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LA BOMBA GLOBALE

STORIA SEGRETA
DELLA BOMBA
ITALIANA ED EUROPEA di Achille ALBONETTI
Alcuni accordi segreti con la Francia avrebbero potuto
consentire all’Italia di possedere le tecnologie necessarie
per un deterrente nazionale. Vi abbiamo rinunciato, ma
resta l’opzione del deterrente europeo, più attuale che mai.

È DIFFICILE INTERPRETARE E CAPIRE LA


politica estera di qualsiasi paese, anche se non nucleare come l’Italia, se non si
conosce la sua politica nucleare. Numerosi episodi della storia atomica italiana, ai
quali sovente ho partecipato, raramente sono tenuti presente.

La collaborazione nucleare tra l’Italia e la Francia


Nel luglio 1971, l’ambasciatore Pietro Quaroni, in un articolo pubblicato su La
Revue des Deux Mondes, per primo accenna all’esistenza di un accordo segreto,
firmato il 28 novembre 1957 dall’Italia, dalla Francia e dalla Germania, per la co-
struzione in comune di un deterrente nucleare. Per molto tempo, il contenuto e il
significato di questo accordo sono rimasti poco conosciuti 1.
L’accordo si inseriva nel quadro dei negoziati paralleli che avevano avuto luo-
go a Bruxelles nel 1955 e nel 1956 per l’Euratom. La Francia, la Germania e l’Italia
ritenevano che l’unità politica dell’Europa non potesse prescindere da un’integra-
zione completa, civile e militare, anche nel campo nucleare. In quei concitati mesi
ci si accorse però che l’Euratom, dapprima considerato il trattato più importante,
era progressivamente svuotato, tanto più dopo la crisi di Suez, che imprimeva rin-
novata forza al progetto di trattato gemello, istituente la Comunità economica eu-
ropea, detta anche mercato comune.
Secondo la prima intenzione di Monnet e degli europeisti francesi ed euro-
pei, nell’Euratom dovevano concentrarsi tutte le iniziative nucleari dei paesi
membri. La Comunità europea dell’energia atomica doveva avere la proprietà di

1. Cfr. A. ALBONETTI, L’Italia e l’atomica, Faenza 1976, Fratelli Lega. M. VAISSE, La France e l’Atome,
Bruxelles 1995, Emile Bruylant. 157
STORIA SEGRETA DELLA BOMBA ITALIANA ED EUROPEA

tutti i centri comuni di ricerca nucleare e di tutti i combustibili nucleari a fini civili
e di difesa.
Nella realtà, i centri nazionali dei sei paesi membri continuarono ad esistere e
a svilupparsi. L’Italia – soprattutto per motivi di lotte intestine – cedette all’Euratom
l’unico suo centro nucleare esistente agli inizi degli anni Cinquanta, quello di Ispra
sul Lago Maggiore. Contemporaneamente, però, ne sviluppò una mezza dozzina
nei pressi di Roma e altrove.
Bonn condizionò l’adesione al trattato istituente la Comunità europea per
l’energia atomica alla firma della Comunità economica europea e al conseguente
avvio di un’integrazione che investiva più ampi settori dei paesi europei. La Ger-
mania, infatti, non voleva agevolare e in qualche misura finanziare, attraverso l’Eu-
ratom, la produzione dell’arma atomica da parte di Parigi, senza ottenere un’aper-
tura economica e politica più vasta.
D’altra parte in Francia i gollisti, pur non ancora tornati al potere, nel 1955-’56
avevano molta influenza ed erano fortemente contrari, fin dal dopoguerra, a qual-
siasi politica di integrazione europea, tanto più nel settore nucleare.
Date queste premesse, i tre ministri della Difesa, il francese Chaban-Delmas, il
più europeista tra i gollisti, il nostro Taviani e il tedesco Strauss, constatato che
l’Euratom ricopriva un significato politico e militare relativamente modesto e con
scarse possibilità di successo, concordarono sulla necessità di avviare una collabo-
razione nel settore nucleare militare, con l’obiettivo di sviluppare le componenti di
un deterrente europeo.

L’uranio arricchito e il plutonio


Per ottenere un ordigno nucleare occorre disporre di almeno due tipi di com-
bustibile: l’uranio arricchito e il plutonio, ambedue materiali che non esistono in
natura. L’uranio arricchito si può produrre, tra l’altro, con la separazione isotopica
o con la centrifugazione. Per ottenere il plutonio, è necessario il cosiddetto ripro-
cessamento, vale a dire il processo attraverso il quale tale combustibile si estrae
dalle barre irradiate nei reattori nucleari.
Contemporaneamente ai negoziati per l’Euratom, negli anni 1955 e 1956 furo-
no creati, pertanto, due gruppi di lavoro, che portarono a due realizzazioni distin-
te: un impianto per la produzione di uranio arricchito, per uso sia militare che civi-
le, che fu ubicato a Pierrelatte, nel Sud della Francia, e un impianto di riprocessa-
mento, l’Eurochemic, che fu costruito a Mol, in Belgio.
Il primo gruppo, quello per la produzione di uranio arricchito, presieduto dai
francesi, si sciolse presto, ma rimase in piedi la prospettiva di una ricerca comune
nel settore nucleare militare. Si giunse, così, all’iniziativa per la costruzione dell’im-
pianto di Pierrelatte. All’Italia fu offerta, alla fine degli anni Cinquanta, una parteci-
pazione del 10%. La Gran Bretagna, dal canto suo, costruì due impianti per la pro-
duzione di uranio arricchito, seguendo sia la via della diffusione gassosa, sia quella
158 della centrifugazione.
LA BOMBA GLOBALE

TEST NUCLEARI TRA IL 1945 E IL 1996 UNIONE SOVIETICA


IN ATMOSFERA: 247
SOTTO TERRA: 38
(IN MEGATONI) GRAN BRETAGNA TOTALE: 285
IN ATMOSFERA: 8 N° DI TEST 715
SOTTO TERRA: 0.9
TOTALE: 8.9
N° DI TEST 45

