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STORIA SEGRETA
DELLA BOMBA
ITALIANA ED EUROPEA di Achille ALBONETTI
Alcuni accordi segreti con la Francia avrebbero potuto
consentire all’Italia di possedere le tecnologie necessarie
per un deterrente nazionale. Vi abbiamo rinunciato, ma
resta l’opzione del deterrente europeo, più attuale che mai.
1. Cfr. A. ALBONETTI, L’Italia e l’atomica, Faenza 1976, Fratelli Lega. M. VAISSE, La France e l’Atome,
Bruxelles 1995, Emile Bruylant. 157
STORIA SEGRETA DELLA BOMBA ITALIANA ED EUROPEA
tutti i centri comuni di ricerca nucleare e di tutti i combustibili nucleari a fini civili
e di difesa.
Nella realtà, i centri nazionali dei sei paesi membri continuarono ad esistere e
a svilupparsi. L’Italia – soprattutto per motivi di lotte intestine – cedette all’Euratom
l’unico suo centro nucleare esistente agli inizi degli anni Cinquanta, quello di Ispra
sul Lago Maggiore. Contemporaneamente, però, ne sviluppò una mezza dozzina
nei pressi di Roma e altrove.
Bonn condizionò l’adesione al trattato istituente la Comunità europea per
l’energia atomica alla firma della Comunità economica europea e al conseguente
avvio di un’integrazione che investiva più ampi settori dei paesi europei. La Ger-
mania, infatti, non voleva agevolare e in qualche misura finanziare, attraverso l’Eu-
ratom, la produzione dell’arma atomica da parte di Parigi, senza ottenere un’aper-
tura economica e politica più vasta.
D’altra parte in Francia i gollisti, pur non ancora tornati al potere, nel 1955-’56
avevano molta influenza ed erano fortemente contrari, fin dal dopoguerra, a qual-
siasi politica di integrazione europea, tanto più nel settore nucleare.
Date queste premesse, i tre ministri della Difesa, il francese Chaban-Delmas, il
più europeista tra i gollisti, il nostro Taviani e il tedesco Strauss, constatato che
l’Euratom ricopriva un significato politico e militare relativamente modesto e con
scarse possibilità di successo, concordarono sulla necessità di avviare una collabo-
razione nel settore nucleare militare, con l’obiettivo di sviluppare le componenti di
un deterrente europeo.
CINA
IN ATMOSFERA: 21.9
SOTTO TERRA: 1.5
STATI UNITI TOTALE: 23.4
IN ATMOSFERA: 141 FRANCIA N° DI TEST 44
SOTTO TERRA: 38 IN ATMOSFERA: 10
TOTALE: 179 SOTTO TERRA: 4
N° DI TEST 1.032 TOTALE: 14
N° DI TEST 210 TOTALE
IN ATMOSFERA: 427.9
SOTTO TERRA: 82.4
TOTALE: 510.3
N° DI TEST 2046
Nota: Le cinque potenze nucleari, tutte insieme, hanno fatto esplodere
il corrispettivo di 40.000 bombe simili a quelle di Hiroshima.
Fonte: Natural Resources Defence Council, The Bulletin of the Atomic Scientists
l’Occidente, risalenti agli anni Quaranta, credo non si possano tuttora visitare e
hanno una fascia di protezione di qualche decina di kilometri), avevano vinto la
battaglia di Pierrelatte senza troppi sforzi. In quel caso, l’Italia si era tirata indietro.
Ma questa volta era diverso.
Per contrastare la collaborazione italo-francese per Tricastin, gli Stati Uniti of-
frirono all’Enel l’uranio arricchito per le decine di centrali nucleari previste dal Pia-
no energetico nazionale e che dovevano essere costruite sul nostro territorio.
Il governo italiano tergiversò, notando che si trattava di una semplice offerta
commerciale e non di carattere finanziario e industriale. Gli Stati Uniti rilanciarono,
offrendoci una partecipazione finanziaria negli impianti americani. Ma neanche
questo fu sufficiente. Nonostante la ferma opposizione americana (e di questi
eventi dovrebbe esistere testimonianza alle direzioni generali degli Affari economi-
ci e degli Affari politici del ministero degli Esteri), l’Italia proseguì i negoziati con la
Francia, la cui offerta era ben più rilevante.
2. Besse, alcuni anni dopo, divenuto presidente della Renault, fu ucciso da due terroristi sulla porta di
160 casa, a Parigi.
