattolicesimo ostacolasse la marcia dellintelletto umano, e che le scienze sono debitrici del loro progresso al grido di libert che si lev dal centro della Germania. S: agli uomini saggi dei secoli avvenire come a quelli del presente baster, per giudicare con certezza e giustizia, ricordare che Lutero cominci a propagare i suoi errori nel secolo di Leone X. Non era certo di quei tempi loscurantismo, cio laccusa che viene rivolta alla corte di Roma. Essa era in testa a tutti i progressi, dava loro limpulso col pi vivo zelo e con lentusiasmo pi ardente, tanto che, se cera un rimprovero da farle, se cera qualcosa che potesse non andar bene, era semmai leccesso e non il difetto. Non c dubbio: se un nuovo San Bernardo si fosse rivolto a Papa Leone X, non lavrebbe certamente accusato di abuso di autorit nei confronti dellintelletto umano, n di danno per il progresso delle scienze. La riforma dice il Sig. de Chateaubriand, penetrata dallo spirito del suo fondatore, frate invidioso e barbaro, si dichiar nemica delle arti. Togliendo linventiva dalle qualit delluomo tarp al genio le ali impedendogli di elevarsi. Essa scoppi a motivo di alcune elemosine destinate ad innalzare per il mondo cristiano la basilica di S. Pietro: gli antichi Greci non avrebbero certamente negati gli aiuti richiesti alla loro piet per edificare il tempio di Minerva. Se la riforma avesse ottenuto fin da principio un trionfo completo avrebbe instaurato almeno per qualche tempo una nuova epoca di barbarie. Trattando come superstizione la sontuosit degli altari e come idolatria i capolavori di scultura, architettura e pittura, si avviava a bandire dal mondo leloquenza e la poesia in ci che hanno di pi grande e pi sublime, a pervertire i gusti col ripudiarne i modelli, ad introdurre un certo che di arido, di freddo, di ostinato nello spirito, ad imporre una societ rigida e materiale al posto di una societ spontanea ed intellettuale, a porre le macchine ed il movimento di una ruota al posto delle mani e del lavoro dellintelletto. Losservazione su un certo fatto confermer queste verit. Le diverse ramificazioni della religione riformata si sono allontanate dal bello in proporzione a quanto si sono allontanate dalla religione cattolica. In Inghilterra, dove si conservata la gerarchia ecclesiastica, le lettere hanno avuto il loro secolo classico, il Luteranesimo conserva ancora alcune scintille dinventiva, che il Calvinismo si sta affrettando a spegnere; e cos man mano scendendo

per le varie stte fino al quacchero, il quale vorrebbe ridurre la vita sociale alla grossolanit dei modi ed alla pratica esclusiva dei mestieri. Shakespeare molto probabilmente era cattolico; Milton imit in modo evidente alcune parti dei poemi di Saint-Avite e di Masenio; Klopstoch ha attinto sostanzialmente dalle credenze romane. Ai nostri tempi limmaginazione sublime non si manifestata in Germania, se non quando lo spirito del Protestantesimo si indebolito ed ha cambiato natura. Goethe e Schiller hanno ritrovato il loro genio nel trattare temi cattolici; Rousseau e Madame de Stal sono illustri eccezioni di questa regola; ma non erano Protestanti del tipo dei primi discepoli di Calvino. I pittori, gli architetti e gli scultori delle sette dissidenti vanno a Roma per cercare quelle ispirazioni che la tolleranza universale permette loro di raccogliere. LEuropa, dir meglio, il mondo coperto di monumenti della religione cattolica; ad essa dobbiamo quellarchitettura gotica che gareggia nei particolari con i monumenti della Grecia e li oltrepassa in grandezza. Son passati tre secoli dalla nascita del Protestantesimo; esso potente in Inghilterra, in Germania e in America, ed praticato da milioni di persone; e cosa ha edificato? Esso vi mostrer le rovine che ha prodotto, in mezzo alle quali ha piantato qualche giardino o stabilito qualche opificio. Ribelle allinfluenza delle tradizioni, allesperienza dei tempi, alla sapienza degli antichi, il Protestantesimo si separ da tutto il passato per fondare una societ senza radici. Riconoscendo per padre un frate tedesco del sedicesimo secolo rinunci alla meravigliosa genealogia che fa risalire il Cattolico attraverso una serie di santi e di uomini illustri fino a Ges Cristo, e quindi fino ai Patriarchi, fino alla culla delluniverso. Il secolo protestante, fin da quando ebbe origine, rifiut ogni parentela col secolo di quel Leone, protettore del mondo incivilito contro Attila, e col secolo del Leone attuale, che mettendo fine al mondo barbaro, abbell la societ quando non cera pi bisogno di difenderla (Stud storici sulla caduta dellimpero romano, e sulla nascita e il progresso del Cristianesimo). peccato che lautore di un cos bel passo, e che con tanta finezza di giudizio definiva gli effetti del Protestantesimo in ci che riguarda le lettere e le arti, abbia detto che la riforma, propriamente parlando, fu la verit filosofica che sotto una forma cristiana attacc la verit religiosa (Ibid. prefazione). Che significato hanno queste parole? Per procedere con sicurezza vediamo cosa intende lillustre scrittore. La verit religiosa egli dice la conoscenza di un Dio unico manifestata attraverso un culto; la verit filosofica la triplice scienza delle cose intellettuali, morali e naturali (Studi storici, esposizione). Non facile concepire come ammettendo la verit della religione cattolica, e quindi riconoscendo la falsit di quella protestante, questa possa essere detta verit filosofica in lotta con quella che la verit religiosa. Sia nellordine naturale che in quello soprannaturale, sia nellordine filosofico che in quello religioso tutte le verit vengono da Dio, tutte trovano il loro fine in Dio. Non pu esserci dunque lotta tra la verit di un ordine e le verit di un altro; non pu esserci lotta tra la religione e la vera filosofia, tra la natura e la grazia. Quello che vero la realt stessa, poich la verit consiste negli stessi esseri; o, diremo meglio, essa altro non che gli esseri tali quali sono e come sono in se stessi; e per questa ragione non esatto dire che la verit filosofica sia mai stata in opposizione alla verit religiosa. Secondo lo stesso autore, la verit filosofica lindipendenza dello spirito delluomo; essa tende a scoprire e a perfezionare nelle tre scienze di sua competenza, la scienza intellettuale, la scienza morale e la scienza naturale; ma la verit filosofica prosegue, inclinando verso lavvenire, si trovata in contraddizione con la verit religiosa, la quale legata al passato perch partecipa dellimmobilit del suo eterno principio. Col dovuto rispetto per limmortale autore del Genio del Cristianesimo ed al cantore dei Martiri, mi prender la libert di dire che vi qui una spiacevole confusione didee. La verit filosofica, di cui ci parla il Sig. de Chateaubriand, pu essere intesa o come la scienza stessa, in quanto racchiude un complesso di verit; o come linsieme di tutte le cognizioni, comprendendovi sia la verit che lerrore; o come coloro che posseggono tali cognizioni, in quanto formano una classe di somma influenza nella societ. Nel primo caso, impossibile che la verit filosofica contrasti con quella religiosa, cio col Cattolicesimo; nel secondo, non sar strano che vi sia una tale opposizione, perch essendovi un miscuglio di errori, alcuni di questi potranno essere in contraddizione con i dogmi cattolici; nel terzo caso infine, vero purtroppo che molti uomini illustri

per i loro talenti e per la dottrina hanno combattuto linsegnamento cattolico; ma siccome ce ne sono stati anche altri in numero nientaffatto minore, n meno illustri, che lo hanno sostenuto con successo, non sar molto esatto affermare, anche in questo senso, che la verit filosofica si sia trovata in opposizione con la verit religiosa. Non mia intenzione dare alle parole dellillustre autore un senso malevolo; al contrario, io penso che la verit filosofica nella sua mente non fosse altro che lo spirito dindipendenza considerato in generale, in un modo vago ed indeterminato, senza riferimento particolare a questo o quelloggetto. Questo il solo modo per poter conciliare i vari testi tra loro, essendo evidente che chi condanna con tanta severit la riforma protestante non pu ammettere che essa contenga in s la verit filosofica propriamente detta nelle cose in cui si trovava in opposizione con le dottrine cattoliche. Ma in questo caso certo che il linguaggio dellillustre scrittore non stato molto esatto; la qual cosa non desta meraviglia quando si pensi che lesattezza nelle scienze storico-filosofiche non suole essere il carattere distintivo dei geni avvezzi a lasciarsi trasportare nei pi alti spazi nei loro voli di sublime poesia. Il rinnovamento filosofico, in ci che ha di pi libero e ardito, non ebbe la sua origine in Germania, n in Inghilterra, bens nella Francia cattolica. Cartesio, che inaugur lepoca nuova sbalzando dal trono Aristotele, e che diede limpulso ai progressi della logica, della fisica e della metafisica, era francese e cattolico. La maggior parte dei suoi discepoli pi distinti erano anchessi in comunione con la Chiesa romana. La filosofia dunque, in ci che ha di sublime, non deve nulla al Protestantesimo. Fino a Leibnitz la Germania ebbe appena un filosofo di grido; e le scuole inglesi che hanno acquistato pi o meno celebrit furono posteriori a Cartesio. Se si osserva bene, la Francia fu il centro del rinnovamento filosofico fin dagli ultimi anni del sedicesimo secolo: epoca nella quale tutti i paesi protestanti erano tanto indietro in questo genere di stud, che a mala pena sinteressavano del vivace progresso della filosofia che stava avvenendo tra i Cattolici. Nel seno della Chiesa cattolica cominci a svilupparsi anche linteresse per le meditazioni profonde sui segreti del cuore, sulle relazioni dellanima umana con Dio e con la natura; e quellastrazione sublime che concentra luomo e lo spoglia della materia, lo fa spaziare per le alte regioni dove pare che possano aggirarsi soltanto gli spiriti celesti. La mistica, in ci che ha di pi puro, pi delicato e pi sublime, non si trova forse nei nostri autori del secolo doro? Quanto si pubblicato nei tempi posteriori, non si trova forse in S. Teresa di Ges, in S. Giovanni della Croce, nel Venerabile Avila, in Luigi di Granata, in Luigi di Leone? Era forse Protestante uno dei pi vigorosi pensatori del diciassettesimo secolo, quel genio di cui tuttavia rammentiamo con dolore che fu abbagliato per un certo tempo da una setta ipocrita e seduttrice, linsigne Pascal? E non fu egli che fond quella scuola filosofico-religiosa che ora si lancia nelle profonde vie della religione, ora in quelle della natura ed ora nei misteri dello spirito umano, facendo scintillare in tutte le direzioni raggi di vivissima luce per la causa della verit? E i suoi Pensieri, non sono forse quel libro che gli apologeti della religione cristiana, sia cattolici che protestanti, hanno consultato con vera predilezione quando ebbero da lottare contro lateismo e lindifferenza? I professori di filosofia della storia sono quelli che maggiormente si sono segnalati per il loro impegno di dare alla Chiesa la taccia di nemica del progresso scientifico, e di presentare la falsa riforma come grande protettrice dei diritti dellintelletto. Almeno per gratitudine avrebbero dovuto procedere con maggiore circospezione; perch non potevano dimenticare che il vero fondatore della filosofia della storia fu un Cattolico, e che la prima e la pi eccellente opera scritta su tale materia usc dalla penna di un Vescovo cattolico. Bossuet fu quello che col suo immortale Discorso sulla storia universale insegn agli uomini moderni a contemplare la vita del genere umano in un modo sublime; ad abbracciare con una sola occhiata tutti i grandi avvenimenti che si sono succeduti nel corso dei secoli, a vederli in tutta la loro grandezza, in tutta la loro concatenazione, in tutte le fasi, con tutti gli effetti e le rispettive cause, e a ricavarne lezioni benefiche per lammaestramento dei prncipi e dei popoli. E Bossuet era Cattolico, ed era uno dei pi illustri campioni contro la riforma protestante. E la sua fama aument ancora, se fosse stato possibile, con unaltra opera in cui ridusse

in polvere le dottrine dei novatori, basandone la condanna sulle loro continue variazioni, e dimostrando che esse avevano preso la via dellerrore perch la variet non pu essere una caratteristica della verit. Possiamo ben domandare ai fautori del Protestantesimo se il volo daquila del celebre vescovo di Meaux risenta qualcosa dei presunti ostacoli della religione cattolica quando nel dare unocchiata allorigine e al destino dellumanit, alla caduta del primo padre ed alle conseguenze che ne vennero, alle rivoluzioni dOriente e dOccidente, descrive con tanta sublimit e maestria la via tenuta dalla Provvidenza. Quanto al movimento letterario, potrei quasi astenermi dal difendere il Cattolicesimo dalle accuse dei nemici. Cosera mai la letteratura in tutti i paesi protestanti quando lItalia e la Spagna producevano quei retori e quei poeti che nei tempi successivi sono stati il modello di quanti si sono applicati ad un tal genere di stud? Sia in Inghilterra che in Germania molti rami della letteratura, che pure erano comuni nei paesi cattolici, non erano conosciuti; e quando negli ultimi tempi si voluto rimediare a tale mancanza, uno dei migliori mezzi escogitati stato quello di prendere per modello gli autori spagnoli, soggetti alloscurantismo cattolico e ai roghi dellInquisizione. Lintelletto, il cuore, la fantasia, non devono nulla al Protestantesimo; prima che questo nascesse, si sviluppavano con grazia e vigore; e dopo la sua comparsa continuarono a svilupparsi nel seno della Chiesa cattolica con tanto splendore e gloria quanto ne ebbero nei tempi precedenti. Tra le file dei Cattolici spiccano uomini insigni, radiosi per la magnifica aureola con cui cinsero la fronte tra gli applausi universali di tutti i paesi civili; dunque una vera calunnia quella che attribuisce alla nostra religione la tendenza di rendere schiava la mente, e di oscurarla. No, non sarebbe mai potuta accadere una cosa simile: quella che nata dal seno della Luce non pu produrre le tenebre; quella che opera della stessa Verit, non ha bisogno di sottrarsi ai raggi del sole, e non costretta a nascondersi nelle viscere della terra. Pu camminare alla luce del giorno, pu affrontare la controversia, pu chiamare intorno a s tutte le intelligenze, ben sicura di essere riconosciuta tanto pi pura, pi bella e pi incantevole quanto pi la contemplino con attenzione, e quanto pi da vicino la guardino.

CAPITOLO LXXIII Epilogo dellopera e dichiarazione dellautore con cui la sottopone al giudizio della Chiesa romana. _______________ Trovandomi ormai al termine della mia difficile impresa mi sia lecito di volgere indietro lo sguardo, come fa il viandante che si riposa dalle sue fatiche dando unocchiata al lungo cammino che ha percorso. Il timore che penetrasse nella mia patria lo scisma religioso; la conoscenza dei tentativi che venivano fatti per introdurre gli errori dei Protestanti; la lettura di alcune opere nelle quali riportata come cosa accertata che la falsa riforma favorevole al progresso delle nazioni; tutte queste cause unite insieme mispirarono lidea dintraprendere la fatica di scrivere unopera in cui si dimostrasse che tanto lindividuo quanto la societ nulla devono al Protestantesimo sotto laspetto religioso, sociale, politico e letterario. Mi proposi desaminare quanto ne dice la storia e ci che insegna la filosofia. Non ero ignaro dellenorme vastit delle questioni che occorreva mettere sul tappeto e non mi lusingava il fatto di doverle chiarire, come era necessario fare; ci nonostante iniziai lopera con quel coraggio che ispirano lamore per la verit e la certezza di difenderne la causa. Nel considerare la nascita del Protestantesimo ho cercato di alzare lo sguardo alla maggiore altezza che mi fosse consentita; rendendo la dovuta giustizia agli uomini, ho attribuito in gran parte il danno alla misera condizione dellumanit, alla debolezza della nostra mente e a quel retaggio di malvagit e di tenebre che ci tramand la caduta del primo padre. Lutero, Calvino, Zuinglio sparirono alla mia vista: collocati nellimmenso quadro degli avvenimenti mi si presentarono come

figure piccole, impercettibili, la cui singolarit era ben lontana dal meritare quellimportanza che le stata data in altri tempi. Leale nelle mie convinzioni e schietto nelle mie parole ho ammesso sinceramente, ancorch non senza dolore, la realt di alcuni abusi che servirono di pretesto per rompere lunit della fede; ho riconosciuto ugualmente che una parte di colpa toccava agli uomini; ma ho osservato che quanto pi ne risultava la debolezza e la malizia, tanto pi risplendeva la provvidenza di Colui che promise di stare con la sua Chiesa fino alla consumazione dei secoli. Per mezzo del ragionamento e dindiscutibili prove ho dimostrato che i dogmi fondamentali del Protestantesimo mostravano chiaramente di conoscere ben poco la mente delluomo e che erano una sorgente feconda di errori e di sciagure. Passando poi a riflettere sullo sviluppo della civilt europea ho messo faccia a faccia, in un confronto continuo, il Protestantesimo e il Cattolicesimo; e credo di poter essere certo di non aver riportata una sola proposizione di qualche importanza che non abbia provata con fatti storici. Mi sono trovato nella necessit di scorrere tutti i secoli dalla fondazione del Cristianesimo in poi, e di osservare le diverse fasi sotto le quali si sviluppata la civilt; perch non avrei potuto in altro modo giustificare in tutto e per tutto la religione cattolica. Il lettore avr potuto osservare che il pensiero dominante dellopera questo: Prima del Protestantesimo la civilt europea si era gi sviluppata per quanto era possibile; il Protestantesimo ne devi il corso e arrec danni enormi alla societ moderna; i progressi che sono avvenuti dopo la sua comparsa non sono stati promossi dal Protestantesimo, bens nonostante il Protestantesimo. Mi sono preoccupato di consultare la storia, e ho posto molta attenzione a non alterarla, perch ho mantenuto il vivo ricordo di quelle parole del sacro Testo: ha forse bisogno Dio delle vostre menzogne? Qui sono racchiuse le testimonianze a cui mi sono rivolto, esse stanno in tutte le biblioteche, pronte a rispondere a chiunque voglia interrogarle: leggete e giudicate. Non so se nella gran massa di argomenti che mi si sono presentati e che ho dovuto esporre ne abbia risolto qualcuno in modo poco conforme ai dogmi della religione che avevo intenzione di difendere; non so se in qualche passo dellopera abbia riportato proposizioni erronee o mi sia espresso in termini poco opportuni. Prima di darla alla luce ho sottoposto lopera alla censura dellautorit ecclesiastica; e senza esitare avrei ascoltato la pi piccola osservazione della medesima, emendando, correggendo o variando qualunque cosa mi avesse segnalata come meritevole di variazione o di emenda. Ci nonostante sottopongo lintera opera al giudizio della Chiesa cattolica, apostolica, romana; e qualora il Sommo Pontefice, successore di San Pietro e Vicario di Ges Cristo in terra, proferisse una parola contro qualcuna delle mie opinioni, mi affretterei a dichiarare che tale opinione la tengo per erronea e che rinuncio a professarla.

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NOTE _______________ (1) Il piano dellopera prevedeva di parlare delle comunit religiose, ma senza sviluppare completamente la materia. A mio parere per sarebbe utile comporre una storia delle comunit religiose in un modo che, sviluppando parallelamente quella dei popoli tra i quali sono sorte, venga dimostrato in modo pi ampio ci che io ho dimostrato succintamente: cio che la fondazione deglIstituti religiosi, a parte lo scopo principale e divino che ne fu allorigine, sempre stata la conseguenza di una necessit religiosa e sociale. Un lavoro di tale importanza, che pu sgomentare chiunque si limiti ad osservare limmensit dellimpegno da profondere per eseguirlo in modo conveniente, qualcosa che supera le mie forze; tuttavia voglio ugualmente suggerirne lidea a

chiunque si senta di avere la capacit, lerudizione e il tempo necessario per intraprenderla, e quindi di arricchire il nostro secolo di questa nuova testimonianza storico-filosofica. Concepito il disegno sotto questo aspetto, e subordinandolo al suo fine unitario (il cui fondamento molto chiaro nei fatti pi palesi, adombrato in quelli pi oscuri, e pu essere soltanto intuto in quelli occulti), un simile lavoro potrebbe avere in s tutta la variet che si pu desiderare. Lo stesso soggetto vi si presterebbe, stimolando lautore ad entrare in certi importantissimi dettagli che potrebbero essere sviluppati come capitoli di un grande poema. La disposizione degli animi, sempre pi favorevoli agli Istituti religiosi grazie al disinganno che si va diffondendo sulle infami calunnie che i Protestanti e i filosofi hanno inventato, e sulla falsit di vane teorie, spianerebbe la strada allo scrittore che potrebbe cos procedere con maggiore libert. Il sentiero gi abbastanza battuto: si tratterebbe ora di allargarlo e di portarlo pi allinterno nella regione della verit per condurvi un maggior numero di persone. Fatta questa premessa mi resta da annotare, seppur succintamente, alcuni fatti che ho preferito mettere tutti insieme in una nota perch, pur facendo parte dello stesso argomento, non mi sembrato conveniente distrarre continuamente lattenzione del lettore con linterrompere il filo del discorso. Anche tra i pagani erano diffusi gli asceti, i quali si dedicavano alla vigilanza e alla pratica di austere virt; il che ci dice che anche prima del Cristianesimo erano conosciute alcune idee sul merito di quelle virt che sono state poi criticate quando furono professate nel Cristianesimo. Le vite dei filosofi sono piene di esempi che confermano questo fatto. Ciononostante si comprende bene che i pagani, privi del lume della vera fede e degli altri sostegni della grazia, non potevano esercitare che una vaga forma di ci che col tempo avrebbero praticato gli asceti cristiani. Abbiamo gi visto che laspetto ascetico della vita monastica ha nel Vangelo il suo fondamento, e nella Chiesa la troviamo fin dallinizio gi stabilita sotto una o laltra forma. Origene ci parla di certi asceti che si astenevano dal mangiare carne e da tutto ci che avesse avuto una vita, per ridurre il corpo in schiavit (cfr. Orig. contra Celsum lib. 5). E lasciando da parte gli altri antichi scrittori, vediamo che Tertulliano parla di alcuni che si astenevano dal matrimonio, non perch lo condannassero, ma per guadagnare il regno dei cieli (cfr. Tertul. lib. 2, de cultu foeminarum). il caso di osservare che il sesso debole fu partecipe in modo particolare di quella forza spirituale che il Cristianesimo aveva comunicato per lesercizio delle grandi virt. Nei primi secoli della Chiesa erano gi molte le vergini e le vedove consacrate al Signore e legate con voto di perpetua castit. Negli antichi Concili osserviamo che si aveva una cura particolare per questa parte eletta dellovile della Chiesa, ed era oggetto della sollecitudine dei Padri dettare regole convenienti a questa disciplina. Le vergini facevano la loro professione pubblica nella chiesa, ricevevano il velo dalle mani del Vescovo, e per dare maggiore solennit venivano ammesse allo stato religioso con una specie di consacrazione. Questa funzione esigeva che la persona che si consacrava a Dio avesse una certa et, e in questo la disciplina vari molto secondo i paesi. In Oriente i voti si prendevano a 17 anni, e anche a 16, come sappiamo da S. Basilio (Epis. canone 18); in Africa a 25, come vediamo nel canone 4 del terzo Concilio di Cartagine; in Francia a 40 anni, come ci dice il canone 19 del Concilio di Agde. Anche se vivevano in casa dei loro genitori le consacrate facevano sempre parte del numero delle religiose; e siccome in caso di necessit la Chiesa forniva loro gli alimenti, allo stesso modo, se mancavano al voto di castit, venivano scomunicate, e se volevano essere riammesse nella comunione della Chiesa dovevano assoggettarsi alla penitenza pubblica. Chi desidera conoscere meglio tutti questi particolari veda il canone 33 del terzo Concilio cartaginese, il canone 19 del Concilio dAncira, e il canone 16 del Concilio di Calcedonia. Le condizioni in cui si trov la Chiesa nei primi tre secoli, nei quali and soggetta ad una persecuzione quasi continua, imped naturalmente che le persone portate alla vita ascetica, fossero uomini o donne, si unissero per praticarla insieme nelle citt. Alcuni ritengono che la propagazione della vita ascetica nel deserto fu in gran parte dovuta alla persecuzione di Decio, che avendola condotta in Egitto in un modo particolarmente crudele fece s che molti Cristiani si ritirassero nei deserti della Tebaide e in altri vicini, e che iniziasse cos a prender piede quel sistema di vita che