CINA
IN ATMOSFERA: 21.9
SOTTO TERRA: 1.5
STATI UNITI TOTALE: 23.4
IN ATMOSFERA: 141 FRANCIA N° DI TEST 44
SOTTO TERRA: 38 IN ATMOSFERA: 10
TOTALE: 179 SOTTO TERRA: 4
N° DI TEST 1.032 TOTALE: 14
N° DI TEST 210 TOTALE
IN ATMOSFERA: 427.9
SOTTO TERRA: 82.4
TOTALE: 510.3
N° DI TEST 2046
Nota: Le cinque potenze nucleari, tutte insieme, hanno fatto esplodere
il corrispettivo di 40.000 bombe simili a quelle di Hiroshima.
Fonte: Natural Resources Defence Council, The Bulletin of the Atomic Scientists

Il secondo gruppo per l’impianto di riprocessamento, presieduto dagli inglesi,


proseguì i suoi lavori e giunse alla costruzione dell’Eurochemic – un impianto la-
boratorio a partecipazione europea, nell’ambito dell’Oece – che non ebbe molta
fortuna. La Francia e la Gran Bretagna costruirono, in seguito, grossi impianti di ri-
processamento sul loro territorio.
Sono in molti a ritenere che l’accordo tra l’Italia, la Francia e la Germania del
1957 non ebbe seguito a causa dell’arrivo al potere di de Gaulle nel 1958 e della
sua volontà di creare autonomamente la forza nucleare francese. Questa è una ine-
sattezza. In realtà fummo noi stessi italiani, preoccupati dal generale francese, con-
siderato uomo autoritario e inquietante, a ritirarci e a cancellare dal bilancio italia-
no i finanziamenti necessari alla partecipazione all’impianto di Pierrelatte.

L’Eurodif e l’impianto di Tricastin


Malgrado la decisione italiana di non partecipare alla costruzione di Pierrelat-
te, la collaborazione nucleare italo-francese proseguì anche nel delicatissimo setto-
re della produzione di uranio arricchito, al punto che ci fu offerta la partecipazione
alla società Eurodif, che ebbe come obiettivo la costruzione dell’impianto di Trica-
stin, molto più grande e importante di Pierrelatte.
Gli Stati Uniti, che custodiscono gelosamente le loro conoscenze in questo
settore cruciale (gli unici tre impianti per la produzione di uranio arricchito nel- 159
STORIA SEGRETA DELLA BOMBA ITALIANA ED EUROPEA

l’Occidente, risalenti agli anni Quaranta, credo non si possano tuttora visitare e
hanno una fascia di protezione di qualche decina di kilometri), avevano vinto la
battaglia di Pierrelatte senza troppi sforzi. In quel caso, l’Italia si era tirata indietro.
Ma questa volta era diverso.
Per contrastare la collaborazione italo-francese per Tricastin, gli Stati Uniti of-
frirono all’Enel l’uranio arricchito per le decine di centrali nucleari previste dal Pia-
no energetico nazionale e che dovevano essere costruite sul nostro territorio.
Il governo italiano tergiversò, notando che si trattava di una semplice offerta
commerciale e non di carattere finanziario e industriale. Gli Stati Uniti rilanciarono,
offrendoci una partecipazione finanziaria negli impianti americani. Ma neanche
questo fu sufficiente. Nonostante la ferma opposizione americana (e di questi
eventi dovrebbe esistere testimonianza alle direzioni generali degli Affari economi-
ci e degli Affari politici del ministero degli Esteri), l’Italia proseguì i negoziati con la
Francia, la cui offerta era ben più rilevante.

Un patto segreto tra Roma e Parigi


Tra Roma e Parigi esisteva, inoltre, un patto segreto, che prevedeva la parteci-
pazione italiana non soltanto alle opere civili, ma anche alla costruzione delle due
parti più sensibili e segrete dell’impianto di Tricastin: i compressori e le barriere.
Anche di questo vi è certamente traccia al ministero degli Esteri.
Ricordo come fosse oggi – doveva essere il dicembre del 1974 – la telefonata
che ricevetti da Besse 2, il responsabile dell’iniziativa. «Albonetti, c’est terminé», mi
disse. Il parlamento francese, spiegò, non avrebbe dato la sua approvazione
all’Eurodif e al finanziamento per l’avvio dell’iniziativa di Tricastin, se non si fosse
impresso ad essa un’impronta europea. La partecipazione dell’Italia era, pertanto,
essenziale.
Gli risposi che aveva preceduto una mia telefonata soltanto di pochi minuti. Il
governo italiano aveva respinto la proposta americana ed era pronto ad aderire
all’iniziativa di Eurodif per Tricastin. Mi rispose: «Grazie. È fatta!».
In Italia, la partecipazione all’impianto di produzione di uranio arricchito di
Tricastin suscitò qualche perplessità, soprattutto per il timore delle reazioni del-
l’alleato americano. La Malfa e il Partito repubblicano, che godeva di rapporti spe-
ciali con Washington, si opposero. Si raggiunse un compromesso: approfondire
con gli Stati Uniti l’eventualità di una partecipazione dell’Enel agli impianti ameri-
cani. In tal senso furono date istruzioni al ministero degli Esteri. Dalla Farnesina
giunsero comunque al Cnen e all’Eni, segnali di continuare la collaborazione con
la Francia.
L’Italia entrò, quindi, nel Consiglio di amministrazione dell’Eurodif e vinse
anche la gara per la sede dell’impianto, che poteva essere ubicato a Montalto di

2. Besse, alcuni anni dopo, divenuto presidente della Renault, fu ucciso da due terroristi sulla porta di
160 casa, a Parigi.
LA BOMBA GLOBALE

