You are on page 1of 84

Edgar Wallace

Furia A Chicago
On the Spot © 1931
Il Giallo Economico Classico - N° 148 - 22 febbraio 1997
Trama:
Per una volta Edgar Wallace abbandona le brume londinesi per ambientare la sua t
rama oltreoceano, a Chicago. Scontri di bande criminali, sventagliate di piombo,
macchine e belle donne. In questo cocktail esplosivo Wallace dà sfogo a tutta la
sua immaginazione senza concedere al lettore un attimo per tirare il fiato.
Personaggi principali
Antonio Perelli gangster italiano
Minn Lee compagna di Perelli
Kelly ispettore capo di polizia
Jimmie McGrath, Con O'Hara killer di Perelli
Angelo Verona braccio destro di Perelli
Mike Feeney rivale di Perelli
Shaun O'Donnell braccio destro di Feeney

Chicago, 1929
1.
Tony Perelli non era un vigliacco, né secondo il suo codice, né secondo i canoni del
la società. Era capace di lamentarsi per delle sciocchezze con la polizia, ma mai
con la gente del suo stampo. Poteva tradire un amico, ma solo se non si era comp
ortato secondo le regole; in questo caso denunciava i suoi crimini alla giustizi
a.
Red Gallway aveva commesso azioni gravissime; era stato scassinatore, uomo di fi
ducia, imprenditore e direttore di locali non certo raccomandabili. Dopo un fati
coso succedersi di tali professioni era arrivato a gestire questo commercio che
lo aveva arricchito al di là di ogni sua più rosea aspettativa, gli aveva offerto un
'esistenza confortevole, la sicurezza di tenersi lontano dalla prigione e la com
pagnia di gente abile con la pistola. Il successo lo aveva cambiato; era diventa
to più chiacchierone, irascibile e aveva anche iniziato a fare uso di stupefacenti
.
Angelo Verona, il mellifluo capo dello staff, si lamentava con lui.
«Senti Red, io ci darei un taglio con quella roba. Tony non vuole saperne di coca.»
La brutta faccia di Red venne stravolta da una smorfia.
«Ah, è così?»
Angelo annuì, con i suoi gravi occhi grigi posati su quell'uomo debole.
«La cocaina non ha mai fatto bene a nessuno » disse. «Ti fa sentire più grande di un gra
ttacielo per un attimo, ma, quando l'effetto è passato, ti senti come un buco nel
terreno. E se qualche piedipiatti ti becca e ti porta al Quartier Generale per i
nterrogarti, puoi star certo che canterai.»
«Ah, è così? » ripeté Red offeso.
«Sì, è così » annuì Angelo.
Red aveva un amico, un certo Mose Leeson, che veniva da Gary. I due condividevan
o lo stesso interesse per le bassezze e si sentivano più a loro agio nello squallo
re delle aree povere che nello splendore dei ristoranti in riva al lago.
Leeson aveva il merito di aver fatto una scoperta molto importante per Tony Pere
lli.
Mose era povero ed era anche un parassita. Per lui, Red era il migliore della ba
nda del Colpo Grosso, un uomo che possedeva un'automobile e una camicia di seta.
Riveriva il suo fortunato amico con il rispetto di un suddito verso il suo re.
Mentre bevevano un drink, Mose, che era fisicamente e spiritualmente rozzo, offrì
a Red delle informazioni e una proposta.
Red scosse la testa.
«Le ragazze cinesi non mi dicono niente, Mose » disse. «Ascolta! C'è una ragazza giù in ci
ttà che è pazza di me: è la figlia di Joe Enrico, ma io non l'ho guardata che di sfugg
ita. Sono fatto così, Mose.»
«Sicuro » rispose Mose.
Aveva guardato Minn Lee anche più di due volte. Gli capitava d'incontrarla per le
scale del palazzo dove abitava. Era una graziosissima ragazza cinese. Piccola di
statura, snella e con della manine che lo affascinavano. Era fantastica, con qu
egli occhi color nocciola e quella bocca che sembrava un bocciolo di rosa. Solo
a vederla, si aveva la sensazione che la sua pelle fosse di seta. E i capelli...
non erano di quel nero opaco tipico degli orientali, ma erano di un corvino luc
ente.
Le rivolgeva sempre un sorriso contorto. Una volta aveva cercato di parlarle e n
on aveva trovato difficoltà perché lei era una ragazza molto semplice e disponibile
a chiacchierare. Si chiamava Minn Lee. Suo marito era un artista, ed era molto m
alato. Lei creava modelli per dei cataloghi di moda.
Mose era rimasto colpito dalla serena franchezza di lei e non era riuscito a por
tare il discorso su un piano più personale. Più tardi, quando le propose di cenare c
on lui in città, lei rimase più meravigliata che offesa.
«Ma mio marito è malato » disse. «Non posso certo lasciarlo solo.»
«Allora senti, baby, farò in modo di trovare una donna che lo curi...»
Lei scosse la testa e quando lui cercò di afferrarle la mano, era già sparita.
Da quel giorno cercò di evitarlo. Mose sospettava che lei aspettasse di vederlo us
cire prima di andare al mercato. Per esserne certo, una mattina uscì di casa molto
presto e la aspettò alla fine del quartiere. Quando la vide, le si presentò davanti
.
«Hey, viso d'angelo! Cosa hai in mente, di evitarmi?»
Lei era troppo sincera per negarlo, e così cercò di allontanarsi. Lui l'afferrò.
«Aspetta un minuto!»
Stava per aggiungere qualcosa, ma si sentì battere una mano sulla spalla; si voltò e
vide i severi occhi azzurri di un uomo che aveva tutti i motivi di odiare. Il s
ergente Harrigan della Centrale era un tipo di poche parole, ma andava dritto al
punto.
«Hey, tu! Lascia in pace quella ragazza e parlami un po' della tua vita, vuoi? Più p
recisamente, delle ore che vanno dalle cinque di questa notte al momento in cui
sei andato a letto.»
Minn Lee scivolò via come una colomba spaventata e si perse tra la folla.
«Signor Harrigan, non so proprio cosa intendete dire » disse Mose con voce lamentosa
e monotona.
«Un uomo è stato assalito vicino a Grand Park, derubato di trecento dollari e lascia
to sul ciglio della strada, ferito.»
«Ma, signor Harrigan, io sono andato a letto alle dieci...»
«Sei un bugiardo. Sei stato visto vicino all'ippodromo a mezzanotte e, alle nove i
n punto, qualcuno ti ha notato vicino a Grand Park.»
Seguirono una perquisizione della squallida stanza nella quale abitava Mose e un
controllo sulla sua stessa persona. Passò la giornata tra il Quartier Generale de
lla polizia e la clinica dove era stato ricoverato l'uomo assalito e derubato. N
on ci fu un'identificazione e così Mose se ne tornò libero quella notte stessa, soll
evato ma molto arrabbiato.
Minn Lee aveva saputo della faccenda ed era rimasta impressionata. L'artista mor
ibondo, che giaceva nel letto pulitissimo, le fece un cenno e domandò con voce lam
entosa a cosa diavolo stesse pensando e perché mai gli stesse preparando la carne,
visto che era venerdì. Quando era in salute, non era mai stato religioso. Ma, dop
o che si era ammalato, aveva dato ordine di distruggere certi suoi disegni, in p
articolar modo quegli schizzi che rappresentavano le caricature delle idee che g
li abitanti di Cicago avevano del Paradiso, alcuni nudi e certe oscenità che tenev
a appese alle pareti.
Minn Lee era rimasta indifferente; quei disegni non significavano niente per lei
. Lei si rendeva conto della realtà, senza volerla peggiorare o migliorare: John W
aite era un cattivo pittore; lei non aveva mai pensato che nella sua arte ci fos
sero i semi dell'immortalità.
Era il suo uomo, questo era tutto. La vita e il destino li avevano uniti. C'eran
o motivi che bastavano a spiegare un'infatuazione, che poteva essere scambiata p
er amore, ma non c'era nessuna ragione di venerarlo. Lei non lo amava, pur rispe
ttandolo. Ora lui stava morendo; quel dottore tedesco gli aveva dato tre mesi, f
orse quattro. In quei giorni, veniva un prete, un uomo gentile che, per nulla tu
rbato da Minn Lee, le parlava con umanità.
Veniva un paio di volte alla settimana. All'ultimo piano, c'era un altro malato,
un uomo molto vecchio che un tempo era stato musicista, un certo Peter Melachin
i. Non era povero, ma si era ostinato a voler morire in quella catapecchia che e
ra stata la sua casa. La sciatta moglie dell'idraulico del primo piano aveva det
to a Minn Lee che il vecchio Peter era protetto da Colpo Grosso.
Gli uomini di Colpo Grosso venivano occasionalmente a fargli visita. Apparivano
all'improvviso nella strada, ben vestiti e con i visi scuri. La gente li spiava
dalle finestre e faceva commenti eccitati.
«Quelli sono uomini abili con la pistola! Sicuro! Pensa, ma che brutta vita, sempr
e a sparare alla gente! Quelle sono persone che guadagnano più di cento dollari al
la settimana, sissignore!»
Un giorno arrivò nella via una macchina scura dalla quale scesero tre uomini. Uno
si diresse subito alla casa, poi il capo di Colpo Grosso in persona lo seguì, scor
tato da una guardia. Andò direttamente davanti alla porta di Melachini, con un ces
to di frutta che la guardia aveva portato per le scale.
«Salve, Peter, come andiamo?»
Erano stati nella stessa banda a Cosmolino e a Tony Perelli piaceva quel vecchio
; erano nati tutti e due in Sicilia, in un piccolo paese vicino a Palermo.
Minn Lee incontrò Tony Perelli sulle scale. Non era alto, ma era molto distinto. I
l suo viso era molto sensuale e nei suoi occhi scuri brillava una luce maliziosa
. Aveva un bell'aspetto ed era molto ben vestito. Alla vita aveva una cintura co
n la fibbia di diamanti. Sorrise alla ragazza e lei lo ricambiò. Voltandosi indiet
ro, Minn Lee si accorse che lui si era girato, per continuare a guardarla.
Lo rincontrò, sempre sulle scale, e si fermarono a parlare. Lui era molto gentile
e cortese, vedeva la vita in modo divertente e la fece ridere. Non le fece sgrad
evoli complimenti e non cercò di prenderle la mano.
Il giorno seguente, arrivarono dei fiori e della frutta nella casa dell'artista
malato. Sul biglietto c'era scritto, con una calligrafia pomposa: da Tony Perell
i.
Minn Lee non ne rimase molto colpita: la gente fa spesso cose strane. In un cert
o senso, il racket dei liquori era meglio dell'arte di John Waite, ma lei non fa
ceva mai nessun confronto. Rivide per la terza volta Tony Perelli quando lui andò
a trovarla. Waite stava dormendo e lei, un po' a disagio, fece entrare il visita
tore nella minuscola sala.
«Sta dormendo? Bene. Ho visto il dottore. Dice che il vostro uomo avrebbe bisogno
di andare sulla costa. Dovrebbe andarci anche quel vecchio ostinato di Peter, ma
cadesse il cielo se lo farà. Ascoltate, signora Waite, se è una questione di soldi.
..»
Lei scosse la testa.
«No, signor Perelli... lui non può accettare dei soldi, perché sa che non potrebbe res
tituirli con onore.»
Usava molto spesso la parola onore.
John Waite morì la settimana seguente, molto quietamente, senza drammi. Minn Lee l
o seppellì, spiegò agli ufficiali che lei non si chiamava Waite, pagò i debiti più immed
iati e, dopo aver scritto alla madre di John, cominciò a cercarsi un lavoro. Non s
arebbe stato difficile trovarlo per una ragazza che aveva la laurea dell'univers
ità della Columbia e che aveva guadagnato anche ventisette dollari e cinquanta cen
tesimi in una settimana per disegnare degli esclusivi abiti da donna per delle r
iviste di moda, ma Minn Lee scelse una via ancora più semplice. C'era un ristorant
e cinese che aveva bisogno di ragazze. Scrisse una lettera di presentazione a Ch
e-foo Song, il proprietario, ma, prima di ricevere una risposta, Mose Leeson le
fece una proposta.
Il vecchio italiano era morto ed era stato portato via dopo il funerale. Quella
notte, Tony Perelli tornò in quella casa per raccogliere le proprietà del morto, sop
rattutto i gioielli di famiglia, che dovevano essere rimandati in Sicilia, ai ni
poti del vecchio Peter.
Nessuno vide entrare Perelli, che era venuto a piedi con le sue guardie del corp
o. Entrò veloce in casa e, passandole davanti, gettò un'occhiata alla porta di Minn
Lee.
Mose Leeson era volgare per natura. L'esperienza gli aveva insegnato che le donn
e andavano trattate con durezza.
«Devi fare quello che ti dico, dolcezza. Ci tratteremo bene! Te lo dico io! Sono p
azzo di te...»
Lei si oppose; dovette difendersi. Scendendo dalle scale, Perelli sentì un grido e
si avvicinò alla porta; l'aprì ed entrò.
«Che cosa vuoi fare?»
Mose sbiancò in volto. La sua brutta faccia si contorse quando vide Tony Perelli.
«Vattene! » La voce di Perelli era metallica, senza trasporto.
«Me ne vado, sì, ma non perché me lo dice un maledetto siciliano! Cercò di colpire Perel
li con un pugno ma lo mancò.»
Tony afferrò la pistola che portava alla vita, ma non ci fu bisogno di usarla. Mos
e aveva tirato fuori la sua, l'aveva impugnata per un attimo e poi si era accasc
iato sul pavimento.
Minn Lee guardò con gravità i due killer.
«Prendi il tuo cappotto e vieni via.»
Gli ordini di Perelli non potevano essere scambiati per domande. Lei ubbidì e lo s
eguì in strada, fino alla macchina che li stava aspettando. La guardia del corpo c
he era rimasta nella stanza sapeva cosa fare di Mose. Non ci sarebbero stati pro
blemi; la situazione non era affatto insolita e si sarebbe conclusa normalmente.
Un uomo ritrovò il cadavere in un prato, sepolto dalla neve; i giornali riportaro
no la notizia di "un'altra sparatoria tra bande rivali" e tutto si concluse lì.
Nel frattempo, Minn Lee si era sistemata in casa di Tony Perelli e si era abitua
ta a essere chiamata signora Perelli.

2.
Dall'ampia terrazza con l'elegante balaustra veneziana, Tony Perelli guardava da
ll'alto la città che voleva governare. Amava Chicago, ogni sua singola pietra.
Chicago era la sua casa e il suo regno. Le interminabili file di macchine che pa
ssavano sulle larghe strade sotto il suo balcone trasportavano gli uomini che st
avano alla base del suo lavoro... i suoi soggetti e i suoi collaboratori. Sotto
ognuno di quei graziosi tetti c'erano un uomo o una donna che tenevano "il megli
o" in cantina e che offrivano agli ospiti quelle belle bottiglie con il collo do
rato, lodate dai degustatori.
Perelli rientrò nel grande salone che fungeva da sala da pranzo, da salotto e da l
ocale per ricevere gli ospiti. Un intenditore avrebbe paragonato questo salone a
lla hall di un teatro. Si diceva che era volgare e appariscente; in realtà, era la
copia esatta della stanza più bella del Palazzo del Doge.
Kiki, il cameriere giapponese, gli aveva portato il caffè. Minn Lee, ubbidendo a u
na regola che Perelli aveva stabilito e che, con il passare del tempo, divenne m
eno rigida, si presentava solo nel pomeriggio. Angelo aveva affittato un apparta
mento in una zona molto elegante, e sarebbe arrivato più tardi.
Guardò l'ora: le otto in punto. Non era troppo presto per una visita. Aveva sentit
o suonare il campanello e sapeva già chi era.
Red Gallway non si era mai sentito a suo agio in quella casa; meno che mai quell
a mattina, visto che aveva un peso sul cuore e faceva fatica a contenere la rabb
ia che lo rodeva.
«Siediti, Red. Dimmi, cosa è successo a West Side? Red deglutì.»
«È quello che succede a Chicago che mi colpisce » disse con furia. «Devo sapere qualcosa
, Perelli, e se non la saprò, dovrò fare qualcosa... hai capito?»
Perelli lo guardò con curiosità. Avrebbe potuto osservare uno strano animale con lo
stesso sguardo.
«Fare qualcosa? Divertente! Mi fai ridere. Fare qualcosa? Bene, falla! Red si agitò
nervosamente sulla sedia.»
«Quell'uomo, Mose Leeson. Lui e io eravamo amici, Perelli. Qualcuno l'ha ucciso e
io vorrei sapere chi.»
Antonio Perelli sorrise.
«Sono stato io » disse, semplicemente. Seguì un imbarazzato silenzio.
«Ebbene?»
Il viso di Red era stravolto da una smorfia.
«Io e Mose eravamo come fratelli...»
«Allora dovresti portare il lutto, perché tuo fratello è morto » disse Perelli con noncu
ranza.
«Perché?»
Red riuscì a porre questa domanda con fatica, ma non ottenne risposta.
«Allora, perché? Mose era un brav'uomo. Mi era molto utile.»
Red si inumidì le labbra secche. Dentro di sé tremava e, nello stesso tempo, si sent
iva traboccare di rabbia.
«Non mi hai reso un bel servizio, Perelli! Tony annuì.»
«Sì, me ne rendo conto. È comprensibile. Sei stato all'ospedale? No? C'è un tuo amico, u
n certo Antropolos, detto il Greco, che sta molto male. Qualcuno lo ha aggredito
la scorsa notte. Potresti chiedermi perché? Vedo però che non lo fai. È stato aggredi
to perché vendeva cocaina a uno dei miei uomini. La trovi una buona notizia? Oppur
e è cattiva?»
L'altro non rispose.
«I miei uomini non devono bere, non devono fare uso di cocaina o altre cose che sp
appolino il loro cervello. Tese verso l'alto il braccio, con un gesto teatrale.»
«Penso di poter badare a me stesso... » cominciò Red.
«Certamente! E se non lo fai, a chi importa? Ma tu non sei pagato per badare a te
stesso. Tu sei pagato per badare a me e ai miei uomini. Se stringi amicizia con
loro è male, se ti distrai nel tuo lavoro, è anche peggio, ma ancora peggio è se rovin
i le loro teste rischiando che vendano i segreti per un'altra dose. Questo è tutto

«Ascolta...»
«Questo è tutto. O la smetti con la roba o te ne vai. Red si alzò.»
«Va bene » disse «me ne vado.»
Fece una rapida smorfia che voleva assomigliare a un sorriso.
«Va bene, vattene.»
Anche se non era particolarmente acuto, Red avvertì il tono di minaccia e cercò di e
ssere più conciliante.
«Senti, Tony, a me non piace essere preso in giro... vedi, non sono un lattante, n
on dimenticarlo. Se due non vanno d'accordo insieme, è meglio che si separino. Ecc
o tutto.»
Tony annuì.
«Ecco tutto » ripeté.
Così Red se ne andò, con la testa piena di progetti e di pensieri, perché ora era a co
noscenza di alcuni segreti del racket dei liquori che non avrebbe mai saputo se
non fosse stato per Tony Perelli. Chiamò un uomo della banda con il quale c'era un
'intesa, e gli raccontò le sue preoccupazioni mentre cenavano da Bellini.
Victor Vinsetti era un giovanotto molto ben vestito, con degli occhi che non sta
vano mai fermi; sembrava che si aspettasse sempre di trovarsi qualcuno alle spal
le. Parlava molto poco ma era un ottimo ascoltatore e, anche quella sera, ascoltò.
Red gli raccontò della disputa con Perelli e di Mose, della sua idea di iniziare u
n racket autonomo, prelevando i liquori alla frontiera e, con l'aiuto di pochi r
agazzi in gamba, trovare poi un buon mercato tra i bar clandestini. Il guadagno
sarebbe stato sicuro e rapido. Vinsetti lo ascoltò molto attentamente perché anche l
ui aveva le stesse idee. Anzi, si era già preparato un piano.
«Capisci, Vic?»
«Sicuro, ma non è così facile, Red... e, in ogni caso, rischi grosso a parlare così.»
«Mose sapeva usare bene la pistola...»
«Mose era una nullità » lo interruppe Vinsetti con calma. «Ora è morto, e gli Stati Uniti
non ne risentiranno di certo, e nemmeno il Governo. Era solo un voto. Alle pross
ime elezioni, vota per due e Mose sarà ancora vivo. No, mi chiedo cosa ne pensi Pe
relli.»
Ponderò la cosa, mentre Red lo guardava con curiosità. Vinsetti era un pezzo grosso
e si diceva che fosse molto ricco (le dicerie non sbagliano mai). Vinsetti era u
n indipendente; contraddiceva la tradizione secondo la quale, una volta entrato
nel giro, non puoi più uscirne. Aveva una cabina prenotata sulla Empress of Austra
lia; le sue merci erano vendute ovunque. Era in trattativa per comprare una casa
sul mare a San Remo. La franchezza di Red era allarmante: da Bellini, ogni came
riere era una spia.
Quella notte, vide Perelli.
«Red è fuori di sé » disse «e sta dicendo un sacco di cose. Mi ha inchiodato da Bellini co
n un sacco di lamentele.»
«Io non voglio guai » rispose Perelli. Questa era una frase che usava molto, come sl
ogan e come alibi.
Ma Red, molto eccitato e con un sacco di brillanti idee in testa, aveva voglia d
i guai. Usando un intermediario, contattò Mike Feeney, Barone della zona Sud. Rius
cì a parlare solo con Shaun O'Donnell, il capo del personale di Mike, del quale er
a anche cognato.
Shaun era il vero leader, il cervello dell'organizzazione (Perelli sosteneva che
questa era la frase peggiore che si potesse pronunciare in presenza della banda
di Mike). Shaun era un uomo piccolo, magro, irascibile, troppo permissivo con q
ualcuno e troppo duro con altri. Ascoltò la proposta di Red con aria di disapprova
zione e non lo incoraggiò.
«Red, tu non puoi pretendere di danneggiarci » disse con rude franchezza. «Sei una tes
ta calda e ti droghi. Te lo dico chiaramente: non c'è posto qui per gente come te.
Perelli è quello che è, ma non voglio mettermi contro di lui. Ma se riuscirai a ent
rare nel suo territorio, ti darò la roba migliore.»
Il giorno dopo non successe niente. In un pomeriggio d'inverno, Red andò al Quarti
er Generale della polizia e chiese di parlare con il capo, Kelly. Voleva lamenta
rsi per il comportamento di un poliziotto. Lo fece ad alta voce, perché il Quartie
r Generale della polizia era nella zona di Perelli ed era circondato da occhi vi
gili e da orecchie attente.
Era convinto di aver parlato intelligentemente, senza fare nomi. L'unica cosa di
cui era certo, era che la sua vita era in pericolo e, dopo che ebbe parlato per
un po', se ne convinse anche il signor Kelly.
Red non era particolarmente intelligente né furbo. In effetti, comunque, non fece
nomi; non disse a Kelly nulla che non sapesse già. Kelly sapeva bene, per esperien
za personale, che, se riusciva a procurarsi un testimone e a portarlo in tribuna
le, avrebbe ritrattato tutto; se fosse riuscito a fargli firmare una deposizione
, avrebbe giurato con fervore che gli era stata estorta con un trucco, con le mi
nacce, con la violenza fisica o mentre si trovava in stato in incoscienza.
Sapeva anche come era stato ucciso Mose e perché.
Red avrebbe continuato a parlare per tutta la notte, ma Kelly era molto occupato
e inoltre odiava quel tipo di conversazioni a senso unico, che non gli dicevano
nulla di nuovo.
«Vuoi che ti metta dentro? » chiese. Red si indignò.
«Cosa, mettermi dentro? Penso di sapermi difendere per conto mio. No, capo! Domani
mattina me ne andrò da Chicago; ho degli amici sulla costa est, che mi presterann
o tutti i soldi che voglio.»
Quando scese in strada, aveva alle calcagna tre ombre, due delle quali erano pol
iziotti.
«Non perdetelo di vista » erano state le istruzioni di Kelly. Dopo solo un isolato,
due uomini affiancarono Red.
«Hey, cosa diavolo... » incominciò Red, quando sentì che gli afferravano le braccia.
«Grida e sei morto » disse uno di loro, con voce persuasiva. Puntò una pistola alla vi
ta del prigioniero.
«Andiamo!»
I detective che seguivano Red erano nuovi del mestiere. Videro solo che il loro
uomo era stato raggiunto da due tizi e che poi tutti e tre erano saliti su una m
acchina che li stava aspettando, Red davanti, vicino all'autista, come se fosser
o saliti su un normale taxi. Prima che potessero fare qualcosa, la macchina era
partita e sparita.
Red non capì subito cosa stava succedendo. Si può far passare la sbornia a un ubriac
o, ma non a un uomo come Red. L'unica cosa di cui era sicuro era che l'uomo sedu
to dietro di lui gli puntava qualcosa di freddo e duro sul collo mentre chiacchi
erava con l'autista. Stavano parlando di sport e discutevano animatamente se i S
outhern California avrebbero sconfitto i Notre Dame o viceversa.
«Io sono per i Notre Dame » dichiarò Red.
«Tu chiudi la boccaccia » disse l'autista «e taci. Mi chiedo se non ti fa male la gola
, dopo la cantata che hai fatto!»
«Io? » protestò Red, indignato.
La canna della pistola aderì di più alla sua nuca.
«Stai zitto.»
Si lasciarono la città alle spalle; s'inoltrarono nella campagna, dove ogni tanto
s'intravedeva un casolare isolato. Alla fine arrivarono davanti a una piccola pi
antagione che si trovava sul ciglio della strada. L'autista fermò la macchina.
«Scendi » disse, e Red ubbidì.
L'effetto della droga era svanito e Red tremava dalla testa ai piedi.
«Hey, dico, cosa avete in mente? » gridò. «Io non ho detto niente. Portatemi subito da T
ony...»
I due lo trascinarono sul terreno accidentato, dopo la prima fila di alberi.
«Non avrete intenzione di farmi fuori? » piagnucolò. «Ascoltate... io non ho fatto nient
e.»
L'uomo che stava dietro di lui caricò la pistola e sparò. Red si accasciò sulle ginocc
hia. Non sentì neppure il secondo sparo. Il suo assassino si rimise la pistola in
tasca e si accese una sigaretta: la fiamma dell'accendino non tremò.
«Andiamo » disse.
Prese il posto che prima aveva occupato Red e, sulla strada del ritorno in città,
i due ripresero il discorso sui Southern California e sui Notre Dame.

3.
Vinsetti non era un gangster comune e non aveva una posizione fissa. Per due ann
i era stato ambasciatore, plenipotenziario viaggiatore da costa a costa, sopratt
utto nella zona dei laghi canadesi. Altre volte era stato un negoziatore ad alti
livelli e aveva deciso di molte sorti infelici.
Era un giovanotto attraente, con la giustificata fama di essere molto galante e
invincibile.
Ma aveva commesso l'errore di fidanzarsi con una ragazza canadese che non aveva
accettato di buon grado di essere stata scaricata. Un giorno, mentre si trovava
a Toronto per accordarsi su una consegna di whisky, l'emissario di un avvocato g
li aveva consegnato una lettera. Era citato in tribunale per rottura di promessa
e altro. Vinsetti non capiva lo spirito delle leggi. Era una faccenda che andav
a sistemata e, dopo essersi guardato intorno, Vinsetti aveva trovato un avvocato
disposto a difenderlo; aveva fatto un tentativo di far rientrare la faccenda ma
, avendo fallito, si era disinteressato della cosa. Il risultato fu che Vinsetti
incorse in guai maggiori e che, durante una seconda visita a Toronto, fu arrest
ato. Obbligato, pagò, ma non fu questo l'aspetto peggiore della faccenda: non poté p
iù essere un agente e subì un notevole calo di introiti.
«Io non voglio guai » disse Perelli discutendo la questione. «Tu sei nei guai con la p
olizia canadese e io non voglio che lavori per me gente che potrebbe essere pizz
icata da un momento all'altro.»
«Non capisco in cosa potrei danneggiarti » rispose Vinsetti, sentendosi furioso. Ton
y si accarezzò i baffi e fissò i disegni del tappeto di seta.
«Forse in nulla » disse. «Forse la ragazza non andrà davanti al giudice a gridare che tu
sei in un racket di whisky che vale milioni di dollari. Forse non dirà neppure ch
e lavori con Antonio Perelli. No » scosse la testa. «No, mio caro Victor. Dobbiamo c
hiudere. Ci sono molte cose che puoi fare, c'è molto da guadagnare. Io non sono di
spiaciuto; certo, è una grave perdita, ma non sono dispiaciuto.»
Batté una mano sulla spalla di Vinsetti.
Quella sera si confidò con Minn Lee. Erano soli, seduti sul divano della sala. Le
porte dorate erano aperte e, sotto la luce ambrata delle lampade, c'era una deli
cata fragranza.
«A Vinsetti piace troppo corteggiare le donne, fare l'amore e altre sciocchezze si
mili.»
«Sono sciocchezze? » chiese lei e lui sorrise.
«Non con te, bocciolo di pesca. Ma non tutte, sai, sono come te.»
Le lasciò la mano e andò al grande organo che era sistemato in un angolo del salone;
suonò ininterrottamente per un'ora, mentre lei lo ascoltava, incantata. Tony era
un musicista fantastico, era piuttosto abile con il violino, ma la sua vera pass
ione era l'organo. Avrebbe potuto trascorrere ore intere a inventare o a ricorda
re brani di opere italiane. L'opera era per Tony Perelli l'inizio e la fine dell
'arte. Odiava il jazz, anche se era un ballerino straordinario.
Minn Lee rimase seduta sul divano per un'ora, con le gambe incrociate come un pi
ccolo Buddha, le braccia conserte e il capo chino. Poi Tony si sedette di nuovo
vicino a lei e riprese a parlare di Vinsetti.
«Quel ragazzo è troppo intelligente; tuttavia, è stato molto utile. Certo, ora sta pas
sando un brutto momento, ma può capitare a tutti. Deve essere spietato. Vive tropp
o elegantemente e questo l'ha rovinato. Ma non beve e non parla e frequenta solo
gente elegante.»
L'errore di Vinsetti fu superato qualche giorno dopo, quando negoziò con il capo d
ella polizia Kelly la liberazione di un uomo che era stato arrestato ingiustamen
te, come spesso accade. Costui era molto importante per Tony e la sua liberazion
e giovò molto a Vinsetti.
«Non avrei dovuto rilasciarlo » disse Kelly, discutendo la questione con Harrigan.
«C'è molto da guadagnare in questo affare, capo » rispose Harrigan. «Io penso che Perell
i l'abbia fatto perché teme di vedersi accusato di un altro crimine: hanno trovato
il cadavere di Red Gallway questa mattina; gli hanno sparato alle spalle.»
Kelly annuì.
«Era inevitabile; quel tipo parlava troppo; presto o tardi doveva bruciarsi le ali
. Sarà una perdita di tempo, ma dovrai andare da Perelli. » Si grattò con rabbia il me
nto. «Anzi, no: lo vedrò io stesso.»
«C'è una nuova signora nell'appartamento. Kelly annuì.»
«Lo so... Minn Lee, la signora Waite o come diamine si chiama. Se c'è un briciolo d'
onore tra i ladri, Perelli lo possiede: ha messo insieme la banda di farabutti p
iù unita della città. Nessuno lo ha mai tradito. Harrigan lo guardò stranamente.»
«Forse qualcuno verrà, presto o tardi » disse, abbassando la voce. Kelly si morse le l
abbra.
«Vinsetti? Se ci dovesse essere questa possibilità, Perelli lo verrebbe a sapere pri
ma, e se così accadesse...»
Sorrise.
Harrigan si accese un sigaro.
«Difficilmente farà questa mossa... nessuno lo farebbe, ma lui è un duro e potrebbe da
rci moltissime informazioni segrete che ci sarebbero molto utili.»
Kelly scosse la testa e disse: «Non so... Vedi spesso Vinsetti? Potresti dargli un
'imboccata. Noi gli daremo protezione, possiamo imbarcarlo sulla nave giusta. In
ogni caso, la banda non può fare il suo comodo in Canada; laggiù c'è ancora una legge

Harrigan trascorse i due giorni seguenti nell'architettare un modo per incontrar
e Vinsetti, in modo del tutto casuale. Fallì nel suo proposito per l'ottima ragion
e che Victor aveva conosciuto Minn Lee e ne era rimasto molto colpito.
C'erano molte cose che Minn Lee considerava onorevoli e altre che per lei non lo
erano; era disonorevole tradire il proprio uomo, ma era onorevole tradire tutti
gli altri per lui. Quindi tutte le visite di Vinsetti venivano riferite; Tony s
apeva tutto quello che Victor diceva, ciò che faceva e ciò che proponeva. In un cert
o senso, Perelli era eccitato dal fatto che lei suscitasse tanta attenzione. Andò
in estasi per la lealtà di lei, che gli riferiva tutto con semplicità, come se gli r
accontasse un fatto normalissimo, senza vantarsi e senza cercare di farlo ingelo
sire.
Vinsetti aveva parlato di molte cose: di amore, per esempio, di devozione, dello
splendore della vita in Europa, ma aveva detto anche altre cose che avevano dis
turbato Perelli. Per esempio, aveva parlato di quelle case a Cicero, delle quali
lei non aveva mai sentito parlare e che comunque non la sconvolsero più di tanto.
Se fosse andata a lavorare nel ristorante di Che-foo Song, dove c'erano delle r
agazze che ballavano, l'ambiente fumoso del ristorante "Stelle del Cielo" non sa
rebbe stato molto diverso dal locale di Cicero.
No, lei non rimase turbata; un po' meravigliata, forse leggermente offesa, perché
il suo uomo era come un dio per lei.
Tony invece rimase sconvolto e offeso; quando rivide Vinsetti, il giorno dopo, i
suoi modi erano bruschi e, alla fine della conversazione, disse: «Quando Minn Lee
ti vorrà parlare di nuovo, ti manderà a chiamare, Victor. Sei un tipo in gamba, ma
parli troppo... Oh no, non è perché le hai parlato d'amore, ma perché hai accennato ai
miei locali di Cicero. Non provarci con me, Victor.»
Guardandolo negli occhi, Vinsetti vide una scintilla di rabbia, anche se lo sgua
rdo di Tony era sereno e la sua bocca sorrideva.
Ma c'era quella scintilla di rabbia; Vinsetti ne avvertì la presenza.
Si poteva avere una discussione con Tony Perelli, farlo infuriare, ma, se la que
stione non toccava i fatti basilari della vita, una volta concluso il diverbio,
tutto tornava come prima, l'offesa era del tutto dimenticata.
La discussione che avevano avuto era puramente domestica. La dignità di Perelli er
a stata ferita agli occhi della sua donna: non avrebbe ucciso nessuno per questo
. Tuttavia, Vinsetti aveva visto quella scintilla di rabbia e divenne più attento,
più guardingo. Aveva la mente di un diplomatico e l'arma più importante in questi c
asi era di adulare il proprio antagonista. Così Vinsetti lo adulò, pretese di essere
solo uno sventurato innamorato della donna di un altro e non un traditore e, al
la fine, la situazione sembrò tornare alla normalità. Ma Vinsetti non era tranquillo
. Forse aveva visto troppe cose negli occhi di Perelli: certamente troppo per st
are tranquillo.
Perelli aveva un sistema di spionaggio praticamente perfetto. In ogni banca c'er
a un impiegato che gli riferiva tutti i particolari degli uomini della sua banda
. Conosceva i loro conti in banca fino all'ultimo centesimo e, in caso di un tra
sferimento di liquidi in un altro paese, ne sarebbe subito venuto a conoscenza;
in particolare si informava se venivano emessi assegni in favore di agenzie di v
iaggio. Vinsetti era uno dei pochi che aveva un conto in banca. In genere, i gan
gster non si fidano delle banche e preferiscono depositare i loro averi nelle ca
ssette di sicurezza. Quindi Tony avrebbe potuto controllare tutta la vita di Vic
tor Vinsetti. Sapeva tutto sulle lettere di credito che la banca gli aveva vendu
to. Il principale motivo di offesa era quell'attacco a Cicero. Qualcuno poi avev
a informato Mike e i suoi uomini e quelle erano le conseguenze. Solo tre uomini
erano a conoscenza della visita, e certamente non era il commerciante canadese i
l quale non aveva la più pallida idea che il suo facoltoso cliente fosse Tony Pere
lli. Angelo dichiarò che era un vero peccato per Vinsetti, perché era un ragazzo in
gamba ed era molto utile: infatti, in una banda, bisogna avere qualcuno che si v
esta bene e che possa trattare con gli onesti e rispettabili furfanti che serviv
ano al commercio di Perelli. Era davvero unico come collegamento tra i vari bar
clandestini. Vinsetti poteva aggirarsi in qualsiasi territorio e uscirne senza s
porcarsi le mani. Era bene accetto da tutti Joe il Polacco, Mike Feeney e vari a
ltri membri delle organizzazioni. Era discreto, manteneva la parola data e inolt
re, era il classico tiratore scelto. Come Angelo aveva detto, era un vero peccat
o.
Gli eventi si svolsero in una direzione inevitabile. Le attività di Perelli erano
svariate; aveva lo zampino in moltissime imprese, alcune legittime, altre assolu
tamente fuorilegge. Si teneva rigorosamente lontano dalle classi criminali di ba
sso livello: non finanziava mai dei volgari furti, commessi con o senza violenza
. Le ricchezze di coloro che incorrevano nella sua ira venivano sempre trovate i
ntatte; a volte, enormi somme di denaro venivano scoperte nelle tasche di un qua
lche barbone che veniva trovato morto sui margini di una strada. Se dava la sua
parola a venditori e compratori, la manteneva. Le sue tariffe erano altissime, i
suoi guadagni spropositati. Con questi poteva mantenere un piccolo esercito di
impiegati e ragionieri che curavano tutti i suoi affari.
Il suo dono più importante era un sesto senso che lo avvertiva del pericolo. Quand
o il campanello di allarme suonava nella sua testa, Perelli non accettava dilazi
oni e seguiva ciecamente il suo istinto. Generalmente, le spiegazioni che dava a
i suoi uomini per le esecuzioni non erano vere. Red era stato ucciso apparenteme
nte perché aveva parlato con la polizia: non era morto perché avrebbe potuto causare
un pericolo immediato, ma bensì futuro.