doveva poi estendersi in modo tanto prodigioso nei secoli successivi. San Paolo, a quanto dice S. Girolamo, fu il fondatore della vita degli anacoreti. Fin dai primi secoli si erano gi introdotti alcuni abusi, poich vediamo che ai tempi di S. Girolamo certi monaci erano detestati a Roma, (quousque genus detestabile monachorum urbe non pellitur? Dice il Santo per bocca dei Romani, scrivendo a Paola); ma ben presto sui monaci fu ristabilita una buona opinione, che era stata compromessa forse a causa dei sarabaiti e dei girovaghi, una specie di vagabondi che non si curavano per niente della pratica delle virt e che anzi si abbandonavano con vergognosa sfrenatezza ai peccati di gola e agli altri piaceri. S. Atanasio, lo stesso S. Girolamo, S. Martino ed altri celebri santi tra i quali si distinse in modo particolare S. Benedetto, risollevarono lo splendore della vita monastica facendone la pi eloquente apologia consistente nel sublime esempio delle austere virt che praticavano. Nonostante il moltiplicarsi delle comunit, sia in Oriente che in Occidente, da notare che nel corso dei primi dieci secoli esse non si divisero in Ordini differenti ma, come osserva Mabillon, si consideravano come appartenenti allo stesso Istituto. Questo fatto mostra qualcosa di veramente edificante per lunit che rappresentava perch di tutti i monasteri faceva in certo qual modo una sola famiglia; ma bisogna ammettere che la diversit degli Ordini che si introdusse in seguito fu molto vantaggiosa in quanto corrispose ai molti e svariati fini che successivamente richiamarono lattenzione delle fondazioni religiose. La disciplina che ad un certo punto fu introdotta, di non fondare nessuna regola se prima non vi fosse lapprovazione pontificia fu necessaria, dato leccessivo entusiasmo che animava a volte le nuove fondazioni, per evitare che le fantasie esaltate portassero ad oltrepassare i dovuti limiti, introducendovi il disordine. Alcuni, ricorrendo ai racconti di Matteo Paris, ed anche alle lamentele di S. Bonaventura, provano piacere nel ricordare gli eccessi a cui si abbandonavano alcuni appartenenti agli Ordini mendicanti. Senza alcuna intenzione di giustificare il male da chiunque provenga, osserver tuttavia che le circostanze dei tempi nei quali furono fondati quegli Istituti, e il tenore di vita che dovevano condurre se volevano conseguire il fine che si ripromettevano, come ho gi detto nel testo rendevano poco meno che inevitabili i mali dei quali si lamentano con sincerit le persone pie, e con ostentazione ed esagerazione i nemici della Chiesa. il caso di osservare che gli Ordini mendicanti furono fin dal loro nascere oggetto dellodio pi accanito e perseguitati con atroci calunnie. Il fatto che questi Istituti venissero combattuti cos spietatamente dal genio del male conferma ancor di pi ci che ho detto nel testo sul gran bene che producevano. Le cose giunsero a tale eccesso che fu necessario decidersi seriamente a bloccare la calunnia rispondendo alle falsit con una brillante apologia. Quello dei mendicanti veniva chiamato stato condannato, e limpegno di sostenere questa folle dottrina era fondato sullautorit della Sacra Scrittura e dei santi Padri. Guglielmo di Santo Amore e Sigerio, maestri di Parigi, scrissero un libro su questa materia e lo presentarono a Clemente IV, il che diede motivo alla compilazione del famoso opuscolo di S. Tommaso intitolato. Contra impugnantes Dei cultum, et religionem composto su richiesta del Sommo Pontefice. (Omissis). Lopuscolo merita attenzione sotto molti aspetti, e in particolare perch ci mostra che fin dallora contro quegli Istituti si formulavano le stesse accuse che continuarono ad esser loro rivolte anche successivamente. Unaltra cosa da notare che si rinfacciava come un difetto o un abuso quello che invece, come ho gi dimostrato,era molto necessario a quei tempi affinch i nuovi Ordini conseguissero il sacro fine di difendere la Chiesa contro gli attacchi dei numerosi suoi nemici, e di contribuire alla conservazione e al buon ordine negli Stati. Labito umile e grossolano che indossavano, segno tangibile che lausterit della vita e il disprezzo per le cose superflue non erano esclusive delle false stte che ostentavano ipocritamente la loro santit, li rendeva graditi al popolo; eppure, labito era oggetto di critica e di maldicenze. I religiosi praticavano le opere di carit; esercitavano una forte influenza sul popolo con la predicazione della Parola; applicandosi alle scienze acquistavano un nome illustre; agivano in modo di procurare ovunque una buona reputazione al loro Ordine, il quale manteneva intensi rapporti tra i

suoi membri e tra questi e il mondo; si difendevano dai loro avversari con quella vivacit ed energia che richiedevano le avversit dei tempi o lo spirito impetuoso e irruente delle stte pervertite; facevano ogni sforzo per procurarsi laffetto della gente, visitavano la capanna del pastore come il palazzo del monarca: in una parola, esercitavano contro lerrore e il vizio unazione cos viva, efficace e soprattutto universale che linferno ebbe timore davanti a loro, e mise in moto ogni genere di attacco per discreditare quegli stessi mezzi che venivano adoperati dagli apostoli della verit per difenderla e propagarla. Il santo Dottore si vide costretto a dimostrare linnocenza dei suoi fratelli in tutte le accuse loro rivolte (Omissis). Per conoscere gli effetti che produce unistituzione pu essere molto utile osservare quali siano i suoi nemici; e per valutare i mezzi con i quali essa si rende pi temibile ai suoi nemici conviene osservare attentamente le denunce e le accuse che essi le rivolgono contro. Se questo vero bisogner ammettere che i nuovi Istituti religiosi erano riusciti a capire in che modo avrebbero dovuto regolarsi in quelle circostanze, e che perci portarono un gran beneficio alla religione e alla societ. Bisogna anche notare che gi a quei tempi si adoperavano gli stessi mezzi che furono usati anche in seguito per denigrare le comunit religiose e per distruggere o indebolire linfluenza che avevano sullanimo del popolo. Anche allora si argomentava, come vien detto, a particulari ad universale, attribuendo a tutta la comunit gli eccessi di cui solo alcuni si rendevano colpevoli. E allora vediamo il santo Dottore rigettare le accuse basate sulle deviazioni di questo o quellindividuo ma rivolte a tutto lOrdine, e rinfacciare quindi ai suoi avversari la malafede con la quale avevano tentato di infamare i religiosi esagerando i vizi nei quali in modo pi o meno grave sempre incorre la fragilit umana. La frenesia contro i nuovi Istituti era arrivata ad un punto tale che non si pu immaginare: i loro membri venivano chiamati falsi apostoli, falsi profeti, messaggeri dellAnticristo, e perfino anticristi. Abbiamo gi visto che quando i Protestanti, nel vomitare contro il Papa il dizionario delle villanie lo chiamavano con tanta frequenza lAnticristo, non inventarono un nuovo epiteto, perch le false stte che li precedettero chiamavano gi in questo modo i difensori della verit. da notare che i Cattolici quando attaccano i loro avversari non hanno labitudine di agitarsi con tanta facilit, n di esprimersi con tanta villania. Quanto alla venuta dellAnticristo, i Cattolici la lasciano a quel tempo che il Signore vorr, e non applicano con tanta leggerezza questo nome ai settari, per quanto questi presentino caratteristiche che molto si rifanno a quelle delluomo di perdizione. Dai fatti accennati fin qui possiamo ricavare una lezione molto utile per non farci facilmente abbagliare dai nemici della Chiesa. La tattica preferita di costoro suole essere la seguente: alzano un grido unanime di condanna, di riprovazione o di esagerazione contro un certo fatto che a loro non va a genio, e rivolgendosi subito al pubblico dicono: E non sentite quel grido forte e universale che condanna ci che noi stiamo condannando? Di cosa avete pi bisogno per essere convinti che la nostra causa giusta e che i nostri nemici hanno in cuore soltanto malignit e ipocrisia?. Cos parlano e cos incantano molte persone, facendo rimbombare il baccano dei secoli precedenti insieme al loro; e non ci si accorge che coloro che gridano oggi non sono altro che i successori di quelli che gridavano allora; e che tutto questo rumore prova soltanto che in tutti i tempi la Chiesa cattolica ha avuto un gran numero di nemici. Ma noi gi lo sapevamo; sono pi di diciotto secoli che ce lo predisse il divino Fondatore. Cosi ai tempi nostri, quando si voluto dare molta importanza ai clamori che si sentivano contro le istituzioni pi sante, e si pretendeva che fossero lindizio dellopinione delle persone sensate e intelligenti, senza dubbio non si considerato che in ogni tempo accaduta la stessa cosa; e che se per ogni simile opposizione fosse necessario desistere da certe imprese non se ne condurrebbe a termine nessuna. Non voglio dire con questo che sia necessario o conveniente non fare alcun caso delle lamentele e dei reclami, e che trascurare lesame del vero stato delle cose non potrebbe comportare qualche grave conseguenza. Non ignoro neanche che la vera prudenza non prescinde mai dalle circostanze relative agli eventi, e che ci sono delle virt che con lo stesso loro nome indicano che molto importante discernere, osservare e considerare, virt che si chiamano

destrezza e circospezione. Ma quanto abbiamo detto non si oppone affatto a queste virt, anzi una conferma di ci che esse stesse prescrivono. Infatti, esiste forse regola pi prudente e pi giudiziosa di quel che sia il discernere tra lamentela e lamentela, tra rimostranza e rimostranza, tra reclamo e reclamo? Le sagge parole di S. Bernardo e di S. Bonaventura potranno forse confondersi con le invettive violente e insidiose degli eretici del loro tempo? Possiamo noi supporre che Lutero, Calvino e Zuinglio avessero le stesse intenzioni di S. Ignazio, S. Carlo Borromeo e S. Francesco di Sales? Ecco ci che non bisogna confondere quando si tratta di formarsi unidea degli abusi che in questo o in quel tempo afflissero la Chiesa. Condanniamo il male ovunque si trovi; ma facciamolo con sincerit, con pura intenzione e con vivo desiderio di porvi rimedio, e non per il maligno piacere di presentare agli occhi dei fedeli quadri dolorosi e ripugnanti. Guardiamoci sempre da quel falso zelo che nulla rispetta; e non vogliamo farci strumenti di distruzione atteggiandoci a promotori di riforme. Non crediamo ad ogni spirito, e non trascuriamo mai di unire la prudenza del serpente alla semplicit della colomba. (2) Ho gi dimostrato con molte testimonianze dei teologi scolastici come debba intendersi lorigine divina dellautorit civile; e ognuno pu vedere che in ci non vi nulla che non sia del tutto conforme alla giusta ragione e molto confacente agli alti fini della societ. Mi sarebbe stato facile riportarne un maggior numero; ma ho ritenuto che bastassero quelle che ho presentate per chiarire la materia e per soddisfare tutti quei lettori che, lasciando da parte ingiusti pregiudizi, desiderano sinceramente apprendere la verit. Ci nonostante affinch un argomento di tale importanza venga sviluppato sotto tutti gli aspetti illustrer in modo un po pi ampio quel celebre passo dellApostolo S. Paolo nel capitolo 13 dellEpistola ai Romani nel quale parla dellorigine delle autorit e della sottomissione ed ubbidienza che loro dovuta. E non si creda che intenda risolvere la questione con ragionamenti pi o meno capziosi, perch quando si ha da esporre il vero senso di un testo della Sacra Scrittura non bisogna badare soprattutto a ci che ci dice il nostro debole intelletto, ma piuttosto al modo con cui lo intende la Chiesa cattolica. Quindi necessario consultare quegli scrittori che, avendo una grande autorit per la loro dottrina e le loro virt, possiamo con fiducia supporre che non si siano allontanati dalla massima: quod semper, quod ubique, quod ab omnibus traditum est. Abbiamo gi visto un passo importante di San Giovanni Crisostomo dove viene spiegato con molta chiarezza e solidit il passo citato; come anche alcune testimonianze dei Santi Padri, che ci indicano i motivi che avevano gli Apostoli dinculcare con tanta insistenza lobbligo di obbedire allautorit legittima. E cos ci resta soltanto dinserire di seguito i commenti di alcuni illustri scrittori sul citato testo di San Paolo. In essi vi si trover, per cos dire, un corpo di dottrina che ci mostrer la ragione dei precetti del Sacro Testo, facendoci cos giungere facilmente al suo senso genuino. Per prima cosa si veda con quanta dottrina, piet e prudenza espone questimportante materia uno scrittore, non gi dei secoli doro, ma di quelli che troppo genericamente vengono chiamati secoli dignoranza e di barbarie: S. Anselmo, che nei suoi commenti sul capitolo 13 della lettera ai Romani dice cos: (Omissis). In questo passo importante si trova tutto: lorigine dellautorit, loggetto, i doveri e i limiti. C da notare che il santo conferma totalmente ci che ho inserito nel testo sullerrata interpretazione nei primi tempi da parte di alcuni, i quali credevano che la libert cristiana portasse con s labolizione delle autorit civili, e in particolar modo di quelle pagane. Viene anche messo in rilievo lo scandalo che sarebbe potuto derivare da tale dottrina, e che perci, sebbene gli Apostoli non avessero lo scopo di conferire allautorit civile unorigine straordinaria e soprannaturale come

quella dellautorit ecclesiastica, ebbero tuttavia delle ragioni particolari per insegnare che anche lautorit civile viene da Dio, e che chiunque le si oppone si oppone allordine di Dio. Passando ai secoli successivi troveremo le stesse dottrine nei pi celebri commentatori. Cornelio a Lapide spiega in questo modo il passo citato come S. Anselmo, fornendo le stesse ragioni per mettere in evidenza i motivi che avevano gli Apostoli per raccomandare lubbidienza alle autorit civili: (Omissis). Ho detto nel testo che tra i filosofi antichi privi della luce della fede, e quelli moderni che lhanno abbandonata, si osserva una particolare coincidenza di opinioni sullorigine della societ; che mancando agli uni e agli altri quellunica guida che la storia di Mos, esaminando lorigine delle cose non sono riusciti a trovare altro che il caos, tanto nellordine fisico quanto in quello morale. A testimonianza di questa mia asserzione ecco alcuni notevoli passi di due personaggi celebri dove il lettore trover poca differenza con il linguaggio stesso di Hobbes, di Rousseau e di altri della stessa scuola. Vi fu un tempo dice Cicerone in cui gli uomini andavano vagando per la campagna come dei bruti, alimentandosi con le prede come le fiere, non regolandosi affatto mediante la ragione ma in tutte le cose con la forza. A quel tempo non si professava alcuna religione, non si osservava nessuna morale, non vi erano leggi sul matrimonio; il padre non sapeva chi fossero i suoi figli e il bene procurato dai princpi di giustizia non era conosciuto. Cos, a motivo dellignoranza e dellerrore regnavano tirannicamente le cieche e sconsiderate passioni, che per soddisfare se stesse si servivano del loro brutale servitore: la forza fisica (De Inv. 1). La stessa dottrina si trova in Orazio (Satyrarum lib. 1, Satyra 3, 132-152 [Traduzione di Luca Antonio Pagnini, 1814]): Quando gli uomini primi usciro al mondo Muti e sozzi animali ebbero insieme Per le ghiande e le tane ad azzuffarsi Con unghie e pugni, co baston dipoi, Indi con larmi che foggi il bisogno, Finch inventate fur parole e nomi A dinotar glinterni sensi; e allora Cessaron le battaglie, e alzate furo Citt munite, e con le leggi esclusi I furti, gli adulterj e le rapine. Perocch prima ancor dElena al mondo Donne impudiche fur cagion di guerra, Ma ignoti son que che di fere in guisa Cercando pasto alla lussuria ingorda Spense la mano di rival pi forte, Come toro che sventra i men gagliardi. Se a scorrer prendi dogni et gli annali, Vedrai che incontro alloprar fello e ingiusto Fur le leggi dagli uomini inventate; N Natura scevrar dal torto il dritto Pu come il ben dal male, il pro dal danno.

(3) A proposito della questione sullorigine indiretta o diretta dellautorit civile c da osservare che al tempo di Lodovico il Bavaro i prncipi dellimpero approvarono solennemente lopinione che sostiene che il potere imperiale proviene direttamente da Dio. In una costituzione imperiale pubblicata contro il Romano Pontefice stabilirono la seguente proposizione: Per evitare un grande male dichiariamo che la dignit e potest imperiale procede direttamente soltanto da Dio. Per formarci unidea dello spirito e della tendenza di questa dottrina ricordiamo chi fosse Lodovico il Bavaro. Scomunicato da Giovanni XXII e poi da Clemente VI, giunse a deporre questultimo e a sostituire nella Sede Apostolica Pietro di Corbara. Essendo stato per tale fatto ammonito pi volte dal Papa, questi infine lo spogli della dignit imperiale e gli fece succedere Carlo, il IV e di questo nome. Il luterano Zieglier, acerrimo difensore del conferimento diretto, esponendo la sua dottrina paragon lelezione del principe a quella del ministro della Chiesa al quale, egli diceva, non il popolo a conferire lautorit spirituale, perch questa gli viene direttamente da Dio. Da questa interpretazione si rileva quanto sia vero ci che ho affermato nel testo, cio che tale dottrina a quei tempi tendeva ad equiparare le due autorit, temporale e spirituale, facendo intendere che questa non poteva pretendere sullaltra la minima superiorit dovuta allorigine: Non dir comunque che la dichiarazione fatta al tempo di Lodovico il Bavaro fosse rivolta direttamente a questo scopo, perch la si deve considerare piuttosto come unarma che veniva usata per combattere lautorit pontificia, della quale in quel momento si temeva linfluenza. Ma si sa bene che le dottrine, a parte lazione che esercitano al momento di usarle, hanno in s una loro forza che si sviluppa ogni volta che si presenti lopportunit di servirsene. Vediamo infatti che molto tempo dopo i monarchi inglesi, difensori della supremazia religiosa di cui si erano impadroniti, sostenevano la stessa proposizione che era stata riferita alla costituzione imperiale. Non so come si sia potuto sostenere che lopinione di Zieglier fosse comune prima di Puffendorf, perch consultando gli scrittori sia ecclesiastici che secolari non ho trovato prove del fondamento di tale asserzione. Bisogna anche rendere giustizia agli stessi avversari, perch lopinione di Zieglier, sostenuta da Boecler ed altri, fu combattuta da alcuni Luterani, tra i quali Boemero, il quale osserv che questopinione non era affatto vantaggiosa per la sicurezza della nazione e dei prncipi, come pretendevano i suoi sostenitori. Ripeto quanto ho gi spiegato nel testo: non credo che lopinione del conferimento diretto, se inteso correttamente, sia tanto inammissibile e dannosa come alcuni suppongono; ma siccome per se stessa pu dare occasione ad una errata interpretazione, i teologi cattolici fecero benissimo a combatterla per ci che poteva avere in s di pericoloso per il dogma dellorigine divina dellautorit ecclesiastica. (4) Potrei citare molti passi importanti con cui il lettore si renderebbe conto di quanto sia lontana dal vero laccusa rivolta al clero cattolico dai suoi nemici, quella cio di essere favorevole al dispotismo e di aver stretta con esso unempia alleanza. Ma per non stancare troppo il lettore con testi e citazioni, e per non dilungarci eccessivamente, far un cenno delle opinioni che correvano in Spagna su questo tema verso gli inizi del diciassettesimo secolo, pochi anni dopo la morte di Filippo II, di quel monarca cio che ci viene sempre descritto come lorribile personificazione del fanatismo religioso e della schiavit politica. Fra le molte opere che in quei tempi furono scritte su queste delicate materie ce n una singolarissima, che a quanto pare non delle pi note. Essa ha per titolo: Trattato della repubblica e della politica cristiana ad uso dei re e dei prncipi, e di coloro che ne fanno le veci nel governo; composto da fra Giovanni di S. Maria, religioso scalzo della provincia di S. Giuseppe, dellOrdine del nostro glorioso Padre S. Francesco.

