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Va’ dove ti porta il cuore

Ci sono matrimoni d’amore e matrimoni d’interesse. Lunghi


corteggiamenti romantici e accordi economici che parlano più
alle finanze che al cuore. Quella che si celebra ufficialmente il
20 febbraio 1986 fra Silvio Berlusconi e l’Associazione Calcio
Milan è una unione strana, fatta di serenate appassionate e in-
terminabili trattative fra studi legali, uffici della procura della
Repubblica e comunicati stampa a nervi tesi. L’imprenditore
che ha inventato la tv privata in Italia e che è appena sbarcato in
Francia con la creazione de La Cinq ha già le idee chiare. E se
l’operazione transalpina avrà vita breve e fine ingloriosa (durò
sei anni prima di chiudere i battenti, per Berlusconi Jacques
Chirac coniò la definizione di vendeur de soupe, venditore di
minestre) la scalata alla società di via Turati è tutta un’altra
storia. Qualche giorno prima del perfezionamento dell’accor-
do Berlusconi aveva spiegato: «Nel Milan ho solo un interesse
sentimentale, anche se spero di non rimetterci e di farlo fruttare.
Perché il Berlusconi vero è quello che dà grandissima rilevanza
ai fatti di cuore, ma che agisce con razionalità»1. Ricorderà
anni dopo: «Il Milan appartiene alla sfera degli affetti. Per me
non è solo un’impresa, anzi, nelle strategie del gruppo è una
cosa decisamente a parte. Ho comprato quella squadra perché

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Ansa, 17 febbraio.

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mi piaceva, non per cercare ulteriore popolarità: avevo già tre
canali televisivi che raggiungevano il 96% delle famiglie italiane
e un ascolto quotidiano di 70 milioni di ore, cioè due ore in
media per 35 milioni di spettatori al giorno. Tutta gente che
sapeva benissimo chi era l’editore di quelle reti televisive. E pri-
ma di acquistare il Milan ci ho pensato parecchio. Temevo che
prendere parte così nettamente per una squadra potesse farci
sembrare faziosi. Temevo che quella simpatia che raccoglievo
un po’ dappertutto finisse per spezzarsi a metà: i milanisti da
una parte, tutti gli altri dall’altra. E oltretutto avevo calcolato
anche che una squadra come il Milan mi avrebbe dato molto da
fare, prendendomi del tempo che forse non avevo. È ovvio che
immaginavo anche il divertimento che mi avrebbe procurato
fare il presidente di un grande Club come quello. Ma siccome,
come ho detto, il Milan è una questione di affetto, di cuore,
è stato proprio il sentimento a prevalere. E allora ho aperto
il portafogli e ho comprato una squadra che aveva avuto un
passato glorioso e delle vicissitudini recenti turbolente»2.
Una scelta d’amore quindi, racconta Berlusconi; una scelta
che è conseguenza di una passione giovanile mai dimenticata
e che è ricordo degli anni di gioventù quando, ripete spesso il
presidente del Consiglio, il piccolo Silvio correva a San Siro con
il padre Luigi infilandosi sotto l’asticella che misurava i bambini
che potevano entrare senza pagare il biglietto. «Nei momenti di
maggiore euforia, quando già mi vedevo seduto sulla poltrona
di presidente della società rossonera, ripensavo alla mia gio-
ventù ed ero felice di essere riuscito a realizzare il mio sogno,
il sogno di tutti i tifosi del Milan. Da ragazzo, un ragazzo che
non aveva molto, passavo la giornata giocando a calcio. La mia
settimana era completamente assorbita dalle fantasie sul Milan:
dal giovedì alla domenica pensavo di fare i goal come li avrebbe
fatti Nordahl; dalla domenica al giovedì rifacevo, mentalmente
e sul campo, i goal che Nordhal aveva davvero segnato. Nel

² Giorgio Ferrari, Il padrone del diavolo, Camunia, Milano 1990, pp. 129-130.

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mio immaginario di ragazzo che aveva pochissimo dalla vita, il
Milan occupava il primo posto. E naturalmente in me c’era il
desiderio di potermi davvero occupare un giorno o l’altro del
Milan e di poterne diventare il presidente»3.

