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Lezione 1.

4 Il detto di Anassimandro per Nietzsche e Heidegger Nel saggio del 1946, Il detto di Anassimandro, raccolto in Sentieri interrotti, Martin Heidegger riporta e commenta la traduzione del detto fatta da Nietzsche ne La filosofia nellepoca tragica dei greci (1873): L da dove le cose hanno il loro nascimento, debbono anche andare a finire, secondo la necessit. Esse debbono infatti fare ammenda ed esser giudicate per la loro ingiustizia, secondo lordine del tempo (pag.299). Aggiunge inoltre la traduzione fatta da Hermann Diels nei Frammenti dei presocratici, che non si discosta molto dal testo di Nietzsche. Nietzsche aveva attribuito ad Anassimandro la nascita del pensiero astratto e della filosofia in quanto scrittura. Una scrittura tersa, alta, incontrovertibile che inaugurava la parola filosofica come parola metafisica. Nietzsche aveva per anche interpretato il detto come descrizione del destino umano, inevitabilmente portato a finire e perci triste. E aveva attribuito questa metafisica triste allimpossibilit di pensare un destino diverso per la natura umana. Nietzsche aveva anche rintracciato una possibilit dellumano di fuoriuscire da quel destino qualora avesse inteso nascita e morte come facenti parti di un ciclo del ritorno, valevole per lintero cosmo e in grado cos di dissolvere la tristezza della sorte precostituita dellumanit. Egli aveva intuito, da una parte la natura umana come natura in generale, il cui tempo ciclico offre la chance della riconquista di s che negata allo storicismo e alla metafisica occidentale; dallaltra aveva scorto nel detto di Anassimandro il divenire, nel nucleo delleterno ritorno, in cui consiste la possibilit dellumano di annullare la separatezza dalla natura e dalle astrazioni della storia. Heidegger accoglie linterpretazione nietzscheana di Anassimandro, ma la completa, chiedendosi cosa davvero il detto voglia dire ammettendo che siano proprio quelle le parole pronunciate dal filosofo di Samo e perch il pensiero successivo le abbia interpretate nel senso suddetto. Inizia con queste domande un percorso filologico e filosofico che tenta di trovare nelle due frasi del detto lessenza del pensiero greco, a partire dalla inevitabile distorsione che di esso Platone, Aristotele e poi Hegel, hanno operato. Lunico pensatore che abbia compreso, pensando, la storia del pensiero, Hegel(egli) fra i sostenitori dellopinione predominante sul carattere classico della filosofia di Platone e di Aristotele (pag. 301. E anzitutto questa interpretazione del pensiero greco che Heidegger contesta, dimostrando che Anassimandro e i filosofi precedenti a Socrate avevano in realt pensato la natura, il logos, e lessenza dellessere; il detto pertanto una testimonianza di sviluppo del pensiero non una istanza prefilosofica o mitica. Nella concezione della natura, si misura la distanza tra i presocratici e Aristotele che designa la come una porzione dellessere costituita da enti che nascono per virt propria, e la contrappone alla k, i cui prodotti sono realizzati dalluomo. Secondo questo pensiero, lontano dallidea di che avevano i filosofi precedenti a Platone, idea che non faceva differenza tra creazione e produzione, Teofrasto nelle Fusikon doxai, le opinioni dei fisici, impone il paradigma della filosofia greca che assegna a quei filosofi lepiteto di naturalisti per contrapporli allo sviluppo successivo della scienza. Secondo Heidegger arrivato il tempo in cui lOccidente, come terra del tramonto, della sera (Lands des Abends), in una caratteristica visione ciclica di ci che ricorre, reinterpreti il detto, considerandolo una delle migliori testimonianze del tempo degli inizi, dellalba del pensiero. Un tempo in cui veniva nominato e pensato lessere e in cui si tentava una descrizione dellessenza dellessere, che la metafisica occidentale ha poi dimenticato: Se penseremo in base allescatologia dellessere, dovremo un giorno aspettare lestremo del mattino nellestremo della sera, e dovremo imparare oggi a meditare cos su ci che allestremo (pag.305).