4.
Se Perelli puniva senza pietà, bisogna dire che premiava con molta generosità. Aveva
speso cinquantamila dollari per arredare il nuovo appartamento di Angelo.
Vinsetti? Perelli ci pensò a lungo. Era indipendente, aveva perso l'entusiasmo di
un tempo e aveva avuto delle lamentele da fare. Vinsetti era molto ricettivo e a
veva avuto la sensazione di una totale disarmonia con Perelli. Scrisse a un suo
agente per cancellare il suo posto sulla Empress of Australia e, tramite un altr
o agente, prenotò quello stesso posto sotto un altro nome. Era esattamente ciò che P
erelli pensava avrebbe fatto.
Vinsetti era ancora soggiogato dal fascino di Minn Lee: le mandava fiori, biglie
ttini molto intelligenti e poetici. Tony li lesse sorridendo.
«Victor scrive molto bene. Chiedigli di tornare a trovarti, Minn Lee... Davvero, n
on mi dispiace! Mi diverte: è elegante e molto spiritoso.»
Così Minn Lee scrisse con la sua bella calligrafia di scolaretta un invito e Vinse
tti andò a bere il tè con lei; qualche volta c'era anche Tony, ma la maggior parte d
elle volte erano soli.
Entro poco tempo, avrebbe potuto esserci bisogno delle capacità diplomatiche di Vi
nsetti. Due grosse bande rivali stavano sconfinando l'una nel territorio dell'al
tra.
La banda di Feeney forniva molti bar clandestini nel nord della città con del liqu
ore forte e con della birra. Mike dirigeva un paio di fabbriche di birra ed era
milionario. Tra le due zone, c'era un territorio di nessuno, nel quale i due gru
ppi agivano fianco a fianco. I proprietari dei bar potevano comprare indifferent
emente da tutte e due le bande che non minacciavano nessuno perché prendesse la lo
ro merce. Improvvisamente, Mike cambiò atteggiamento, dichiarò che il territorio era
suo e passò a minacciare i clienti, scatenando una protesta generale. Uno dei cli
enti di Perelli si ritrovò con il locale distrutto e con gli occhi neri. Riferì ad A
ngelo come erano andate le cose e Angelo lo riferì a Perelli.
«Bisogna che Vinsetti veda quel tizio » disse Tony. «Chi ha fatto il pestaggio? Gli ri
ferirono che era stato un certo Death House Hennessey, un uomo molto forte, che
aveva agito con la sua banda. Faceva spesso azioni violente di questo genere per
Shaun O'Donnell, quando l'irlandese non voleva correre il rischio di essere ric
onosciuto o non desiderava esporre le sue guardie del corpo.»
Victor andò in un hotel vicino a North State e parlò con un piccolo irlandese irrita
bile. Shaun O'Donnell non volle sentire ragioni; farfugliò vaghe e truculente mina
cce. Vinsetti, secondo il suo stile diplomatico, cercò un modus vivendi, ma Shaun,
che non aveva mai sentito quell'espressione e che, anche se l'avesse conosciuta
, l'avrebbe disapprovata, fu irremovibile.
«Ascolta, Vic, quel territorio è sempre stato nostro e puoi dire al signor Perelli c
he resterà tale. Tu sei un tipo in gamba, Vic. A Mike e a me piacerebbe accontenta
rti, ma gli affari sono affari.»
Ci furono altre negoziazioni, durante le quali Shaun disse: «Mi meraviglio che un
tipo come te se ne stia con Perelli. A Mike e a me piacerebbe trovarti un posto
nella nostra organizzazione. Lo so... » A questo punto Vinsetti protestò. «Voi tutti s
iete terrorizzati da Perelli, ma supponiamo che riuscissimo a fargli mettere un
piede in fallo. Quell'uomo tratta tutti come dei cani.»
Era una forte tentazione, ma Victor la ponderò bene. Nel frattempo, Death House He
nnessey aveva i suoi guai.
Una macchina attraversò il vialetto che portava alla sua casa e qualcuno suonò il ca
mpanello. Hennessey aprì e guardò nelle tenebre...
Un motociclista che passava sulla strada udì il lontano rumore di uno sparo e si a
vviò in quella direzione. Death House Hennessey giaceva riverso sulla balaustra de
l piccolo portico antistante alla casa, con venti proiettili in corpo.
Shaun O'Donnel prese la cosa con filosofia. Per lui, non significava niente che
che uno dei suoi uomini fosse morto; ne poteva trovare altri, e magari che costa
ssero meno. Però era un pretesto per attaccare Perelli. Lui personalmente pagò le sp
ese per il funerale di Hennessey e vegliò sulla salma. Perelli mandò una corona di f
iori e tale era il suo potere che gli uomini che lo odiavano, e che sapevano che
era stato lui a ordinare la morte dell'uomo, non osarono spostarla.
Parlò apertamente con Minn Lee; le teneva nascoste pochissime cose, molte meno di
quante ne avesse tenute segrete alle altre donne che erano entrate e svanite dal
la sua vita.
«È un gioco duro, mia cara. Ci sono quattro punti in questo cerchio e uno che voglia
andare da nord a est, non ci andrà di certo con i propri piedi. Victor è molto abil
e, ma non è riuscito a fare ragionare Shaun O'Donnell e la scorsa notte un altro d
ei miei bar è stato depredato. Ma Victor non dice "Basta!". Tutto quello che sa di
re è di aspettare. Io aspetto e vedo i miei affari andare in malora!»
Victor aveva le sue ragioni per dire di aspettare. Quando vide Tony gli riferì i n
egoziati, che Perelli ascoltò attentamente.
«Davvero interessante! » disse. «Forse dovrei aspettare che Shaun O'Donnel diventi vec
chio e recuperi la ragione! Magari tra una decina d'anni! Quel tizio deve smette
rla di darsi le arie o altrimenti gli faremo un bel lavoretto, Vic! Abbiamo parl
ato anche troppo. Sentiamo cosa dice Ricardo.»
Ricardo era un abilissimo tiratore, il suo preferito; era un uomo che aveva comb
attuto nella Grande Guerra e che aveva tre decorazioni e venti omicidi alle spal
le.
«Vorrei aspettare ancora un po'... » disse Perelli «e poi...»
Nel pomeriggio andò da Cicero e, mentre era seduto nel suo ristorante a sorseggiar
e un caffè, sulla strada passarono tre macchine che crivellarono il locale di colp
i di mitraglia. Perelli si sdraiò sul pavimento in un vortice di vetri rotti e di
calcinacci e decise che non poteva perdere tempo; doveva agire e subito.
L'attacco non poteva essere stato improvvisato: era senza dubbio il risultato di
un attento progetto. Vinsetti era uno dei pochi che sapeva che sarebbe passato
da Cicero nel pomeriggio. Anzi, era stato lui stesso a organizzare la cosa, dice
ndo che Tony avrebbe dovuto incontrare un compratore canadese.
Fece delle domande in giro. Mike Feeney e Shaun O'Donnell erano partiti la sera
prima per New York; un alibi preparato con troppa precisione.
Quando tornò, Perelli vide Vinsetti, e si mantenne molto vago a proposito di come
era scampato all'attentato. Sarebbe stato un errore chiarire troppo la faccenda.
Vinsetti avrebbe potuto spaventarsi e non si poteva prevedere cosa avrebbe potu
to fare.
In ogni caso, Victor era allarmato. Mandò un messaggio urgente a Kelly e riuscì a pa
rlargli; gli diede alcune informazioni ma gliene promise altre. Poi fece una cos
a molto curiosa, tipica del suo modo bizzarro di comportarsi. Chiamò il suo avvoca
to e fece testamento, aggiungendo una clausola:
Nel caso in cui dovessi morire di morte violenta e se il coroner dovesse dichiar
are che c'è stato omicidio, io stabilisco che venga sottratta dalle mie proprietà un
a somma di centomila dollari per la persona che dimostrerà il mio assassinio.
Nel pomeriggio, andò a far visita a Minn Lee. Lei, su suggerimento di Tony, lo ave
va invitato a prendere un tè.
«Dovresti rimanere in camera tua, mia cara » disse. «Devo parlare di affari con Victor

Vinsetti arrivò alle quattro e mezza. Un quarto d'ora più tardi, arrivò Kelly, secondo
il piano che avevano fatto. A dire la verità, il detective era arrivato cinque mi
nuti dopo Vinsetti e aveva ingannato il tempo osservando alcuni uomini che stava
no caricando dei mobili su un camion. Furono caricati un divano letto, due poltr
one, un appendiabiti e un tavolo; dopo di che il camion partì. Kelly entrò nel palaz
zo e si avviò all'ascensore.
Fu Angelo ad aprirgli la porta.
«Victor se ne è andato » disse. «Si è fermato solo un minuto: era venuto a trovare Minn Le
e ma lei aveva mal di testa.»
«Dov'è Perelli?»
Era sul terrazzo; fu mandato a chiamare.
«Vinsetti è entrato in questa casa un quarto d'ora fa e non può essersene andato » disse
Kelly con tono brusco.
«Ma se non è qui, vuol dire che se ne è andato » disse Perelli. «Vedete capo, qui ci sono
due uscite; Victor di solito esce dal retro.»
«Voglio ispezionare l'appartamento. Kelly era francamente e rudemente scettico.»
«Ma sicuro! » Tony Perelli era tutto sorrisi.
Vinsetti non c'era; come se ne fosse andato era un mistero. Kelly sapeva che c'e
ra un'uscita sul retro e aveva messo un uomo di guardia; naturalmente, Vinsetti
non era passato di lì.
Due giorni più tardi il suo cadavere venne ritrovato nel lago. Era stato ucciso co
n dei colpi d'arma da fuoco e gli vennero trovati in tasca otto biglietti da mil
le dollari.
Perelli fu chiamato alla stazione di polizia per essere interrogato.
«Spero che prenderete l'assassino del povero Victor » disse. «Ci sono stati troppi omi
cidi.»
Andò al funerale, affiancando con la sua macchina il carro funebre.

5.
Vinsetti era un amante della letteratura. Teneva un diario che, con disappunto d
el capo della polizia Kelly e con infinito sollievo di almeno una persona, non c
onteneva informazioni vitali.
Riguardo una visita a Hollywood, aveva fatto questo interessante commento:
La vita di un gangster non ha continuità. È una serie di piccole storie scritte into
rno alla stessa sala per i funerali... Sul palcoscenico compaiono sempre nuovi p
ersonaggi che scompaiono prima che si possa stabilire la loro identità... La stori
a di una zona della città governata dai gangster è costellata di sparatorie che, per
la maggior parte, finiscono in una strage.
Il diario era scritto in italiano e Kelly, leggendone la traduzione, scoprì nuovi
concetti filosofici, ma non aumentò le sue informazioni.
Minn Lee considerava a modo suo il concetto di territorio controllato da gangste
r. Incontrava uomini e donne che andavano e venivano, che sparivano e ricompariv
ano. Le donne erano belle, parlavano sempre a voce alta ed erano riccamente vest
ite e ingioiellate. Sembravano perfettamente a loro agio in quell'ambiente, che
forse era molto meglio di quello nel quale vivevano prima.
Tony era gentile con lei, molto più di quanto lo fosse stato John Waite. Le mostra
va considerazione, tenerezza e comprensione.
Una volta venne una ragazza di Cicero a cenare con loro. Si comportava in modo f
amiliare con Perelli e, tuttavia, questa familiarità era unita a una certa riserva
tezza che avrebbe potuto essere rispetto o paura e che era probabilmente un'unio
ne dei due sentimenti. Era carina, anche se volgare, e indossava una stola di zi
bellino e molti anelli.
Durante la cena bevve molto e la sua conversazione era incomprensibile per Minn
Lee. Conosceva anche la casa: si guardava intorno con un sorriso affettato, come
se fosse lei la padrona, degnò Minn Lee di un fuggevole sguardo e poi la ignorò fin
o alla fine della cena, quando, sporgendosi verso di lei, le afferrò la mano per e
saminare il grosso anello che aveva al dito.
«Devi starci attenta, baby » disse. «La pietra è tagliata male e tende a scivolare fuori
dalla montatura.»
Sollevando gli occhi, incontrò lo sguardo di Tony e lasciò la mano della ragazza com
e se fosse diventata bollente. Ma Minn Lee non era una stupida. La ragazza aveva
posseduto quell'anello e, anche se in modo rozzo, metteva in guardia la nuova p
roprietaria di quel difetto.
Qualsiasi contegno che Tony aveva cercato di mantenere fu scosso da questo incid
ente. Cominciò a fare domande sui gioielli che la ragazza indossava, da dove veniv
ano e quanto erano costati. Questo era imbarazzante, sia per lei che per Minn Le
e. Disse che glieli avevano regalati diversi uomini, tra i quali fece il nome di
Vinsetti.
«Vinsetti è morto » disse Perelli. «Fammi il nome di altri, ancora vivi, che ti hanno re
galato quei gioielli.»
Lei era confusa, impallidì, poi arrossì e cercò di cambiare argomento con una risatina
e delle battute, ma Perelli eluse tutti i suoi tentativi.
«Devi stare molto attenta, Enid » disse alla fine con un tono metallico nella voce. «T
u hai un buon lavoro, vero? I guadagni vanno bene, eh?»
Lei si appoggiò allo schienale, con un sospiro, lamentandosi della polizia e di co
me fosse difficile trovare la gente giusta. La tattica diede l'impressione di fu
nzionare, perché Perelli cambiò argomento con una brutalità che avrebbe offeso chiunqu
e.
Tony non desiderava parlare di lei con Minn Lee ma, dopo che se ne fu andata, di
sse: «Quella non è niente... solo una donna spregevole. Una volta stava qui, ma era
troppo stupida per me; rideva della mia musica, perché non ha cervello. Ha solo un
a bella faccia e una sciocca conversazione: mi aveva annoiato. Io odio la gente
che mi annoia, mia piccola Minn Lee.»
Lei gli sorrise dolcemente.
«E io, ti annoierò un giorno? » chiese. Lui le prese la mano e la baciò.
«Quando sarò molto, molto vecchio » disse «forse potrebbe succedere. Quando non mi piace
ranno più le cose graziose, le voci gentili e tutte le bellezze di questo mondo.»
Le prese il viso tra le mani.
«Sei felice? » Lei annuì e lui la prese sulle ginocchia, la strinse e la cullò tra le su
e braccia, come se fosse una bambina, senza dire una parola. Nel calore di quest
o abbraccio, la sua mente si rilassò e riuscì a pensare con distacco al problema di
Shaun O'Donnell e di Feeney. La loro banda lo stava innervosendo.
Mike Feeney era un omone, il tipico irlandese che aveva iniziato la sua carriera
come operaio e che, dopo essersi assicurato il controllo su un sindacato, aveva
aumentato il numero degli iscritti con il semplice metodo di far pestare chiunq
ue si rifiutasse di unirsi a lui. Bisogna dire che aveva assicurato concessioni
per tutti perché era stato uno degli iniziatori del "metodo esplosivo". Si trattav
a di piazzare una bomba sotto il portico della casa di un datore di lavoro che n
on voleva accettare le condizioni imposte da Mike e dai suoi compagni; questo po
rtava generalmente a un cambiamento di posizione da parte del datore di lavoro.
Se non bastava, piazzavano una seconda bomba, più potente. Pochissimi aspettavano
la seconda bomba per decidersi; nessuno ne riceveva una terza.
Il racket dei liquori offriva enormi possibilità. Mike possedeva tutti gli strumen
ti per condurre una campagna del terrore. Comparvero i suoi bar clandestini; alc
uni erano delle bettole, altri erano locali eleganti. Lui li riforniva di liquor
e; poi crebbe di importanza. Aprì sale da gioco, sale da biliardo, immischiate con
industrie artigianali, un eufemismo per dire che erano piene di allibratori.
Sua sorella, la signora Shaun O'Donnell, aveva una parte importante nell'organiz
zazione. Era uno dei capi e, tramite suo marito, dirigeva il gruppo. Era alta co
me il fratello, robusta e sparuta, con la faccia e il lungo naso perennemente ro
ssi e con delle mani da macellaio; si diceva che questa signora avesse combattut
o con un uomo e che avesse vinto. Nessuno le aveva mai chiesto nulla a riguardo,
ma Mike Feeney era orgoglioso di quel fatto.
Possedeva tutto il denaro del mondo ma era la donna peggio vestita di Chicago. S
foggiava dei viola fiammeggianti, dei rossi assurdi e portava diamanti grossi co
me noccioline, montati su bracciali pesanti, grossi come piattini da caffè. La sua
voce era stridula e, quando parlava, gli uomini della banda di Feeney si sentiv
ano a disagio.
Odiava Perelli per la sua virilità. Lo chiamava "il dandy italiano". A dire il ver
o, usava anche altri appellativi; quello che odiava di più erano le case che lui p
ossedeva da Cicero. Se qualcuno un giorno scriverà la sua storia, scoprirà che lei e
sercitava molte pressioni sul marito perché organizzasse dei locali che gli facess
ero concorrenza.
Aveva più influenza sul marito che sul fratello e questo era strano perché Shaun ave
va un carattere deciso ed era tre volte più intelligente di Mike Feeney. Per il re
sto, lei non provava rimorso per nessuno; faceva uccidere degli uomini senza pen
sarci due volte. Era stata lei a organizzare l'attacco contro Perelli.
«Di sicuro lo abbiamo spaventato » disse a suo marito. «Se tu fossi un uomo, lo affron
teresti, dopo quello che ha detto di me alla signora Merlo. Ma forse a te non im
porta che tua moglie sia stata chiamata "l'incubo di Romeo". Ma se questo non è un
insulto, io sono impazzita! Affronta quell'italiano, Shaun!»
Shaun la guardò sogghignando.
«Hai una fretta maledetta di liberarti di me, non è vero? » esclamò. «Toglitelo dalla test
a, Bella.»
I suoi genitori, molto poco preveggenti, l'avevano chiamata Floribella.
Appena seppe che una bella ragazza cinese si era trasferita nell'appartamento di
Perelli, la curiosità femminile prese il sopravvento. Piombò sulla piccola Minn Lee
come un falcone su un giglio. Per una volta nella sua vita, fu umana. Perelli r
imase meravigliato nel sapere che aveva lasciato una buona impressione sulla rag
azza.
«Quella bambina è troppo delicata per vivere con quello sporco siciliano. È ingrassato
, Shaun; se l'hai mancato, eri ubriaco.»
Shaun non disse nulla. Aveva un piano ma non voleva che gli si mettesse fretta.
Sua moglie gli riferì un'informazione.
«Perelli ha un uomo nuovo, uno di New York... un certo Con O'Hara. Lo conosci?»
Shaun lo conosceva; Mike Feeney lo conosceva ancora meglio e aveva tutte le ragi
oni per detestarlo.
Quella stessa settimana Perelli reclutò un'altra persona. C'era un uomo a Boston,
un importatore di liquori e un membro molto rispettato della comunità, che, tramit
e un amico, aveva saputo delle disgrazie di un ragazzo di Harvard. Così scrisse a
Tony:
Non so se potrai fare qualcosa per questo ragazzo, ma sappi che viene da una buo
na famiglia, che parla due o tre lingue e che è il tipo d'uomo che potrebbe essert
i molto utile.
Così Jimmy McGrath arrivò a Chicago con questa lettera di presentazione e con un sen
so di umiliazione reso più amaro dal fatto che fosse giustificato. Era stato espul
so da una grande università per un furto volgare e stupido che, in un momento di l
ucidità, non avrebbe mai commesso. Le autorità avevano interpretato lo stato di ubri
achezza come l'ammissione di un crimine più grave. Di certo non c'erano giustifica
zioni. Jimmy scrisse una frettolosa lettera a sua madre, nel New England e si na
scose per un po' a New York. Dopo un mese trascorso inutilmente cercando di trov
are lavoro, decise di accettare quel biglietto ferroviario e quella lettera di p
resentazione che lo portarono dritto nella magnificenza dell'appartamento in sti
le veneziano di Perelli.
Era alto, di bella presenza e nervoso. Piacque subito a Perelli anche se era ind
eciso sul ruolo da assegnargli. Se ne poteva fare un buon elemento. Visto che po
ssedeva una mente ben ordinata, poteva diventare un ottimo organizzatore. Ma un
buon elemento doveva avere le mani insanguinate. C'era bisogno di un sostituto p
er Vinsetti, ma Jimmy non aveva ancora fatto pratica. La regola era inflessibile
: prima di essere iniziato ai misteri più profondi, un uomo doveva macchiarsi di u
n delitto.
Perelli aveva dettato queste condizioni non per un senso tragico, ma per sicurez
za; i suoi uomini dovevano essere coinvolti fino in fondo. Non poteva tenere con
sé nessuno che non fosse colpevole e consapevole della sua colpa. O si era dentro
o si rimaneva fuori.
C'era una cascina in campagna, dove gli uomini della banda passavano molto tempo
, una sorta di club, con la possibilità di esercitarsi a sparare. Perelli mandò lì il
ragazzo con Ricardo, un vero campione della pistola.
«Dagli la chiave » ordinò, e con "chiave" intendeva la libertà di muoversi in quel picco
lo e sudicio mondo.
Una settimana più tardi, Ricardo riferì che il ragazzo non prometteva nulla di buono
.
«Non ha la stoffa per quello » disse. «Sarebbe meglio che tu gli trovassi qualcosa di
più facile da fare, Tony, almeno all'inizio.»
Così Jimmy McGrath venne rimandato a Chicago e assegnato al territorio che Perelli
controllava. Incontrò diversi gangster, uomini di una banda e di un'altra e altri
che non appartenevano a nessun gruppo, ma che erano mal visti da tutti. Per una
qualche ragione, Shaun O'Donnel gli piacque e, cosa ancora più strana, la simpati
a venne ricambiata. O'Donnel lo portò a casa sua e lo presentò alla moglie.
«Sei uno degli uomini di Perelli, vero? » chiese lei con disprezzo. «Dimmi, perché ti se
i messo con quel siciliano?»
«Lascia in pace il ragazzo, questi sono affari suoi » disse Shaun. «Sarai l'uomo che f
arà le mediazioni per Tony, Jimmy?»
Jimmy era stupito.
«Immagino che sarò qualunque cosa Perelli vorrà » rispose. Shaun lo guardò pensieroso.
«Avrà bisogno di un mediatore ora che ha assassinato Vinsetti.»
«Era il suo migliore amico; ecco come si comporta quel cane schifoso » lo interruppe
la moglie.
Shaun spiegò. «Vinsetti faceva il giro delle bande e sistemava le faccende. Ha tirat
o fuori Perelli da un sacco di guai.»
In verità, avrebbe potuto aggiungere che lui stesso era stato salvato da molte sit
uazioni imbarazzanti, grazie all'aiuto del mediatore.
C'era un quarto uomo a pranzo, un italiano che gli venne presentato come signor
Camona. Jimmy non capì esattamente che ruolo avesse nei complicati affari di Shaun
. Parlò poco e disse solo monosillabi, tutto in un pessimo inglese. Più tardi, Perel
li gli raccontò la storia di quell'uomo. Era un siciliano che era entrato negli St
ati Uniti senza regolare passaporto.
Camona era stato un bandito era stato imprigionato in Italia e, quando era riusc
ito a fuggire, si era rifugiato a Chicago, dove da tempo lavorava nelle organizz
azioni di Feeney che distillavano liquori. Mentre era in Italia, aveva servito l
'esercito nel corpo dei Mitraglieri e questa esperienza era ritornata molto util
e quando si era ritrovato a far parte del gruppo dei killer di Feeney.
Una sera, Camona e l'autista della macchina sulla quale viaggiava ebbero un lavo
retto da sbrigare. Tony stava ritornando dall'opera con due dei suoi uomini più fi
dati. Avevano appena girato in Michigan Avenue, quando una macchina si accostò all
a loro. Tony si abbassò tra i sedili mentre una pioggia di proiettili di mitraglia
trice infrangeva i finestrini. Uno dei suoi uomini non fu così svelto e venne colp
ito al collo. Tutto si svolse in pochissimi secondi. Quattro occhi all'erta vide
ro un paio di baffi dietro la mitragliatrice.
Tony portò il ferito all'ospedale e tornò a casa, molto calmo. Minn Lee, che l'aveva
aspettato alzata, non aveva la più pallida idea di cosa fosse successo, ma capì che
era qualcosa di serio, perché lui le ordinò perentoriamente di andare a letto.
Camona viveva in un piccolo appartamento nella zona sud. Arrivò a casa alle due ci
rca e stava infilando la chiave nella serratura quando un uomo che lo aveva ragg
iunto alle spalle gli puntò una pistola alla nuca, fece fuoco e, con la calma più se
rafica, ritornò alla macchina che lo aspettava. Prima che arrivasse una pattuglia
della polizia, l'auto era già svanita.
«Ottimo lavoro, Con.»
La mattina dopo, mentre facevano colazione, Perelli si congratulò con la sua nuova
recluta e O'Hara, ben vestito e terribilmente loquace, rispose al complimento c
on un ghigno. Era il primo lavoro che faceva da solo.
«Vedi, Tony, è la mia specialità. Non do a nessuno più di una possibilità: dopo che ho pro
nunciato il nome, quello è tra i più. Avrei potuto farlo fuori anche in strada, ma c
'erano due colombi che si stavano dando la buona notte. Così l'ho visto per le sca
le e ho tirato fuori la mia trentotto...»
«Sicuro, sicuro.»
Tony aveva poca pazienza con la gente che esasperava le proprie imprese.
«Sei un tipo in gamba.»
Jimmy lesse la notizia sul giornale del pomeriggio e rimase sconvolto. Era morto
un uomo con il quale aveva cenato due giorni prima, che era una persona viva, c
on un passato e un futuro e che ora era solo un oggetto di curiosità per la polizi
a e un nome su un articolo.
«Chi pensi che l'abbia ucciso? » chiese a Tony.
«Sono stato io, Jimmy. » Lo sguardo di Perelli non si staccò un attimo dal volto del r
agazzo. «Sì; quel tizio ha cercato di farmi fuori l'altra sera. Mi ha scaricato addo
sso un'intera mitragliatrice.»
«C'eri tu su quella macchina? » chiese Jimmy incredulo.
Aveva letto della sparatoria di Michigan Avenue sul giornale che però non aveva ri
portato nessun nome. Perelli annuì.
«Sicuro.»
«Sei sicuro che è stato Camona? » chiese Jimmy, poco convinto.
Tony Perelli ridacchiò. Era sorpreso dall'effetto che la sua confessione aveva pro
vocato.
«Così vanno le cose, Jimmy: uccidere o essere uccisi! Io non vorrei uccidere nessuno
, ma cosa si deve fare quando quelli ti puntano le pistole addosso? Non c'è legge
per noi, Jimmy: dobbiamo essere la nostra polizia e i nostri giustizieri. Suppon
i che io vada dalla polizia e dica: "Il signor Camona mi ha sparato addosso", co
sa pensi che mi direbbero tutti quegli avvocati? Prove. Vogliono le prove! L'uni
ca prova che ho sono i miei occhi e qualcosa qui dentro. » Si batté una mano sul pet
to. «In questo racket possono succedere solo due cose, Jimmy: o abbatti, o sei abb
attuto. E capirai il perché, Jimmy. La legge non esiste per noi; non possiamo tras
cinare un tizio davanti al giudice e dire: » mi ha imbrogliato «oppure » non mi ha pag
ato «. L'unica legge che conosciamo è lontana da avvocati e poliziotti.»
«Uccidere un uomo è una cosa terribile... così, a sangue freddo. Perelli scosse la tes
ta.»
«Uccidere un uomo in un impeto di rabbia, questo è terribile, perché nove volte su die
ci commetti un errore, uccidendo qualcuno che non vorresti e che non dovresti uc
cidere. Pensa alla guerra, Jimmy: si uccidono uomini che non si conoscono nemmen
o, uomini normali. Non hanno fatto niente di sbagliato, ma semplicemente scoppia
la guerra e noi uccidiamo loro e loro uccidono noi. È una cosa che non ha senso.
Quando noi uccidiamo così a sangue freddo, c'è sempre una ragione e, se lo facciamo,
è perché è necessario. Gli assassinii che si compiono spinti dalla rabbia sono follie
, mentre uccidendo a sangue freddo non si sbaglia mai.»
Così Jimmy ricevette la sua prima lezione sull'etica della malavita e, essendo gio
vane, rimase impressionato.
«Stai incollato a Shaun O'Donnell » lo istruì Perelli. «Forse uno di questi giorni diven
terai il nostro diplomatico.»
McGrath gli raccontò la conversazione che aveva avuto con Shaun.
«Bene » disse Perelli. «La penso come lui: tu potresti prendere il posto di Victor e q
uesto significherebbe un mucchio di soldi per te, jimmy.»
In fondo però, Tony sapeva che nessuno avrebbe potuto prendere il posto di Victor
Vinsetti. Vinsetti era inserito completamente in quello strano mondo, ne conosce
va puntualmente tutti i codici di comportamento, grazie al contatto reale con og
ni suo membro.
A poco a poco, Jimmy conobbe tutti i gangster che facevano parte della banda. An
gelo, con il suo sorriso pigro e quel pungente senso dell'umorismo, gli piacque.
O'Hara, con la sua millantata spacconeria, non gli fece una buona impressione.
Poi, incontrò Minn Lee. Aveva sentito parlare di lei ed era curioso di sapere se q
uello che si diceva corrispondeva alla verità. La sua bellezza lo colpì nel profondo
; la sua naturale avvenenza era accresciuta grazie all'uso di un particolare gen
ere d'abbigliamento. Tony spendeva somme smisurate per lei. Aveva fatto venire d
all'oriente delle sete che costavano quasi come l'oro. Jimmy, dopo la loro prima
conversazione, capì che un vuoto della sua anima era stato colmato. Si innamorò di
Minn Lee fin dal primo momento in cui la vide. Cominciò ad andare a trovarla molto
spesso e Minn Lee si accorse di questo interesse per lei con preoccupazione. C'
era solo un uomo nella sua vita, e quest'uomo era Tony Perelli; non c'era posto
per nessun altro.
Minn Lee guardava al futuro con preoccupazione, sapendo che poteva essere brutto
. Aveva ereditato dal padre, che era europeo, una filosofia che si accordava con
la parte orientale della sua anima.
Un giorno Tony le chiese se lo amava e lei fu così lenta nel rispondere che l'amor
proprio di lui, molto vulnerabile, ne rimase risentito.
«Penso di sì; suppongo di sì; sì » disse. «Forse non so cos'è l'amore. Quelle ragazze che v
ono qui a volte, ne parlano come se si trattasse di una cura di bellezza o di un
nuovo quadro. Io non riesco a parlarne. Tu mi spaventi, questo solo so.»
Lui la guardò crucciato, scrutandola con sguardo interrogativo.
«Mi ami? Supponiamo che in anticamera ci fosse un uomo e che io ti dicessi: "Minn
Lee, vai fuori, quell'uomo sta aspettando con i suoi sicari e uccideranno la pri
ma persona che varcherà la soglia", tu andresti?...»
Lei rise. Rideva raramente, con una risata profonda, europea, non con quell'acut
o gorgheggio tipico delle donne cinesi.
«Andrei, sì, certamente.»
Il respiro di lui si fece più pesante.
«Ma ti ucciderebbero, Minn Lee. Lei annuì.»
«Non avrebbe importanza » disse.
«Non lo faresti per nessuno tranne che per me? Lei ci pensò un po', aggrottando le s
opracciglia.»
«No » rispose alla fine «non lo farei per nessun altro.»
Il viso di lui si illuminò di un sorriso radioso e i suoi occhi castani brillarono
.
«Questo è l'amore, sciocca! Adorabile sciocca! La prese tra le braccia e la baciò con
ardore.»

6.
Tony Perelli si ritrovò spesso a pensare alla sua nuova recluta. Jimmy gli piaceva
, nei limiti in cui qualcuno poteva piacergli, ma era una preoccupazione. Era di
ventato una divertente seccatura. Tony cercava sempre nuovi posti per lui nell'o
rganizzazione, ma nessuno sembrava andare bene. Non aveva le qualità e l'esperienz
a per essere un mediatore.
Non era vigliacco, ma sembrava incapace di uccidere. (Non che Tony considerasse
assassinio il fatto di liberarsi di un rivale o di qualcuno che volesse a sua vo
lta eliminarlo).
Jimmy sembrava a suo agio nell'appartamento di Perelli, era molto attento a Minn
Lee, ovviamente, dal momento che era innamorato di lei. Non che a Tony spiacess
e: considerava un complimento il fatto che un giovanotto che aveva studiato all'
università approvasse la sua scelta.
Kelly cominciò a interessarsi di quel ragazzo che, in un certo senso, era sfortuna
to. Il capo della polizia era intelligente; Tony non lo aveva mai sottovalutato.
Era astuto, freddo e senza rimorso, ma possedeva una vena di gentilezza che poc
he persone sospettavano.
Era solito presentarsi alle ore più impensate e, generalmente, nei momenti più imbar
azzanti. Un pomeriggio arrivò nell'appartamento di Tony piuttosto tardi e vide Min
n Lee, non per la prima volta. Gli piaceva quella ragazza; c'era un atteggiament
o paterno in Kelly, che possedeva anche un acuto senso dell'umorismo, dal quale
traeva la consolante certezza che fosse stata Minn Lee a umiliarsi quando aveva
accettato la protezione di questo gangster.
«State bene, Minn Lee? » chiese. Tony grugnì.
«Se sta bene? Hey, capo, questa pupa ha cominciato a vivere quando è venuta qui.»
«E quando inizierà a morire? » chiese Kelly, senza distogliere lo sguardo dalla ragazz
a.
Tony fece una smorfia. La morte, la morte naturale, era un argomento ripugnante
per lui. Lui, che viveva perennemente nell'ombra di una pistola, che si aspettav
a da un giorno all'altro che qualche suo nemico sparasse il colpo che gli sarebb
e stato fatale, provava orrore per le malattie e la loro fatale conseguenza.
«Che modo di parlare è questo, capo? In questa casa regnano la vita e la felicità. E p
erché spaventate la mia bambina con questi discorsi di morte?»
Kelly si guardò intorno sorridendo.
«Mi sembra di aver spaventato più te, invece » disse. «Chi è il ragazzo nuovo che se ne va
in giro con i tuoi scagnozzi?»
Tony finse un'esagerata meraviglia.
«Non capisco...»
«Capisci benissimo. Parlo di McGrath.»
«Oh, Jimmy! » Tony sorrise con indulgenza. «È amico di un mio amico. Viene da New York.»
«Perché non è rimasto a New York a seguire un corso di corrispondenza per diventare as
sassino?»
Tony scosse la testa con aria di rimprovero.
«Che brutta parola! » disse. «Assassinio! Ci sono troppi omicidi a Chicago. Qualche vo
lta mi chiedo se la polizia faccia il proprio dovere, ma poi penso che c'è il mio
amico Kelly e che tutto andrà bene, che i cattivi saranno presi e mandati alla sed
ia elettrica.»
«E questo ti fa dormire sonni tranquilli, immagino? » disse Kelly, e ripeté la domanda
.
«Non so cosa fare con Jimmy. È un bravo ragazzo, molto in gamba. Non è fatto per il ra
cket: è il classico gentiluomo americano. Penso che troverò qualcosa da fargli fare
in Canada.»
«Non è il nuovo collegamento tra le bande? » chiese Kelly.
«Il nuovo collegamento? » Tony era sbalordito.
«Ne avrai bisogno, visto che hai fatto fuori Vinsetti » disse Kelly, che non misurav
a mai le parole. «Mi chiedo chi prenderà il suo posto.»
Tony era sconvolto.
«Visto che ho fatto fuori Vinsetti? » La sua voce era piena di un doloroso rimprover
o. «Ma cosa dite, capo? Vinsetti, il mio migliore amico? No, capo, è stata la banda
di Mike Feeney a ucciderlo... e vi posso dare anche le prove. Shaun O'Donnell gl
i aveva commissionato del lavoro.»
«Lo testimonieresti in tribunale? Tony sorrise.»
«Io vi ho detto questo, signor Kelly, perché siete un amico, non perché siete un poliz
iotto. Io so come sono andate le cose, ma non ho ancora le prove e, se anche le
avessi, pensate che farei la spia?»
Kelly era al corrente della rivalità che si era scatenata tra le bande e sapeva ch
e la posizione di Perelli si consolidava ogni giorno di più.
In favore di Perelli, bisogna dire che era un fautore della pace. Avrebbe pagato
fior di dollari perché ci si potesse mettere d'accordo pacificamente. Provava un
sincero disgusto per l'omicidio. Desiderava che la guerra tra bande proseguisse
con il minimo spargimento di sangue e, se il denaro fosse servito per una soluzi
one degli affari, per comprare territori o concessioni, avrebbe pagato senza fia
tare.
Con le bande piccole era spietato. Non mantenevano mai la parola: prendevano i s
uoi soldi un giorno e il giorno dopo volevano entrare nel suo giro. Per questi p
iccoli problemi non c'era che una soluzione: i gangster di piccolo calibro andav
ano e venivano, e nessuno sapeva che fine facessero. Venivano trovati dei corpi
carbonizzati, altri cadaveri legati con il filo di ferro venivano ripescati dai
fiumi; un uomo invece, fu ucciso a colpi di pistola nella hall di un teatro.
Si organizzò un altro incontro tra le bande. Jimmy incontrò Shaun O'Donnell e pranzò c
on lui. A Shaun piaceva quel ragazzo, era divertito dal suo entusiasmo, non vede
va del pericolo o del male in lui.
Shaun ascoltò con gravità gli ingenui tentativi diplomatici del giovane e, quando Ji
mmy ebbe finito, scosse la testa.
«Non se ne fa niente, ragazzo » disse. «Incontrare Tony! Dove, magari a casa sua, come
ha fatto Vinsetti? No, signore!»
«Ma vi giuro che Tony vuole appianare le divergenze. Shaun aggrottò le sopracciglia.»
«Questo è uno strano modo per descrivere un omicidio di primo grado » esclamò. «Lo so che
vuole sistemare le cose, ma lo vogliamo anche noi, e dovremo essere noi a guidar
e il gioco; le nostre armi sono pari alle sue. Senti, ragazzo, stanne fuori. Tu
sei un tipo regolare, non appartieni al mondo dei racket.»
Guardò Jimmy per lungo tempo.
«Perché non te ne vai da Chicago ragazzo? » chiese. «Se far parte di un racket ti sembra
una bella cosa, credimi, non lo è. Ti tireranno dentro fino al collo, prima che t
u capisca dove sei finito e che fine farai. Sarebbe meglio che te ne tornassi a
casa.»
Jimmy scosse la testa. Ora era legato a Chicago con delle catene che nessuno pot
eva spezzare. Qualsiasi destino lo attendesse, valeva la pena rischiare per Minn
Lee.
Sedeva per ore nella piccola stanza che aveva affittato e pensava a lei. In uno
dei rari momenti di lucidità, si meravigliò del fatto che lui, con la sua educazione
puritana, con i suoi ideali occidentali, potesse essere completamente dominato
da una donna dagli umili natali e dal passato ambiguo.
Tuttavia, non riusciva a smettere di pensare a lei e, più la vedeva, più si sentiva
attratto, giorno dopo giorno, ora dopo ora.
La vita dei gangster era molto strana e complicata. Gli affari di Perelli avevan
o tante ramificazioni, tante complicazioni!
Perelli aveva dei soci in imprese specifiche, con i quali divideva i guadagni. Q
uando gli affari finivano, terminava anche la società e le persone con le quali ce
navi, passavi il tempo, erano pronte ad abbandonarti alla prima occasione.
Gli uomini della banda, Angelo e Molos, sapevano come andavano queste cose, ma J
immy aveva creduto che le varie società fossero permanenti.
C'era un ragazzo italiano molto simpatico, un certo Salvini, che frequentava la
casa di Perelli. Suonava molto bene il violino e Tony era entusiasta della sua a
bilità. Poi, all'improvviso non venne più e, quando Jimmy chiese il perché, Perelli e
Angelo gli risposero evasivamente che il suo lavoro era finito. Jimmy non chiese
di che lavoro si trattasse. Un giorno, attraversando Burnham Road, vide un grup
po di gente intorno a una berlina. In quel momento arrivò una macchina della poliz
ia a sirene spiegate; i poliziotti fecero spostare la folla e si avvicinarono. A
nche Jimmy scese dalla sua macchina e si avvicinò. Quando arrivò, la polizia stava e
straendo un corpo inanimato.
Il volto era terribile da vedere, ma Jimmy riconobbe Salvini e quasi svenne per
l'orrore.
Si precipitò nel grande appartamento di Tony e trovò il padrone di casa intento a da
re gli ultimi ritocchi per il party di quella sera. Quando furono soli, gli comu
nicò la notizia. Perelli ascoltò impassibile, senza dire una parola, perché non c'era
niente di particolare da dire. Quando Jimmy terminò il racconto, annuì.
«Certo che era Salvini » disse. «E quella era proprio la sua macchina, Jimmy. Le cose
vanno così. Quel tizio non aveva l'arte di tacere. Gli ho parlato io stesso, mi so
no sorbito anche questa seccatura. Gli ho detto: » Salvini, quando questo racket s
arà finito, forse ti prenderò nella mia organizzazione, ma non ora. «E vuoi sapere che
cosa ha fatto? Ha vuotato il sacco con la polizia federale, che ha fatto irruzi
one nei miei locali, causandomi un sacco di guai.»
Jimmy lo guardò terrorizzato.
«Ma tu... tu? » balbettò. «Non era uno dei tuoi uomini? Tony scosse la testa.»
«Tu... tu non...?»
Perelli scosse di nuovo la testa.
«Non sono stato io, Jimmy. Io non faccio questo genere di cose. Ma immagino che qu
alcuno dei ragazzi se la sia presa e che abbia agito di conseguenza. Cos'altro p
otremmo fare?»
Liquidò con leggerezza il discorso di questo omicidio.
C'era una linea ben definita che separava le diverse bande, quella di Mike Feene
y da una parte, quella di Tony Perelli dall'altra. Poi c'erano determinati terri
tori che non potevano essere invasi, terre di nessuno che spesso erano causa di
lotte per la conquista di una posizione strategica.
Perelli deteneva il monopolio delle slot machines; il gioco d'azzardo garantiva
guadagni favolosi. Qualche volta le sale da gioco venivano attaccate, le slot ma
chines rotte e gettate per strada; dopo avvenimenti di questo genere, si vedevan
o vagabondare vicino alle sale degli uomini con la faccia scura, che si aggirava
no apparentemente senza meta ma che invece cercavano qualcuno ed erano certi di
essere a loro volta ricercati. Tutto finiva con dei colpi di mitraglia, le siren
e della polizia e dell'ambulanza e un interrogatorio nell'ufficio privato di Kel
ly.
Per quanto riguardava lo spaccio di liquori, l'organizzazione era impressionante
. C'erano dei laboratori dove le sostanze venivano testate da specialisti. Il li
quore veniva distribuito con l'impiego di macchine, navi, treni e perfino aerei.
La trama di questi commerci era così complessa che solo un esperto poteva seguirl
a.
Un giorno, mentre stava bevendo un tè nell'albergo più elegante di Chicago, Jimmy si
sentì chiamare da una voce stridula e vide che Con O'Hara si stava avvicinando a
lui. Con O'Hara era un uomo chiassoso, pieno di arroganza; era brutale, uno spac
cone e, tuttavia, a volte possedeva un acuto senso dell'umorismo.
«Ti presento la signora O'Hara, Jimmy.»
Jimmy guardò la ragazza e trasalì. L'aveva vista entrare dietro a O'Hara, ma aveva p
ensato che fosse da sola e che stesse salendo in camera sua. Non l'avrebbe mai c
ollegata a quel killer brutale e rozzo. Era bella, alta e snella e il suo volto
assomigliava a quello di una Madonna. Aveva gli occhi color grigio chiaro, come
quelli di una bambina, e la bocca rossa, che non aveva bisogno di trucco per ess
ere seducente.
«Piacere di conoscervi, signor McGrath. Ho molto sentito parlare di voi. Jimmy avr
ebbe preferito non sentirla parlare; aveva una voce pigra e volgare,»
che non si addiceva alla sua persona.
«Siediti baby. » O'Hara prese una sedia. «Stiamo andando in giro per compere e Mary si
rifarà il look in grande stile.»
La guardò; era chiaramente innamorato di questa donna che chiamava, senza diritto,
signora O'Hara.
«Mi avevi detto che mi avresti fatto conoscere il signor Perelli.»
Finse di mettergli il broncio e il disilluso Jimmy pensò che sembrava una bambina
sciocca.
«Certo che te lo faccio conoscere, mia cara, ma Tony questa sera è fuori. Muore dall
a voglia di conoscerlo » spiegò a Jimmy.
«Vorrei incontrare la signora Perelli, la ragazza cinese. Con arricciò il naso.»
«Ma lei non è nessuno, solo una cinese! Se è carina? Ma, forse lo è, ma non è il mio ideal
e di bello.»
Maria guardava Jimmy con un fermo sguardo di approvazione, anche senza essere pa
rticolarmente interessata a lui. Le piaceva Chicago, ma non quanto New York. Era
una città favolosa ma, quando tutti i suoi amici erano a Brooklyn... beh, lei si
sentiva sola.
Doveva aver sentito parlare di Jimmy da Con, perché non gli mostrava quel rispetto
che gli avrebbe concesso se lui fosse stato un membro importante dell'organizza
zione. Comunque, non lo compativa, perché Mary Pouluski era incapace di provare un
simile sentimento.
Uscendo dall'hotel, Jimmy si imbatté inaspettatamente in Tony Perelli. Si dirigeva
verso Michigan Boulevard, accompagnato dai suoi quattro killer, due davanti e d
ue dietro, anche se Jimmy sospettò che ce ne fossero altri quattro dall'altra part
e della strada. Anche se Jimmy rimase sorpreso di vederlo per strada, Perelli fa
ceva diverse passeggiate di questo tipo, o per concludere un affare di poca impo
rtanza o per fare dei regali a Minn Lee, ma sempre per tenersi in forma.
Jimmy lo conosceva già troppo bene e non si avvicinò; lo seguì da rispettosa distanza.
Quando voltarono a destra nei Boulevard, Jimmy notò che i quattro uomini si strin
sero di più a Perelli. Non avevano percorso più di cinquanta metri, quando una macch
ina si accostò al marciapiede dove si trovavano...
Gli spari furono assordanti. Uno dei proiettili sfiorò il volto di Jimmy e quasi l
o ferì. Uno degli uomini di Tony era a terra. Gli altri tre sparavano in direzione
della macchina che ripartì di colpo fermandosi in mezzo alla strada.
Il traffico stradale si paralizzò. Arrivarono di corsa dei poliziotti; uno di loro
aprì la portiera della macchina e tirò fuori il giovane che era alla guida. Era mez
zo morto, il sangue gli colava da dietro l'orecchio e il suo volto era bianco co
me il gesso.
Gli altri due giacevano sul sedile posteriore della macchina. I killer di Tony e
rano esperti.
Tony tornò dal Quartier Generale della polizia insolitamente furioso. Uno dei suoi
migliori tiratori era stato ucciso e il fatto che due dei loro assalitori giace
ssero all'obitorio in attesa di essere identificati, non gli dava certo soddisfa
zione.
«Erano gli uomini di Feeney e di Shaun O'Donnell... è certo.»
«Così vanno le cose, Jimmy » aggiunse poi, con più calma. «Questa mattina Shaun mi aveva m
andato un messaggio per invitarmi a vederlo per prendere accordi pacifici e oggi
pomeriggio mi manda i suoi sicari per fare la pace, eh? E poi, ha parlato così ma
le di Minn Lee. Oh, Jimmy, sapessi le cose che ha detto contro di lei!»
Jimmy lo fissò.
«Perché? » chiese con ardore. «Minn Lee non gli ha fatto nulla.»
«Così funzionano le cose, Jimmy. » Perelli annuì. «Voglio parlare un po' con te ora.»
"Ora" significava subito. Condusse Jimmy sul terrazzo e osservò Chicago in quel gl
orioso tramonto italiano.
«Vedrai O'Donnell, Jimmy. Penso che verrà se gli telefonerai.»
«Ma cosa potrei fare...? » cominciò Jimmy.
Tony lo azzittì con un gesto.
«Digli che vuoi definire le cose, che vuoi sapere quanto lontano si voglia spinger
e. Quando gli parlerai al telefono, gli dirai che tu vuoi essere onesto con me,
ma che io non so che tu gli stai parlando. Io non voglio guai, Jimmy, e tu sei l
'uomo che può sistemare tutto.»
Gli ci vollero due ore per raggiungere telefonicamente O'Donnell e l'accoglienza
non fu molto incoraggiante.
«Se fosse stato un altro a chiamarmi, Jimmy, lo avrei mandato al diavolo » disse. «Ti
sta istruendo per diventare il suo messaggero, vero? Sappi che la settimana scor
sa ha detto a tutti che sei uno stupido.»
«Potremmo incontrarci da qualche parte? » chiese Jimmy. Silenzio.
«Perelli non penserà che io abbia qualcosa a che fare con la sparatoria di oggi, ver
o, Jimmy?»
C'era un'insolita nota di ansietà nella voce di Shaun.
«Beh... sì » esitò Jimmy. «Penso di sì.»
L'onestà della risposta fece abbassare la guardia a O'Donnell.
«Va bene, t'incontrerò. Vieni all'angolo tra la Michigan e la quarantottesima strada
questa sera alle dieci. Non portare nessuno con te, Jimmy... io mi fido di te.
Sono sicuro che non succederà niente.»
Jimmy riportò fedelmente il testo della telefonata e Tony gli diede una pacca sull
a spalla.
«Jimmy, sei in gamba » disse. «Andrai con la tua macchina fino al punto d'incontro con
Shaun. Con sarà seduto dietro, dove Shaun non può vederlo. Ma forse tu non hai biso
gno che Con venga con te.»
Jimmy lo stava ad ascoltare con la testa che gli turbinava «Come? » chiese sconvolto
. «Cosa vuoi che faccia?»
Lo sguardo di Perelli era di ghiaccio. Prese dalla tasca la sua Colt e la passò a
Jimmy.
«Mettila sotto l'ascella, Jimmy e dagli il benservito.»
Ci fu un momento di silenzio. Il volto di Jimmy era cadaverico.
«Cosa vuoi che faccia?»
Non gli sembrò neanche di essere stato lui a parlare.
«Non è che voglio, te lo ordino » disse Perelli freddamente. «Tu ucciderai Shaun O'Donne
ll.»