Anche i sogni hanno bisogno di un po’ d’aiuto

La missione si compie nella serata del 20 febbraio 1986,


quando è lo stesso Silvio Berlusconi ad annunciare che sarà
proprio lui a ricoprire la carica di presidente, con il fratello
Paolo e Gianni Nardi in qualità di vice, amministratori delegati
Giancarlo Foscale e Adriano Galliani con Silvano Ramaccioni
direttore sportivo. È la fine di una rincorsa durata quattro mesi
dopo le prime indiscrezioni, e smentite di rito, circolate a fine
ottobre.
Per il Diavolo è un momento terribile, fra i più bui della sua
storia. Lo scudetto della stella conquistato nel 1979 è un ricordo
ormai sbiadito dal tempo e dalle delusioni della retrocessione
in B per lo scandalo calcio scommesse del 1980 e della nuova
discesa agli inferi della serie cadetta nell’82. «Il Milan è andato
in B due volte. La prima a “pagamento”, la seconda, come di-
cono a Milano, “a gratis”», ironizzava causticamente l’avvocato
Peppino Prisco, vicepresidente interista. I risultati sono più che
mediocri e a via Turati domina l’incertezza dopo l’avvento alla
guida della società di Giuseppe «Giussy» Farina che aveva rile-
vato le azioni del Milan dal deputato Dc Gaetano Morazzoni, a
sua volta succeduto a Felice Colombo. Nonostante la conquista
dell’accesso in Coppa Uefa al termine del campionato 1984-
85, il Diavolo è semiagonizzante e le casse societarie registrano
debiti per una decina di miliardi. Non va meglio dal punto di
vista della gestione amministrativa visto che alcune ispezioni
della Guardia di Finanza a fine ottobre 1985 hanno messo in

³ Stefano E. D’Anna, Gigi Moncalvo, Berlusconi in concert, Otzium, Londra 1994 /


Pezzini, Viareggio 1994, pp. 132-133.

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evidenza pericolose irregolarità contabili. Farina resiste ancora
per poco e a dicembre si dimette lasciando dietro di sé una
situazione tragicomica degna di un club di provincia e non di
una squadra di calcio con ambizioni europee. Leggenda vuole,
addirittura, che in quel periodo il centro sportivo di Milanello
venisse affittato per i banchetti nuziali e che agli sposi, inclusa
nel prezzo, fosse riservata persino la possibilità di farsi foto-
grafare con i giocatori rossoneri. Che certo non se la passano
benissimo visto che gli stipendi non arrivano più: ne sa qualcosa
l’attaccante inglese Marc Hateley acquistato l’anno prima dal
Portsmouth ed entrato nel cuore dei tifosi il 28 ottobre 1984
quando regalò al Milan la vittoria nel derby grazie ad un sontuo-
so gol di testa arrampicato sulle spalle dell’ex Fulvio Collovati.
«Attila», infatti, venne addirittura sfrattato dal residence dove
viveva alle porte di Legnano visto che nessuno, dalla società, si
era ricordato di pagare l’affitto dell’appartamento.
Così, quando le indiscrezioni iniziano a farsi sempre più
frequenti, Silvio Berlusconi è costretto ad uscire allo scoperto.
E lo fa attraverso un comunicato stampa della Fininvest che il
18 dicembre 1985 «dichiara la sua disponibilità a esaminare
la possibilità di un intervento a livello di capitale nella società
A.c. Milan. Questa possibilità si manifesta oggi a seguito delle
intenzioni di disimpegno pubblicamente manifestate dall’attua-
le presidente del Milan, Giuseppe Farina»4. Il quale, dal canto
suo, sembra sollevato: «In linea di principio, Berlusconi mi va
benissimo – spiega – È conforme alle caratteristiche morali
e finanziarie a cui facevo riferimento, è una persona che si fa
giudicare dai fatti. È una garanzia, è un uomo che ha sempre
fatto scelte indovinate, che non sbaglia mai una mossa. È l’uomo
che rappresenta il gruppo migliore»5.
La strada sembra spianata e la trattativa si preannuncia rapi-
da. Ma non è così, e lo stallo dura per settimane, con il gruppo
Fininvest che, fatta la prima mossa, resta alla finestra spiegando

⁴ Ansa, 18 dicembre 1985.