Per far questo necessario ricostruire, la verit del detto e tentare quindi un interpretazione dellessenza dellessere come adombrata dal detto. Secondo Heidegger, il detto che composto di due parti, parla degli enti ( ) e nomina la loro molteplicit. Gli enti sono tutti gli enti, in quanto , enti di natura che comprendono anche gli uomini e le cose da essi prodotte, le situazione e le circostanze derivate dal fare (pag.308), cio il tutto dellente. Gli enti dunque non sono solo i intesi Teofrasto e Aristotele, ma la moltitudine degli enti. Inoltre gli enti hanno qui una qualit essenziale che nella traduzione stata tralasciata: il detto infatti parla della loro sorte: si parla dellente mentre si enuncia lessere, e tale il divenire degli enti, secondo lintuizione di Nietzsche dellidentit di essere e divenire: Imprimere al divenire il carattere dellessere, questa la suprema volont di potenza Lessere di cui Nietzsche parla qui leterno ritorno delleguale (pag.310). Tuttavia questo ente e quellessere di cui nel detto si scorge il profilo, non sono n manifesti n comprensibili. Sono piuttosto nascosti, e il loro senso sfugge. Questa infatti la loro essenza, il nascondimento e la variabilit nella loro interpretazione, qualit che ineriscono alla verit dellessere: La verit () greca infatti il non-nascondimento dellente, ed lunica situazione in cui lente che si manifesta allude alla propra essenza. Lessere dellente come verit, cio come non-nascondimento, enuncia infatti sia il carattere nascosto dellente, sia la necessit di un ente particolare, lessere umano (Da-sein), che, come Esser-ci istituisce una corrispondenza, attraverso linterpretazione, con la storicit dellessere, il carattere epocale dellessere. Da questa argomentazione proviene la possibilit di una ricostruzione del detto pi vicina alla sua realt. Heidegger infatti accoglie la lezione di John Burnet secondo cui la prima parte del detto non sarebbe di Anassimandro, ma una aggiunta tarda di epoca aristotelica. Il vero detto si limiterebbe a queste parole: secondo la necessit: infatti esse pagano reciprocamente lammenda e il fio della loro ingiustizia. Heidegger lo interpreta come riferito alla nascita e al perire di tutti gli enti; di ci che, venendo innanzi, perviene nel non-esser-nascosto e che, qui pervenuto, andando via scompare (pag.319). Troviamo questa determinazione dellente per la prima volta in Omero, secondo cui , lessente tale nel duplice significato di essere un ente e un ente che (cfr, pag.321). dunque significa sia lessente presente, cio ci che singolarmente presente, sia lessente presente-presente, cio tutto ci che in quanto presente. Esso comprende dunque anche lessente non presente, come modalit dellesser presente degli enti. Il veggente sta di fronte allessente presente e al non-esser nascosto che esso porta con s e che ha illuminato anche lesser nascosto dellessente in quanto assente (pag.323). Anassimandro in quanto veggente, concludiamo noi, osserva lente nella sua interezza, vi si porta di fronte come osservatore ed annuncia lunicit di esso, come essente presente e assente (pag.324). Egli lo preserva, se ne prende cura, lo salvaguarda: egli infatti, come veggente ha visto tutto, lintero tempo dellente e lo conosce: La visione non dterminata dagli occhi, ma dallilluminazione dellessere. Nel suo divenire lessente-presente presente soggiorna nel pervenire e nellandar via e in questo mantenimento nel presente entra in conflitto con lessenza del divenire, che non prevede alcun soggiorno, bens la dinamica continua degli enti dalla presenza verso lassenza. Cos, allaurora del pensiero, essere significa lesser presente, nel senso del raccoglimento illuminante-custodente che costituisce il Logos. Il Logos (legein, raccogliere, riunire), concepito a partire dalla Aletheia, il custodimento disvelante. Nella essenza contrastante di essa si nasconde lessenza pensata di Eris e Moira, nomi coi quali anche designata la Fusis (pag. 328). Il quadro del detto dunque si compone: gli enti, rivelati nella loro essenza, si costituiscono in un conflitto produttivo tra il divenire cosmico e la volont della loro persistenza, conflitto raccolto nel Logos come verit del loro essere, verit che fusis, totalit della natura. Ma di quale ingiustizia sono latori gli enti che devono pagare il fio? Essi sono soggetti della e alla non connessione, del e al contrasto tra persistenza e divenire, rispetto a cui dovrebbero invece dare

connessione ( , pag. 333). Il disaccordo quello tra e degli enti in relazione alla in cui sono contenuti: oggi soggiornante si erge contro gli altri, e tuttavia non ostinandosi in questa persistenza (si) rendono giustizia. Questa giustizia , secondo Heidegger una modalit del lasciar-appartenere degli enti alla e tra loro. Dunque, bench irriguardosi gli uni gli altri, gli enti si lasciano appartenere secondo laccordo del divenire e questo lasciar appartenere sarebbe il modo in cui il via via soggiornante soggiorna ed presente come essente-presente (cfr., pag338). Cos essere ed ente non risultano distinti, diversamente da come li ha intesi la metafisica successiva, in cui loblio dellessere loblio della differenza fra lessere e lente (pag.340). Il detto dunque menziona la condizione della totalit degli enti a partire dalla loro essenza che nominata, allinizio del detto, come , secondo luso, il bisogno; Heidegger tuttavia traduce secondo il mantenimento, per cui il detto suonerebbe: lungo il mantenimento; essi lasciano infatti appartenere laccordo e quindi anche la cura-riguardosa delluno per laltro (nella risoluzione) del disaccordo. (pag. 347).

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