LA BOMBA GLOBALE
Castro, a nord di Civitavecchia, e delle quattro centrali nucleari necessarie per ali-
mentarne la produzione. Le centrali, non più nucleari, sono ancora lì, tuttora in
costruzione.
In realtà, Roma comprendeva le difficoltà francesi (ed anche italiane) di ubica-
re sul territorio italiano un impianto della potenza e della grandezza di Tricastin,
oltre a quattro centrali nucleari da mille Mw.
Così l’Italia, in cambio della copertura internazionale ed europea – che aveva
permesso al progetto di superare lo scoglio del parlamento francese – chiese ed
ottenne una partecipazione finanziaria pari a circa un quarto del valore dell’im-
pianto (si trattava di qualche migliaia di miliardi) e, soprattutto, una partecipazione
di valore analogo alla fornitura delle parti sensibili (compressori o barriere).
Seguirono momenti di forte tensione con i cugini d’Oltralpe. Da un lato, i fran-
cesi si dicevano convinti dell’incompetenza italiana in un settore tanto delicato e,
dall’altro, gli alleati e le altre potenze nucleari non vedevano di buon occhio un
nuovo produttore di componenti nucleari, segrete e sensibili.
L’Italia smentì i detrattori e, con l’assistenza tecnica della Francia, la società
Nuovo Pignone del gruppo Eni riuscì nell’impresa. Decine di compressori italiani, i
componenti ciclopici nei quali l’uranio è trasformato in uranio arricchito, furono
costruiti con piena soddisfazione della Francia. La Nuovo Pignone, qualche tempo
dopo, è stata acquistata – guarda il caso! – dall’americana General Electric.
A livello internazionale, in molti dubitavano della riuscita tecnologica e politi-
ca di Tricastin ed erano convinti che la produzione di uranio arricchito la sapesse-
ro e potessero fare soltanto gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Anche Washington,
pur tentando di dissuaderci politicamente, era certa che, scientificamente e tecno-
logicamente, avremmo fallito. L’impianto di Tricastin, invece, è stato costruito nei
tempi previsti, funziona bene e alimenta centinaia di centrali nucleari, in Francia e
altrove.
Purtroppo, la decisione italiana del 1987 di rinunciare al nucleare civile ha de-
terminato il ritiro dallo straordinario e qualificante impianto di Tricastin e il manca-
to adempimento dell’accordo con la Francia per la fornitura dell’uranio arricchito
prodotto e destinato alle centrali nucleari, previste dal nostro Piano energetico na-
zionale. Ancora oggi, se non erro, gli italiani pagano una sovrattassa all’Enel per
far fronte alle penali di centinaia di miliardi che l’Enel stessa è costretta a versare e
ai costi di smantellamento delle centrali nucleari esistenti, nonché ai costi di ricon-
versione a petrolio, a gas o a carbone delle quattro centrali nucleari tuttora non en-
trate in funzione a Montalto di Castro. E sono trascorsi più di vent’anni.
CINA
17 Maggio 1995
17 Agosto 1995
8 Giugno 1996
29 Luglio 1996
STATI UNITI
23 Settembre 1992 PAKISTAN
28 e 30 Maggio 1998
FRANCIA
5 Settembre 1995
1 Ottobre 1995
27 Ottobre 1995
21 Novembre 1995
27 Dicembre 1995 INDIA
27 Gennaio 1996 11 e 13 Maggio 1998
Si passò, poi, al problema delle ratifiche. Dopo cinque anni dalla firma man-
cavano ancora all’appello paesi del calibro dell’Italia e della Germania. Gli Stati
Uniti e l’Urss, promotori dell’iniziativa, manifestavano insofferenza.
Il vero obiettivo era quello di limitare la presenza italiana nel settore nucleare
ed ostacolare il conseguimento di una certa indipendenza e autonomia, in anni nei
quali, dopo la bomba atomica americana, dopo quella russa, quella cinese, dopo
lo sforzo atomico francese e inglese e centinaia di esplosioni atomiche, inclusa
quella indiana del 1974, le perplessità italiane sul Trattato di non-proliferazione
nucleare nella redazione finale erano aumentate. L’Italia, ad esempio, aveva ini-
zialmente proposto un trattato a cui avrebbero dovuto aderire soltanto gli Stati non
nucleari, onde evitare le clausole leonine del Tnp 5.
I tedeschi, inoltre, condizionavano la loro ratifica a quella italiana, mentre si
avvicinava il 5 maggio 1975, data nella quale era prevista la Conferenza di revisio-
ne del trattato. E durante la Conferenza tutto poteva essere rimesso in discussione.