7.
Jimmy McGrath si ritrovò davanti alla porta del suo appartamento senza sapere come
ci fosse arrivato. Si muoveva meccanicamente, senza pensare. Tutto il mondo era
diventato una mostruosa irrealtà; le persone che affollavano le strade, chiuse ne
lla morsa del traffico, che partivano e si fermavano ubbidienti ai semafori, era
no diverse da lui. Avevano case, parenti e interessi. Migliaia di loro si stavan
o cambiando per la cena in quel momento...; tanti altri si stavano rilassando ne
lla quiete dei loro appartamenti, senza problemi, tranne i soliti guai di tutti
i giorni...
Lui apparteneva a un'altra razza. Loro erano esseri umani, lui era qualcosa di c
ompletamente diverso: era un potenziale assassino. Era l'assassino a sangue fred
do di un uomo che si fidava di lui come forse non si era mai fidato di nessuno.
Il fatto che potesse restare ucciso nello scontro non gli interessava. Rimase se
duto a lungo, con la testa tra le mani a pensare. Gli venne la folle idea di avv
ertire Shaun. Sarebbe stato semplice: bastava sollevare la cornetta del telefono
e fare un numero... e poi? Tony Perelli sarebbe di certo venuto a saperlo. Noti
zie di questo genere viaggiano alla velocità della luce. Quelli che per la polizia
erano segreti, non lo erano certo per la malavita. Senza dubbio Perelli avrebbe
saputo che Jimmy lo aveva tradito e c'era solo una punizione per il tradimento.
Tuttavia, non era la paura della punizione che lo rendeva indeciso: era un perve
rso senso di fedeltà nei confronti di un uomo che ammirava, della banda alla quale
si era unito per la quale provava ripugnanza ma anche un deviato senso di ubbid
ienza.
Questa era la fine, la fine di Jimmy McGarth. Se uccideva Shaun O'Donnell la ban
da di Feeney lo avrebbe condannato. Sarebbe diventato un bersaglio da abbattere;
rise amaramente. Non aveva paura: se uccideva Shaun, meritava di morire. Questo
era l'inizio e la fine di tutto. Tony gli avrebbe offerto protezione, l'avrebbe
fatto allontanare da Chicago fino a quando un crimine più grave non avrebbe fatto
dimenticare il suo.
Era disperatamente dispiaciuto per Shaun ma, abbastanza stranamente, non lo era
per la signora O'Donnell, che pure era stata così gentile con lui. Il fatto era ch
e non aveva mai pensato a lei come a una donna che potesse dipendere da qualcuno
; non poteva immaginarsela protagonista di una tragedia per la sua vedovanza. Pe
nsava a lei solo come a un membro della banda di Mike Feeney. Si poteva spaventa
rla, ma non averne paura.
Qualcuno bussò alla porta e lui balzò dalla sedia. Andò in anticamera e aprì. Era Con O'
Hara, con un nuovo vestito, un cappello in testa e un fragrante sigaro tra le la
bbra.
«Hai da fare, ragazzo? » chiese.
Jimmy spalancò la porta e gli fece cenno di entrare.
«Vivi da solo, eh? Queste case non sono alla tua altezza! Tony ti sistemerà in un ap
partamento più elegante.»
Si guardò intorno con aria di disapprovazione.
«Non va bene per uno come te! » ripeté.
Si sedette dall'altra parte del tavolo, guardando Jimmy con gli occhi socchiusi.
«Tutto pronto per questa notte, ragazzo?»
Jimmy rabbrividì. Voleva sembrare indifferente e, per farlo, dovette chiamare a ra
ccolta tutte le sue forze.
«Sicuro.»
«Dovrai scendere in garage e prendere il mio macinino, dove ci sarò già io, nascosto.
Gli uomini di Feeney sono molto attenti e controlleranno la macchina; se io sali
ssi con te, scoprirebbero tutto. La prima cosa che ci capiterebbe sarebbe una ma
cchina che, avvicinandosi, ci scaricherebbe addosso due mitragliatrici.»
Con O'Hara era un uomo acuto e attento.
«Ascolta, Jimmie, non ti preoccupare. » Si tolse il sigaro dalle labbra e sbuffò una n
uvoletta di fumo contro il soffitto. «Vedi, non è niente. Tutti dobbiamo morire, pri
ma o poi. Leggendo quei maledetti giornali, verrebbe da pensare che se uno non f
osse stato assassinato, sarebbe vissuto per sempre! Ma non è così! Hai mai pensato,
Jimmie, che uccidendo un uomo gli risparmi le sofferenze delle malattie e della
vecchiaia?»
Jimmy fece un gesto di impazienza.
«Il fatto è che non voglio pensarci.»
«Naturalmente non vuoi pensarci » ripeté Con.
Gli diede altre istruzioni e la tabella di marcia e se ne andò a fare rapporto al
suo capo.
Tony non era in casa; lui e Minn Lee erano andati a fare un giro in macchina, da
qualche parte, in campagna. Perelli prendeva spesso la sua macchina per svagars
i un po'.
Come di consueto, Angelo era nel suo appartamento a controllare i documenti che
erano arrivati dal Canada. Angelo Verona era più che il segretario e il ragioniere
di fiducia di Perelli; era considerato da tutti come suo legittimo successore a
lla guida della banda. Stranamente, non era siciliano. Nessuno sapeva il suo ver
o nome; lo chiamavano Verona perché lo identificavano con la sua città natale. Era m
olto intelligente e combinava le strategie con straordinaria abilità.
Feeney e O'Donnel lo rispettavano e lo temevano. Shaun era solito dire che era i
l più pericoloso tra gli uomini di Perelli. Angelo era un brillante tiratore, un e
sperto nelle armi e un'autorità nel campo dei liquori.
Se Shaun parlava di lui in termini di rispetto, Angelo non contraccambiava quest
o sentimento. Non sopportava gli irlandesi e detestava Con O'Hara più di qualsiasi
altro irlandese.
«C'è il capo? » chiese Con mentre, lasciandosi cadere su una comoda sedia, si accendev
a un altro sigaro.
Angelo alzò gli occhi dal suo lavoro.
«Non gli va che tu lo chiami capo, Con » disse.
«Ho visto il ragazzo » disse Con.
Angelo, impegnato con un conto, grugnì qualcosa.
«Quel ragazzo non compirà mai un omicidio, neanche tra mille anni, Angelo.»
«Davvero? » Angelo si sforzò di sembrare interessato. «Per ragazzo intendi...? » Jimmie Mc
Grath. Ma Tony non deve preoccuparsi per questa notte. Ci penserò io a Shaun...
Angelo si appoggiò allo schienale della sedia, con un sorriso di scherno.
«Di certo vengo a conoscenza di ciò in questo momento » disse. «Cos'è questa faccenda di S
haun? Dovresti fare il giornalista! Perché non vai al Tribune e non gli racconti t
utto?»
Con si fece accigliato.
«Suppongo che non si possa parlare con te, vero? Cosa vi prende a tutti quanti, An
gelo? Fate finta che non ci sia mai in ballo niente, anche se non è vero.»
Gli occhi scuri di Angelo sembrarono trapassarlo.
«Non succede nulla di cui valga la pena di parlare » disse con enfasi. «Una volta ho l
etto un libro che diceva che il maggior pregio di un siluro è che non fa rumore, c
osa molto importante. Forse a New York la gente si diverte a parlare tanto, ma q
ui, Con, noi ci comportiamo come se ci fosse un microfono a ogni angolo della st
anza, collegato con il Quartier Generale della polizia.»
Con si morse le labbra.
«Il Quartier Generale della polizia! Ascolta, amico...»
«Noi sappiamo di che pasta sono fatti gli sbirri » disse Angelo, ponendo l'accento s
u ogni parola.
In quel momento arrivò Tony; era solo perché Minn Lee era salita in camera sua. Fece
un pigro cenno di saluto a Con e, avvicinandosi al tavolo dove era seduto Angel
o, gli parlò a bassa voce, in italiano. Tony usava spesso questa lingua per conver
sazioni confidenziali e, solo in questi casi, anche Angelo gli rispondeva in ita
liano.
Questo irritò molto Con; lo faceva sentire escluso.
«Cos'è questa idea di lasciarmi fuori dal discorso? Perelli lanciò al suo servitore un
'occhiata indolente.»
«Qualcuno ti ha mai detto che fai parte del discorso? » chiese.
«Già che ero qui... » incominciò Con.
«E chi ti ha invitato? Credi forse che questo sia un locale pubblico dove può entrar
e chiunque per farsi una bevuta?»
«Ero venuto a parlarti di Jimmie » disse Con, ferito nella sua vanità. «Senti, preferire
i fare questo lavoro senza di lui. Sembra che debba svenire da un momento all'al
tro.»
Perelli gli si avvicinò lentamente, con le mani sui fianchi e la testa piegata da
un lato.
«Ti ho forse chiesto qualcosa in merito? » chiese. «Questo omicidio è di Jimmy. Se riesc
e a farlo fuori senza la tua pistola, lascialo fare. Tu sei lì solo per aiutarlo i
n caso si innervosisca o che Shaun reagisca. Non sei tu che lo porti: è lui a port
arti. Mettitelo bene in testa, Con. Il viso di Con si incupì: era un uomo ferito.»
«O.K. » grugnì.
Cercò di trovare una scusa per rimanere e per creare un'atmosfera meno ostile ma,
non riuscendoci, non gli restò che un'ignominiosa uscita di scena.
I due uomini non parlarono per un po', anche dopo che Con se ne fu andato. Poi,
Angelo disse in italiano.
«È un errore mandare quel ragazzo, Antonio. Se vuoi fargli fare esperienza, comincia
con un lavoro meno importante.»
Tony scosse la testa.
«Lui non è ancora dentro del tutto e questo è l'unico modo per coinvolgerlo » disse. «Fino
a quando Jimmy non dovrà stare in guardia a ogni suo passo, fino a quando non sap
rà che ogni uomo di Feeney lo cercherà per farlo fuori, non saprà che cosa è il racket.»
Angelo scosse la testa.
«Non sono d'accordo. Lasciamo le cose come stanno » disse. «Rischi di bruciare uno in
gamba.»
Tony si spostava spesso per la città. Aveva depositi e uffici, laboratori e birrer
ie e altri affari non ben definibili che richiedevano la sua attenzione personal
e e, poiché erano molto numerosi, non passava giorno che non dovesse lasciare il s
uo appartamento. Di solito, le ore tra le sei e le nove erano le più noiose da sop
portare per Minn Lee, e l'arrivo di Jimmy la sollevò dalla noia delle prime ore de
lla sera.
«Oh, Jimmy, cominciavo a pensare che non saresti più venuto... » iniziò, ma poi vide il
volto di lui.
Era bianco e sconvolto. C'era un'insolita freddezza nei suoi occhi.
«Non stai bene, Jimmie? Lui scosse la testa.»
«Sto bene, Minn Lee. Ho pensato di salire per parlare un po' con te. Lei sorrise e
gli indicò una sedia.»
«Potremo parlare a lungo, Jimmie » disse. «Tony non tornerà prima delle dieci. Lui sospi
rò profondamente. Alle dieci sarebbero successe molte cose che avrebbero sconvolto
la sua vita.»
Gli fu difficile cominciare a parlare, ma alla fine, raccolse le sue forze.
«Se mi dovesse accadere qualcosa, Minn Lee... vorrei che tu sapessi che hai contat
o moltissimo per me... sei stata una persona fondamentale nella mia vita, Minn L
ee... può sembrare sciocco e falso, ma Dio sa che è la verità. So che gli altri penser
ebbero che sono pazzo se sapessero cosa provo per te; so tutto di te e Perelli..
. non siete sposati, vero?»
Lei scosse la testa.
«Naturalmente, lo sapevo » continuò «ma non ha importanza. Io non potrei darti niente. S
ono solo un povero sciocco e debole innamorato.»
Rise amaramente.
«Penso di stare compatendo me stesso. Seguì un momento di silenzio.»
«Cosa vuoi dire con "se mi dovesse succedere qualcosa" Jimmie? » chiese lei con tran
quillità e lui si sforzò di sorridere.
«Be', tu sai com'è il racket » disse. «Oggi ci sei, domani puoi essertene andato.»
«Perché mai dovresti andartene domani, Jimmie? » I suoi occhi non smettevano di guarda
rlo. «Deve succedere qualcosa di tremendo questa notte?»
Aprì la bocca per raccontarle tutto, poi cambiò idea e scosse la testa.
«No, dicevo per dire, Minn Lee. Si alzò bruscamente in piedi.»
«Te ne vai? » chiese lei, sorpresa.
Lui annuì. Fin dall'inizio aveva fatto fatica a controllare il tono della voce; or
a lo trovava impossibile. Le si avvicinò, le prese una mano che strinse tra le sue
prima di baciarla. Un attimo dopo, se ne era già andato.
Il garage era a pochi isolati di distanza; Jimmy ci andò a piedi. Dando un nome fa
lso, che Con aveva dato a quelli del garage, chiese la macchina di O'Hara. Uno d
egli uomini gli consegnò la macchina e non fece più caso a lui.
Il cuore gli batteva furiosamente mentre apriva la portiera.
«L'altra portiera, stupido! » sibilò una voce. Jimmy vide Con O'Hara accucciato sul pa
vimento, coperto da un telo scuro.
Chiuse la portiera, fece il giro della macchina e prese posto al volante. C'era
molto buio; la strada era bagnata e scivolosa. Uscì dal garage, svoltò a sinistra e
guidò a velocità sostenuta, raggiungendo Michigan Boulevard in cinque minuti.
Una macchina li incrociò, puntandogli i fari negli occhi e accecandolo per qualche
secondo.
«Cosa ti avevo detto, Jimmie? O'Hara si tolse il telo che lo copriva.»
«Mi stanno cercando.»
Raggiunsero la periferia della città e furono sottoposti a un altro controllo: un'
altra macchina venne lentamente verso di loro, colpendo Jimmy in pieno viso. Abb
assò lo sguardo per evitare di rimanere accecato.
«Quello era Shaun » disse Con a bassa voce. «Mike Feeney non sa che deve incontrarsi c
on te, altrimenti non saremmo andati così lontano, credimi, ragazzo! È la tua occasi
one... prenditela!»
Infine, arrivarono al punto dove dovevano incontrarsi con Shaun. Era una strada
isolata; Jimmy accostò la macchina. Il suo cuore batteva così all'impazzata, che qua
si non riusciva a respirare. Si mise una mano in tasca; prese la pistola, la car
icò e la appoggiò sul sedile di fianco.
Non si vedeva nessuno, a parte una o due macchine che andavano verso la città.
«Vedi qualcosa, ragazzo? » borbottò Con da dietro il sedile.
«Niente.»
Guardò attraverso il finestrino posteriore. Una donna con una pesante borsa si sta
va avvicinando alla loro macchina. Sicuramente era a servizio in una delle case
che costeggiavano la strada. Passò oltre. Poi Jimmy vide una figura che avanzava f
rettolosa lungo il marciapiede, costeggiando il muro. Man mano che si avvicinava
, il ragazzo lo riconobbe e si sentì quasi svenire.
Scese dalla macchina, con le gambe che gli tremavano e la mano che stringeva la
pistola.
«Sei tu, Jimmie?»
Shaun O'Donnell veniva rapidamente verso di lui.
«Ascolta, ragazzo, posso darti solo qualche minuto. Ci sono guai in città e...»
Jimmy cercò di tenere la mano salda. Sollevò la pistola e fece fuoco. Il primo colpo
mancò il bersaglio. Fece fuoco ancora. Shaun O'Donnell cercò affannosamente il suo
revolver, indietreggiando verso la siepe.
«Tu...!»
Tre spari in rapida successione scoppiarono nelle orecchie di Jimmy. Con O'Hara
aveva sparato con freddezza e precisione. Shaun O'Donnell piombò sulla siepe. Si s
entì una sirena in lontananza.
«Filiamocela! » gridò O'Hara, correndo verso la macchina.
Prese il volante. Jimmy era seduto di fianco a lui, immobile, incapace di muover
si e perfino di pensare.
Shaun O'Donnell era morto... lui lo aveva ucciso... lo aveva spinto alla morte..
. con il più sporco dei trucchi...
«Oh, mio Dio!»
La macchina correva come il vento. Con O'Hara era stato anche pilota da corsa e
quella macchina raggiungeva forti velocità.
Mentre guidava, cominciò a parlare.
«Sono stato io a ucciderlo, ragazzo, tu l'hai mancato. Ti sei lasciato andare. Non
ti biasimo per questo, Jimmie. Tu non hai la mia esperienza né i miei nervi saldi
. Non preoccuparti, ragazzo. Stai lì seduto e beviti un goccio di quella roba che
troverai nel cruscotto.»
Jimmy se ne stava lì seduto, a guardare attraverso il vetro del finestrino. Assass
ino... Jimmy McGrath... sei un assassino!

8.
La notizia divampò per tutta Chicago: Shaun O'Donnell era stato assassinato. Era u
na notizia molto importante, perché Shaun era un pezzo grosso tra quelli mediocri,
una vera potenza, un uomo al quale i gangster minori si rivolgevano, se non per
conforto, per aiuti materiali. Era un pezzo grosso in questo senso e, a una sua
parola, gli uomini venivano fatti fuori con rapidità, in circostanze dolorose.
Ora Shaun era morto e sua moglie dimostrò un inaspettato dolore femminile con un a
ttacco isterico, gridando che suo marito era stato assassinato. La macchina dell
'ispettore Harrigan l'aspettava all'ingresso del Brother Hospital, dove Shaun gi
aceva in condizioni disperate: l'unico aiuto che gli si potesse dare era quello
di un prete chiamato in tutta fretta.
Il piccolo prete era a fianco del letto del moribondo con Harrigan. Il poliziott
o di ronda, che lo aveva trovato e che lo aveva portato all'ospedale, se ne stav
a lì, tutto macchiato di fango, molto interessato alla faccenda, perché non gli era
mai capitato di assistere a una sparatoria tra gangster.
Il medico, con il camice bianco, molto freddo, indifferente ma molto efficiente,
sapendo che a mezzanotte gli avrebbero dato il cambio e che lo aspettava un app
untamento con una ragazza al Blackstone, dove l'Associazione dei Medici stava da
ndo una festa, si degnò di aspettare l'inevitabile fine.
Harrigan, che era stato il primo ad avere la notizia, doveva sbrigare dell'inuti
le burocrazia, inutilità enfatizzata dalla domanda che il prete gli rivolse bisbig
liando.
«Avete idea di chi possa essere stato?»
Il dottore, sentendo che il sacerdote parlava a bassa voce, si voltò e sorrise.
«Non è necessario che parliate a bassa voce; potete anche gridare. Non lo disturbate
, perché non può sentirvi. Riprenderà conoscenza, ma non per molto.»
Il prete sospirò. Anche per lui era il primo contatto con questa forma di violenza
. Era giovane, cattolico, idealista e nuovo di Chicago. Parlava inglese con un l
eggero accento straniero. Ancora qualche giorno e sarebbe ripartito per Roma e p
er la tranquillità di un vescovado, perché era di famiglia nobile e ben istruito: il
tipo giusto per fare carriera.
«Non posso concepire questi crimini! » Era sbalordito. «Ogni settimana leggo sul giorn
ale che qualcuno è stato ucciso in questo modo. È spaventoso! È stata una sparatoria d
i gangster?»
Harrigan annuì lentamente.
«Sì. Era uno della banda di Mike Feeney.»
«Dove l'hai trovato? » chiese Harrigan al poliziotto, che sembrò svegliarsi all'improv
viso dal suo stupore.
Lo aveva trovato all'angolo della Atlantic e della novantacinquesima. Si trovava
a due isolati di distanza quando aveva sentito gli spari ed era arrivato in tem
po per vedere una macchina fuggire a grande velocità nelle tenebre. Era corso al t
elefono più vicino e aveva chiamato il Quartier Generale.
«Non ha detto nulla? » chiese Harrigan.
Al poliziotto era sembrato che bisbigliasse un nome: Jimmie. Era certo invece ch
e avesse bestemmiato. Harrigan pensò che l'assassinio era avvenuto in un posto str
ano, e si chiese come mai Shaun vi fosse andato senza guardie del corpo e senza
i suoi killer e perché avesse parcheggiato la macchina duecento metri indietro e a
nche perché avesse attraversato Chicago senza autista. Corrugò la fronte mentre vagl
iava tutte le possibilità e si chiese ad alta voce se non fosse stato Feeney a con
segnarlo. Il prete, evidentemente, non aveva mai sentito quest'espressione.
«Consegnarlo?»
«Certo, padre » annuì Harrigan e, in quel momento, il sacerdote si ricordò di aver già sen
tito quella frase.
«Fatto uccidere dai suoi stessi compagni? Orribile! Ma perché? Harrigan scosse di nu
ovo la testa e rispose con pazienza.»
«Questo è il prezzo che a volte le bande pagano per la pace » disse. «I capi delle bande
non possono controllare tutti i loro uomini, e se uno di loro comincia a sparar
e su una banda rivale, il capo può aiutalo o consegnarlo... cioè mandarlo in un post
o dove l'altra banda possa raggiungerlo con facilità.»
Il giovane prete mormorò.
«Un sacrificio umano!»
«Lo sarebbe, padre » disse Harrigan con un freddo sorriso «se questi fossero degli uom
ini, ma questa gente... » indicò con un gesto espressivo il moribondo.
Shaun si stava muovendo. Riuscirono a captare il debole suono della sua voce. Il
medico alzò gli occhi e fece un cenno con la testa, perché aveva le mani occupate.
«Non avete molto tempo » bisbigliò.
Harrigan si sedette sul letto e si chinò verso Shaun.
«Salve, Shaun. Mi riconosci? Pat Harrigan. Capitano Pat Harrigan... Intravide un b
agliore di vita in quegli occhi morenti.»
«Mi sembri in forma, amico! Sono stato un ottimo amico per te, Shaun... davvero ot
timo. La prima volta che sei finito dentro, sono stato io a prendermi cura di tu
a madre, vero? Quindi, hai intenzione di dirmi chi ti ha conciato così, o no?»
Il moribondo emise deboli lamenti. Harrigan si chinò verso di lui e annuì.
«Sì, ho mandato a chiamare tua moglie, con la mia macchina. Ti hanno fregato, vero S
haun, ti hanno mandato loro a quell'appuntamento? » Si fermò speranzoso.
Shaun O'Donnell aveva capito la domanda, ma non rispose.
«Parla, amico. Non è stato Feeney? Sono stati due della banda di Perelli, non è vero,
Shaun?»
Lo sguardo del moribondo era fisso, e la voce di Harrigan divenne più pressante.
«Non avrai intenzione di presentarti davanti a Dio con un'ultima bugia sull'anima!
È stato Con O'Hara a fregarti? Shaun, per l'amor del cielo, non andartene senza a
ver detto la verità. Sono stati gli uomini di Perelli? Con O'Hara? Rispondi!»
Attese...
Fedele alle tradizioni dei gangster, Shaun non parlò. La polizia non significava n
ulla. Le loro promesse di vendetta non avevano senso. Taceva non perché non avesse
fiducia nella polizia e neppure per un distorto senso dell'onore, ma perché sapev
a bene che la sua banda avrebbe saldato il conto con i suoi assassini molto più ve
locemente. Lui si basava su un'autorità più potente di quella della polizia. Nella s
ua coscienza, offuscata per l'arrivo della morte, lui sapeva che la macchina del
la vendetta si sarebbe mossa molto in fretta.
Harrigan capì tutto questo dal suo sguardo. Si voltò verso il sacerdote e fece un ce
nno con il capo.
«Ecco come sono... ottusi» disse amaramente. Il sacerdote si inginocchiò, dando un'oc
chiata all'orologio. Shaun non li costrinse a una lunga attesa.
Quando la signora Shaun arrivò all'ospedale, non le restò altro da fare che preparar
e i funerali. Se aveva pianto prima, ora non versò una lacrima. Le sue istruzioni
furono chiare e precise al punto da risultare fredde. Forse il determinare con p
recisione l'esatta qualità della bara d'argento che doveva contenere le spoglie mo
rtali di Shaun O'Donnell e il precisare che non sarebbe dovuta costare più di quel
tanto, era un modo per consolare la sua anima afflitta.
Il medico, che si stava vestendo per andare al party, ascoltò sbalordito la discus
sione che si stava svolgendo nel suo ufficio. La signora era accompagnata da tre
degli uomini di fiducia di Mike Feeney e da un giovanotto effeminato che prende
va appunti su un'agenda ricoperta di pelle rossa con i bordi dorati. Poi la sign
ora lasciò l'ospedale e se ne andò, sempre con quegli uomini.
Il più importante di loro, Spike Milligan, allampanato, con il volto affilato e i
capelli rossicci, con l'aspetto di un benestante impiegato di banca, in realtà più f
eroce di un serpente a sonagli, fu il primo a parlare dell'importante questione
della vendetta. Mike Feeney era nell'Indiana, per importanti affari. Milligan lo
aveva informato dell'accaduto con un telegramma e Mike stava ritornando durante
la notte.
«Sono stati Jimmy McGrath e Con O'Hara » disse la signora O'Donnell. «Tu li hai visti
tornare in città, vero Spike?»
Spike annuì.
«Sapevo che Shaun doveva incontrarsi con Jimmy » proseguì. «Mi diceva di rado dove andav
a, ma oggi me lo ha detto e io ho cercato di convincerlo a restare a casa. Perel
li ha mandato Jimmie perché sapeva che Shaun si fidava di lui. Quegli assassini de
vono essere sistemati prima che ritorni Mike.»
«Sono d'accordo » disse Spike. Gli altri annuirono.
«Jimmie non è nessuno... è l'ultimo arrivato...»
«Ma non se la caverà » disse Spike. «O'Hara vive in un appartamento a North State. Vive
lì con la sua donna.»
«Ma Perelli... » disse uno degli uomini.
«Non c'è nessuno di voi che abbia abbastanza fegato per affrontarlo? » esclamò la signor
a O'Donnell.
Spike si guardò le unghie ben curate.
«Non è facile, signora. » C'era una nota di scusa nella sua voce. «Gli altri due, bene,
loro pensano che non li abbia visti nessuno: sarà facile beccarli. Prenderò Jimmie e
Con.»
Il volto già brutto della donna si trasformò in una maschera di odio.
«Inchioderò Perelli » disse tra i denti. Seguì un lungo silenzio, poi si alzò dal tavolo.
«Andate e sistemate quei due » disse, e i killer uscirono per la loro missione.

9.
Le reazioni di Jimmy furono strane e inaspettate. Era freddo e, quando salutò Con
e si avviò a piedi verso casa sua, la sua mente era calma.
Aveva fatto il grande passo, e non poteva fare altro che aspettare. Aveva supera
to la fase della pietà per sé e per Shaun. Le sue mani erano sporche di sangue... de
l sangue di un amico. Era diventato uno spietato assassino. Prima di allora, non
aveva mai capito quelle sparatorie, erano al di là della sua comprensione. Non av
eva neppure mai pensato di poter essere nei panni dell'assassino, e ora, invece,
era un assassino! Era insensibile al dolore e al rimorso. Era come se il suo se
nso del male e del bene fosse stato anestetizzato. Era del tutto insensibile. Le
parti del suo cervello che erano ancora ricettive non riuscivano a provare alcu
n sentimento.
Salì in camera sua, aprì la porta, accese le luci, richiuse la porta alle sue spalle
e si lavò le mani. Era molto assetato e bevve un bicchiere d'acqua dopo l'altro.
Si tolse il soprabito e la giacca, si slacciò la camicia e, dopo aver gettato in u
n angolo le scarpe, si accasciò sul letto, coprendosi con il lenzuolo e spegnendo
le luci.
Pensava che il sonno gli sarebbe stato negato, invece si addormentò subito. Dormiv
a profondamente quando qualcuno bussò alla porta. Si svegliò all'improvviso, balzand
o dal letto. La sua pistola era sul tavolo, dove l'aveva lasciata. L'afferrò, con
il cuore che gli batteva all'impazzata. Sentì bussare di nuovo e poi udì una voce no
ta: era Angelo.
«Apri la porta, Jimmie.»
Tolse la serratura e Angelo entrò.
«Stavi dormendo, eh? » Era sinceramente sorpreso. «Mettiti le scarpe e la giacca.»
«Tony mi vuole? Angelo scosse la testa.»
«No, ma dormirai in un altro posto questa notte. Questo non è molto sicuro, Jimmie.»
Jimmie sentì che la gola gli bruciava.
«Loro sanno... » balbettò «di Shaun... e di me?»
«Certo che lo sanno » disse Angelo con freddezza. «Hanno visto Con che tornava verso l
a città con te.»
Angelo guardò il suo orologio.
«Sbrigati » tagliò corto.
Jimmie si infilò in fretta le scarpe, si buttò la giacca sulle spalle e, dopo essers
i messo in tasca la pistola, seguì Angelo fuori dalla stanza.
«Spegni le luci e chiudi la porta a chiave » ordinò Angelo, e Jimmie ubbidì alla prima i
struzione.
Tremava violentemente. Il suo respiro era diventato un rapido ansimare, come se
avesse corso per chilometri.
Scesero le scale e uscirono sul marciapiede. Il pezzo di strada che li separava
dalla macchina era sorvegliato da due uomini. Jimmy non rivolse loro una parola,
e neppure Angelo, ma li sorpassarono.
Un quarto d'ora più tardi, Jimmie si ritrovò in un nuovo appartamento, in un piccolo
hotel, vicino alla casa di Perelli.
«Non aprire a nessuno. Domani mattina manderò qualcuno che ti porterà la colazione. To
ny vorrà vederti.»
«Dov'è Con?»
«A casa » rispose Angelo, impaziente.
Non era dell'umore adatto per rispondere a delle domande; essendo stato svegliat
o in piena notte e mandato a proteggere l'ultimo venuto dalla vendetta di Feeney
, era ansioso di tornare nel suo confortevole appartamento.
Attese fuori dalla porta, fino a quando non sentì scattare la serratura, poi entrò n
ell'ascensore.
Perelli era il proprietario dell'albergo, e Jimmie era al sicuro, per quella not
te.
Spike Milligan non andò subito alla ricerca di Jimmy: voleva occuparsi dell'elemen
to più difficile. L'appartamento di Con O'Hara era occupato: c'era una finestra il
luminata, lo si vedeva anche dalla strada. Spike andò allo spaccio più vicino e gli
telefonò.
«Sei tu, Con?»
Milligan conosceva O'Hara perché erano stati membri della stessa banda a New York.
«Sono Spike.»
«Sì? » rispose Con, molto cauto.
«Senti, Con, vorrei vederti. Shaun O'Donnell ha avuto il benservito questa notte e
pare che la banda si sciolga. Dimmi, come potremmo venirne fuori?»
Con O'Hara non era intelligente, ma aveva in comune con gli animali un certo ist
into per il pericolo.
«Ci sarebbe un modo. Vediamoci domani mattina, Spike. Ho un po' di influenza e non
sono uscito questa sera.»
«Perché non va bene questa sera? » chiese Spike.
«Perché non va bene domani mattina? » incalzò Con. Seguì una pausa.
«Va bene; ti chiamerò io e vedremo cosa fare...»
«Non lo saprai mai, se vieni da me questa notte, amico » disse Con, con un tono che
non poteva essere interpretato male.
Spike ci pensò un attimo. O'Hara era nell'organizzazione o era solo uno dei killer
che Perelli utilizzava ogni tanto?
Spike sapeva il giorno e l'ora in cui O'Hara era arrivato in città e, tutto sommat
o, probabilmente era un killer a pagamento, non protetto dall'organizzazione di
Perelli.
«Non sarà difficile arrivare a lui » pensò «e senza conseguenze.»
Era spaventato dalla signora O'Donnell, come tutti gli altri. Andare da lei e co
municare un fallimento, sarebbe stato come essere travolti da una valanga di gua
i. Ritornò dagli altri e, dopo una breve consultazione, ritornarono all'appartamen
to di O'Hara.
Entrare nell'appartamento non era difficile: c'era un portiere che era anche add
etto all'ascensore e la porta principale era aperta giorno e notte.
Quando arrivarono in vista della casa, videro una berlina venire dalla città e fer
marsi a una cinquantina di metri dall'ingresso. Le luci si spensero ma non scese
nessuno.
Spike si fermò nelle tenebre e grugnì. Entrare nell'appartamento significava prenota
rsi per un funerale di nessun valore, visto che tutta l'attenzione sarebbe stata
rivolta a Shaun. Tornarono alla macchina e si avviarono verso la casa di Jimmy.
Se anche lì avessero trovato un'automobile, non avrebbero potuto fare altro che t
ornare a casa.
Arrivarono all'abitazione del ragazzo: non c'era segno di macchine di guardia. F
ermarono l'auto a un centinaio di metri, Spike scese e si avviò a piedi verso la p
orta d'ingresso. Aprirla non era un problema: Spike aveva abitato lì per un po' e,
dopo aver parlato con la signora O'Donnell, era tornato a casa e aveva preso la
chiave.
Il corridoio era buio. Salì lentamente al terzo piano e bussò alla porta di Jimmy. N
essuna risposta. Bussò ancora, ascoltando con attenzione. Se Jimmy avesse fatto un
solo movimento nel letto, lo avrebbe sentito. Invece non sentì nulla, né uno scricc
hiolio, né rumore di passi felpati. Girò la maniglia e, quando vide che la porta non
era chiusa a chiave, capì che la stanza era vuota. Jimmy non aveva obbedito alla
seconda istruzione di Angelo.
Spike accese le luci e si guardò intorno; qualcuno aveva dormito nel letto, ma non
a lungo; con la sua esperienza, capì tutto. Perelli lo aveva fatto trasferire. Al
l'improvviso avvertì lungo la spina dorsale la premonizione di un pericolo. Se Per
elli aveva fatto trasferire il suo uomo, era perché sapeva che qualcuno lo avrebbe
cercato.
Spense le luci e scese le scale, con la pistola puntata, attento al più lieve suon
o. Il suo pollice premeva sul grilletto della sua Colt: non doveva fare altro ch
e premerlo e, chiunque si fosse trovato nel raggio dell'arma, sarebbe stato spac
ciato.
Aprì la porta d'ingresso e si fermò. Proprio davanti, sul marciapiede sul quale dove
va passare, c'era la berlina che aveva visto sotto l'appartamento di O'Hara. Rim
ase paralizzato per una frazione di secondo, poi si sentì puntare la canna di una
pistola alla schiena.
«Muoviti, Spike » mormorò una voce dietro di lui.
Venne spinto giù dai gradini mentre altri due uomini scendevano dalla macchina. Un
o di loro gli tolse la pistola dalle mani, facendo scivolare le sue dita tra que
lle di Spike per abbassare la canna.
«Cosa volete fare?»
Aveva la gola secca e la voce era ansimante. Si guardò intorno: non c'era segno de
ll'auto con i suoi compagni che probabilmente lo stavano aspettando a due isolat
i di distanza, a meno che non avessero visto la macchina. Ma, data la situazione
, evidentemente erano stati tanto stupidi da non vederla. L'uomo dietro di lui c
hiuse con gentilezza il portone.
«Andiamo a fare un giro, Spike » disse.
Fu scaraventato nella macchina a fianco dell'autista. L'auto si avviò.
«Dico, cosa avete intenzione di fare? » ripeté. «Stavo solo portando un messaggio di Sha
un a Jimmie.»
Si sentì una risata provenire dal sedile posteriore.
«Ora porterai un messaggio di Jimmie a Shaun » lo canzonò quella voce.
La macchina avanzava a velocità sostenuta e Spike non poté far altro che chiedersi d
ove si stessero dirigendo. Ogni banda aveva i suoi luoghi preferiti.
Tutti i pensieri, l'immaginazione, le speranze, i desideri, se ne andarono con u
no sparo assordante. L'autista rallentò e si accostò al margine della strada. L'uomo
che aveva sparato posò la pistola, aprì la portiera e, trascinando il cadavere sull
e spalle, lo abbandonò sulla strada. Facendo attenzione a non passare con i pneuma
tici sul cadavere, la macchina ripartì.

