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CAPITOLO 1
IL DIRITTO (NORMA E ORDINAMENTO GIURIDICO)
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CAPITOLO 2
LE FONTI DEL DIRITTO
CAPITOLO 3
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LO STATO E U SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI
Cittadinanza europea secondo il trattato di Maastricht chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato
membro possiede anche la cittadinanza dell’Unione europea.
Popolazione (≠ da popolo): complesso delle persone che si trovano stabilmente sul territorio dello Stato,
indipendentemente dal possesso della cittadinanza. Sono compresi stranieri e apolidi residenti, sono
esclusi i cittadini residenti all’estero.
Nazione (≠ da popolo): collettività che si caratterizza per la comunanza di lingua, tradizioni, religione,
cultura e simili, indipendentemente dall’appartenenza a uno Stato. Le minoranze nazionali sono
ampiamente tutelate.
Non sempre nazione e popolo coincidono: esistono casi di Stati plurinazionali (come lo Stato elvetico, i
cui cittadini hanno almeno 3 nazionalità, italiana, francese e tedesca) e nazioni divise fra più Stati
(come la Jugoslavia, dove i cittadini hanno nazionalità serba, croata, slovena, macedone e albanese).
Il possesso della cittadinanza non è legato alla residenza sul territorio dal 1989 esiste una anagrafe
dei cittadini italiani residenti all’estero (A.I.R.E).
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TERRITORIO: è quella parte della superficie terrestre che entra a costituire un certo Stato storico e gli
è coessenziale costituendone sia lo spazio indispensabile sia la sfera di validità e di efficacia del
proprio ordinamento e del proprio imperio.
Elementi costitutivi del territorio:
• Terraferma: porzione di superficie terrestre che è delimitata dai confini, siano naturali (fiumi,
mari, catene montuose,…), siano stabiliti mediante accori internazionali.
• Mare territoriale: è costituito dalla fascia di mare lungo le coste che corrisponde alle esigenza di
vita e di difesa della comunità statale e sulla quale lo Stato esercita la propria sovranità (tra le 3 e
le 12 miglia marine).
Al di là dei limiti del mare territoriale il mare è considerato libero (principio della libertà dei mari)
sul quale ogni Stato ha lo stesso diritto a trarne tutte le utilità che il mare può offrire.
• Piattaforma continentale: è il sottosuolo marino attiguo alla terraferma, ma fuori del mare
territoriale, sul quale gli Stati costieri rivendicano la propria sovranità ai fini di sfruttamento.
• Zona economica esclusiva: zona nella quale tutte le risorse economiche della zona, fino al limite di
200 miglia marine dalla costa, sono di pertinenza dello Stato costiero, rimanendo salvo il diritto
degli altri Stati di navigazione, di sorvolo, di posa di cavi sottomarini e di oleodotti e di quant’altro
consentito dai legittimi usi internazionali.
• Soprasuolo: lo spazio aereo soprastante il territorio statale, comprendendo sia la terraferma sia il
mare territoriale. La sovranità sul soprasuolo so estende fino al limite max di utilizzazione.
• Sottosuolo: anche per le profondità, la sovranità si estende fino al limite max di utilizzazione nei
confini terrestri e del mare territoriale.
Extraterritorialità: vengono sottratte alla potestà di impero delle Stato una o più porzioni, per lo più
di limitatissima estensione, della terraferma costituente il territorio statale (ad esempio la Santa
Sede, le sedi diplomatiche, veicoli situati nello Stato che battono bandiera).
Ultraterritorialità: lo Stato può esercitare potere di imperio su porzioni di terraferma siti al di fuori
del proprio territorio (reciproco della extraterritorialità).
SOVRANITÀ: è la supremazia nei confronti di ogni altro ente esterno, che si concreta nell’affermazione
dell’originarietà dell’ordinamento giuridico e della sua indipendenza.
L’originarietà è una caratteristica giuridica, nel senso che ogni ordinamento statale, in quanto sovrano,
si autolegittima, cioè trova in sé medesimo la giustificazione giuridica della sua esistenza e del suo
potere.
L’indipendenza significa che ogni Stato, in quanto sovrano, non può essere subordinato ad altri
ordinamenti e, nel suo ambito, gode del diritto di esclusione degli altri.
La sovranità dello Stato può tuttavia spettare allo Stato inteso come Stato–governo e in Italia, Stato
repubblicano, secondo l’art. 1 della Cost., “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme
e nei limiti della costituzione” (non solo nel titolo, ma anche nell’esercizio) esercizio delle scelte
politiche del corpo elettorale attraverso la forma rappresentativa. Le scelte del corpo elettorale sono
la forma di gran lunga oggi prevalente nell’esercizio della sovranità popolare.
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non si prefigge il raggiungimento di interessi generali, ma solo la difesa di interessi di carattere
patrimoniale e privatistico.
• Stato assoluto (Principati, Comuni, Signorie): l’ordine sociale è fondato sul principio della potestà
assoluta sovrana e della gerarchia il sovrano si eleva sulla collettività, escludendo qualsiasi
frazionamento dei poteri.
• Stato di polizia (monarchie illuminate, tardo Settecento): il sovrano è sempre più funzionario dello
Stato, è il “primo suddito”. Finalità dello Stato è curare i fini di benessere collettivo, considerato
un dovere del sovrano, concedendo libertà terriera e facendo giustizia amministrativa.
• Stato liberale (‘800): emerge il ceto borghese, la legittimazione del potere statale si basa sulla
derivatività dei cittadini, ora liberi si va verso la democrazia contemporanea (supremazia della
legge).
Tra il 1789 e il 1848 si va affermando una nuova forma di Stato, incentrata soprattutto sulle teorie che
avevano generato la rivoluzione francese Stato moderno.
Caratteristiche dello Stato moderno:
• Costituzionalità (dalla “dichiarazione dei diritti e dell’uomo e del cittadino” del 1789): la garanzia
dei diritti e la separazione dei poteri sono il contenuto minimo di questa forma di Stato.
• Giuridicità: lo Stato si sottopone al diritto e di questo ne assicura l’osservanza in riguardo a se
medesimo, per mezzo di apposite istituzioni debbono esistere libertà individuali e meccanismi
per la loro protezione.
• Rappresentatività: esprime la partecipazione dei cittadini alla formazione della volontà dello Stato
la legge è espressione della volontà generale. Almeno uno degli organi costituzionali dello Stato
deve essere rappresentativo della volontà popolare, cioè deve essere liberamente eletto. Si
presuppone dunque la libera scelta da parte dei rappresentati (cittadini) dei loro rappresentanti.
• Democraticità: assicura regole indispensabili quali il principio di maggioranza (chi ha il diritto di
scegliere e far prevalere la propria scelta) e il rispetto dei diritti delle minoranze (protezione del
diritto delle minoranze di divenire maggioranza).
La democraticità dello Stato può attuarsi nella democrazia diretta, in cui i cittadini partecipano
alle scelte dello Stato mediante votazione diretta (referendum o plebiscito) non molto utilizzata, o
nella democrazia rappresentativa, in cui i cittadini eleggono i loro rappresentanti e sono questi ad
adottare le necessarie decisioni nell’ambito delle assemblee rappresentative (è di regola utilizzata).
Lo Stato moderno non può garantirsi a garantire le libertà e ad assicurare il metodo democratico,
dovendo invece, operare incisivamente sui rapporti sociali.
Forme di Stato:
• Monarchia: il potere del capo dello Stato deriva immediatamente dalla Costituzione.
• Repubblica: il potere è rimesso alla scelta o alla decisione di un organo incaricato
rappresentatività del capo dello Stato.
• Stato unitario: esiste un solo ordinamento giuridico sovrano (derivato) un solo popolo, un solo
territorio, un solo potere sovrano.
• Stato composto o federale: incontro fra ordinamenti sovrani dal quale nasce un nuovo ordinamento
giuridico sovrano somma dei popoli e dei territori degli Stati membri, mentre il potere sovrano si
esercita nell’ambito delle competenze che sono conferite alla Stato dalla costituzione federale.
Ogni Stato membro conserva i proprio elementi costitutivi ed esercita la propria sovranità nei limiti
delle competenze attribuitegli.
PARTE TERZA
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LA COSTITUZIONE
LE VICENDE COSTITUZIONALI ITALIANE
CAPITOLO 1
LA COSTITUZIONE: TEORIE GENERALI
Al vertice delle fonti, la Costituzione si trova in posizione primaria, per quanto riguarda i contenuti, e in
essa si riassumono i principi fondamentali, organizzativi e finalistici della comunità statale (art. 134,138
e 139 della Cost.).
La Costituzione è il complesso di norme, anche non scritte, per le quali uno Stato è quello che è in un
determinato contesto storico.
La Costituzione è coessenziale allo Stato la Costituzione si pone con lo stesso porsi dello Stato e lo
Stato non può non averla.
La Costituzione è una legge fondamentale che presenta un contenuto legato a scelte politiche e finalità
precise da perseguire; la Costituzione nasce con la rivoluzione francese del 1789 con un contenuto
minimo corrispondente alle ideologie liberali del momento fondate sulla protezione dei diritti individuali
e sulla separazione dei poteri.
La Costituzione è un documento di grande rilevanza sul piano giuridico – formale (cioè l’organizzazione
dello Stato) e su quello politico ( traduce in norma giuridica le idealità politiche che ispirano i suoi
estensori).
• Costituzioni bilancio: traduco in norma positiva un movimento politico già realizzato che trova in
tale documento disposizioni sanzione e forza giuridica.
Costituzioni programma: pur fissando gli obiettivi da raggiungere sono da completare mediante
successivi interventi normativi.
• Costituzioni consuetudinarie: complesso di regole consuetudinarie.
Costituzioni scritte: le più sicure in quanto documenti scritti (le più diffuse). Anche in queste è
presente la consuetudine che colma le lacune o modifica il tenore delle disposizioni scritte.
• Costituzioni flessibili: quando,nella scala gerarchica delle fonti normative,le leggi fondamentali si
trovano in una posizione pariordinata alla legge ordinaria statale qualsiasi legge ordinaria può
modificare la Costituzione (Inghilterra, Statuto Albertino).
Costituzione rigida: quando si pone al vertice delle fonti normative (forza formale superiore) per
derogarla o abrogarla sono necessarie speciali procedure previste dalla stessa Costituzione.
Tale tipologia è maggiormente garantita contro eventuali mutamenti volute da maggioranze
contingenti o casuali maggiore stabilità (art. 138 della Cost.).
• Costituzioni concesse: documenti che il sovrano adottava autolimitando il suo potere assoluto,
senza l’intervento, almeno formale, della volontà popolare (nel passaggio dallo Stato assoluto allo
Stato costituzionale).
Costituzioni votate: deliberate da assemblee rappresentative, per lo più appositamente elette,
definite assemblee costituenti (sono le più diffuse oggi).
• Costituzione formale: complesso delle fonti normative di grado costituzionale (si presuppone una
gerarchia fra fonti ordinarie e fonti costituzionali e si tiene conto soltanto della diversa forza
delle singole fonti prescindendo da ogni considerazione contenutistica).
Costituzione materiale: fanno parte tutte quelle norme che attengono a materia avente natura
costituzionale, o che in un determinato contesto storico-politico si ritengano così essenziali alla
definizione dello Stato da considerarsi parte della Costituzione.