Lopera fu stampata a Madrid nel 1615 con tutte le licenze, approvazioni, e le altre solite formalit, e dovette essere accolta abbastanza bene perch nel 1616 fu gi ristampata a Barcellona da Sebastiano de Cormellas. Chi sa che questopera non ispirasse a Bossuet lidea di comporre la sua Politica ricavata dalle parole della Sacra Scrittura? certo comunque che il titolo analogo e il soggetto lo stesso, bench lesposizione sia diversa. Io penso dice lautore di risolvere la questione presentando ai re con questo trattato non le mie ragioni, n quelle che potrei ricavare da grandi filosofi e dalla storia umana, ma le parole di Dio e dei suoi santi, la storia divina e quella della Chiesa, delle quali non potranno disprezzare gli insegnamenti, e non vorranno considerare un affronto (per quanto siano i re grandi e potenti) il sottomettersi ad esse, se sono Cristiani, avendole dettate lo Spirito Santo che ne lautore. E se avr da riportare alcuni esempi di re pagani, e di avvalermi dellantichit servendomi delle sentenze di filosofi non appartenenti al popolo di Dio, lo far come colui che riprende le proprie cose dalle mani di coloro che le detengono e le posseggono ingiustamente (Cap. 2). Nel primo capitolo, che ha per titolo: Nel quale si tratta brevemente di ci che contiene in s questo nome di repubblica e della sua definizione, si leggono queste interessanti parole: Di modo che la monarchia, per non degenerare, non deve procedere libera e assoluta (il che renderebbe insensato il comando e il potere), ma vincolata alle leggi in tutto ci che contenuto nelle leggi; e nelle faccende private e temporali al Consiglio, per il legame che deve avere con laristocrazia che ne il sostegno, e al consiglio dei potenti e dei saggi. Perch, se la monarchia non ben moderata, vengono fuori gravi errori nel governo, e poca soddisfazione e grande disgusto nei governati. Tutti gli uomini pi giudiziosi e pi dotti in ogni campo hanno sempre considerato questo tipo di governo come il meglio organizzato, e non si mai pensato che una citt o un regno possa essere ben governato in modo diverso. I buoni re e i grandi governatori lo hanno sempre preferito, mentre viceversa quelli che non erano tali sono andati per unaltra strada portati dalla loro forza. Ci detto, se il monarca, chiunque egli sia, dovesse agire esclusivamente di testa sua senza ascoltare il Consiglio o contro il parere dei suoi consiglieri, anche se se la sua decisione risultasse vantaggiosa uscirebbe dai limiti della monarchia ed entrerebbe in quelli della tirannia: la storia piena di questi esempi che hanno portato allinfelice successo la tirannia. Ne basti uno per tutti, quello illustrato nel primo libro di Tito Livio riguardante Tarquinio il Superbo. Il quale, volendo con la sua grande superbia farsi padrone di tutto e mettersi tutti sotto i piedi, fece in modo di indebolire lautorit del Senato romano riducendo il numero dei senatori, giungendo cos a decidere da solo quanto occorreva nel regno. Nel secondo capitolo, in cui lautore esamina Cosa significa il nome di re, si legge quanto segue: E qui torna bene il terzo significato della parola re, che lo stesso che padre, come risulta dalla Genesi, dove i Sichemiti chiamarono il loro re Abimelech, che vuol dir Padre mio o Signor mio. Anticamente i re erano chiamati padri delle loro nazioni; per questo il re Teodorico, difendendo la maest reale, secondo Cassiodoro si espresse cos: Princeps est pastor pubblicus et comunis; il re non altro che un padre pubblico e comune della nazione. Ed proprio perch il compito del re assomiglia molto a quel del padre che Platone chiam il re Padre di famiglia. E Il filosofo Senofonte disse: Bonus princeps nihil differt a bono patre; il buon prncipe non differisce in nulla dal buon padre. La differenza sta unicamente nellavere pi o meno persone sotto il proprio comando. E per la verit molto conforme alla ragione che si dia al re il titolo di padre, perch deve esserlo dei suoi sudditi e del suo regno, tutelando il loro bene e la loro sicurezza con affetto e sollecitudine di padre. Per cui, dice Omero, regnare non altro che esercitare un governo paterno, come quello di un padre sui propri i figli: Ipsum namque regnum imperium est suapte natura paternum. Il modo migliore per governare che il re si rivesta dellamore di padre e guardi i

sudditi come figli nati dalle sue viscere. Lamore che il padre ha per i suoi figli, il vigilare che non manchi loro nulla, il dedicarsi tutto a ciascuno di essi, assomiglia molto alla benevolenza del re verso i suoi sudditi. Si chiama padre, e questo nome lobbliga a corrispondere con i fatti a ci che significa. Anche perch questo nome di padre si addice moltissimo ai re: che se ben si considera, tra i nomi e gli epiteti di maest e signoria il maggiore e li comprende tutti come il genere le specie. Padre al di sopra di signore, al di sopra di maestro, al disopra di capo e di capitano; questo nome infine al di sopra di tutti gli altri nomi rivolti agli uomini che denotano signoria e provvidenza. Anticamente quando si voleva onorare oltremodo un imperatore lo si chiamava Padre della patria (che pi di Cesare, pi di Augusto, e pi di qualunque altro nome glorioso), o per adularlo, o per impegnarlo ai gravi obblighi connessi a questo nome di padre. Finalmente con questo nome si dice al re ci che deve fare: reggere e governare, e mantenere nella giustizia le nazioni e i regni; che deve pascere da buon pastore le sue docili pecorelle, e deve medicarle e curarle come un buon medico; che deve aver cura dei sudditi come il padre ha dei suoi figli, con prudenza, con amore, con sollecitudine, essendo re pi per loro che per se stesso. Perch i re sono pi obbligati verso il regno e il popolo che verso se stessi; infatti, se consideriamo lorigine e listituzione di re e di regno, troveremo che il re fu fatto per il bene del regno, e non il regno per il bene del re . Nel terzo capitolo, che ha per titolo: Se il nome di re nome di ufficio, si esprime in questa maniera: Oltre a ci che ho appena detto, che il nome di re debba essere nome di ufficio viene confermato anche da questa comune massima: Il beneficio si d per lufficio. Per cui, essendo i re beneficiati in misura cos grande, non soltanto per i notevoli tributi che d loro la nazione, ma anche per quelli che ricavano dai benefci e rendite ecclesiastiche, non c dubbio che hanno un ufficio, e il pi grande di tutti, per il quale tutto il regno li sostiene con tanta larghezza come dice S. Paolo nella lettera ai Romani: ideo et tributa praestatis etc. I regni non pagano inutilmente: tanti privilegi, cariche, rendite; tanta autorit, dignit e cos grande nome, non vengono dati senza alcun onere. Non avrebbero il nome di re se non avessero nessuno da reggere e governare, se non avessero questobbligo: in multitudine populi dignitas regis. Questa grande dignit, queste grandi ricchezze, questa grandezza, maest e onore vengono dati con lonere perpetuo di reggere e governare i loro Stati, e di mantenerli nella pace e nella giustizia. Sappiano dunque i re che sono tali per servire i regni, perch appunto sono pagati per questo, e che hanno lufficio di re perch sono tenuti allimpegno di esercitarlo: qui praeest in sollicitudine, dice S. Paolo. Questo il titolo e il nome del re e di chi governa: quello che sopravanza tutti non solamente negli onori e nei piaceri, ma anche nella sollecitudine e nelle cure. Non credano di essere re soltanto di nome e pro forma, di non avere altro da fare che farsi adorare, rappresentando la regalit e la dignit suprema in modo pomposo come facevano alcuni re dei Persiani e dei Medi i quali non erano che unombra di re, dimentichi del loro ufficio come se non lo avessero mai avuto. Non c niente di pi inerte e di pi incorporeo dellimmagine di unombra che non muove n braccia n testa se non dietro le mosse che altri fanno. Dio prescrisse al suo popolo di non avere n statue n dipinti che mostrino la mano dove non , il viso dove non ; che dove non c corpo lo rappresentino con atteggiamenti come se fosse vero, come se fosse vivo e parlasse. Perch Dio non amico di figure finte, di uomini dipinti, n di re scolpiti come quelli di cui Davide disse: os habent, et non loquentur, oculos habent et non videbunt. Lingua che non parla, occhi che non vedono, orecchi che non sentono, mani che non operano: a che servono? Questo non altro che un idolo di pietra, che di re ha solo laspetto esteriore. Essere solo nome e apparenza di autorit, e niente uomo, suona male. I nomi che Dio d alle cose sono come il titolo di un libro, che in poche parole esprime tutto quello che contiene. Questo nome di re dato da Dio ai re, e contiene tutto ci che devono fare perch fa parte del loro ufficio. E se le opere non corrispondono al nome come se uno dicesse s con la bocca, ma con la testa facesse segno di no, il che sembrerebbe uno scherzo incomprensibile. Verrebbe preso per uno scherno o un inganno linsegna di una bottega dove fosse scritto: Qui si vende oro fino, se in realt non offrisse altro che

orpello. Il nome di re non deve essere inutile come se fosse un di pi nella persona reale, ma serva per quello che esso significa e rappresenta al pubblico; chi ha il nome che lo abilita a reggere e governare, regga e governi: non serve essere re di anello (come vien detto), cio di solo nome. In Francia ci fu un tempo in cui i re non avevano che il nome: tutto veniva fatto dai loro intendenti generali mentre essi non si occupavano che dei piaceri sensuali e della gola come i bruti, e per far vedere che erano vivi (perch non uscivano mai) apparivano una volta allanno il primo maggio sulla piazza di Parigi, seduti su un trono reale come i re delle commedie. Qui gli si presentavano gli omaggi e i doni, ed essi concedevano alcune grazie, come meglio a loro pareva e piaceva, E affinch si comprenda la meschinit a cui erano arrivati, Eginardo racconta nelle prime pagine della sua Vita di Carlo Magno che questi re erano pavidi e non davano alcun minimo segno di fatti illustri, ma avevano soltanto il nome vano di re, perch di fatto non lo erano n prendevano alcuna parte nel governo e nei beni del regno, essendo tutto in possesso dei prefetti di palazzo che venivano chiamati maggiordomi della casa reale. I quali erano praticamente padroni di tutto, mentre al misero re non lasciavano nulla se non il titolo. Seduto sul soglio, con la capigliatura e la barba lunga, egli rappresentava la sua parte e faceva finta di ascoltare gli ambasciatori che venivano da ogni dove, e quando questi stavano per tornarsene ai loro paesi dava loro le risposte. Ma in realt rispondeva come lavevano istruito o gli avevano dato da leggere, e lo faceva come se la risposta fosse opera della sua mente. E in questa maniera dellautorit reale non avevano che linutile nome di re, quel trono e quella maest ridicola, mentre i veri re e signori erano quegli intendenti che li opprimevano col loro potere. Di un re di Samaria Dio disse che non era altro che un po di schiuma, che vista da lontano sembra qualcosa, ma quando si arriva a toccarla non pi niente. Simia in tecto rex fatuus in solio suo (S. Bernardo, De consideratione libri quinque ad Eugenium III, cap. 7). La scimmia sul tetto, che avendo lapparenza di uomo tale ritenuta da chi non sa cosa sia, come un re inutile sul suo trono. Come la scimmia serve da trastullo ai fanciulli il re fa ridere quelli che lo vedono agire non da re, con sfoggio di autorit ma senza governo. Un re vestito di porpora seduto con gran maest sul trono come conviene alla sua grandezza, grave, severo e terribile in apparenza, di fatto assolutamente un nulla. Come una pittura di El Greco, che posta in alto e vista da lontano sembra bellissima e fa un grandeffetto; ma da vicino tutta linee e sbavature. Se consideriamo bene, la grande pompa e maest non sono che una sbavatura, unombra di re. Simulacra gentium, chiama Davide i re di solo nome; o come traduce lEbreo: imago fictilis et contrita. Figura di argilla instabile che viene puntellata da tutte le parti; vano simulacro, che fa gran figura ma tutta una finzione, e a cui si pu applicare benissimo il nome che attribu ingiustamente Elifaz a Giobbe quando, deridendo questo cos buono giusto re, lo chiam uomo senza beni e senza sostanze e di sola apparenza esteriore, lo defin Mirmicoleone, che un animale chiamato in latino formica-leo perch ha una figura mostruosa che presenta nella met anteriore del corpo la forma di un fiero leone, che sempre stato simbolo del re, e nellaltra met una formica, che rappresenta una cosa debolissima e senza la minima sostanza. Lo sfoggio di autorit, il nome, il trono e la maest sono di forte leone e potentissimo re; ma lessere e la sostanza sono di formica. Vi furono dei re che col solo nome spaventavano e intimorivano il mondo, ma in s non avevano sostanza, e nel loro regno non erano che formiche; nome e ufficio grandissimo, ma senza opere. Si riconosca il re dunque ufficiale, non solo per un ufficio, ma come ufficiale generale e soprintendente a tutti gli uffici, perch in tutti deve parlare e operare. SantAgostino e S. Tommaso, spiegando quel passo di S. Paolo che tratta della dignit episcopale dicono che la parola episcopus si compone in greco di due vocaboli, che hanno lo stesso significato di superintendens. Il nome di vescovo, di re e di qualsivoglia altro superiore un nome che significa soprintendenza e assistenza in tutti gli uffici, Questo simboleggiato nello scettro reale di cui i re fanno uso nelle funzioni pubbliche, e questusanza era gi praticata dagli Egiziani, che a loro volta lavevano appresa dagli Ebrei. I quali per avere sempre presente lobbligo di un buon re raffiguravano un occhio aperto su unestremit dello scettro, significando da una parte la grande autorit detenuta dal re, e dallaltra la provvidenza e protezione che egli deve procurare. Perch il re non si deve soltanto compiacere di avere la suprema autorit e di occupare il posto pi alto ed eminente, e in questo modo dormire e

riposare; ma deve anche essere il primo nel governo, nel Consiglio, e in tutti gli uffici, vigilando continuamente, guardando ed osservando come opera ognuno nel proprio ufficio. In questo significato lo vide anche Geremia quando, richiestogli da Dio che cosa vedeva, rispose: virgam vigilantem ego video. Hai visto benissimo, e in verit ti dico che io, che sono capo, vigiler sul mio corpo; io, che son pastore, veglier sulle mie pecorelle; io, che sono re e monarca, veglier senza riposo su tutti i miei sudditi. Regem festinantem, traduce il Caldeo Re che si affretta; perch quantunque abbia occhi e veda, se resta tranquillo nel suo riposo, nei suoi piaceri e passatempi invece di andare in giro per cercare di vedere e conoscere tutto il bene e il male che vien fatto nel regno, come se non ci fosse. Rifletta allora che egli capo, e capo di leone, il quale anche quando dorme tiene gli occhi aperti; che scettro, che ha occhi e veglia. Apra dunque gli occhi e non dorma, perch non pu fidarsi di coloro che forse sono ciechi o senza occhi come le talpe, e se li hanno non li usano che per vedere i loro interessi, e per guardare da lontano cosa pu procurar loro un vantaggio o una promozione. Occhi per se stessi, e sarebbe meglio che non li avessero; occhi di sparviero e di uccelli di rapina. Nel capitolo quarto, che ha per titolo Dellufficio dei re, spiega in questo modo lorigine dellautorit reale e dei suoi obblighi: Ne segue allora che listituzione dello stato reale, o di re, che ci raffigura la mente, non soltanto per luso e profitto dello stesso re, ma per quello di tutto il regno. E cos il re deve vedere, udire, sentire e intendere non soltanto per s e da s, ma per tutti e a vantaggio di tutti. Non deve fissare lo sguardo soltanto sulla propria grandezza, ma anche sul bene dei sudditi, perch per tutti fu fatto re, e non per s solo. Adverte rempublicam non esse tuam sed te reipublicae, disse Seneca allimperatore Nerone. Quei primi uomini che abbandonando lo stato di solitudine si unirono insieme per vivere in comunit, capirono che per natura ciascuno agisce per s e per i suoi e non pensa agli altri; convennero allora di scegliere uno di merito eccellente a cui ricorressero tutti; il pi distinto in virt, prudenza e fortezza che presiedesse a tutti e li governasse, che tutelasse tutti e fosse sollecito con tutti dei profitti e vantaggi comuni come lo un padre con i figli e un pastore con le pecore. E considerando che questo tale uomo, dovendo badare non pi alle proprie cose ma a quelle di tutti non poteva mantenere se stesso n la sua famiglia (perch allora tutti vivevano del lavoro delle proprie mani), stabilirono tutti di procurargli il cibo ed il sostentamento, onde non si desse ad altre occupazioni fuorch quelle per il bene comune e per il governo della comunit. A questo fine furono stabiliti i re; fu cos che ebbe inizio listituzione, e tale deve essere lufficio del buon re: di avere maggior cura del bene comune che del suo bene privato. Tutta la sua grandezza gli coster grande premura, angoscia e inquietudine danima e di corpo; per lui comporter fatica e per gli altri riposo, sostentamento e protezione, cos come i fiori leggiadri e i frutti, per quanto abbelliscano la pianta, non sono tuttavia per essa e a vantaggio di essa quanto a vantaggio degli altri. Nessuno creda che tutto il bene sia compreso nella bellezza e vivacit per cui risalta il fiore, e risaltano quelli che sono i fiori del mondo: i re. I re potenti e i prncipi sono fiori, ma fiori che consumano la vita e dedicano molta cura, e i frutti li gustano pi gli altri che loro stessi. Giacch, come dice Filone ebreo, il re per il suo regno ci che il dotto per lignorante, il pastore per le pecore, il padre per i figli, la luce per le tenebre; e ci che quaggi sulla terra Dio per tutte le Sue creature; Dio che diede questo titolo a Mos quando lo fece re e duce del suo popolo; e ci valeva a dirgli che doveva essere come Dio, padre comune di tutti, tale essendo lobbligo dellufficio e della dignit di re. Omnium domos, illius vigilia defendit, omnium otium illius industria, omnium vocationem illius occupatio (Seneca lib. De consol.). Cos disse il profeta Samuele a Saul subito dopo averlo unto re, nel comunicargli gli obblighi del suo ufficio: Oggi Dio ti ha unto re su tutto questo regno che hai lufficio di governare; non sei stato fatto re perch ti metta a dormire e tinsuperbisca, e ti vanti della dignit reale, ma perch tu governi e mantenga il popolo in pace e giustizia, e perch lo difenda e lo protegga contro i nemici. Disse Socrate: Rex eligitur, non ut sui ipsius curam habeat, et sese molliter curet sed ut per ipsum ii qui elegerunt, bene beateque vivant. I re non sono stati creati

e introdotti nel mondo solo per i loro comodi e piaceri, e perch tutti i buoni cibi venissero messi nel loro piatto (che se fosse cos nessuno si assoggetterebbe volentieri), ma per lutilit e per il bene comune di tutti i loro sudditi, per il loro governo, protezione, accrescimento, conservazione e servizio. E si pu ben dire cos: perch sebbene la corona e lo scettro abbiano laspetto di comando e di signoria, per a rigore lufficio di servo. Servus communis, sive servus honoratus alcuni definiscono il re. Quia a tota republica stipendia accipit ut serviat omnibus. E questo il titolo di cui si onora il Sommo Pontefice, servus servorum Dei. E sebbene anticamente questo nome di servo era infame, dopo che Cristo lo ricevette nella sua persona, divenne titolo donore; e non ripugnando n contraddicendo allessere e alla natura di Figlio di Dio, neanche pu ripugnare allessere e alla grandezza dei re. Ben lo cap Antigono re di Macedonia, e lo disse al figlio quando lo rimprover perch trattava con troppa alterigia i sudditi. An ignoras, fili mi, regnum nostrum nobilem esse servitutem? Nello stesso modo si era espresso Agamennone prima di lui: Viviamo apparentemente in molta grandezza e in una condizione di privilegio, ma in realt siamo servi e schiavi dei nostri sudditi. Questo lufficio dei buoni re, servire onorevolmente; perch essendo re, le loro azioni non dipendono solamente dalla loro volont, ma anche dalle leggi e regole vigenti e dalle condizioni con cui fu accettata la dignit reale. E quando vengono meno a tali condizioni (per effetto di accordi umani) non possono mancare a quelle che diede loro la legge naturale e divina, padrona e signora sia dei re che dei sudditi; le quali regole sono praticamente contenute in quelle parole di Geremia con cui, secondo lopinione di San Girolamo, Dio d lufficio ai re: facite judicium et justitiam, liberate vi oppressum de manu calumniatoris, et advenam et pupillum et viduam nolite contristare, neque opprimatis inique, et sanguinem innocentem non effundatis. Questo il compendio degli obblighi del re; queste sono le leggi della sua istituzione, per cui egli obbligato a mantenere in pace e giustizia lorfano e la vedova, il povero e il ricco, il potente e il debole. A lui vanno addebitati gli aggravi che i suoi ministri fanno agli uni, e lingiustizia che soffrono gli altri, le angustie dellanimo, le lagrime di chi piange; per non parlare di mille altre cose e di un profluvio di impegni e di obblighi cui soggetto chiunque sia principe e capo di un regno: che sebbene sia capo nel comandare e governare, nel correggere e promuovere, deve anche essere piede sul quale poggia e insiste il peso di tutto il corpo della nazione. Dei re e dei monarchi dice il santo Giobbe, come abbiamo gi visto, che a motivo del loro ufficio mantengono e trasportano il mondo sulle loro spalle. A figura di questo, come scritto nel libro della Sapienza, in veste ponderis quam habebat summus sacerdos, totus erat orbis terrarum. Quando uno re sappia che gli stato messo sulle spalle un peso tanto grande che non riuscirebbe a portarlo un carro robusto. Ben lo sperimentava Mos, che avendolo Dio fatto Suo vicer, condottiero e luogotenente nel governo, invece di ringraziarlo per la carica cos onorevole che gli aveva conferito si lamentava di avere sulle spalle un carico troppo pesante: Cur afflixisti servum tuum? Cur imposuisti pondus universi hujus populi super me? E continuando con i suoi lamenti dice: numquid ego concepi omnem hanc multitudinem, aut genui eam, ut dicas mihi: porta eos? Li ho forse partoriti io, o Signore, o li ho io generati, perch Tu mi dica che me li metta sulle spalle e li porti? E qui bisogna notare che Dio non parl a Mos in questo modo, perch gli comand soltanto di reggerli e governarli, e di svolgere lufficio di capo e di duca: eppure cosa disse Mos? Che Dio gli comand di prenderli sulle sue spalle: Porta eos. Sembra che si lamenti a torto, perch non gli era stato detto altro che di essere loro capo, di reggerli, comandarli e governarli. Da queste parti c un proverbio che dice: A buon intenditor poche parole. Chi sa bene e intende cosa sia governare ed essere capo, sa che governo e carico tuttuno. E gli stessi vocaboli reggere e portare sono sinonimi, ed hanno lo stesso significato: non vi governo, n carica senza peso e fatica. Nella distribuzione degli uffici che fece Giacobbe ai suoi figli, destin Ruben ad esser primo nelleredit e in grado pi elevato nel governo: prior in donis, major in imperio. E San Girolamo traduce: major ad portandum, perch autorit e carica sono la stessa cosa; e quanto lautorit maggiore, maggiore la carica e la fatica; e S. Gregorio nei suoi Moralia dice, che lautorit, il dominio e la signoria che i re hanno sui loro sudditi non devono esser visti come un onore, ma come una fatica: Potestas accepta non honor, sed onus destimatur. E