10.
Mike Feeney tornò da Indianapolis più preoccupato che con intenzioni vendicative. Er
a un uomo riflessivo, che non agiva d'impulso e, sebbene rimanesse turbato, ma n
on spaventato, dallo scoppio d'ira della sorella che lo salutò al suo arrivo, anal
izzò la situazione come un buon capo di racket dovrebbe fare, cioè dal punto di vist
a degli affari.
«Spike non è tornato.»
«È logico che Spike non sia tornato.»
Fu lieto di avere l'opportunità di dimostrare la sua superiorità strategica.
«È stata una follia mandare tre uomini a cercare Jimmy e O'Hara! Non hai pensato che
Perelli se lo sarebbe aspettato? Ah no, taci! » gridò, sentendo che lei alzava la v
oce. «C'è solo un modo per inchiodare Tony, e io lo conosco. I nostri ragazzi prende
ranno i loro. Così ho deciso, quindi smettila di strillare.»
Si sedette al tavolo per gustarsi un'abbondante colazione; era stanco, frustrato
e arrabbiato e, dietro il motivo immediato della rabbia, c'era la paura che ass
ale questi uomini che conducono una vita così precaria. Cercando di ricordare le c
onoscenze che aveva tra gli uomini di Perelli, considerò quale poteva essere un bu
on punto di contatto.
Angelo...?
Era stato in amicizia con Angelo, con il quale aveva avuto degli interessi comun
i, una fusione che aveva dato a Feeney il controllo su determinate aree. Mike av
eva organizzato una festa di compleanno da Bellini e Angelo gli aveva fatto la m
ezza promessa che in quell'occasione sarebbe stato proclamato un armistizio e ch
e Perelli in persona sarebbe andato a parlare con il suo rivale. Sarebbe stata u
na riunione importantissima, con la presenza di qualche giudice, che avrebbe dat
o una nota di eleganza, di solito assente in riunioni di questo genere.
Fece colazione da solo. La sua posizione era molto seria. Non c'era nessuno che
potesse prendere il posto di Shaun; c'erano molti aspetti da considerare e bisog
nava decidere una linea di azione. La sua stessa vita dipendeva dalle decisioni
che avrebbe preso...
Tony Perelli non fece colazione presto quella mattina.
Il sole era già alto e lui era ancora seduto al suo organo; le sue dita correvano
ispirate sui tasti e la sua mente era pervasa dalla musica, dimentica di qualsia
si altra cosa. Minn Lee era seduta sulla predella dell'organo, intenta a ricamar
e con assoluta precisione un dragone cinese, che l'aveva impegnata fin da quando
era andata a vivere con Tony. Era una figura estremamente complicata e lei la r
icamava senza l'aiuto di un disegno. Le forme erano delicate, bellissime... Tony
ne era orgogliosissimo ed era capace di interrompere una cena per chiederle di
mostrare ai suoi ospiti il dragone cinese. Smise di suonare, allungando le gambe
.
«Ti piace? » chiese. Lei annuì.
Teneva in grande considerazione il giudizio di Minn Lee, forse perché lui cercava
approvazione per la sua musica e lei lo approvava sempre.
«Gounod » disse. «Che peccato che non sia nato in Italia! Però è stato educato a Roma. Non
immaginavi che io lo sapessi, vero?»
Lei lo guardò con quel suo sorriso imperscrutabile che non lasciava trapelare molt
o.
«Tu sai tutto, Tony.»
Lui sorrise compiacente. Minn Lee era l'unica persona al mondo con la quale si s
entiva così soddisfatto.
«Ah, la musica » disse. «Forse, se fossi rimasto nell'orchestra di Cosmolino, sarei di
ventato un buon musicista, ma ero troppo ambizioso. Così diventai un cuoco; è arte a
nche quella!»
Aveva detto quasi il vero.
Non era mai stato davvero un cuoco, ma provava una perversa soddisfazione nel pr
oclamare che le sue origini erano più basse della realtà. Nessuno avrebbe mai sospet
tato che Antonio Perelli soffrisse di un complesso si inferiorità, ma così era. Ness
uno era più consapevole di lui dei suoi difetti a livello sociale. Una volta aveva
ucciso un suo ex maestro, un membro della vecchia banda Dominic, che aveva crit
icato un suo scritto e aveva messo in dubbio la sua cultura.
Angelo Verona entrò in quel momento; era molto stanco e non era dell'umore miglior
e. Era stato fuori tutta la notte cercando di sistemare le cose. Si tolse i guan
ti e il soprabito e, dopo aver preso dalla tasca dei giornali, li buttò su una sed
ia. Appoggiò i giornali sul tavolo e lanciò un'occhiata interrogativa a Minn Lee.
«Hai bisogno di me, Angelo?»
«Sì » rispose.
Tony si alzò e aiutò la ragazza ad alzarsi.
«Lasciaci soli, piccolo angelo cinese; ti manderò a chiamare più tardi. Vicino alla po
rta la ragazza si voltò, chiedendosi se Tony si era dimenticato della promessa.»
«Avevi detto che saresti venuto a trovarmi in camera mia... » cominciò.
«Ho detto che ti farò chiamare. » La sua voce era alterata. «Dannazione, non hai sentito

Così era Tony, il Tony che aveva quasi imparato a capire. Sorrise e se ne andò, ubbi
diente. Dopo che se ne fu andata, Perelli chiese: «Ebbene? Angelo riportò brevemente
i fatti.»
«Quel treno dal Canada: una confezione si è aperta e il liquore è andato perso.»
Normalmente, la notizia che del liquore era andato perso sarebbe stata sufficien
te per scatenare la rabbia di Tony. Questa volta, invece, se Angelo si aspettava
una sfuriata, rimase piacevolmente sorpreso.
«Abbiamo perso metà del carico? » disse Tony. «Lo sapevo. È stata la polizia di Michigan.
Sono stato io a dire loro del carico e di servirsi pure.»
Angelo grugnì e consultò i suoi appunti.
«Bene, si sono serviti! E io avevo dato cinquecento dollari al capostazione e duem
ila dollari all'ufficiale dei controlli per cercare di arginare la situazione!»
Tony disse che ne era valsa la pena. Lui non voleva guai: questo era il suo mott
o. Non voleva guai con la polizia, con le autorità federali, con Feeney o con qual
siasi altra banda.
«Cominceremo a caricare domani » disse Angelo. «È roba di prima scelta.»
Tony diede un'occhiata alla lista. Notò due o tre nomi familiari e, prima di ritor
nare a suonare, avvertì Angelo.
«Stai attento, Angelo » disse. «Quel giudice Cohlsohn vuole solo lo champagne migliore
. L'ultima volta gli abbiamo mandato succo di mela e ha sollevato un vespaio. No
n voglio guai con i giudici della Corte Suprema. E fai attenzione agli uomini di
Feeney.»
Annuì e ripeté: «Fai attenzione.»
Angelo sorrise. Era giovane e fiducioso. Per lui il colpo che si era abbattuto s
u Feeney era troppo grosso e lo considerava finito. Feeney aveva chiuso; era la
fine di un uomo che non era mai stato troppo grande.
«Non preoccuparti » sbuffò. «Feeney è pericoloso come un gattino, ora che Shaun ha avuto i
l benservito.»
Tony sorrise. Lui la pensava diversamente, ma non disse nulla, perché era tipico d
i lui non confidarsi neppure con l'uomo con il quale aveva più contatti.
«Questa è l'offesa più grave che si possa fare a Mike Feeney » commentò.
Sedette all'organo e suonò alcune note del Rigoletto. Suonò piano e con sentimento.
Rigoletto aveva la capacità di farlo rilassare, di rallegrarlo. Per Angelo, quell'
uomo era un mistero, al di là della sua comprensione, diverso dagli altri. Riprese
la conversazione con un argomento che lo infastidiva.
«O'Hara parla un po' troppo, vero? Tony voltò pigramente il viso.»
«È irlandese, e viene da New York. Non può farne a meno.»
Offeso da questa indifferenza, Angelo disse: «Ha una donna favolosa.»
La musica s'interruppe all'improvviso e Tony si voltò. La faccenda si faceva inter
essante: le donne danno una sfumatura romanzesca alla vita, sono i fiori del gia
rdino dell'esistenza di un uomo.
«Davvero? » Gli occhi gli brillarono e Angelo mormorò qualcosa.
Lui era poco interessato alle donne. Odiava la loro intrusione negli affari. Era
offensivo con tutte, tranne che con Minn Lee. Verso di lei era stranamente gent
ile, stranamente per quelli che lo conoscevano. Aveva abbandonato i suoi modi br
uschi per renderle la vita più piacevole. Ora...
«Sono stato stupido a parlare di donne » disse. «Questo è il problema, Tony: perché non ti
concentri sugli affari ancora qualche anno, e poi ti prendi una bella vacanza?
Per quella faccenda del giudice...»
Ma Tony non voleva cambiare discorso.
«È davvero carina, la donna di O'Hara? È strano che tu l'abbia notata. Non ricordo di
averti mai visto posare gli occhi su una donna prima d'ora. E se tu dici che è car
ina...»
«Non lo sono tutte? » chiese Angelo, annoiato. «E comunque, cos'è la bellezza? solo un b
el faccino!»
«È ben fatta? » chiese Tony, con lo sguardo fisso sul compagno.
«Dipende » rispose Angelo, con cautela.
«Bionda? » chiese l'altro e Angelo aprì deliberatamente il suo blocco per appunti, per
distrarsi.
«Non so proprio cosa mi abbia spinto a parlare di lei » esclamò sconcertato. «È la prima v
olta da quando Minn Lee è qui che...»
«Lasciala perdere » disse Tony con voce tagliente. «Dimmi di questa ragazza. È davvero s
oignée?»
Angelo scosse la testa.
«Non so neanche cosa diavolo significhi » disse. «Quello che so è che è grossolana ma che
si veste elegantemente. È quel tipo di donna che vedresti in casa tre giorni alla
settimana.»
Ma Tony premeva per i dettagli. Aveva un sesto senso che gli segnalava i casi st
raordinari e si rese conto che la donna di O'Hara doveva esserlo. Ma aveva un du
bbio.
«O'Hara, quel maiale, come ha fatto a trovare una così bella ragazza? » chiese. «È grasso,
chiassoso e ignorante.»
«Se cominci a chiederti cosa le ragazze trovino negli uomini, non troverai mai una
risposta » disse Angelo, guardando l'orologio. «O'Hara arriverà tra qualche minuto; g
li ho telefonato io questa mattina. Spike l'ha cercato nel suo appartamento, la
scorsa notte.»
Con un'alzata di spalle, Tony riprese a suonare. Sentì Angelo chiudersi la porta a
lle spalle e, cinque minuti dopo, suonò il campanello. Kiki stava posando la sua c
olazione sul tavolo: un toast, un frutto e caffè nero. Tony era astemio: sognava d
i recuperare la linea di un tempo.
«Vai alla porta, Kiki » disse e, sentendo la voce nell'anticamera, sorrise. O'Hara!
Era impossibile che lui possedesse qualcosa che Perelli desiderava. Con entrò: sem
brava in gran forma, rasato e agghindato, consapevole di aver fatto un buon lavo
ro. Vedendo Tony all'organo, sorrise. Disprezzava le inclinazioni artistiche di
Perelli; ai suoi occhi di gangster implacabile, la musica gli sembrava una debol
ezza da donna.
Non aveva mai avuto paura di Tony, anzi si considerava superiore. Provava un dis
torto disprezzo per le razze latine, tipico delle razze celtiche, molto più vicine
ai latini dei più sobri nordici. Dopo aver ascoltato le note, per lui incomprensi
bili, interruppe la musica con la sua voce imponente.
«È buffo » ridacchiò «suonare il piano come in chiesa. Ieri c'era anche un chirichetto che
cantava. Era straniero, vero, e al diavolo se ci ho capito una parola.»
Tony lo guardò con freddezza. Con era appena tollerabile quando parlava di cose ne
lle quali era competente, ma come critico musicale era davvero ridicolo. Come cr
itico di Tony poi, rischiava grosso.
«Quell'uomo ha cantato alla Scala di Milano » disse, ma l'informazione non aveva sig
nificato per Con.
«Accidenti! Quei cantanti sono dappertutto, vero? » disse in tono di ammirazione. «Que
l tizio mi ha fatto proprio ridere!»
«Ti sei divertito?»
Se Con avesse conosciuto meglio Tony, avrebbe capito che era il momento di tacer
e. Non era certo questo il modo in cui Con avrebbe dovuto presentarsi quel giorn
o. Tony aveva una grossa preoccupazione: aveva letto quattro giornali quella mat
tina e tutti e quattro riportavano la stessa storia.
«Già. Ma io non sono il tipo che ride per niente » disse Con.
Entrambi sentirono il rumore di una sirena. Tony si alzò e andò sul terrazzo, per gu
ardare in strada. Era una macchina della polizia che correva lungo Michigan Boul
evard.
«Mmm » borbottò Con. «Sono indaffarati questa mattina! Non sanno far altro che girare pe
r le strade a sirene spiegate! Permetti? » Allungò la mano per prendere un pezzo di
toast dal vassoio.
La lama del coltello di Tony gli sfiorò la mano. Con la ritirò con una bestemmia e g
uardò l'uomo che aveva osato dirigere un coltello contro le sue dita. Socchiuse le
palpebre e fece una smorfia.
«Cosa ti salta in testa? » chiese, lentamente.
«Non ti ho mai invitato a fare colazione con me, amico » disse Tony con freddezza. «Se
hai fame, ordinerò a Kiki di portarti qualcosa da mangiare. Hai letto i giornali
questa mattina?»
Indicò la pila di giornali sul tavolo.
Con O'Hara non leggeva i giornali. Affermava che erano pieni di menzogne ma, poi
ché Tony insisteva, prese il Tribune.
«In prima pagina, in alto, per favore.»
Lesse ad alta voce, con qualche difficoltà, perché non era un grande letterato.
«Shaun O'Donnell, capo di un racket dei liquori, è stato ucciso da due killer. Era l
'uomo più in vista della banda di Feeney. Il capo detective Kelly pensa che sia st
ato giustiziato dalla sua stessa banda...»
«Rise. » Giustiziato dalla sua banda! Feeney impazzirà per questo.
Tony annuì. Non aveva fatto uccidere Shaun per irritare suo cognato; la vita era t
roppo seria per perdere tempo cercando di suscitare reazioni negli altri.
«Vai avanti » disse «se sai leggere.»
O'Hara gli lanciò un'occhiataccia e, dopo aver ripreso il giornale, ricominciò a sil
labare.
La scorsa notte, Patrolman Ryan, della stazione di Maxwell Street, dopo aver sen
tito degli spari, è corso in quella direzione e ha rinvenuto il cadavere di Shaun
O'Donnell. È stato colpito...
Diavolo, c'ero anch'io lì! Tony sorrise.
«Lo so. È per questo che l'articolo è così interessante per me. O'Hara si morse le labbr
a carnose.»
«Il ragazzo ha sparato una o due volte, ma non c'è stato problema perché io sono sceso
dalla macchina con la mia pistola prima che Jimmie sparasse il primo colpo. Non
mi piace perdere tempo, Tony. Era già tutto finito e noi eravamo già sulla Michigan
Avenue prima che il poliziotto arrivasse.»
Tony Perelli sorrise di nuovo.
«Va bene! Ma Shaun era morto?»
«Se era morto? » esclamò l'altro. «Ascolta bene: quando io punto la mia pistola contro q
ualcuno, si può mettere tranquillamente il "fu" prima del suo nome.»
Perelli si appoggiò allo schienale della sua sedia, mordicchiando uno stuzzicadent
i.
«E tuttavia » disse con voce soave «era ancora vivo quando l'hanno trovato. Seguì un sil
enzio che per Con O'Hara fu molto doloroso.»
«Come è possibile? » chiese incredulo.
«Era vivo » disse Tony «ed è stato portato al Brothers' Hospital, dove Harrigan lo ha vi
sto. Ridi ancora?»
O'Hara era stato preso alla sprovvista. Se avesse almeno letto i titoli dei gior
nali, avrebbe potuto prepararsi a questa sfuriata o almeno inventare una scusa.
«La colpa è di quel ragazzino » disse. «Te l'avevo detto che non lo volevo tra i piedi.
Senti, si è sentito male non appena ha preso in mano la pistola. Io non avrei mai
mancato Shaun.»
Il sorriso di Tony non prometteva nulla di buono.
«Capisco. Dunque, lui l'ha mancato, ma tu l'avevi ucciso, fino a poco fa, ed è per q
uesto che all'una di questa notte era ancora vivo con Harrigan che gli sussurrav
a: "Parla, per amore della tua vecchia madre!".»
La notizia sconvolse O'Hara: un'accusa di incapacità nell'arte che conosceva così be
ne! Uccidere per lui era come prepararsi un panino. Tony lo guardò stranamente.
«Sei venuto da New York, un killer in gamba dai Five Pointers. "A New York non fac
evamo questo, a New York facevamo quello". A Chicago, amico, io ti mando in un s
emplice agguato, e cosa succede?»
O'Hara aveva trovato una scusa.
«Quel ragazzo... lui mi ha mandato in confusione » balbettò.
«Davvero? » lo interruppe Perelli. «In gamba eh! Sci tutto cervello! L'uomo si voltò ver
so di lui, con la rabbia sul viso, e Perelli, ottimo conoscitore dell'animo uman
o e che sapeva quando doveva fermarsi, non gli risparmiò un'ultima battuta sarcast
ica.»
«Bene, comunque, adesso è morto » grugnì l'altro.
«Sì » disse Perelli, mostrando i denti bianchi in un delizioso sorriso. «Tutti moriamo,
prima o poi. Solo che quando io indico un uomo, non è di vecchiaia che costui deve
morire. Ecco tutto!»
«Ora, ascolta...»
«Questo è tutto. » Perelli tagliò corto su ulteriori scuse. «Non voglio essere sgarbato, m
a aspetto Mike Feeney.»
Proprio mentre parlava, suonò il telefono. O'Hara alzò il ricevitore, ma Tony glielo
strappò dalle mani.
«No, Con. Potresti rispondere a uno e metterti a parlare con un altro!»
Era Feeney, che vomitò una serie di ingiurie così violente e incoerenti, che fecero
vibrare il ricevitore. Perelli immaginò che stesse parlando alla presenza della so
rella.
«Il signor Perelli non è in casa... » incominciò, ma dall'altra parte del filo arrivò una
serie di insulti che fecero allargare il sorriso di Tony. «Non usare quel linguagg
io con me, signor Michael Feeney! Posso essere tutto quello che hai detto, ma ne
mmeno alle signore della Centrale piacerebbe essere chiamate in questo modo. Ti
dico... io non... ascolta... ottuso di un irlandese! Io non so niente di Shaun O
'Donnell. Sul giornale c'è scritto che l'avete fatto fuori voi... Oh, amico mio, s
ei come un'opera tedesca. Ti dico che non so... Te lo giuro per la Santa Madre d
i Dio... » Fece il segno della croce. «Non lo so. O'Hara? Non essere assurdo!»
«Digli da parte mia... » cominciò Con, ma Tony lo azzittì con lo sguardo e continuò con pa
role offensive.
«Quello è troppo stupido; non lo manderei neanche ad ammazzare un gatto. È uno di quel
li che parlano tanto ma che non sanno agire. Ascolta, Mike. Ascolta! » La voce div
enne un sibilo. «Tu e i tuoi gorilla avete violato il mio territorio... sì! È stato Sh
aun a mettere sottosopra uno dei miei locali l'altra notte e a rubarmi un carico
di liquore, sì, so anche questo! Io non voglio guai. Ti dico io cosa stai facendo
. Stiamo rovinando un grosso affare? Incontrarti all'angolo della Michigan con l
a venticinquesima? E da lì dove finisco io? Sotto terra? Senti, non vorrai farmi f
uori? Perché non vieni qui?»
Con ascoltava, molto agitato.
«Non fidarti di quel tipo... » cominciò, ma Tony lo azzittì con un gesto.
«Va bene, va bene. Ti incontrerò. Davanti agli uffici del Tribune. Per me va bene. C
i potrà essere una macchina dei tuoi uomini per starti dietro: ti assicuro. Certo
che voglio trattare. Poi verremo qui: tu e io, senza armi. O.K., alle undici in
punto. » Appese il ricevitore e suonò il campanello.
«Ora ascolta... » cominciò O'Hara mentre Angelo entrava in tutta fretta.
«Devo incontrare Feeney » spiegò Perelli conciso. «Fai in modo che io sia coperto.»
Aveva parlato in italiano.
«Feeney? » Gli occhi di Angelo si spalancarono.
«Non fare quella faccia da imbecille » disse Perelli con impazienza. «Sistema le cose.
Devo incontrare quell'uomo! Oggi non ci saranno guai; domani, sicuro, dopodoman
i, ancora di più, ma oggi no! Lo incontrerò. Sarà molto interessante.»

11.
O'Hara ascoltò con impazienza il discorso che si svolgeva in italiano tra i due. L
a sua importanza si era molto indebolita, la sua vanità era un tenero germoglio ch
e cresceva in un terreno avverso. Per due o tre volte cercò di entrare nella conve
rsazione, ma non riuscì mai a farsi notare da nessuno dei due. Era ormai consapevo
le del suo ruolo, del ruolo che gli avevano dato: quello di un servo, e nemmeno
molto importante. Lui, Con O'Hara, che era stato luogotenente dei Five Pointers.
«Hey, ci sono anch'io o no? » disse, ma gli altri non lo notarono. «Voi non sapete ric
onoscere un tipo in gamba. Hey senti, Tony, tu non mi stai trattando onestamente

Quando era seccato la sua voce diventava rauca; ora era un muggito.
Angelo si voltò verso di lui con sguardo languido, sostenuto e insolente.
«Vuoi vedere la tua donna? » chiese. «Ti aspetta nella hall.»
O'Hara non fece caso allo sguardo di Tony, altrimenti non avrebbe sorriso come f
ece. Era molto orgoglioso di Maria ed era ansioso di mostrarla agli altri, con c
erte riserve.
«L'aspetto qui » disse, mentre Angelo usciva.
«La tua donna? » La voce di Tony era amichevole, quasi una carezza. «Hai una donna, eh

O'Hara ridacchiò.
«Sicuro! Non sono un essere umano? Tony lo guardò pensieroso.»
«È carina?»
O'Hara alzò le sopracciglia, fingendosi sorpreso.
«Ma tu non l'hai mai vista, Tony?»
Nessuno sapeva meglio di lui che Tony non l'aveva mai incontrata.
«No, mai » rispose Tony gentilmente. «È graziosa? O'Hara annuì ridacchiando.»
«È fantastica! » disse.
Era la prima volta che Perelli lo vedeva entusiasta per qualcosa. In quel moment
o O'Hara si lasciò scappare una domanda che aveva avuto sulla punta della lingua p
er molto tempo.
«Sai, Tony, non capisco perché tu perda tempo con una muso giallo.»
Il sorriso abbandonò il viso di Tony. Il colore che il nuovo interesse aveva provo
cato sul suo volto lasciò il posto a quello solito, che era una via di mezzo tra i
l marrone e il grigio.
«Non usare un simile linguaggio!»
Non era più l'amico: era tornato a essere il padrone. O'Hara avvertì il tono minacci
oso e fece marcia indietro.
«Ascolta » disse ansioso «io non ho nulla contro Minn Lee, anzi, è una ragazza molto bel
la.»
Il sorriso riapparve sulle labbra di Perelli. Lodare ciò che possedeva e le sue qu
alità personali era il modo migliore per riappacificarsi con lui.
«Sicuro » annuì «ma non bella come la tua, eh?»
O'Hara non lo disse, ma lo pensò. Per lui, una cinese restava sempre una cinese, q
ualcosa di estraneo, che non avrebbe mai potuto essere uguale a lui.
«Falla entrare » suggerì Tony. O'Hara esitò.
«Davvero desideri incontrarla? » chiese e, quando Tony rispose di sì, l'esitazione tor
nò a farsi più forte.
Perché Perelli la voleva vedere? Era sempre così assorbito da Minn Lee che non aveva
mai espresso neppure il desiderio di incontrare un'altra donna. O'Hara lo aveva
visto a certe feste, completamente incurante della presenza di molte belle raga
zze.
Pensò che un piccolo avvertimento bastasse.
«Lei è pazza di me » disse.
«Deve esserlo » disse Tony, ma l'altro non avvertì il suo sarcasmo. «Dai, vai a prenderl
a. » Si voltò per uscire. «Ci andrò io » disse, ma O'Hara lo trattenne per un braccio.
«Aspetta un attimo. Ci vado io. Niente scherzi, Tony! Guardò con aria di sfida il su
o capo.»
«Sicuro, niente scherzi.»
Perelli era divertito. Interpretò l'imbarazzo di O'Hara come un tributo al proprio
fascino e ne fu lusingato. Probabilmente era una donna sciocca, eppure il suo i
stinto...
«Siamo molto legati uno all'altra » disse piano O'Hara «e ci saranno guai se qualcuno
cerca di intromettersi.»
«Questa è una cattiva notizia.»
Il commento era troppo sottile perché O'Hara lo capisse.
«Chi si dovrebbe intromettere?»
«Io so come siete voi mediterranei » grugnì O'Hara e Tony gli mostrò tutti i denti in un
sorriso.
«Mediterranei? È una simpatica parola. Forse, se io ti concedessi più tempo, riuscires
ti a trovarne una anche migliore. » Mise una mano sulle spalle dell'altro. «Sei un b
el tipo, Con. Farò un mucchio di soldi grazie a te.»
Mentre O'Hara usciva, chiudendosi la porta alle spalle, il sorriso di Perelli di
ventò una maschera di malignità e pronunciò qualcosa in italiano che non erano certo c
omplimenti per O'Hara e per la sua famiglia.
Prese dalla tasca una piccola bottiglietta dorata e spruzzò del profumo tra le pie
ghe della sua elegante giacca.
In un certo senso Perelli era un esteta: amava le cose belle e i profumi rari ch
e importava per suo uso personale. Si lavava le mani con l'acqua di rose e Angel
o, economista nato, aveva calcolato che un bagno costava a Perelli circa venti d
ollari.
Quando Con tornò, lui stava guardando la porta, ma i suoi occhi erano solo per la
donna che entrò con O'Hara.
Perelli era un uomo che amava sognare le donne e non aveva mai incontrato una ra
gazza che corrispondesse alla creatura della sua immaginazione. Ora, l'aveva inc
ontrata. Bionda, con un corpo perfetto. Se l'era immaginata bella come una stell
a, e non rimase deluso. Possedeva la figura, i gesti della donna dei suoi sogni
e da quel momento non esistette nessun altro al mondo tranne quella donna che si
faceva chiamare O'Hara, ma che era in realtà Maria Pouluski.
La fissò come se i suoi sogni si fossero materializzati davanti a lui e, in lontan
anza, sentì la voce di O'Hara.
«Ti presento il signor Perelli, Maria.»
Le prese la mano, piccola e soffice, con le dita lunghe e affusolate. La strinse
per un secondo e poi, chinandosi, la baciò. La sua voce era un po' più stridula di
quanto non si sarebbe aspettato, ma questo non ruppe l'incantesimo. Gli sembrò che
fosse come musica, dolcissima e gentile.
«Ho sentito parlare moltissimo di voi, signor Perelli » disse Maria. Con li osservav
a con la fronte solcata da una ruga.
«Sicuro, io le parlo sempre di te, non è vero dolcezza?»
Le aveva parlato molto di Perelli, ma non sempre con tono complimentoso; qualche
volta era stato anche offensivo. Le aveva sempre parlato di Tony come di uno ch
e stava sul suo stesso piano; ora lei avrebbe visto le differenze.
La ragazza era un po' imbarazzata dal silenzio di Perelli, ma era molto compiaci
uta per quello che gli leggeva negli occhi. Maria Pouluski era molto svelta in c
erte questioni. In quegli occhi vide tutte le opportunità e le possibilità che erano
sempre state al di là di qualsiasi suo sogno. Con le aveva molto parlato di Tony,
ma lei ricordava chiaramente una sola frase: Quel tizio vale dieci milioni di d
ollari, forse anche venti. Ora quell'uomo era lì, e la guardava come tutti gli alt
ri ammiratori che bramavano per portarla fuori a cena.
«Mi piacerebbe conoscere la signora Perelli » disse. «È una signora orientale, vero?»
Tony si voltò lentamente verso il suo killer e sorrise ironico.
«Signora orientale! Hai sentito, irlandese? Lei non ha detto "cinese". Ha detto "s
ignora orientale". Te ne ricorderai, spero? » Si voltò verso la ragazza. «Lo è per metà: p
er l'altra metà è americana.»
Sollevò un braccio e, per un attimo, lei pensò che stesse per abbracciarla e sentì acc
elerare i battiti del cuore. Non si faceva illusioni su Con: era lento in tutto
tranne che con la pistola; poteva sparare così rapidamente che nessuno avrebbe vis
to neppure il movimento della mano.
Ma Perelli voleva solo aiutarla a togliersi il cappotto.
«Lasciate che lo prenda io » disse, alzandolo per un attimo e guardandolo con un sor
riso di compatimento.
O'Hara stava diventando nervoso e lo guardava con rabbia crescente.
«Noi andiamo, Maria, preparati » disse ad alta voce, ma Tony lo ignorò.
«Vi piace Chicago? Lei annuì.»
«È un posto molto elegante.»
«Meglio di New York? » chiese, lanciando un'altra occhiata al cappotto appoggiato su
una sedia. «Abbiamo bellissimi negozi, eleganti pelliccerie e boutique. Favolosi.
Potremmo fare un po' di shopping, un giorno.»
O'Hara era rimasto in piedi, indeciso: l'ospitalità poteva giustificare un così scon
veniente invito? Non conosceva abbastanza bene Perelli per risentirsi di quella
frase. Pensò che i tipi come lui fanno sempre un mucchio di promesse che non mante
ngono mai.
«Forse » continuò Tony «potremmo farci mostrare delle giacche di zibellino. La risata di
lei era musica per le sue orecchie.»
«Giacche di zibellino! Dite, volete confondermi?»
Nonostante la risata, era consapevole della disapprovazione di Con e si voltò vers
o di lui.
«Il tuo amico è molto gentile. Ecco, io ho solo quel modello... » disse, guardando il
suo cappotto.
Fino a quella mattina, era molto orgogliosa di quel capo; ora le sembrava uno st
raccetto e si accorse che era un po' liso sulle maniche; inoltre era un modello
dell'anno prima!
O'Hara pensò che fosse suo dovere giustificarsi.
«Quel modello mi è costato duemila dollari » disse deliberatamente. Tony rise.
«Duemila dollari! Io ne spendo di più per un collo di pelliccia!»
In quel momento entrò Angelo e Tony captò il suo sguardo. L'irlandese era troppo occ
upato a guardare l'orologio per accorgersi di quell'occhiata d'intesa.
«Hey, guarda che ore sono! » Era un pessimo attore. «Andiamo, dolcezza, o faremo tardi
all'appuntamento.»
«Ti vogliono al telefono, Con.»
Angelo era stranamente gentile. Non chiamava quasi mai O'Hara per nome.
«Me? » chiese incredulo. «Chi può essere? Nessuno sapeva che sono qui... non puoi passar
mi la linea qui?»
Angelo lo guardò stranamente.
«È il Dipartimento di Polizia » bisbigliò. «Almeno, così hanno detto. Forse loro sanno che
ei qui.»
«Kelly sa tutto » commentò Tony.
O'Hara esitò. L'ultima cosa che desiderava era lasciare la sua donna sola con Pere
lli. Li guardò, indeciso.
«Non fare aspettare al telefono » disse Perelli. «Voi restate qui, signora O'Hara... v
edrete Chicago dalla mia terrazza.»
Guardò O'Hara con le palpebre socchiuse.
«Cosa stai aspettando? » disse bruscamente.
La ragazza capì che era una scusa per allontanare Con. Lei non aveva dubbi: la fac
cenda aveva preso il corso che desiderava. Era curiosa di scoprire che metodo di
approccio Perelli avrebbe usato. Quasi non si accorse che il suo uomo aveva las
ciato la stanza.
C'erano molte cose da ammirare in quel salone: i dipinti erano la copia esatta d
i quelli del Palazzo dei Dogi e la terrazza era preceduta da un arco di marmo bi
anco, sostenuto da esili colonne in stile veneziano.
«È un salone fantastico, signor Perelli, quasi come una chiesa! Non ne vedo uno così d
a quando ho lasciato... » Non specificò la città, né lo stato e neppure il continente ne
l quale aveva visto l'interno della cattedrale.
Uscì sulla terrazza e si sentì un braccio intorno alla vita. Tony le accarezzò il ment
o e, portandole il viso leggermente all'indietro, la baciò. Lei non era preparata
a questo, era stato troppo improvviso. Cercò di lottare debolmente; lui non la ten
ne stretta a lungo e quindi la lotta durò poco, ma quando la lasciò, lei respirava a
fatica.
«Voi siete impazzito! Non mi avete mai vista prima d'ora » disse, senza fiato.
«Vi piace questo luogo? » chiese lui con ardore. «Bello, vero? Dove vivete, Maria?»
Bruciava dalla passione. I suoi occhi la divoravano. La mano che lui le appoggiò s
ulla spalla ardeva.
«Dove vivete?»
Liberandosi dalla stretta di lui, Maria si allontanò leggermente.
«Abbiamo un appartamento a State » disse.
«Quattro camere e un bagno?»
«A me bastano!»
«Nulla è degno di voi.»
L'afferrò di nuovo e la baciò con tale passione che nessuna donna avrebbe potuto rib
ellarsi.
«Siete impazzito a baciarmi in questo modo! » ansimò lei. «Se Con sapesse che voi...»
«Con! » esclamò lui.
La strinse prepotentemente per la vita e, chinandosi verso il suo volto, cercò i s
uoi occhi.
«Se Con sapesse! Lo farei davanti ai suoi occhi; non chiederei di meglio. Stava tr
emando e la sua voce fremeva. Mai nella sua vita Maria Pouluski aveva fatto un'i
mpressione così repentina e violenta. Era eccitata, ma anche un po' spaventata.»
«Siete pazzo? » balbettò. «Vi ucciderà...»
Perelli rise. Qualcuno una volta aveva detto che Tony Perelli aveva un fatale se
nso dell'umorismo: chi lo conosceva sapeva bene che non era mai così malvagio come
quando rideva.
«Se davvero corressi questo rischio, sarei un pazzo » disse e, dopo averla improvvis
amente lasciata, si tolse dal mignolo un anello con una luccicante pietra bianca
. «Guardate! Prendetelo.»
Lei afferrò il gioiello, cercò di restituirglielo, ma lui le prese la mano e glielo
infilò al dito.
«Prendetelo!»
Cosa significava? Maria temette che lui la stesse prendendo in giro.
«Ma non posso... oh, è stupendo!»
Cinquemila dollari, forse anche di più. Era grosso come una nocciola, e al suo dit
o, appariva come un gioiello bellissimo, bianco, luccicante, nel quale riverbera
vano tutti i colori.
«È vostro » disse Tony. «Forse ve ne darò un altro come questo, un giorno. Lei guardò la pi
tra, come paralizzata.»
«Santo cielo! » ansimò. «Non è favoloso?»
«Darò un party questa sera » disse lui in fretta perché Con poteva tornare da un momento
all'altro. «Ci sarà tutta la più bella gente della città. Verrete anche voi... insieme
a Con.»
«Con dice che... » cominciò lei.
«Con! Con! » esclamò Tony con impazienza. «Voi verrete!»
«Se Con... » ripeté Maria.
«Verrà. » Tony annuì e guardò verso la porta. «Dormirete qui: ci sono moltissime stanze, al
eno sette o otto che nessuno usa. Vi darò una suite vicino al mio studio.»
Lei fece un ultimo disperato tentativo di riguadagnare una parvenza di rispettab
ilità.
«Non potete parlarmi in questo modo, signor Tony Perelli » disse. «Stare qui...! » Si er
a lasciata cadere su un lussuoso divano. «Non potete pensare che, siccome avete tu
tto il denaro del mondo... potete permettervi questa sfrontatezza.»
«Zibellini e chiffon » disse Tony con ardore. «Io pago cinquanta dollari per un paio d
i calze, anche cento. Avete bisogno di soldi?»
All'improvviso prese dalla tasca un rotolo di dollari. Per un attimo, lei rimase
terrorizzata.
«Per Dio onnipotente! Chi pensate che io sia?»
Ma era di nuovo tra le braccia di lui, mentre le sue labbra divoravano quelle di
lei; poi, un rumore dall'anticamera lo fece balzare in piedi. Con entrò, sospetto
so. Rimase un attimo sulla porta, osservandoli.
«Cosa avevi in mente? » chiese lentamente. «Il Quartier Generale non mi voleva affatto
. » Fissò Maria. «Cosa ti è successo? » grugnì.
La sua domanda era giustificata: il viso della ragazza era arrossato e i suoi oc
chi fiammeggiavano. C'era un'atmosfera di mistero, ma era un mistero che poteva
risolvere perfino lui.
Lei si sforzò di sorridere e gli tese la mano.
«Guarda cosa mi ha dato il signor Perelli.»
Lui guardò l'anello e poi alzò lentamente gli occhi su Tony.
«Ti ha dato questo anello, vero? E perché? Fu Tony a rispondere.»
«Gliene darò altri, se lo desidero, semplicemente perché è tua moglie. » Batté una mano sul
e spalle di O'Hara: era un attore migliore di lui. «È un tipo in gamba, Maria. Ti ch
iamerò così e tu devi chiamarmi Tony, eh? Il posto di Con è al mio fianco. Posso fidar
mi solo di lui. È davvero in gamba, sicuro!»
O'Hara si era raddolcito. Era un uomo semplice e la prospettiva di guadagnare di
più era più importante di molte altre cose. Poteva sempre farsi coraggio, ricordand
o a se stesso la fiducia che aveva nella donna che chiamava sua moglie, tuttavia
...
«Va bene » disse, guardando Maria con occhi critici, quasi minacciosi. Suonò il telefo
no e Tony andò dall'altra parte del tavolo per rispondere. Lentamente, O'Hara si a
vvicinò alla donna.
«Quel damerino ti ha infastidito? » chiese a bassa voce. «Ha cercato di baciarti o alt
ro?»
«Oh no, Con! Doveva solo provarci.»
La sua sorpresa e la sua indignazione avrebbero ingannato molti uomini; Con si c
onvinse a metà.
«Quel bellimbusto può impazzire dietro una ragazza » disse «se è il suo tipo. Tu non lo se
i: vedi, lui vede solo Minn Lee...»
«Questa è una buona notizia » disse una voce dolce, e Con si voltò.
Imbarazzo per Maria. Osservò la snella figura che si avvicinava. Alcune di queste
donne cinesi possono essere carine ( Maria si ricordava di una ragazza che andav
a con lei alla scuola di Brooklyn e di un'altra che aveva visto in un ristorante
cinese di New York), ma questa non era interamente cinese e questo la sconcerta
va. Non era in grado di analizzare la sottile differenza che c'era tra Minn Lee
e le altre ragazze cinesi che aveva incontrato, ma sentiva che c'era una diversi
tà. Era un qualcosa di così ovvio che trascendeva un'analisi.
Tragedia per Minn Lee. Aveva osservato Tony al telefono, con lo sguardo fisso su
lla ragazza. Conosceva quello sguardo, conosceva il tipo ideale per il suo uomo.
Questa era una strana circostanza, perché Tony stesso non avrebbe saputo definire
che cosa gli piacesse di più.
O'Hara guardò la ragazza, il cui arrivo lo distrasse da una situazione che stava d
iventando intollerabile.
«Maria, ti presento la signora Perelli » disse.
Prendendo la piccola mano di Minn Lee tra le sue, Maria fu, come era nel suo car
attere, esageratamente complimentosa. Dichiarò che il vestito di Minn Lee era stra
ordinariamente bello e che lei era particolarmente graziosa.
Minn Lee, guardandola con gravità, capì che era arrivata la donna che inevitabilment
e sarebbe dovuta comparire. Poteva affrontare tutto con filosofia, ma non questo
. Forse nel suo cuore c'era la speranza di poter ancora far valere le sue virtù.
«Carina, eh? » sorrise, posando la sua mano carezzevole sulla spalla di Minn Lee. «Mad
ame Butterfly.»
Maria lo guardò con occhi interrogativi.
«Davvero? Quando ho sentito parlare della signora Perelli... O'Hara le andò in aiuto

«Non essere sciocca, baby. Madame Butterfly è il personaggio di un libro.»
«Madame Butterfly era giapponese » disse Minn Lee, intervenendo in aiuto di entrambi
, collocando la dama al suo posto nella letteratura. «È un'opera di Puccini... Tony
la suonerà.»
«Forse questa sera! » affermò Tony. Stava fissando Maria.
«Cosa ne pensate di lei? Graziosa, vero? Mostra a Maria i tuoi anelli, cara.»
La ragazza mostrò ubbidiente la mano e Perelli la prese, indicando tutte le prove
dalla sua generosità. Anelli, bracciali: catalogò tutti i gioielli di lei, con tanto
di prezzo.
Maria ascoltava esterrefatta, colpita dalle cifre. Minn Lee non disse nulla; rim
ase ad ascoltare in silenzio le lodi sui suoi gioielli, le sue stole di pellicci
a e le sue giacche di ermellino. Tony fu esplicito perfino sui capi di biancheri
a intima, per i quali aveva pagato cifre favolose. Lei aveva tutto il denaro del
mondo.
Maria guardò prima la ragazza cinese, poi Tony, poi il tarchiato irlandese e infin
e quel lussuoso appartamento e tutto quello che significava: scalata sociale, po
tere, soldi. E prese la sua decisione.
O'Hara ascoltava e provava delle sensazioni confuse. Gli uomini facevano sempre
molti complimenti a Maria, e lui ne era lusingato. La sua reputazione era tale c
he certamente nessuno degli ammiratori di Maria avrebbe osato oltrepassare i lim
iti. Inoltre, c'era sempre quella legge non scritta per cui le donne non devono
interferire con gli affari. Le donne erano "beni mobili" nel suo mondo. Aveva av
uto degli interessi in certe "case" e ne aveva estorto larghi profitti. Un uomo
poteva avere qualche affetto isolato, come in una scuderia, un allevatore può aver
e il suo cavallo preferito e sentire un sincero dispiacere se per determinate ci
rcostanze, la bestia deve essere abbattuta. Più che la gelosia, era la stranezza d
ella situazione che lo disturbava.
«Ora andiamo » mugugnò.
All'improvviso, Tony si rese conto della presenza di Con.
«Ho bisogno di te, Con » disse. «Vai a prendere il ragazzo, Jimmie. Tua moglie può resta
re qui ad aspettarti. Minn Lee, mostra alla signora O'Hara il giardino. È lì che dia
mo i nostri party » le spiegò.
«Un'altra volta » borbottò l'irlandese. «La signora O'Hara ha un appuntamento e dobbiamo
proprio sbrigarci, ora.»
Per un attimo, Tony sembrò cedere all'autorità di O'Hara.
«Va bene, arrivederci. » Prese la mano di Maria. «Verrete al party? Lei guardò gli occhi
di Con, che dicevano "no".»
«Non sono sicura di potere... » cominciò.
«Verrete e vi sistemerete qui. Minn Lee, daremo a Maria la suite sulla Avenue. Era
un ordine. Lei cercò nuovamente un incoraggiamento da parte di Con, ma non lo tro
vò.»
«Viviamo a soli otto isolati da qui » disse lei, esitante. Tony sorrise.
«Starete con noi.»
«A me non piace dormire in strani appartamenti » interruppe O'Hara. Perelli lo guardò
freddamente.
«Ti sentivi a casa tua a Sing-Sing? » disse, ironico.
C'era aria di guai. Maria lo sentì nell'aria. Minn Lee si trovava sotto l'arco che
separava la terrazza dall'appartamento. Anche lei lo sentì. Guai, guai tragici: n
on erano una novità per lei.
Sorrise meccanicamente quando la donna le si avvicinò, voltandosi leggermente per
avere una visuale più bella.
Per Con O'Hara era venuto il momento di affermare il suo punto di vista. Tony st
ava accendendosi un sigaro e guardava pensieroso le due donne, apparentemente di
mentico della presenza dell'altro uomo, fino a quando questo non gli si parò davan
ti.
«Devo dirti un paio di cose. » Abbassò la voce perché le donne sulla terrazza non sentis
sero. Il tono era minaccioso.
Un uomo normale si sarebbe intimorito, ma Perelli non era un uomo normale. Sapev
a esattamente cosa avrebbe detto quell'individuo che aveva sempre addosso un odo
re di whisky misto a un profumo economico che lo irritava parecchio. Lentamente,
spostò lo sguardo dalla terrazza all'uomo che gli stava di fronte.
«Non venirmi tanto vicino, amico » disse piano.
«Bada bene. » O'Hara gli puntò un indice accusatore. «Non voglio che ci siano...»
«Mi dai fastidio. » La voce di Tony era quasi carezzevole.
Perelli non indietreggiò, ma O'Hara gli andò più vicino. Il suo volto era a pochi cent
imetri da quello di Tony.
«Lascia in pace Maria...»
Perelli si tolse il sigaro dalle labbra e, con una velocità che non lasciò all'altro
il tempo di reagire, lo spense contro il volto di O'Hara. L'irlandese balzò all'i
ndietro con una bestemmia. La ferita bruciava terribilmente. Si portò le mani sull
a lesione per togliere la cenere.
«Non mi soffocare » disse Perelli.
Per un attimo O'Hara rimase paralizzato dalla rabbia, ma, anche se accecato dall
a furia, si accorse che la mano di Perelli era nella tasca della giacca e, per l
a prima volta in vita sua, provò un senso di paura.
«Sarai anche un'autorità a Chicago » disse senza fiato «ma Con O'Hara ha detto, a molti
pezzi più grossi di te, che con lui avevano chiuso.»
Tony scosse la testa, sorridendo.
«Io non dico mai a nessuno che con me ha chiuso » disse. «Io passo subito all'azione e
li faccio chiudere io. Se voglio la tua donna, la prenderò. Hai capito? Io non vo
glio guai. Le vedove sono più sicure delle mogli che non sono davvero mogli. Non f
are pazzie. » Gli batté una mano sulle spalle. «Tu sei un tipo in gamba... mi servi.»
O'Hara si lasciò sopraffare e ricondurre al ruolo di subordinato. Era ferito, ma p
oteva mostrare a Perelli che, per un uomo come lui, queste erano cose senza impo
rtanza. E, ora che gli era stata spiegata nei dettagli, era più facile accettare l
a situazione, perché non doveva analizzarne le cause. Si sforzò di sorridere.
«Per me va bene » disse e, voltandosi, fece un cenno a Maria. «Arrivederci, signora Pe
relli. Sono contento che abbiate conosciuto mia moglie.»
S'illuse di aver recuperato un po' di dignità creando quel momento di imbarazzo.
Accompagnò Maria alla macchina e si sedette al posto di guida, di fianco a lei. So
lo quando arrivarono a casa e dopo che il suo autista gli portò via la macchina si
rese conto della presenza di Maria e solo dopo che furono entrati nel loro appa
rtamento, parlò: «Non ci sarà nessun party questa sera » disse.
«Davvero? » chiese lei, gentile.
«Sì » rispose lui, con enfasi. Lei si strinse nelle spalle.
«Per me va bene, Con, ma dovrai dire al signor Perelli...»
«Non preoccuparti di quello che dirò a Perelli » grugnì. «Tu non andrai a nessun party que
sta sera.»
Contattò Tony telefonicamente.
«Dovrai scusare la signora O'Hara per questa sera, Tony; non si sente bene.»
«Farò venire qui un dottore » rispose la voce glaciale di Tony. «Portala. Ti avevo chies
to di portarmi Jimmie. Dov'è?»
«Senti... » cominciò O'Hara, ma il click del ricevitore di Tony gli fece capire che la
conversazione era finita.
Andò all'indirizzo dove sapeva che avrebbe trovato Jimmie e scoprì che, contrariamen
te a tutte le istruzioni, McGrath era uscito. Lo trovò che camminava sconsolato lu
ngo Michigan Boulevard, senza scorta, incurante dei rischi che correva. Comunque
, Con sapeva che il pericolo non era immediato.
Vide il ragazzo che camminava davanti a lui e, giuntogli alle spalle, gli diede
una pacca sulla schiena. Jimmie si voltò, bianchissimo in volto.
«Cosa ti prende? » sbuffò Con, sentendosi superiore a un'emozione così ignobile come la
paura.
«Niente, solo che...»
«Tony ti vuole. Che cosa ti prende, Jimmie? Il ragazzo scosse la testa.»
«Non lo so. Sono stanco, immagino. Non ho dormito molto bene. Con era divertito.»
Mentre camminavano verso l'appartamento di Perelli, gli descrisse le sue reazion
i di fronte a un omicidio; potevano essere ridotte alla filosofia di Lady Macbet
h.
«Non devi pensarci così, altrimenti diventerai matto.»
Jimmie lo sentiva ma senza ascoltarlo. Rivedeva solo lo sguardo doloroso e sorpr
eso di Shaun in quella notte che aveva segnato la fine della sua vita; gli occhi
di Shaun erano il muto rimprovero all'amico che lo aveva ucciso.