Materia costituzionale: da comprendersi tutto quanto attiene all’organizzazione essenziale degli organi
costituzionali dello Stato (necessari alla sua esistenza), nonché i rapporti fra tali organi, i quali
concorrono a definire sia la forma dello Stato sia la forma del Governo e le disposizioni sulla produzione
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normativa almeno di grado primario; comprende anche tutto quanto attiene alla posizione dei cittadini
nell’ambito dello Stato, con particolare riferimento ai diritti e ai doveri dei cittadini.
CAPITOLO 2
CENNI DI STORIA COSTITUZIONALE ITALIANA
SEZIONE I: LO STATUTO
Dal punto di vista giuridico formale, lo Stato italiano sorge con la legge n.4671 del 17 marzo 1861, che
attribuisce al sovrano il titolo di Re d’Italia: si è trattata di una graduale incorporazione dei vari Stati
con province annesse al Regno di Sardegna, che mantenne la sua continuità assumendo la denominazione
di Regno d’Italia.
Lo Statuto Albertino è la Costituzione che Carlo Alberto concesse nel 1848, nel contesto della ventata
rivoluzionaria che sconvolse i residui assolutismi europei in quegli anni, ispirata ai principi di separazione
dei poteri e dell’uguaglianza dei sudditi: “legge fondamentale, perpetua e irrevocabile della monarchia”,
“concessa” dal sovrano. Il principio monarchico si associava a quello rappresentativo, anche se la
rappresentatività, espressa dalla Camera dei Deputati, era inizialmente assai circoscritta.
Lo Statuto era la Costituzione flessibile, e dimostrò una notevole capacità di adattamento adeguandosi
con relativa facilità ai mutamenti politici del periodo 1848 – 1922:
− sorto come Costituzione del Regno di Sardegna, divenne senza difficoltà Cost. del Regno d’Italia;
− da regime politico a partecipazione popolare ristretta sopportò il progressivo allargamento al
suffragio di sempre più ampie masse popolari;
− legato a un principio di discriminazione dei culti acattolici nei confronti della religione cattolica,
consentì l’affermarsi dell’eguaglianza fra i culti e la separazione fra Stato e Chiesa.
L’evoluzione storica venne bruscamente interrotta dall’avvento al potere del fascismo.
Sotto un profilo formale, il passaggio al fascismo è avvenuto nella legalità statuaria, anche se a partire
dal 1925 iniziò una azione di demolizione degli istituti costituzionali qualificanti del regime che si era
realizzato limitazione e abolizione delle principali libertà, soppressione del carattere
rappresentativo dello Stato, eliminazione dell’eguaglianza fra i cittadini attraverso discriminazioni
razziali.
Il fascismo cadde fra il 25 luglio 1943 quando Mussolini perse il posto di Capo del Governo.
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all’esercizio di tutte le prerogative regie, firmando i reali decreti nomina irrevocabile che
trasferisce tutti i poteri al principe.
La tregua istituzionale fu violata in due casi dalla monarchia fino al referendum istituzionale in cui il
popolo scelse la repubblica (invece della monarchia), 2 giugno 1946 (data di nascita della repubblica)
16 giugno 1946 la Corte di cassazione, riunita a Montecitorio nella sala della Lupa, proclamò
ufficialmente la Repubblica con conseguente espulsione dei Savoia dal Paese;
− dalla prima riunione dell’Assemblea costituente (25 giugno 1946) fino al 1° gennaio 1948 con
l’entrata in vigore della nuova Costituzione compito dell’Assemblea costituente fu quello di
redigere e di deliberare la nuova costituzione.
La redazione del progetto di costituzione fu affidata a una commissione di 75 deputati detta
Commissione dei 75 o Commissione Ruini.
Per quanto attiene al disegno generale e alle scelte principali operate dai costituenti la Costituzione fu
frutto di un compromesso tra i partiti popolari antifascisti (D.C., P.C.I., P.S.I.) costitutivi
dell’Assemblea costituente, e riflette così un’ispirazione di tipo cattolico – marxista, ma anche di tipo
liberale. Sebbene la Costituzione scaturì da un compromesso e un accordo, essi furono realizzati nel
segno dell’equilibrio senza creare fratture.
La Costituzione ha costituito un punto di incontro fra le maggiori forze popolari (che influenzarono la
sua redazione soprattutto nella parte dedicata ai diritti e ai principi fondamentali), ponendo le
premesse per una forte spinta innovativa della società nazionale e il fatto che fu approvata da una larga
maggioranza testimonia il fatto che tale compromesso fu un frutto scaturito dal pensiero di tutti gli
italiani in quel momento. Si verificò comunque una costante lentezza nell’attuazione delle disposizioni.
La Costituzione traduceva in norme positive le aspirazioni di libertà che avevano animato la lotta contro
il fascismo e il totalitarismo, facendo spazio al pluralismo politico e sociale e all’apertura sul piano
internazionale per favorire la pace e la giustizia fra le Nazioni.
La Costituzione fissa obiettivi il cui raggiungimento deve essere realizzato mediante legislazione
ordinaria.
A seguito dei dibattiti sulla revisione costituzionale venne presentata una proposta di legge
costituzionale che venne definitivamente approvata il 22 gennaio 1997 e promulgata come legge
costituzionale il 24 gennaio 1997. Tale legge ha isituito una Commissione parlamentare per le riforme
costituzionali composta di 70 parlamentari (35 deputati e 35 senatori) nominati dai presedenti delle
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Camere su designazione dei presidenti dei gruppi, rispettando la proporzione esistente fra i gruppi
medesimi.
Tale Commissione aveva il compito di esaminare in sede referente i progetti di legge costituzionale ad
essa assegnati e soprattutto di redigere un progetto di legge di riforma della parte II della
Costituzione in particolare in materia di forma di Stato, forma di governo e bicameralismo, sistema
delle garanzie. Questo progetto di revisione provocò però opposizioni politiche, restando di fatto
bloccato.
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PARTE QUARTA
L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
CAPITOLO 1
TEORIE GENERALI. LE FORME DI GOVERNO
Le forme di governo indicano il diverso assetto che si instaura tra gli organi titolari della potestà
suprema e segnatamente tra capo dello Stato, Governo, Parlamento e ordine giudiziario.
Per lo studio delle forme di governo realizzate nello Stato moderno è importante la teoria della
separazione dei poteri elaborata nella metà del ‘700 da Montesquieu (uno degli ispiratori della
rivoluzione francese e del costituzionalismo postrivoluzionario) nel libro “Esprit des lois”: egli mirava a
fondare una formula di buon governo, ma soprattutto a garantire la libertà “Perché non si abusi del
potere bisogna che, per la stessa disposizione delle cose, il potere limiti il potere”, cioè attribuire i
poteri a organi portatori di principi politici diversi e potenzialmente contrastanti.
La novità introdotta da Montesquieu è che egli non si arresta alla constatazione dell’esistenza di tre
funzioni (come era già successo spesso in passato, come nel Medioevo), ma che le tre funzioni vengano
attribuite a organi distinti, in potenziale contrapposizione dialettica fra loro le funzioni
fondamentali dello Stato, fare leggi, darvi esecuzione, giudicare i crimini e le controversie, devono
essere attribuite a organi distinti.
La concentrazione dei poteri in un solo organo, come nei regimi assoluti, era la causa degli abusi
dell’antico regime.
Le forme di governo che si realizzano nello Stato moderno e contemporaneo di democrazia classica
possono ridursi a quattro tipi principali:
• forma di governo costituzionale puro: caratterizzata da una rigida distinzione fra potere
legislativo (parlamento), cui compete esclusivamente la formazione delle leggi, ed esecutivo
(governo), cui compete solo, o quasi, l’attività amministrativa. Si presenta così la separazione dei
potere e anche la rigorosa indipendenza fra loro, sicchè il governo non ha bisogno del consenso del
parlamento per formarsi e sopravvivere, e il parlamento non può essere condizionato o influenzato
dall’indirizzo politico del governo. Il monarca tuttavia può scegliere i ministri e sovrintende al loro
operato (l’esecutivo risponde al sovrano), il parlamento introduce una cornice di leggi che il sovrano
deve rispettare (governo dualista di re e parlamento).
Nella variante detta cancellariato, verso il monarca è responsabile solo il capo del governo
(cancelliere), mentre i ministri sono responsabili verso quest’ultimo forma peculiare realizzatasi
in Germania (1850 – 1918), resa possibile dalla forte personalità del cancelliere Bismark che domina
la scena prussiana per quasi trent’anni (1861 – 1890).
• forma di governo convenzionale o assembleare: concentrazione di tutto il potere politico
nell’assemblea elettiva, per un criterio astratto di maggior democrazia. Realizza di fatto una
confusione dei poteri che la rende irrealizzabile al di là di situazioni particolari o limitate nel
tempo.
• forma di governo presidenziale: la sua attuazione più riuscita si è avuta negli Stati Uniti d’America.
La Costituzione americana (risale al 1787) separa nettamente, almeno in teoria, legislativo
(Congresso = Camera dei rappresentanti + Senato) ed esecutivo (preseidente federale e segretari
di Stato) eletti entrambi dal popolo, evitando al massimo ogni forma di collegamento.
L’esecutivo non ha neanche il potere di iniziativa legislativa in senso proprio. Il potere esecutivo non
dipende dal Congresso né nel momento della nomina, né nel corso della sua attività, non essendo
prevista alcuna interferenza formalmente rilevante del Congresso nell’esercizio del potere di
governo.
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Al presidente è dato il potere di influire sulla legislazione con il veto delle leggi e con la possibilità
di segnalare i provvedimenti che ritiene necessari e convenienti, ma anche il Congresso ha
importanti strumenti di pressione sull’esecutivo, sia mediante l’approvazione degli stanziamenti di
bilancio, sia mediante il consenso del Senato alla nomina degli alti funzionari e alla ratifica dei
trattati internazionali, sia infine mediante la procedura dell’”impeachment”, cioè della
sottoposizione del presidente a giudizio penale.
• semi-presidenzialismo: sistema di governo nel quale i presidente della Repubblica è eletto a
suffragio universale e dispone di importanti prerogative, riconosciutegli dalla Costituzione a titolo
personale (a metà tra presidenzialismo puro e parlamentarismo): Francia della V Repubblica,
Austria, Finlandia, Islanda, Portogallo, Repubblica tedesca di Weimar (1925-1933).
Si evidenziano ambiguità nel caso di conflitto (disaccordi) fra presidente e parlamento, caso che
può portare alla paralisi del primo o alla espropriazione dei poteri parlamentari in Francia il
sistema funziona solo per il fair play dei contendenti (Jospin e Chirac).
• forma di governo parlamentare: si fonda più sulla collaborazione che non sulla contrapposizione dei
poteri. Legislativo ed esecutivo sono affidati a corpi diversi, espressione di principi politici diversi,
ma si condizionano reciprocamente attraverso la fiducia di cui l’esecutivo deve godere da parte del
legislativo (con l’obbligo di dimettersi in caso di sfiducia), e attraverso il potere attribuito
all’esecutivo (e per esso il capo dello Stato) di sciogliere il parlamento.