questa verit stata scoperta anche dai pi ciechi pagani; e uno di essi prendendo la cosa nel medesimo senso dice, parlando di un altro pagano cui il suo Dio Apollo aveva fatto allegro e contento col dargli un certo ufficio: laetus erat mixtoque oneri gaudebat honore. Di modo che il regnare e il comandare una miscela costituita da un poco di onore e da molto peso. E in latino onore differisce da carica soltanto per una lettera, honos quella e onus questa; e non manc mai, n mancher mai, chi confonda la carica con lonore, sebbene tutti prendano il meno possibile di ci che di peso e il pi possibile di ci che di onore: scelta pericolosa, non essendo questa cosa la pi sicura. Se un tale linguaggio verr tacciato di adulazione, non facile capire allora in che consista il dire la verit. E bisogna notare che queste cose non sono dette cos, alla leggera, ma sono ripetute con tanta insistenza che potrebbe apparire irriverenza se il candore infantile del suo linguaggio non rivelasse la pi pura intenzione. Il passo lungo, ma molto importante perch vi dipinto lo spirito di quel tempo. Potrei portare molti altri testi nei quali si vedrebbe quanto falsamente il clero cattolico stato accusato di essere favorevole al dispotismo; ma non voglio finire senza inserire due passi del dotto P. Ferdinando de Ceballos, monaco Girolamino del monastero di S. Isidoro del Campo, noto per lopera intitolata: La falsa filosofia, o lateismo, il deismo, il materialismo ed altre nuove stte convinte di delitto di stato contro i sovrani e loro regalie, e contro i magistrati e autorit legittime (Madrid 1776). Si noti con quale saggezza il dotto monaco valuta linfluenza della religione sulla societ, nel lib. 2. Disert. 12, art. 2. Il governo moderato e dolce quello che pi si conf allo spirito del Vangelo. I Una delle prerogative pi eccelse che dobbiamo considerare della nostra santa religione, che con le sue fondamentali verit essa d un grande aiuto alla politica umana, tale che questa possa conservare con minore fatica il buon ordine tra gli uomini: La religione (dice giustamente Montesquieu) molto lontana dal puro dispotismo, perch essendo nel Vangelo tanto raccomandata la dolcezza, si oppone cos alla collera dispotica con cui il principe vorrebbe farsi giustizia e soddisfare la sua crudelt. Conviene osservare che questa opposizione del Cristianesimo alla crudelt del principe non deve essere attiva ma passiva, e con quella dolcezza di cui non pu fare a meno senza che perda il proprio carattere. In questo sta la differenza tra i Cattolici e i Calvinisti e gli altri Protestanti. Basnage e Jurieu hanno scritto in nome di tutta la riforma che i popoli possono combattere i loro prncipi ogni qualvolta si sentano da loro oppressi, o quando sembra che si comportino da tiranni. La Chiesa cattolica non ha mai cambiato la dottrina che ha ricevuto da Ges Cristo e dagli Apostoli. Ama la moderazione, si compiace del bene; ma non fa resistenza al male, e lo vince con la pazienza. Ai governi diretti dalle false religioni non basta una politica moderata: in essi il dispotismo o tirannia dei prncipi, latrocit delle pene e il rigore di una legislazione crudele e inflessibile sono mali necessari. E perch solo la religione cattolica pu correggere da tale malvagit i governi umani? In primo luogo per il forte ascendente che hanno i suoi dogmi; e in secondo luogo per la grazia di Ges Cristo che rende gli uomini docili ad operare il bene e forti contro il male.

Laddove si professi una falsa religione, e mancano quindi questi due aiuti, necessario che il governo per porre un freno ai cittadini supplisca per quanto possibile con una politica violenta, dura e piena di orrore. Dunque la religione cattolica libera i governi dalla necessit di una tale durezza mediante linfluenza dei suoi dogmi sulle azioni umane. Si osservi che in Giappone, non avendo la religione ivi dominante alcun dogma n alcuna idea sul paradiso e sullinferno, per supplire ad un tale difetto sono state elaborate delle leggi, affidandosi, per ottenere dei risultati, alla crudelt delle stesse ed al rigore con cui vengono fatte rispettare. Ovunque i deisti, i fatalisti e i filosofi diffondono lerrore affermando che le nostre azioni sono soggette alla necessit e che quindi non si potr evitare che le leggi diventino pi terribili e sanguinarie di quelle che avevano i popoli barbari; perch non avendo pi gli uomini che motivi sensibili (alla maniera delle bestie) che li induca ad agire come viene comandato o a non fare ci che proibito, questi motivi, o pene, dovranno essere di giorno in giorno sempre pi aggravate, affinch gli uomini non si abituino ad esse e quindi le temano di meno. Ma la religione cristiana, che insegna e dichiara in modo meraviglioso il dogma della libert razionale, non ha bisogno di una verga di ferro per guidare gli uomini. Il timore delle pene, quelle eterne per i delitti non confessati, o quelle temporali per le macchie dei peccati gi confessati, dispensa i giudici dalla necessit di applicare leggi particolarmente severe. Daltra parte la speranza del paradiso per i pensieri, parole ed opere buone, porta gli uomini ad essere giusti non solo in pubblico, ma anche nel segreto del loro cuore. I governi che non hanno questo dogma dellinferno e del paradiso, con quali leggi o castighi potranno formare dei cittadini che siano veramente uomini portati al bene? Ora, i materialisti che negano il dogma della vita futura, e i deisti che lusingano i cattivi con la sicurezza del paradiso, mettono i governi nella penosa necessit di armarsi con tutti gli strumenti del terrore, e di ricorrere continuamente ai pi crudeli supplizi per contenere il popolo ed evitare che gli uomini si distruggano lun laltro. Nelle stesse condizioni si sono ridotti anche i Protestanti che negano il dogma dellinferno eterno lasciando, tuttal pi, il timore di una pena che avr comunque un termine. Di modo che, come ha detto DAlembert al clero di Ginevra, se i primi riformatori negarono il purgatorio e lasciarono linferno, i Calvinisti e i riformati moderni avendo limitata la durata dellinferno lasciano in pratica quello che pi propriamente chiamato purgatorio. Il dogma del giudizio finale, in cui verranno palesati al mondo intero le pi piccole colpe che ciascuno commise anche in segreto, quale efficacia non deve avere per frenare i pensieri stessi, i desideri e tutte le perversit del cuore e delle passioni? Allo stesso modo dunque questo dogma libera il governo politico dalla fatica e sorveglianza continua che dovrebbe esercitare su una citt i cui abitanti non credessero a questo giudizio, o non pensassero alle sue conseguenze. II Certe stravaganze uscite dalla bocca dei filosofi derivano da alcune conoscenze che acquisirono quando facevano ancora uso della loro ragione, o quando conservavano ancora la santa religione. Cos, per esempio, quando dicono, che la religione stata inventata dalla politica per risparmiare ai sovrani la preoccupazione di essere giusti, di fare buone leggi, e di ben governare. Questa sciocchezza, che di per s vien meno quando si tratta di religioni che gi preesistevano, suppone tuttavia la verit di cui parliamo. Perch essendo evidente a tutti, ed anche ai filosofi che vanno cos delirando, laiuto che la religione cristiana d ai governi umani con i suoi dogmi, e quanto essa cooperi affinch gli uomini possano vivere bene anche su questa terra, da questo fatto quei filosofi traggono motivo per tirar fuori la loro sciocca malizia. Ma in sostanza, e pur non volendo, ci vengono a dire che i dogmi della religione sono cos favorevoli e convenienti a chi governa, e tanto efficaci per alleggerire in gran parte le fatiche di governo, che sembrano fatti apposta per loro, secondo le intenzioni di un magistrato o di un governo politico. Non sintende dire con questo che gli uomini debbano essere governati con la sola religione e i giudici debbano trascurare del tutto le leggi e le pene senza farne uso. Anche se noi crediamo

allefficacia dei dogmi che cinsegna la religione, non abbiamo una presunzione cos sconsiderata da ritenere superflue e inutili per la societ gli uffici delle leggi e della politica. LApostolo ci dice soltanto che la legge non sarebbe necessaria per i giusti; ma siccome ci sono tanti malvagi che a furia di non pensare mai al loro fine e ai terribili giudizi di Dio vivono in bala delle loro passioni, per tenerli a freno rimane sempre la necessit delle leggi e delle pene esistenti. Cos la religione cattolica non esclude la buona politica, e non nega i suoi uffici, ma piuttosto li aiuta e ne viene aiutata per il buon governo del popolo, in modo che possa essere ben governato con molto minor rigore e severit. III La seconda ragione per cui negli Stati cattolici il governo pu essere pi moderato e pi facile da esercitare consiste nellaiuto che la grazia del Vangelo d per operare il bene e odiare il male; aiuto che fornisce sia con la pratica dei Sacramenti, sia con altri mezzi che elargisce lo Spirito Santo. Senza di che ogni legge diventa dura, mentre con questa unzione ogni giogo soave ed ogni peso diventa leggero. Nellarticolo terzo, nel difendere la monarchia dalle accuse che le rivolgono i nemici, lautore respinge la taccia di dispotismo con cui cercano di attaccarla; e passa quindi a spiegare i giusti limiti dellautorit reale chiarendo anche un punto della Sacra Scrittura sul quale alcuni fondavano una loro tesi per ampliare le prerogative del trono. Egli si esprime come segue: Quando alcuni hanno rinfacciato alla monarchia il rischio che corrono i cittadini di perdere i loro beni a causa del sovrano che pu impadronirsene, costoro hanno ragionato contro la natura del dispotismo piuttosto che contro la forma del governo monarchico. A cosa serve dice Teseo in Euripide accumulare ricchezze per i propri eredi ed educare con ogni cura le figlie, se la maggior parte di quelle saranno rapinate da un tiranno, e queste serviranno alle sue voglie sfrenate? Qui si vede chiaramente che si parla di un tiranno, mentre invece si vuole ragionare dellufficio di un monarca. vero comunque che per i frequenti abusi che i re hanno fatto del loro potere si sono confusi i nomi e le forme; ed inoltre stato osservato che gli antichi conobbero a mala pena la vera monarchia, e probabilmente fu proprio cosi perch non ne videro che gli abusi. Questo mi d loccasione per fare unosservazione sullepisodio in cui gli Ebrei chiesero di essere governati dai re: Dacci un re fu questa la richiesta che fecero al profeta perch ci giudichi come si usa presso tutte le nazioni. A Samuele dispiacque questa sconsideratezza che avrebbe portato una rivoluzione totale nel governo dato da Dio. Ma Dio gli ordin di sopportare pazientemente lingiuria del popolo che cadeva soprattutto su di Lui, che gli Ebrei rigettavano affinch non regnasse pi su di loro. Gli disse che come avevano rigettato Dio, servendo a divinit straniere, non doveva meravigliarsi che si ribellassero anche a lui profeta e gli chiedessero un re simile a quelli delle nazioni. Bisogna sempre notare come siano legate tra loro il cambiamento del governo e quello della religione, specialmente quando si tratti di passare da quella vera ad una falsa. Ma quello che mi preme far osservare in che modo venne accettata la richiesta del popolo. Questo chiedeva di essere governato da un re, come lo erano tutte le altre nazioni. Il Signore castig il loro spirito di rivolta abbandonandoli ai loro desideri, e comand a Samuele di corrispondere alla richiesta; ma che prima facesse loro conoscere il diritto del re che avrebbe regnato su di loro secondo la regola delle nazioni, come loro chiedevano. Ed ecco qui dunque la forma della regalia, o diritto del re, che avrebbe regnato sul popolo: Vi toglier i vostri figli e li metter sui suoi carri; ne former dei cavalieri di guardia al suo seguito o per correre davanti alle sue carrozze. Ne far dei tribuni e dei centurioni; altri li metter a lavorare i suoi campi, a raccogliere il grano, a fabbricare armi e macchine da guerra; le vostre figlie le far profumiere, cuoche e fornaie. Prender le vostre migliori vigne e i vostri terreni per darli ai suoi servi. Decimer i vostri frutti e gli introiti delle vostre vigne per mantenere i suoi eunuchi e i suoi

ufficiali. Prender anche i vostri servi e serve, i giovani pi robusti e gli asini, e li far lavorare tutti per s. Prender inoltre le decime dei vostri greggi, e voi stessi finalmente sarete suoi schiavi. Allora reclamerete contro il re che chiedeste e sceglieste; ma Dio non vi ascolter, perch voi stessi lavete voluto. Il popolo non volle ascoltare le parole di Samuele ed esclam: Non occorre che ci parli oltre, dobbiamo avere un re, e saremo come tutte le genti. Alcuni, con lintenzione di estendere oltre il dovuto lautorit del re, hanno preso da qui la formula del diritto reale. Che intenzione cieca e disonorevole per dei monarchi legittimi quali sono quelli cattolici! Chiunque dotato di buona scienza non voglia errare su questo passo della Scrittura, e chiunque non sia cieco, riconosce, sia nel contesto, che nel confronto che ne faccia con altri passi, che qui non viene descritto il potere legittimo o di diritto, ma quello di fatto. Voglio dire: non viene descritto ci che devono fare i re giusti, ma ci che facevano i re delle nazioni pagane, i quali ordinariamente erano e venivano chiamati tiranni. Si osservi perci che il popolo non domandava altro che di essere, in quanto alla politica, uguale alle nazioni pagane. Non ebbe la prudenza di chiedere un re come doveva essere, ma come solevano essere allora; ed questo ci che, appunto, Dio concesse loro. Giacch, se Dio nel suo furore talvolta ha dato ai popoli i re (come dice il profeta), quale popolo lo merit pi di quello che rigettava lo stesso Dio, non volendo che regnasse su di esso? Infatti Dio castig severamente il suo popolo concedendogli quello che scioccamente aveva chiesto. Gli accord un re che facesse ci che veniva dalla consuetudine, sebbene cattiva, e che si chiamava diritto reale. Il quale consisteva nel togliere i figli e le figlie ai sudditi, spogliarli delle terre, vigne, eredit ed anche della libert, facendoli schiavi, e con tutto il resto che viene descritto nel testo. Qual quelluomo del nostro secolo il quale, pur non comprendendo ci che si legge nella Scrittura, ma comprendendo per quanto stato scritto sulla natura dei governi e dei loro abusi, potr mai pensare che le cose dette da Samuele esprimano la forma legittima dellautorit reale o della monarchia? Dipende forse da una tale autorit togliere ai sudditi i beni, le terre, le ricchezze, i figli e le figlie, e la stessa libert naturale? questa la monarchia? O la tirannia pi dispotica? Per tirare il lettore del tutto fuori dallinganno baster trasferirci da questo passo al capitolo 21 del III [I] Libro dei Re, dove viene descritta la storia di Nabot, che era un abitante di Izrel. Acab, re dIsraele, voleva ampliare il palazzo o villa che aveva in quella citt. Una vigna di Nabot, che era vicina al palazzo, veniva ad trovarsi nella zona dei giardini che rientravano nel progetto di ampliamento. Il re non la prese di propria autorit, ma la chiese al proprietario con lonesta intenzione di pagarla al prezzo stimato, oppure di dargliene unaltra migliore situata in un altro luogo. Nabot non accett lofferta perch si trattava delleredit dei suoi antenati. Il re, che non era abituato a ricevere un rifiuto, si gett sul suo letto preso dal dispiacere; entr la regina, che era Gezabele, e gli disse di non prendersi pena perch grande era la sua autorit, grandis auctoritatis es, e che ci avrebbe pensato lei a fargli ottenere la vigna. Linfame donna scrisse ai giudici di Izrel di processare Nabot per una calunnia che sarebbe stata testimoniata da due testimoni prezzolati, e di condannarlo a morte. La regina fu ubbidita, e Nabot fu lapidato. Era necessario che si facesse cos affinch la vigna fosse devoluta al fisco, e perch, innaffiata col sangue del suo proprietario, producesse fiori per il palazzo di tali prncipi. Ma in realt non produsse che triboli ed erbe velenose, sia per il re che per la regina. Si present Elia davanti ad Acab mentre costui andava a prender possesso della vigna di Nabot, e gli fece sapere che lui, la sua posterit e tutta la sua casa, e perfino il cane che faceva i suoi bisogni contro il muro sarebbero stati cancellati dalla faccia della terra. Ora io domando a coloro che ritengono legittimo lo jus regis che Samuele pronunci al popolo: come mai Acab e Gezabele furono castigati tanto duramente per aver tolto la vigna e la vita a Nabot, se il re poteva togliere ai suoi sudditi le vigne e i migliori oliveti, che una delle cose dichiarate da Samuele? Se Acab aveva questo diritto fin da quando lo costituirono re del popolo di Dio, come mai va a pregare Nabot con tanto garbo, lui che era un principe cosi violento? E perch mai fu necessario

accusare Nabot con una calunnia? Per processarlo era sufficiente che si fosse opposto al diritto del re col negargli per il giusto valore quanto occorreva per ampliare il palazzo e gli orti. Eppure con tutto ci Nabot non fece ingiuria al re per il fatto di non avergli voluto vendere la sua propriet, e questo anche a giudizio dellambiziosa regina che vantava la grande autorit di suo marito. Questa grande autorit che Gezabele riconosceva al re, si riferisce allo jus regis di cui Samuele parlava al popolo; cio, come ho detto prima, ad un diritto e un potere di fatto o di forza fisica per prendersi tutto, e sopraffare tutti, come dice Montesquieu parlando del tiranno. Non si faccia dunque menzione n di questo n di altro passo della Sacra Scrittura per giustificare lidea di un governo inteso cos male. La dottrina della religione cattolica ama la monarchia legittima secondo le caratteristiche che le si addicono e secondo le qualit che in essa riconoscono gli studiosi di diritto pubblico moderni, cio un potere paterno e sovrano, ma secondo le leggi fondamentali dello Stato. Dentro tali confini pi che leciti questautorit ordinatissima, la pi ampia che vi sia tra le autorit temporali, ed la pi favorita e la pi sostenuta dalla vera religione. Ecco lorribile dispotismo che insegnavano questi uomini calunniati con tanta villania: felici i popoli che avranno prncipi il cui governo sia conforme a queste dottrine! Limportanza delle materie trattate in questo volume mi obbliga ad inserire con qualche estensione i testi che provano la verit di quanto ho esposto. (5) Ecco come parla S. Tommaso della potest reale, e con quanto solide e generose dottrine ne assegna i doveri in De regimine principum, libro 3, cap. XI. DIVUS THOMAS DE REGIMINE PRINCIPUM LIBRO III CAPITOLO XI Il potere regale: in che cosa consiste, in che cosa differisce da quello politico, e come si distingue in vari modi, secondo diversi criteri. Ora dobbiamo esaminare il potere regale, rilevando in esso varie distinzioni secondo le diverse regioni, e secondo i vari autori che ne trattano. E prima di tutto notiamo che nella Sacra Scrittura le leggi del dominio regale sono tramandate da Mos nel Deuteronomio in un modo, e dal profeta Samuele, nel Libro dei Re, in un altro. Ambedue, per, in maniera diversa, sempre parlando in nome di Dio, ordinano il re al bene dei sudditi; e questo proprio dei re, come insegna Aristotele nellottavo libro dellEtica. Si legge infatti nel Deuteronomio: Quando il re sar stato proclamato non accrescer il numero dei suoi cavalli, n fidandosi dei suoi cavalieri ricondurr il popolo in Egitto Non avr una moltitudine di mogli, che seducano il suo cuore, n eccessiva quantit dargento e doro (come poi questo debba intendersi stato detto prima in questo libro) Scriver per suo uso in un volume una copia di questa legge, e la terr presso di s, e la legger tutti i giorni della sua vita, per impararvi a temere il Signore Dio tuo, ed a custodire i comandamenti e le osservanze prescritte nella sua legge (Deuteronomio 17, 16-19), e cio, affinch possa dirigere il popolo secondo la legge divina. Perci anche il re Salomone al principio del suo regno chiese a Dio questa sapienza, per indirizzare il suo governo al bene dei sudditi, come scritto nel terzo [primo] Libro dei Re. Aggiunge poi Mos nel medesimo libro (Deuteronomio 17, 20): Non monti in superbia il suo cuore rispetto ai suoi fratelli, n pieghi verso destra o verso sinistra, acciocch regni lungamente sopra Israele, egli ed i suoi figlioli.