12.
Minn Lee parlò poco dopo che i visitatori se ne furono andati. Si sedette a lavora
re al suo ricamo e la sua mente sembrava intenta a quel lavoro. Tony era sdraiat
o sul divano, con un sigaro in bocca e il giornale aperto.
«È deliziosa » disse Minn Lee all'improvviso, senza una ragione. «Davvero carina.»
Lui chiuse il giornale, la guardò e si sedette. Non c'era bisogno di chiederle di
chi stesse parlando.
«Sì, è davvero fantastica » approvò Tony.
Ci fu un'altra lunga pausa, poi gli chiese: «Andrai all'opera questa sera? Lui sco
sse la testa.»
«Questa sera c'è Das Gotterdammerung. Preferirei andare allo zoo piuttosto che senti
re Wagner!»
Gli occhi di lei lo fissavano.
«Forse potresti stare un po' con me questa sera » disse. «Non ti vedo mai e non so mai
dove vai.»
Lui si alzò per avvicinarsi a lei con aria pensierosa.
«Piccola mia » disse gentilmente «quante volte ti ho detto: "pensa, se devi pensare, p
arla, se devi parlare, ma non permettere che i tuoi pensieri e la tua lingua agi
scano insieme." Sei un diavolo!»
Le pizzicò una guancia e lei indietreggiò.
«Fa male? » chiese e lei annuì. La pizzicò più forte. «E ora?»
«Lo sai » disse lei e la sua docilità lo infastidì.
«Perché non piangi quando ti faccio male?»
Si sedette su una sedia vicino a lei, così vicino che, con un piccolo movimento, l
ei si sedette sulle sue ginocchia.
«Vuoi sapere di cosa ho paura? » chiese.
«Tutte le donne hanno paura di... un'altra donna » disse lui.
In un'ora il suo atteggiamento nei confronti di Minn Lee era completamente cambi
ato. In tutto il tempo della loro convivenza, lui non aveva mai mostrato un calo
di affetto e di devozione nei suoi confronti. Se lei fosse stata interamente oc
cidentale, questo stupefacente voltafaccia l'avrebbe sbalordita, ma lei era orie
ntale, conosceva bene gli uomini e sapeva che questi orribili miracoli possono a
ccadere.
«C'è un'altra donna?»
Lui fece un gesto mezzo serio e mezzo scherzoso.
«Per me, tutte le donne sono altre donne » disse, spensieratamente. Ci fu un'altra p
ausa.
«Passavi le notti con me... una volta. Lui sospirò con impazienza.»
«Mi piacevano molto i biscotti... una volta. Ora mangio le brioches. Un giorno rip
renderò a mangiare i biscotti.»
Con questa risposta, lui aveva deciso di chiudere la conversazione, ma lei non e
ra di questo parere.
«Qualche volta ho un po' paura » disse con un leggero sussulto nella voce. «Ho paura p
er te, Tony. Quando esci, non so mai se tornerai a casa.»
«Io sì » tagliò corto lui.
«Quella notte che ti hanno sparato... ho creduto di morire...»
«L'ho creduto anch'io, e questo è più importante » disse lui. «Ma non sono morto. E dove s
ono Cammono e Scalesi e l'intelligente McSweeney che mi hanno sparato? Tutti all
'inferno. Questo è matematicamente provato.»
Lei osò esprimere per la prima volta il progetto che cullava.
«Non potremmo andare via da Chicago? Lui la guardò stranamente.»
«Certo... puoi andare con la Twentieth Century. Hai tutto il tempo per fare le pre
notazioni.»
«Io ho detto "noi" » disse lei.
Lui si alzò e la costrinse a fare altrettanto.
«Noi non include me. Tu sei tu, hai capito? Niente ma. Tu sei come i mobili. Mi pi
aci: sei bella, affascinante e incantevole ai miei occhi, come lo sono tutte le
cose del mio appartamento. Ma loro non dicono "noi". Loro non dicono: "Tony Pere
lli, portaci in Europa con te".»
Le prese il volto tra le mani e la baciò sulle labbra. Poi la baciò di nuovo e le di
ede un buffetto gentile sulla guancia. «Sciocchina! Lei sorrise e tornò quella di pr
ima, ma la sua allegria era forzata e lui lo capì.»
«Chi verrà questa sera?»
«Lo vedrai quando arriveranno. Sarà un bellissimo party.»
«Ci saranno anche le donne? » chiese lei.
«Ho detto che sarà un bellissimo party » tagliò corto lui.
«Lei verrà?»
C'era un tono di protesta nella sua voce.
Lui annuì. Ci poteva essere solo una "lei", Maria Pouluski. Sì, lei sarebbe venuta.
Malata? O'Hara avrebbe fatto meglio a stare attento.
«Sicuro.»
«Perché deve venire? Lei ha il suo uomo. » La voce di Minn Lee tremava.
«Hai visto il suo uomo? » chiese lui.
«Certo che l'ho visto.»
«Bene, tu non andresti a un party se fossi in lei? » domandò.
«Jimmie dice che...»
A queste parole lui si voltò.
«Oh, Jimmie! Ti piace quel ragazzino? Lo trovi carino? Lei annuì.»
«Sì, è molto carino. È come un bambino per me.»
Ci fu qualcosa nella sua voce che catturò l'attenzione di Tony.
«Ah! Lo prendi tra le braccia come un bambino! » La afferrò selvaggiamente. «E magari lo
baci anche, eh?»
Lei rimase senza fiato. Anche nel suo disinteresse, sentiva le spine della gelos
ia. Anzi, forse proprio perché cominciava a disinteressarsi a lei. Il suo egoismo
non lo rendeva pronto a lasciarla andare da un altro. Lei era ancora una sua pro
prietà, e lui non la voleva cedere.
Così, mentre lui la stringeva selvaggiamente a sé, lei si illuse di avere ancora del
potere su di lui.
«Come un bambino eh? Ho sentito delle cose!»
La staccò dal suo petto, tenendola per mano e scrutandola sospettoso. Jimmie?
Non era preoccupato per la posizione di Jimmie e tuttavia c'era qualcosa che non
riusciva a capire.
«Perché mi guardi così? » chiese. Sentendo il campanello, la lasciò lentamente.
Erano O'Hara e l'uomo che in quel momento occupava i suoi pensieri. Diede un rap
ida occhiata a Jimmie. Il ragazzo era pallido, nervoso e teso.
«Ciao Jimmie, ragazzo mio.»
Jimmie lo salutò con un cenno del capo.
«L'ho incontrato sulla Avenue » disse O'Hara, lanciando un significativo sguardo a T
ony.
Se quello sguardo voleva far notare a Tony che la sua nuova recluta era un falli
mento, giunse troppo tardi.
«Voglio parlare con te, Tony » disse Jimmie a bassa voce. Sorrise tristemente a Minn
Lee.
«Corri via ora, tesoro. » Tony le cinse la vita e la accompagnò alla porta. «Jimmie e io
abbiamo qualcosa da dirci.»
Lei si voltò verso Jimmie.
«Posso vederti prima che tu te ne vada?»
«Certo » rispose Jimmie.
Se poteva vederlo prima che lui se ne andasse? Perché? Cosa aveva da dirle? Molte
domande si affacciarono alla mente del ragazzo.
«Siediti » disse Tony.
Jimmie continuava a vagare senza tregua, avanti e indietro.
«Preferisco camminare » disse. Tony sorrise.
«Quello è un magnifico tappeto, ma non serve a niente se non ci cammini sopra. Vacci
pure, Jimmie.»
«Vuole parlarti » disse O'Hara in tono confidenziale.
Tony annuì.
«Lo so. Le mie orecchie sono ancora buone. L'ho sentito quando lo diceva. O'Hara n
on avvertì l'ironia della frase.»
Jimmie trovò molto difficile cominciare.
«Mi sono davvero reso ridicolo l'altra sera... » cominciò. Tony lo prese sottobraccio
e lo condusse sul terrazzo.
«Non è nulla, ragazzo. Sei in gamba. Non preoccuparti. Chi non fa delle sciocchezze
in situazioni come questa?»
Attese. Jimmie si era allontanato e stava camminando su e giù lungo la terrazza, c
on le mani in tasca e la testa bassa. Esitava.
«Vedi... io conoscevo Shaun, direi che mi era simpatico... e quando gli ho puntato
contro la pistola... mi ha guardato... con gli occhi feriti, capisci, è stato com
e sparare a un cane al quale sei affezionato...»
Tony cercò di calmarlo.
«So come ti senti, ragazzo, ma non è nulla.»
«Se Con non fosse stato lì » continuò il ragazzo «penso che sarei stato ucciso ma che non
avrei assassinato Shaun.»
Con gongolò a questa testimonianza del suo valido aiuto.
«L'ho preso in pieno, capo » disse con enfasi. «Non sono certo il tipo che ti lascia n
elle grane. Quando ho visto che il ragazzo era nervoso...»
Tony lo azzittì con uno schiocco della dita.
«Tra un minuto, eh, Con? Dimmi, Jimmie.»
«Non ho dormito... me lo sono visto davanti tutta la notte. I suoi occhi... sembra
vano... » Si fermò, fissando qualcosa che vedeva solo lui nella stanza.
O'Hara sentì che era arrivato il momento di commentare.
«Hey, è mai possibile? Scherzi?»
Questa volta non poté non capire l'atteggiamento di Tony. Il viso del siciliano er
a pallido per la rabbia.
«Taci, stupido! » Batté, con un incoraggiante gesto fraterno, la mano sulla spalla di
Jimmie. «Tu vai bene per me, Jimmie. Certo, so come ti senti. Sei ancora un ragazz
o e tutta questa faccenda sembra orribilmente sporca. Ma noi dobbiamo farlo, Jim
mie. Io non voglio guai; mi piacerebbe tirare avanti questo racket senza far mal
e a una mosca, se loro mi lasciassero in pace. Non ha senso, Jimmie, tutto quest
o uccidere, uccidere e uccidere ancora. A chi diavolo piace uccidere qualcuno? M
a loro non ti lasciano in pace: tu ti organizzi per lavorare con calma, con amic
izia e con onore e tutto il resto, ma poi arriva uno del gruppo North Side e si
intromette, e tu devi dirgli quando si deve fermare.»
«Senti, è così che vanno le cose » interruppe Con. «Se tu non fai fuori uno, quello fa fuo
ri te. Ti avevo avvertito prima di partire, l'altra sera.»
La pazienza di Perelli era al limite.
«Con, non mi piacciono quelli che parlano troppo, soprattutto quando parlo io. Hai
già visto Kelly?»
«Non preoccuparti della polizia » rispose l'irreprensibile irlandese «perché non ha ness
una importanza. Lasciami parlare con Kelly.»
Jimmie sentì la sirena e vide che Tony andava al balcone per guardare in strada. Q
uando tornò indietro disse: «Vuoi parlare con lui? Ha provveduto lui stesso: era la
sua macchina. Non l'hai mai incontrato?»
«Kelly? Ah-Ah » rise Con. «No. Senti capo, quelli sono tutti uguali.»
«Non chiamarmi capo, dannazione! » Si voltò verso Jimmie. «Ascolta, Jimmie: tu hai cerve
llo, renditene conto e subito. Non lasciare che questo tizio ti mandi in confusi
one. Parla il meno possibile.»
Jimmie era terrorizzato.
«Non mi farà delle domande? Non saprà che sono stato io?»
«No, a meno che tu non glielo dica. Fai attenzione ai suoi bluff.»
«Gli parlerò io » disse Con. Perelli socchiuse gli occhi.
«Tu, eh? Con, tu sei un gran chiacchierone. Mi piaci, sei in gamba, ma non parlare
e non fare lo spiritoso. Qui non siamo a New York; qui siamo in America.»
Il commissario Kelly entrò lentamente nella stanza. Per Jimmie rappresentava il Fa
to e Nemesi, la dea della vendetta. Era un uomo alto, con le spalle larghe e con
occhi duri e scrutatori che brillavano dietro un paio di occhiali. Quando entrò,
l'atmosfera si fece minacciosa e strana.
Era la Legge, derisa, disprezzata e ignorata da quelli che vivevano come Tony e
come Shaun O'Donnell. Tuttavia esisteva e quell'uomo portava con sé una buia e ter
ribile realtà.

13.
Il commissario si guardò in giro e scrutò gli uomini con uno sguardo divertito; c'er
a un certo riluttante piacere nei suoi occhi, come se riuscisse a vedere il lato
comico della situazione.
«Buongiorno, capo » lo salutò Tony con un ampio sorriso.
«C'è una festa? » chiese Kelly, innocentemente, guardando Jimmie.
«È un po' preso per una festa » disse Tony e Kelly annuì.
«Sono andato a un party questa mattina. » La sua voce era asciutta, tagliente; non c
'era più quello sguardo mezzo divertito. «Eravamo io, il coroner e Shaun O'Donnell.
Il coroner e io abbiamo portato avanti la conversazione.»
Sul viso di Tony scese una maschera di mestizia.
«Povero vecchio Shaun! È una cosa tremenda. Quando ho letto i giornali e ho visto ch
e se ne è andato, ecco, sono rimasto colpito. Mi ha rovinato l'intera mattinata.»
Di nuovo Kelly annuì.
«Ha rovinato anche la sua » disse aspramente. «Questo ragazzo è McGrath? Tony fece le pr
esentazioni, anche se non erano necessarie.»
«Il signor James McGrath, di Harvard. È un universitario » aggiunse. Kelly sapeva bene
quale fosse lo stato sociale di Jimmy.
«Espulso al primo anno per furto ai danni di un collega. È esatto? » chiese al ragazzo
che se ne stava lì in silenzio, completamente terrorizzato.
«Sembra che voi sappiate tutto » disse, e quasi non riconobbe la sua stessa voce.
«Un buon inizio, eh capo? » ridacchiò Tony e Kelly fece una smorfia.
«Davvero? Se devo ridere, riderò! Un buon inizio! Che cosa fa ora? Dipinge fiori sul
le bottiglie? Non è questo ciò che fai, vero ragazzo?»
Jimmie non rispose.
«Non è questo che stavi facendo la notte scorsa, vero? Jimmie prese un po' di fiato.»
«Non so cosa vogliate insinuare » disse, in un fiato.
Il detective stava concentrando il suo attacco contro il ragazzo. Perelli se l'e
ra aspettato; di certo sospettava anche di Con O'Hara, ma quello poteva attender
e.
L'irlandese ascoltava con impazienza crescente. Poteva essere sospettato, poteva
gloriarsi dei sospetti della polizia, ma essere ignorato era una cosa che feriv
a il suo amor proprio.
La sua impazienza era generata anche da un altro motivo: Jimmie era sull'orlo di
un collasso e poteva cedere da un momento all'altro. Con non aveva molta fiduci
a. Perché quell'uomo con quella faccia granitica non interrogava lui? Era già stato
messo sotto torchio dalla polizia, conosceva i suoi metodi e i suoi bluff; per d
ire la verità, conosceva i limiti dei poliziotti.
«Da quanto tempo sei nel racket? » chiese Kelly. Jimmie respirava a fatica.
«Quale racket? » cominciò.
«È tutto O.K. Jimmie » lo incoraggiò la calda voce di Tony. «Il capo sa che contrabbandiam
o liquore. A Chicago non ci piace rimanere a secco. È con me da tre mesi, signor K
elly, è un bravo ragazzo...»
«Conoscevi Shaun O'Donnell? » chiese Kelly.
«Sì, l'avevo visto.»
«Lo conoscevi? » insistette il poliziotto. Jimmie annuì.
«Eri solito cenare con lui da Bellini, vero? Lo conoscevi bene? Jimmie esitò.»
«Sì, lo conoscevo.»
«Mi è stato detto che tu e lui eravate buoni amici. Eri solito fargli visita, vero?
Jimmie strinse i denti; non voleva ricordare certe cose.»
«Sì, lo conoscevo » ripeté.
«Sai che è morto? » chiese Kelly. Jimmie annuì.
«Lo sai che è stato ucciso da un qualche giocatore d'azzardo? » proseguì lo spietato com
missario, non abbandonando per un attimo gli occhi del ragazzo. «Assassinato da un
o di quei killer da quattro soldi?»
Jimmie non rispose.
«Non so da quale bordello venga sua madre. » Kelly guardava il ragazzo così da vicino
che neppure un battito di ciglia gli sarebbe sfuggito. «Ma quella donnaccia ha fat
to un figlio e l'ha tirato su come ha potuto: tale madre, tale figlio.»
Il viso di Jimmie, pallidissimo, si colorò di rosso, per tornare bianco subito dop
o.
«Cosa diavolo c'entrano le madri con questa faccenda? » cominciò, ma poi colse lo sgua
rdo di Tony e capì l'avvertimento.
«Le madri hanno molto a che fare » continuò Kelly lentamente. «Mi piacerebbe sapere se m
i è passata qualche volta tra le mani, quando comandavo la buoncostume.»
Il sangue pulsava nelle vene del ragazzo, che si contorceva le mani con le nocch
ie bianche.
«Solo il figlio di una donna come...»
«Per Dio! Se voi...»
Era fuori di sé. Tony intervenne velocemente.
«Jimmie! » La sua voce era come un ruggito. «Perché te la prendi tanto? Kelly aveva le m
ani in tasca. Si voltò verso Perelli e, con voce glaciale, disse:»
«Perelli, tu sei un pezzo grosso in città. Puoi manovrare un'intera giuria e molti g
iudici mangiano nel tuo piatto. Ma se interferisci con me, ti farò passare dei bru
tti guai.»
Tony scrollò le spalle.
«Interferire, capo? Io volevo solo...»
«Lo so, lo so » disse Kelly. «Hai fatto quello che volevi: hai dato tempo al ragazzo d
i riprendersi. O.K. ragazzo. Dimmi quello che voglio sapere, e sii chiaro.»
Era vicinissimo al giovane. Lo afferrò per il bavero e lo spinse sul divano.
«Dov'eri la notte scorsa?»
«A teatro » rispose Jimmie.
«Quale teatro? » lo incalzò il detective.
«Perché...? » esitò. «Al Blackstone.»
«Al Blackstone » annuì Kelly. «Che numero di poltrona avevi?»
Con O'Hara intervenne. Le domande si stavano facendo pericolose e la situazione
era peggiorata perché gli occhi di Jimmie erano colmi di panico.
«Hey, come diavolo fa a ricordarselo? » domandò. Kelly si voltò di scatto verso di lui.
«Tieni la bocca chiusa fino a quando non sarò io a rivolgerti la parola » grugni e poi
si rivolse di nuovo a Jimmie. «Qual era il numero della tua poltrona, ragazzo?»
«Non lo so. » Jimmie cercava di evitare il suo sguardo. «Non ho buona memoria per i nu
meri.»
«Forse allora hai buona memoria per i titoli » disse Kelly. «Come si intitolava la com
media?»
La mente di Jimmie era disperatamente vuota. Passò in rassegna alcuni titoli e ne
disse uno.
«Eh? Sì, penso che fosse The Broadway Revue... sì, era proprio quella. Kelly si morse
il labbro con aria dispiaciuta.»
«Davvero? Ma questo è il titolo di un film. Jimmie annuì.»
«Sì, è proprio quello che ho visto, un film.»
«Al Blackstone?»
Il ragazzo si guardò intorno in cerca di aiuto.
«Vedete, io non conosco Chicago molto bene; forse era un altro teatro.»
«Quale?»
Tony, che si trovava dietro Kelly, gli suggerì la risposta.
«Era il Rialto » disse Jimmie.
Un sorriso sardonico illuminò il viso del detective.
«Il nome assomiglia a Blackstone, vero? A che ora siete uscito, signor McGrath?»
O'Hara aprì la bocca per parlare, ma Tony lo azzittì con un brusco cenno.
«A che ora avete lasciato il teatro?»
Jimmie accettò di nuovo il suggerimento del suo capo, che aveva alzato rapidamente
le mani.
«A mezzanotte, immagino.»
«Bene! » C'era un tono di trionfo in quella parola e poi, dopo una piccola pausa: «Non
ci sono state rappresentazioni al Rialto la scorsa notte. La sala di proiezione
è stata chiusa. » Kelly osservò Perelli. «Voi non leggete altro che gli annunci mortuar
i?»
«Non so che teatro fosse » disse Jimmie con astio e O'Hara tentò di nuovo di attirare
su di sé l'attenzione.
«Ve l'ho già detto, capo, che il ragazzo non è di Chicago » disse. L'attenzione di Kelly
si spostò su di lui.
«Tu sei qui da molto invece, eh? Con digrignò i denti.»
«Ecco, no. Sono nuovo anch'io. Vengo da New York. Kelly scosse la testa.»
«Non sapendo dov'è una via » disse «tu troveresti ugualmente la strada a Chicago.»
«Sicuro. Prenderei un taxi.»
«Hai preso un taxi per Atlantic Avenue e la Novantacinquesima strada, la scorsa no
tte?»
«Io? Alle dieci ero già a letto. » O'Hara sembrava davvero indignato.
«Allora sei stato tu! » Il dito accusatore di Kelly indicò Jimmie. «No!»
«Sei stato tu!»
«No! » Questa volta Jimmie gridò la sua risposta.
Con grande determinazione, Kelly estrasse dalla tasca il suo libretto degli appu
nti.
«Ascolta: Harrigan ha visto Shaun prima che morisse e O'Donnell ha cantato. Ha det
to che siete stati tu e O'Hara.»
Sentì un riso soffocato. Tony si era accomodato su una delle sue eleganti sedie in
stile rinascimentale.
«È morto senza dire una parola... lo so benissimo.»
«Lo sai, eh?»
«Certo che lo so » annuì Tony. «Perché non lo arrestate allora? Perelli sapeva già la rispo
ta che Kelly gli avrebbe dato.»
«Perché, appena portato alla stazione di polizia, troverei subito uno dei tuoi avvoc
ati che lo farebbe rilasciare sciorinando l'Habeas Corpus. Ecco perché non lo arre
sto » rispose Kelly.
Lo scriteriato O'Hara intervenne un'altra volta.
«Non rispondere più a nessuna domanda, ragazzo » disse.
«Ti sei risvegliato? » Kelly lo guardò duramente.
«Sicuro.»
«Per quanto tempo hai intenzione di vivere così?»
«Per molto » rispose O'Hara.
Tony si era alzato in piedi e si era avvicinato all'irlandese. Fece scivolare la
mano nella tasca di O'Hara dove sapeva che Con teneva la pistola e la trasferì ne
lla sua.
«Ho intenzione di vivere così per molto tempo » ripeté O'Hara.
«Forse a tua moglie sembrerà troppo lungo » disse Kelly, provocando la furia di Con.
O'Hara non aveva tatto. Aveva trattato con molti poliziotti, li aveva corrotti e
ricattati e non vedeva nessuna differenza tra loro e Kelly. Quello che gli urlò,
non è riportabile per iscritto. Dopo tre insulti, Kelly lo colpì violentemente in pi
eno viso.
Con una bestemmia, O'Hara indietreggiò, cercando in tasca la sua pistola. Ma il co
mmissario fu più veloce. Come per magia una pistola automatica nera era comparsa t
ra le sue mani. La puntò alla vita di Con.
«Dammi la tua pistola » comandò. Lo perquisì scientificamente.
«Non ce l'hai, eh? Però pensavi di averla.»
Rimise la sua nella fondina e, dopo essersi avvicinato a Perelli, gli batté affett
uosamente una mano sulla spalla.
«Perelli, a te lo posso dire... sei intelligente. Il giorno che riuscirò a mandarti
sulla forca, mi prenderò una sbronza. » Guardò l'orologio e si avviò alla porta. «Farai ta
rdi al tuo appuntamento, Perelli. Non fare aspettare Mike Feeney.»
E con queste parole, li lasciò.
«Chi glielo ha detto? » balbettò O'Hara, ma Tony non parlò fino a quando non sentì la port
a chiudersi alle spalle del detective. Poi rientrò nel salone per chiamare Angelo,
dopo aver ordinato a Jimmie di contattare Mike Feeney al telefono. Quando Angel
o arrivò, Jimmie stava telefonando. Tony gli diede delle istruzioni specifiche ma
senza entrare nei dettagli, perché Angelo si era già trovato a dover affrontare situ
azioni simili.
Mike era in linea.
«... Sei tu, Mike? Stai tranquillo, i telefoni sono isolati... Kelly è stato qui... è
per questo che sono in ritardo... O.K... Poi verremo qui... Va bene, Mike.»
Appese il ricevitore.
Angelo entrò di corsa, con il cappello e l'impermeabile.
«I ragazzi sono usciti? Bene. Tu verrai con noi, Con. » Guardò pensieroso Jimmie. «No, J
immie, tu rimarrai qui. Tornerò in pochi minuti.»
Al telefono, Mike Feeney aveva capito l'urgenza di incontrarsi con il proprio ne
mico; anche Perelli la condivideva. Questo non sarebbe stato un incontro segreto
tra capi banda, ma un incontro che si sarebbe svolto, se non sotto gli auspici,
almeno sotto la sorveglianza della polizia. Quindi non ci sarebbero state spara
torie. Se la polizia era informata dell'incontro, e lo era, ogni piccola infrazi
one della legge avrebbe rappresentato un pericolo.
Tony non aveva ancora raggiunto il luogo dell'appuntamento, che si era reso cont
o di quanto le preoccupazioni di Feeney e le sue fossero giustificate. C'erano m
acchine della polizia a ogni isolato. La via pullulava di agenti. Quando s'incon
trarono, stringendosi la mano come rispettabili cittadini, lo fecero in presenza
di un nugolo di testimoni. Mike Feeney si rendeva conto della presenza del pubb
lico.
I suoi killer si erano allontanati, ma restavano a disposizione. Nello stesso mo
do avevano fatto i gorilla di Tony.
«Salve, Mike! » fu il saluto convenzionale di Tony. Si strinsero le mani senza paura
.
«Vieni nel mio appartamento, Mike? » chiese Perelli. Mike si guardò intorno, in cerca
dei suoi uomini.
«I tuoi ragazzi possono venire con te » disse Tony. «Noi non vogliamo guai. La macchin
a di Kelly è appena passata. Hey, Mike, quello è come un fratello per te!»
Mike esitò. Era insolitamente nervoso, perché da qualche parte c'era sua sorella. Po
teva essere seduta in una qualsiasi macchina che passava... e sapeva usare la mi
tragliatrice con l'abilità di un uomo. Odiava Tony con una malignità fuori da ogni c
omprensione, ed era questo a renderlo nervoso.
«Certo, verrò con te » disse.
Salirono insieme sull'ascensore privato di Tony. Quando entrò nell'appartamento, f
u testimone di un delizioso idillio che si era svolto dopo la sua partenza.

14.
Jimmie sentì la porta chiudersi dietro le spalle del suo capo; si sedette con la t
esta tra le mani, pensieroso e confuso... Nella sua anima c'era un turbinio di p
aura e di risentimento. Avrebbe potuto andarsene da Chicago, ma avrebbe sempre p
ortato con sé il proprio fardello, un fardello di colpa e di tradimento. Aveva com
messo lo stesso peccato di Caino. Non c'era posto in cui potesse andare...
Se avesse potuto andare nell'ufficio di Kelly e confessare il proprio crimine se
nza coinvolgere Con O'Hara e Perelli avrebbe trovato la soluzione al suo angosci
ante problema. Se avesse potuto ritornare in un mondo nuovo, pulito... Ma si sar
ebbe portato questo mondo dovunque, per sempre.
Jimmie McGrath sapeva qual era l'unico modo per uscirne. Farlo con le proprie ma
ni? No! Sarebbe stato un inganno e la sua vita, ormai, era perduta. Doveva pagar
e il suo debito.
«Cosa c'è, Jimmie?»
Alzò lo sguardo. Minn Lee era davanti a lui, così calma, così serena, così radiosa, che
solo vederla gli tolse il fiato.
«Ciao, Minn Lee » disse, con voce tremante.
«Cosa c'è che non va, Jimmie? Non stai bene? Lui fece un cenno e si rimise la testa
tra le mani.»
«No... » Ci fu una lunga pausa. «Vorrei essere morto!»
Lei si sedette vicino a lui e posò la sua piccola mano sul suo ginocchio. Nella su
a voce c'era una nota di gentile rimprovero.
«Oh, Jimmie, ti avevo detto di andartene! » disse tristemente. Lui alzò lo sguardo e l
a guardò, sorridendo.
«Andarmene... Dove?»
Lei sospirò e lui la guardò con tenerezza.
«Vorrei che tu non fossi in questa situazione » disse. Lei alzò lo sguardo.
«Nel racket » le spiegò lui. «Non puoi uscirne? Tu non hai legami qui. Minn Lee prese il
suo ricamo e lo guardò per lungo tempo, in silenzio.»
«I miei legami sono uguali a quelli di qualsiasi altra donna, Jimmie. Quando ci se
i dentro, lo sei per tutta la vita » disse. Lui poté solo ripensare a lei come aveva
fatto prima: era come appariva a lui o come appariva a Tony Perelli? La sua fig
ura di donna ideale era solo una debole struttura basata sull'illusione?
«Ma non ti importano... quegli scontri e quegli omicidi? Lei si strinse nelle spal
le.»
«No. Se Tony fosse un uomo d'affari, non farebbe differenza per me. Poi lui le fec
e una domanda che desiderava rivolgerle da tempo.»
«Tu devi essere andata in una buona scuola, Minn Lee. Parli come... come qualcuno
che...»
«Sono andata all'Università della Colombia.»
«All'università? Accidenti! Hai preso la laurea? Lei annuì.»
«Bene, e allora perché, in nome del cielo, sei qui? Lei non alzò lo sguardo dal suo la
voro.»
«Ecco, sai » rispose evasivamente «arte, amore, non sapevo come andavano le cose ed è an
data così.»
Jimmie provò verso di lei un'infinita tenerezza e avrebbe dato la sua vita, se non
fosse già stata gettata via, per portarla fuori da quel giro. Glielo disse.
«Vai via » disse lei. «In fretta.»
Lui scosse la testa; sarebbe stato coinvolto per tutta la vita, fino alla morte.
Si alzò e si mise a passeggiare su e giù per la stanza, pensando che lei fosse ancor
a intenta nel suo lavoro. Quando si voltò verso di lei, invece, vide che lo stava
guardando allarmata.
«Jimmie... Chi ha ucciso quell'uomo la scorsa notte?»
La domanda fu sconvolgente perché, in quel momento, Jimmie aveva dimenticato Shaun
O'Donnell.
«Io... io non lo so » disse indeciso.
«Chi l'ha ucciso? » chiese di nuovo lei.
In quel momento, qualcosa nel suo cuore si ruppe e, cadendo in ginocchio davanti
a lei, le nascose in grembo il volto. Jimmie McGrath non resse più.
«Sono stato io, Minn Lee, sono stato io » disse piangendo. «Ho cercato di ubriacarmi p
rima di farlo, ma, a ogni bicchiere, diventavo più sobrio. L'ho ucciso io. L'ho am
mazzato a sangue freddo. Devo pagare... lo so. Ma vorrei pagare subito... vorrei
essere punito subito, ora!»
Lei annuì.
«Sarà presto, per te... e anche per me » disse.
«Per te? » Lui alzò gli occhi e vide l'immagine di lei offuscata dalle lacrime. «Nessuno
vuole farti del male.»
E poi capì che tutti le facevano del male, Perelli e lui stesso. Capì che Minn Lee n
on era quella filosofica e distaccata orientale, ma che la metà americana di lei s
offriva e provava forti emozioni. Cercò la sua mano e la strinse.
«Io ti amo, Minn Lee » sussurrò. «Non c'è nulla per cui io vorrei vivere, tranne te. Non l
'avevo mai detto a nessuno.»
Lei liberò la mano.
«Non ho nulla da darti, nulla » disse. La sua voce era senza tono, quasi monotona. «Io
sono perduta, ormai, non vado più bene per nessuno.»
Lui invece cominciò a fantasticare piani progettati in quel momento; disse che avr
ebbero potuto andare via insieme, andare in Canada, dove Perelli e i suoi uomini
non avrebbero potuto scoprirli.
Lei lo riportò alla realtà con un riso amaro.
«Una donna cinese e un ragazzo? Jimmie, no! Non ho nulla da darti. Il mio corpo ap
partiene a questa casa... a Tony. Non voglio nessun altro uomo. Non ho quasi più n
iente da dare nemmeno a lui... ma lo amo.»
«Altre donne hanno vissuto in questa casa. » Il desiderio di lei lo fece diventare c
rudele.
Lei lo sapeva.
«E se ne sono andate... sai dove? Lei lo sapeva, ma non aveva paura.»
Cercò di riportarlo alla realtà. Pensava che Tony sarebbe stato buono con lui, se fo
sse rimasto. Jimmie le ripeté che l'unica cosa che sapeva era che l'amava. Ma lei
scosse di nuovo la testa.
«Io amo solo Tony.»
Tony Perelli, stando sulla soglia, vide la scena e rimase a osservare i due con
lo sguardo che un padre benevolo rivolge ai suoi figli. Jimmie lo sentì e balzò in p
iedi, ma Tony interruppe le sue balbettanti scuse.
«Ah, Jimmie, no. Non devi sentirti in colpa. Era una scena così carina! Ora andate,
portalo nelle tue camere, mio piccolo fiore.»
Jimmie cercò di nuovo di dire qualcosa, ma lei lo trascinò via. Il sorriso di Tony e
ra benigno... meccanicamente benigno.
Li guardò fino a che non sparirono dalla sua vista, ma rimase a fissare il punto n
el quale erano scomparsi per lungo tempo.

15.
Mike Feeney entrò un po' timoroso nel salone. Non era la sua prima visita, ma eran
o successe molte cose dall'ultima volta che era stato lì.
Si voltò e parlò ad alta voce ai suoi gorilla, più per incoraggiare se stesso con la c
ertezza della loro presenza, che per dare loro degli ordini.
«Ragazzi, deponete le pistole. Questi sono i patti, vero Tony? Tony capì e sorrise.»
«Certo. Posate le armi sul tavolo e servitevi da bere.»
Feeney tolse due pistole dalla fondina che aveva legata sotto il braccio e le po
sò sul tavolo con una bestemmia.
«Queste sono mie » sottolineò.
Anche Tony estrasse due pistole dall'elegante fondina che portava legata alla vi
ta e le mise a fianco delle altre.
«Dov'è Angelo? » chiese Mike guardandosi intorno.
«L'ho mandato da Schoberg » disse Tony, con aria d'intesa. Mike sorrise.
«Certo! È una bellissima idea! Hai sempre delle idee favolose in questo senso » esclamò.
«I ragazzi ne saranno contenti.»
Tony aprì uno dei cassetti della sua scrivania con un tonfo che fece voltare il su
o ospite con apprensione. Aveva estratto dal cassetto una comunissima scatola.
«Vuoi un sigaro? Mike ne scelse uno.»
«Di regola, io non fumo. Mi fa male agli occhi.»
Nessuno dei due vide Minn Lee attraversare il terrazzo. C'era una sporgenza di p
ietra che fungeva da amplificatore. Si poteva stare dietro questa sporgenza e, n
on visti, ascoltare anche una conversazione fatta a voce bassissima. Minn Lee lo
aveva scoperto lo stesso giorno in cui era arrivata nell'appartamento. Tony non
aveva mai fatto questa scoperta, perché andava molto raramente sulla terrazza. Un
certo Angelo Beratachi era stato ucciso con un colpo di pistola mentre si trova
va sulla sua terrazza, al terzo piano, da un nemico che aveva sparato da un'altr
a terrazza a cinquecento metri. I gangster non corrono mai lo stesso rischio due
volte.
«Ora senti, Mike. » Tony si accese il sigaro. «Per quello che ti ho accennato al telef
ono. Stiamo facendo entrambi un bel mucchio di soldi. Per qualche soldo in più o i
n meno, perché creare tutti questi guai?»
«È giusto! » L'entusiasmo di Feeney era un po' forzato. «L'ho sempre detto che hai più cer
vello tu di un professore dell'università.»
Perelli portò due sedie al centro della sala e i due si sedettero, uno di fronte a
ll'altro.
«Ma adesso, Tony, sarò chiaro con te: non m'importa molto della morte dei miei teppi
sti, il problema grosso è Shaun.»
Tony mormorò qualcosa, e Mike sollevò una mano per interromperlo.
«Lo so, lo so. A Shaun tu non piacevi. Ti ha creato molti guai, e forse, io mi sar
ei comportato come te, ma mia sorella lo ha sposato! Tu sai come sono fatte le d
onne. Adesso è in giro che cerca chi ha fatto fuori suo marito e i ragazzi sono co
n lei.»
«Tua sorella » disse Perelli in tono gentile «è una signora molto in gamba. Ma Mike non
si faceva illusioni.»
«Non è il tuo tipo, Perelli. Non ha mai avuto sex appeal per nessuno, a parte Shaun.
Questo è il guaio.»
Tony arrivò dritto al punto.
«Cosa vuoi che faccia?»
Sporgendosi verso di lui, Mike parlò chiaro.
«Sappiamo chi ha fatto fuori Shaun: O'Hara e quel ragazzo, McGrath. Uno dei miei l
i ha visti tornare verso la città. Il ragazzo non vale molto. Mi dispiace per Con.
.. l'ho conosciuto a New York... ma è un grosso guaio. Hai visto la sua donna?»
Tony l'aveva vista... e non l'aveva dimenticata.
«Sì, ho visto la sua donna. Cosa vuoi che faccia? » chiese di nuovo. Mike Feeney abbas
sò la voce.
«Consegnameli questa notte. Alle undici in punto all'angolo della Michigan e della
Novantaquattresima strada. Manderò un paio dei miei ragazzi, e tutto sarà sistemato

«Non lo farei nemmeno con un cane » esclamò Tony con ardore.
«Ti rispetto per questo, ma... Perelli si prese il volto tra le mani.»
«Quei ragazzi sono indubbiamente una fonte di guai per me » disse e, a questo segnal
e di debolezza, le speranze di Mike si sollevarono.
«Ci sono dei problemi in tutte la bande... ti ricordi di Vinsetti?»
«Lo conoscevo... Feeney sogghignò.»
«Voleva farti le scarpe, vero?»
«Parlava di separarsi dalla banda » disse Tony con indifferenza.
«Venne in questo appartamento e non si seppe più nulla di lui fino a quando non fu r
ipescato nel Lago Shore. » Mike fu decisamente drammatico nella ricostruzione dei
fatti.
«L'ho letto » disse Tony. «Io non voglio guai » proseguì lentamente. «Va bene: te li conseg
erò.»
Si alzarono nello stesso momento mentre bussavano alla porta. Era Angelo. Non lo
riconobbero subito perché era nascosto dietro un'enorme corona di fiori che depos
itò davanti ai due.
Era una corona meravigliosa. Una delle più belle produzioni di Schoberg, che era i
l fiorista più elegante di Chicago. Mike Feeney rimase colpito.
«È un pensiero bellissimo. Sì, lo apprezzo molto. Prese il biglietto bordato a lutto,
e lesse:»
Gli Angeli sentirono la voce di Shaun
e dissero: Un altro uomo buono se ne è andato.
Con la più profonda partecipazione.
Tony Perelli.
Poi Mike esclamò: «Accidenti! È bellissimo!»