Castro, a nord di Civitavecchia, e delle quattro centrali nucleari necessarie per ali-
mentarne la produzione. Le centrali, non più nucleari, sono ancora lì, tuttora in
costruzione.
In realtà, Roma comprendeva le difficoltà francesi (ed anche italiane) di ubica-
re sul territorio italiano un impianto della potenza e della grandezza di Tricastin,
oltre a quattro centrali nucleari da mille Mw.
Così l’Italia, in cambio della copertura internazionale ed europea – che aveva
permesso al progetto di superare lo scoglio del parlamento francese – chiese ed
ottenne una partecipazione finanziaria pari a circa un quarto del valore dell’im-
pianto (si trattava di qualche migliaia di miliardi) e, soprattutto, una partecipazione
di valore analogo alla fornitura delle parti sensibili (compressori o barriere).
Seguirono momenti di forte tensione con i cugini d’Oltralpe. Da un lato, i fran-
cesi si dicevano convinti dell’incompetenza italiana in un settore tanto delicato e,
dall’altro, gli alleati e le altre potenze nucleari non vedevano di buon occhio un
nuovo produttore di componenti nucleari, segrete e sensibili.
L’Italia smentì i detrattori e, con l’assistenza tecnica della Francia, la società
Nuovo Pignone del gruppo Eni riuscì nell’impresa. Decine di compressori italiani, i
componenti ciclopici nei quali l’uranio è trasformato in uranio arricchito, furono
costruiti con piena soddisfazione della Francia. La Nuovo Pignone, qualche tempo
dopo, è stata acquistata – guarda il caso! – dall’americana General Electric.
A livello internazionale, in molti dubitavano della riuscita tecnologica e politi-
ca di Tricastin ed erano convinti che la produzione di uranio arricchito la sapesse-
ro e potessero fare soltanto gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Anche Washington,
pur tentando di dissuaderci politicamente, era certa che, scientificamente e tecno-
logicamente, avremmo fallito. L’impianto di Tricastin, invece, è stato costruito nei
tempi previsti, funziona bene e alimenta centinaia di centrali nucleari, in Francia e
altrove.
Purtroppo, la decisione italiana del 1987 di rinunciare al nucleare civile ha de-
terminato il ritiro dallo straordinario e qualificante impianto di Tricastin e il manca-
to adempimento dell’accordo con la Francia per la fornitura dell’uranio arricchito
prodotto e destinato alle centrali nucleari, previste dal nostro Piano energetico na-
zionale. Ancora oggi, se non erro, gli italiani pagano una sovrattassa all’Enel per
far fronte alle penali di centinaia di miliardi che l’Enel stessa è costretta a versare e
ai costi di smantellamento delle centrali nucleari esistenti, nonché ai costi di ricon-
versione a petrolio, a gas o a carbone delle quattro centrali nucleari tuttora non en-
trate in funzione a Montalto di Castro. E sono trascorsi più di vent’anni.

L’Italia, il sottomarino atomico e il Tnp


Ancora negli anni Sessanta, l’Italia e la Francia, a riprova di quanto importan-
ti fossero le relazioni tra i nostri due paesi in campo nucleare, furono protagoni-
ste dell’unica transazione nucleare militare eseguita tra un paese militarmente nu-
cleare e uno che non lo è. Roma ottenne, infatti, da Parigi mille kg di uranio ar- 161
STORIA SEGRETA DELLA BOMBA ITALIANA ED EUROPEA

ricchito per la costruzione dell’impianto a terra, destinato ad una nave nucleare


italiana.
Il programma italiano conobbe alterne vicende. Il progetto di sottomarino nu-
cleare, previsto inizialmente dal programma e annunciato dal governo solenne-
mente, venne a galla e diventò fregata nucleare, poi nave appoggio nucleare e, in-
fine, non se ne fece nulla.
Ancora negli anni Settanta, quando era ormai chiaro il fallimento del progetto
(anche a seguito dell’ostilità degli Stati Uniti), la Francia ci offrì la sua collaborazio-
ne per costruire in comune una flottiglia di sottomarini nucleari d’attacco.
La prova della volontà italiana di procedere alla costruzione di un sottomarino
nucleare è nell’azione condotta in sede di negoziato del Tnp, affinché la propul-
sione nucleare fosse esente – come lo è – dagli obblighi del trattato.

L’Italia, la clausola europea e il Tnp


Le vicende relative alla firma e alla ratifica del Trattato di non-proliferazione
costituiscono un’altra pagina della storia nucleare italiana, degna di conoscenza e
riflessione.
In Italia, infatti, le riserve al Tnp sono state rilevanti. Il ministro degli Esteri Me-
dici, subito dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia nell’agosto 1968, prima
di firmare decise una pausa di riflessione e chiese l’opinione del parlamento.
L’onorevole Zamberletti, che parlò a nome della Dc durante il dibattito in aula,
enumerò i motivi per i quali era necessaria un’attenta valutazione prima di proce-
dere alla firma 3.
Per assicurare il perseguimento degli obiettivi di unità europea in tutti i settori,
compreso quello nucleare, il governo chiedeva, infatti, tra l’altro, un’interpretazio-
ne del trattato che garantisse la compatibilità delle clausole con l’evoluzione di
un’entità europea con diritto allo status nucleare. Il Tnp non sarebbe stato accetta-
to dall’Italia se esso avesse ostacolato il perseguimento dell’unità europea, obietti-
vo centrale della politica estera italiana.
Il 28 gennaio 1969, dopo sei mesi di pausa di riflessione, Nenni, a seguito di
forti pressioni – sia interne che esterne – firmò il trattato con il sostegno della stra-
grande maggioranza del parlamento italiano. L’Italia presentò, tuttavia, dodici ri-
serve condizionanti, tra cui la clausola europea, con la quale Roma dichiarava so-
lennemente di rinunciare ad una forza atomica nazionale, ma non alla partecipa-
zione ad una forza atomica europea, ove il processo di disarmo internazionale
non si fosse realizzato e si fosse giunti all’auspicata realizzazione dell’unità politi-
ca europea 4.
3. Cfr. A. ALBONETTI, op. cit. Nel volume è riportato il testo del discorso, nonché vari altri documenti
del governo, del parlamento, dei partiti eccetera.
4. La clausola europea era esplicitamente contenuta nei progetti di Trattato di non-proliferazione nu-
cleare. Più tardi gli americani cedettero alle riserve russe e la clausola scomparve dalla redazione fina-
le del trattato. Essa però, a seguito di difficili negoziati, fu oggetto di una specifica e ripetuta riserva
162 italiana, riconosciuta dagli Stati Uniti.
LA BOMBA GLOBALE