Invece nel primo Libro dei Re [primo Samuele] le leggi del regno sono dirette principalmente allutilit del re, come abbiamo visto prima, nel secondo libro di questopera (cap. IX), dove sono scritte parole perfettamente adatte alla condizione servile; e tuttavia Samuele afferma che le leggi che ha enunziato, pur essendo interamente dispotiche, sono le leggi del regno. Aristotele per nellottavo libro dellEtica, concorda di pi con le prime [ossia col Deuteronomio]. Nello stesso libro infatti stabilisce tre princpi riguardo al re, e cio che legittimo solo il re, il quale miri anzitutto al bene dei sudditi; secondo, che egli basti a se stesso, ossia che abbia una grande abbondanza di tutti i beni, affinch non abbia a gravare sui sudditi; terzo, che si preoccupi a che i sudditi agiscano bene, come un pastore fa col suo gregge. Da tutte queste cose risulta chiaramente che sotto questo profilo il dominio dispotico differisce molto da quello regale, come afferma Aristotele nel primo libro della Politica. Risulta inoltre che il regno non per il re, ma il re per il regno: poich Dio dispose che i re reggano il regno e lo governino tutelando ciascuno nel proprio diritto; e questo il fine del governo: perch se agiscono diversamente, curando il proprio vantaggio, non sono re, ma tiranni. E contro di essi il Signore nel libro di Ezechiele (34, 2-4) dice: Pastori sciagurati dIsraele, che pascevano se stessi: oh, non sono forse i greggi che dai pastori si fanno pascere? Voi vi nutrivate del latte e della lana vi eravate ricoperti, e le pi pingui scannavate, e non pascevate il mio gregge. Non avete sostentato le inferme, n curato le ammalate, n fasciato le fratturate, n ricondotto le sbandate, n cercato le smarrite, ma avete spadroneggiato con rigore e prepotenza. E con queste parole ci viene efficacemente insegnata la forma del buon governo, mentre si condanna il suo contrario. Di pi: un regno costituito da uomini, come una casa lo dalle pareti e il corpo umano dalle membra, come dice Aristotele nel terzo libro della Politica. Dunque il fine del re, affinch il governo sia prospero, che gli uomini siano conservati ad opera sua. Ed per questo che il bene comune di qualsiasi principato una partecipazione della bont divina; cosicch Aristotele nel primo libro dellEtica pu dire che il bene comune lo scopo cui mirano tutti i componenti, e che un bene divino. Come Dio, infatti, che il Re dei re e il Signore dei dominanti, per virt del quale i prncipi governano, come stato provato in precedenza , ci regge e governa non per Se stesso, ma per la nostra salvezza, cosi devono fare anche i re e gli altri dominanti della terra. (6) Ho parlato nel testo dellopinione di Monsignor Felice Amat, Arcivescovo di Palmira, riguardo allubbidienza dovuta ai governi di fatto, ed ho osservato che i princpi del detto autore, oltre che falsi, sono anche sommamente contrari ai diritti del popolo. Sembra che il citato scrittore si trovasse alquanto imbarazzato nel cercare una massima a cui attenersi nei casi che potessero capitare, e che infatti capitano con troppa frequenza. Egli temeva loscurit e la confusione di idee che di solito sintroduce quando si tratta in certe situazioni di definire la legittimit; e cercando di rimediare al male credo che labbia di molto aggravato. Ecco in qual maniera egli spiega la sua opinione nel cap. 3 art. 2 dellopera intitolata: Idea della Chiesa militante. Quanto pi rifletto sui dubbi accennati tanto pi vedo chiaramente che impossibile sciogliere con qualche certezza anche quelli antichi, e pi impossibile ancora trarre da questi dei lumi per sciogliere quelli che ora sono cos fortemente suscitati dallo spirito predominante di ribellione al giudizio e alla volont di chi comanda e, viceversa, di limitare sempre pi la libert civile di chi ubbidisce. E con la guida dei vari punti e delle varie nozioni che ho proposte sullautorit suprema di ogni societ veramente civile, mi pare che invece di perdere tempo in discussioni speculative potr essere utile stabilire una massima opportuna, pratica e giusta per conservare la quiete pubblica, specialmente nei regni e nelle repubbliche cristiane, e per trovare qualche mezzo per ristabilirla e consolidarla qualora sia perduta o perturbata. La massima la seguente: senza dubbio legittimo lobbligo che hanno tutti i cittadini di ubbidire al governo che si trova con certezza stabilito di fatto in qualsivoglia societ civile. Si dice con certezza costituito perch non si tratta di uninvasione o di unoccupazione temporanea in tempo di guerra. Da questa massima derivano due conseguenze. 1 - Partecipare a sommosse o unirsi

a persone che si rivolgono alle autorit costituite per obbligarle a fare ci che esse non credono giusto, sempre unazione contraria alla retta ragione naturale, ed sempre contro la legge naturale e quella del Vangelo. 2 - Unirsi tra privati, in pochi o in molti, ed armarsi per raccogliere forze materiali, e combattere contro il governo gi costituito, sempre una vera ribellione, la pi contraria allo spirito della nostra religione divina. Non star qui a ripetere ci che ho gi detto sullinfondatezza e sugli inconvenienti e pericoli di questa dottrina; aggiunger soltanto che proprio perch si tratta di un governo costituito di solo fatto contraddittorio accordargli il diritto di comandare e di farsi ubbidire. Se si dicesse che un governo costituito di fatto obbligato, finch dura, a difendere la giustizia, ad evitare delitti, e a fare in modo che la societ non si disgreghi, nessuno lo negherebbe, perch si tratta di verit comuni che tutti conoscono; ma aggiungere che sia illecito e contro la nostra religione divina riunirsi e raccogliere forze per combattere contro il governo costituito di fatto, questa una dottrina che non fu mai professata dai teologi cattolici, n mai ammessa dalla buona filosofia, n mai praticata dai popoli. (7) Inserisco, per continuare, alcuni passi importanti di S. Tommaso, di Suarez e del Cardinale Bellarmino dove spiegano le loro opinioni, alle quali nel testo ho fatto cenno, riguardo ai dissensi che possano nascere tra governanti e governati. Rammento quanto ho gi accennato in unaltra parte: qui non si tratta tanto di esaminare fino a che punto possono essere vere queste o quelle dottrine, quanto di sapere quali fossero le dottrine dei tempi di cui parliamo, e quale lopinione dei pi distinti dottori intorno alle delicate questioni di cui stiamo trattando. San Tommaso dAquino 2. 2. q. 42, art. 2. Ad tertium. Se la sedizione sia sempre peccato mortale. 3. Vengono lodati coloro che liberano il popolo da un potere tirannico. Ora, questo non si pu fare facilmente senza una divisione del popolo; perch mentre una parte cerca di conservare il tiranno, laltra cerca di scacciarlo. Perci la sedizione si pu fare senza peccato. Ad tertium dicendum. Il regime tirannico non giusto: perch non ordinato al bene comune, ma al bene personale di chi governa, come spiega il Filosofo. Perci scuotere tale regime non ha natura di sedizione: a meno che non si turbi talmente codesto regime, da procurare al popolo un danno maggiore di quello sofferto col regime tirannico. Anzi, si pu dire che sedizioso il tiranno, il quale provoca nel popolo sottoposto discordie e sedizioni, per dominare con pi sicurezza. Infatti questo un modo di agire tirannico, essendo ordinato al bene di chi comanda, con danno del popolo. Lib. I De regimine principum, cap. 10 Il re o chi presiede deve adoperarsi a ben governare, sia per il bene proprio, sia per lutilit che ne deriva. Il contrario avviene nel regime tirannico. Poich per i re stabilito un premio cos grande nella beatitudine celeste, se si saranno comportati bene nel governare, essi devono badare a se stessi con accurata diligenza, affinch non diventino tiranni. Niente infatti deve essere loro pi gradito dellessere portati alla gloria del regno celeste da quello stesso onore regio dal quale sono esaltati in terra. Sbagliano invece i tiranni che per qualche interesse terreno abbandonano la giustizia, perch si privano di un bene cos grande, che potrebbero ottenere governando con giustizia. Nessuno poi, a meno che non sia stolto o privo di

fede, ignora come sia sciocco perdere beni grandissimi ed eterni per dei beni cos meschini e soggetti allusura del tempo. Bisogna poi aggiungere che i vantaggi temporali per i quali i tiranni trascurano la giustizia provengono ai re in quantit maggiore col rispetto della giustizia. E questo a cominciare dallamore di amicizia, poich fra le cose di questo mondo non c niente degno di essere preferito allamicizia. essa infatti che unisce gli uomini virtuosi, e conserva e promuove la virt. Di essa tutti hanno bisogno per compiere qualsiasi impresa; di essa che nei momenti di prosperit non importuna e nelle avversit non abbandona. essa che provoca i piaceri pi grandi, al punto che qualunque cosa piacevole senza amici diventa noiosa, e qualunque cosa difficile, dallamore resa facile e quasi insignificante. E non esiste un tiranno tanto crudele che non si diletti dellamicizia. Ma i tiranni, per quanto lo desiderino, non possono conseguire il bene dellamicizia. Infatti, nel momento in cui, invece di cercare il bene comune cercano quello personale, la comunione con i sudditi diventa piccola, o inesistente addirittura. Ogni amicizia invece si basa su una qualche comunanza. Infatti noi vediamo che si uniscono in amicizia persone che si avvicinano per origine di natura, o per somiglianza di costumi, o per la comunanza di un qualsiasi rapporto sociale. Perci, lamicizia del tiranno col suddito meschina o addirittura inesistente, mentre i sudditi sono oppressi dallingiustizia; e sentendo di non essere amati ma disprezzati, certamente non amano. N i tiranni hanno di che lamentarsi dei sudditi, se da questi non sono amati, poich non si comportano con loro in modo da rendersi amabili. I buoni re, invece, siccome si preoccupano del bene comune, in modo che i sudditi si accorgono di riceverne molti vantaggi, sono amati da molti, perch dimostrano di amare i loro sudditi: infatti odiare gli amici e rendere ai benefattori male per bene proprio di una cattiveria pi grande di quella che si riscontra nella massa. Da questo amore deriva che il governo dei buoni re sia stabile, perch per essi i sudditi accettano di esporsi a ogni sorta di pericoli. Non dunque facile che sia turbato il dominio di un principe che il popolo ama con cos grande consenso. Di qui le parole di Salomone (Proverbi 29, 14): Il trono del re che giudica i poveri con giustizia sar stabile in eterno. Il dominio dei tiranni invece non pu durare a lungo, dal momento che odioso alla moltitudine; poich non si pu conservare a lungo ci che in contrasto con i desideri di molti. difficile infatti che qualcuno trascorra tutta la vita senza patire qualche avversit; e nel tempo dellavversit non pu mancare loccasione di insorgere contro il tiranno: e quando c loccasione, non manca tra molti chi ne approfitta. Il popolo poi accompagna col suo incoraggiamento chi insorge, ed raro che non raggiunga leffetto ci che si tenta col favore del popolo. Dunque difficile che il governo tirannico duri a lungo. Ci risulta chiaramente anche se si considera il modo col quale si conserva il dominio dei tiranni. Questo infatti non si conserva con lamore, dal momento che poca o nulla lamicizia dei sudditi verso il tiranno, come risulta dalle cose gi dette prima. N i tiranni possono fare affidamento sulla fedelt dei sudditi. Infatti non si trova in molti una virt di fedelt cos grande che li trattenga dallo scuotere, avendone la possibilit, il giogo di una servit indebita. Anzi, secondo lopinione di molti, non da reputare contrario alla fedelt qualsiasi tipo di resistenza alla perfidia del tiranno. Dunque resta che un governo tirannico si regge solo sul timore; perci i tiranni si sforzano in tutti i modi di essere temuti dai sudditi. Ma il timore un debole fondamento. Infatti coloro che sono tenuti sottoposti per mezzo del timore, se si offre loccasione in cui possono sperare limpunit, insorgono contro i loro capi con tanto maggior ardore quanto pi contro la propria volont erano trattenuti soltanto dal timore: come fa lacqua, la quale, se viene chiusa con forza, appena trova uno sbocco irrompe con maggior impeto. E lo stesso timore non senza pericolo, poich molti per il troppo timore cadono nella disperazione. La disperazione della salvezza poi spinge a tentare audacemente qualunque cosa. Dunque il dominio del tiranno non pu durare a lungo. Questo inoltre dimostrato pi dagli esempi che dai ragionamenti. Se infatti si considerano le gesta degli antichi e gli avvenimenti moderni, difficilmente si trover che il dominio di un qualche tiranno durato a lungo. Perci anche Aristotele nella sua Politica, dopo aver enumerato molti

tiranni, dimostra come il loro dominio sia finito in breve tempo; alcuni di essi, tuttavia, comandarono pi a lungo, perch non eccedevano molto nella tirannide, ma sotto molti aspetti imitavano la moderazione regale. La cosa finalmente resa ancora pi chiara dalla considerazione del giudizio divino. Dio infatti come detto in Giobbe (34, 30), fa regnare luomo ipocrita per i peccati del popolo. Ora, nessuno pu essere detto pi veracemente ipocrita di chi assume lufficio di re, e poi si comporta da tiranno. Infatti viene chiamato ipocrita colui che rappresenta la persona di un altro, come capita di solito negli spettacoli. Cos dunque Dio permette che i tiranni governino, per punire i peccati dei sudditi. Questa punizione nelle Scritture viene chiamata di solito ira di Dio. Perci per bocca di Osea (13, 11) il Signore dice: Nel mio furore vi dar un re. Infelice poi il re che viene dato al popolo nel furore di Dio. Il suo dominio infatti non pu essere stabile: perch il Signore non si dimenticher di avere piet e nella sua ira non cesser dalle sue misericordie (Salmo 76, 10); anzi per bocca di Gioele (2, 13) detto che paziente e molto misericordioso, e predisposto a condonare il peccato. Dio dunque non permette che i tiranni regnino a lungo, ma dopo aver scatenato la tempesta nel popolo per mezzo di essi, con la loro cacciata fa ritornare la tranquillit. Perci nellEcclesiastico (10, 14) si dice: Dio ha distrutto i troni dei condottieri superbi e al loro posto ha fatto sedere i miti. Dallesperienza risulta anche che i re con la giustizia si procurano pi ricchezze che i tiranni con la rapina. Infatti, poich il dominio dei tiranni dispiace alla moltitudine soggetta, essi hanno bisogno di avere molte guardie per essere sicuri dei loro sudditi; e per queste guardie debbono spendere molto pi di quanto possano rapinare ai sudditi. Invece il dominio di quei re, che piacciono ai sudditi, ha come guardie tutti i sudditi, per i quali non occorre spendere; anzi questi talvolta nelle necessit donano spontaneamente ai re molto di pi di quanto i tiranni possano rapinare ai sudditi; e cos si adempie quello che dice Salomone (Proverbi 11, 24): Gli uni (cio i re) dividono le proprie cose beneficando i sudditi, e diventano pi ricchi; gli altri (cio i tiranni) rapinano le cose non proprie, e sono sempre nel bisogno. Cos avviene per giusto giudizio di Dio, che coloro i quali ingiustamente ammassano ricchezze le dissipino inutilmente, oppure che giustamente ne vengano privati. Come infatti dice Salomone (Ecclesiaste 5, 9), lavaro non si sazier di denaro, e chi ama il denaro non ne raccoglier il frutto; anzi, come detto nei Proverbi (15, 27): Chi segue lavarizia turba la propria casa. Ai re, invece, che cercano la giustizia le ricchezze sono date in pi da Dio, come a Salomone, il quale, avendo chiesto la sapienza per giudicare, ricevette la promessa di abbondanti ricchezze. Della fama poi sembra superfluo trattare. Chi dubita infatti che i buoni re non solo in vita, ma ancora di pi dopo la morte, in un certo qual modo vivono nelle lodi degli uomini, e sono rimpianti; mentre il nome dei malvagi, o viene subito dimenticato o, se furono eccezionali nella malvagit, ricordato con detestazione? Perci Salomone (Proverbi 10, 7) afferma: "La memoria del giusto in benedizione, mentre il nome degli empi marcir", perch, o svanisce, o rimane in cattivo odore. LIBRO I CAPITOLO VI Conclusione: il regime monarchico assolutamente parlando il migliore. Qui si mostra come il popolo debba comportarsi nei suoi confronti per togliere al re loccasione di trasformarsi in tiranno, e quanto in tal caso si debba tollerare, per evitare mali maggiori. Dal momento che si deve preferire il governo monarchico, essendo esso il migliore, e che pu avvenire che questo si muti in governo tirannico che il peggiore, come risulta da quello che abbiamo detto finora, necessario che il popolo attenda diligentemente a provvedersi un re, in modo da non cadere nella tirannide. Prima di tutto necessario che come re venga scelto, da chi ha questo compito, un uomo che con ogni probabilit non diventer un tiranno. Per questo Samuele,

lodando la provvidenza di Dio nellistituzione del re poteva dire (I Re[I Samuele] 13, 14): Dio si cerc un uomo secondo il suo cuore. In secondo luogo bisogna disporre il governo in modo tale da togliere al re gi istituito loccasione della tirannide. Nello stesso tempo bisogna temperare il suo potere in modo che difficilmente possa mutarlo in tirannide. In seguito si vedr come si possano attuare queste cose. Ora dobbiamo vedere come si pu ovviare quando il re diventa tiranno. Se la tirannide non eccessiva, certamente pi utile sopportarla per un certo tempo piuttosto che, reagendo, incorrere in molti pericoli pi gravi della stessa tirannide. Infatti pu succedere che quelli che si sollevano contro il tiranno siano sconfitti e cos il tiranno provocato diventer pi crudele. Ma anche dalla loro vittoria possono derivare molte gravissime discordie nel popolo: la comunit si divide in fazioni, sia al momento dellinsorgenza contro il tiranno, sia, una volta scacciatolo, sul modo di organizzare il governo. Talvolta succede anche che, avendo il popolo cacciato il tiranno con laiuto di qualcuno, questi diventi tiranno a sua volta dopo aver preso il potere; e, temendo di dover subire da qualcun altro ci che egli stesso ha fatto, opprima i sudditi ancor pi pesantemente. Infatti nella tirannide suole avvenire che il tiranno successivo sia pi gravoso del precedente, perch non abbandona le gravezze precedenti e lui stesso ne trova di nuove con la perfidia del cuore. Ecco perch una volta capit che, mentre i Siracusani desideravano la morte di Dionigi (il tiranno) una vecchia pregava incessantemente che egli le sopravvivesse sano e salvo; il tiranno venutolo a sapere, le domand perch facesse cos. Ed essa rispose: Quando ero bambina, siccome avevamo un tiranno crudele, desideravo la sua morte; per dopo che lui fu ucciso ne venne un altro ancora pi crudele. Allora mi pareva una gran cosa se fosse finito anche il suo dominio. Ma dopo sei venuto tu, che sei ancora pi insopportabile. Cos, se tu fossi ucciso, ne verrebbe un altro ancora peggiore. Se poi leccesso della tirannide fosse insopportabile, secondo alcuni toccherebbe al valore degli uomini forti uccidere il tiranno ed esporsi al pericolo della morte per la liberazione del popolo: e di questo c un esempio anche nellantico Testamento. Infatti (come narra Giudici 3, 15 ss.) un certo Aod uccise Eglon re di Moab che opprimeva con una grande schiavit il popolo di Dio conficcandogli un pugnale nel fianco. Ma questo non consono alla dottrina degli Apostoli. Infatti S. Pietro ci insegna che dobbiamo essere soggetti con reverenza non solo ai signori buoni e temperati, ma anche ai perversi (1 Pietro 2, 18). Difatti un merito sopportare pazientemente ingiustizie per amore di Dio; perci, quando molti imperatori romani perseguitavano tirannicamente la fede di Cristo, una grande moltitudine di nobili e di popolo gi convertita alla fede, non per aver reagito, ma per aver sopportato pazientemente la morte per Cristo, pur avendo le armi, come chiaramente appare nella sacra legione tebea, ora viene lodata; e bisogna considerare che Aod pi che un principe tirannico del suo popolo, ne uccise un nemico. Perci anche nel vecchio Testamento si legge che coloro che uccisero Joas re di Giuda furono giustiziati e i loro figli risparmiati, secondo il precetto della legge, sebbene il re si fosse allontanato dal culto di Dio (Vedi 4 Re [2 Re] 14, 5-6). Sarebbe pericoloso per il popolo e per i suoi governanti, se arbitrariamente si potesse attentare alla vita di coloro che governano, sia pure tiranni. Per lo pi infatti a pericoli di questo genere si espongono pi i cattivi che i buoni. Ora, ai cattivi il governo dei re risulta gravoso non meno di quello dei tiranni perch, secondo la sentenza di Salomone, (Proverbi 20, 26) Un re sapiente disperde gli empi. Perci un simile arbitrio procurerebbe al popolo pi il pericolo di perdere un buon re, che il rimedio della cacciata di un tiranno. Risulta dunque che contro la crudelt dei tiranni si deve procedere non secondo larbitrio di qualcuno ma per mezzo della pubblica autorit. In primo luogo, se a qualche comunit spetta di scegliersi il re, secondo il diritto il Re creato pu essere destituito e il suo potere frenato dalla comunit stessa, se adopera tirannicamente la sua potest. E non si deve ritenere che questa comunit manchi di fedelt destituendo il re, anche se prima gli si era sottomessa in perpetuo; poich egli stesso non comportandosi fedelmente nel governo della comunit, come esige il dovere del re, si meritato che i sudditi non mantengano il patto stretto con lui. Cos i Romani cacciarono Tarquinio il superbo, che avevano accettato come re, per la tirannide sua e dei suoi figli,

sostituendolo con una potest minore, quella consolare. Cos pure Domiziano, che era succeduto a due imperatori molto temperati suo padre Vespasiano e suo fratello Tito mentre esercitava la tirannide fu ucciso dal Senato romano, e giustamente e salutarmente fu abrogato con un senatoconsulto tutto quello che con perfidia egli aveva imposto ai Romani. Cos avvenne che S. Giovanni Evangelista, discepolo diletto di Dio, che dallo stesso Domiziano era stato mandato in esilio nellisola di Patmos, per senatoconsulto torn ad Efeso. Se poi spetta a qualche superiore il diritto di nominare il re per la comunit, bisogna attendere da lui il rimedio contro la perfidia del tiranno. Cos ad Archelao, che regnava in Giudea al posto del padre Erode imitandone la perversit, lamentandosi di lui i Giudei presso Cesare Augusto, dapprima venne diminuito il potere col togliergli lappellativo di re e col dividere la met del regno fra i suoi due fratelli; quindi, poich nemmeno cos veniva distolto dal tiranneggiare, fu mandato in esilio da Tiberio a Lione, citt della Gallia. Ma se contro il tiranno non si pu avere alcun aiuto umano, bisogna ricorrere a Dio, re di tutti, il quale al momento opportuno soccorre nelle tribolazioni. Infatti in suo potere volgere alla mansuetudine il cuore crudele del tiranno, secondo la sentenza di Salomone (Proverbi 21, 1): Il cuore del re in mano a Dio; lo piegher dovunque vorr. Egli volse in mansuetudine la crudelt del re Assuero che preparava la morte ai Giudei. Egli trasform talmente il crudele re Nabucodonosor che questi divenne un predicatore della divina potenza. Ora dunque dice Io Nabucodonosor lodo, magnifico e glorifico il re del cielo, poich le sue opere sono vere e le sue vie giudizi, e pu umiliare coloro che camminano nella superbia. (Daniele 4, 34). Dio pu togliere di mezzo i tiranni che reputa indegni della conversione, o ridurli alla condizione pi bassa, secondo quel detto del Sapiente (Ecclesiastico 10, 14): Distrusse il trono dei condottieri superbi e fece sedere i miti al loro posto. Egli lo stesso che, vedendo lafflizione del suo popolo in Egitto e prestando ascolto al suo grido, sommerse nel mare il tiranno Faraone col suo esercito. Egli quello stesso che trasform rendendolo simile a una bestia il gi ricordato Nabucodonosor che era insuperbito, cacciandolo non solo dal regno, ma anche dallumano consorzio. Ora, la sua mano non s accorciata da non poter liberare il suo popolo dai tiranni. Per bocca di Isaia Egli infatti promette al suo popolo di dargli pace dal travaglio, dalla confusione e dalla dura schiavit sotto la quale prima aveva servito. E per bocca di Ezechiele (34, 10) dice: Liberer il mio gregge dalle loro fauci, cio da quelle dei pastori che pascono se stessi. Ma il popolo, per meritare da Dio questo beneficio, deve cessare dai peccati, poich appunto in punizione dei peccati che per divina permissione gli empi prendono il comando, come dice il Signore per bocca di Osea (13, 11): Ti dar nel mio furore un re. E in Giobbe (34, 30) detto che fa regnare un uomo perverso per i peccati del popolo. Dunque, perch cessi la piaga dei tiranni, bisogna rimuovere la colpa. Suarez Disp. 13. De bello, Sec. 8, Utrum seditio sit intrinsece mala? (Omissis). Bellarminus De Romano Pont. Lib. V, Cap. VII, Tertia ratio. (Omissis). Ecco come parlava in Spagna nei tempi detti di dispotismo il P. Marquez nellopera intitolata Il Governatore cristiano; e si sa che non fu questo uno di quei libri poco noti che circolano di nascosto, perch se ne fecero varie edizioni sia in Spagna che allestero. Riporter qui il titolo completo, e lelenco delle edizioni che furono fatte in diversi tempi, luoghi e lingue, come scritto in quella di Madrid del 1773. Il Governatore cristiano tratto dalla vita di Mos principe, del popolo di Dio, del R. P. M. I. R. Giovanni Marquez dellOrdine di SantAgostino, predicatore di sua Maest il re D. Filippo III,