Forma di governo in Italia: lo Statuto albertino non precisava la forma di governo adottata, ma fin da
subito il governo si evolse in senso parlamentare, fino al periodo autoritario. Con la caduta del fascismo,
dopo aver valutato di introdurre il sistema presidenziale, si adottò un nuovo sistema parlamentare,
razionalizzato. I capisaldi del sistema adottato nella Costituzione del 1948 sono:
• la separazione dei poteri, intesa però non in termini rigoristici, come è confermato dalla possibilità
che il Governo eserciti, come eccezione e con molte cautele, attività normativa di grado legislativo
(decreti legge e decreti legislativi);
• la responsabilità del governo di fronte alle Camere e la possibilità che queste costringano il governo
alle dimissioni mediante apposita mozione di sfiducia (art. 94 della Cost.);
• la facoltà di sciogliere le camere attribuita al Capo dello Stato in ipotesi non testualmente previste
ma derivanti dalla logica del sistema;
• posizione di imparzialità assegnata al Capo dello Stato che esercita i suoi poteri non come capo
dell’esecutivo ma in attuazione di un indirizzo costituzionale che non coincide, almeno
necessariamente, con l’indirizzo di maggioranza;
• l’indipendenza funzionale e organizzativa del potere giudiziario, garantita da un organo apposito, il
Consiglio superiore della magistratura;
• il controllo di costituzionalità delle leggi, conseguente alla rigidità della Costituzione, attribuito a
un nuovo giudice speciale, la Corte costituzionale.
CAPITOLO 2
12
IL PARLAMENTO
SEZIONE I: LA STRUTTURA
Il Parlamento – espressione diretta della volontà e della sovranità popolare – si presenta in posizione di
primato fra gli organi costituzionali dello Stato.
Nella scelta dell’organizzazione del Parlamento si è preferito il bicameralismo (scartando il
monocameralismo). Una volta scelto il bicameralismo doveva precisarsi il ruolo delle due Camere
potendo ipotizzarsi parità di posizione (bicameralismo perfetto) o disparità, cioè preminenza di una
delle due Camere (bicameralismo imperfetto).
Nel nostro ordinamento si assiste al cosiddetto bicameralismo perfetto, in cui le due Camere hanno
assoluta identità di funzioni e di poteri, seppure con qualche correttivo si è assistito a numerose
critiche per le inutili duplicazioni delle Camere, che d’altra parte garantisce una maggiore ponderazione
delle scelte legislative.
Nel nostro sistema vigente il Parlamento si compone della Camera dei Deputati e del Senato della
Repubblica. Entrambe le Camere sono elette, oggi, per 5 anni e tale periodo, intercorrente tra l’elezione
di una Camera e il suo scioglimento (anche se anticipato) viene detto legislatura (art. 60 Cost.).
La durata della legislatura può essere prorogata solo in caso di guerra e mediante legge formale,
mentre la fine anticipata della legislatura può essere disposta dal Presidente della Repubblica mediante
scioglimento delle Camere o di una sola di esse (art. 88 della Cost.).
La Camera dei Deputati è eletta a suffragio universale e diretto. È composta da 630 deputati.
Sono eleggibili a deputati tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto il 25°anno di età nel giorno
delle elezioni; sono elettori della Camera coloro che hanno il diritto di voto (cioè tutti i cittadini, uomini
e donne, che abbiano raggiunto la maggiore età) ai sensi dell’art. 48 della Costituzione.
Per le elezioni della Camera, il territorio nazionale è attualmente diviso in 26 circoscrizioni. A ciascuna
di esse è attribuito un numero di deputati determinato dividendo il numero degli abitanti della
Repubblica (dato dall’ultimo censimento) per 630 e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione
di ciascuna circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Il Senato della Repubblica è eletto, secondo la Costituzione, a base regionale. Il numero dei senatori
elettivi è 315.
Ogni Regione ha almeno 7 senatori, salvo il Molise che ne ha 2 e la Valle d’Aosta che ne ha 1.
La ripartizione fra i seggi si effettua in proporzione alla popolazione delle singole Regioni (data
dall’ultimo censimento) sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Sono eleggibili a senatori tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto nel giorno delle elezioni il
40°anno di età. Sono elettori del Senato tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto il 25°anno di
età. Accanto ai senatori elettivi si hanno senatori di diritto e a vita, e senatori a vita nominati dal
presidente della Repubblica.
Sono senatori di diritto a vita coloro che abbiano ricoperto la carica di presidente della Repubblica.
Il presidente della Repubblica può nominare senatori a vita 5 cittadini che abbiano illustrato la Patria
per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario.
Ineleggibilità: quando il candidato, attuale o potenziale, si trovi in una situazione, prevista dalla legge,
per la quale non può essere eletto; qualora vi sia egualmente la candidatura, e il candidato venga eletto,
l’elezione è invalida e priva di efficacia (art. 65 Cost.).
Cause di ineleggibilità nell’ordinamento vigente:
− coloro che ricoprano determinate cariche o uffici di natura burocratica, per non influenzare
eventualmente l’elettorato;
− tutti i magistrati (tranne quelli presso le giurisdizioni superiori) delle circoscrizioni sottoposte, in
tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati nei sei mesi
precedenti la candidatura, per non impedire l’imparzialità nell’esercizio della funzione
giurisdizionale;
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− coloro che ricoprano uffici presso governi esteri tanto in Italia quanto all’estero, questa causa è
operante solo quando il candidato ricopra l’ufficio all’atto dell’accettazione della candidatura; mira
ad evitare possibili interessi tra lo Stato italiano e quelli degli altri stati;
− coloro che per la posizione ricoperta in società o imprese private che abbiano rapporti di affari con
lo Stato si presume non potrebbero, se eletti parlamentari, esercitare il loro mandato con
sufficienti garanzie per l’interesse pubblico.
Incompatibilità: quando il deputato o senatore si trovi in una situazione per la quale, se vuole
conservare la carica che è stata validamente assunta, deve rinunziare ad altra carica, incompatibile, con
quella parlamentare (art. 65 Cost.).
Sono cause di incompatibilità (previste dalla Costituzione):
− quando si ha la carica di deputato e ci si candida per la carica di senatore (e viceversa), art. 65;
− la carica di deputato o senatore con quella di Presidente della Repubblica, art. 84;
− la carica di deputato o senatore con quella di componente del Consiglio superiore della Magistratura
o della Corte costituzionale (art. 104 e 135);
− la carica di deputato o senatore con quella di consigliere regionale, art. 122.
La ratio di tali disposizioni risiede nella presunzione che il parlamentare non possa svolgere con il
dovuto impegno due o più incarichi, oppure che la contemporanea posizione di membro del Parlamento e
di dirigente, amministratore o consulente di aziende, società o enti che abbiano rapporti con lo Stato,
possa compromettere la necessaria obiettività del parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni.
I membri del Parlamento non possono neppure ricoprire cariche o uffici in enti pubblici o privati per
designazione del Governo o di organi dell’amministrazione dello Stato. In questo caso la ratio risiede
nell’opportunità sia di evitare che il parlamentare possa ottenere gli incarichi in forza dell’autorità che
gli deriva dalla sua posizione, sia di evitare che il Governo o l’amministrazione statale possano limitare
l’obiettività e la libertà della funzione del parlamentare con tali incarichi.
L’incompatibilità può essere originaria o sopravvenuta qualora la situazione che la determina non esista
al momento dell’elezione, o si verifichi successivamente.
La presenza di una causa di incompatibilità pone il deputato o senatore nella necessità di optare per il
mandato parlamentare o per la carica di quello incompatibile.
La formazione e il funzionamento delle Camere sono ovviamente condizionati dal sistema elettorale
adottato, che può essere uninominale o plurinominale, maggioritario o proporzionale:
− sistemi uninominali: il territorio è diviso in collegi e in ogni collegio si presenta un solo candidato
per simbolo o per gruppo politico, e l’elettore può scegliere uno solo dei candidati;
− sistemi plurinominali: i candidati si presentano candidati in liste, nelle quali è spesso prescritto un
minimo e talora un massimo di candidature, e l’elettore sceglie non la persona ma la lista, pur
potendo esprimere una o più preferenze tra i candidati della lista;
− sistemi maggioritari: possono essere plurinominali o uninominali; i seggi sono attribuiti al candidato,
o alla lista, che abbia riportato il maggior numero di voti;
− sistemi proporzionali: sono necessariamente plurinominali; i seggi sono ripartiti fra le diverse liste
in competizione in proporzione ai voti ottenuti.
Nella realtà esistono numerose varianti a seconda delle combinazioni dei vari sistemi.
La differenza fra i diversi sistemi è che:
− quello maggioritario corrisponde alla finalità di assicurare, in società omogenee, il più efficiente
funzionamento del sistema, che conduce a un sostanziale bipartitismo con l’eliminazione a livello
parlamentare, di qualsiasi altro raggruppamento che non partecipi con i due più forti, con un
conseguente affievolimento della capacità rappresentativa dell’Assemblea eletta;
− quello proporzionale consente, soprattutto in società divise in una pluralità di forze politiche, una
più articolata rappresentanza e dunque un maggior livello di democrazia.
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In Italia si sono affermati nel corso del tempo sistemi maggioritari e sistemi proporzionali.
Ripristinata la democrazia dopo il regime fascista ritornò il sistema proporzionale. In questo caso
l’Assemblea costituente preferì non inserire nella Costituzione disposizioni in materia di sistemi
elettorali, limitandosi a prescrivere il suffragio universale e diretto. La decisione era volta ad evitare
di impegnare le future Camere costringendole a una revisione della Costituzione nel caso che volessero
in avvenire adottare un altro sistema. Infatti con la crescente instabilità politica, si sentì l’esigenza di
una revisione del sistema elettorale: con la riforma del 1993 decisa dagli italiani con un referendum
popolare si introdusse tanto per la Camera quanto per il Senato un meccanismo di votazione a turno
unico con attribuzione di 3/4 dei seggi con sistema maggioritario e del restante quarto con sistema
proporzionale.
L’elezione del Senato della Repubblica, sulla base della riforma del 1993, avviene mediante un sistema
elettorale di tipo maggioritario uninominale con parziale recupero proporzionale dei voti non utilizzati, a
livello regionale:
− ad ogni regione viene assegnato un numero di seggi in ragione della popolazione residente quale
risulta dall’ultimo censimento, tenendo conto che nessuna regione può avere meno di 7 seggi, con
l’eccezione della Valle d’Aosta che ne ha 1 e del Molise che ne ha 2 (art. 57 Cost.);
− i seggi attribuiti ad ogni regione vengono assegnati per i 3/4 ad altrettanti collegi uninominali, con
l’eccezione della Valle d’Aosta costituita da un solo collegio uninominale e del Molise ripartito in 2
collegi uninominali;
− il restante quarto dei seggi viene ripartito proporzionalmente nell’ambito di ogni circoscrizione
regionale fra i gruppi di candidati concorrenti nei collegi uninominali.
Ai fini dell’elezione uninominale, vengono costituiti in ogni Regione tanti collegi quanti sono i seggi
uninominali assegnati.
In ogni collegio si presentano singoli candidati quali, se intendono partecipare al riparto proporzionale
dei seggi residui, debbono collegarsi per gruppi che comprendono un numero di candidati non inferiore a
3 e non superiore al numero dei collegi della Regione.
All’elezione dei senatori partecipano gli elettori che hanno compiuto il 25° anno di età.
Chiuse le votazioni ed effettuato lo spoglio delle schede, viene proclamato eletto per ciascun collegio il
candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi.
Per l’assegnazione dei seggi residui (1/4) da attribuirsi con sistema proporzionale, l’ufficio regionale
procede:
− alla determinazione della cifra elettorale di ciascun gruppo di candidati nei collegi uninominali,
detratti i voti dei candidati già proclamati eletti (c.d. scorporo);
− alla determinazione della cifra individuale dei singoli candidati data dalla percentuale dei voti validi
ottenuti in rapporto ai voti validi espressi nel collegio;
− all’assegnazione dei seggi spettanti ad ogni gruppo dividendo la cifra elettorale di ogni gruppo
successivamente per uno, due, tre, ecc… sino alla concorrenza dei senatori da eleggere e scegliendo
quindi tra i quozienti così ottenuti i più alti in numero uguale ai senatori da eleggere, con
conseguente assegnazione dei seggi ai gruppi in corrispondenza dei quozienti (metodo d’Hondt e
delle divisioni successive);
− a proclamare eletti i candidati di ogni gruppo che abbiano conseguito la più alta cifra individuale.