5
Ansa, 18 dicembre 1985.

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di essere disposto ad acquistare la società solo al netto dei suoi
debiti. Un temporeggiare che insospettisce e che lascia campo
all’ipotesi secondo la quale la Fininvest, dopo la prima offerta
di 15 miliardi, attenda soltanto il fallimento per poter compra-
re il Milan a prezzo di saldo. «La situazione si è complicata al
massimo – si legge su “Repubblica” – e probabilmente si finirà
in tribunale. Forse è questo che vuole Berlusconi: acquistare il
Milan dal curatore fallimentare»6. Anche perché, nel frattem-
po, la società rossonera viene addirittura messa in mora dalla
Federcalcio per irregolarità contabili. Una paralisi che, scrive
ancora «Repubblica», «giova a Berlusconi il quale da tempo
gioca al ribasso. In linea teorica il prezzo del Milan diminuisce
di giorno in giorno visto che le situazioni difficili per la società
crescono con il passare delle ore, e che di possibili acquirenti
non ce ne sono»7. Dal canto loro i tifosi hanno già deciso e a
San Siro, di domenica in domenica, è un fiorire di striscioni in
favore di Berlusconi.
Eppure nel frattempo, qualcuno interessato all’acquisto del
Milan ci sarebbe pure. Almeno a parole. È il caso del petroliere
Dino Armani, che a Farina sarebbe disposto ad offrire 25 mi-
liardi impegnandosi anche a colmare i debiti di via Turati. Dirà
di lui, senza mai nominarlo davvero, più tardi Berlusconi: «A
far cadere tutte le mie remore, a farmi tornare sulla decisione,
a farmi cancellare quel no, fu un personaggio che si procla-
mava tifoso del Milan e che in quel periodo si era proposto
pubblicamente come “salvatore” della società, come potenziale
acquirente, disposto a rilevare la difficile e spaventosa eredità
del recente passato. Mi venne a trovare per conoscere la mia
opinione, per sondare le mie intenzioni, per vedere se era pos-
sibile avermi come socio in quella sua impresa. Mi mostrai poco
disposto e ragionai in termini esclusivamente finanziari: “In
questa impresa occorre investire una cifra di almeno cinquanta
miliardi, senza alcuna certezza. Si rende conto di quello che

6
Franco Rossi, «la Repubblica», 21 gennaio 1986, p. 21.
7
Carlo Petrini, Le corna del diavolo, Kaos Edizioni, Milano 2006, p. 43.

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significa una cifra del genere?” E lui, con grande tranquillità
mi rispose: “Ma lei è matto! Ma che cinquanta miliardi! Le
propongo di metterci insieme. Si può trasformare tutto in un
grande affare: basta vendere Baresi, Maldini, tutti i giocatori
migliori e ne ricaviamo molti miliardi. Qui c’è da guadagnarci,
altro che spendere”. Di fronte a quelle parole, di fronte a quel
ragionamento mi ribellai: “No – risposi – non è possibile, no
e poi no!”. Dopo tutta la teoria di presidenti sfortunati che ha
avuto il Milan in questi ultimi anni, dopo tutte le disgrazie che
sono capitate alla società rossonera, non posso permettere, non
posso consentire, non posso tollerare che il mio caro, vecchio,
paralitico Milan cada in queste mani che vogliono vendere
Baresi, che vogliono vendere Maldini, Tassotti e tutte le altre
nostre “bandiere”. Come si chiamava quel tale? Non voglio
ricordarmelo nemmeno più: era un petroliere»8.
Nella spirale di veti incrociati e tattiche attendiste, anche
il vicepresidente Gianni Rivera sbotta. Persino a lui, il golden
boy dell’ultimo scudetto e monumento vivente del Milan degli
antichi fasti, i tifosi non risparmiano insulti e striscioni mi-
nacciosi esposti in curva. «Armani boia – dicono – Rivera la
sua troia». È troppo per il primo Pallone d’Oro italiano, che
il 1° febbraio rassegna le sue dimissioni: «Ho l’impressione
di trovarmi in una gabbia di matti, in una situazione di lucida
follia. Il Milan mi ricorda quel cieco che, camminando verso il
burrone, anziché essere invitato a girarsi per tornare indietro
e salvarsi, viene sollecitato a proseguire… Qui si sta facendo
di tutto per far sprofondare il Milan, si vuole portarlo a tutti i
costi in tribunale, vorrei capire a chi può giovare questo gioco
al massacro… Mi rifiuto di credere che Berlusconi possa esse-
re contento di comprare il Milan in un’aula di tribunale. Che
figura farebbe verso i tifosi? Eppure Berlusconi sta tenendo un
atteggiamento per me incomprensibile. È come se spingesse
il Milan in un fosso per poi comprarlo tutto ammaccato per
due lire. La valutazione che Berlusconi dà del Milan è assurda:
8
Stefano E. D’Anna, Gigi Moncalvo, cit. p. 133.