ULTIMI TEST NUCLEARI GRAN UNIONE


BRETAGNA SOVIETICA
26 Novembre 1991 24 Ottobre 1990

CINA
17 Maggio 1995
17 Agosto 1995
8 Giugno 1996
29 Luglio 1996
STATI UNITI
23 Settembre 1992 PAKISTAN
28 e 30 Maggio 1998

FRANCIA
5 Settembre 1995
1 Ottobre 1995
27 Ottobre 1995
21 Novembre 1995
27 Dicembre 1995 INDIA
27 Gennaio 1996 11 e 13 Maggio 1998

Fonte: The Economic Times on line

Si passò, poi, al problema delle ratifiche. Dopo cinque anni dalla firma man-
cavano ancora all’appello paesi del calibro dell’Italia e della Germania. Gli Stati
Uniti e l’Urss, promotori dell’iniziativa, manifestavano insofferenza.

Una campagna scandalistica


In Italia, dopo anni di silenzio da parte del governo, del parlamento, della
stampa e dei partiti, si aprì la caccia ai presunti responsabili del ritardo, che imba-
razzava il paese di fronte all’alleato americano. Ebbe inizio una campagna scanda-
listica di formidabile asprezza, che individuò nell’ambasciatore Roberto Gaja, allo-
ra segretario generale della Farnesina, nell’ambasciatore Roberto Ducci, direttore
generale degli Affari politici, e in chi scrive, non soltanto gli oppositori della politi-
ca governativa della non-proliferazione, ma anche gli artefici di un piano diretto a
fabbricare la bomba atomica italiana.
Inutile sottolineare la falsità e l’assurdità di queste accuse! Gaja, Ducci e chi
scrive, hanno sempre osservato le direttive del governo e del parlamento italiani.
Tutto cominciò da un breve corsivo anonimo sul Manifesto, per trasferirsi poi
sull’Unità, sull’Avanti!, sulla Voce Repubblicana, e via via sulla Stampa, sul Corrie-
re della Sera, su Paese Sera, e su tutti i quotidiani e periodici italiani. La campagna
scandalistica proseguì per oltre sei mesi con interpellanze parlamentari, conferen-
ze stampa, interviste. 163
STORIA SEGRETA DELLA BOMBA ITALIANA ED EUROPEA

Il vero obiettivo era quello di limitare la presenza italiana nel settore nucleare
ed ostacolare il conseguimento di una certa indipendenza e autonomia, in anni nei
quali, dopo la bomba atomica americana, dopo quella russa, quella cinese, dopo
lo sforzo atomico francese e inglese e centinaia di esplosioni atomiche, inclusa
quella indiana del 1974, le perplessità italiane sul Trattato di non-proliferazione
nucleare nella redazione finale erano aumentate. L’Italia, ad esempio, aveva ini-
zialmente proposto un trattato a cui avrebbero dovuto aderire soltanto gli Stati non
nucleari, onde evitare le clausole leonine del Tnp 5.
I tedeschi, inoltre, condizionavano la loro ratifica a quella italiana, mentre si
avvicinava il 5 maggio 1975, data nella quale era prevista la Conferenza di revisio-
ne del trattato. E durante la Conferenza tutto poteva essere rimesso in discussione.
Il 16 e il 23 aprile 1975 (voto alla Camera e al Senato), l’Italia ratificò il Tnp,
con il consenso degli stessi comunisti e dei socialisti e con le dodici riserve condi-
zionanti, inclusa la clausola europea. Era presidente del Consiglio Aldo Moro. Da
allora in Italia poco altro è successo, ad eccezione, nel 1987, della cancellazione di
qualsiasi programma nucleare, compreso, come accennato, l’arresto e lo smantel-
lamento delle centrali in costruzione.

L’Italia e il deterrente europeo


L’Italia non ha mai ambito allo sviluppo di un deterrente atomico nazionale
ed ha, per giunta, ritenuto che anche i deterrenti atomici della Francia e della
Gran Bretagna siano scarsamente credibili. Inoltre, pur volendo, per assurdo, ipo-
tizzare una volontà politica italiana e una maggioranza parlamentare in grado di
sostenere il progetto di un’Italia militarmente nucleare, si sarebbe dovuto affronta-
re un conflitto durissimo, probabilmente perso in partenza, con gli altri paesi nu-
cleari e, in particolare, con gli Stati Uniti e l’Urss, principali fautori della politica
della non-proliferazione.
È sufficiente ricordare che la Francia e la Gran Bretagna, gli unici due paesi
europei usciti vincitori dalle due guerre mondiali, con vaste correnti pacifiste, con
legami molto forti con gli Stati Uniti – soprattutto l’Inghilterra – hanno incontrato
enormi difficoltà nella loro politica nucleare militare.
Il deterrente nucleare francese, avviato già prima dell’avvento al potere nel
1958 del generale de Gaulle, ha sempre dovuto superare forti ostacoli di carattere
nazionale e internazionale 6. Per non parlare, poi, delle questioni di carattere logi-
stico. Dove fare gli esperimenti? Parigi e Londra hanno, infatti, utilizzato i territori
d’oltremare o l’ospitalità di paesi da loro dipendenti o a loro strettamente legati,