L’elezione della Camera dei Deputati è stata profondamente modificata dalla 1.4 agosto 1993,
introducendo un sistema molto simile a quello adottato per l’elezione del Senato e quindi con una
combinazione del metodo uninominale maggioritario con quello proporzionale per l’assegnazione dei seggi
residui.
Il territorio del paese viene ripartito in 26 circoscrizioni elettorali più la Valle d’Aosta, e ad ognuna di
esse viene assegnato un numero di seggi in ragione della popolazione residente quale risulta dall’ultimo
censimento.
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Nell’ambito delle singole circoscrizioni si procede alla ripartizione dei 3/4 dei seggi in altrettanti
collegi uninominali, mentre il restante quarto è attribuito in ragione proporzionale mediante riparto fra
liste concorrenti. A tal fine:
− vengono costituiti in ogni circoscrizione tanti collegi quanti sono i seggi da assegnarsi con metodo
uninominale;
− in ogni collegio si presentano singoli candidati i quali si collegano a liste concorrenti per
l’assegnazione dei seggi da attribuirsi con metodo proporzionale; ogni candidato può collegarsi con
più liste fino a un massimo di 5;
− in ogni circoscrizione, si presentano liste formate da un numero di candidati non superiore a 1/3 dei
seggi assegnati in ragione proporzionale. Tendendo conto di tali seggi, le liste proporzionali non
potranno essere composte da più di 4 candidati.
All’elezione dei deputati partecipano tutti gli elettori iscritti nelle liste elettorali. Sono eleggibili ,
salvo le cause di ineleggibilità, gli elettori che abbiano compiuto il 25° anno entro il giorno delle elezioni.
Le votazioni si effettuano in un solo giorno. Ogni elettore utilizza due schede, una per la votazione del
candidato nel collegio uninominale, l’altra per la votazione della lista per l’assegnazione dei seggi a livello
circoscrizionale.
Esaurite le votazioni si procede alla spoglio delle schede e viene proclamato eletto a livello
circoscrizionale, in ciascun collegio uninominale, il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti
validi.
Si passa quindi a livello nazionale e l’Ufficio centrale nazionale:
− determina la cifra nazionale di ogni lista, risultante dalla somma delle cifre elettorali
circoscrizionali;
− esclude le liste che non abbiano riportato sul piano nazionale almeno il 4% dei voti validi espressi
(clausola di sbarramento);
− procede al riparto delle restanti liste dei seggi in base alla cifra elettorale nazionale con un sistema
proporzionale puro; eventuali seggi residui sono assegnati alle liste con maggiori resti;
− distribuisce nelle singole circoscrizioni i seggi assegnati alle varie liste attribuendo a ciascuna lista
tanti seggi quanti quozienti circoscrizionali interi essa ha conseguito in quella circoscrizione.
Gli Uffici circoscrizionali o quelli regionali procedono, sulla base dei conteggi effettuati, a proclamare
l’elezione dei deputati e dei senatori. Tale proclamazione, che determina subito uno status giuridico
peculiare comportando l’assunzione delle funzioni, non ha però efficacia definitiva essendo subordinata
al risultato della cosiddetta verifica dei poteri, o come chiamata nella Costituzione (art. 66): giudizio
dei titoli di ammissione attribuita alle stesse Assemblee.
La durata delle Camere nel nostro ordinamento è di 5 anni, ai sensi dell’art. 60 Cost. Il periodo di
durata in carica di una Camera è correntemente definito legislatura.
La durata della legislatura può essere prorogata solo in caso di guerra e mediante legge formale,
mentre la fine anticipata della legislatura può essere disposta dal presidente della Repubblica mediante
scioglimento delle Camere o di una sola di esse (art.88 Cost.).
Si osserva che mentre le prime quattro legislature repubblicane hanno avuto la prevista durata di 5
anni, a partire dalla V legislatura si sono succeduti ben 8 scioglimenti anticipati delle Camere, sintomo e
conseguenza dell’instabilità politica del nostro Paese.
Divieto di mandato operativo: la libertà delle scelte del parlamentare non può essere limitata in alcun
modo, né da parte degli elettori che lo hanno votato né da parte del partito di appartenenza, che
potrebbero aspettarsi dal proprio rappresentante determinati comportamenti. Ad ogni modo il
parlamentare è responsabile, non solo nei confronti dei propri elettori, ma di tutto il corpo elettorale, e
il partito, se tradito dal parlamentare, può emettere sanzioni punitive o censure verso di lui, che
tuttavia non lo privano dello status di parlamentare.
Prerogative e immunità dei parlamentari: con la legge costituzionale 29 ottobre 1993 è stato
sostituito l’art.68 Cost. e sono stati modificati i diritti dei parlamentari i parlamentari sono
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insindacabili per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle proprie funzioni, ed è necessaria
l’autorizzazione della Camera di appartenenza per le perquisizioni personali o domiciliari, per gli arresti
o altre privazioni della libertà personale, per mantenere in detenzione un parlamentare, per sottoporlo
ad intercettazioni, qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza
(non è più richiesta per la sottoposizione a procedimento penale).
Indennità parlamentari: secondo l’art.69 Cost. i membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita
dalla legge, diretta a garantire il libero svolgimento del mandato, che comprende il rimborso delle spese
di segreteria e di rappresentanza. Essa è determinata dagli uffici di presidenza delle Assemblee in
misura tale che non superi il trattamento complessivo dei presidenti della Sezione della Corte di
Cassazione.
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Si tratta di organi a carattere permanente le cui funzioni principali risultano dalla loro stessa
denominazione. Le giunte sono nominate dal Presidente dell’Assemblea il quale è formalmente libero
di seguire i criteri che ritiene preferibili salvo qualche eccezione.
− Le commissioni permanenti. Costituite in ogni Camera con competenze legislative, di controllo
politico e conoscitive (13 sia alla Camera che al Senato). La ripartizione di senatori e deputati nelle
diverse commissioni deve ispirasi all’esigenza di rispettare, in proporzione, la composizione delle
Assemblee. I regolamenti di entrambe le Camere ammettono la possibilità di costituire le
commissioni speciali ove ne occorra la necessità.
Esistono commissioni permanenti bicamerali, composte da deputati e senatori, come la commissione
per le questioni regionali, la commissione per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi, il Comitato bicamerale per la messa in stato di accusa del presidente della
Repubblica.
Deliberazioni
Secondo l’art. 64 della Cost. le deliberazioni (e non le sedute!) di ciascuna Camera “non sono valide se
non è presente la maggioranza dei loro componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti”.
Tanto alla Camera che al Senato, le votazioni possono avvenire a scrutinio palese o a scrutinio segreto e
la maggioranza normale prescritta dalla Costituzione per le deliberazioni parlamentari è la maggioranza
semplice (50% più uno dei presenti). Per quanto riguarda la Camera sono considerati validi e presenti
solo favorevoli e contrari, e non gli astenuti; mentre il regolamento del Senato afferma che tutti i
senatori, siano favorevoli, contrari o astenuti, siano da ritenersi validi e presenti.
Caratteristiche delle leggi: le leggi sono fonti a competenza residuale, destinate a disciplinare le
materie che la Costituzione non ha riservato a se stessa o ad altre fonti, e destinate a rispettare i
regolamenti regionali e quelli parlamentari. Altri limiti incontrati dalla legge sono la riserva di legge,
che le impone di regolare una data materia, e l’irretrottività, secondo il principio che le leggi ordinarie
non sono efficaci nei casi avvenuti nel periodo a loro precedenti.
Solitamente le leggi presentano caratteri di generalità e astrattezza, tuttavia possono anche essere
l’esatto contrario, ovvero puntuali e concrete: prendono così il nome di provvedimento.
La legge è inoltre caratterizzata dalla cosiddetta forza legge, che si traduce in:
− idoneità ad abrogare leggi precedenti;
− capacità di resistere all’abrogazione di fonti successive sottoordinate.
Leggi speciali: esprimono un rapporto con un’altra fonte, quando un rapporto generale/speciale, e
ammettono ripetitività.
Leggi eccezionali: disposizioni dettate per disciplinare situazioni che derogano alla generalità e che
quindi non ammettono ripetitività.
Leggi temporanee: leggi la cui efficacia nel tempo è circoscritta dalla legge stessa, o indicando un
termine, o un evento al cui verificarsi perderanno efficacia. Derogano al principio secondo cui l’efficacia
dovrebbe cessare solo in seguito ad abrogazione o dichiarazione di illegittimità.
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delegazione legislativa, di autorizzazione di ratificare trattati internazionali, di approvazione di
bilanci e consuntivi (art. 72 Cost.).
• Commissioni in sede dirigente: il potere della Commissione è più marcato rispetto al
procedimento ordinario, ma meno marcato rispetto alla prima procedura semplificata. Alla
Commissione competente è assegnato il potere di formulare gli articoli in un disegno di legge e
di approvare gli articoli, riservando alla Camera l’approvazione finale del progetto, o al Senato la
votazione finale con sole dichiarazioni di voto. Anche questo procedimento non è ammesso per
tutti i disegni di legge.
FASE DI DELIBERAZIONE
Ogni progetto di legge, per divenire legge perfetta, deve essere approvato nell’identico testo da
entrambe le Camere (bicameralismo perfetto). In alcuni casi può accadere che il testo di un progetto
approvato da una Camera non trovi il consenso dell’altra Camera. Può accadere : a)che la seconda
Camera non passi all’esame del progetto, cioè che lo “insabbi”; b) che la seconda Camera respinga il
progetto votando il non passaggio agli articoli o bocciandolo nella votazione finale; c) che lo modifichi,
introducendo “emendamenti” al testo approvato dalla prima Camera. In quest’ultima ipotesi il testo
emendato deve tornare alla prima Camera perché questa valuti le modificazioni apportate e le accolga
(nel qual caso si è realizzato il consenso sul medesimo testo e il progetto diventa legge), le respinga (e il
progetto cade) o introduca ulteriori modificazioni (nei limiti consentiti dai regolamenti, cioè attinenti
agli emendamenti adottati) e in questo caso il progetto torna alla Camera precedente. Questi passaggi,
chiamati navette, si concludono con l’accordo delle due Camere sullo stesso testo o con l’abbandono del
progetto.
Alla fine della legislatura tutti i progetti di legge giacenti dinanzi alle Camere decadono. Per fare in
modo che non decadano anche i progetti prossimi all’approvazione si ricorre al principio della continuità
legislativa: la decadenza dei progetti pendenti alla fine della legislatura non è assoluta.
FASE DI PROMULGAZIONE
Approvata dalle due Camere nello stesso testo, la legge esiste ed è perfetta. Non è però ancora in
grado di spiegare gli effetti che le sono propri.
Il procedimento legislativo si conclude, infatti, con la promulgazione del testo deliberato cui segue la
pubblicazione e la vacatio legis. Solo dopo il compimento di tali atti e il trascorrere della vacatio legis la
legge entra in vigore.