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Milanello vale da solo circa 4 miliardi, poi c’è il patrimonio
giocatori. Per tutto questo Berlusconi offre la somma ridicola
di 15 miliardi, cioè 11 miliardi per il parco giocatori. Stando ai
parametri di mercato, due giocatori milanisti valgono da soli 11
miliardi! Se Berlusconi vuole comprare il Milan deve alzare il
prezzo, è troppo comodo prendere questa società per due lire!
Se ci fosse un compratore disposto a valutare correttamente il
parco giocatori, mi accollerei personalmente tutte le passività.
Il Milan è stato portato a Berlusconi su un vassoio d’argento,
ma lui non può approfittarne. Siamo disposti ad andarcene tutti
al suo arrivo, me compreso, ma non può pensare di comprare
il Milan per niente. Oltretutto l’interessamento di Berlusconi
può aver arrecato danni alla società: certi compratori si sono
bloccati di fronte al suo nome, sicuri di non avere speranze di
poter competere con lui»9.
Con Farina da tempo riparato in Sudafrica, la situazione
precipita in poche settimane e dopo la minaccia di sequestro
delle azioni del Milan, il 20 febbraio il sostituto procuratore
della Repubblica di Milano Ilio Poppa annuncia l’esistenza di
un mandato di cattura a carico dell’ormai ex presidente rosso-
nero10. È un capitolo che dopo mesi di stallo, ora si chiude in
poche ore. Quelle che servono alla Fininvest per annunciare
l’acquisto delle azioni rossonere attraverso il gruppo Publitalia e
poi, un mese dopo, il definitivo passaggio di proprietà della so-
cietà milanista. La cifra pagata resta a lungo avvolta nel mistero:
35 miliardi, secondo le informazioni più accreditate, di cui sei
depositati subito a febbraio per pagare l’Irpef arretrata.
È un epilogo atteso, per certi versi sperato. Una liberazione
soprattutto per i tifosi. Ma è un epilogo che Giussy Farina con-
testa duramente fino a ipotizzare azioni legali e clamorose rive-
lazioni: «Dal Sudafrica avrebbe lanciato minacciosi avvertimenti
– scrive “Repubblica” – nel caso fosse trascinato in tribunale
per gli ammanchi nella contabilità del Milan, si presenterà e