qualificatore del santUffizio e cattedratico di teologia nel dopo pranzo, nelluniversit di Salamanca. Sesta nuova edizione. Con permissione: Madrid 1773. Il Governatore cristiano, composto su istanza ed in ossequio di S. E. il Sig. Duca di Feria, usc alla luce la prima volta a Salamanca nellanno 1612. La seconda nella stessa citt nel 1619. La terza ad Alcal lanno 1634, e infine la quarta a Madrid nel 1640. La quinta fuori di Spagna a Bruxelles nel 1664. Fra quanti dei nostri hanno scritto su questa materia questo il capo lavoro. Fu tradotta in Italiano dal P. Martino di San Bernardo dellOrdine Cistercense, che la fece stampare a Napoli nel 1646. Fu anche tradotta in lingua francese dal Sig. De Virion, consigliere del Duca di Lorena, e fu pubblicata a Nancy nel 1621. Lib. I, cap. 8. Ci resta da rispondere alle obbiezioni contrarie. Noi affermiamo che n la legge divina, n la legge naturale hanno dato alle nazioni la facolt di fermare la tirannia con mezzi cos violenti come quello di spargere il sangue dei prncipi che Dio costitu suoi vicari con autorit di vita e di morte sugli altri uomini. E in quanto al resistere alle loro crudelt non c dubbio che si possa e si debba fare, non ubbidendo in ci che contrario alla legge di Dio, sottraendosi fisicamente e parandone i colpi, come fece Gionata con Saul suo padre quando lo vide prendere la lancia contro di lui, e allora si alz da tavola e usc per andare in cerca di Davide per avvertirlo di mettersi in salvo; e qualche volta anche opponendosi con le armi per impedir loro di compiere fatti manifestamente temerari e crudeli. Perch, come dice S. Tommaso, questo non significa provocare la sedizione, ma arrestarla e porvi riparo. E ugualmente afferma Tertulliano: illis dice nomen factionis accomodandum est, qui in odium bonorum et proborum conspirant; cum boni, cum pii congregantur, non est factio dicenda, sed curia. Per la qual cosa il beato S. Ermenegildo, glorioso martire di Spagna, usc armato in campo contro il re Leovigildo Ariano per opporsi alla grande persecuzione da questi avviata contro i Cattolici, come affermano gli storici di quel tempo. vero che San Gregorio Turonense condann questo episodio del nostro re martire, quantunque lo facesse non perch il santo si fosse opposto al suo re ma perch Leovigildo oltre che suo re era anche suo padre, e San Gregorio sosteneva che per quante fosse eretico il padre, il figlio non doveva mai ribellarglisi. Ma questa obiezione senza fondamento, come fa osservare il Baronio: ed allautorit di un S. Gregorio si oppone quella di un altro maggior Gregorio, qual San Gregorio Magno, il quale nella prefazione al libro dei suoi Moralia approva lambasceria di San Leandro, spedito a Costantinopoli da SantErmenegildo per chiedere aiuto allimperatore Tiberio contro il proprio padre Leovigildo. E non c dubbio che per quanto sia sacro lobbligo della piet figliale, lo per maggiormente quello della religione; e per adempiere lobbligo che questa impone bisogna sacrificare ogni cosa; e nei casi simili a questo scritto quanto fu detto della trib di Levi: Qui dixerunt patri suo, et matri suae, nescio vos, et fratribus suis ignoro vos, nescierunt filios suos. E questo fu quando per ordine di Mos i leviti presero le armi contro i loro parenti per castigarli del peccato didolatria. Ma se il Principe giungesse ad attentare personalmente alla vita del suddito, e lo riducesse talmente alle strette da non potersi questi difendere senza ucciderlo, come faceva Nerone, quando usciva di notte per le strade di Roma ed assaliva con gente armata le persone che andavano per la loro strada sicure e tranquille? Io dico che in questo caso si potrebbe uccidere, respingendo la forza con la forza, secondo anche il parere di molti. Perch, come dice fra Domenico di Soto, trovandosi in questi frangenti il suddito deve lasciarsi ammazzare, e preferire alla propria vita quella del principe, soltanto qualora dalla morte di questi dovessero seguire grandi sconvolgimenti e guerre civili nel regno. Al di fuori di questo caso sarebbe una grande malvagit obbligare gli uomini a tanto. Ma per difendere i propri beni dalla cupidigia del principe non sarebbe lecito mettergli le mani addosso, poich le leggi divine ed umane hanno dato ai prncipi questo privilegio, che non se ne possa versare il sangue col pretesto che sarebbe desempio contro altri invasori. E la ragione

che la vita dei re lanima e il vincolo delle nazioni e ha pi valore dei beni dei privati, ed minor danno tollerare tali ingiurie che privare lo Stato del suo capo. (8) Per dare unidea del modo con cui anche in quei tempi si cercava di limitare lautorit del monarca promuovendo associazioni tra i popoli, ed anche tra questi, i Grandi e il clero, riporto qui la Carta di fratellanza che firmarono i regni di Leone e Galizia con quello di Castiglia, cos come si trova nella collezione intitolata: Bullarium Ordinis militiae sancti Jacobi gloriosissimi Hispaniarum patroni, pag. 223, nella quale si vede che fin da quei tempi in Spagna gi esisteva un vivo istinto di libert, bench allora queste idee fossero di un ordine molto secondario. 1 Nel nome di Dio e di Santa Maria, amen. Coloro che leggono questa Carta sappiano che a causa di molte ingiustizie e molti danni e violenze, e morti, e prigionie, e insolenti rifiuti di ascoltare, e disonori, ed altre molte cose compiute oltremisura contro Dio, contro la giustizia e contro le leggi, e con gran danno di tutti i regni, che ci faceva il re D. Alfonso; per tutto questo noi Infanti, Prelati, uomini ricchi, Consigli, Ordini e Cavalleria del regno di Leone e di Galizia, vedendo che eravamo oppressi dalle ingiustizie e maltrattati come si detto sopra, e non potendolo pi sopportare, nostro signore lInfante D. Sancio ha pensato bene ed ha comandato che fossimo tutti di un sol volere e di un sol cuore, egli con noi e noi con lui, per mantenerci nelle nostre leggi e nei nostri privilegi, usi, costumi, libert e franchigie che avevamo ai tempi del re D. Alfonso suo bisavolo che vinse la battaglia di Merida, ed al tempo del re D. Ferdinando suo avo, e dellimperatore e degli altri re di Spagna suoi predecessori e del re D. Alfonso suo padre, dei quali tutti siamo stati soddisfattissimi; e il detto nostro signore Infante D. Sancio ci ha fatto giurare e promettere, come scritto sul contratto che tra lui e noi; e vedendo che questo per il servizio di Dio e di Santa Maria e della Corte celeste, per la difesa e lonore della Santa Chiesa, dellInfante D. Sancio e dei re che saranno dopo di lui, e finalmente per il vantaggio di tutto il paese, che facciamo fratellanza (Hermandat) e tutti noi stabiliamo oggi e sempre i regni suddetti con i Consigli del regno di Castiglia e con gli Infanti, e con gli uomini ricchi, e con i gentiluomini, e con i Prelati, Ordini, cavalieri e con tutti gli altri che sono qui e vorranno esserci in questa maniera. 2 Che manterremo a nostro signore lInfante D. Sancio e a tutti gli altri re che verranno dopo di lui tutti i loro diritti e tutta la loro Signoria integralmente cos come glielo abbiamo promesso, e come sono contemplati nel privilegio che egli ci ha dato a tal fine. La giustizia continuer ad essere amministrata da parte della Signoria; e la Martiniega (a), dove solevano darla e come solevano darla, continuer ad essere data di diritto al re D. Alfonso, che vinse la battaglia di Merida. E la moneta nel giro di sette anni, dove solevano darla e come la solevano dare, e non ordinando essi di batter moneta. LIlliantar (denaro per il pranzo) sar dato l dove solevano averlo secondo la legge del paese una volta lanno recandosi al luogo stesso, come lo davano al re D. Alfonso, bisavolo, e al re D. Ferdinando, avo, come si detto. La Fonsadera (b) sar data quando il re sar in guerra, dove solevano darla secondo la legge del paese, e di diritto al tempo dei suddetti re, essendo garantiti a ciascuno i privilegi, le carte, le libert e le franchigie che abbiamo. 3 Inoltre che manteniamo tutti i nostri statuti, usanze, costumi, privilegi, carte, e tutte le nostre libert e franchigie, sempre in maniera tale che se il re o LInfante D. Sancio o i re che verranno dopo di loro, e qualsivoglia degli altri signori, o Alcadi, o Merini, o altri uomini che volessero violarle, o in tutto o in parte, o in qualsivoglia maniera, o in qualsivoglia tempo, tutti noi non saremo che un sol uomo per mandare a dire al re, o a D. Sancio, o ai re che verranno dopo di loro, cos come dice il privilegio, se essi vorranno rimediare a ci che sarebbe di nostro aggravio; e se no, saremo tutti uniti come un sol uomo a difenderci e a proteggerci, come dice il privilegio che ci diede il nostro signore lInfante D. Sancio. 4 Inoltre che nessun uomo della Hermandat sar castigato e che non gli sar tolta alcuna cosa di sua propriet contro lo statuto e contro luso del luogo in queste giurisdizioni della Hermandat

suddetta, e non consentano che nessuno prenda pi di quel che richiesto secondo lo statuto, e dove egli si trover. 5 Inoltre dichiariamo che se un Alcade o Merino o altro uomo qualunque ammazzasse qualche uomo della nostra Hermandat per una lettera del re o dellInfante D. Sancio, o per suo ordine, o per ordine degli altri re che saranno dopo di loro, senza averlo sentito e giudicato secondo lo statuto, che noi della Hermandat lo ammazzeremo per un tal fatto, e se non potremo catturarlo, sar considerato e dichiarato nemico della Hermandat; qualunque membro della Hermandat che lo nascondesse e ricoverasse incorrer nella pena di spergiuro e di fellonia, e sar trattato pure esso come chi va contro questa Hermandat. 6 Inoltre dichiariamo riguardo alle decime dei porti, che non le concediamo se non secondo quei diritti che erano in uso ai tempi del re D. Alfonso e del re D. Ferdinando; i Consigli della Hermandat non permetteranno a nessuno di percepirle in altro modo. 7 Inoltre che nessun Infante o uomo ricco che non sia Merino, n gran Balivo nei regni di Leone e di Galizia, n gentiluomo, n cavaliere, abbia notoriamente un gran numero di cavalieri o altri uomini del paese in vassallaggio, e che non sia straniero del regno. E facciamo questo perch cos fu fatto al tempo del re D. Alfonso e del re D. Ferdinando. 8 Inoltre, che tutti quelli che vorranno appellarsi al giudizio del re o di D. Sancio o degli altri re che verranno dopo di loro, possano appellarsi, e che abbiano il giudizio secondo il libro Giudico in Leon, cos come lo solevano avere al tempo dei re che furono prima di questo. E se non volessero accettare lappello di chi vi ricorresse; noi faremo da parte nostra quello che detta il privilegio che ci diede D. Sancio. 9 E per mantenere ed eseguire tutti gli atti di questa Hermandat, facciamo un sigillo di due riquadri con questi segni: nelluno la figura di leone, e nellaltro una figura di S. Giacomo a cavallo con la spada nella mano destra, e nella mano sinistra uno stendardo con una Croce in alto e delle conchiglie. La scritta dir cos: Sigillo della Hermandat dei regni di Leone e di Galizia, per sigillare le lettere di cui avremo bisogno per le esigenze di questa Hermandat. 10 E noi tutti della Hermandat di Castiglia facciamo promessa ed omaggio a tutta la Hermandat dei regni di Leone e di Galizia di aiutarci scambievolmente bene e con lealt, di osservare e mantenere tutte queste cose suddette e ognuna di esse. E se noi non lo facessimo, che siamo traditori per questo solo fatto come lo chi ammazza il suo signore e consegna il coltello al nemico, e possiamo non aver mai in questo caso n mani, n armi, n lingua per poterci difendere. 11 E perch non possa mai esserci dubbio su questo, e sia anzi questo fatto stabilito per sempre, facciamo sigillare questa Carta con entrambi i sigilli della Hermandat di Castiglia e di Leone e Galizia, e la consegniamo al maestro D. Pietro Nunez, e allordine cavalleresco di S. Giacomo che sono con noi in questa Hermandat. Scritta questa Carta a Valladolid il giorno 8 di giugno dellanno 1320. Erano passati gi molti secoli e in Spagna non cera altra religione che quella cattolica, e tuttavia continuava a mantenersi in tutto il suo vigore e vitalit lidea che il re dovesse essere il primo ad osservare le leggi, e che non dovesse comandare ai popoli per puro capriccio ma secondo i princpi della giustizia e i criteri della pubblica convenienza. Savedra nelle sue Imprese parlava nel seguente modo. Vane saranno le leggi, se il principe che le promulga non le conferma e difende con lesempio e con la vita. Dolce al popolo la legge a cui ubbidisce lautore stesso della medesima. In commune jubes siquid, censesve tenendum, Primus jussa subi; tunc observantior acqui Fit populus, nec ferre vetat, cum viderit ipsum Auctorem parere sibi.

Le leggi che promulg Servio Tullio non erano solo per il popolo, ma anche per i re: le cause tra il principe e i sudditi dovevano essere giudicate secondo queste leggi. Tacito riferisce di Tiberio: Quantunque siamo liberi dalle leggi (dissero gli imperatori Severo ed Antonino) viviamo per in modo conforme alle leggi stesse. La legge non obbliga il principe in quanto ha anche per lui forza di legge, ma in quanto fondata sulla legge naturale e comune a tutti, e non su leggi particolari dirette ai sudditi per il buon governo nei loro confronti. Perch queste leggi particolari, invece, spetta osservarle solo ai sudditi; sebbene anche il principe le debba osservare se il caso lo richiedesse affinch risultino dolci e soavi ai sudditi. Sembra che in questo consista il misterioso comando dato da Dio ad Ezechiele di mangiarsi il libro: affinch gli altri, vedendo che egli era stato il primo a gustare le leggi e che gli erano sembrate dolci, lo imitassero tutti. I re di Spagna sono tanto soggetti alle leggi che il fisco nelle cause del patrimonio subisce la sentenza come un suddito qualsiasi, e in caso di dubbio condannato piuttosto il fisco che il suddito. Cos ordin Filippo II, ed essendosi suo nipote Filippo IV, glorioso padre di Vostra Altezza, trovato presente alla sentenza del Consiglio reale in unimportante causa della Camera, i giudici ebbero la nobile fermezza e costanza di condannarlo, e sua Maest ebbe la rettitudine di ascoltare la sentenza senza sdegnarsi. Felice regno in cui la causa del principe meno favorita di quella degli altri!. (9) Forse non sono mai stati analizzati con la dovuta attenzione i grandi meriti delle organizzazioni industriali che ebbero origine in Europa fin dai primi tempi e incominciarono ad estendersi dal dodicesimo secolo in poi. Parlo delle corporazioni (gremios) che si erano formate sotto linfluenza della religione cattolica; esse erano poste normalmente sotto la protezione di qualche santo, ed erano amministrate da pie fondazioni che si occupavano di sovvenire alle necessit dei soci e di celebrare le feste dei patroni. Il nostro illustre Capmany nelle sue Memorie storiche sulla marina, commercio ed arti dellantica citt di Barcellona, ha pubblicato una raccolta di documenti preziosissimi per la storia delle classi industriali e dello sviluppo della loro influenza sulla politica del governo. Sono poche le opere pubblicate allestero dalla met del secolo scorso, ed anche nel presente, che hanno tanto merito quanto quella del nostro Capmany pubblicata nel 1779. Vi si trova un capitolo della massima importanza sullistituzione dei gremios o corporazioni di arti; capitolo che riporto qui per conoscenza di coloro che sono convinti che finora in Europa non si sia mai pensato a qualcosa di utile per le classi industriali, e che scioccamente considerano un mezzo di schiavit e di monopolio quello che in realt serviva da stimolo e da mutuo soccorso. Credo del resto che leggendo le riflessioni filosofiche di Capmany chiunque si convincer che fin dai secoli pi remoti in Europa erano gi conosciuti i sistemi atti ad incoraggiare lindustria, a preservarla dalle funeste agitazioni dei tempi, a favorire linteresse per le arti meccaniche e a sviluppare in modo legittimo e provvidenziale lelemento popolare. E non sar inutile neanche presentare questo saggio a certi stranieri che tanto si occupano di economia sociale e politica e che, leggendo la storia che ne fanno, si capisce bene che a loro non mai giunta notizia di unopera di tanta importanza per tutto ci che riguarda il movimento del Mezzogiorno dEuropa dallundicesimo secolo fino al diciottesimo. DellIstituzione dei Gremios, e di altre corporazioni delle arti in Barcellona. Non si trovato finora alcun documento che ci illumini e ci guidi nella ricerca dellepoca precisa in cui nacquero le corporazioni delle arti a Barcellona (c): ma dalle supposizioni che ci suggeriscono le pi antiche testimonianze molto probabile che la fondazione o formazione politica delle corporazioni degli artigiani sia avvenuta al tempo di D. Giacomo I, sotto il cui glorioso regno le arti prosperarono nella stessa misura in cui il commercio e la navigazione erano sostenuti dalle spedizioni oltremare degli eserciti aragonesi. Lindustria era cresciuta per la maggior facilit dello smercio e la popolazione, figlia del lavoro, a sua volta produceva ed aumentava il lavoro stesso.

Le corporazioni dei mestieri dovettero necessariamente formarsi a Barcellona, come nelle altre parti, quando le comodit e i capricci degli uomini aumentarono a tal punto che gli stessi artigiani si divisero in tante comunit per lavorare con maggior sicurezza e non danneggiarsi reciprocamente. E siccome il lusso ed i capricci delluomo nella vita di societ, come anche gli oggetti di commercio, vanno facilmente soggetti alle mode, ecco che col tempo si sono visti nascere alcuni mestieri mentre altri cessarono del tutto; in un certo momento convenne che unarte si dividesse in diversi rami, e in un altro che varie arti si riunissero in una sola. Lindustria delle arti e mestieri di Barcellona andata soggetta a tutte queste vicende nel corso di cinque secoli. I lavori in ferro sono giunti parecchie volte a sostenere undici o dodici rami diversi, e di conseguenza altrettante classi di famiglie benestanti. Questi stessi mestieri oggi sono ridotti ad otto per certi cambiamenti di modi e di usi. Secondo le costituzioni che allora normalmente predominavano nella maggior parte dei paesi europei era necessario accordare autonomia e privilegi ad un popolo laborioso e mercantile che fin da allora era la difesa e il sostegno del suo re, distribuendo i cittadini in diversi ordini. Ma questa divisione non avrebbe potuto essere duratura e netta se non per mezzo della separazione politica delle corporazioni di arti e mestieri, separazione necessaria per classificare sia gli uomini che le professioni; e ancor pi necessaria in una citt come Barcellona la quale, fin dalla met del tredicesimo secolo, cominci a governarsi con una specie dindipendenza democratica. In Italia, il primo paese dOccidente che ristabil il nome e le funzioni del popolo, che erano stati cancellati dal governo gotico nei secoli di ferro, si era gi conosciuta lindustria suddivisa in corporazioni, le quali resero stabili ed onorate le arti e i mestieri in quelle citt libere dove lartigiano diventava senatore e il senatore artigiano in mezzo al flusso e riflusso delle invasioni. Le guerre e le fazioni, mali endemici allora di quel delizioso paese, ad onta dei guasti che provocavano non riuscirono a distruggere le corporazioni dei mestieri, dei quali lesistenza politica, dacch i loro soci furono ammessi al governo, formava la base della costituzione di quei popoli industriosi e mercantili. Su questo sistema municipale e su questa giurisprudenza consolare, di cui hanno avuto sempre bisogno tanto il commercio quanto lindustria che ne compagna, si ordinarono, prosperarono e fiorirono i mestieri a Barcellona, al punto da formare di questa capitale, nel basso Medioevo, uno dei centri pi celebri delle manifatture, conservatosi fino ai nostri giorni con la stessa reputazione e con nuovi progressi. Sotto il nome e lo statuto delle corporazioni e delle comunit si avviarono i mestieri in Fiandra, Francia ed Inghilterra, paesi nei quali le arti sono arrivate al massimo grado di perfezione e di splendore. Le corporazioni dei mestieri a Barcellona, anche se non venissero considerate come unistituzione necessaria per il funzionamento del governo municipale, dovrebbero per essere sempre ritenute un organismo della massima importanza sia per la conservazione delle arti che per la considerazione degli stessi artigiani. Innanzi tutto queste corporazioni, come dimostra lesperienza ininterrotta di cinque secoli, a Barcellona hanno fatto un bene incalcolabile soltanto col conservare, come in un perpetuo deposito, lamore, la tradizione e la memoria delle arti. Essi hanno formato altrettanti centri dunione, diciamo cos, sotto le cui bandiere si rifugiarono talvolta ci che restava dellindustria per risanarsi, rigenerarsi e sostenersi fino ai nostri tempi, ad onta delle pesti, delle guerre, delle fazioni e di tante altre calamit funeste che fiaccano gli uomini, sovvertono gli orientamenti ed alterano i costumi. Se Barcellona, che ha sofferto tanti di questi flagelli fisici e politici, avesse avuto i suoi artefici dispersi qua e l, senza una comunit, senza vincoli e relazioni fra loro, tutta lintelligenza, leconomia e lattivit sarebbero andate sicuramente disperse, come accade ai castori quando, inseguiti dai cacciatori, vengono da questi sparpagliati (d). Per un benefico effetto della sicurezza di cui godevano le famiglie nei loro distinti mestieri, e dellaiuto (o del pio Monte), istituito dalle corporazioni stesse, che ricevevano gli individui bisognosi, corporazioni che se si disunissero andrebbero in rovina, queste istituzioni economiche contribuivano direttamente a mantenere fiorenti le arti, allontanando dalle officine la miseria e preservando gli artigiani dallindigenza. Senza gli statuti della corporazione, che definivano ciascun mestiere ed assicuravano una condizione florida alla propriet e alla professione degli artigiani,