La promulgazione è l’atto con il quale il capo dello Stato attesta solennemente che un certo testo è
stato approvato quale legge e ne ordina la pubblicazione e l’osservanza, in qualità di supremo garante
della costituzionalità dell’ordinamento.
La promulgazione è atto dovuto, ma il presidente della Repubblica, qualora non ritenga di procedere alla
promulgazione, può rinviare la legge alle Camere, con messaggio motivato, per chiedere una nuova
deliberazione: rinvio presidenziale unico strumento che ha il capo dello Stato per intervenire nel
procedimento legislativo. Tale atto si inquadra nelle procedure di controllo mediante richiesta di
riesame.
Il rinvio presidenziale riapre il procedimento legislativo; la legge rinviata deve essere riesaminata dalle
Camere secondo le procedure consuete, e quindi sottoposta a votazione articolo per articolo.
Le Camere non sono tenute a riesaminare la legge rinviata, e questo è quello che accade spesso per non
creare contrasti fra Parlamento e capo dello Stato.
Qualora la legge sia riapprovata, con o senza le modifiche proposte dal presidente, essa deve essere
promulgata; cioè il presidente non può opporre ulteriori remore all’esercizio di un atto che diviene
obbligatorio. Può discutersi sulla possibilità di rinvio, qualora le Camere abbiano riapprovato la legge, ma
in un testo diverso da quello originario e senza adeguarsi alle richieste del presidente.
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La legge promulgata non entra ancora in vigore, essa infatti deve essere conosciuta dai soggetti cui è
destinata e a tal fine ne è prescritta la pubblicazione.
Con l’approvazione delle due Camere la legge è esistente nell’ordinamento parlamentare, con la
promulgazione viene ad esistere nell’ambito dell’organizzazione costituzionale, mentre solo con la
pubblicazione diventa efficace per l’ordinamento generale dello Stato.
La pubblicazione si effettua subito dopo la promulgazione, ed il testo è inserito nella “Raccolta ufficiale
delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana” e l’annuncio della pubblicazione (e pure il testo) nella
“Gazzetta ufficiale della Repubblica”. L’entrata in vigore è prevista per il 15° giorno (in genere) dalla
data di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Per questioni di urgenza o di conoscibilità il periodo di
vacatio legis può essere ridotto o prolungato.
Dopo essere entrata in vigore, la legge è destinata ad essere vigente fino a che non si verifichi una
situazione che ne faccia venire meno la vigenza.
Quando la vigenza di una legge sia esplicitamente subordinata alla durata di una particolare situazione,
alla scadenza di una data o al verificarsi di un determinato avvenimento si parla di leggi ad tempus.
La legge può perdere efficacia anche in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale.
La legge può anche perdere vigenza a seguito di abrogazione esplicita o implicita.
La Costituzione prevede un meccanismo di abrogazione della legge attraverso la partecipazione
popolare (principio della sovranità del popolo): referendum abrogativo, cioè un’apposita consultazione
popolare per conoscere se una legge, o una sua parte, deve essere abrogata o no.
La Costituzione (art. 75) ammette il referendum abrogativo per tutte quelle leggi e quegli atti aventi
valore di legge, ad eccezione per le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia, di indulto e di
autorizzazione a ratificare i trattati internazionali.
La richiesta per indire il referendum deve provenire da 500.000 elettori o da 5 Consigli regionali.
Per fare in modo che il referendum produca l’abrogazione è necessario: a) che abbia partecipato alla
votazione la maggioranza degli aventi diritto, e b) che la proposta abrogativa abbia ottenuto la
maggioranza dei voti validamente espressi.
Le richieste per il referendum vanno depositate tra il 1° gennaio e il 30 settembre di ciascun anno
presso la Cancelleria della Corte di Cassazione; sull’ammissibilità del referendum decide poi la Corte
Costituzionale entro il 20 gennaio con sentenza da pubblicarsi entro il 10 febbraio.
Se il giudizio della Corte è nel senso dell’ammissibilità, il presidente della Repubblica indice con proprio
decreto il referendum, fissandone la data in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Se i risultati del referendum sono favorevoli all’abrogazione, il presidente della Repubblica dichiara,
con proprio decreto, l’avvenuta abrogazione del testo legislativo sottoposto a referendum, avviando la
pubblicazione sulla “Gazzetta ufficiale” e l’abrogazione decorre dal giorno successivo alla pubblicazione.
Qualora, invece, il referendum dia risultato contrario all’abrogazione, ne è data notizia e non può
proporsi nuova domanda per sottoporre a referendum lo stesso testo prima di 5 anni.
Egualmente è data notizia sulla “Gazzetta Ufficiale” dell’eventuale invalidità della consultazione per
mancata partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto.
Possibili riforme del referendum: nel corso degli anni la Corte Costituzionale ha sempre più richiesto la
necessità che la formulazione dei quesiti da sottoporre a referendum sia semplice e chiara. Il ricorso ai
referendum non deve comunque rivelarsi eccessivo, e in futuro si può ipotizzare l’aumento del numero
minimo di firme necessario per la richiesta, e una più precisa definizione delle condizioni di
ammissibilità dei referendum. Bisognerebbe inoltre tutelare maggiormente i sostenitori del “no”,
evitando che le posizioni di chi è contrario all’abrogazione non siano conosciute apertamente dagli
elettori, e introdurre una diminuzione del numero minimo dei votanti oggi richiesto per la validità della
consultazione referendaria. Si è anche teorizzata una revisione più ampia, con l’introduzione di
referendum consultivi e deliberativi, con i quali gli elettori non sarebbero chiamati a dire cosa non
vogliono, ma cosa vogliono, dando dunque al referendum un valore positivo, che potrebbe così
coinvolgere maggiormente i cittadini.
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Posizione gerarchica del referendum: l’opinione prevalente è che la disposizione contenuta nel
risultato del referendum è un “frammento di norma”, destinato a saldarsi con quella abrogata. Così
resta il problema della peculiare forza giuridica del referendum, cioè se è tale da impedire alle Camere
di adottare con legge ordinaria un testo identico o almeno analogo a quello abrogato, frustando così la
decisione popolare. Da un punto di vista formale la decisione popolare dovrebbe ritenersi fornita della
forza di legge (ordinaria) con la conseguenza che non potrebbe attribuirsi ad essa la capacità di
resistenza nei confronti degli atti equiordinati e così, in particolare, nei confronti della legge formale.
La caratteristica del referendum è di essere fonte del tutto atipica e unica: la volontà popolare deve
prevalere per un principio organizzativo essenziale del sistema, giuridicamente rilevante e vincolante, e
pregiudica le eventuali deliberazioni che le Camere volessero adottare sulla stessa materia.
Si può dire che l’espressione popolare diretta priva, almeno temporaneamente, le Camere dello stesso
potere di decidere sull’argomento già deciso dal popolo.
“Referendum di indirizzo”: nel 1989 si è deciso di sottoporre a voto consultivo popolare l’idea di
trasformare le Comunità europee in vera Unione, con Governo, Parlamento e Costituzione propri e a tal
fine si è indetto un apposito referendum. Il referendum può definirsi consultivo perché si richiede un
consiglio, o meglio un “indirizzo”, con un contenuto doveroso assai più vincolante di un semplice parere,
destinato certamente ad assumere un notevole valore politico (rafforzato dall’88,1% a favore del “si”),
ma privo della forza tipica delle direttive.
2) LA FUNZIONE DI CONTROLLO
Le funzioni di controllo e di indirizzo hanno acquistato, e stanno progressivamente acquistando, un
rilievo crescente accentuazione della specializzazione.
Il controllo di maggior rilevanza è quello che le Camere esercitano nei rapporti con il Governo
attraverso i vari aspetti in cui si concreta la constatazione della presenza, o della mancanza, del
rapporto fiduciario.
Negli atti e nelle procedure attraverso le quali le Camere concedono o negano la fiducia si riscontra una
procedura di controllo il cui momento valutativo si incentra sul dibattito parlamentare e il cui momento
sanzionatorio si manifesta nella concessione o nel rifiuto della fiducia, in conformità allo schema
generale dei procedimenti organizzatori dei controlli giuridici.
L’attività di controllo delle Camere sul Governo e sulla Pubblica Amministrazione in generale si attua
attraverso i seguenti strumenti ispettivi:
− Interrogazione: consiste nella semplice domanda, rivolta per iscritto, per sapere se un fatto sia
vero, se alcuna informazione sia giunta al Governo o sia esatta, se il Governo intenda comunicare alla
Camere (o al Senato) documenti o notizie, o abbia preso o stia per prendere alcun provvedimento su
un oggetto determinato. L’interrogazione può essere:
• a risposta orale, quindi il Governo risponde durante la seduta stabilita a termini di regolamento
e l’interrogante può replicare per dichiarare se sia stato o no soddisfatto;
• a risposta scritta, quindi il Governo fornisce la risposta entro 20 giorni ed essa è inserita nel
resoconto stenografico della seduta in cui è annunziata;
L’interrogazione è più uno strumento conoscitivo che non ispettivo in senso proprio.
Secondo la procedura question time, introdotta nel 1983, ogni mercoledì di norma la seduta è
dedicata alla discussione di “interrogazioni a risposta immediata”, cioè domande al Governo, con
limiti di tempo estremamente limitati (1 minuto per l’interrogante, 3 minuti per la risposta del
Governo e 2 minuti per la replica dell’interrogante). Va aggiunto che interrogazioni a risposta
immediata possono oggi rivolgersi anche in commissione.
− Interpellanza: consiste nella domanda, risposta per iscritto, per conoscere i motivi o gli
intendimenti della condotta del Governo in questioni che riguardino determinati aspetti della sua
politica. L’interpellante, nel giorno fissato a termini di regolamento, ha il diritto di svolgere
l’interpellanza e, dopo le dichiarazioni del Governo, può esporre le ragioni per le quali sia rimasto o
no soddisfatto.
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Qualora l’interpellante si dichiari insoddisfatto e intenda promuovere una discussione sulle
spiegazioni date dal Governo, può presentare una mozione.
L’interpellanza è uno strumento di carattere più intensamente ispettivo e sindacatorio nei confronti
della politica del Governo o dell’attività della Pubblica Amministrazione spesso l’interpellanza è
infatti usata dall’opposizione.
− Risoluzione: può essere presentata sia in Aula che in Commissione, e con essa vengono manifestati
orientamenti o definiti indirizzi su specifici argomenti.
− Mozione: è un testo che può essere presentato da un presidente di un gruppo o da almeno 10
deputati alla Camera, o almeno 8 senatori al Senato. Essa mira a promuovere una deliberazione
dell’Assemblea su un determinato argomento.
Come tale la mozione rientra più fra gli atti di indirizzo che non fra quelli di controllo o di
informazione e il suo carattere ispettivo e sindacatorio nei confronti dell’esecutivo è variabile nelle
singole situazioni. I regolamenti parlamentari non definiscono la mozione ma risulta evidente che
deve esprimere una volontà che l’Assemblea potrà adottare o respingere.
La mozione si distingue da interrogazioni e interpellanze per tre aspetti:
• sulla mozione si apre una discussione generale;
• sulla mozione possono essere presentati emendamenti;
• sugli emendamenti eventualmente presentati e poi sul testo complessivo della mozione
l’Assemblea si esprime mediante votazione.
L’attività di controllo si manifesta anche nelle inchieste parlamentari: la stessa Costituzione (art. 82)
disciplina la materia, stabilendo che ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico
interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una Commissione formata in modo da
rispecchiare la proporzione fra i vari gruppi, che procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e
le stesse limitazioni dell’attività giudiziaria.