5. Prezioso per la comprensione del dibattito parlamentare del luglio 1968 è il volume curato dal
ministro Emilio Bettini dal titolo Il Trattato contro la proliferazione nucleare, Bologna 1968, il
Mulino.
6. Cfr. B. GOLDSCHMIDT, L’aventure atomique, Paris 1962, Fayard; e Les rivalités atomiques, Paris 1967,
164 Fayard.
LA BOMBA GLOBALE

che certamente non si sarebbero dimostrati disponibili con l’Italia. Le esplosioni


atomiche francesi sono state compiute in Algeria e a Mururoa; quelle britanniche
in Australia e negli Stati Uniti.
L’opportunità di dotare l’Italia di un armamento nucleare nazionale è dunque
stata saggiamente respinta dal governo italiano, che ha tuttavia preteso che il Tnp
prevedesse la clausola europea, tornata attuale con i Trattati di Maastricht e di
Amsterdam, che sanciscono l’obiettivo di una politica estera e di sicurezza comu-
ne, e con le recenti esplosioni atomiche dell’India e del Pakistan, che pongono
nuovamente in evidenza il problema nucleare. Come accennato, infatti, l’atteggia-
mento italiano nei riguardi della difesa nucleare nazionale, da un lato, e della di-
fesa nucleare europea, dall’altro, è sempre stato differente.
Non a caso, ad esempio, in seguito alle polemiche suscitate nel 1993 dalla
proposta del presidente della Repubblica francese Mitterrand per una dissuasion
européenne concertée e alla successiva costituzione di un gruppo di lavoro fran-
co-tedesco, il ministro della Difesa italiano in un articolo per la rivista Affari Este-
ri, auspicando il successo dell’iniziativa francese, sottolineava che l’Italia, avendo
firmato il Tnp con la clausola europea, non intendeva rimanere esclusa da pro-
getti nucleari che riguardassero l’Unione europea 7. Ovviamente, la cancellazione
di ogni programma nucleare italiano e, in particolare, l’arresto delle centrali nu-
cleari in funzione e dei programmi di costruzione di numerose altre centrali ren-
derà più difficile la nostra partecipazione.
È infatti diffusa la convinzione che i deterrenti francese e inglese potevano e
possono avere una funzione soprattutto se messi al servizio dell’integrazione po-
litica europea. Da fattore dirompente potrebbero divenire fattore di unione.
Per questo motivo, il parlamento e il governo italiani, pur con le difficoltà le-
gate alla politica dei governi di centro-sinistra e alle riserve degli Stati Uniti e
dell’Urss, hanno sempre operato per tenere aperta la cosiddetta scelta nucleare eu-
ropea, tramite la clausola europea e la cosiddetta politica di opzione nucleare.

I vari tipi di potenze atomiche militari


Esistono le potenze atomiche, cioè gli Stati militarmente nucleari. Vi sono tut-
tavia anche gli Stati non militarmente nucleari, ma con l’opzione nucleare, gli Stati,
cioè, con politiche nazionali che consentono, ove necessario, di passare da uno
status non militarmente nucleare ad uno militarmente nucleare, nazionale, euro-
peo o collettivo.
Durante il dibattito in parlamento per la firma del Tnp, nel 1968, Medici, allora
ministro degli Esteri, pur sostenendo l’opportunità di firmare il trattato, sottolineò
la necessità di moltiplicare gli sforzi nel settore nucleare civile e di aumentare no-

7. Cfr. S. ANDÒ, «La sicurezza e la costruzione europea», Affari Esteri, n. 98/1993; A. ALBONETTI, «Una
scossa per l’Europa», Il Messaggero, 29/5/1998; A. RIZZO, «Se l’Europa infrange il tabù atomico», La
Stampa, 1/6/1998. 165
STORIA SEGRETA DELLA BOMBA ITALIANA ED EUROPEA

tevolmente le risorse finanziarie e scientifiche del Cnen, affinché l’Italia raggiun-


gesse la cosiddetta «opzione zero», il possesso cioè delle conoscenze scientifiche e
tecnologiche per poter dimostrare che, in un tempo relativamente breve, il nostro
paese era in grado di dare un contributo ad un deterrente europeo.
Il Giappone e la Germania, per esempio, pur non essendo potenze militar-
mente nucleari, hanno l’opzione zero. Sono in grado grazie anche alla disponibi-
lità di numerose centrali nucleari di coprire tutte le fasi del ciclo nucleare civile e
militare, ad esclusione dell’ordigno atomico.
Anche l’Italia disponeva negli anni Settanta di tutta la tecnologia nucleare.
Possedeva la tecnologia del riprocessamento (grazie a due impianti nazionali e alla
partecipazione all’Eurochemic); la tecnologia per la produzione di uranio arricchi-
to (grazie alla partecipazione alla società Eurodif e alla costruzione dell’impianto di
Tricastin); la tecnologia del plutonio (con la partecipazione con i francesi e i tede-
schi alla costruzione di due potenti reattori veloci).
Eravamo l’unico paese al mondo ad avere sul territorio nazionale tre centrali
nucleari di tipo diverso: una di tipo inglese a Latina; una con tecnologia della Ge-
neral Electric sul Garigliano; una con la tecnologia ad acqua pressurizzata della
Westinghouse a Trino Vercellese. Le centrali erano di iniziativa e di proprietà ri-
spettivamente dell’Eni, dell’Iri-Finelettrica e dell’Edison, tre grandi gruppi che ave-
vano deciso di puntare per l’avvenire e per la produzione di elettricità sull’energia
nucleare e non unicamente su risorse limitate come il petrolio e il carbone.
Le tre centrali rappresentavano dei formidabili laboratori tecnologici, scientifi-
ci e di formazione. In pochi anni avremmo potuto acquisire una padronanza totale
su tutto il ciclo nucleare, padronanza necessaria per la realizzazione dei Piani
energetici nazionali, che prevedevano – come accennato – la costruzione di dozzi-
ne di centrali nucleari per la produzione di energia elettrica.