16.
I party di Perelli erano sempre molto eleganti. Quest'ultimo, organizzato in un
momento così poco opportuno, avrebbe dovuto avere delle mire precise. Non era il m
omento ideale per un party, con Shaun O'Donnell appena sepolto sotto terra e sot
to pesanti corone di fiori. Il vescovo gli aveva rifiutato la sepoltura in suolo
consacrato. Sua moglie aveva protestato molto violentemente. C'erano dei posti
liberi all'Holy See, ma non riuscirono a collocarvelo. Rimase sepolto in terra s
consacrata per un mese. Poi qualcuno lo dissotterrò e collocò la sua tomba ai piedi
di quella del vescovo.
Ma mentre si svolgeva il party, Shaun era ancora in un pezzo di terra sconsacrat
a e, come disse il monsignore piuttosto irritato, sicuramente all'inferno. Di co
nseguenza non era il momento opportuno per una festa in grande stile.
Questi party però erano molto utili a Perelli: erano i momenti dedicati al vino e
ai festeggiamenti.
Mentre gli ospiti ballavano, Tony fece cenno ad Angelo di seguirlo nel salone.
«Ascolta, Angelo, manderò Con e Jimmie a West Side. Lo disse con fare circospetto. A
ll'inizio, Angelo non capì.»
«Davvero? » Poi aggiunse, in fretta. «Perché? Ma ormai lo sapeva anche troppo bene.»
«O'Hara parla troppo » disse Tony.
Cercò di mostrare del dispiacere ma non ci riuscì. Angelo annuì, fissandolo.
«Sì, sarebbe meglio che stesse zitto. Ci crea un sacco di guai. Ma il ragazzo... Fec
e una smorfia, insolita per lui. Non era tanto sconvolto, quanto meravigliato.»
Perché Jimmie? Lo chiese a Tony.
«L'hai visto? Non ha i nervi saldi. Se Kelly lo dovesse portare al suo Quartier Ge
nerale...»
Per la prima volta, Perelli non riuscì a convincere l'uomo che era come la sua omb
ra.
«Certo che non ha i nervi saldi. » La voce di Angelo era molto calma. «Non ti avevo de
tto di non mandarlo? Avrebbe potuto esserci utile, e potrebbe esserlo ancora.»
Vide che lo sguardo di Tony si era spostato sulla terrazza. Minn Lee era là. Angel
o aggrottò le sopracciglia. Non per Minn Lee. Era per un altro motivo.
La ragazza si avvicinò e li fissò senza parlare. Angelo, avvertendo la tensione, fu
ben lieto di andarsene.
Nella mente di Perelli c'era uno strano dubbio... un sospetto suggeritogli dall'
istinto. Gli mancava Minn Lee; anche se eccitato per l'arrivo di Maria, sentiva
la mancanza di Minn Lee.
«Dove sei stata tutta la sera? » chiese. Lei lo guardò dritto negli occhi.
«Nella mia camera » disse.
«Mentre io do una festa, tu te ne stai nella tua camera. E Jimmie? Era nella tua c
amera anche lui?»
La risposta arrivò con una scioccante franchezza.
«Sì.»
Lui la guardò. Non era stata tutta la sera nella sua stanza perché era andato da lei
e aveva trovato la porta chiusa a chiave. Lei chiudeva a chiave solo quando usc
iva.
«Devo quindi supporre che tu e Jimmie eravate in camera quando ho trovato la porta
chiusa a chiave.»
«Sì.»
Lui respirò profondamente.
«Non ti sembra di essere sfrontata?»
Riuscì a malapena a pronunciare quelle parole. Lei e Jimmie nella camera... con la
porta chiusa!
«Mi hai detto di portarlo via dalla tua festa. » C'era un mezzo sorriso sulle sue la
bbra rosse. «Bene... io l'ho fatto!»
«Certo che te l'ho detto » disse lui in fretta; poi, come se si rendesse conto solo
allora dell'enormità della sua offesa, l'afferrò per un braccio. «Ma ti avevo forse de
tto di chiuderti a chiave con lui nella tua stanza?»
Lei non indietreggiò né diede segno di provare del dolore mentre lui le stringeva il
polso con la sua mano. Non si piegò sotto lo sguardo furioso di lui. Poi allentò la
stretta.
«Dove sono tutte le belle signore e gli eleganti signori invitati alla festa? » chie
se.
Non era affatto interessato agli ospiti, ma solo a Minn Lee e a Jimmie e al perc
hé di quella porta chiusa.
«Nel giardino d'inverno, a ballare.»
«Hai chiuso la porta a chiave. Ti avevo fatto quella domanda per scherzo. Come pot
evo immaginare che la risposta sarebbe stata sì? » Poi riprese il controllo di sé. «Vai
a dire a Jimmie che voglio vederlo.»
Per la prima volta, lei mostrò un certo allarme.
«Hai intenzione di dire qualcosa a Jimmie? È stata solo colpa mia. Lui scosse la tes
ta.»
«No, no. Jimmie è un ragazzo in gamba, mi piace. » Guardò l'orologio. «Vai a dirgli che gl
i devo parlare.»
Mentre lei s'incamminava alla porta, lui la richiamò.
«Oh, Minn Lee. Voglio anche Con O'Hara. ...Vieni qui.»
Ubbidiente, lei ritornò verso di lui. Conoscendolo così bene, non rimase sorpresa qu
ando lui le mise un braccio intorno alle spalle.
«Non far caso a me, sono preoccupato per gli affari. Non essere... » Fece un gesto e
spressivo. «Sai? E, Minn Lee, presta attenzione alla signora O'Hara, vuoi? È una don
na elegante, ma non quanto te. Se Con dovesse dire qualcosa, digli che sei tu ch
e pensi a lei. Dille che tipo elegante sono, che ti ho mandato sulla costa, ti h
o dato una casa e ti ho vestito come le signore di Hollywood.»
Lei si scostò da lui.
«Puoi dirglielo tu » disse.
Lui guardò di nuovo l'orologio.
«Vai a chiamare i ragazzi. Perché hai chiuso la porta a chiave? Questo pensiero face
va capolino nella sua mente.»
«Non volevo che qualcuno entrasse » rispose lei con semplicità; lui si morse le labbra
.
«Piagnucolava ancora, eh? Se Kelly dovesse portare quel ragazzo al suo Quartier Ge
nerale, ci vorrebbe l'inferno per...»
Minn Lee stava sorridendo.
«Ma lui non stava piangendo » disse.
Quando la porta si chiuse dietro di lei, Tony si sedette su una delle sedie del
grande tavolo, mordendosi nervosamente le unghie. Minn Lee era diventata improvv
isamente incomprensibile. Questa non era la Minn Lee che lui conosceva, la schia
va che ubbidiva a tutti i suoi capricci. All'improvviso, aveva assunto una sconc
ertante personalità.
I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del telefono. Tony alzò il ricevi
tore, sapendo che si trattava di Feeney ancora prima di sentire la sua sgradevol
e voce.
Mike era teso e nervoso. Tony capì che dietro l'urgenza della sua voce c'era la su
a mascolina sorella.
Tony sapeva che ore erano? C'erano stati dei cambiamenti nei piani? I suoi ragaz
zi volevano sapere questo, i suoi ragazzi volevano sapere quello. Non faceva nes
suna differenza per Perelli sapere che "i miei ragazzi", come diceva Feeney, era
no in realtà la signora O'Donnell e i suoi scagnozzi.
«Non starmi addosso, Mike » disse nervosamente. «Ho detto alle undici; manca un quarto
d'ora, ma va tutto bene. Arriveranno lì tra dieci minuti. Solo, non cominciare a
starmi addosso. Quando do la mia parola...»
Con la coda dell'occhio, vide aprirsi la porta ed entrare Jimmie. Troncò brutalmen
te la conversazione, appese il ricevitore e salutò Jimmie con un sorriso.
«Mi dispiace farti uscire durante il party, ragazzo. Conosci il capitano Strude? J
immie scosse la testa.»
«Un capitano di polizia? No » rispose con un sorriso «non conosco nessun poliziotto a
Chicago.»
«Va bene » disse Tony. «Noi lo chiamiamo Lefty e questa sera si farà chiamare con questo
nome.»
«Vuoi che io lo trovi...»
«Sarà lui a trovarti... e non lasciarti spaventare. Guardò il ragazzo con ammirazione.»
«Sei in gran forma questa sera » disse e gli fece cenno di sedersi vicino a lui. «Ridi
, eh? Sei in gamba! Sei così diverso da questa mattina!»
Il cambiamento di Jimmie era evidente. I suoi occhi erano più luminosi, la depress
ione lo aveva abbandonato e si comportava come se si stesse divertendo. Perelli,
spassionatamente, pensò che era un bel ragazzo, un uomo che poteva indossare qual
siasi abito ed essere sempre elegante.
«Mi sento meglio » disse Jimmie. Tony annuì.
«Quel maledetto poliziotto ti ha mandato in crisi. Non farci caso » disse.
«Il signor Kelly?»
Tony scosse la testa con impazienza.
«Non chiamarlo signore; non è qui ora.»
Jimmie stava fischiettando e si fermava solo se doveva parlare. Ora fischiettava
, guardandosi le mani, quelle sue mani colpevoli.
«Il suo è un lavoro duro » disse. «Questa mattina ho odiato Kelly; ora invece provo un s
entimento di comprensione per lui.»
«Non essere troppo comprensivo » disse Tony in fretta. «La comprensione è una sgradita c
ompagna dei nostri affari, Jimmie. Hai comprensione anche per Minn Lee, vero?»
Buttò li per caso questa domanda ma ricevette la risposta che meno si aspettava.
«Sì » rispose Jimmie tranquillamente. «Io l'amo. Tony si voltò per vedere meglio il ragazz
o e scrutarlo.»
«Cosa? La ami? In effetti, è molto bella: l'ho creata io. Si tolse un invisibile gra
nello di polvere dalla giacca.»
«Tutto quello che lei ha, è mio. Viveva con un pittore sconosciuto quando l'ho incon
trata...»
«Ha qualche importanza?»
«Per me no. Io ho delle larghe vedute. Che cos'è un artista? Nulla. Forse non è neppur
e un essere umano.»
In quel momento arrivò Con, deciso, nascondendo con più abilità del solito il suo rise
ntimento verso Tony. E aveva tutte le ragioni per essere risentito, perché quella
notte era stato un uomo geloso e molto attento.
«Senti, Con, conosci Lefty Strude, il capitano della polizia?»
«No, non conosco nessuno di quelli, ma credimi, non starei molto a Chicago dopo av
erli conosciuti.»
«Penso proprio che non ci starai.»
Tony si alzò, andò dall'altra parte del tavolo e, dopo aver aperto un cassetto, pres
e una busta che mise sul tavolo.
«Prendi la busta, Jimmie: mettitela in tasca e stai attento perché ci sono trentamil
a dollari. Un mio carico di liquori deve attraversare l'Erie Canal. Non dovrai f
ar niente, ragazzo. Porta questa lettera all'angolo tra la Michigan e la Novanta
quattresima. Strude dovrebbe arrivare con la sua macchina alle undici. Dirà solo "
Lefty"... questo è tutto. Dagli la lettera e torna subito indietro. Dovresti esser
e qui un quarto d'ora dopo le undici.»
O'Hara guardò la lettera sparire nella tasca di Jimmie e corrugò la fronte.
«Dico, perché mandi anche me? » domandò. «Dobbiamo essere in due per portare una lettera?»
«Non si è mai in troppi quando si portano trentamila dollari » disse Tony. «Non mi fido
per niente di Feeney. Sa che la consegna dei soldi si farà questa sera.»
Con lo guardò sospettoso. Si alzò per uscire dalla stanza e solo quando arrivò alla po
rta Tony si rese conto che voleva uscire.
«Cosa vuoi fare? » chiese.
«Vado a prendere la signora O'Hara per accompagnarla a casa. Tony sorrise.»
«Accompagnare la signora O'Hara a casa? E perché mai? Resterà qui questa notte... e an
che tu. Ho molte camere vuote.»
Mentre O'Hara apriva la porta, la donna della quale stavano parlando entrò. Era cu
riosa di sapere cosa stava succedendo. Con era stato chiamato e doveva esserci u
na ragione. L'aveva tormentata tutta la sera per convincerla ad andare via; era
tipico di Con rovinarle una festa.
«Ti porto a casa e ti vengo a riprendere quando torno » disse Con e lei lo fissò.
«Cosa diavolo credi che io sia? » chiese. «Qualcosa che compri ai grandi magazzini? In
ogni caso, tu dove stai andando?»
Tony le sorrise.
«Questa è una domanda che non si dovrebbe mai fare. Lei li guardò e poi fermò lo sguardo
su Jimmie.»
«Andrà anche lui? Non si tratta di un lavoro pericoloso? Perelli assunse un'espressi
one addolorata.»
«No, no, no. Non pensateci nemmeno!»
Jimmie guardava la scena con aria divertita. Tra il serio e l'allegro, fece una
proposta: «Andrò da solo. Penso di poter badare a me stesso » disse; era una soluzione
molto gradita a O'Hara.
«Certo che puoi... » cominciò, ma Tony si voltò verso di lui con una smorfia.
«Cosa significa questo? Ti ho forse chiesto di decidere tu quello che vuoi fare e
quello che non vuoi fare? » chiese. «Sei così vigliacco che hai paura di andare con qu
esto ragazzo? Se ci fosse qualche pericolo, pensi che manderei Jimmie, che è come
un fratello per me?»
Con abbassò gli occhi e si fece piccolo, come non aveva fatto mai nella sua vita.
«O.K. » disse a voce alta. «Vado a prendere la giacca. Guardò sua moglie.»
«La signora Perelli si prenderà cura di te, cara, hai capito?»
«Chi ti ha detto che io ho bisogno di un'accompagnatrice? » protestò lei.
«Ben detto! » esclamò Tony. «Arrivederci, Jimmie. Torna subito indietro. Poi vide qualco
sa nella tasca interna della giacca di Jimmie; era un portasigarette d'argento.
Si avvicinò per toccarlo.»
«Cos'è?»
Jimmie abbassò lo sguardo.
«Un portasigarette » rispose. «La mia... qualcuno me lo ha regalato. Tony annuì. Il suo
sguardo malizioso si fermò sul viso di Jimmie.»
«Qualcuno di speciale, eh? Lo porti proprio sul cuore.»
«Era lì per caso. Tony scosse la testa.»
«Io non lo porterei lì, Jimmie. Mettilo nella tasca dei pantaloni. Così non sta bene.»
Per un attimo Jimmie rimase perplesso, poi capì. Prese il portasigarette dalla tas
ca della giacca e, lentamente, lo fece scivolare in quella dei pantaloni.
«Hai ragione. Sarebbe proprio sulla traiettoria, vero?»
Il sorriso svanì dal volto di Tony. Il ragazzo aveva detto una brutale verità. Sapev
a qualcosa? Doveva essere così, sospettava qualcosa. Ma da chi poteva aver saputo?
Il salone era collegato all'anticamera da un corridoio, corto ma largo. Jimmie e
ra quasi alla porta, quando sentì una voce che lo chiamava; si voltò e vide Minn Lee
che correva verso di lui. Tese la braccia; lei lo abbracciò e lui la tenne strett
a per un attimo. Era completamente dimentica di Tony, che era sulla porta e li g
uardava a bocca aperta, e di Maria, che era divertita e anche un po' meravigliat
a, perché le donne come lei tengono molto alle convenzioni sociali.
«Stavi andando via senza salutarmi, Jimmie » disse Minn Lee, senza fiato. «Sei felice?»
Lui annuì.
«Il cielo sa quanto sono felice » le disse, a bassa voce. «Tu non lo sai.»
Lei alzò il viso e lui la baciò. Un secondo dopo aveva raggiunto O'Hara che lo aspet
tava in ascensore, lamentandosi ad alta voce del lavoro che gli era stato assegn
ato.
Minn Lee tornò direttamente nel salone. Non vide né Perelli né la donna che la stava s
ostituendo; il suo sguardo era perso nell'infinito ed era consapevole solo delle
cose tremende che si agitavano nel suo cuore e nella sua mente. Perelli le diss
e qualcosa, ma lei non gli rispose. Aveva solo un desiderio, del tutto egoistico
, cioè che Jimmie la approvasse: le interessava solo questo. Si muoveva tra la sor
presa di Tony.
«Hey, mi stai ascoltando?»
Sentì la voce di Tony e si voltò sorridendo verso di lui. Lui era grande, potente, a
utoritario, eppure...
«Vieni a ballare come me, Tony? » gli chiese gioiosa. «Sono la donna più bella della fes
ta: l'ha detto Jimmie.»
Perelli rimase paralizzato nel centro della stanza. Lei era la donna più bella del
la festa. L'aveva detto Jimmie. Si sentiva ferito, terribilmente offeso. Aveva g
ià deciso il destino di Minn Lee, aveva già progettato di mandarla via il giorno ste
sso e di condannarla a una misera vita. Aveva già mandato via altre donne. Aveva c
hiuso con lei, come aveva chiuso con le altre, alle quali non aveva pensato mai
più. Le donne, anche quando erano le favorite, non contavano mai molto per lui, no
n più di un mobile e dei quadri dell'appartamento, come aveva detto a Minn Lee poc
hi giorni prima. Tuttavia, lei lo aveva ferito, lo faceva soffrire: lo scoprì con
dolore: era un'esperienza nuova, tremenda, quasi insopportabile.
Sentì Maria ridere ma rimase ancora lì a fissare il pavimento sul quale era passata
Minn Lee. Infine, ritrovò la voce.
«Aveva chiuso la porta a chiave » disse lentamente.
«Santo cielo! Ha un innamorato » disse Maria maliziosamente. «Mi piace quel ragazzo.»
Poi le venne in mente una faccenda più importante.
«Dove sono andati? » chiese. Lui non rispose.
«Con e Jimmie McGrath » disse con impazienza. «Signor Perelli, sei sordo? Non era affa
tto sordo, ma la sua mente era completamente assorbita da quello che aveva appen
a visto.»
«Non ha detto "sì" » disse lentamente «e nemmeno "no"... ha solo annuito... Lei è la donna
più bella della festa... L'ha detto Jimmie.»
Lei smise di sorridere e il suo sguardo si fece duro.
«Hai intenzione di ballare o starai qui a parlare da solo per tutta la notte? Quan
do starà via Con?»
All'improvviso, Tony tornò alla realtà. Con se ne era andato, e per sempre. Rise.
«Starà via molto » disse, mettendole un braccio intorno alle spalle. Lei si liberò.
«Sei sempre così dannatamente sicuro di te, vero? Andiamo a ballare.»
Ma lui la condusse verso un divanetto e la fece sedere.
«Non mischiamoci agli altri » la pregò. «Siediti comoda; non entrerà nessuno.»
Le si avvicinò e la baciò e lei offrì la resistenza adeguata alla situazione. Era molt
o convenzionale e incline alla rispettabilità, o almeno all'apparenza della rispet
tabilità.
«Hai delle brutte intenzioni, vero? » Lo allontanò da sé e lo guardò. «E se entrasse qualcu
o... tua moglie?»
Lui non vedeva altro che i grandi occhi di lei. Maria si alzò, arrabbiata.
«Santo cielo! Se hai intenzione di guardarmi così, mi cercherò un altro partner » disse.
Lui cercò di afferrarle il braccio, ma lei si liberò. La seguì nel salone e la liberò da
tutti i partner che si erano fatti avanti.

17.
Una cosa era certa, pensava tra sé Mike Feeney: Tony Perelli non possedeva tempism
o. C'era un tempo per gli affari e un tempo per il piacere ed era contro tutte l
e regole e le tradizioni confondere i due tempi. In ogni caso, quale questione c
on la legge non poteva essere risolta alla luce del sole? In caso di un'indagine
della polizia, non avevano dei regolari conti in banca da esibire? Importava fo
rse qualcosa se i guadagni provenivano dagli angoli delle strade o da affari reg
olari, dal momento che nessuno poteva provarlo?
Jimmie guidava la sua coupè. Era molto calmo.
Con lo notò con interesse. Aveva visto diversi uomini cambiare incredibilmente, ma
non si sarebbe mai aspettato di vedere un cambiamento del genere in Jimmie.
«Perché Kelly voleva vedere Perelli? » chiese, all'improvviso.
«Kelly? Con annuì.»
«Sì. È salito nell'appartamento proprio mentre uscivi tu. Pensavo che l'avessi incontr
ato.»
Jimmie non rispose.
La luce verde del semaforo divenne all'improvviso rossa e Jimmie fermò la macchina
.
«Cosa pensi della vita, Con? » chiese. Con lo guardò sbalordito.
«Come? » chiese.
«Cosa pensi del mondo? Ti piace? Pensi di continuare a vivere così con tua... tua mo
glie, e tutto il resto?»
Con O'Hara ridacchiò.
«Sicuro. Continuerò a vivere così » disse.
«Ed è per questo che ti farò scendere a qualche isolato prima del luogo dell'appuntame
nto.»
Con era sbalordito.
«Il luogo dove dovremmo incontrare il capitano della polizia » spiegò Jimmie. «Penso che
sia meglio che vada da solo. Tu tieniti pronto a scendere.»
O'Hara si agitò sul suo sedile.
«Cosa diavolo hai in mente? » chiese lentamente.
«Sai cosa significa essere consegnati? » chiese Jimmie.
«Certo che lo so.»
Ci fu un breve silenzio.
Il semaforo tornò verde e la macchina si avviò.
«È buffo » disse Jimmie, parlando al suo compagno e anche a se stesso. «Io non sapevo co
sa voleva dire fino a oggi. È una frase che viene dalle foto pubblicate sui giorna
li, vero? Segnano con una croce il posto dove viene trovato il cadavere dell'uom
o che è stato "consegnato". Il cadavere viene rimosso, per paura che la fotografia
urti i sentimenti della gente e, al suo posto, viene messa quella croce.»
«Chi sta per essere consegnato? » chiese Con. Sentì un leggero sospiro.
«Penso noi » disse Jimmie. «O almeno, io. Ti lascerò scendere, o meglio, scenderò io. » Pen
per un attimo. «No, è meglio che scenda tu. Se non vedono la macchina, penseranno ch
e Perelli li abbia traditi.»
«Senti, vuoi spiegarti meglio? Noi siamo stati "consegnati"...? È stato quel maledet
to siciliano...?»
«Penso proprio di sì » disse Jimmie con gravità. «Non so perché abbia mandato anche te, ma
i certo vuole eliminare me.»
Il respiro di O'Hara si fece più affannoso.
«Chi te l'ha detto? Jimmie sorrise nel buio.»
«Una persona che non mi mentirebbe mai.»
«Minn Lee?»
«Una persona che non mi mentirebbe mai » ripeté Jimmie. «Penso che sia meglio che io ti
lasci qui.»
Accostò la macchina.
«Tu sei pazzo » disse Con. «Se è vero, perché ci vai? Ci tieni tanto a farti ammazzare?»
Jimmie non rispose, ma la mente dell'uomo che sedeva al suo fianco fu attraversa
ta da un sospetto.
«Tu vuoi tagliare la corda con i soldi che hai in tasca! » esclamò.
Jimmie accese le luci interne e prese la busta dalla tasca; senza esitare, la st
rappò a un lato e tirò fuori un blocco di fogli bianchi. «Ecco i soldi » disse ironico. «Q
uesti mi manterranno nel lusso per il resto della vita!»
O'Hara li afferrò e, guardandoli, sobbalzò.
«Non sono soldi... è solo cartaccia » balbettò.
«Vuoi scendere?»
Jimmie si chinò verso la portiera di Con per aprirla. O'Hara esitò solo per un attim
o. Guardò nelle tenebre: non si vedeva nessuno. Vicino alla macchina c'era una pos
sibilità di fuga, uno stretto passaggio tra due case.
«Ti guarderò le spalle » balbettò, senza fiato. «Tu vai Jimmie. Hai una pistola? Jimmie sc
osse la testa.»
«Non ne ho bisogno.»
Richiuse la portiera e, con un saluto della mano, se ne andò.
Quando arrivò all'appuntamento, fermò la macchina e scese. Non si vedeva nessuno. Po
i comparvero i fari di una macchina che lo oltrepassò velocemente. Ancora nessuno.
.. Sì, ecco un'altra macchina, che si avvicinava lentamente, rasentando il marciap
iede. Era sempre più vicina...
A pochi metri da lui, qualcuno all'interno scostò le tendine...
Jimmie McGrath si avvicinò con decisione. Probabilmente vide le scintille uscire d
alla canna della pistola che fece fuoco; probabilmente, non sentì nulla...
Cadde sul marciapiede, inerte. Aveva pagato nel modo che aveva scelto.
In poche ore, i giornalisti si sarebbero accalcati su quel marciapiede e le foto
grafie con un croce avrebbero riempito le prima pagine dei giornali di Chicago:
Shaun O'Donnell era stato per metà vendicato.

18.
Fu Angelo a far entrare il commissario, mostrando un'apprensione naturale per lu
i, dal momento che era l'uomo che possedeva la visione più chiara del mondo dei ga
ngster e riconosceva il pericolo potenziale che quell'uomo dallo sguardo arcigno
rappresentava.
Tra lui e Kelly c'era una sorta d'intesa molto difficile da definire. Kelly sape
va che Angelo sarebbe stato il futuro capo della banda che ora era controllata d
a Perelli e capiva che non ci sarebbe stato solo un cambio ai vertici, ma anche
un miglioramento negli affari.
«Dov'è Perelli? » chiese bruscamente.
Guardandosi intorno vide le bottiglie di champagne ormai vuote e i bicchieri e,
anche senza le note del grammofono, avrebbe capito che era in corso una festa.
«È appena uscito per incontrare un amico » rispose Angelo in fretta. Kelly sorrise.
Perelli non usciva mai a trovare qualcuno senza la sua macchina blindata che que
lla sera non aveva lasciato il garage.
Angelo accettò l'accusa di essere un bugiardo senza abbattersi: mentire faceva par
te del suo lavoro.
Assunse un tono più confidenziale.
«È nella sala da ballo » disse «con una signora, e questa è la verità. Voi sapete com'è Ton
uando si tratta di donne! Volete un drink, capo? Lo andrò a chiamare.»
Kelly si mise a passeggiare lungo l'appartamento.
«Mike Feeney è stato qui ieri » disse. Angelo annuì.
«Noi e Mike siamo come fratelli » commentò.
«Voi?... Come Caino e Abele » disse. «Dov'è quel ragazzo, McGrath? Anche lui è come un fra
tello?»
Angelo sorrise ingenuamente.
«È qui in giro. È un bravo ragazzo, capo.»
«In giro dove? L'ho visto alla porta quando sono entrato. Trova Perelli; devo vede
rlo.»
Quando Angelo fu alla porta, Kelly chiese: «Cosa significa questo party?»
«Stiamo avendo un piccolo intrattenimento in giardino » disse Angelo, in tono di scu
sa. «Tony ha pensato che non sarebbe stata una buona idea dare una festa in grande
stile questa sera, vista l'amicizia che lo lega a Mike. Shaun è stato seppellito
questo pomeriggio. Non c'erano mazzi di fiori, ma solo corone! Shaun era davvero
grande, in quella bara argentata, che sarà costata settemila bigliettoni! Ci sara
nno stati fiori per cinquemila dollari, ci pensate, capo? Cinquemila dollari but
tati per dei fiori! Tutto quel denaro poteva andare a noi poveretti.»
In quel momento entrò Minn Lee e si sedette sul suo divano preferito. Aveva in man
o il suo ricamo ed, evidentemente, era poco interessata alla festa. Kelly la sal
utò con un cenno gentile.
«Avete un vestito bellissimo, Minn Lee » disse.
Era davvero bella con quel vestito, che sembrava cucito su di lei. Solitamente v
estiva all'orientale, ma quella sera aveva un abito da sera occidentale color or
o; la stoffa veniva da Parigi e il colore si intonava meravigliosamente con la s
ua pelle color avorio.
Sorridendo, abbassò gli occhi sul vestito e poi guardò il commissario.
«Vi piace?»
La guardava con la fronte accigliata.
«Non vi ho mai vista così bella, Minn Lee » disse. «Sapete, ho sognato di voi la notte s
corsa.»
Lei alzò lo sguardo.
«Oh, signor Kelly! Io pensavo che voi sognaste solo prigioni, catene e sparatorie!»
Lui ridacchiò.
«Ecco, io penso a voi, mia giovane signora; il fatto è che provo un sentimento di si
mpatia per voi.»
«Davvero? » disse lei, civettando un po'. «Questo è il mio giorno fortunato.»
«Questo non vuol dire che io vi proponga di venire a trovarvi quando Tony non c'è » di
sse Kelly «e non fingete di essere dispiaciuta perché so che non è vero. Il fatto è, Min
n Lee, che, nonostante le vostre strane e sfortunate vicende e il fatto che vi t
roviate qui, io ho del rispetto per voi. Voi siete l'unica persona vera in quest
o posto.»
Alzò lo sguardo verso il soffitto decorato.
«Voi non appartenete a questo posto, questo è innegabile. Non c'è nulla in questa stan
za che non sia un'imitazione di qualcosa. L'appartamento è stato copiato da una ca
sa veneziana, i quadri sono copie degli originali che si trovano a Roma e i mobi
li sono sullo stile di Verona.»
Lei era divertita.
«L'arte sarà la mia rovina » disse, spensierata. «Anch'io sono la replica di qualcosa?»
«Voi siete reale » disse lui e poi, dopo aver dato un'occhiata alla stanza, aggiunse
. «Quando ve ne andrete?»
«Chi vi ha detto che andrò via? » chiese lei.
Lui capì che lei sapeva qualcosa, o comunque lo sospettava.
«Ormai è giunto il tempo per voi di sloggiare » disse. «Ho visto altre tre donne sedute
dove siete voi ora, e tutte sembravano a casa loro; le ho viste andar via una pe
r una.»
Lei annuì.
«Lo so, povere ragazze!»
Nella sua voce c'era una nota di disinteresse.
«Voi dovreste sapere come fa il vostro uomo a procurarsi i soldi per queste follie
» disse.
«Contrabbando di liquori » rispose lei.
«Sì, liquori » ripeté Kelly «e qualcos'altro. » Possiede tre case a Cicero e due a Burnham,
con quaranta ragazze in ognuna di queste case. Duemila dollari di incasso ogni s
era, duemila bigliettoni guadagnati su delle donne.
Lei incrociò le mani, senza guardarlo.
«Sì, lo so » disse a bassa voce. «Non sono una bambina. Naturalmente, lo so. Perché me lo
dite?»
Lui aveva una ragione per dirglielo. Probabilmente la notizia l'avrebbe spaventa
ta, anche se avrebbe fatto di tutto per nasconderlo.
«La direttrice di una delle case di Cicero è in cattivi rapporti con Perelli » disse. «R
ubava dei soldi. Qualcuno dovrà prendere il suo posto.»
La paura di lei svanì: non gliene importava niente. Lui avvertì questa reazione e si
meravigliò.
«Non mi importa niente » disse Minn Lee. «Se voi mi aveste parlato così ieri, avrei soff
erto, ma oggi, nulla può turbarmi. Nulla. Che ore sono?»
Si sentì un orologio battere le ore. Kelly guardò il suo orologio.
«Le undici. Perché?»
Il viso di lei divenne estatico. Era solo un'impressione di Kelly, o il volto di
Minn Lee si fece più pallido? C'era qualcosa nei suoi occhi che nessuno aveva mai
visto prima. Kelly la fissò sbalordito. Minn Lee stava guardando nel vuoto.
«Le undici!»
Lui sentì appena quel bisbiglio.
«Come è bello...»
«Minn Lee, cosa c'è che non va?»
«Non parlate per un minuto.»
Chiuse gli occhi e unì le mani davanti al petto ansimante. Sembrava una divinità nel
fervore della devozione.
«Minn Lee, sembrate la regina della Cina! » disse Kelly con ammirazione. Lei gli por
se la mano.
«Baciatemi la mano » disse con decisione. «In questo momento, io sono una regina... la
regina di me stessa! Sono padrona di me stessa, per la prima volta nella mia vi
ta!»
Mentre Kelly le prendeva la mano, notò un anello con un diamante. Lo guardò con curi
osità, toccando la pietra.
«Avete un bellissimo anello, Minn Lee.»
Lei annuì. La sua mente e il suo cuore erano altrove. Kelly sarebbe rimasto sbalor
dito se avesse saputo dove.
«L'ho già visto » continuò. «Al dito di ogni ragazza che ha abitato qui. Lei tornò alla rea
tà con un sospiro e un sorriso.»
«Sì, penso di sì.»
«Un giorno, Perelli vi dirà che lo rivuole indietro: voi glielo darete, e non lo riv
edrete più.»
Lei guardò l'anello curiosamente, come se non l'avesse mai visto prima.
«Io non lo voglio... cos'è? Non significa nulla per me » disse.
«Un giorno, lui vi manderà da Cicero » aggiunse Kelly deliberatamente. «E sapete cosa vi
aspetta laggiù?»
Lei scosse la testa.
«Dovrete prendervi carico di un'elegante casa, dove gli uomini di Perelli vanno a
divertirsi.»
«No!»
La negazione di lei fu passionale, veemente. Per un attimo, Kelly pensò di averla
sconvolta.
«E poi, anno dopo anno » continuò «andrete nella seconda casa, dove si bevono birra e li
quori scadenti e poi, vi ridurrete ad avere una stanzetta nella terza casa, dove
non c'è neppure un bar.»
«No!»
Lui la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo negli occhi.
«Così sono finite le altre, Minn Lee. Tutte quante. Ogni ragazza che è stata la "signo
ra" Perelli, è finita in quel modo.»
Seguì una lunga pausa.
«Ho un modo per tirarvi fuori.»
L'aveva anche lei, il modo migliore, ma Kelly non lo sapeva. La sua mente era te
sa solo a trovare un modo per incastrare Perelli.
«C'è una ricompensa di centomila dollari per chi denuncerà l'assassino di Vinsetti. Il
denaro è depositato alla Union Bank. È stato Perelli, e voi lo sapete bene.»
Lei fece un piccolo gesto di sconforto e si sedette su una delle sedie stile rin
ascimento.
«Pensavo che mi avreste fatto una proposta interessante » disse «ma mi sbagliavo. Siet
e tornato a essere un poliziotto, ma io vi preferivo quando eravate un uomo.»
Kelly si guardò intorno e abbassò la voce. Lui sapeva tutto quello che succedeva in
quella casa... tutto. Sapeva meglio di Minn Lee quanto Perelli fosse compromesso
con la donna di Con O'Hara. Aveva intercettato una telefonata di Maria che avev
a chiarito le cose definitivamente. Maria aveva un'amica a Chicago con la quale
si era vantata della fortuna che stava per capitarle. Le donne parlano con le am
iche, e queste parlano con gli uomini. Il Quartier Generale della polizia aveva,
naturalmente, i suoi informatori.
Quello era il momento giusto: Minn Lee doveva sapere qualcosa di Maria, e se era
così...
«Non avete nulla da temere. Nessuno della banda vi farà del male. C'è l'impiccagione p
er chi uccide una donna a Chicago. Le nostre giurie saranno anche vigliacche, ma
sono sentimentali! Io vi garantisco l'incolumità.»
«Siete Dio? » chiese lei, ironica.
«Non vi potrei garantire niente da Cicero » rispose Kelly.
Lei ammiccò.
«Caro amico! Io non ho paura di Cicero, del locale di lusso o di quello di terz'or
dine. Io non ci andrò mai, mai! Amo troppo me stessa per farlo.»
«Voi non conoscete Perelli » disse Kelly e lei sorrise.
«Cosa importa? » chiese. «Voi volete portarmi dalla vostra parte, ma io non voglio ess
ere dalla parte di nessuno. Voglio andarmene con un sentimento di armonia verso
tutti.»
Questa era una novità.
«Allora state andando via? » chiese con enfasi. Lei annuì.
«Tony lo sa? » Minn Lee scosse la testa. «Vorrei fare qualcosa per voi » aggiunse.
Lei rise.
«Cosa può fare il grande capo dei detective?»
«Niente » disse lui. «Proprio niente. Nemmeno per una brava ragazza come voi.»
«Pensate che io sia una brava ragazza? » chiese lei ironicamente. Dimenticandosi per
un attimo della vera ragione che l'aveva portato lì, Kelly si rimise il cappello,
per andarsene.
«Ho fatto una cosa gentile per voi: non vi ho chiesto con chi ve ne andate.»
«Sarebbe stata una perdita di tempo » disse lei.
Minn Lee guardò oltre le spalle di lui. Sulla soglia era comparso Tony, che le sor
rideva. Non era il Tony che aveva conosciuto quella mattina, ma il vecchio Tony,
tenero e gentile.
«Ah! Minn Lee vi intrattiene, capo? » disse. «Volevate vedermi? Prese il ricamo dalle
mani della ragazza.»
«Come procede il lavoro, tesoro? Questo dragone cinese non fa molti progressi. Gua
rdate. » Mostrò orgoglioso il lavoro a Kelly. «Un lavoro stupendo, fatto da dita così de
licate! » Le baciò le mani. «Ora vai, mio piccolo fiore cinese. Ti raggiungerò subito.»
Kelly le tese la mano.
«Addio, Minn Lee.»
Lei esitò un attimo, poi gli strinse la mano, con un piccolo inchino. Tony era int
eressato.
«È la prima volta che vi vedo stringere le mani a qualcuno, signor Kelly.»
«È la prima volta che nella tua casa incontro qualcuno a cui desidero stringere la m
ano » tagliò corto Kelly.
Guardò la porta dalla quale era uscita Minn Lee e poi la chiuse.
«Sei una serpe velenosa, Perelli. Mi sono spesso chiesto cosa fossi, e ora lo so.
Hai del sangue giudeo nelle vene? No? Forse Giuda era per metà siciliano. Siediti.»
Per un attimo negli occhi di Perelli brillò una luce omicida. Poi si voltò verso Ang
elo, con un falso sorriso.
«Mi ordina di sedermi in casa mia? Angelo, hai sentito?»
Il fido servitore non rispose; Angelo era molto percettivo e capiva se qualcosa
nel rapporto tra un poliziotto e un gangster cambiava. Kelly parlava come se sap
esse qualcosa.
«Il mio ufficio al Quartier Generale non è così comodo. Gli ultimi otto gangster che s
i sono seduti alla mia scrivania sono morti.»
Tony Perelli si sforzò di sorridere con gentilezza.
«Avrebbero dovuto stare in piedi » disse. Si voltò verso Angelo in cerca di supporto.
«Il signor Kelly ha una cattiva opinione di noi, Angelo. Se qualcosa va storto...
la colpa è di Tony Perelli; se il sindaco fa un discorso noioso... andiamo da Tony
Perelli; Vinsetti scompare?... Cerchiamo nell'appartamento di Tony Perelli.»
Angelo si trovò d'accordo con lui.
«Hai ragione, capo.»
Cosa era venuto in mente a Perelli di tirare in ballo Vinsetti? L'audacità della m
ossa tolse il fiato a Kelly.
«Vinsetti... hmmm! Ha ritirato trecentomila dollari dalla banca, è venuto qui e non
si è più visto.»
Tony ridacchiò. In quell'occasione aveva vinto contro la polizia; una vittoria dec
isa e definitiva; si gloriò del suo trionfo.
«Certo, e voi l'avevate torchiato tutto il giorno. Ha passato tutta la mattina al
Quartier Generale, raccontando tutto dei suoi amici, quella lurida spia!»
«È venuto nel tuo appartamento » insistette Kelly.
«E io l'ho cacciato fuori a calci » disse Tony. «Io non voglio guai con quel genere di
spie vigliacche.»
Desiderò di non aver mai sollevato la questione e, in quel momento, avrebbe volent
ieri cambiato argomento.
«È venuto in questo appartamento... e non ne è uscito vivo » disse Kelly. Perelli guardò d
i nuovo il suo vice, che fece quello che Tony si aspettava.
«Sentite capo, non può essere così: voi siete venuto dieci minuti dopo.»
«C'era forse del sangue sul pavimento? » chiese Tony con rabbia. «C'era un cadavere? Q
ualcuno ha sentito degli spari?»
Stava parlando troppo e stava perdendo il controllo. Quella sfida iniziata per s
baglio stava prendendo una piega troppo seria.
«Nessuno avrebbe potuto sentire lo sparo » continuò Kelly. «Io conosco le vostre pistole
, fatte apposta per gli spazi chiusi.»
Perelli scoppiò in una risata, simulata solo per metà.
«Non volete proprio essere ragionevole! Sono io che uccido tutti? Tony Perelli! Se
non fosse per me, non esisterebbero più i giornali... ma se non esistesse un Tony
Perelli, voi lo inventereste.»
«Voi dovreste pensare meglio a quello che dite, capo » esclamò Angelo, in tono offeso «e
dare meno retta ai giornali!»
«Non ce ne sarebbe neanche uno » ripeté Perelli con rabbia. Kelly poteva capire il suo
punto di vista.
«Se a Chicago non ci fossero giornali, non ci sarebbe nemmeno la polizia » disse.
Angelo arricciò il naso.
«Allora io dico: "al diavolo i giornali!" » commentò, uscendo dalla stanza.