Si possono distinguere fra inchieste conoscitive (o legislative) come per esempio l’inchiesta sulla
miseria, sulle condizioni di vita nelle fabbriche, sulla condizione sociale dell’anziano; e inchieste
ispettive (o politiche) come per esempio: inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, sulla criminalità
in Sardegna. Entrambe possono essere disposte dalle Camere.
Le commissioni di inchiesta possono essere istituite separatamente da ognuna delle Camere (atto
monocamerale) o da entrambe le Camere congiuntamente (detti anche atti bicamerali non legislativi),
oppure l’inchiesta può essere deliberata con apposita legge.
A conclusione dei lavori, le Commissioni devono riferire alla Camera da cui sono state nominate,
mediante una o più relazioni, a seconda che i risultati dell’inchiesta siano adottati all’unanimità o a
maggioranza sarà poi la Camera ad assumere le decisioni conseguenti.
3) LA FUNZIONE DI INDIRIZZO
Tale funzione corrisponde alla natura delle Camere in quanto espressive in via diretta della volontà
popolare. Appartengono all’attività di indirizzo le mozioni e le risoluzioni, ma possono essere comprese
anche le leggi di autorizzazione e di approvazione, che esercitano un’efficacia condizionante non solo
per l’attività successiva del Governo, ma anche per quella dello stesso Parlamento che rimane perciò
vincolato alla loro osservanza, a meno di non derogarvi in modo espresso.
Sono collegati alle leggi di autorizzazione e di approvazione la legge di bilancio, il principio secondo il
quale ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farne fronte e l’obbligo
delle Camere di approvare annualmente, oltre al bilancio dello Stato, anche il rendiconto consuntivo
presentato dal Governo.
Oltre a questi atti ve ne è un altro che concreta la funzione di indirizzo politico delle Camere: gli ordini
del giorno, che possono essere presentati nel corso della discussione di un progetto di legge; tali ordini
del giorno contengono indicazioni su problemi specifici e vincolano, sul piano politico, il Governo a
comportarsi di conseguenza.
CAPITOLO 3
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
SEZIONE I: LA STRUTTURA
Il Capo dello Stato è rappresentante dell’unità nazionale, il Presidente della Repubblica si colloca, nel
nostro ordinamento, al vertice formale della organizzazione statale, fornito di limitati ma significativi
poteri anche sul piano sostantivo.
Durante i lavori della Costituente si discusse a lungo sulla concretezza dei poteri del presidente,
indubbiamente ridotti quantitativamente rispetto a quelli che lo Statuto Albertino concedeva al re, ma
non per questo meno incisivi e rilevanti nel funzionamento del Senato.
Al di sopra delle parti, il presidente della Repubblica è garante della costituzionalità dell’ordinamento e
la Costituzione gli conferisce efficienti poteri per assolvere questa delicata funzione: egli è un organo
tendenzialmente al di sopra delle parti, capace di intervenire in forza di tali poteri costituzionalmente
assegnatigli, per consentire al sistema di funzionare nei momenti di crisi o di pericolo. L’indirizzo
politico per il quale agisce è distinto da quello di maggioranza e può definirsi “indirizzo costituzionale”
proprio in considerazione della posizione che gli spetta di “custode della Costituzione”.
Le procedure per l’elezione: la convocazione di tale Parlamento spetta al Presidente della Camera dei
deputati, che deve provvedervi 30 giorni prima che scada il termine di durata del mandato del
presidente in carica.
Se però le Camere sono sciolte o manca meno di 3 mesi alla loro cessazione, l’elezione ha luogo entro 15
giorni dalla riunione delle nuove Camere (procedura che ha lo scopo di evitare l’elezione del Capo dello
25
Stato da parte di Camere ormai alla fine del loro mandato e quindi meno rappresentative). Nel
frattempo vengono prorogati i poteri del presidente in carica.
In caso di impedimento permanente, di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, la
convocazione del Parlamento integrato dai delegati regionali ha luogo entro 15 giorni dal verificarsi
dell’evento, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manchi meno di 3 mesi alla loro
cessazione.
In questi casi non potranno essere prorogati i poteri del presidente cessato anticipatamente dal
mandato e quindi le funzioni presidenziali vengono svolte, in qualità di supplente, dal Presidente del
Senato (art. 86 Cost.).
L’organo cui spetta l’elezione del presidente della Repubblica funziona come un collegio elettorale, è
esclusa quindi qualsiasi forma di discussione di merito, ed è per questo ricompresso nella categoria dei
collegi imperfetti.
L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo a scrutinio segreto. È dichiarato eletto chi consegua
il voto dei 2/3 dei componenti dell’Assemblea. Qualora nessuno ottenga un tale risultato, si procede ad
una seconda ed eventualmente a una terza elezione; solo a partire dal quarto scrutinio è dichiarato
eletto chi consegua la maggioranza assoluta (cioè la maggioranza dei voti computata sui componenti del
collegio).
Proclamato l’esito positivo il Presidente della Camera, accompagnato dal Segretario Generale, si reca
dall’eletto per consegnargli il verbale dell’avvenuta elezione. Non è prevista però l’accettazione formale
da parte dell’eletto.
Requisiti di eleggibilità e incompatibilità: secondo la Costituzione può essere eletto presidente della
Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto 50 anni di età e goda dei diritti civili e politici.
L’ufficio di presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica, ufficio pubblico o
privato e con l’esercizio di qualsiasi professione. L’assunzione di tale carica da parte dell’eletto provoca
la decadenza immediata da tutte le altre cariche pubbliche e private e da tutti gli uffici ricoperti.
Al presidente sono attribuiti una dotazione e un assegno rivalutati automaticamente annualmente, in
base all’indice ISTAT dei prezzi di consumo.
L’assunzione della carica: il presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, deve
prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento
in seduta comune (art. 91 Cost.).
Il giuramento è l’atto con il quale il Capo dello Stato manifesta la volontà di accettare la carica e viene
immesso nell’esercizio delle sue funzioni. È ormai prassi consolidata che all’atto del giuramento il
presidente rivolga alle Camere riunite un messaggio orale.
Il presidente della Repubblica dura in carica 7 anni da giorno del giuramento: il termine presidenziale è
stato fissato più lungo rispetto alla durata delle Camere (5 anni), per garantire maggior indipendenza al
presidente nei confronti delle Assemblee, entrambe rinnovate nel corso del mandato presidenziale.
In astratto, il capo dello Stato è rieleggibile senza limiti, tuttavia si sono manifestate prevalenti
opinioni contrarie alla rielezione dei presidenti scaduti.
Sostituzione temporanea del presidente: se il presidente della Repubblica non può adempiere le sue
funzioni è sostituito dal presidente del Senato tenuto conto che al presidente della Camera è
attribuita la presidenza del Parlamento in seduta comune, e la disposizione in materia di supplenza
riequilibra così il rapporto tra le due Assemblee ispirato appunto al bicameralismo perfetto.
L’istituto di supplenza del presidente del Senato è lasciato dalla Costituzione a regole di correttezza: è
presupposto un impedimento temporaneo o permanente del presidente della Repubblica.
Per l’impedimento permanente devono sussistere ragioni di salute, e il presidente del Senato eserciterà
le funzioni del Capo dello Stato fino all’entrata in carica del nuovo presidente della Repubblica.
Se l’inadempimento è temporaneo, dovrà risultare da una situazione obiettiva (ad esempio viaggi
all’estero) e non da decisione personale del capo dello Stato, la cui valutazione è peraltro rilevante e
può risultare determinante. È escluso l’istituto della delega delle funzioni.
Accertato l’impedimento, il presidente del Senato acquista immediatamente l’esercizio delle funzioni
presidenziali, con tutte le prerogative della carica, senza necessità di alcuna particolare procedura e
senza l’obbligo di prestare giuramento.
In astratto, il supplente può esercitare tutte le funzioni del presidente impedito; tuttavia si è ritenuto
che la correttezza costituzionale gli impedisca di adottare decisioni di particolare rilievo politico, quale
lo scioglimento delle Camere, o non particolarmente urgenti, come la nomina di senatori a vita.
27
− Gli atti esecutivi di prescrizioni costituzionali: altri atti devono essere compiuti dal presidente della
Repubblica per lo stesso funzionamento dell’ordinamento costituzionale. Si tratta di atti dovuti
anche se spesso la loro concreta adozione è preceduta da una proposta ministeriale. Sono atti
assolutamente necessari per la continuità legale e il regolare funzionamento del sistema, sicchè la
loro omissione o anche un semplice ritardo sarebbero una forma di gravissima violazione
costituzionale da parte del Capo dello Stato.
Tali atti sono: la promulgazione delle leggi alla quale il presidente deve procedere entro 1 mese,
salvo che non intenda rinviare la legge alle Camere per una nuova deliberazione; l’indizione del
referendum popolare, costituzionale o abrogativo; l’indizione delle elezioni delle nuove Camere e la
fissazione della loro prima riunione.
− La presidenza di organi collegiali: spetta al presidente della Repubblica la presidenza di organi
collegiali di rilevanza costituzionali, il Consiglio supremo di difesa e il Consiglio superiore della
Magistratura (secondo la Costituzione, unico contatto che gli spetta con il potere giudiziario
ordinario).
La presidenza del Consiglio supremo della difesa spetta al Capo dello Stato come logica conseguenza
della posizione attribuitagli dalla Costituzione di comandante delle Forze armate.
Il Consiglio supremo della difesa è composto da 8 membri permanenti: il presidente della
Repubblica, il presidente del Consiglio dei ministri, 5 ministri (esteri, interno, tesoro, difesa,
industria) e il capo dello stato maggiore della difesa. Alle sedute possono essere invitati altri
ministri, autorità militari o esperti.
Spetta al Consiglio esaminare i problemi generali, politici e tecnici, attinenti alla difesa nazionale e
determinare i criteri e fissare le direttive per l’organizzazione e il coordinamento delle attività che
comunque lo riguardano.
Con gli atti del Consiglio supremo della difesa si concreta l’indirizzo politico in materia di difesa, con
efficacia vincolante anche nei confronti del Governo quando il Capo dello Stato agisce come
presidente del Consiglio superiore della difesa è coperto dalla responsabilità ministeriale.
La presidenza del Consiglio superiore della Magistratura ha soprattutto carattere simbolico.
− Gli atti di prerogativa: si tratta di concessioni di onorificenze di ordini cavallereschi (non può
crearne nuovi ma concedere onorificenze a quelli esistenti), alla grazia e alla commutazione delle
pene (art. 87 della Cost.), mentre la potestà di concedere amnistia e indulto rimane alle Camere.
− Gli atti di indirizzo presidenziale: complesso di atti che sono attribuiti al presidente in vista della
sua posizione imparziale di supremo garante della costituzionalità del sistema soprattutto in
momenti di crisi politica o istituzionale, e con i quali in Capo dello Stato non dichiara decisioni altrui,
ma decisioni proprie sono attribuiti non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, al capo
dello Stato. In forza di tali poteri, il nostro presidente non è solo l’organo neutro di
intermediazione, bensì l’organo attivo abilitato ad intervenire con atti rilevanti, nell’interesse del
rispetto della Costituzione e di quell’unità nazionale che spetta al presidente rappresentare.
In particolare:
• La nomina del presidente del Consiglio dei ministri: con questa nomina si conclude la fase
preparatoria nel procedimento formativo del Governo e si fa luogo alla fase costitutiva che
consta della nomina del presidente del Consiglio e, su sua proposta, dei ministri.