La politica nucleare dell’Italia


Il Cnen, l’ente nucleare italiano, aveva accordi, oltre che con l’Euratom, l’Euro-
dif e l’Eurochemic, con gli enti nucleari degli Stati Uniti, dell’Urss, della Cina, della
Francia, della Gran Bretagna, del Giappone, dell’Argentina, del Brasile, del Sudafri-
ca, di Israele, dell’Iraq, dell’Iran, del Pakistan, dell’India eccetera.
Come accennato, l’Italia aveva anche un’opzione in uno dei settori più delica-
ti, quello della produzione di uranio arricchito, tramite la partecipazione alla co-
struzione dell’impianto di Tricastin.
L’uranio arricchito si può ottenere attraverso due differenti procedimenti di se-
parazione isotopica: il sistema della diffusione gassosa che utilizza compressori e
barriere (componenti speciali coperti ambedue da segreto) e il sistema della centri-
fugazione. L’Italia, tramite l’adesione ad Eurodif, si avvaleva del primo.
Gli inglesi, incoraggiati dagli Stati Uniti, cercarono di dissuaderci dal parteci-
pare all’impianto di Tricastin, che utilizza il sistema della separazione isotopica o
166 diffusione gassosa, proponendoci di partecipare a un progetto con la tecnologia
LA BOMBA GLOBALE

della centrifugazione. Fu istituito un comitato di studio, dal quale l’Italia fu però


presto esclusa.
Queste numerose ed importanti iniziative nel settore nucleare ebbero fine nel
1987 con la decisione italiana di ritirarsi totalmente anche dal nucleare civile. L’am-
bizioso programma di costruzione di dozzine di centrali nucleari per la produzio-
ne di energia elettrica – come accennato – è stato annullato negli anni Ottanta e
sono state addirittura fermate le centrali nucleari in funzione e quelle in costruzio-
ne. Il costo di questa decisione è enorme e indebolisce la nostra partecipazione ad
eventuali negoziati politici e atomici europei.
Meno noto è forse l’esito dell’iniziativa inglese nel settore della produzione di
uranio arricchito. Nonostante le limitazioni imposte alla Germania in tema di pro-
duzione di armi di distruzione massiccia (armi ABC: atomiche, biologiche, chimi-
che) – motivo per il quale, per esempio, non le è mai stata offerta una partecipa-
zione alla società Eurodif e all’impianto di Tricastin – la Gran Bretagna ha permes-
so che i tedeschi accedessero, attraverso il sistema della centrifuga, alla produzio-
ne di uranio arricchito. Base delle operazioni è l’impianto costruito e attualmente
in funzione presso la cittadina olandese di Almelo, non lontana dal confine con la
Germania. La Germania dispone pertanto dell’opzione zero, di una capacità nu-
cleare cioè di carattere industriale, finanziario e scientifico.

Le bombe atomiche dell’India e del Pakistan


e la politica di unità europea
Le recenti esplosioni atomiche dell’India e del Pakistan hanno notevoli conse-
guenze sulla politica internazionale e richiedono, come accennato, un’approfondi-
ta riflessione sulla politica estera e di sicurezza europea e non soltanto sulla politi-
ca asiatica. Innanzitutto, tuttavia, vorrei fare alcune premesse.
La politica estera italiana, negli scorsi cinquant’anni, si è fondata su tre diretti-
ve principali, sulle quali oggi, dopo lunghe e travagliate vicissitudini politiche, vi è
un’ampia maggioranza in parlamento: l’alleanza con gli Stati Uniti, nell’ambito del-
la Nato; l’unità europea; il libero mercato 8.
Le politiche di alleanza con gli Stati Uniti nella Nato e quella del libero mer-
cato – seppur richiedano continui aggiornamenti – hanno avuto successo ed han-
no costituito le basi per il nostro straordinario sviluppo democratico, civile ed
economico.

8. Cfr. R. GAJA, L’Italia nel mondo bipolare, Bologna 1995, il Mulino; A. ALBONETTI, «La politica estera
della Repubblica italiana. Ieri, oggi, domani», Affari Esteri, n. 107/1995; R. GAJA, Introduzione alla po-
litica estera dell’era nucleare, Milano 1998, Franco Angeli; L.V. FERRARIS, Manuale della politica estera
italiana, Roma-Bari 1996, Laterza; M. MONDELLO, «Roberto Gaja e la politica estera italiana» Affari Este-
ri, n. 109/1996; C. GUAZZARONI, «Roberto Gaja e la politica estera italiana», Affari Esteri, n. 115/1997; S.
ROMANO, Guida alla politica estera italiana, Milano 1993, Rizzoli; ID., Cinquant’anni di storia mon-
diale, Milano 1995, Longanesi; ID., Le Italie parallele, Milano 1996, Longanesi; cfr. anche L. INCISA DI
CAMERANA, La vittoria dell’Italia nella terza guerra mondiale, Roma-Bari 1996, Laterza; A. ALBONETTI,
«L’Italia è finita? E l’Europa? Gli Stati Uniti», Affari Esteri, n. 118/1998. 167
STORIA SEGRETA DELLA BOMBA ITALIANA ED EUROPEA