Il 16 e il 23 aprile 1975 (voto alla Camera e al Senato), l’Italia ratificò il Tnp,
con il consenso degli stessi comunisti e dei socialisti e con le dodici riserve condi-
zionanti, inclusa la clausola europea. Era presidente del Consiglio Aldo Moro. Da
allora in Italia poco altro è successo, ad eccezione, nel 1987, della cancellazione di
qualsiasi programma nucleare, compreso, come accennato, l’arresto e lo smantel-
lamento delle centrali in costruzione.
5. Prezioso per la comprensione del dibattito parlamentare del luglio 1968 è il volume curato dal
ministro Emilio Bettini dal titolo Il Trattato contro la proliferazione nucleare, Bologna 1968, il
Mulino.
6. Cfr. B. GOLDSCHMIDT, L’aventure atomique, Paris 1962, Fayard; e Les rivalités atomiques, Paris 1967,
164 Fayard.
LA BOMBA GLOBALE
7. Cfr. S. ANDÒ, «La sicurezza e la costruzione europea», Affari Esteri, n. 98/1993; A. ALBONETTI, «Una
scossa per l’Europa», Il Messaggero, 29/5/1998; A. RIZZO, «Se l’Europa infrange il tabù atomico», La
Stampa, 1/6/1998. 165
STORIA SEGRETA DELLA BOMBA ITALIANA ED EUROPEA
8. Cfr. R. GAJA, L’Italia nel mondo bipolare, Bologna 1995, il Mulino; A. ALBONETTI, «La politica estera
della Repubblica italiana. Ieri, oggi, domani», Affari Esteri, n. 107/1995; R. GAJA, Introduzione alla po-
litica estera dell’era nucleare, Milano 1998, Franco Angeli; L.V. FERRARIS, Manuale della politica estera
italiana, Roma-Bari 1996, Laterza; M. MONDELLO, «Roberto Gaja e la politica estera italiana» Affari Este-
ri, n. 109/1996; C. GUAZZARONI, «Roberto Gaja e la politica estera italiana», Affari Esteri, n. 115/1997; S.
ROMANO, Guida alla politica estera italiana, Milano 1993, Rizzoli; ID., Cinquant’anni di storia mon-
diale, Milano 1995, Longanesi; ID., Le Italie parallele, Milano 1996, Longanesi; cfr. anche L. INCISA DI
CAMERANA, La vittoria dell’Italia nella terza guerra mondiale, Roma-Bari 1996, Laterza; A. ALBONETTI,
«L’Italia è finita? E l’Europa? Gli Stati Uniti», Affari Esteri, n. 118/1998. 167
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L’unità europea, l’obiettivo più originale e valido della nostra politica estera –
e anche dei principali paesi europei, compresi la Gran Bretagna, la Francia e la
Germania – è ancora lungi dall’essere realizzato. I padri dell’Europa (Schuman,
Adenauer, De Gasperi, Monnet) avevano lo scopo centrale di unire politicamente
e militarmente – e non soltanto economicamente – il nostro continente. E questo
essenzialmente per due motivi.
Innanzitutto, dopo le due devastanti guerre mondiali, per evitare nuovi con-
flitti intraeuropei. E questo obiettivo è evidente – dopo il fallimento del Consiglio
d’Europa alla fine degli anni Quaranta – nella creazione della Comunità europea
del carbone e dell’acciaio nel 1950-’51. Alsazia e Lorena, carbone e acciaio, infatti,
sono i territori e le risorse naturali all’origine delle due sanguinose e distruttrici
guerre mondiali.
I Trattati di Roma, pochi anni dopo – a seguito della crisi di Suez e malgrado il
fallimento della Comunità europea di difesa e della Comunità politica europea –
evidenziano la necessità di riprendere il cammino dell’integrazione europea.
Questa volta, seppur timidamente con l’Euratom e dopo oltre dieci anni da Hi-
roshima e Nagasaki, i trattati firmati nel marzo 1957 tengono presente che siamo in
una nuova e rivoluzionaria epoca, quella nucleare.
Ho menzionato la crisi di Suez, perché l’intervento della Francia e della Gran
Bretagna per opporsi alla nazionalizzazione del Canale di Suez può essere consi-
derato l’ultimo atto di indipendenza dell’Europa. Si dimentica sovente che all’inter-
vento anglo-franco-israeliano si opposero le due potenze nucleari e spaziali: gli
Stati Uniti e l’Urss, quest’ultima minacciando addirittura di incenerire con i suoi
missili atomici Parigi e Londra.