forse i mestieri avrebbero perduto il loro credito e la loro solidit; perch in tal caso il falsificatore, il guastamestieri e loscuro avventuriero avrebbero potuto impunemente ingannare i clienti, convertendo la libert di cui godevano in un dannoso abuso. Daltronde queste corporazioni, avendo grandi forze, ed essendo ciascuna ben diretta dagli intenti e dagli interessi comuni, facevano con molto vantaggio ed a tempo opportuno le provviste delle materie prime, provvedevano ai bisogni delle maestranze e favorivano ed assicuravano quegli individui cui mancava il tempo o i mezzi per versare le caparre in denaro. Oltre a ci codeste corporazioni, contenendo e rappresentando lindustria nazionale, ed avendo perci tutto linteresse a salvaguardarsi, inviavano i loro memoriali, secondo i tempi, al Consiglio municipale o alle Cortes, qualora avvertissero qualche sospetto, o prevedessero, come spesso succedeva, lintroduzione di generi falsificati o di manifattura straniera che potevano provocare la rovina dellindustria nazionale. Infine, senza una tale istituzione non sarebbe esistito un certo ordine ed una regola costante nellinsegnamento, perch dove non ci sono maestri riconosciuti e stabili non ci possono essere nemmeno apprendisti; e tutte le leggi sarebbero inutili o non rispettate se non vi fosse un potere esecutivo. Le corporazioni furono molto necessarie per salvaguardare le arti che per mezzo delle loro differenziazioni gestionali e produttive diedero in altri tempi origine e nome ai diversi mestieri che ora conosciamo in quella capitale. Quando il ferraio produceva nella sua officina vomeri, chiodi, chiavi, coltelli, spade ecc. non si conoscevano i nomi dei mestieri: calderaio, chiodaiolo, coltellinaio, spadaio ecc; e siccome non vi era una maestranza propria e specializzata in ciascuno di questi rami di attivit la cui suddivisione ha formato in seguito altrettante arti sostenute dalle rispettive comunit, tali mestieri non erano conosciuti. Il secondo vantaggio politico prodotto dalle corporazioni dei mestieri a Barcellona la stima ed il prestigio che la loro istituzione ha assicurato in ogni tempo agli artigiani ed alle arti stesse. La saggia istituzione di codeste comunit ha procurato un buon nome agli artigiani, formandone una classe distinta e stabile nella societ. Cos ne venne che il popolo barcellonese ha sempre manifestato in ogni epoca un carattere, un atteggiamento ed un tenore di vita confacenti ad un popolo onorato; e non avendo mai potuto confondersi con nessuna corporazione esclusiva, e privilegiarla (perch le corporazioni caratterizzano i loro associati, e fanno conoscer loro ci che sono e ci che valgono), giunse a persuadersi che per ognuna di esse, entro il rispettivo ambiente vi era onore e virt, e cos ha fatto in modo di conservarle tutte. Quanto mai vero che le distinzioni degli stati sociali in una nazione influiscono pi di quello che non si creda a rinsaldarne lo spirito! Daltra parte le corporazioni dei mestieri formavano delle comunit regolate dal loro statuto amministrativo, e ciascuna di esse aveva certi uffici e cariche a cui tutti i suoi membri potevano aspirare. E siccome anche le prevenzioni degli uomini, quando si sa dar loro un buon indirizzo, producono talvolta degli effetti meravigliosi, il governo e lamministrazione di queste corporazioni (in cui lartigiano ha goduto sempre del privilegio di regolare lesercizio e glinteressi del proprio mestiere) con il titolo di console o di reggente port alle arti meccaniche di Barcellona una stima pubblica e universale. In questi uomini la preminenza, o presidenza, in una festa o in unassemblea pu benissimo temperare la durezza della fatica fisica e linferiorit della condizione. A Barcellona i mestieri, riuniti in corporazioni ben ordinate, avendo stabilite e salvaguardate le arti, procurarono anche, in quanto corpi politici della classe pi numerosa del popolo, la massima stima ai loro membri. Loscuro artigiano senza matricola e senza corporazione resta isolato e girovago. Quando muore insieme a lui muore anche larte; altre volte emigra ed abbandona il mestiere al primo rovescio di fortuna. Quale stima potranno mai meritare in qualunque paese mestieri miserabili e girovaghi? Quella di cui godono gli arrotini e i calderai nelle province spagnole! A Barcellona tutti i mestieri hanno goduto sempre della stessa stima generale perch tutti furono istituiti e regolati da un sistema fisso che ha reso gli artigiani stanziali, noti e benestanti. Dalla stima acquisita a Barcellona dai mestieri, fin da quando per mezzo degli statuti delle comunit divennero corporazioni nazionali e altrettanti organismi delleconomia nazionale, nacque la lodevole ed utile usanza di perpetuare il mestiere nella famiglia. Ora, avendo il popolo capito che nella sua classe poteva conservare la stima ed il rispetto dovuto ai cittadini operosi ed onorati, non

aspir mai ad uscirne, n ebbe mai vergogna della sua condizione. Quando i mestieri sono onorati, la qual cosa una conseguenza della stabilit e virt civile delle corporazioni, naturalmente diventano ereditari; e il vantaggio che deriva agli artigiani e alle stesse arti da questa trasmissione del mestiere, tanto palese e tangibile che ci risparmia la fatica di specificarne i benfici effetti. Da questa distinzione e classificazione dei mestieri risultato che molte arti divenissero altrettante specializzazioni fisse per coloro che si misero in quel ramo. Da qui nacque la propensione nei padri di trasmettere il mestiere ai figli, formando cos un ramo stabile dellindustria nazionale che rendeva il lavoro dignitoso e che stabiliva costumi solidi ed omogenei, per cos dire, nel popolo artigiano. Quello per che a Barcellona contribu maggiormente a dare alle arti meccaniche non solo il prestigio, che generalmente non hanno ottenuto nel resto della Spagna, ma anche lonore di cui godettero come in nessunaltra repubblica antica o moderna, fu lammissione delle corporazioni alla matricola deglimpieghi municipali di una citt, ci che le ricolm di privilegi e di particolari prerogative dindipendenza al punto tale che la nobilt, quella nobilt gotica dotata di grande influenza, volle essere incorporata con gli artigiani nella giunta municipale per le cariche ed i supremi onori del governo politico, il quale a Barcellona per pi di cinquecento anni continu sotto una forma e con uno spirito veramente democratico (e). Tutti i settori delle arti meccaniche, senza odiose distinzioni ed esclusioni, erano considerati degni di far parte del Consiglio concistoriale dei magistrati; tutti ebbero voce e voto tra i padri coscritti che rappresentavano la citt forse pi privilegiata del mondo, e comunque una tra le pi rispettate che nel basso Medioevo si conoscesse tra i vari Stati e potentati dEuropa, Asia ed Africa (f). Questo sistema politico e questa forma municipale di governo erano simili a quelli con cui si reggevano nel Medioevo le principali citt dItalia, dalle quali la Catalogna acquis molti usi e consuetudini. A Genova, Pisa, Milano, Pavia, Firenze, Siena ed altre citt, di cui il governo municipale era composto dai capi del commercio e delle arti chiamati consules, consiliarii, priores artium, ecc., fu creata questa forma popolare di governo elettivo distribuito tra le varie classi dei cittadini fra i quali gli artigiani, che nei secoli tredicesimo e quattordicesimo erano molto agiati e costituivano la parte pi importante della popolazione, e quindi la pi ricca, la pi potente e indipendente. Questa libert democratica che distingueva lindustria in Italia, procur anche una stima particolare per le arti meccaniche. Il gran Consiglio di quelle citt si convocava al suono della campana, e il popolo artigiano si divideva in bandiere o gonfaloni dei rispettivi mestieri. Tale fu anche la costituzione politica di Barcellona dalla met del tredicesimo secolo fino allinizio del presente. Considerato tutto ci, quale meraviglia che le arti e gli artigiani conservino ancora ai nostri giorni una stima ed un prestigio immutato; e che lamore per le arti meccaniche sia divenuto ereditario? E infine che il decoro e la buona opinione siano stati trasmessi di padre in figlio fino alle ultime generazioni, le quali perpetuano cos i costumi dei loro padri anche se non sussistono pi i motivi politici che ne diedero la prima spinta? Molte corporazioni conservano ancora nelle sale delle loro adunanze i ritratti di quei personaggi che nei tempi passati ottennero i primi incarichi dalla comunit. Questa lodevole consuetudine, pu non avere scolpito nella memoria dei membri dellassociazione le idee di onore e di stima conformi alla condizione di un artigiano? Non c dubbio che la forma popolare dellantico governo dei Barcellonesi dovette dare fin dallinizio un certo impulso e un indirizzo generale ai costumi pubblici; perch dove tutti i cittadini hanno gli stessi diritti nel partecipare agli onori, come giusta conseguenza accade che nessuno voglia essere inferiore ad un altro nella virt e nel merito, anche se lo sia per la posizione sociale e per la fama. Da questa nobile emulazione, che in modo naturale doveva rifulgere e propagarsi nellambito di tutti gli ordini dello stato, derivarono il decoro, il portamento e lonorabilit degli artigiani barcellonesi, che dura tuttora con ammirazione universale dentro e fuori la Spagna. A causa dellindolenza dei nostri scrittori nazionali questa esposizione sembrer una cosa nuova, perch fino adesso le vicende di questa citt e principato non hanno avuto lonore di essere considerate dalla

storia politica, soltanto la quale con i suoi lumi pu chiarire e spiegare i veri motivi (sempre ignorati dalla maggioranza della gente) che hanno prodotto in ogni tempo le virt e i vizi delle nazioni. A questi e ad altri motivi si pu attribuire in gran parte la stima nei confronti degli artigiani, dovuta allobbligo di mostrare una condotta onorata e decorosa nei loro impieghi pubblici, tanto della loro corporazione quanto del governo municipale. Inoltre lesempio continuo della casa dei maestri, che finora hanno vissuto in lodevole comunit con i loro discepoli, ha confermato i giovanetti nelle idee di decoro e di ordine; perch i costumi, che hanno una forza pari alle leggi, devono inculcarsi fin dalla pi tenera et. Quindi il vestire sudicio e cencioso non ha potuto mai confondere gli artigiani con gli accattoni dei quali, come dice un illustre autore, tanto facile contrarre i costumi licenziosi e sfaccendati quando labito delluomo onorato non si distingue da quello della canaglia; come anche non si mai vista nella classe degli artigiani quella moda di vestire imbarazzante che, nascondendo gli stracci e coprendo la pigrizia, impedisce i movimenti e lagilit del corpo, e induce ad una comoda indolenza. E neanche si visto luso di frequentare le taverne dove si fa abbastanza presto a passare allubriachezza ed alla sregolatezza dei costumi. Gli svaghi, senzaltro necessari alla classe degli artigiani per rendere loro tollerabile il lavoro quotidiano, furono sempre innocenti passatempi per farli distrarre dalle fatiche, o per variarle. I giochi permessi erano lanello, gli aliossi, le palline, la palla, il tiro al bersaglio, la scherma e il ballo (quando permesso dalla corporazione e sotto la sua vigilanza), il quale da tempo immemorabile stato il diversivo generale dei popoli della Catalogna in certe stagioni ed in certe feste dellanno. Ogni campo in cui lartigiano svolgeva il suo mestiere: argento, acciaio, ferro, rame, legno, lana ecc., non ha mai recato svantaggio alla sua stima; perch abbiamo visto che tutti i mestieri aprivano ugualmente la strada aglincarichi municipali senza escludere neanche quello dei macellai. Gli antichi Barcellonesi non caddero mai nellerrore politico di suscitare preferenze che potessero originare rivalit tra i mestieri. Essi erano convinti che tutti i cittadini fossero ugualmente degni di stima per se stessi, perch tutti concorrevano ad alimentare e mantenere la prosperit di una citt ricca e potente grazie allopera dellartigiano e del commerciante. Infatti contro nessuna delle arti meccaniche c mai stata lidea di vilt o dinfamia; idea purtroppo generalizzata nelle altre province della Spagna dove ha portato un grave pregiudizio al progresso delle arti. E non si conosceva neanche lerrore di non ammettere in certe corporazioni coloro che avessero esercitato altri mestieri, perch qui hanno sempre goduto tutti della stesa stima. In una parola, a Barcellona come in nessunaltra citt della Catalogna, non hanno mai preso piede n questi n altri errori comuni che potessero scoraggiare la gente onorata dallapplicarsi alle arti, o i figli dal continuare quelle che i loro padri avevano esercitate (g). (10) Nel testo ho fatto riferimento ai molti Concili che in altri tempi si celebrarono nella Chiesa; perch dunque, mi si chieder, adesso non si celebrano con la stessa frequenza? A questo risponder col seguente giudizioso passo del conte de Maistre nellopera Del Papa, lib. I cap. 2. Nei primi secoli del Cristianesimo era molto pi facile riunire i Concili perch la Chiesa era compresa in confini meno estesi, e lunit dei poteri riuniti nella persona dellimperatore permetteva di radunare un numero di Vescovi sufficiente per imporre subito una certa considerazione, e non avere poi bisogno che del consenso degli altri. E nonostante ci, quante pene e quanti imbarazzi per radunarli! Ma nei tempi moderni, da quando il mondo civile si trova, per cos dire, diviso in tante sovranit, e si inoltre ingrandito immensamente grazie ai nostri intrepidi navigatori, un Concilio ecumenico divenuto quasi una chimera (h); poich soltanto per convocare tutti i Vescovi, e poi per farne stabilire legalmente la convocazione, occorrerebbero non meno di cinque o sei anni.

(11) Prego i miei lettori, per convincersi della verit e dellesattezza di quanto affermo nel testo, di leggere la storia delle eresie che hanno afflitta la Chiesa fin dai primi secoli, e in modo particolare dal decimo secolo fino al nostro. (12) Per convincersi che escludere dalla politica linfluenza del clero fu un gran danno per la libert dei popoli basti osservare che una buona parte dei teologi propendevano per dottrine abbastanza permissive in materia politica, e che furono gli ecclesiastici quelli che con maggior libert continuarono a parlare ai re anche dopo che i rappresentanti del popolo ebbero gi perduto quasi del tutto linfluenza nei pubblici affari. Ecco quali erano le opinioni di S. Tommaso sulle forme di governo: Questione 105. 1-2. Motivi dei precetti giudiziali riguardanti le autorit, art. 1. Riguardo al buon ordinamento dei governanti, in una citt o in una nazione, si devono tener presenti due cose. La prima di esse che tutti in qualche modo partecipino al governo: cos infatti si conserva la pace nel popolo, e tutti si sentono impegnati ad amare e a difendere codesto ordinamento, come nota Aristotele. La seconda deriva dalla particolare specie di regime, o di governo. Come insegna il Filosofo, esistono diverse specie di governo; ma le migliori sono: la monarchia, in cui si ha il dominio di uno solo, onestamente esercitato; e laristocrazia, cio il dominio degli ottimati, in cui si ha lonesto governo di pochi. Perci il miglior ordinamento di governo si trova in quella citt o in quel regno, in cui uno solo presiede su tutti nellonest; mentre sotto di lui presiedono altri uomini eminenti nella virt; e tuttavia il governo impegna tutti, sia perch tutti possono essere eletti, sia perch tutti possono eleggere. E questa la migliore forma di governo politico, perch in essa si integrano la monarchia, in quanto c la presidenza di un solo; laristocrazia, in quanto molti uomini eminenti in virt vi comandano; e la democrazia, cio il potere popolare, in quanto tra il popolo stesso si possono eleggere i prncipi, e al popolo spetta la loro elezione. E questo fu il regime istituito dalla legge divina. Infatti Mos e i suoi successori governavano il popolo quasi presiedendo da soli su tutti, il che equivale a una specie di monarchia. Per venivano eletti, secondo il merito della virt, settantadue anziani: Io ho preso di fra le vostre trib uomini saggi e nobili, e li ho costituiti vostri prncipi. E questo era proprio di un regime aristocratico. Apparteneva invece a un regime democratico il fatto che venivano scelti di mezzo a tutto il popolo; poich sta scritto: Eleggi di fra tutta la gente uomini saggi, ecc.; e il fatto che li eleggeva il popolo: Prendete di fra voi degli uomini saggi, ecc.. Perci evidente che lordinamento riguardo ai prncipi, istituito dalla legge, era il migliore. (Consultare anche di S. Tommaso: 1-2 q. 90 art. 3-4; q. 95 art. 1-4). Se si dovesse credere a certi contestatori, sembrerebbe una scoperta molto recente il principio che deve essere la legge a governare, e non la volont delluomo; e allora si veda con quale solidit e chiarezza questa dottrina viene esposta dallAngelico (1-2. quaest. 95. art. I): (Omissis). In Spagna i procuratori delle Cortes non ardivano alzare la voce contro gli eccessi del potere, e meritavano per la loro debolezza i severi rimproveri del P. Mariana. Nellinterrogatorio al quale fu sottoposto nella celebre causa intentata contro di lui per i Sette Trattati, ammise di aver chiamati i procuratori delle Cortes uomini vili, frivoli e venali, che non si curavano che dei favori del principe e dei loro particolari interessi senza badare al bene pubblico; ed aggiunse che questa era la pubblica nomea, e questo il lamento di tutti, almeno a Toledo dove egli risiedeva.

Lascer da parte lopera intitolata De rege et regis institutione avendone parlato in unaltra opera. Limitandomi alla Storia di Spagna, far notare la libert con cui P. Mariana si esprimeva sui punti pi delicati senza che il governo civile e lautorit ecclesiastica vi si opponessero, Nel lib. I, cap. 4, parlando degli Aragonesi con quel tono grave e severo che lo distingue, dice: Gli Aragonesi hanno e fanno uso di leggi e statuti molto diversi da quelli degli altri popoli di Spagna, costumi che sono molto appropriati per conservare la libert contro leccessivo potere del re in modo che per la sua stessa forza non degeneri e non si muti in tirannia, e affinch abbia sempre presente che dalle piccole cose sincomincia a perdere il diritto della libert, come infatti accade. Proprio in quella stessa epoca gli ecclesiastici parlavano con la massima libert sulla materia pi delicata, quale quella delle contribuzioni. Il venerabile Palafox, nel suo memoriale al re per limmunit ecclesiastica, diceva: Quando il Figlio di Dio afferm con la sua stessa bocca, secondo il giudizio di SantAgostino, del grande Abulense e di altri seri autori, che i figli di Dio, che sono i ministri della Chiesa ed i suoi sacerdoti, non dovevano pagare i tributi ai prncipi delle genti, domand a San Pietro ci che gi Egli sapeva, essendo lEterna Sapienza del Padre, dicendo: Reges gentiun, a quibus accipiunt tributum; a filiis, an ab alienis? E rispose San Pietro: ab alienis. E il Signore concluse con queste parole: ergo liberi sunt filii. Qui si pu, o Signore, fare unosservazione sottile: che Ges Cristo non disse Reges gentium a quibus capium tributum [I re delle genti a chi carpiscono il tributo], ma a quibus accipiunt tributum [da chi ricevono il tributo], manifestando con la parola accipiunt la mansuetudine e la dolcezza che conviene avere nel ricevere i tributi dai sudditi, affinch si stemperi e si addolcisca lamarezza e il dolore che derivano dal dover pagare gli stessi tributi. 46 - Infatti non c dubbio che sia cosa utilissima per il mantenimento dello Stato, che i sudditi debbano essere i primi a dare affinch poi i prncipi ricevano. giusto che i re accettino ed usufruiscano, poich consiste in questo la conservazione della corona; ma bene che siano gli stessi sudditi ad averlo offerto volontariamente fin dallinizio. Da questo principio, e da ci che usc dalla bocca dellEterno Verbo, la corona cattolica, sempre piissima in tutto, ha ricevuto sicuramente questa santa dottrina, non permettendo Vostra Maest, n i suoi serenissimi predecessori, che si levi mai un tributo se non col consenso, col voto e con lofferta dei suoi stessi sudditi, essendo la Maest Vostra senza paragone pi grande quando limita e tempera il suo potere reale, che dispiegandolo in tutta la sua forza. 47 - Dunque, o Signore, se i laici, che non hanno alcuna esenzione in materia di tributi, godono per di quella che viene loro accordata dalla piet e clemenza di Vostra Maest e dei re cattolicissimi, e non pagano che dopo aver dato la parola, e non si riceve da loro se prima non hanno offerto; possibile che la religione e piet illuminata di Vostra Maest, e il grande zelo del suo Consiglio possano permettere che gli ecclesiastici, figli e ministri di Dio, privilegiati ed esenti per ogni diritto divino e umano in tutte le nazioni del mondo, ed anche tra gli stessi pagani, siano qui in una peggiore condizione degli estranei, i quali non sono come questi ministri della Chiesa e sacerdoti di Dio? Che per i ministri di Dio, o Signore, ha da essere il capiunt, e laccipiunt per quelli del mondo?. E nella sua Storia reale sacra si esprime col tono pi severo contro la tirannia: Questo il diritto che il re voluto da voi manterr su di voi. Questo che chiama diritto in senso ironico, come se dicesse: Questo re che chiedete governer con diritto, e lo chiedete proprio per questo: perch vi lamentate che la mia giustizia non vi governa secondo il diritto; e il diritto che manterr questo re quello di non mantenere alcun diritto, e il suo diritto non sar altro che una rispettata tirannia. Sarebbe un barbaro, o indegno di esser considerato un essere ragionevole

quel politico che, fondando il suo parere su questo passo delle Scritture, volesse dare ai re per diritto il potere che Dio manifesta al popolo per castigo. Qui il Signore non definisce ci che meglio, non dice ci che d, e non lo qualifica; ma riferisce soltanto ci che sarebbe successo, e lo disapprova. Chi mai pu fondare lorigine della tirannia sulla stessa giustizia? Dio dice che quello che essi vogliono avere per re sar un tiranno, non un tiranno approvato dal Signore, ma bens riprovato e castigato: e questo si verific puntualmente nel corso dei tempi, perch in Israele vi furono dei re malvagi con i quali la profezia ebbe la sua attuazione, e ve ne furono dei santi nei quali si manifest la sua misericordia. I cattivi si attirarono letteralmente la minaccia divina col fare ci che era proibito, e i buoni per la loro dignit presero quanto era giusto e conveniente nei modi leciti. Il P. Marquez nel suo Governatore cristiano esamina anchegli ampiamente la stessa questione, e presenta con semplicit le sue opinioni, sia esponendo la teoria che la pratica.