L’unità europea, l’obiettivo più originale e valido della nostra politica estera –
e anche dei principali paesi europei, compresi la Gran Bretagna, la Francia e la
Germania – è ancora lungi dall’essere realizzato. I padri dell’Europa (Schuman,
Adenauer, De Gasperi, Monnet) avevano lo scopo centrale di unire politicamente
e militarmente – e non soltanto economicamente – il nostro continente. E questo
essenzialmente per due motivi.
Innanzitutto, dopo le due devastanti guerre mondiali, per evitare nuovi con-
flitti intraeuropei. E questo obiettivo è evidente – dopo il fallimento del Consiglio
d’Europa alla fine degli anni Quaranta – nella creazione della Comunità europea
del carbone e dell’acciaio nel 1950-’51. Alsazia e Lorena, carbone e acciaio, infatti,
sono i territori e le risorse naturali all’origine delle due sanguinose e distruttrici
guerre mondiali.
I Trattati di Roma, pochi anni dopo – a seguito della crisi di Suez e malgrado il
fallimento della Comunità europea di difesa e della Comunità politica europea –
evidenziano la necessità di riprendere il cammino dell’integrazione europea.
Questa volta, seppur timidamente con l’Euratom e dopo oltre dieci anni da Hi-
roshima e Nagasaki, i trattati firmati nel marzo 1957 tengono presente che siamo in
una nuova e rivoluzionaria epoca, quella nucleare.
Ho menzionato la crisi di Suez, perché l’intervento della Francia e della Gran
Bretagna per opporsi alla nazionalizzazione del Canale di Suez può essere consi-
derato l’ultimo atto di indipendenza dell’Europa. Si dimentica sovente che all’inter-
vento anglo-franco-israeliano si opposero le due potenze nucleari e spaziali: gli
Stati Uniti e l’Urss, quest’ultima minacciando addirittura di incenerire con i suoi
missili atomici Parigi e Londra.
La Gran Bretagna, a seguito del doloroso esito dell’intervento militare a Suez,
si rifugiò nella special relationship con Washington. La Francia, invece, riprese la
via dell’integrazione europea e accettò di firmare nel marzo 1957 i Trattati di Ro-
ma. Parigi si rese conto che nel mondo nucleare e spaziale non vi è molto spazio
per la politica estera dei paesi europei, se divisi. Riconobbe che la politica di unità
europea è indispensabile sia per evitare nuove devastanti guerre intestine, sia an-
che per poter garantire la propria sicurezza e identità e per partecipare all’equili-
brio internazionale e alla pace.

L’importanza della politica estera


e di sicurezza dell’Unione europea
Da allora, importanti passi avanti per la costruzione dell’Europa sono stati
compiuti. È sufficiente ricordare il Mercato comune, il parlamento europeo, l’Atto
unico e, recentemente, i Trattati di Maastricht e di Amsterdam. In particolare, dob-
biamo menzionare la moneta europea comune – l’euro – la cui introduzione è sta-
ta decisa da poco. Ma nulla o quasi, malgrado il Trattato di Maastricht, è stato fatto
nel settore cruciale della politica estera e di sicurezza, intendendo con questo an-
168 che il settore nucleare e spaziale.
LA BOMBA GLOBALE

In quasi tutte le principali crisi, senza l’assenso e l’iniziativa degli Stati Uniti,
l’Europa è assente. Basti citare, negli scorsi anni, il processo di pace tra Israele e
l’Olp, l’invasione del Kuwait, la Bosnia, l’Albania, il Kosovo, Cipro eccetera 9. A
cinquant’anni dalla fine della guerra, la sicurezza europea è garantita tuttora dalle
forze convenzionali e nucleari degli Stati Uniti. Il contributo dei paesi europei
all’equilibrio internazionale e alla pace, anche nelle zone adiacenti all’Europa, è
tuttora scarso e certamente non proporzionato alle risorse istituzionali, culturali,
economiche finanziarie e commerciali europee.
Le esplosioni atomiche dell’India e del Pakistan impongono ai paesi europei
una seria riflessione e, molto probabilmente, una scelta: approfondire il grado di
integrazione europea o rivolgersi verso qualcun altro, per esempio gli Stati Uniti o
la Russia. Ho sempre ritenuto che l’unica politica possibile per l’Italia e per tutti gli
altri paesi europei, compresi Francia, Gran Bretagna e Germania, per garantire la
propria sicurezza, fosse una politica di integrazione europea nel campo economi-
co, politico e di difesa, in associazione agli Usa nell’ambito della Nato.

La necessità di nuove iniziative


Avviato l’euro, anche i principali esponenti politici italiani ed europei hanno
nuovamente sottolineato l’esigenza di riprendere l’iniziativa nel settore della politi-
ca estera e di sicurezza. La lotta per l’unificazione europea non può toccare soltan-
to questioni economiche oppure istituzionali, sia pure cruciali. In quest’ultimo set-
tore, per di più, i paesi sono particolarmente riluttanti.
Se vogliamo mantenere quello che fino ad ora abbiamo costruito, alla luce an-
che delle prossime sfide che dovremo affrontare (l’euro e, in particolare, l’amplia-
mento), è necessario almeno avviare un processo di costruzione di una politica
estera comune. Altrimenti, con molta probabilità, la stessa integrazione economica
avrà scarso significato politico e l’euro rischierà di indebolirsi 10.
Dobbiamo stare attenti al cosiddetto «marxismo di ritorno» cui può ispirarsi
l’euro e un mercantilismo accentuato, sottintendendo che il mondo e le relazioni
tra gli Stati, oggi, sono meramente economici. Non è così e, se ce ne fosse stato
bisogno, gli avvenimenti delle scorse settimane in India e in Pakistan ne sono
prova inconfutabile. Lo hanno capito anche i banchieri, che spesso affermano
che prima della Banca centrale europea e della moneta comune sarebbe stato ne-
cessario creare l’Europa politica.