La Gran Bretagna, a seguito del doloroso esito dell’intervento militare a Suez,
si rifugiò nella special relationship con Washington. La Francia, invece, riprese la
via dell’integrazione europea e accettò di firmare nel marzo 1957 i Trattati di Ro-
ma. Parigi si rese conto che nel mondo nucleare e spaziale non vi è molto spazio
per la politica estera dei paesi europei, se divisi. Riconobbe che la politica di unità
europea è indispensabile sia per evitare nuove devastanti guerre intestine, sia an-
che per poter garantire la propria sicurezza e identità e per partecipare all’equili-
brio internazionale e alla pace.
In quasi tutte le principali crisi, senza l’assenso e l’iniziativa degli Stati Uniti,
l’Europa è assente. Basti citare, negli scorsi anni, il processo di pace tra Israele e
l’Olp, l’invasione del Kuwait, la Bosnia, l’Albania, il Kosovo, Cipro eccetera 9. A
cinquant’anni dalla fine della guerra, la sicurezza europea è garantita tuttora dalle
forze convenzionali e nucleari degli Stati Uniti. Il contributo dei paesi europei
all’equilibrio internazionale e alla pace, anche nelle zone adiacenti all’Europa, è
tuttora scarso e certamente non proporzionato alle risorse istituzionali, culturali,
economiche finanziarie e commerciali europee.
Le esplosioni atomiche dell’India e del Pakistan impongono ai paesi europei
una seria riflessione e, molto probabilmente, una scelta: approfondire il grado di
integrazione europea o rivolgersi verso qualcun altro, per esempio gli Stati Uniti o
la Russia. Ho sempre ritenuto che l’unica politica possibile per l’Italia e per tutti gli
altri paesi europei, compresi Francia, Gran Bretagna e Germania, per garantire la
propria sicurezza, fosse una politica di integrazione europea nel campo economi-
co, politico e di difesa, in associazione agli Usa nell’ambito della Nato.
9. Cfr. P. FASSINO, «L’Europa è ancora un nano politico», Corriere della Sera, 9/2/1998; A. PANEBIANCO,
«Giochi di guerra e giri di valzer. Iraq, ancora una volta l’Italia si divide», Corriere della Sera,
18/2/1998; E. BETTIZA, «Alleati e latitanti», La Stampa, 22/2/1998; A. RIZZO, «Affidate all’America le crisi
dell’Europa», La Stampa, 6/4/1998; A. ALBONETTI, «L’Italia è finita? E l’Europa? Gli Stati Uniti», art. cit.
10. Cfr. L. DINI, «Contro un’Europa opaca», La Stampa, 20/6/1997; S. FAGIOLO, «La Conferenza Intergo-
vernativa dopo il Consiglio europeo di Dublino», Affari Esteri, n. 113/1997; C. GUAZZARONI, «L’Unione
europea dopo Amsterdam», Affari Esteri, n. 116/1997; A. RIZZO, «La moneta europea. Storia e avveni-
re», Affari Esteri, n. 118/1998; A. Albonetti, «L’Italia è finita? E l’Europa? Gli Stati Uniti», art. cit. 169
STORIA SEGRETA DELLA BOMBA ITALIANA ED EUROPEA
Un deterrente europeo
Un deterrente europeo, legittimo anche da un punto di vista giuridico – grazie
alla clausola europea del Tnp – potrebbe vincere le obiezioni che più frequente-
mente sono mosse all’atomica.
L’obiezione del costo, spesso sollevata in Italia, capitolerebbe davanti alle cifre:
l’Europa unita ha un reddito nazionale totale e pro capite analogo a quello degli
Stati Uniti e decine di volte maggiore di quelli russo, cinese, indiano e pakistano.
11. Cfr. A. ALBONETTI, L’Italia e l’atomica, Faenza 1976, Fratelli Lega editori; A. DE FALCO, «La coopera-
zione militare europea», Affari Esteri, n. 116/1997; A. CAGIATI, «Il Trattato di Maastricht e la politica
estera e di difesa», Affari Esteri, n. 109/1996; S. ANDÒ, «La sicurezza e la costruzione europea, Affari
Esteri, n. 98/1993; G. CUCCHI, «C’era una volta il Trattato di non proliferazione nucleare», Affari Esteri,
n. 103/1994; A. ALBONETTI, L’Europa e la questione nucleare, 1964, Cappelli.
170 12. Cfr. A. ALBONETTI, ibidem.
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