Capitolo 16, 53 Fin qui quanto dice Filone, che scrisse in occasione di questo avvenimento; e siccome mi ha dato loccasione di ragionare sullobbligo che hanno i re cristiani riguardo a questo, ho voluto riportarlo estesamente. Io non andr ad esortarli che si comportino come Mos; perch non hanno gli aiuti straordinari che egli ebbe per aiutare il suo popolo, n la verga che Dio gli diede per tirar fuori lacqua dalla pietra in caso di necessit. Potr per ammonirli che facciano bene attenzione ai nuovi contributi che esigono dai loro sudditi e ai nuovi pesi che impongono loro; e che si ritengano obbligati a giustificarne anticipatamente il motivo in piena verit e non sotto false scuse, tenendo sempre presente che vivono al cospetto di Dio il quale guarda sempre le loro mani, e chieder debito conto di quanto fecero. Perch (come diceva il Nazianzeno) il Figlio di Dio a bella posta nacque in tempo di bandi e di tributi: per confondere i re che li imponevano a capriccio, e per dar loro ad intendere che alla prima occhiata lo vedranno che sta esaminando fino allultimo spicciolo e pesando severamente qualunque minima cosa di cui da noi non si fa alcun conto. E con questo condanniamo la falsa convinzione di certi adulatori i quali, per accattivarsi il favore dei prncipi, dicono che possono fare ci che vogliono e che sono padroni delle sostanze e delle persone dei loro sudditi, potendosene servirsi a loro piacere. E per sostenere questa loro tesi, si avvalgono (come ho gi detto) della storia di Samuele, il quale rispose al popolo di Dio che gli chiedeva un re: Se lo volete lavrete, ma con terribili condizioni; perch vi porter via i campi, le vigne, gli oliveti per darli in dono ai suoi servi; avr per schiave le vostre figlie occupandole a fare il pane per la regia mensa ed a comporre profumi e conserve per i suoi piaceri. E non si fatto attenzione al fatto che questa interpretazione, come dice Giovanni Bodino, di Filippo Melantone, la qual cosa dovrebbe bastare per far destare il sospetto. E non si neanche badato che, come dice San Gregorio, e dopo di lui la cosa stata considerata anche dai dottori, qui non fu stabilito il giusto diritto del re, ma piuttosto fu annunciata la futura tirannia da parte di molti; e non fu detto ci che i buoni re debbano fare, ma quello che sono portati a fare i cattivi. Cos per essersi il re Acab impossessato della vigna di Nabot, Dio si adir contro di lui e lo tratt nel modo che gi sappiamo; mentre il re David, leletto di Dio, chiedendo al Gebuseo il terreno per edificare laltare, non lo volle prendere se non a condizione di pagarne il valore. Per cui i prncipi devono esaminare con grande attenzione lequit delle nuove contribuzioni, perch quando cessano quelle pattuite, secondo lopinione dei dottori sarebbe un furto manifesto aggravare i sudditi con nuovi tributi. Questa verit tanto certa e tanto cattolica, che anche parlando dei tributi necessari uomini di sana dottrina affermano che il principe non potrebbe imporli di nuovo senza il consenso del popolo. Perch, dicono essi, non essendo il principe (come non lo realmente) padrone delle sostanze, non potr servirsene senza il volere di quelli che devono dargliele. E questa consuetudine in vigore da molto tempo nel regno di Castiglia dove a norma di legge non si dispongono nuove imposizioni senza il preventivo intervento delle Cortes; e anche dopo che queste

hanno deliberato, si manda lavviso per le citt, e finch la maggior parte di esse non sia favorevole il principe non ha la garanzia di ottenere ci che chiede. In Inghilterra Edoardo I promulg la stessa legge come riferiscono autori informati; ed anche in Francia, scrive Filippo di Comines, anticamente si faceva altrettanto fino al re Carlo VII il quale, costretto dalla necessit, ordin la riscossione di una certa taglia senza aspettare la volont degli stati; la qual cosa apr in Francia una piaga profonda che continuer a sanguinare per molto tempo. E c chi attribuisce a questo autore laffermazione che in quella occasione fu detto pubblicamente che il re era uscito dalla tutela del regno; ma che egli per era dellopinione che senza il consenso degli stati i re non possono imporre neanche un soldo di contributo, e che chi facesse il contrario incorrerebbe nella scomunica. Questo dovrebbe essere riportato nella bolla In coena Domini; ma io non sono riuscito a trovarlo. E considerando questo secondo punto, non c dubbio che il principe non potr mai di sua autorit imporre un nuovo tributo contro la volont del popolo quando per una valida ragione il popolo abbia acquisito un diritto che gli si opponga, come io credo sia avvenuto per quello di Castiglia. Infatti nessuno nega che i regni possano eleggere i prncipi con questa condizione fin da principio, oppure prestar loro sussidi tali da ottenere in compenso la promessa di non imporre nuovi pesi senza il loro consenso. Ora nelluno e nellaltro caso sar stato fatto una specie di contratto che i re non possono esimersi dallobbligo di osservare senza che non nasca il dubbio, come credono alcuni, se i sovrani siano entrati in possesso del regno per lelezione da parte dei sudditi o con la forza delle armi. Per cui, sebbene sia pi verosimile che uno Stato che si d al principe di propria volont avr maggiori privilegi e condizioni migliori di quello di cui il principe sia entrato in possesso in seguito ad una guerra giusta, tuttavia non sarebbe impossibile che uno Stato nello scegliersi un re gli trasferisca tutto il suo potere in un modo assoluto e senza restrizione alcuna per obbligarlo maggiormente con la dimostrazione del suo affetto; come anche che il re che abbia sottomesso un altro regno con le armi in pugno, gli voglia concedere spontaneamente questa franchigia per propiziarsene laffetto e renderne lubbidienza meno amara. La regola certa di questo diritto particolare sar dunque il contratto che virtualmente o espressamente sar stipulato tra il principe e lo Stato: il quale contratto deve essere inviolabile, soprattutto se sancito dalla santit del giuramento. Il Governatore cristiano, lib. 2, cap. 39, 2 Coloro che affermano che i prncipi possono ordinare ai sudditi di dare a minor prezzo ed anche gratuitamente una parte dei loro beni, fondano questa norma sulla seguente legge: se una nave che trasporta molte mercanzie viene investita da una gran tempesta che costringe a gettarne una parte in mare, i padroni dellaltra parte che rimasta in salvo sono in obbligo di dare pro rata a quelli che hanno subto le perdite il compenso di quanto perdettero. Da qui Bartolo ed altri giureconsulti hanno dedotto che in tempi di necessit e carestia il principe pu ordinare che i sudditi diano anche gratuitamente, o a maggior ragione a minor prezzo, una parte dei loro averi a quelli che ne hanno bisogno. E dicono che indubbiamente il principe potrebbe dichiararli beni comuni, come lo erano prima che nascesse il diritto delle genti, e di conseguenza toglierli ad un suddito per darli ad un altro. certo che nelle leggi dei re dIsraele si dice che il re scelto da Dio avrebbe tolte le vigne e i beni dei suoi sudditi per farne un regalo ai suoi servitori. Ma di questo testo non si valgono i dottori, perch come dicemmo nel cap, 16 del lib. I, non vi si parla dei diritti dei re buoni, ma della tirannia dei cattivi. Se per si considera bene la Sacra Scrittura, impossibile che non sia in favore delluna o dellaltra parte; perch se si volle stabilire che i re avrebbero avuto in coscienza tutta lautorit di cui qui si parla, certo che la ebbero anche per confiscare i beni ad un suddito e darli ad un altro. Se invece sintese far conoscere le violenze, le estorsioni, le tirannie dei cattivi prncipi, non meno certo che essa condanna il fatto di cui si parla, poich lo presenta come esempio di ci che avrebbero fatto i tiranni. Ora, se fosse cosa permessa ai re buoni, non potrebbe essere considerato un esempio di tirannia, come invece esige la Scrittura.

E allora, da questo solo testo, qualora non ve ne fossero altri in favore di questa dottrina, io sono del parere che i re non possono comandare ai loro sudditi di dare i loro beni per meno di quello che valgono, neanche sotto il pretesto del pubblico bene. Perch, se questo fosse vero, non sarebbe stato difficile ai re dIsraele di servirsene per giustificare la loro tirannia, col pretesto che premiare coloro che li servivano con fedelt, con tanto vantaggio per il regno, riguardava il pubblico bene. Ed anche il re Acab avrebbe potuto dire che al pubblico bene spettavano le ricreazioni del principe, per la salute del quale hanno tanta premura i popoli, ed avere cos un pretesto per togliere la vigna a Nabot ed unirla ai giardini reali. E vediamo invece che di questo pretesto non si serv neanche per obbligare Nabot a vendergliela, e il re stesso non si ritenne colpito dal rifiuto, sebbene lo sentisse vivamente, e non si sarebbe indotto ad impossessarsi della vigna se lempia Gezabele non gli avesse procurato i mezzi per farlo. E il motivo che rende valida questa opinione chiarissimo; perch i re sono ministri della giustizia, e lorigine della loro elezione la necessit che hanno i popoli di essere amministrati e difesi; e come insegna San Tommaso non pu essere equo un contratto di compravendita se il prezzo non ha lo stesso valore della cosa comprata. vero che il pubblico bene si deve preferire a quello privato; e se lo stato stesse andando in totale rovina, nel caso che un cittadino non desse i suoi beni il principe potrebbe comandare che glieli si requisiscano ad un prezzo minore ed anche gratuitamente, allo stesso modo che lo pu obbligare ad esporre la vita, che vale molto pi dei beni, per difendere la causa comune in una guerra giusta. Questo caso per, come dice il P. Molina, impossibile, poich il principe potrebbe sempre compensare il danno particolare ripartendone il valore in una contribuzione generale, la quale sarebbe giusta e il popolo sarebbe obbligato ad accettarla. E per mostrarlo con maggior chiarezza, immaginiamo il caso pi urgente che possa mai capitare, e poniamo che un tiranno tenga assediato un re nel suo palazzo, e sta per entrarvi e metter tutto a ferro e fuoco, offrendosi per di levare lassedio e ritirarsi purch gli si dia una statua doro di gran valore, che fu gi degli antenati dello stesso tiranno e venne portata via in un saccheggio da un suddito del re assediato, che era capitano generale dello stesso re, e la tiene vincolata in una primogenitura della sua famiglia. O, per stringere ancor di pi, supponiamo che questo tiranno abbia al servizio del re assediato un parente a cui tiene molto, e che si accontenti che si requisiscano tutti i beni ad un signore del regno che possiede molti e vari domin, e che tutto passi in possesso di quel parente affinch ne divenga il nuovo signore. Nessuno dubiter che per riscattare la vita di tutti si potr accettare il patto, e che in questo caso il principe potr fare quanto gli stato richiesto, e quindi requisire la statua, ed anche tutto il patrimonio di quel signore per darlo al parente del tiranno. Ma nessuno dir neanche che il signore spogliato di tutti i suoi beni debba egli solo risentirne di tutta la perdita; poich allo Stato resterebbe sempre lobbligo di risarcirlo del danno, e il compito di mettere insieme mediante una contribuzione il valore della perdita, comprendendovi per la sua rata quel signore al quale dovr effettuarsi la restituzione. Il motivo consiste nel fatto che contrario alla legge naturale che un membro soltanto porti sulle spalle il peso di tutto il corpo, e questo appunto il caso della legge proposta dai nostri avversari. In caso di naufragio tutte le mercanzie che stanno sulla nave vanno incontro allinconveniente di essere gettate in mare per alleggerire il peso e salvare la sorte e la vita di tutti. Ed essendo comune la difficolt non giusto che subiscano il danno soltanto i padroni delle mercanzie che si trovano pi a portata di mano, o caricano maggiormente col loro peso limbarcazione; dovranno subirlo tutti indistintamente, compresi quelli che non portano cose di valore come gioie e diamanti, perch neanche questi, e neanche la stessa nave, si potrebbero salvare senza che sia alleggerita del peso delle mercanzie gettate in mare. Ed inoltre la legge dice che anche il padrone della nave ha lobbligo di pagare la sua rata, non perch sia tenuto a soccorrere i proprietari delle mercanzie perdute perch li vede nel bisogno, potendo ritenersi che siano persone ricche, ed anche se la loro miseria sia al momento estrema rimarrebbero sempre vincolati a restituire poi quanto venga loro adesso prestato; perch, dicono i dottori, non c alcun obbligo di fare donazioni al ricco che si trovi in estrema necessit, potendolo aiutare gi abbastanza col fargli un prestito. Ma lobbligo del padrone della nave, si dice invece,

fondato sul fatto che avendo tutti linteresse di salvare la vita e gli averi, il pericolo e la perdita delle cose gettate in mare deve essere messo in conto a tutti, e non solo a quelli che erano padroni delle cose gettate in mare. E che questa sia linterpretazione giusta si potr dedurre dal sommario di quel titolo e nelle parole della stessa legge, che sono queste: Eo quod id tributum servatae merces deberent. Al di fuori per da questo caso, o di un altro della stessa urgenza, non dovendo lo stato correre alcun pericolo, se una cosa non passa dalle mani di un padrone a quelle di un altro il principe non potrebbe obbligare il proprietario della stessa a darla per meno di quel che vale, e ancora meno poi regalarla; perch considerando le stesse persone e i beni di un regno, poco importa alla comunit, presa collettivamente, che questi siano ricchi e quelli poveri o viceversa, perch nessuno nella comunit ha una condizione fissa e stabile da cui non possa salire o scendere. E queste variazioni che accadono in ogni momento tra i membri passando i beni da una mano allaltra, perdendo una e guadagnando laltra, sono inevitabili nelle societ per la poca stabilit delle cose temporali, ed in questo il bene pubblico non ci guadagna n ci perde.

(13) - Alcuni credono, quando si parla della perdita della libert in Spagna, che sia facile ridurre la questione ad un solo aspetto, come se il regno avesse sempre avuto quellunit che non ebbe fino al diciottesimo secolo, ed anche allora in maniera molto imperfetta. Basti leggere la storia, ed in particolare i codici delle diverse province che hanno formata la monarchia, per essere convinti che il potere centrale si and creando e fortificando molto lentamente, e che quando lopera era gi quasi compiuta in Castiglia restava per ancora molto da fare in Aragona e in Catalogna. Le nostre Costituzioni, i nostri usi e costumi del diciassettesimo secolo sono una prova evidente che la monarchia di Filippo II, tal quale ce la figuriamo forte e irresistibile, non si era ancora stabilita nel regno di Aragona. Mi asterr dal produrre documenti e rammentare fatti che tutti sanno, per non accrescere senza che ce ne sia bisogno la mole dellopera. (14) nota lopera immortale del conte de Maistre sul potere dei Papi, e tutti sanno come egli abbia affrontato con successo, demolendole, le calunnie dei nemici della Sede Apostolica. Ma fra le tante e profonde osservazioni dellautore su questo particolare merita tutta la nostra attenzione quella che riguarda la moderazione dei Papi riguardo allestensione dei loro domin, in cui fa risaltare la differenza che passa tra la corte di Roma e quella degli altri sovrani europei. cosa di grande rilevanza, ma che mai o ben poche volte stata notata, che i Papi non si sono mai serviti dellimmenso potere che avevano per ingrandire i loro Stati. Quale cosa, per esempio, sarebbe stata pi naturale e incline alla natura umana, quanto il tenere per s alcune delle province conquistate sui Saraceni, che i Papi invece concedevano al primo occupante al fine di respingere la Mezzaluna che non cessava dingrandirsi e di avanzare? Eppure non lo fecero mai neanche per quelle terre che erano vicine ai loro Stati, come il Regno delle due Sicilie, sul quale avevano dei diritti incontestabili, almeno secondo lidea di allora, e per cui si accontentarono di un dominio eminente simbolico, che fin ben presto con la famosa chinea che ora non si presenta neanche pi. Per concludere: i Papi hanno potuto far valere in quei tempi quel dominio eminente, o feudalit universale, alla quale unopinione ugualmente universale non negava loro. Hanno potuto esigere omaggi, imporre contributi, anche arbitrariamente se cos si vuole dire, e qui non abbiamo il minimo interesse di esaminare questi punti. Ma sar sempre certo che i Papi non hanno mai cercato, n mai hanno approfittato, delloccasione per ingrandire i loro Stati a danno della giustizia. Quando invece nessunaltra sovranit temporale imit questo buon esempio; ed oggi stesso, con tutta la nostra filosofia, la nostra civilt e i nostri bei libri, non c forse una potenza in Europa che possa giustificare i propri possessi di fronte a Dio ed alla ragione (Lib. 2. cap. 6).

(15) Ecco alcuni passi degni di nota, in cui santAnselmo espone i motivi che linducevano a scrivere, e il metodo che intendeva tenere nei suoi scritti. Prefatio beati Anselmi Episcopi Cantuariensis in Monologium. (Omissis). In quanto a ci che ho detto riguardo alla dimostrazione dellesistenza di Dio, cio che santAnselmo aveva preceduto Cartesio, si leggano i seguenti passi, bench con questo non intenda manifestare la mia opinione sul merito della dimostrazione. Qui si tratta solo di osservare il cammino dello spirito umano e non di sciogliere questioni filosofiche. Prosologium D. Anselmi, cap. III Quod Deus non possit cogitari non esse (Omissis). Dai passi che ho inserito, i lettori avranno potuto convincersi che nella Chiesa cattolica il pensiero non era oppresso, che i pi illustri dottori discorrevano sulle pi alte materie con giusta e ragionevole indipendenza di pensiero, e che sebbene venerassero profondamente linsegnamento cattolico non lasciavano di muoversi quanto e meglio di Abelardo nelle regioni della vera filosofia. Io non riesco a capire cosa si possa esigere dallintelletto umano di quei tempi pi di quanto troviamo in SantAnselmo. E allora come mai vengono profusi tanti elogi a Roscellino e ad Abelardo, e non si nomina mai il santo Dottore? Perch lasciare cos incompiuto il quadro del movimento intellettuale non includendovi una figura di portata cosi enorme e di tanta magnificenza? Per mostrare quanto sia falso che Abelardo non attaccasse, come pretende il Sig. Guizot, le dottrine della Chiesa, e in quale equivoco modo lo stesso Abelardo riferisse le cause che misero in moto lo zelo dei Pastori, inseriamo qui la lettera dei Vescovi delle Gallie a Papa Innocenzo, la quale contiene una completa narrazione dellorigine e dello sviluppo di un cos grave fatto. EPISTOLA CCCLXX Reverendissimo Patri et Domino, INNOCENTIO Dei gratia summo Pontifici Henricus Senonensium Archiepiscopus, Camotensis Episcopus, Sanctae Sedis Apostolicae famulus, Aurelianensis, Antisiodorensis, Trecensis, Meldensis Episcopi, devotas orationes el debitam obedientiam. (Omissis). Ecco come spiega S. Bernardo il metodo e gli errori del famoso Abelardo; si vedano il capo primo e il capo quarto del trattato che scrisse, avente per titolo De erroribus Petri Abailardi: (Omissis). Il Papa Innocenzo, condannando le dottrine di Abelardo, dice: In Petri Abailardi Perniciosa doctrina, et praedictorum haereses, et alia perversa dogmata catholicae fidei obviantia pullulare coeperunt.

Fine del secondo ed ultimo volume

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Note alle note

(a) - Tributo che si pagava per la festa di S. Martino. (b) - Tributo per mantenere le armate e i fossati dei castelli della Castiglia. (c) - A dimostrazione della difficolt di rintracciare lorigine delle corporazioni di arti e mestieri anche nelle citt pi antiche e meglio organizzate, nella sua Storia civile di Venezia Sandi,che aveva visitato tutti gli archivi della repubblica, nel tomo 2, part. 1, pag. 767, dopo aver elencato sessantuno corporazioni esistenti allinizio del secolo in quella citt, dice non esser possibile assegnare per ciascuna di esse lepoca della fondazione n quella dei primi statuti, e si limita ad annotare che nessuna di quelle corporazioni anteriore al quattordicesimo secolo. (Le note che accompagnano questo capitolo sono dello stesso Capmany). (d) - Siccome qui ripetiamo moltissime cose scritte in unopera pubblicata nel 1778 dalla stamperia di Saucha intitolata Discorso economico politico in difesa del lavoro meccanico degli artigiani, di D. Raimondo Michele Palacio, lautore di queste memorie, temendo la taccia di vile plagiario, fa presente che dovendo trattare la stessa materia in questopera, non poteva non riportare gran parte delle idee di quello scritto che allora credette opportuno pubblicare senza il suo vero nome. (e) - Leggendo lappendice delle note numero 28 e 30 si conoscer lalta stima e il potere di cui godeva in altri tempi la citt di Barcellona attraverso i magistrati municipali che la rappresentavano con il comune nome di Consiglieri. (f) - Nella raccolta diplomatica, di queste memorie si trovano moltissime lettere ed altri documenti che provano la corrispondenza diretta e reciproca della citt di Barcellona con glimperatori dOriente e con quelli di Germania, con i sultani dEgitto, i re di Tunisi, del Marocco ecc., come anche con i vari monarchi, con le repubbliche e con altri potentati dEuropa. (g) Si notino le proteste dellillustrissimo Sig. Campomanes contro questi abusi e questi princpi erronei in politica, che espone nel suo Discorso sulleducazione popolare degli artigiani, da pagina 119 a 160. (h) - Comunemente diciamo una chimera o una cosa impossibile ci che enormemente difficile che si avveri. Non possiamo fare a meno di avvertire in questa occasione le anime semplici affinch, considerando queste grandi difficolt, possano comprendere quale concetto debbano formarsi sulla legittimit e sincerit dei desideri dei falsi riformatori e di coloro che invocano un Concilio: costoro non vogliono i Concili, ma vogliono, sotto il pretesto del Concilio, sottrarsi allautorit dei loro legittimi superiori (Nota degli autori della Biblioteca di religione).

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