19.
Perelli rimase in attesa. Aveva la sensazione che sarebbe successo qualcosa. Kel
ly stava giocando con lui; era come se sapesse qualcosa, ma cosa?
C'era solo un mistero che poteva aver scoperto, ma era troppo presto perché Kelly
potesse aver parlato con O'Hara. Tuttavia, pensando a tutte le possibilità, non tr
ovava nessun'altra spiegazione.
«Avete sentito qualcosa? » chiese Kelly con noncuranza, prendendo un grosso sigaro d
alla tasca e accendendolo, dopo averlo esaminato accuratamente. Guardò Perelli con
aria significativa.
Tony sorrise.
«No. A ovest è tutto tranquillo » disse.
«Bene! » disse Kelly con un tono così minaccioso che quel "bene" suonò come il suo contr
ario.
Aveva delle notizie da comunicare; Tony se lo sentiva. Ma cosa? Kelly stava gioc
ando con lui come il gatto con il topo e l'esperienza non gli piaceva affatto.
«È per questo che siete venuto? » chiese. «Per chiedermi se ho delle novità?»
Potete comprare il Tribune per tre centesimi. Sapete, capo, non avrei mai pensat
o che sareste venuto da me per chiedermi cosa succede a Chicago.
Kelly si mise a passeggiare su e giù, con le mani in tasca, fumando placidamente i
l sigaro. Osservò gli affreschi sulle pareti, i soffitti abbelliti con delle copie
di dipinti di Raffaello, del Tintoretto e dei maestri dell'arte italiana e li t
rovò molto edificanti. Poi si voltò, fissando il proprietario di questo splendore co
n degli occhi di ghiaccio.
«Perelli, cosa ricavi dai tuoi racket? » chiese. «Una bella somma, immagino. Tony si s
trinse nelle spalle.»
«Bene, ve lo dirò perché sono vostro amico » disse, con una punta di sarcasmo. «Tra amici
non dovrebbero esserci segreti, vero? Guadagno un milione e mezzo, due milioni a
ll'anno. Ma le spese sono pesanti. L'anno scorso ho speso un milione, quasi tutt
o per la polizia. È davvero terribile sapere che la polizia si lascia corrompere!
Molti poliziotti sono sul mio libro dei conti. È demoralizzante!»
Kelly sorrise arcigno.
«Quanto ho accettato io? » chiese, e Tony ridacchiò.
Aveva avuto il coraggio di fare quel discorso, perché non aveva rispetto per i pol
iziotti che rifiutavano di farsi corrompere, anche se disprezzava chi accettava
il suo denaro.
«Voi, se mi permettete, siete un pazzo! » disse. «Abbiamo poco tempo per vivere... e d
obbiamo passarlo bene. E non si può essere felici se si è poveri. Io non vedo un big
lietto da dieci dollari da anni; questo è il modo migliore di vivere, non sapere c
he esistono dei biglietti di così piccolo taglio.»
Kelly annuì.
«Le tue ragazze a Cicero, invece, conoscono bene i biglietti da dieci dollari » diss
e in tono significativo e Tony Perelli assunse un'espressione addolorata.
«Mio caro amico! » disse, in tono lamentoso. «Le mie ragazze a Cicero! Io non ho ragaz
ze a Cicero né in altri locali. Io non tratto con quelle case tremende. Sarei inca
pace di maneggiare quel denaro... pensavo che mi conosceste meglio, signor Kelly

Sembrava davvero addolorato.
«Non ho mai investito un solo dollaro nel vizio. Tutti quelli che mi conoscono pot
ranno confermarglielo. Sono i miei nemici che mettono in giro queste voci, ma no
n hanno le prove... voi lo sapete che non ci sono prove.»
Kelly era scettico.
«Non hai nulla a che farci, eh? Con il Lion Inn, per esempio? » suggerì. Tony Perelli
sorrise tristemente.
«Il Lion Inn! Conosco quel posto; mi ci hanno portato. Secondo me non è vero quello
che si dice del locale, ma non sono affari miei. Non è mio; non conosco neppure ch
i lo manda avanti.»
«Bene! » esclamò Kelly, mostrandosi sollevato. «Sono felice di saperlo. È per questo che s
ono venuto. » Aspirò profondamente il suo sigaro e mandò una nuvola di fumo contro il
soffitto affrescato. «I Vigilanti hanno attaccato il Lion Inn questa sera » disse. «Ha
nno fatto uscire le ragazze e hanno distrutto completamente il locale.»
Vide che il colore abbandonava il volto di Perelli. Riuscì a controllare i suoi mo
vimenti, ma non il fluire del sangue dal viso.
«Cosa? » Balzò in piedi, con la mano che gli tremava. «È una bugia! » Era senza fiato per l
rabbia repressa. «Sarei già stato avvertito... il Lion Inn vale centomila dollari.»
Poi, con uno scatto di rabbia:
«Vigilanti! Per Dio! Accidenti a loro. Vigilanti!»
Si avvicinò a Kelly con il pugno alzato, avvicinandolo al viso del poliziotto.
«Non c'è la polizia da Cicero? » gridò. Il commissario sorrise compiaciuto.
«Dovresti saperlo. Hai detto che la maggior parte dei poliziotti si trova sul tuo
libro dei pagamenti. Non capisco cosa ti preoccupi, visto che il locale non è tuo
e visto che non hai soldi investiti. La cosa non ti tocca, vero?»
«Vigilanti! » La voce di Perelli era quasi stridula. «Non c'è una legge allora? » Agitò le
ani con un gesto disperato. «Centomila dollari, e nemmeno un centesimo di assicura
zione!»
Non aveva più ritegno. C'erano in gioco centomila dollari e questa terribile realtà
gli stava proprio davanti. Il Lion Inn... fece dei rapidi calcoli. Gli era costa
to circa duecentomila dollari.
Kelly aveva lanciato la sua freccia, ed era pronto ad andarsene.
«Vado » disse, ma poi, come colpito da un pensiero improvviso, aggiunse. «Ho un'altra
notizia: non ci sono stati morti! Visto che sei un uomo sensibile, penso che ti
faccia piacere saperlo.»
Perelli era di nuovo freddo, padrone di sé; la sua mente spietata aveva ripreso a
funzionare. Poteva mancare di senso dell'umorismo, ma non certo di logica. Mentr
e Kelly stava uscendo, lo afferrò per un braccio.
«Aspettate, signor Kelly. Parliamoci chiaro.»
La sua voce era stridula e leggermente affannata.
«Siete un tipo in gamba, lo riconosco. Quando voi mi date il verde, io proseguo, s
e fate scattare il rosso, io mi fermo. So come mi devo comportare con voi. Ma c'è
solo un modo in cui io posso guidare il mio racket, ed è quello che uso. Se uno o
due uomini vengono uccisi, cosa importa? Sono forse innocenti? Sono forse degli
onesti cittadini? Ditemelo voi! Sono criminali, assassini, attentatori, uomini v
iziosi, senza regole! Quanto costerebbe allo stato dell'Illinois doverli impicca
re tutti? Cinquantamila dollari! Cinquantamila bigliettoni! Avvocati, giurati, g
iudici, processi, testimoni... passano anni prima che il boia se li trovi davant
i. I gangster hanno eliminato quattrocento uomini simili. Se volete, lo riconosc
o, io sono un gangster, ma ricordate che noi abbiamo fatto risparmiare allo stat
o sei milioni di dollari! Sei milioni, capito? È un sistema molto più economico. Fuo
ri dal Palazzo di Giustizia, dovreste fare una statua in onore dei gangster. Noi
siamo dei benefattori o, se preferite, bestie nocive che mangiano altre bestie
più nocive. Non potete negarlo.»
Aveva fatto questa tirata senza riprendere fiato. Kelly ascoltava stupito e dive
rtito.
«Bene! » disse. «Ho sentito questo discorso così tante volte che incomincio a saperlo a
memoria. Jimmie McGrath sta per essere eliminato da qualche bestia nociva?»
Perelli lo fissò. Sapeva, o sospettava qualcosa?
«È un ragazzo in gamba » disse in tono soave. «Sono molto affezionato a Jimmie. Non potr
ei esserlo di più se anche fosse mio fratello » disse.
Kelly era scettico.
«Con O'Hara? È come un fratello anche lui?»
«È molto in gamba » esclamò Perelli.
«E dove sono questi due... signori? » chiese Kelly.
Perelli assunse un'aria misteriosa, si guardò intorno per scoprire eventuali ascol
tatori nascosti e abbassò la voce.
«Sono usciti con un paio di ragazze... ma non ditelo alla moglie di O'Hara » disse.
«Tu e Mike Feeney siete grandi amici, allora?»
Era un uomo sconcertante questo Kelly; cambiava argomento così in fretta, che era
quasi impossibile seguirlo. Forse era il suo modo per confondere l'interrogato,
almeno così si interpretava questa sua stranezza nel mondo dei gangster.
«Certo, Mike Feeney e io siamo amici, anche se abbiamo avuto anche noi dei momenti
difficili » disse Tony.
«Shaun O'Donnell è stato uno di questi momenti? » chiese Kelly.
Tony allargò le braccia con un gesto sconsolato.
«So che ora tutto è sistemato » disse.
Kelly si morse il labbro, non distogliendo i suoi occhi di ghiaccio da quelli di
Perelli.
«Che prezzo hai pagato perché tutto si sistemasse? » domandò e lo stupore di Perelli fu
troppo elaborato per sembrare sincero.
«Signor Kelly, le vostre parole sono come un brano di musica tedesca che io non ri
esco né a leggere né a suonare.»
Kelly arrivò dritto al punto.
«Hai dovuto "consegnare" qualcuno? » chiese a bruciapelo. Tony lo fissò sbalordito.
«Mio Dio, no! Non farei una cosa simile nemmeno a un cane! Consegnare un uomo a un
'altra banda! Questo è terribile, signor Kelly; è una vigliaccata. Voi credete che i
o...»
«Senza nessun dubbio » esclamò Kelly, giocherellando con il cappello. «Tu sei un cane ro
gnoso! Buonanotte.»
Vide aprirsi una porta. Minn Lee entrò e si mise dietro il suo uomo. In quel momen
to suonò il telefono. Kelly fece segno di rispondere.
«Rispondi » ordinò. «Ho lasciato detto che ero qui.»
In quel momento Perelli si accorse di Minn Lee e riversò la sua furia su di lei.
«Vattene » sibilò. «Mi hai sentito?... Portare un uomo in camera tua e chiudere a chiave

Il telefono squillò di nuovo e Kelly si avvicinò all'apparecchio.
«No, no, rispondo io. » Perelli afferrò la cornetta. «Pronto. » Poi, cambiando completamen
te tono. «Il Quartier Generale della polizia? Sì, il capo è qui » disse e passò il ricevit
ore al commissario.
Stranamente, in quel momento di estremo pericolo, con la polizia divenuta minacc
iosa e che si permetteva di sfidarlo in casa sua e ridicolizzarlo con la perdita
del Lion Inn, la sua mente era completamente ossessionata dall'offesa subita da
lla persona che lui aveva già tradito e che avrebbe continuato a tradire.
«Ti ha baciato sulla bocca! » gridò, con voce tremante. «L'ho visto quando ti ha salutat
a...»
Questa rabbia era forse un sussulto di coscienza, una giustificazione per l'assa
ssinio che aveva commesso?
Kelly stava parlando al telefono. Minn Lee ascoltava. Sapeva bene in che cosa co
nsisteva il messaggio.
«Oh!... Dove è successo?... McGrath? Morto?»
Tony vide Minn Lee irrigidirsi e vide che il suo bel viso ovale diventava radios
o.
«...all'angolo tra la Michigan e la Novantaquattresima? Ah! Nessun altro è rimasto u
cciso?... Nessuno, eh? Solo McGrath?... Sei sicuro?... O'Hara non era con lui?»
20.
Si udì un tonfo. Il tagliacarte d'avorio con il quale Perelli stava giocherellando
gli scivolò dalle mani e cadde su una piccola vaschetta per i pesci. O'Hara non e
ra con lui? Non poteva crederci.
«Manderò una macchina sul posto. Non toccate il corpo fino al mio arrivo. Kelly riap
pese il ricevitore e, prima di andarsene, si voltò.»
«Presentati per il rapporto domani mattina alle nove alla stazione di polizia. Uscì
sbattendo la porta. Perelli, livido per la rabbia, si voltò verso la ragazza.»
«Hai sentito? A me, Tony Perelli, come se fossi un cane.»
Ma lei non lo ascoltava. Stava fissando qualcosa che lui non poteva né vedere né imm
aginare. Socchiuse le labbra.
«Jimmie! Oh, Jimmie!»
«Se ne è andato all'inferno » grugnì l'uomo.
«No. È in paradiso » sussurrò lei.
«Era il tuo amante, eh? » disse lui digrignando i denti.
Anche mentre lo diceva, non riusciva a crederci. Era inconcepibile che Minn Lee.
.. Prima che potesse finire la riflessione, lei gli diede la conferma.
«Io amo te, non lui. Ma gli ho donato tutto quello che avevo... tutto! Oh, Dio! So
no felice! Ho fatto qualcosa di bello! Non sono una persona inutile.»
Lui la guardò come se fosse una lebbrosa.
«Voi avete... fatto qualcosa? Lei annuì.»
«Sapeva che doveva morire, eppure era sereno » mormorò. Tony si passò una mano sulla fro
nte.
«Sapeva che doveva morire? Chi glielo ha detto? » Io.
Non c'era un tono di sfida nella sua voce; lei gli stava semplicemente dicendo c
ome erano andate le cose. «Era sereno, dopo avermi amato...»
«Ha fatto l'amore con te? » Le parole erano diventate un grido. «Con te, la mia donna?»
«La sua donna » lo corresse lei.
Lui non riuscì a dire una parola. Lei gli stava dicendo delle cose inverosimili. A
ll'improvviso le si avventò contro e, prendendola per la gola, gridò: «Dov'è Con O'Hara?»
La domanda lo riportò all'improvviso alla realtà. Con O'Hara non era andato all'appu
ntamento; il suo corpo non era stato trovato. Se Jimmie sapeva, allora doveva av
er saputo anche lui... Era un pericolo, un vero pericolo; O'Hara era un uomo sen
za paura e, a suo modo, astuto, un uomo che univa alla vanità ferita anche la gelo
sia. E Con era scappato dalla trappola.
«Vado in camera mia » disse Minn Lee. Lui alzò le braccia nella sua direzione.
«Vai all'inferno, dannata cinese! Vai all'inferno.»
Poi, come colpito da un pensiero, chiese: «Kelly... ha parlato con te? Lei annuì.»
«E tu gli hai detto qualcosa?»
Lei si voltò verso l'organo ma le mani di lui la afferrarono con violenza.
«Gli hai detto qualcosa? Credevo che tu avessi due personalità, ma ne hai sei. Ti se
i chiusa a chiave, eh? E hai detto a Kelly...»
Le sue dita si strinsero alla gola di lei e non la lasciarono neppure quando lei
negò.
«Sei una bugiarda, una piccola schifosa bugiarda!»
Perelli era sconvolto; la malignità che aveva nell'anima compariva nel suo sguardo
.
«Tu sai tutto, vero? Tu sai tutto! Lei riuscì a liberarsi.»
«So che hai ucciso Vinsetti.»
«Lo sai, eh?»
«Parli nel sonno » disse lei.
La gettò contro un tavolo e con una mano afferrò una pesante statuetta di bronzo. Er
a demoniaco nella sua furia.
«Non uccidermi. Io non ho paura, ma Kelly ha detto che chi uccide una donna viene
impiccato. Voleva che io ti tradissi e prendessi una ricompensa, ma io gli ho de
tto che... che ti amo.»
In quel momento Perelli si rese conto che c'era uno spettatore. Angelo era entra
to nella stanza. Era impietrito sulla soglia, con una mano alla vita. Perelli no
n si rese conto di quanto fosse stato vicino alla morte nel momento in cui Angel
o, vedendolo alzare la statuetta di bronzo, mise la mano sulla sua automatica.
«Glielo hai detto, vero? » le chiese con enfasi. Guardò la ragazza, poi Angelo.
«Va bene, Minn Lee. Va tutto bene. » Le fece segno di andarsene.
«Cosa c'è che non va?»
C'era una nota metallica nella voce di Angelo e Perelli lo notò.
«Manda via le signore, anzi tutti gli ospiti; potranno scendere con l'ascensore no
rd. » Diede rapidamente gli ordini. «Tomasino è qui? Sì? Chi altro? » chiese impaziente.
«Toni Romano, Jake French, Al Mario...»
«Convocali; dovranno prendere le macchine e setacciare la città e... trovare Con O'H
ara.»
«Ma...»
«Ha fatto il vigliacco. » Tony non gradiva essere interrotto. «Ha lasciato che il raga
zzo andasse solo. Jimmie è sistemato. Non voglio sparatorie qui intorno » avvertì. «Hai
capito? Metti un uomo al portone che mi avvisi in caso Con venga di sua volontà. S
e si presenterà qui, lo sistemerò io.»
«Ma Con non sapeva che lo avevi consegnato a Feeney » esclamò Angelo, sbalordito.
«Sei impazzito anche tu? Altrimenti perché non sarebbe tornato? Era vero. Poi Tony,
anche se furioso, riprese padronanza di sé.»
«Vuoi che vadano via tutte le donne? » chiese Angelo «Sì » rispose Tony. Poi, ricordandosi
. «No, la moglie di Con O'Hara rimane.»
«Devo andare con i ragazzi?»
«No, resti anche tu. Trattieni un paio degli uomini. Quando ti sarai sbarazzato di
tutti, porta qui il divano. Ora vai, manda via quella gente. Di' ai ragazzi che
ci sono mille dollari per chi sistema O'Hara.»
Angelo uscì rapidamente e Perelli cominciò i suoi preparativi. Nel caso di Vinsetti,
anche se l'omicidio sarebbe comunque avvenuto, l'occasione era arrivata inaspet
tata ed era stata quasi sciupata per l'arrivo improvviso e non autorizzato di Mi
nn Lee. Allora lei lo aveva sempre saputo! Tony lo aveva sempre sospettato, anch
e se non le aveva mai chiesto niente. Quel segreto invece, era un particolare di
vitale importanza.
Minn Lee era una donna forte, aveva un suo preciso codice di comportamento. Cert
amente Kelly non avrebbe fatto nessun passo in avanti nelle indagini se avesse a
spettato le informazioni da lei. Jimmie era morto; un altro problema risolto e c
oncluso e anche Minn Lee se ne sarebbe andata. Perelli non era del tutto dispiac
iuto del fatto che lei avesse, con il suo comportamento, eliminato anche il più pi
ccolo rimpianto che lui avrebbe potuto provare per la loro separazione.
Spense le luci e lasciò accesa solo una lampada. Prese una pistola e, dopo averla
esaminata, la caricò. Poi la nascose sotto il cappello che si trovava sull'organo.
Quando Angelo tornò per dirgli che gli ospiti se ne erano andati, restavano altri
preparativi da fare. Bisognava sistemare Maria. Proprio mentre Perelli stava pen
sando a lei, Maria arrivò. Non era dell'umore migliore.
«Se ne sono andati tutti a casa... che razza di festa! » si lamentò con una certa aspr
ezza.
«Mia cara, angelo dolcissimo, noi siamo uomini d'affari » le spiegò lui con calma.
Lei lo guardò maldisposta. C'era un tempo per gli affari e un tempo per il diverti
mento, e a lei non piaceva confondere le due cose.
«Uomini d'affari? Mi sarebbe piaciuto incontrare persone più allegre » disse. «Perché sono
andati via?»
«Loro se ne sono andati » disse lui «ma io ho voluto che tu rimanessi.»
«Per quanto?»
Lui le disse "per la notte" e lei arricciò il naso.
«Senza Con? Non pretendi altro? » chiese. «Cioè, non dimenticare niente per paura di sem
brare sfacciato.»
«Voglio che tu rimanga » disse Tony con voce tagliente.
Non era in vena di schermaglie. Qualcosa nella voce di lui la spaventò e la fece a
lzare dal divano.
«È successo qualcosa, vero? » chiese.
«Sì, è successo qualcosa di terribile » disse. «Jimmie è morto... gli volevo bene.»
«Jimmie è morto? » Maria riuscì a malapena a pronunciare queste parole. Poi le venne in
mente che se Jimmie era stato assassinato, Con non poteva avere avuto sorte dive
rsa.
«McGrath? » Esclamò senza fiato. «Ma era uscito insieme a Con! E poi cosa diavolo signif
ica "qualcosa di terribile"? Qualcuno l'ha assassinato?»
Tony esitò.
«Sì » disse «è stato qualcuno della banda di Feeney.»
Maria sentì che le gambe le tremavano. Questa non era la prima volta che una spara
toria tra gangster veniva a turbare il corso della sua vita. Aveva conosciuto uo
mini, e anche donne, che aveva salutato una sera e che la mattina dopo erano sta
ti ritrovati morti ai bordi di un qualche vicolo.
«Cosa è successo a Con? » Quasi non riconobbe il suono della sua voce. «Cosa gli è success
o? » strillò. «Hai perso la lingua?»
Cercò di allontanarsi da lui, ma Perelli l'afferrò alla vita e la costrinse a voltar
si.
«Lasciami andare, vigliacco.»
Cercò disperatamente di colpirlo in viso.
«Va bene, te lo dico. Con è riuscito a scappare » disse con enfasi. «Kelly era qui e l'h
a saputo direttamente dal Quartier Generale della polizia.»
«Dov'è Con? Lasciami andare!»
Ma lui non voleva lasciarla. L'unica persona che lei non doveva assolutamente in
contrare era Con O'Hara. Avrebbe potuto parlare; le donne come lei parlano molto
. Se avesse aggiunto legna al fuoco, chi poteva prevedere cosa sarebbe successo?
«Vorresti che tornasse ora, vero? » le chiese selvaggiamente. «Non la pensavi così un'or
a fa » disse. «Starà fuori tutta notte, ti avverto... deve eludere la polizia. Loro pe
nsano che sia stato lui a uccidere Jimmie.»
Questa era una sua invenzione dell'ultimo momento, e si congratulò con se stesso p
er la trovata.
«Andrò a casa ad aspettarlo » disse lei.
«È già tutto pronto qui per la notte... non c'è bisogno che tu vada a casa. Starai qui.
Se torni a casa, avrai i poliziotti alle calcagna per tutta la notte... Starai q
ui.»
«Vai all'inferno!»
Cercò di lottare con lui, ma inutilmente. Le prese il viso tra le mani e la costri
nse a guardarlo; le sue labbra si posarono sulla bocca di lei...
«Con ti ucciderà » mormorò Maria.
«Rimarrai?»
Lei si lasciò prendere tra le braccia.
«Fino a quando torna Con » mormorò.

21.
Tony tornò gentile, come al solito; le aprì la porta.
«Sai già dov'è la tua stanza; l'ho scelta io per te. Con è sulla strada per l'Indiana a
quest'ora » disse in tono rassicurante. Poi aggiunse. «Non tornerà, per questa notte.»
«Non gli accadrà nulla? » chiese lei. Lui scosse la testa.
«Assolutamente.»
«Sei sicuro?»
Lui rispose che era del tutto certo... troppo certo per restare tranquillo.
La accompagnò alla porta e aspettò che entrasse in camera. Il rumore della chiave lo
fece sorridere: come erano rispettabili queste persone così poco rispettabili!
Angelo stava aspettando con altri due uomini. Tony tornò nel salone, dove era comp
arso un nuovo pezzo di arredamento, un grosso divano rosso e, davanti al divano,
era disteso un panno dello stesso colore del tappeto. Anche Vinsetti aveva vist
o quel divano e lo aveva notato, un po' perché non era nuovo e perfetto come tutti
gli altri mobili dell'appartamento e un po' perché era un uomo che notava tutto e
che non poteva trattenersi dal commentare anche una cosa ovvia.
Stranamente, la mente di Perelli si soffermò su Vinsetti. Lo disse ad Angelo che e
ra rimasto solo con lui nel salone.
«Te la ricordi quella spia?»
«Sì. » Ad Angelo non interessava il passato, ma l'immediato futuro. «Romano lo prenderà » d
sse.
«Hai azionato l'allarme?»
Angelo guardò la spia elettrica e annuì.
«Sì, ma non tornerà. Chi lo ha avvertito?»
Era alla porta, attento al rumore dell'ascensore.
«Il ragazzo » disse Tony sorprendentemente e Angelo trasalì.
«Il ragazzo? Ma è stato ucciso... non sapeva che lo avevi consegnato a Feeney, altri
menti non sarebbe andato.»
Tony annuì.
«Lo sapeva.»
Seguì un senso di tensione, di irritazione soffocata. Il più piccolo rumore faceva t
rasalire i due.
«Lo sapeva ed è andato lo stesso? » chiese Angelo incredulo.
«Sì, sì, sì » esclamò Tony impaziente. «Non farmi altre domande Angelo. È andata così... sa
e lo avevo consegnato a Feeney ed è andato all'appuntamento.»
«Accidenti » mormorò Angelo. «Da non credere. Ma chi ha detto a Jimmie cosa sarebbe succ
esso?»
«Minn Lee » esclamò Tony con durezza. «Ecco chi gliel'ha detto. L'ha portato in camera s
ua e ha chiuso la porta a chiave, Angelo. » La sua voce tremava. «L'ha portato in ca
mera sua, capisci?... Mentre noi tutti eravamo qui, lei lo ha portato in camera
e ha chiuso a chiave la porta! Mio Dio, deve sapere tutto di questa faccenda.»
Era molto difficile interpretare lo strano sorriso di Angelo Verona.
«Penso che sappia abbastanza per tenere la mente occupata...»
Suonò l'allarme; era il segnale che li avvertiva che Con O'Hara era stato visto vi
cino alla casa. Angelo si asciugò la fronte con il suo fazzoletto di seta.
«Accidenti, non pensavo che sarebbe tornato! Lo faranno entrare in anticamera.»
«Questo è affar mio » disse Tony con durezza. «Io non voglio scandali. L'uomo che lo por
terà in casa dovrà andarsene, chiaro?»
Di nuovo l'allarme: Con O'Hara era entrato nel palazzo. Perelli fece un segnale.
«Esci » bisbigliò. «Se io lo manco, sistemalo tu. Ma voglio un lavoretto tranquillo.»
L'uomo scivolò fuori dalla porta e Tony rimase accanto all'organo. Sentì la porta pr
incipale aprirsi, dei rumori in anticamera; poi vide la porta del salone socchiu
dersi e comparire la canna di una pistola. Puntava contro Perelli. Poi la porta
si aprì di più e Con O'Hara entrò nella stanza. Aveva il cappello in testa e un viso c
adaverico.
Anche Tony si stava mettendo il cappello.
«Ciao Con! » disse in tono colloquiale. «Sei di ritorno? Tutti gli invitati sono andat
i a casa. Io vado a fare una passeggiata, vieni con me.»
Si avvicinò senza paura al divano rosso.
«Uno di noi non andrà a fare nessuna passeggiata questa sera.»
O'Hara parlava con l'affanno di un uomo che aveva corso lungo le scale. Era livi
do dalla rabbia. L'unica cosa che lo tratteneva era un vago sospetto che ci pote
sse essere qualcosa di diverso dalle apparenze. Ma Jimmie doveva aver detto la v
erità, perché era morto per dimostrarlo.
«Uno di noi resterà inchiodato qui » proseguì «e quello sei tu, tu, schifoso italiano trad
itore!»
Tony sorrise.
«Sei ubriaco o cosa? » chiese. «Jimmie ha dato la lettera al poliziotto? O'Hara respir
ava pesantemente. Dovette fare uno sforzo per controllarsi.»
«Certo! » annuì lentamente. «Ed è morto... L'ho visto io... Non ci volevo credere, pensavo
che il ragazzo fosse impazzito, non ci credevo che ci avevi consegnato a Feeney
. Così sono rimasto a guardare e ho visto una macchina avvicinarsi e mitragliarlo
di colpi. Poi hanno aspettato un po' prima di andarsene: cercavano qualcun'altra
: me!»
Sul viso di Perelli si leggevano sbalordimento e dolore.
«Io non ti capisco... cosa stai dicendo, Con? Tu pensi che io, Antonio Perelli, ab
bia potuto consegnare...»
«Sì, è quello che ho detto » disse l'altro con durezza.
«I miei uomini migliori? » disse Tony, addolorato. «E Jimmie, poi, il mio migliore ami
co?»
«Dov'è mia moglie?»
«È andata a casa » disse Tony, togliendosi un granello di polvere dalla giacca.
«Andata a casa eh? Lo so che è qui. Tony ridacchiò.»
«Come sei sciocco, Con! Sii ragionevole. Se tua moglie fosse qui, pensi che starei
per uscire?»
«Tu non vai da nessuna parte » mormorò O'Hara tra i denti. «Dammi quel cappello.»
Allungò la mano e strappò il cappello dalle mani di Perelli. In quel preciso momento
, la pistola che era nascosta nel cappello sparò. Non si sentì alcun rumore: c'era i
l silenziatore e lo sparo non si sarebbe sentito oltre la porta della stanza. La
pistola di Con cadde sul pavimento; si portò le mani al petto. Cercò di raccogliere
le forze ma invano; cadde in ginocchio. Perelli sparò di nuovo, questa volta più da
vicino, alla nuca dell'uomo che cadde riverso sul pavimento. La testa cadde al
di fuori del telo che ricopriva il tappeto.
«Non sporcarmi il tappeto, bastardo » mormorò Perelli.

22.
Maria sentì il suono dell'organo e tornò nel salone. Il divano rosso era sparito. Pr
ima non l'aveva visto e quindi non si accorse del cambiamento.
Si raccontano molte storie a proposito di quella notte, ma solo questo è certo: qu
ando lei si abbandonò nella braccia di Perelli, i resti mortali di Con O'Hara eran
o a pochi metri da lei.
La mattina dopo tornò a casa sua per vedere se suo marito fosse tornato a casa; ri
tornò nell'appartamento di Perelli più perplessa che mai.
Angelo Verona era seduto, in maniche di camicia, al grosso tavolo del salone ed
era molto occupato, perché quello era giorno di paga... Davanti a lui c'erano tre
voluminosi pacchi di corrispondenza dai quali Angelo prendeva i conti da pagare.
Era al telefono quando Maria entrò.
«...No, il signor Perelli non è in casa. Chi parla?... Il Chicago Daily News? Bene,
allora potete andare all'inferno! Non abbiamo niente da dire ai giornali, niente
, capito? Lui non sa niente. Riattaccò con rabbia il ricevitore e si accorse della
presenza di lei.»
«Pensavamo che te ne fossi andata » disse, con sarcasmo.
«Dov'è Con? » chiese lei.
«Al telefono? No, baby, non era Con, a meno che non sia entrato a far parte della
redazione del Chicago Daily News, come esperto del crimine!»
Lei non avvertì il pesante sarcasmo.
«Non è tornato?»
«No » disse Angelo, facendo un cenno al suo lavoro. Lei scosse la testa e sospirò.
«Sono stata ad aspettarlo a casa nostra fino alle nove e non ho avuto notizie da l
ui.»
In verità, era stata sollevata di non avere trovato Con nel loro appartamento quan
do era arrivata; ben presto però, il sollievo era diventato disagio. In ogni caso,
non si era certo seduta ad aspettarlo, ma aveva trascorso il tempo rispolverand
o il suo guardaroba, cercando di rendersi più attraente possibile per affrontare q
uesta avventura.
«Penso che abbia preso la strada per Detroit » disse Angelo, senza alzare gli occhi
dal suo lavoro. «L'altra sera disse che aveva intenzione di andare a Detroit. Non
so perché tutti vogliano andare laggiù...»
«Non mi ha detto niente a proposito di Detroit » disse lei. «Ha telefonato?»
«No » rispose Angelo, stancamente «non ha telefonato. » Poi si ricordò. «Hanno telefonato p
r te dal Quartier Generale della polizia » disse.
«Per me? » Maria era sbalordita. «Cosa volevano? Loro non sanno niente di me.»
«Non lo so » rispose Angelo. «Hanno solo chiesto se eri qui e io ho detto: "che razza
di domanda!". Non hanno chiesto altro.»
Lei sospirò sollevata.
«Vorrei avere notizie di Con.»
Angelo posò la penna. Non aveva senso cercare di lavorare con quella donna che con
tinuava a dire sciocchezze.
«Non capisco perché ti agiti. In questo lavoro uno può prendere e assentarsi per delle
settimane. Noi non vendiamo caramelle.»
Ma Maria non era convinta.
«Non ci sono notizie sui giornali? » chiese.
Angelo si passò una mano tra i capelli e la guardò sconcertato. C'erano molte cose c
he avrebbe potuto dire, ma conosceva l'importanza della discrezione.
«No. È stata messa una bomba in casa del Procuratore di Stato, ma questo non interes
sa a nessuno. E poi ci sono molti articoli su Jimmie.»
«Li ho letti » disse Maria. Prese una sigaretta da una scatolina preziosa e l'accese
. «Povero ragazzo! » Era sincera.
«Sì » confermò Angelo. «Un evento molto, molto triste.»
«Jimmie e Con erano usciti insieme » proseguì lei. «Te lo ricordi, Angelo? Lui annuì.»
«C'è qualcosa che non va » Maria era agitata, insistente.
La situazione richiedeva una bugia drammatica. Angelo si alzò e si avvicinò alla don
na.
«Ora ascolta, Maria, ti devo confessare una cosa. Con è venuto in questo appartament
o nel cuore di questa notte...»
«Lei balzò in piedi, agitatissima.»
«Cosa? Tu l'hai visto?»
«Sì » rispose Angelo. «L'ho visto ed è stato molto, molto imbarazzante.»
«È venuto qui » balbettò lei. «Ha chiesto dov'ero? » chiese, senza fiato. «Era stato a casa
stra?»
«Ecco, no. » Angelo era in grado di imbastire con facilità una bugia, ma questa volta
c'erano delle complicazioni. «Gli ho dovuto dire che tu stavi dormendo con Minn Le
e e che Tony era fuori a cercarlo.»
«Non ha voluto salire al piano di sopra? » chiese lei debolmente. Angelo sorrise.
«Non glielo avrei mai permesso.»
Lei sorrise. Il suo profondo sospiro di sollievo fece capire ad Angelo che la bu
gia aveva fatto il suo effetto.
«Sei stato molto gentile » disse. «Sarei morta di certo.»
«Qualcuno ci avrebbe certo rimesso » disse Angelo seccamente «ma non certo te.»
«Parliamoci chiaro, Angelo » disse, raccogliendo da terra la sigaretta che aveva las
ciato cadere e coprendo con il piede un alone di bruciato che aveva lasciato sul
tappeto. «Parliamoci chiaro, dov'è andato Con?»
«Dove ho detto prima » disse Angelo con durezza. «A Detroit. Gli stavano dietro per un
racket di New York. L'hanno visto per strada ed è riuscito a cavarsela per un pel
o.»
Questa era davvero nuova! Maria ci pensò un po'.
«Era per Joe Lereski?»
«Joe chi?»
«Lereski » ripeté lei. Angelo scosse la testa.
«Mai sentito nominare. Non me l'ha detto... Pare che sia stata una donna a tradirl
o...»
Maria rimase a bocca aperta.
«Accidenti, scommetterei che era sua moglie.»
«Non sapevo che fosse sposato » disse Angelo cinicamente; cinismo e sarcasmo erano s
precati con quella donna.
«Questo è quello che mi detto » disse, con un'alzata di spalle «ma non si può mai credere
a quegli uomini. Non ha lasciato un messaggio per me?»
«Sì. » Angelo si ricordò certe istruzioni che aveva ricevuto quella mattina. «Ha detto che
saresti dovuta restare qui... con Minn Lee, fino al suo ritorno.»
Lei rimase indecisa se crederci o no.
«Sì, ma non ha un soldo, Angelo.»
«Gli ho dato io duemila dollari... e deve ringraziare Tony per questo » disse. Le mi
se una mano sotto il mento e le sollevò il viso.
«Ti sei divertita, baby?»
Questo gesto la riportò alla consapevolezza della posizione che doveva occupare.
«Tieni giù le tue zampacce! » disse, allontanando la mano di lui. «Dov'è il signor Perelli

«Noi tutti lo chiamiamo Tony » sottolineò Angelo. «È alla polizia, con il suo avvocato. Ti
piacerà vivere qui; è l'appartamento più elegante di Chicago.»
Maria lo guardò sospettosa.
«Cosa vuol dire "vivere qui"?»
«Tony organizza feste stupende » continuò Angelo. «Quest'anno pensa di andare a Parigi.
Sei mai stata a Parigi?»
Lei scosse la testa.
«È in Francia » spiegò lui. «Una città elegantissima. Napoleone è nato lì. Sai chi è? Io l'
to solo ieri.»
«Ma avrebbe potuto telefonare da Detroit. » Maria riprese la solita litania.
«È morto da molti anni » disse Angelo. Poi aggiunse. «Oh, Con? Certo, avrebbe potuto tel
efonare. E suppongo che non ci siano uomini della polizia che controllano le nos
tre telefonate. Buon giorno, Minn Lee.»
La ragazza apparve, fresca e radiosa; sembrava una donna che non avesse un pensi
ero al mondo. Indossava un abito bianco con dei ricami in verde. Aveva un libro
e un lungo coltello in mano; si fermò davanti al tavolo scorrendo le pagine con il
coltello. Maria era imbarazzata.
«Buon giorno, signora Perelli, non vi ho visto questa mattina. Non so cosa pensere
te di me, dormire qui sola, senza mio marito.»
Minn Lee la guardò divertita.
«Sapevo che vi sareste fermata » disse.
«È spiacevole che mio marito non sia tornato. Minn Lee smise di sorridere e scosse l
a testa.»
«Povera ragazza! » disse.
«Come? » disse Maria, un po' a disagio, e pronta a risentirsi.
«Ho detto: "povera ragazza" » disse Minn Lee. «Proprio così. Tony non ha ancora telefona
to, Angelo?»
Lui non rispose, ma si avvicinò a lei e le prese il coltello dalle mani.
«Minn Lee, non dovresti usare questo coltello » disse. «È molto affilato.»
«Tony ha rotto il tagliacarte la notte scorsa » disse Minn Lee, riprendendosi il col
tello. Lo guardò e passò un dito sulla lama. «Pensi che potrei uccidere qualcuno?»
Maria non aveva nessuna intenzione di entrare in un argomento in cui poteva esse
re la protagonista.
«Non è terribile che O'Hara non si sia fatto sentire? Quell'uomo mi fa prendere cert
i spaventi!»
«Tony sa dov'è » disse Minn Lee. «Perché non lo avete chiesto a lui? Maria si irrigidì e al
il mento.»
«Non vedo il signor Perelli da quando ha bussato alla mia porta per augurarmi la b
uona notte » disse con fermezza. «Non ho certo aperto la porta, perché era chiusa a ch
iave. Io chiudo sempre a chiave la porta quando sono in casa d'altri. Non capisc
o perché ridete, signora Perelli.»
«Non volevo ridere... se l'ho fatto, mi scuso. Sono felice questa mattina, e voi?
Angelo, attento ascoltatore, osservò Minn Lee ma non c'era malizia nel suo sguardo
o nella sua voce. Così disposta alla critica, Maria non capì l'ironia della domanda

«Felice? Mio Dio! Ma non avete un cuore? Con quel povero ragazzo assassinato per s
trada? Suppongo che siate così dura perché siete cinese!»
Minn Lee rise gentilmente.
«È l'orientale che c'è in me » disse.
Prese in mano il libro e si avviò verso la terrazza. Maria aspettò che fosse abbasta
nza lontana.
«Cosa vuol dire orientale? » chiese a bassa voce.
«Penso che voglia dire cinese » disse Angelo e Maria annuì.
«Me lo ricorderò... orientale. C'è sempre qualcosa da imparare. La signora Perelli è una
donna molto bella.»
«Tony non potrebbe trovarne una migliore » disse Angelo. Non era stata una frase ade
guata e lei lo sapeva.
«Non avrei dovuto dirlo » disse, punta sul vivo.
«Certamente no. Non mi aspetto miracoli » disse Angelo.
Lei si mise una mano davanti alla bocca per reprimere uno sbadiglio e si avvicinò
al tavolo, toccando i soldi e leggendo i conti, gesto che irritò moltissimo Angelo
.
«Cosa fai? Sei il ragioniere di Tony? Santo cielo, guarda che bel mucchio di soldi