9. Cfr. P. FASSINO, «L’Europa è ancora un nano politico», Corriere della Sera, 9/2/1998; A. PANEBIANCO,
«Giochi di guerra e giri di valzer. Iraq, ancora una volta l’Italia si divide», Corriere della Sera,
18/2/1998; E. BETTIZA, «Alleati e latitanti», La Stampa, 22/2/1998; A. RIZZO, «Affidate all’America le crisi
dell’Europa», La Stampa, 6/4/1998; A. ALBONETTI, «L’Italia è finita? E l’Europa? Gli Stati Uniti», art. cit.
10. Cfr. L. DINI, «Contro un’Europa opaca», La Stampa, 20/6/1997; S. FAGIOLO, «La Conferenza Intergo-
vernativa dopo il Consiglio europeo di Dublino», Affari Esteri, n. 113/1997; C. GUAZZARONI, «L’Unione
europea dopo Amsterdam», Affari Esteri, n. 116/1997; A. RIZZO, «La moneta europea. Storia e avveni-
re», Affari Esteri, n. 118/1998; A. Albonetti, «L’Italia è finita? E l’Europa? Gli Stati Uniti», art. cit. 169
STORIA SEGRETA DELLA BOMBA ITALIANA ED EUROPEA

Il quesito cruciale ci sembra essere il seguente: l’Europa vuol continuare ad


avere le caratteristiche di una colonia, incapace di garantire la propria sicurezza e
di difendere la pace e l’equilibrio anche ai suoi confini, come in Bosnia o nel Ko-
sovo, oppure decide di aprire un serio dibattito sulla politica estera comune, av-
viandone la realizzazione? Le esplosioni atomiche dell’India e del Pakistan impri-
mono maggiore forza a queste considerazioni ed esigono una risposta.
Già all’interno della Nato c’è una discrepanza tra l’enorme dispositivo atomico
e spaziale americano e quello della Francia e della Gran Bretagna. Ma ancor più
anomalo è, all’interno dell’Unione europea, lo status nucleare e spaziale, seppur li-
mitato, di due paesi. Questa situazione dovrà essere affrontata con coraggio, nel
caso del necessario approfondimento politico dell’Unione. Tanto più che il deter-
rente dei due paesi ha risorse e quindi caratteristiche poco credibili. È difficile pre-
vedere una efficace deterrenza nucleare per Stati in cui le risorse umane ed indu-
striali sono così concentrate territorialmente ed insufficienti economicamente.
La situazione muterebbe se si trattasse di un’arma di dissuasione al servizio
dell’Europa, di un deterrente comune. Ove, purtroppo, gli impegni di disarmo nu-
cleare, spaziale e convenzionale – generale e controllato – dovessero fallire, l’uni-
ca soluzione possibile per l’Italia e per l’Europa sarebbe la costruzione di una forza
atomica e spaziale europea 11.
Si potrebbe procedere, innanzitutto, all’integrazione dei deterrenti nucleari
della Francia e della Gran Bretagna. Lo strumento prescelto per un deterrente eu-
ropeo potrebbe essere una flottiglia di sottomarini nucleari, dotati di missili atomici
e finanziati anche dalla Germania, dall’Italia, dalla Spagna e dal Benelux, e con
equipaggi europei.
Gli Stati Uniti, agli inizi degli anni Sessanta, proposero ai paesi non nucleari
della Nato, un obiettivo simile: la Multilateral nuclear force (Mlnf) 12. Di fronte
all’opposizione dell’Urss, la proposta fu ritirata e iniziarono, invece, i progetti di
Trattato di non-proliferazione nucleare (Tnp), che portarono a negoziati tormentati
e a una redazione finale leonina.

Un deterrente europeo
Un deterrente europeo, legittimo anche da un punto di vista giuridico – grazie
alla clausola europea del Tnp – potrebbe vincere le obiezioni che più frequente-
mente sono mosse all’atomica.
L’obiezione del costo, spesso sollevata in Italia, capitolerebbe davanti alle cifre:
l’Europa unita ha un reddito nazionale totale e pro capite analogo a quello degli
Stati Uniti e decine di volte maggiore di quelli russo, cinese, indiano e pakistano.
11. Cfr. A. ALBONETTI, L’Italia e l’atomica, Faenza 1976, Fratelli Lega editori; A. DE FALCO, «La coopera-
zione militare europea», Affari Esteri, n. 116/1997; A. CAGIATI, «Il Trattato di Maastricht e la politica
estera e di difesa», Affari Esteri, n. 109/1996; S. ANDÒ, «La sicurezza e la costruzione europea, Affari
Esteri, n. 98/1993; G. CUCCHI, «C’era una volta il Trattato di non proliferazione nucleare», Affari Esteri,
n. 103/1994; A. ALBONETTI, L’Europa e la questione nucleare, 1964, Cappelli.
170 12. Cfr. A. ALBONETTI, ibidem.
LA BOMBA GLOBALE

La questione connessa ai pericoli della proliferazione nucleare e spaziale risul-


terebbe quanto meno anomala. L’Unione europea, principale potenza economica
mondiale, sarebbe nello stesso tempo l’unica tra le grandi potenze a non avere lo
status nucleare e spaziale.
Sull’obiezione di ordine morale, la più diffusa, non c’è ovviamente nulla da di-
re: è una questione etica e come tale attiene alla sfera personale.
Gli interrogativi, i problemi, le incognite che abbiamo sintetizzato, ci sono ve-
nuti alla mente dopo le esplosioni atomiche dell’India e del Pakistan. Essi diventa-
no ancora più evidenti e richiedono di essere affrontati con urgenza, nella consa-
pevolezza che purtroppo il mondo non sembra avviarsi verso la distruzione delle
armi nucleari e spaziali, ma rischia di rimanere, per il futuro prevedibile, un mon-
do nucleare e spaziale, caratterizzato dall’egemonia delle potenze che hanno ana-
loghe caratteristiche.
In tale mondo, il contributo dei paesi europei all’equilibrio internazionale e al-
la pace sarà limitato e non proporzionato alle loro risorse istituzionali politiche ed
economiche. Soprattutto, sarà difficile per l’Europa garantire la propria identità e
sicurezza.

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