I margini di scelta del capo dello Stato possono in realtà risultare molto ridotti, poiché non può
non tenere conto degli orientamenti delle forze capaci di dar vita a una maggioranza
parlamentare.
• L’accettazione delle dimissioni del Governo: spetta al presidente accettare le dimissioni
presentate dal Governo. Quando il Governo non ha ottenuto fiducia delle Camere o è stato
colpito da sfiducia l’atto è dovuto, così come ne caso di morte, impedimento permanente o
decadimento della carica di Presidente del Consiglio. Quando invece il Governo presenta le sue
dimissioni per valutazioni politiche il Capo dello Stato può giocare un ruolo importante e la sua
decisione di accettare o di respingere le dimissioni del Governo, rientra un una valutazione
autonoma e fondata sugli interessi generali del Paese.
28
• L’autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge di iniziativa governativa: l’atto di
autorizzazione della presentazione alle Camere di disegni di legge di iniziativa del Governo ha
per lo più valore formale.
• La convocazione straordinaria delle Camere: tale potere, previsto dall’art. 62 Cost., spetta al
Capo dello Stato ma non è mai stato esercitato fino ad oggi.
• L’invio di messaggi alle Camere: i messaggi del Capo dello Stato alle Camere hanno un senso solo
se si considerano come atti di indirizzo presidenziale (indipendenti dai ministri), come la
possibilità data al presidente, in momenti gravi del Paese, di prendere l’iniziativa di inviare alle
Camere messaggi per richiamare la loro attenzione su questioni che meritino di essere
esaminate e discusse.
• Potere di esternazione: il presidente della Repubblica deve avere la possibilità di esprimere le
proprie valutazioni, rispettando l’ordine costituzionale a lui rimesso, rivolgendole alle Camere, al
Governo, ai singoli ministri o anche ad altre istituzioni pubbliche attraverso note verbali o
documenti scritti.
Sarebbe una violazione costituzionale per il presidente fare dichiarazione su questioni che
rientrano nella competenza del Governo e del Parlamento e che sono dipendenti dall’indirizzo
politico della maggioranza.
• Il rinvio delle leggi alle Camere per una seconda deliberazione: il presidente può rinviare alle
Camere per una seconda deliberazione le leggi che gli sono state trasmesse per la
promulgazione; il rinvio deve essere operato con un messaggio nel quale il Capo dello stato
chiarisce i motivi della sua decisione.
Il Capo dello Stato deve infatti avere il potere di richiamare le Camere a una più attenta
valutazione delle leggi approvate, quando tali leggi appaiano in contrasto con prescrizioni
costituzionali o con quegli interessi generali della comunità nazionale di cui il Capo dello Stato è
tutore.
• Lo scioglimento delle Camere: è il potere più rilevante attribuito al Capo dello Stato. È un
contrappeso al potere delle Assemblee di condizionare, con il voto di fiducia, l’esistenza del
Governo nominato dal presidente della Repubblica. In Italia dopo il 1948 si sono avuti 10
scioglimenti anticipati, determinati da motivazioni tecniche (1953, ‘58, ‘63, ‘68), situazioni di
instabilità politica del Parlamento (1972, ’76, ’79, ’83, ’87), contrasti istituzionali (1992), bufere
giudiziarie e mutamento delle leggi elettorali (1994), rotture politiche (1996).
Il potere di scioglimento risponde, anzitutto, alla necessità di garantire il funzionamento delle
istituzioni in caso di incapacità delle Camere di dare un Governo almeno relativamente stabile al
Paese. Lo scioglimento è stato definito successivo quando viene disposto a seguito della sfiducia
votata nei confronti del Governo; anticipato quando viene disposto senza una formale votazione
di sfiducia, ma in una situazione di contrasti politici che dimostri l’impossibilità di avere un
governo stabile ed efficiente.
Altre ipotesi di scioglimento si hanno nel caso di radicale contrasto tra le due Camere (con
conseguente blocco della legislatura), o in caso di conflitto fra parlamento e corpo elettorale.
L’art 88 Cost., che non parla sui casi nei quali può farsi ricorso allo scioglimento anticipato,
contiene due indicazioni procedurali. Infatti il Capo dello Stato: a) prima di disporre lo
scioglimento deve consultare i presidenti delle due Camere e b) non può procedere a
scioglimento negli ultimi 6 mesi del suo mandato (“semestre bianco”).
• La nomina di 5 giudici costituzionali: spetta al presidente nominare 1/3 dei giudici della Corte
Costituzionale (cioè 5), dopo l’elezione degli altri 10 giudici, per consentire al presidente della
Repubblica di integrare la composizione della Corte con quelle delle competenze che fossero
state eventualmente trascurate dal Parlamento o dalle supreme magistrature.
Il presidente deve anche provvedere alla sostituzione del giudice scaduto o cessato dalla carica
entro 1 mese.
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• La nomina di 5 senatori a vita: la scelta rimessa al presidente garantisce una valutazione
obiettiva e non condizionata da considerazioni politiche particolari e, come tale, rientra nelle
esigenze politiche del sistema.
• La nomina di 8 componenti del CNEL e del Segretario Generale della presidenza della
Repubblica: dei 12 membri scelti fra qualificati esponenti della cultura economica, sociale, e
giuridica, 8 sono nominati dal presidente della Repubblica, senza bisogno della proposta del
presidente del Consiglio dei ministri. Per la nomina del Segretario Generale della presidenza
della Repubblica è invece obbligatorio il parere del consiglio dei ministri, ma non vincolante,
mentre è esclusa la proposta governativa.
CAPITOLO 4
IL GOVERNO
SEZIONE I: LA STRUTTURA
Secondo l’art. 92 Cost. il Governo della Repubblica è composto dal presidente del Consiglio, i ministri (in
numero indeterminato ma regolato dall’art. 95 Cost.), che costituiscono insieme, il Consiglio dei ministri.
Il Governo è un organo che agisce in forza di una propria autonoma posizione costituzionale, con proprie
competenze, raccordate, nel loro esercizio, con la volontà popolare espressa dalle Camere e riassunta
nella concessione della fiducia e nello svolgersi del rapporto fiduciario.
Al Governo spetta tutto il potere esecutivo, escludendone l’attività esecutiva per via giurisdizionale.
È disciplinata dalla Costituzione la creazione, nell’ambito del Governo, di un organo collegiale ristretto
con competenze politiche generali detto Consiglio del Gabinetto.
Procedimento formativo del presidente del Governo: il presidente della Repubblica a) nomina il
presidente del Consiglio, b) nomina, su proposta del presidente del Consiglio, i ministri.
Secondo la pratica attuale, il presidente della Repubblica, quando riceve le dimissioni del Governo
uscente, si riserva di accettarle. Quindi, conferisce verbalmente l’incarico di formare il Governo e solo
dopo l’accettazione dell’incarica provvede, con 3 distinti ma contestuali, a:
− accettare le dimissioni del precedente Gabinetto: i decreti di accettazione delle dimissioni sono
controfirmati dal presidente del Consiglio entrante;
− nominare il nuovo presidente del Consiglio;
− nominare, su proposta del presidente del Consiglio, i ministri del nuovo Gabinetto.
Fase preparatoria alla nomina del presidente del Consiglio: l’atto di nomina del presidente del Consiglio
è preceduto da una fase preparatoria che si compone di 3 momenti:
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− Consultazioni: il capo dello Stato, secondo una consuetudine tradizionale, acquisisce le necessarie
notizie ufficiali per la situazione più conveniente della crisi, rivolgendosi ad alcune personalità
secondo le sue presenze. Solitamente si tratta di personalità che per la posizione ricoperta in
passato possano dare al presidente una visione che prescinda dalle considerazioni di parte (ex
presidenti della Repubblica, della Camera, del Consiglio,…) o personalità che esprimano, le posizioni
delle diverse forze politiche rappresentate in Parlamento.
− Missioni esplorative, affidate a personalità che possano fornire ulteriori indicazioni, ma che non si
propongono di costituire il Governo, o pre-incarichi, affidati al pre-incaricato di formare il Governo,
per ulteriori chiarimenti. Il Capo dello Stato può far ricorso alle missioni esplorative o ai pre-
incarichi qualora ritenga che esistano margini di dubbio o zone di incertezza.
− Conferimento dell’incarico: l’incarico in oggi è conferito verbalmente e di tale conferimento viene
data notizia nel decreto di nomina del presidente del Consiglio. L’incaricato, che accetta con
riserva, compie a sua volta, secondo la prassi affermatisi, ulteriori consultazioni, valutando per
proprio conto la situazione politica, e qualora si convinca della possibilità di ottenere un risultato
positivo, si reca dal presidente della Repubblica per sciogliere la riserva e accettare di formare il
Governo.
L’attività del capo dello Stato si esaurisce nella scelta del capo dello Stato: conclusa tale attività
egli non può ingerirsi nelle valutazioni politiche e nelle conseguenti determinazioni operative che
spettano, ormai, all’incaricato e ad esso soltanto. Di conseguenza il capo dello Stato potrà revocare
l’incaricato, ma solo per motivi che non attengano alle scelte politiche compiute dall’incaricato.
La nomina del presidente del Consiglio dei ministri: se la persona prescelta accetta l’incarico, il
presidente della Repubblica la nomina, con proprio decreto, presidente del Consiglio dei ministri.
Tale decreto deve essere controfirmato dallo stesso presidente del Consiglio entrante, che attesa che
la scelta del capo dello Stato è conforme a Costituzione, cioè tende effettivamente alla formazione di
un Governo nel rispetto delle regola del sistema.
Né la Costituzione né le leggi prevedono particolari requisiti per la carica di presidente del Consiglio:
come per tutte le cariche pubbliche è sufficiente l maggiore età e il godimento dei diritti civili e
politici.
La nomina dei ministri: come detto, da un punto di vista formale, il presidente incaricato conserva la
libertà, che la Costituzione gli riconosce, di scegliere i ministri che più rispondono al suo disegno
politico. Sul presidente incaricato, però, sono esercitate pressioni dai partiti e dai loro gruppi
parlamentari, tanto che, in pratica, sono più gli organi dei partiti che non l’incaricato a formare la lista
dei ministri, particolarmente quando il Governo è in coalizione.
Completata la lista dei ministri il presidente del Consiglio la propone al presidente della Repubblica (il
quale non ha il potere di cambiarla ma solo di consigliare l’incaricato della scelta), che procede alla
firma dei decreti di nomina. Nella lista dei ministri spesso compaiono:
− Vice presidenti del Consiglio: l’attribuzione di tale funzione a un ministro, che resta possibile ma
non necessaria, spetta al Consiglio dei ministri, su proposta del presidente del Consiglio;
− Ministri senza portafoglio: secondo la l. 400/1988 il presidente della Repubblica, all’atto della
costituzione del Governo, può su proposta del presidente del Consiglio, nominare, presso la
presidenza del consiglio, ministri senza portafoglio, i quali svolgono le funzioni loro delegate dal
presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei ministri, con provvedimento da pubblicarsi nella
Gazzetta Ufficiale. Sono sorte numerose critiche perché la l. 400/1988 sembra aggirare la
Costituzione, per la quale il numero dei ministri è determinato per legge.
Il giuramento dei membri del governo: prima di poter assumere le proprie funzioni, presidente del
Consiglio e ministri devono prestare giuramento, che avviene in due tempi: prima giura da solo il
presidente del Consiglio, e poi, a turno, tutti i ministri, alla presenza del presidente del Consiglio
che funge da testimone del giuramento dei suoi colleghi di Gabinetto. La l. 400/1988 fissa il
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contenuto di tale giuramento: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la
Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione”.