«Le radici di tutti i mali » disse Angelo, raccogliendo i dollari che lei aveva mess
o in disordine. «Io sono quello che dice di non sapere mai niente.»
Minn Lee era rientrata e aveva appoggiato il suo libro sul divano. Angelo notò pre
occupato che il coltello faceva da segnalibro.
«Oh sì, Tony sa come spendere i soldi!»
«Ha duecento camicie di seta » disse scherzando Minn Lee.
«Davvero? » Maria rimase impressionata. «Mi piacciono gli uomini che si vestono bene.
Con ha un gusto originale nei vestiti.»
Angelo pensò che ormai i vestiti non avrebbero avuto più importanza per Con. Si sentì
sbattere la porta d'ingresso. Era Tony. Entrò, si tolse la sciarpa e il cappello e
le lanciò sgarbatamente al cameriere.
«Signor Perelli » disse Maria ad alta voce. «Non vi vedo da ieri sera.»
Lui non la guardò neppure. Andò in terrazzo e guardò in strada. Poi tornò e si lasciò cade
re su una sedia.
«Sei stanco? » chiese Minn Lee.
«Ho avuto una mattinata d'inferno » grugnì lui. «Sono stato al Quartier Generale della p
olizia dalle nove fino un'ora fa.»
«Scommetto che l'intrattenimento era stato organizzato da Kelly! » suggerì Angelo e il
volto di Tony si trasformò in una maschera livida di rabbia.
«Ti dirò come quel maiale mi ha intrattenuto! Telefona al giudice supremo Raminski.
Gliela farò pagare a quel maledetto poliziotto.»
«Il giudice supremo Raminski! » balbettò Maria, giustamente sbalordita, visto che Rami
nski era il capo dei politici di Chicago, un giudice e uno dei padroni della cit
tà.
«Ci sono dentro fino al collo » disse Tony. «Mi hanno portato qua e là fino a farmi impa
zzire. Dalla polizia al tribunale, dal tribunale alla polizia, dalla polizia all
'obitorio e poi sul posto dove hanno ammazzato il povero Jimmie.»
«Il giudice in linea.»
Angelo gli passò il ricevitore e Tony, improvvisamente, recuperò tutte le sue energi
e.
«Il giudice supremo Raminski?... Parla Perelli... Antonio Perelli. » Poi, con durezz
a. «Cosa diavolo vuol dire permettere che Kelly mi portasse qua e là tutta la mattin
a? Volete creare della confusione, eh?... Vi ho portato i voti di due circoscriz
ioni comunali alle scorse elezioni, non è vero?... Non vi ho dato forse cinquemila
dollari per le spese elettorali? Eh?... Lo so, lo so, parlerete a Kelly... gli
farete un bel discorso. Siete il pezzo più grosso del tribunale; siete un tipo in
gamba e sarete senatore un giorno!... Sì, sì, sì, sarete senatore, per Dio! Fate fuori
Kelly... ecco cosa dovete fare!»
Riappese il ricevitore.
«Farò fuori quel maledetto!»
A un giudice! Maria capì solo in quel momento la potenza di quest'uomo. Parlare co
sì a un giudice... a un uomo che decideva della vita degli altri.
«Ma parlare a un giudice in quel modo... » cominciò.
«Dovresti sentirlo parlare con il Presidente! » disse Angelo e Tony lo azzittì.
«Non essere stupido, Angelo. Portami da bere... del Chianti, qualsiasi cosa. Minn
Lee lo anticipò e corse fuori dalla stanza per prendere da bere.»
«Sei andato da Cicero? Angelo annuì.»
«Sì. Non si può far nulla per il Lion Inn... sono solo rovine e fumo.»
«Aspetta un attimo. » A Maria piaceva intromettersi in ogni conversazione. «L'ho letto
. Era una casa di tolleranza, vero? Sono dannatamente felice! Vorrei che i Vigil
anti le avessero bruciate tutte! Gli uomini che vivono su quelle case sono dei m
aiali!»
Tony si trattenne a fatica.
«Oh davvero? Non sai niente di queste cose. » La sua voce era diventata quasi un url
o. «Centomila dollari... solo perché un gruppo di folli sta cercando di sopprimere l
a natura umana.»
«La malvagità umana! » sbottò Maria. «Non è nella natura umana trattare le donne come besti
, solo per poter aggiungere qualche sporco dollaro al conto in banca! Dovrebbero
impiccarli tutti! Angelo stava facendo dei cenni a Tony che però non se ne accors
e.»
«Oh, sì » disse Perelli con la voce tremante per la rabbia. «Perché siete tutti degli ipoc
riti e non vedete che gli esseri umani sono esseri umani, perché vi nascondete la
verità, e cioè che quelle donne forse salvano delle ragazze innocenti dalla rovina.»
«Non ne salvano poi molte, credimi » disse Maria.
«Tu sai tutto eh?»
«Certo, lei sa tutto » disse Angelo. «Ha ragione, Tony. Questa volta Tony avvertì il mes
saggio e si sforzò di ridere.»
«Penso di sì » disse. «Ma io stavo pensando a quelle povere ragazze: hanno perso tutto q
uello che avevano.»
In quel momento Minn Lee tornò con il vino e Maria si rivolse a lei.
«Dite, deve essere una vita orribile, vero, signora Perelli?»
«Non ho ascoltato la vostra conversazione » disse Minn Lee.
«Quelle case a Cicero...»
«Vuoi stare zitta? » disse Tony, arrabbiato. «Come puoi tu entrare nelle menti di quel
le ragazze e dire se la loro vita è bella o brutta? Per loro potrebbe essere merav
igliosa! » Guardò Minn Lee con un sorriso incoraggiante. «Una ragazza che lavora in qu
elle case è come una principessa, con una bella camera e dei mobili eleganti. Poi
incontra tutti gli amici che vuole...»
All'improvviso prese la mano di Minn Lee.
«Siete tutti degli stupidi » disse. «Mia cara, non ti ho visto la scorsa notte. Ero co
sì depresso per il povero Jimmie che ho dormito nel mio studio.»
«Nello studio...? » cominciò Maria.
«Sì, è lì che dorme » disse Angelo, portando la cassetta dei soldi fuori dalla stanza.
«Hai visto Jimmie? » chiese Minn Lee a voce talmente bassa che Maria non riuscì a sent
ire.
Per un attimo la sua spavalda sicurezza gli venne meno e Tony Perelli non riuscì a
guardarla negli occhi.
«Sì » rispose. «Era bellissimo. Sorrideva come se fosse contento.»
Lei si accorse della smorfia di lui. La serenità di Jimmie aveva impressionato Per
elli.
«Lo sapevo » disse Minn Lee. «Non hai saputo altro... cioè di come è morto? Tony scosse la
testa.»
«No, solo che era ancora vivo quando il poliziotto l'ha trovato.»
«Povero ragazzo » disse Maria, usando una frase convenzionale.
«Perché?»
Minn Lee si avvicinò a lei e la osservò intensamente. C'era uno strano sorriso nei s
uoi occhi, una serenità che colpì la donna e che la azzittì fino a quando quella figur
a vestita di bianco non lasciò la stanza.
«Quella donna mi sconcerta » disse irritata.
Sconcertava anche Tony. La sua principale preoccupazione era come sarebbe stata
la sua vita senza Minn Lee. Sarebbe riuscito a sopportare che lei se ne andasse
lontano da lui in una di quelle case?
Guardò la donna che stava per prendere il posto di Minn Lee. Non c'erano muri into
rno alla mente di Maria. Si sedette accanto a lei e le mise un braccio intorno a
lle spalle.
«Mia stupenda ragazza, ti sono mancato?»
Lei lo guardò con uno sguardo timido e intimo.
«Mi ami ancora?»
Lui la strinse forte a sé, cercando le sue labbra... lei lo allontanò e si alzò in pie
di.
«Tony, onestamente, non mi va ora... Sono un fascio di nervi, tesa come un gatto.
Dov'è Con?»
La sua sorpresa a questa domanda fu un po' esagerata.
«Con? » chiese. «Ma Angelo non te l'ha detto? Lei lo guardò sospettosa.»
«Lui sì, ma tu no. A me sembra che tu trascorra il tuo tempo a pensare che bugie rac
contarmi. Perché Angelo doveva sapere...»
«Angelo sa » la interruppe Tony «ma non si lascia sfuggire nemmeno una parola.»
Lei lo fissò in viso.
«Onestamente, è vero quello che mi ha detto, che Con è a Detroit? Tony si mise una man
o sul cuore e rise.»
«Vuoi sapere quello che penso? Che l'hai mandato via apposta. Tony, tu sei così inte
lligente! Penso che tu abbia architettato qualcosa per liberarti di lui la scors
a notte. Hai un gran cervello.»
Tony sorrise con compiacenza.
«Forse » disse.
«Senti » disse. «Quando Con tornerà, ho intenzione di dirgli tutto.»
«Con? Per me va bene » disse Tony. Lei gli espose la sua filosofia.
«A me non piace ingannare un uomo... cioè, quando anche l'altro è d'accordo. Perelli l
e fece un grosso sorriso.»
«È un pensiero molto nobile » disse.
«L'ho fatto qualche volta » ammise Maria, facendosi più seria. «Scatenerà un inferno. Con è
fatto così, molto violento » lo avvertì.
Tony annuì.
«Ho già avuto modo di scoprirlo » disse.
«Comunque, con lui ho chiuso » disse Maria. «Non si può rispettare un uomo che non ha i
soldi per mantenerti decorosamente.»
C'era un'altra questione, molto delicata, da discutere. Il codice morale di Mari
a prevedeva che certi particolari andassero chiariti. Fece un cenno verso la por
ta.
«Cosa hai intenzione di fare con...? » Non pronunciò il nome. «Questa è una faccenda da si
stemare, Tony.»
Era una faccenda da sistemare, era vero, ma non era così semplice come si era imma
ginato. Scrollò le spalle.
«Ho chiuso anch'io » disse. «Lei non mi ama più e » abbassò la voce «mi ha anche tradito!»
Maria era sinceramente sconvolta.
«Questo ti dimostri che non bisogna fidarsi di quegli ornamentali... Tony non reagì.
Lei tossì imbarazzata.»
«Di quegli stranieri. Ma senti, Tony, non la farai andare via senza soldi, vero? I
o sostengo che le donne vanno trattate con onore. Quando mi sono messa con O'Har
a, ho insistito perché provvedesse a mantenere la ragazza con la quale stava prima
... certo!»
Tony le strinse la mano con tenerezza.
«Che gentile! È proprio quello che volevo sentirti dire. Sei molto gentile, Maria. N
on ci sono molte donne che la pensano come te.»
«È la mia debolezza » disse lei. «Dico sempre quello che penso.»
Poi continuò a elencare le sue virtù, ma lui non l'ascoltava. Pensava alla promessa
di Kelly, o meglio, alla sua minaccia.
«Verrò a vedere la tua nuova donna » aveva detto Kelly con brutale franchezza, dimostr
ando di conoscere tutti i particolari della sua vita privata. Quando ne parlò a Ma
ria, lei rimase turbata.
«Cosa vuole da me? Io non so niente dei tuoi affari » disse allarmata. Tony le strin
se la mano.
«Non è nulla, dolcezza. Forse ti vuole fare delle domande su Jimmie. Tu l'hai incont
rato.»
Maria lo aveva incontrato, ma se ne ricordava a malapena.
«O forse ti vuole parlare di Con » aggiunse Tony con noncuranza. «Ma, in ogni caso, la
scia parlare lui.»
Lei sorrise minacciosa.
«Bene, se pensa di potersi prendere gioco di me...»
«Non è possibile mandarlo in confusione, ma far impazzire la gente è la sua specialità » l
a avvertì Tony. «Mio Dio! Ti fa davvero impazzire e, se impazzisci, va a finire che
parli.»
Ma lei aveva molta fiducia nelle sue capacità.
«Si sarà sciolto prima di aver finito con me... » cominciò, ma lui la interruppe.
«Non fare come Con, per l'amor di Dio! Non pensare di essere più intelligente di lui
e di poterlo mandare in confusione con dei giochi da parole per eludere i disco
rsi.»
Questo discorso la allarmò. Lei non doveva eludere niente. Glielo disse. In quel m
omento arrivò Angelo che fece un cenno a Tony. Perelli pensò che fosse Kelly, ma si
trattava invece di un altro tipo di visitatore.
«C'è Mike Feeney. Vuoi vederlo? Tony lo guardò incredulo.»
«Mike Feeney... dove?»
Angelo fece segno con la mano dietro le spalle.
«Ha portato i suoi uomini?»
Un lieve sorriso apparve sulle labbra di Angelo.
«No, penso che li abbia lasciati fuori.»
Tony deglutì. Shaun O'Donnell non avrebbe mai permesso una cosa simile. Shaun avev
a del cervello, non molto, ma quanto bastava.
«Perché pensi che sia venuto?»
Tony Perelli ci pensò lungamente, mordicchiandosi il labbro inferiore e seguendo c
on lo sguardo i disegni del tappeto. Poi, all'improvviso, cambiò atteggiamento, e
questo era un brutto segno.
«Copri tutte le uscite in caso di incidente » ordinò. «Devo sistemare le cose con Feeney
, prima o poi. Hai saputo che ha organizzato la sua festa di compleanno da Belli
ni?»
«Sì. Vedessi che menù: ha una banda di irlandesi da sfamare! Contemplò a lungo le sue sc
arpe luccicanti e poi disse: » Va bene, fallo entrare. Una volta solo, estrasse la
sua automatica dal cassetto e la mise nella fondina che portava sotto l'ascella
e, quando Mike Feeney entrò, stava camminando lungo la stanza, con le mani dietro
la schiena, apparentemente immerso nei suoi pensieri. Alzò gli occhi per salutare
il suo visitatore.
«Come va, Mike?»
Feeney si guardò intorno con la più grande precauzione.
«Bene » rispose.
I due si guardavano sospettosi.
«Prendi il Libro » disse Tony solennemente.
Angelo aprì un altro cassetto e prese una grossa Bibbia decorata che mise sul tavo
lo, aperta nel mezzo. Tony estrasse dalle due fondine che aveva sotto le ascelle
due grosse pistole e le mise sul libro aperto.
«Queste sono le mie » dichiarò.
Feeney esitò, poi estrasse una pistola dalla tasca, la mise sul libro, ma all'impr
ovviso, la riprese, ricordandosi di certi fatti accaduti a chi si era fidato tro
ppo di questa razza latina!
«Aspetta un attimo! » disse. «Quella Bibbia è italiana o irlandese?»
«È americana al cento per cento » dichiarò Tony con solennità.
Feeney aspettò fino a quando Angelo non uscì. Non si era dimenticato l'avvertimento
di Shaun O'Donnell: "tieni sempre un occhio su Tony Perelli, ma due su Angelo Ve
rona". Poi si avvicinò al muro, da dove poteva vedere la porta.
«Sei stato al Quartier Generale, vero Tony? Mentre parlava, non guardava Perelli,
ma la porta.»
«Sì, ho tenuto un comizio sull'alto prezzo dei liquori » commentò Tony con ironia.
Mike attraversò il salone e si diresse verso la luminosa porta-finestra che portav
a in giardino; la aprì e guardò fuori. Tony lo guardò annoiato. Poi Mike si avvicinò all
'altra porta.
«C'è qualcuno lì? » chiese.
«Sì... una donna » rispose Perelli.
«Ti dispiace se controllo?»
«Certamente » disse Perelli con sarcasmo. «Se non hai mai visto una donna, ti farò veder
e qualche fotografia. È terribile essere così sospettosi.»
Feeney guardò e poi richiuse gentilmente la porta.
«Ho organizzato la mia festa di compleanno per la settimana prossima, e mi piacere
bbe poter partecipare » disse.
«Cento di questi giorni » gli augurò l'altro.
«Grazie, ma non voglio regali da te.»
Tony gli mostrò i denti; questa volta era davvero seccato.
Sapeva perché Feeney era venuto e infatti, dopo un po', Mike cominciò.
«Tony, l'altra sera non sei stato di parola » disse. Perelli scosse la testa.
«Ti giuro di no... Con O'Hara ha saputo la cosa in qualche modo.»
La banda di Feeney era dispiaciuta. Tony ebbe l'impressione che Mike fosse venut
o malvolentieri e che quella visita fosse stata forzata dalla sua violenta sorel
la.
«Dicono che hai voluto salvare Con O'Hara.»
«Figuriamoci! » sbottò Tony. «Perché mai avrei dovuto salvarlo, dopo che ti avevo promesso
che te l'avrei consegnato, eh?»
Mike giocherellava con il suo cappello, cercando sempre qualche pericolo nascost
o.
«Non c'è nessuno qui, Mike, te lo giuro.»
Sul viso di Feeney comparve un mezzo sorriso.
«Ah sì? Anche Vinsetti era passato qui per una visita, ed era un tiratore più esperto
di me. È entrato qui e nessuno l'ha più visto...»
«È una vecchia storia, dimenticala! » disse Perelli. «Di che cosa hai paura, Mike? Non h
o la pistola.»
Feeney allargò le braccia.
«E nemmeno io: vale anche per te: o ti fidi di una persona, oppure no! Prese una s
edia e si sedette davanti al gangster suo rivale.»
«Io non sarei venuto a crearti problemi, Tony, ma c'è mia sorella. Sta sollevando un
polverone! A nessuna donna fa piacere che il marito venga assassinato, soprattu
tto se il marito era l'unico uomo a trovare in lei un po' di sex appeal.»
«È un caso davvero sfortunato » mormorò Tony.
«Lei non è bella, Tony. » Feeney stava entrando nel personale. «Anzi, è decisamente brutta
. Io sono suo fratello e lo so. Questo le rende ancora più difficile superare la p
erdita del marito.»
Sospirò profondamente e poi passò agli affari.
«Allora, cosa è successo a Con O'Hara? Parla chiaro.»
Perelli non rispose subito. Guardò pensieroso quell'uomo con gli occhi spenti che
c'era davanti a lui e si chiese quali strane combinazioni della vita avessero po
rtato Mike Feeney al comando di una banda di fuorilegge.
«Non devi preoccuparti di Con O'Hara » disse. «L'ho sistemato io stesso. Una luce illu
minò il volto di Feeney.»
«Davvero?»
«Certo » disse Perelli. «Io non permetto a nessuno di farmi certi scherzi.»
«L'hai portato a fare un giro...?»
«Senti, Mike. Io vengo forse a chiederti gli affari tuoi? Vengo forse a chiederti
il come e il perché di certe cose? Dobbiamo sventolare i nostri affari a tutta Chi
cago?»
Mike alzò la mano.
«Non voglio sentire altro, Tony » disse gentilmente. «Ho sempre saputo che eri un uomo
di parola.»
Si sentì suonare l'allarme e un secondo dopo, Mike Feeney era balzato in piedi, co
n una pistola spianata. Tony non riuscì a capire da dove l'avesse tirata fuori, ma
la velocità con la quale era comparsa quell'arma spiegò in parte come mai Feeney si
trovasse a capo di un racket.
«Cosa diavolo è questo rumore? » disse. «Fallo smettere. Tony era visibilmente addolorat
o.»
«Mike, avevi detto di non avere pistole!»
«Che cos'era quel rumore? Tony sospirò profondamente.»
«È Kelly. L'allarme mi avverte che è entrato in casa. Tutto qui.»
«Cosa diavolo vuole Kelly? » chiese Feeney. Tony urlò.
«Vuole vedere la signora O'Hara. Perché la signora O'Hara è qui? Perché è la mia donna. Pe
rché è la mia donna? Pensa agli affaracci tuoi!»
Feeney si rimise la pistola in tasca.
«Mi dispiace... » cominciò.
«Non ti sei fidato di me, Mike, questo mi ferisce. » C'era del dispiacere nella voce
di Perelli. «Avevi detto di non avere pistole e invece non era vero.»
L'allarme suonò di nuovo.
«Non voglio vedere Kelly » disse Feeney.
«Pensi che lui non sappia che sei qui? Vai in salotto. Quella laggiù è la signora O'Ha
ra. Non fare lo spiritoso con lei.»
Aprì la porta che dava sul salotto.
«Mike, tu non saprai mai come hai ferito i miei sentimenti » disse e Mike Feeney se
ne andò, vergognoso, dalla donna del cui marito aveva organizzato la morte.

23.
Il commissario Kelly non perdeva la pazienza con facilità. Doveva affrontare una s
ituazione più difficile di qualsiasi altra. Contro di lui c'era la banda di gangst
er meglio organizzata degli ultimi trecento anni.
«Non c'è nessuna speranza... assolutamente nessuna » disse al suo luogotenente mentre
lasciavano l'ufficio. «Ha appena telefonato il giudice Raminski, dicendomi come mi
devo comportare e come devo trattare sua altezza il duca Perelli! E dovrò fare co
me dice lui! Io posso andarmene o posso continuare ad amministrare la legge, a p
atto che questa non danneggi i sentimenti di quei gangster che sono amici di per
sonalità importanti! E ora ho deciso! » disse con durezza. «Io me ne vado. Questo post
o lo prenderà qualcun altro, che si lacererà il cuore come ho fatto io... oppure viv
rà in una casa dorata. Perelli ha vinto, per quello che mi riguarda.»
Kelly stava lasciando il Quartier Generale, quando un impiegato lo richiamò per da
rgli delle interessanti notizie. Con il blocchetto degli appunti nella sua tasca
, Kelly salì sulla macchina della polizia e si diresse verso l'appartamento di Per
elli per un interrogatorio che sarebbe stato l'ultimo.
Harrigan era con lui e Kelly gli espose la nera depressione che gli appesantiva
il cuore.
«L'unica nostra possibilità è che Angelo lo abbandoni » disse. «Quello è un pezzo grosso, H
rrigan. Perelli non si rende conto di quanto gli deve!»
«La banda di Feeney non lo prenderà mai... » cominciò Harrigan e Kelly rise amaramente.
«Non è la paura della banda di Feeney, ma è la prima legge della natura che potrebbe i
ndurre Angelo Verona a un cambiamento repentino! Il ragazzo è molto intelligente e
potrebbe metterli tutti nel sacco se non corresse il rischio di diventare il pr
otagonista di una bella fotografia sui giornali, con una croce al posto del suo
cadavere.»
Quando arrivarono davanti al palazzo dove abitava Perelli, un uomo si avvicinò all
a macchina.
«C'è Mike Feeney da Perelli » disse. «Ci sono i suoi gorilla da quella parte della strad
a; da quest'altra, ci sono gli uomini di Perelli, quindi non penso che uno dei d
ue abbia in mente qualcosa.»
Kelly lasciò il suo luogotenente sul marciapiede e salì in ascensore. Angelo gli aprì
la porta, concedendogli uno dei suoi più cordiali sorrisi. Gli piaceva, Angelo, e
lo salutò con un ghigno.
Entrando nel salone, vide due sedie una di fronte all'altra e capì che c'era stata
una riunione tra capi. Vide anche la Bibbia aperta, ma non c'era traccia di Fee
ney. Guardò il libro e, voltando alcune pagine, fissò Perelli.
«Non avrò interrotto le preghiere di famiglia o qualcosa del genere, vero? » chiese sa
rdonico.
Tony sorrise.
«No, avevamo già finito, capo » disse, con gentilezza elaborata. Gli occhi di Kelly is
pezionarono il salone.
«Ho visto i tuoi uomini sulla strada e ho ordinato ad Harrigan di perquisirli, nel
caso abbiano infranto la legge che vieta di portare armi.»
Chiuse il libro e, appoggiandosi al tavolo, rimase a osservare Perelli che mette
va le sedie al loro posto. Angelo era insolitamente elegante nel suo nuovo vesti
to di cashmere e la sua camicia di seta rosa.
«Sei davvero elegante, Angelo. Angelo lo guardò e scosse la testa.»
«Detesto vedervi così di buon umore, capo: è un brutto segno. Il capo ridacchiò.»
«Davvero, Angelo? Dov'è la ragazza?»
Non precisò il nome, ma tutti e due gli uomini capirono che intendeva Maria.
«È nel salone » disse Tony. Kelly mostrò loro i denti.
«Salone, giardino... certo che voi sapete come vivere, almeno finché dura. » Poi, con
elaborata gentilezza, aggiunse: «Vorreste essere così gentili da chiedere alla signo
ra O'Hara di vedermi?»
Tony si sentiva a disagio e a ragione.
«C'è un amico con la signora O'Hara... » cominciò, ma Kelly lo interruppe.
«Lo so, il signor Michael Feeney. Mi piacerebbe incontrare anche lui.»
«Cosa volete da lui? » chiese Tony.
«Il suo autografo » esclamò Kelly con ironia. «Faccio la raccolta. Sentì un sospiro di Ang
elo e si voltò verso di lui.»
«Diavolo, detesto vedervi così di buon umore » ripeté con enfasi. «Preferirei che foste ve
nuto per un'ispezione accurata.»
Il signor Kelly era divertito.
«Farò anche quella » gridò ad Angelo che si stava allontanando.
Poi, dopo aver appoggiato il cappello sul tavolo, si accese un sigaro e fissò Pere
lli con odio.
«Questa mattina non ti avremo per caso stancato troppo, Perelli, magari dicendo qu
alcosa che abbia ferito i tuoi sentimenti e che ti abbia umiliato?»
Questo stravagante discorso fece aumentare il disagio di Perelli. Non possedendo
senso dell'umorismo, il sarcasmo lo infastidiva e lo spaventava.
«A pensarci bene » proseguì Kelly «avrei dovuto portare dei fiori. Qualche garofano, o q
ualsiasi altro fiore che ti piaccia. In questo momento non mi ricordo quali fior
i sei abituato a mandare ai funerali, ma sono sicuro che sono fiori molto costos
i.»
«Molto divertente » disse Perelli, mordicchiandosi le labbra.
«Ecco, voglio che tu la prenda sul ridere » disse Kelly. «È l'unica cosa che chiedo. Sem
bra che io debba imparare a essere gentile con te, signor Tony Perelli. Ecco com
e ti ha chiamato, "il mio amico Antonio Perelli".»
Tony lo guardò con degli occhi così pieni di sorpresa, che avrebbero potuto ingannar
e chiunque, tranne Kelly.
«Il mio amico? Non vi capisco. Di chi state parlando?»
«Il giudice supremo Raminski mi ha telefonato » spiegò Kelly. «Pensa che non ti abbiamo
trattato abbastanza bene.»
Perelli alzò le spalle. Capì che forse era stato troppo precipitoso nel lamentarsi c
on il giudice. Angelo gli aveva già esposto lo stesso punto di vista.
«Porteremo dei cuscini la prossima volta che verrai alla polizia » proseguì Kelly.
«Se c'è una cosa che odio è che il Quartier Generale di polizia si faccia la fama di n
on trattare cortesemente i suoi ospiti.»
Si voltò verso Maria, che stava entrando decisa nella stanza seguita da un timido
Feeney.
«Guarda chi c'è » esclamò Kelly con finta sorpresa. «Buon giorno, Mike. Feeney mormorò a di
agio. » Buon giorno, signor Kelly.
«Non mi chiamare signore, Mike » disse Kelly. «Sono solo un poliziotto che non vale ni
ente. Posso chiederti cosa fai in questo... » si guardò in giro «...rispettabile borde
llo?»
«Tony e io siamo amici » disse Feeney. Il capo era divertito.
«Oh, è per questo che a Michigan Avenue stanno sventolando le bandiere di lutto!»
Feeney lo guardò sospettoso e si avviò alla porta.
«Mi volevate, capo? Kelly annuì.»
«Ti vorrei più di ogni altra cosa, ma non sarò io a prenderti, Mike. » Batté una mano sull
e spalle dell'irlandese. «Sarà lui a prenderti. » Fece cenno a Tony. «E allora non mi se
rvirai più, perché sarai all'obitorio. Hai perso il povero Shaun, vero?»
«Sì » disse Feeney tristemente.
«È molto triste. » Il dispiacere nella voce di Kelly era ben dissimilato. «Un altro mart
ire della scienza, eh? Voi avete fatto fuori uno degli uomini che ha ammazzato S
haun e Tony ha fatto fuori l'altro.»
Maria si voltò di scatto.
«Cosa? » disse, ma il sorriso rassicurante di Tony allontanò per un attimo i suoi pegg
iori sospetti.
«Non far caso al capo: è abituato a parlare così » disse. «Tu cosa vuoi? Minn Lee, che era
entrata silenziosamente nella stanza, non rispose. Stava guardando con curiosità
Kelly.»
«Tu hai ammazzato Jimmie McGrath e Tony ha fatto fuori Con O'Hara, vero?»
«continuò Kelly. Maria era indignata.»
«È una maledetta bugia! Tony non è uscito per tutta la notte.»
«Potete testimoniarlo?»
«Certo che posso, signor Intelligenza » esclamò la ragazza in tono minaccioso. «Se volet
e sapere dove si trova mio marito, dovreste chiedere alla polizia di New York, c
he l'ha costretto a lasciare Chicago.»
«La polizia di New York gli sta dando la caccia, eh? » disse Kelly lentamente. «In cit
tà non c'è nessun investigatore di New York. Vogliono arrestarlo per qualche reato c
ommesso a New York? E per cosa? La polizia di New York non lo cerca affatto. Chi
vi ha detto una cosa simile?»
Maria rimase in silenzio, con una maschera dignitosa in viso.
«Questo è tutto » dichiarò.
«Chi vi ha fatto credere che non torna perché sta scappando dalla polizia? » chiese Ke
lly e, quando lei non rispose, aggiunse. «Io so chi ve l'ha detto: l'uomo che l'ha
ucciso.»
Lei si voltò come una furia, con il viso in fiamme.
«È una dannata bugia... lui è a Detroit.»
Kelly la guardò con durezza per un attimo, poi si avvicinò a lei.
«È nell'obitorio di Lake Side » disse. Maria impallidì e si accasciò sul divano.
«È stato ritrovato questa notte sulla spiaggia » disse Kelly. «L'hanno trovato dieci min
uti prima che io lasciassi l'ufficio.»
Angelo e Minn Lee portarono Maria fuori dalla sala, singhiozzante e in preda a u
na crisi di nervi.
C'era uno spettatore interessato, che decise di mettersi in luce. Feeney schioccò
le dita.
«Va tutto bene? » disse Kelly. «Se è così, puoi andare.»
«Io non ne so niente, capo » protestò Feeney.
«Lo so. Tu sapevi tutto di Jimmie McGrath » disse Kelly con severità.
«Non ho mai incontrato quell'uomo » protestò Feeney.
«Non l'hai mai incontrato, eh? » Kelly lo fissò negli occhi. «Certo, tu sei un pezzo gro
sso ed è chiaro che paghi qualcuno per commettere gli omicidi. Sei sempre stato un
tipo ambizioso, Feeney. Eri in prigione per un furtarello e già progettavi una ra
pina in banca.»
Feeney cercò di cambiare argomento.
«Sentite, capo, vi piacerebbe venire alla festa che darò per il mio compleanno? Sarà d
a Bellini. Ci sarà un sacco di bella gente, il giudice Grichson, il giudice Rosenc
rantz, il giudice della corte suprema Aschen...»
«No, grazie » tagliò corto Kelly. «Io non studio legge, la amministro. Feeney si mantenn
e calmo davanti a questa frecciata sarcastica e, agitando la mano in segno di sa
luto, si avviò verso il corridoio.»
«Bene, vi saluto...»
«Mike! » Kelly lo richiamò. «Io non farei la mia festa di compleanno da Bellini, se foss
i in te.»
Tony e Angelo si scambiarono un'occhiata interrogativa.
«Eh? » esclamò Feeney meravigliato.
«Proprio così » disse Kelly. «Io non farei la mia festa di compleanno da Bellini. Cerca
un altro posto, e forse potrai festeggiare un altro compleanno.»
Il meravigliato irlandese guardò uno dopo l'altro i tre uomini, poi parve capire.
«Grazie capo » disse.
«Non ringraziarmi. » Kelly gli mostrò uno dei suoi più larghi sorrisi. Voglio vederti fi
lare dritto. Hai grossi interessi in quel ristorante, vero, Tony?
Perelli non rispose e Feeney trasse un profondo sospiro di sollievo.
«Posso essere stupido, ma certe cose le capisco » borbottò uscendo dalla stanza.
«Non voglio perdere tempo con voi due per parlare di Con O'Hara. » disse Kelly. «Parle
rò direttamente con la ragazza.»
«Non potete vederla, signor Kelly. » Minn Lee era arrivata giusto in tempo per senti
re le ultime parole. «È come impazzita.»
«È come impazzita e l'hai lasciata sola? » gridò Perelli. «L'hai lasciata là, da sola...? C
iama un'infermiera, un dottore, qualcuno.»
Corse fuori dalla stanza. Sentirono un «Vengo subito da te, Maria » dietro la porta
che Perelli si era chiuso alle spalle.
«Questo è il guaio di Tony Perelli » commentò Kelly. «Ha il cuore di un bambino. Mi sono s
pesso chiesto come mai non sia a capo di un asilo d'infanzia, invece di...»
Minn Lee sorrise.
«Per voi non può fare nulla di giusto, per me non può fare nulla di sbagliato. Kelly s
cosse la testa.»
«Se c'è una cosa che non si merita, è proprio questa. Vedo che siete ancora qui. » Poi,
quando lei annuì, aggiunse. «Non so se questo mi renda felice o no.»
Lei sorrise di nuovo.
«Siate felice o triste domani mattina » disse misteriosamente.
Kelly si avvicinò alla porta dalla quale era uscito Perelli, la aprì e guardò fuori; p
oi la richiuse con gentilezza e tornò dalla ragazza.
«Quando il poliziotto ha trovato Jimmie, respirava ancora » le disse a bassa voce «e h
a avuto il tempo di pronunciare due parole: Minn Lee.»
Il viso di lei si fece radioso.
«Sono felice di avervelo detto.»
Quando lui si voltò per uscire, lei gli prese la mano e gliela baciò.
«Non fatelo, ragazza mia » borbottò lui.
«È un'antica tradizione cinese. » Minn Lee era senza fiato ma sorrideva. «Pian piano all
argo la mie conoscenze sull'oriente, signor Kelly.»
Lui le strinse la mano che teneva tra le sue e uscì. Lei rimase immobile nel punto
in cui lui l'aveva lasciata, con le braccia conserte e con il viso illuminato d
a un'espressione che nessuno aveva mai visto prima. Poi, tornata alla realtà, pres
e da terra un cuscino e lo risistemò sul divano e, uscita sulla terrazza, rimirò lun
gamente i tetti della case di Chicago. Poi sentì dei rumori confusi; la porta si s
palancò e Tony si precipitò dentro, praticamente trascinandosi dietro Maria. La guidò
verso una sedia e la costrinse con gentilezza a sedersi, mormorando frasi incoer
enti e incomprensibili.
Lei continuava a singhiozzare. Tony non si accorse neppure della piccola ragazza
cinese; le sua mente e i suoi pensieri erano completamente concentrati sul dolo
re di Maria, del quale era direttamente responsabile.
«Mia povera, cara, adorata... Poi vide Minn Lee.»
«Portale del vino. Dov'è Angelo? Dov'è Kiki?»
Lei non gli rispose, ma uscì in fretta dalla sala. Tony strinse il volto della rag
azza contro il suo petto.
«Oh mia cara, mia cara! » disse, baciandole i capelli. «Così disperata e così bella!»
«Quegli assassini! » balbettò lei tra le lacrime. «Uccidere così il mio Con! Tony le solle
vò il viso.»
«Avrà un magnifico funerale, Maria » disse. «Mostrerò a Mike e ai suoi killer cos'è un fune
ale. Ventimila dollari... non mi interessa quanto spenderò, Maria.»
«Prenderai il porco che l'ha ammazzato, vero? » piagnucolò lei. «Devi farlo per me, Tony
... ti darò tutto quello che una ragazza come me può darti...»
«Certo, certo » disse Tony. «Non ci sarà nessun Mike Feeney sul prossimo elenco telefoni
co, te lo giuro. Ho intenzione di farla finita con quell'uomo.»
Minn Lee portò il vino e arrivò anche Angelo che la guardò interessato. Maria bevve un
sorso e fece una smorfia.
«Non è champagne » si lamentò.
«Bevilo » disse Tony e poi si voltò verso il suo secondo. «Angelo, pensa tu al povero Co
n. Voglio il funerale più elegante. Spendi quello che necessita... rose, lilium, o
rchidee, tutto. Angelo sollevò lo sguardo dal blocco sul quale stava prendendo app
unti.»
«Ci converrebbe metterci a coltivare fiori » disse, non senza una certa logica.
«La cassa deve essere d'argento » disse Tony, affascinato lui stesso dalla magnifice
nza da lui proposta. «Falla venire da Filadelfia. Più bella di quella di Shaun... mo
lto più bella.»
«Quella aveva degli angeli scolpiti » suggerì Angelo, con la penna pronta a scrivere.
«Fai di meglio.»
Angelo inclinò stancamente la testa.
«Cosa c'è di meglio degli angeli? » chiese.
«Gli arcangeli » grugnì Perelli. «Pensaci immediatamente.»

24.
Maria si lasciò andare nelle sue braccia e lui la consolò. Poi se ne andarono, con u
no strano atteggiamento, un misto di passione e di rabbia. Angelo rimase sulla s
oglia e li osservò fino a quando non sparirono dietro la porta della camera di Mar
ia.
Era in corso una crisi. L'atteggiamento di Tony era leggermente cambiato, legger
mente, ma abbastanza per far capire all'intelligente italiano che il passaggio d
a Minn Lee a Maria sarebbe stato seguito da un altro cambiamento, più radicale e d
rammatico.
Rimase così per molto tempo, con la mano sulla maniglia della porta, fissando pens
ieroso il corridoio. C'era una macchina potente e veloce a portata di mano, un t
erzo ascensore del quale la polizia ignorava l'esistenza e perfino un fuoribordo
velocissimo. Erano tutte possibilità di salvezza, di vita.
Angelo non si faceva illusioni. Sapeva che, a meno che non avesse agito in un ce
rto modo, avrebbe presto riposato sotto il telo cerato dell'obitorio e che tutto
quello che sarebbe rimasto di lui sarebbero state delle fotografie al dipartime
nto di polizia.
Con un sospiro, chiuse la porta ed entrò nella stanza.
«Il modo in cui si comporta per la perdita di Con è davvero orribile » disse. Minn Lee
sorrise debolmente.
«Tu non lo sai; forse lo amava. Angelo scosse la testa.»
«Amare un uomo è sciocco, Minn Lee, e lei è tutto tranne questo. » Ridacchiò mentre si sed
eva davanti all'organo. «È davvero una vita grandiosa.»
«Dove finirai, Angelo?»
«Me lo stavo proprio chiedendo » disse Angelo amaramente. «Finora non me l'ero mai chi
esto. Probabilmente guiderò io questo racket un giorno, a meno che qualcuno non mi
faccia fuori prima. Le cose stanno così... » Aprì le braccia in segno di rassegnazion
e.
Si avvicinò a Minn Lee che stava ricamando il suo dragone cinese.
«Tony dice che ci saranno dei cambiamenti da Cicero. Ci sarà una nuova direttrice.»
«Davvero? » chiese Minn Lee con indifferenza.
«Spero che non scelga qualcuno che conosco per coprire quell'incarico » disse Angelo
con noncuranza.
«Troverà una donna » mormorò Minn Lee a bassa voce.
«Spero che sceglierà la donna giusta » disse Angelo. Minn Lee scosse la testa.
«Non sceglierà me » dichiarò con calma.
«Lo spero proprio, per il bene di tutti.»
Lei lo guardò sorpresa.
«Angelo, non avrai intenzione di fare qualcosa nel caso in cui lui...»
«Non farei nulla di cui mi dovrei poi pentire » disse Angelo, poi tornò a sedersi dava
nti all'organo, facendo ondeggiare le gambe. «Abbiamo per le mani dei grossi affar
i, Minn Lee. Sai, parlo di milioni di dollari, ma c'è la presenza eccessiva di que
lla donna. Quando una donna ti chiede di fare fuori uno e tu acconsenti... allor
a c'è qualcosa che non va.»
«Ma a te piace Tony? » chiese Minn Lee. Angelo sorrise innocentemente.
«Sicuro. È un tipo in gamba. Ma non sa trattare con Kelly e non tiene legati a sé abba
stanza politici per comportarsi come fa. Kelly è un tipo duro.»
Era la prima volta che le parlava così francamente.
«Devi avere molta fiducia in me per parlarmi così » disse lei. «Se Tony sapesse come la
pensi...»
Lui sorrise di nuovo, stranamente.
«Sarebbe morto prima di poter tirare fuori la pistola » disse. Lei scosse la testa.
«Io non vi capisco » disse e Angelo le spiegò.
«Questo è un grosso affare, Minn Lee. I normali negozianti non vogliono concorrenza.
Non permettono a nessuno di fare grossi affari, altrimenti li fanno licenziare.
Noi invece ammazziamo chi ci fa concorrenza. Loro trattano con il denaro, noi c
on le pistole.»
Tony entrò, aggrottando le sopracciglia e Angelo lo guardò criticamente.
«La mamma e il bimbo stanno bene? » chiese.
«Non fare lo spiritoso con me.»
Se non si fosse trovato in quello stato di confusione sentimentale, avrebbe capi
to che anche l'atteggiamento del suo secondo nei suoi confronti era cambiato.
«Sei in gamba, ma c'è un tempo per tutto.»
Bevve il vino avanzato da Maria e si asciugò il sudore.
«Cosa farà? » chiese Minn Lee.
«Resterà qui » tagliò corto Perelli.
«Non ha degli amici?»
«Sì, me » esclamò lui. «Resterà qui.»
Angelo non aveva intenzione di andarsene e Tony si voltò verso di lui.
«Voglio parlare con Minn Lee. E, Angelo, voglio la macchina di Minn Lee parcheggia
ta qui davanti alle... » guardò l'orologio «... alle sei.»
Ora che l'agitazione era un po' svanita, si rese conto del cambiamento nell'atte
ggiamento di Angelo.
«Quel tipo è diventato un po' troppo spiritoso » disse. «Metterci a coltivare dei fiori,
eh? Uno di questi giorni...»
Aveva un lavoro da compiere e, essendo un uomo sensibile, non era facile. Si sed
ette a gambe incrociate su un grosso divano e fece un cenno alla ragazza.
«Vieni qui, piccola Minn Lee. Mi sono ricordato proprio ora di una cosa.»
Le prese la mano e accarezzò con la punta delle dita il suo braccio ingioiellato.
«Bella roba, vero?»
Lei annuì. Sapeva esattamente cosa avrebbe detto poi e cosa sarebbe successo.
«È roba bella » continuò lentamente «ma ormai fuori moda. Tutti questi gioielli devono ess
ere risistemati, Minn Lee. Conosco un tizio di Tiffany che li rimette in sesto m
eravigliosamente. Dammeli, lo farò fare subito.»
Non poteva dire niente. Molto lentamente, ma senza la riluttanza che lui si sare
bbe aspettato, Minn Lee si sfilò tutti i gioielli e li posò sul divano.
«Saranno favolosi quando saranno stati risistemati » proseguì Perelli. «Li riavrai, Minn
Lee, non preoccuparti. Li farò risistemare in modo che valgano molto di più... ment
re sarai via.»
Mise dell'enfasi su queste ultime parole e lei lo guardò.
«Mentre sarò via? » ripeté.
Lui si fece scivolare in tasca i gioielli.
«Sì, per un po' di tempo. Quello che hai detto di te e di Jimmie mi ha sconvolto. Ti
amo troppo » disse tristemente. «Quando tornerai, io avrò dimenticato.»
Seguì un lungo silenzio. Minn Lee osservava il suo braccio nudo con il suo solito
imperscrutabile sorriso.
«Dove andrò? » chiese dolcemente.
«Te lo dirò. Vuoi aiutare Tony, vero, piccola cara? Ho avuto un sacco di guai da Cic
ero. Quelle dannate ragazze mi hanno derubato e così ho dovuto mandare via la dire
ttrice. Non andava affatto bene.»
Sentì il respiro di lei farsi più pesante e aspettò di vedere delle lacrime che non ve
nnero mai.
«Tu vuoi che io vada là a prendere il suo posto? » Minn Lee scosse la testa.
«Solo per un po' » la implorò. «Tu sei una fantastica organizzatrice, Minn Lee, e sistem
erai tutto, per me. Avrai una camera elegantissima, meglio che al Blackstone. Se
rvitori, macchine, amici...»
Lei scosse la testa e lui tornò a essere il padrone di sempre.
«Minn Lee, io sono stato molto generoso con te » disse con durezza.
«Sì. » Lo disse a voce così bassa che quasi lui non la sentì.
«Ora tu mi devi ricambiare, sii buona » disse. «Fallo per il tuo Tony. Pronunciò queste
parole con un tono di familiarità e, con uno dei suoi più larghi sorrisi, si alzò, fac
endo tintinnare i gioielli che aveva in tasca.»
«Ora ti suonerò qualcosa.»
Le mise un braccio intorno alle spalle e si avviarono insieme verso l'organo, ma
lei si allontanò.
«Suona pure, Tony, io devo scrivere al mio sarto.»
«Va bene. » Si sedette all'organo e incominciò a suonare una musichetta, non smettendo
di parlare. «Pagherò tutto io » disse. «Metti le fatture sul tavolo di Angelo. Verrò a tr
ovarti, Minn Lee, anche tutti i giorni.»
Ma lei non lo ascoltava più. Aveva preso un foglio di carta e stava scrivendo prec
ipitosamente. La mente di lui tornò ad Angelo.
«Metterci a coltivare fiori, eh? Quel tipo è diventato troppo audace, Minn Lee. Sai
cosa mi ha detto ieri? Mi ha detto: "tu sai comandare, ma sapresti farlo?" A me,
Tony Perelli! È come dire che sono un vigliacco... accidenti.»
Sentì una mano sulle spalle e alzò lo sguardo verso il viso bianchissimo di lei.
«Stai male? » chiese, costernato.
Il suo malessere in quel momento sarebbe stato straordinariamente difficile da s
piegare.
«No, no, non sto male.»
«Sei una ragazza fantastica, Minn Lee. » Le strinse la mano. «Ma sei così pallida...»
«Ho mal di testa » disse lei.
«Sdraiati » le suggerì Perelli.
Con la coda dell'occhio, vide che si accasciava sul divano e riprese a suonare.
«Stavo pensando ad Angelo. Si crede un pezzo grosso. Questo è il guaio con i gangste
r da due soldi. Dai loro un dito e ti prendono la mano. Mi ascolti Minn Lee?...
Minn Lee, ti sei addormentata? La tua macchina sarà qui alle sei.»
Smise di suonare, si alzò e si stiracchiò. Poi vide la lettera che lei aveva posato
sull'organo. La prese, la lesse con noncuranza, ma poi si voltò di scatto, con il
volto pieno di orrore.
«Minn Lee! Minn Lee! » gridò senza fiato.
Lei giaceva immobile sul divano dal quale gocciolava del sangue; sul suo prezios
o tappeto c'era già una macchia rossa.
«Minn Lee, sciocca, dannata sciocca! » gridò. «Minn Lee!»
Sentì la voce di Kelly fuori dalla porta e lo chiamò. Il commissario di polizia entrò
e capì tutto al primo sguardo: vide il salone, la ragazza morta, che giaceva immob
ile e serena, il gangster paralizzato dall'orrore.
«Cosa diavolo...? O mio Dio!»
Vide il coltello nelle mani di Perelli, il coltello che aveva raccolto da terra.
«Lascialo.»
Il coltello cadde sul tappeto.
«Non muoverti.»
Perelli si vide puntare una pistola.
«No, no, non sono stato io! » balbettò. «Non sono stato io... è stato un suicidio... qui c
'è la lettera. Guardate... è la lettera. Qui... l'ha scritta lei...»
Kelly prese la lettera e la lesse lentamente.
Addio Tony. Questo è meglio di Cicero. Dio ti benedica!
Portava la firma di Minn Lee. Kelly guardò la lettera poi fissò Perelli; poi, accese
un fiammifero e bruciò il foglio.
«Hai ucciso almeno venti uomini e l'hai passata liscia » disse, con la voce tremante
per l'odio che provava verso quell'uomo «e ora sarai condannato per qualcosa che
non hai commesso... non è divertente?»
Le parole arrivarono come una doccia gelata sul gangster che aveva quasi perso l
a ragione. Si precipitò al telefono e, mentre faceva il numero, il cuore di Kelly
sembrò venir meno. Era il numero di un avvocato, di uno dei più famosi. Non c'era più
speranza. Quella che era sembrata la fine di Perelli, non lo sarebbe stata.
Kelly lo guardò, abbassò gli occhi verso la cenere della lettera e verso la ragazza
morta e sorrise amaramente. Perelli era al sicuro. Ci sarebbe stato un arresto,
un processo e l'assoluzione per mancanza di prove. A cosa Serviva lottare? I gan
gster avevano le loro punizioni e le loro immunità.
Sentì la rapida parlata di Perelli e si avviò alla porta. Non vide entrare Angelo ch
e, dopo aver visto la ragazza morta, si ritrasse inorridito. L'italiano stava lì,
dietro alla porta, con un'espressione sconvolta, guardando la donna che amava e
l'uomo che odiava.
«È così capo, » La voce di Perelli era esultante. «La legge siamo noi. Vedete, voi siete i
ntelligente, ma non quanto Tony Perelli. Ho appena detto al mio avvocato quello
che è successo in questo momento. Angelo aprì un po' di più la porta, prese una pistol
a dalla tasca e puntò.»
«Vedete, signor Kelly... » proseguì Tony.
Dalla porta semichiusa, Angelo sparò due colpi, poi, sbattendola, la chiuse a chia
ve prima di volare nell'ascensore che lo avrebbe portato verso la libertà.
Kelly si voltò all'improvviso al rumore dello sparo. Harrigan aveva visto la scint
illa provocata dalla pistola e si era precipitato nella stanza. Kelly si chinò ver
so l'uomo che giaceva sul pavimento.
«Alla fine la legge ti ha fermato, Perelli. Non la mia legge, ma la tua. Così vanno
le cose, a volte.»
FINE

You might also like