9
Carlo Petrini, cit. pp. 43-44.
10
Ansa, 20 febbraio 1986.

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spiegherà che quei soldi lui non li ha presi. Questa almeno è la
versione di Farina che avrebbe ricevute e distinte contabili per
dimostrare ai giudici a chi e dove sono finiti i soldi che mancano.
È una vera e propria minaccia quella dell’ex presidente, una
minaccia di denunciare pagamenti in nero che sarebbero stati
effettuati nella gestione del Milan. È chiaro che chi avrebbe pre-
so soldi in nero subirebbe gravi conseguenze: oltre i cinquanta
milioni di evasione la legge prevede le manette»11.
Ci vogliono anni, però, prima che l’ex presidente di Milan
e Lanerossi Vicenza racconti i dettagli di quella e di altre trat-
tative. «Soltanto ora ci si sta rendendo conto che i miei non
erano peccati capitali – spiega in una intervista nell’agosto del
1994 – Però allora faceva comodo colpire il sottoscritto per un
discorso a monte». E cioè? «Voglio dire che era stato deciso
di trasferire il Milan al nostro amato presidente Berlusconi.
(…) Io speravo soltanto in un passaggio di consegne indolore.
Avrei voluto salvare le mie aziende restituendo i soldi a chi
aveva partecipato con me all’avventura rossonera. Prima di
lasciare l’Italia andai ad Arcore e mi incontrai con Berlusconi:
mi prometta che tutto andrà per il meglio, gli dissi. Salviamo
la faccia di tutti, non soltanto la mia. Lui mi disse di non pre-
occuparmi e per tutta risposta, tre giorni dopo, prese la deci-
sione di far leva sulle pecche di gestione, che, ribadisco, erano
comuni a tutte le società, per rilevare il Milan dal fallimento.
In pratica per procedere a un esproprio»12. Eppure, spiega
ancora Farina, qualcuno disposto ad acquistare il Milan c’era,
solo che fu abilmente convinto a farsi da parte: «Le rivelo un
particolare veramente inedito. Avevamo quasi ceduto il Milan
a Cabassi che, nell’affare, aveva come socio Parretti. Ad un
certo momento però i due ci dissero che era saltato tutto. Alla
richiesta di spiegazioni, con un giro di parole ci fecero capire
un interessamento dall’alto: lasciate stare, fuggite nella notte

11
Franco Rossi, «la Repubblica», 13 febbraio 1986, p. 17.
12
Alberto Costa, «Corriere della Sera», 8 agosto 1994, p. 22.

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dei tempi»13. Una ricostruzione confermata anche dallo stesso
Giancarlo Parretti: «Nel 1986 Farina vendette il Milan a me
e all’immobiliarista milanese Giuseppe Cabassi, l’accordo fu
siglato a Parigi… Regalai il Milan a Berlusconi su pressione di
Craxi»14.
Concetti che Farina tornò a spiegare anche più tardi, sempre
a mezzo stampa: «Mi no go venduo gnente. Berlusconi xe’ riva’ e
se lo ga tolto. (…) Mentre ero via saltò fuori di tutto. Che non
avevamo pagato l’Irpef, che pagavamo dei giocatori in nero...
Tutto vero. Ma noi non pagavamo l’Irpef da tre mesi e c’erano
squadre che non pagavano da anni. Anni. Ma si sa come vanno
queste cose. Siccome era stato deciso che il Milan dovesse finire
a Berlusconi... Quando il lupo vuole mangiare l’agnello di scuse
ne trova sempre. I giera tuti d’accordo: Berlusconi, Carraro,
Craxi, ’na manega de socialisti. (…) Io non ho mai voluto avere
niente a che fare coi politici. A Vicenza era andato tutto bene.
Ma a Milano, negli anni Ottanta... (…) Mi cascarono in testa un
sacco di grane. Denunce per falso in bilancio. Ordini di cattura.
E mi sfilarono la società di sotto il naso senza pagare una lira.
Il Milan fu dichiarato fallito e il curatore fallimentare mise in
vendita le società che io avevo portato a garanzia della situazione
debitoria»15. E ancora: «Quando cedetti il Milan, c’erano circa
15 miliardi di debiti, 7 dei quali relativi a un mutuo federale
con scadenza trentennale. In rosa c’erano giocatori come Baresi,
Costacurta, Evani, Battistini. Mi sarebbe bastato vendere Baresi
per riportare il bilancio in attivo. Ma non ho visto una lira. In
realtà io non ho venduto il club. Il Milan mi è stato portato via
a costo zero. Un’operazione politica. (…) Vi siete mai chiesti
perché Gianni Nardi, uomo della mia gestione, è tutt’ora in
carica come vicepresidente del Milan?»16.

13
Ibidem.
14
Carlo Petrini, cit. pp. 47-48, nota 10.
15
Gian Antonio Stella, «Corriere della Sera», 4 settembre 1995, p. 12.
16
Sebastiano Vernazza, «La Gazzetta dello Sport», 24 aprile 1999, p. 10.

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