L’interpretazione formalmente più corretta della Costituzione richiederebbe dapprima la nomina e il
giuramento del presidente del Consiglio e quindi la nomina e il giuramento dei ministri.
Altri organi del Governo, secondo la l. 400/ 1988, possono essere considerati:
Sottosegretari di Stato: ovvero segretari parlamentari che collaborano con un ministro del
Governo. Per la nomina, è previsto il decreto del presidente della Repubblica, su proposta del
presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei ministri. Ma la proposta del presidente del
Consiglio va fatta “di concerto con il ministro che il sottosegretario è chiamato a coadiuvare.
L’ufficio dei sottosegretari, che prestano giuramento nelle mani del presidente con la stessa
formula stabilita per i ministri, va disciplinato con legge. I sottosegretari seguono inoltre la sorte
del Governo che ne ha deciso la nomina e il limite massimo del loro numero è scomparso.
Commissari straordinari del Governo: ferma restando le attribuzioni dei ministeri fissate per
legge, possono essere nominati Commissari straordinari del governo, al fine di realizzare
specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o
dal Consiglio dei ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo
tra amministrazioni statali. La nomina dei Commissari straordinari è disposta con decreto del
presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri.
Comitati interministeriali: ovvero organi collegiali ristretti con compiti settorialmente limitati e
rientranti nella sfera di più ministeri, con finalità di coordinamento di attività che interessano
più dicasteri (dicastero = ministero). Dei comitati interministeriali possono farne parte solo
ministri, o ministri e sottosegretari. I Comitati non hanno comunque responsabilità nei confronti
delle Camere, mentre restano responsabile il Governo e i ministri individualmente. I Comitati
dovranno inoltre attenersi all’indirizzo politico- amministrativo deliberato dal Consiglio dei
ministri e dinanzi a questo saranno responsabili per gli atti eventualmente difformi da tale
indirizzo.
SEZIONE ② : LE FUNZIONI:
1. FUNZIONE POLITICA O DI GOVERNO:
Posto al vertice dell’esecutivo, il Governo esercita innanzitutto funzioni di indirizzo politico: la
politica generale del Governo è il momento della scelta, fra i vari indirizzi possibili, dell’indirizzo
politico cui intende conformarsi l’attività dell’esecutivo e della pubblica amministrazione e si
distingue dalla politica nazionale, momento di analisi delle possibili scelte in ordine alle esigenze
nazionali. Alcuni punti essenziali riguardo alla funzione di governo:
a) l’attività di governo è attività politica, ovvero libera nel fine;
b) l’attività di governo è condizionata al rispetto della Costituzione e delle leggi. Si pone però
come attività legislativa anche sul piano legislativo e come tale può tendere al mutamento della
situazione legislativa esistente, mediante proposta di disegni di legge;
c) l’attività del Governo è attività di scelta e di comando, dove si esprime l’autorità dello Stato;
d) l’attività di governo spetta istituzionalmente all’organo Governo, ma trova la sua verifica, in
relazione alla volontà popolare, nel raccordo con le Camere che si esprime con la concessione e
con la revoca della fiducia. Spetta inoltre alle Camere, approvando o respingendo le proposte di
legge del Governo,consentire davvero all’attuazione dell’indirizzo politico adottato e perseguito
Indirizzo politico: non può aversi indirizzo politico senza azione di governo ma anche viceversa.
L’indirizzo politico si concreta nella predeterminazione della linea politica lungo la quale si
svolgerà l’attività del Governo e nella mozione motivata della Camera con la quale le Camere
concedono la fiducia al Governo sulla base del programma (cioè dell’indirizzo) esposto dal
presidente del Consiglio. Si ritiene che il Governo potrà discostarsi dall’indirizzo politico illustrato
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alle Camere e posto a base della fiducia, tuttavia portando la responsabilità politica del
cambiamento dell’indirizzo politico originario ➪ le Camere potranno far valere tale responsabilità
revocando la fiducia.
L’indirizzo amministrativo: l’indirizzo amministrativo si manifesta soprattutto nella cosiddetta
attività di “alta amministrazione”. Secondo l’art. 95 Cost. anche l’attività amministrativa, per la
parte che non è pura esecuzione, va rimessa alle scelte generali del Governo ➪ l’alta
amministrazione è il punto di raccordo tra l’indirizzo politico del Governo e l’attività amministr.
2. FUNZIONI NORMATIVE: a) la delegazione legislativa
b) i decreti legge vedi pagg. 14 - 15
c) i regolamenti
3. FUNZIONI SPECIFICHE DEI SINGOLI ORGANI DI GOVERNO:
In base alle disposizioni della l. 23 agosto 198, n.400, e della Costituzione:
a) Il Consiglio dei ministri è competente a decidere la politica generale del Governo, tanto interna
quanto internazionale e spettano alla sua competenza tutte le decisioni che la Costituzione
attribuisce al Governo. Spetta inoltre al Consiglio dei ministri deliberare l’indirizzo generale
dell’azione amministrativa, dirimere i conflitti di attribuzione tra i ministri, decidere sulle
decisioni del Governo nei confronti delle Regioni, deliberare sugli atti concernenti i rapporti con
la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose, nonché decidere sugli atti da emanare con
decreto del presidente della Repubblica previo parere del Consiglio di Stato, qualora il ministro
competente non intenda conformarsi a tale parere, e sulla richiesta di registrazione con riserva
alla Corte dei conti.
b) Il presidente del Consiglio dei ministri è l’organo individuale di maggior rilevanza nell’ambito
del Governo e rappresenta il Governo. Propone al capo dello Stato la lista dei ministri e dei
sottosegretari da nominare; dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile; mantiene
l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.
Spettano a lui importanti funzioni di impulso e di direzione nei confronti dei ministri (circolari,
direttive, e simili, oppure richiami, richieste di spiegazioni o di chiarimenti e simili). Ove lo
ritenga opportuno e necessario, può proporre al capo dello Stato la revoca di uno o più ministri.
c) I vice presidenti del Consiglio suppliscono il presidente in caso di assenza o impedimento
temporaneo. In mancanza del vice presidente tale supplenza spetta al ministro più anziano d’età.
d) I ministri, in quanto organi individuali del Governo, contribuiscono a decidere la politica
generale del Governo e hanno compiti amministrativi, tanto da costituire il necessario raccordo
tra attività di Governo e attività amministrativa. I ministri senza portafoglio hanno competenza
politica ma non amministrativa ( non sono cioè preposti a un ministero).
e) I comitati interministeriali hanno competenze prevalentemente preparatorie nell’ambito dei
settori materiali loro assegnati, contribuendo a coordinare l’attività e le decisioni dei diversi
ministeri in settori di competenza mista o comunque collegata.
f) I commissari straordinari del Governo hanno la funzione di realizzare specifici obiettivi in
relazione a programmi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri ed anche la
funzione temporanea di coordinamento operativo fra amministrazioni statali.
g) I sottosegretari di Stato hanno il compito istituzionale di coadiuvare il ministro preposto al
ministero cui sono assegnati. Trattandosi di delegazione in senso proprio, l’attività compiuta dal
sottosegretario è imputata al ministero, così come se fosse stata compiuta dal ministro.
②
③
35
CAPITOLO 5: LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:
35
CAPITOLO 7
LA MAGISTRATURA
Il Consiglio superiore della magistratura: assicura il collegamento tra potere giudiziario e altri poteri
dello Stato.
Il CSM si compone di tre membri di diritto (il presidente della Repubblica che presiede il CSM, il primo
presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione) e da 30 membri elettivi (20 sono eletti
dai magistrati ordinari e 10 dal Parlamento in seduta comune), dall’art. 104 Cost.
La Costituzione inoltre detta altre norme in materia di composizione e funzionamento del CSM:
− il presidente del CSM è il presidente della Repubblica;
− il vicepresidente è eletto fra 10 componenti di nomina parlamentare (designati dal Parlamento);
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− i membri elettivi del Consiglio durano in carica 4 anni e non sono immediatamente rieleggibili;
− tali membri, durante la carica, non possono essere iscritti negli albi professionali né far parte del
Parlamento o di un Consiglio regionale.
Tuttavia la Costituzione nulla dice riguardo al numero dei componenti elettivi il CSM rinviando,
implicitamente, alle leggi ordinarie.
Responsabilità civile dei giudici: con l’adozione della legge 13 aprile 1988, n.117, si è attuata una
revisione normativa che ha modificato tutto il sistema: può agire in giudizio chiunque abbia “subito un
danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in
essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni,o per diniego di giustizia”.
L’azione si propone contro lo Stato e mira ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non che
derivino da privazione della libertà personale.
Solo successivamente, entro 1 anno dall’effettuato risarcimento, lo Stato esercita l’azione di rivalsa nei
confronti del magistrato per una somma che, ad eccezione per i casi di dolo, non può superare 1/3 di un
annualità dello stipendio percepito da un magistrato.
Al fine di evitare richieste infondate o eccessive la legge prevede un preventivo esame di ammissibilità
della domanda assegnato allo stesso tribunale che dovrà pronunciarsi sul merito.
La giurisdizione ordinaria
La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme
sull’ordinamento giudiziario. Per converso, ai giudici ordinari spetta il potere giurisdizionale nella sua
generalità, con la sola esclusione delle materie e delle situazioni attribuite per legge a giudici speciali o
a sezioni specializzate.
La magistratura ordinaria è disciplinata dall’ordinamento giudiziario che va adottato con legge (art.108
Cost.) riserva assoluta di legge statale.
In base al vigente ordinamento giudiziario, la giustizia, nelle materie civile e penale, è amministrata dal
giudice di pace, dal pretore, dal tribunale ordinario, dalla Corte di appello, dalla Corte d’assise e dalla
Corte di cassazione.
I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni (art.107 Cost.). La l. 24 maggio
1951, n°329 ha provveduto a distinguere i magistrati ordinari, secondo le funzioni, in magistrati di
tribunale, di Corte d’appello e di Corte di Cassazione.
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Ogni processo può svolgersi al massimo in 3 gradi, quindi una controversia può essere decisa non da un
solo giudice, ma da più giudici in tempi diversi. Infatti, se una o più parti non sono soddisfatte dekka
decisione di primo grado possono rivolgersi a un altro giudice.
Nel giudizio di primo grado la questione viene esaminata per la prima volta e viene emessa una sentenza
o un altro provvedimento da parte del giudice competente.
Nel giudizio di secondo grado, detto di appello, la questione viene riesaminata da un giudice diverso, che
emetterà a sua volta una sentenza o un altro provvedimento; questo secondo giudizio può annullare gli
effetti del primo, modificandoli, oppure può confermarli. Naturalmente, se le parti sono soddisfatte del
giudizio di primo grado, si asterranno dal fare domanda di giudizio di secondo grado.
Il giudizio di terzo grado, detto di cassazione, ha lo scopo, in qualche caso, di riesaminare la sentenza
d’appello. Il giudizio di cassazione è il più elevato e l’ultimo dei gradi del processo. L’organo competente
è la Corte di cassazione, unico giudice sia per i processi di giurisdizione ordinaria sia per quelli di
giurisdizione speciale (a differenza del giudizio d’appello, pronunciato da giudici diversi a seconda della
materia della controversia). La Corte di cassazione ha sede a Roma e i magistrati che la compongono
sono quelli di grado più elevato nella carriera di giudice.
La Corte giudica in terzo grado sono quando una delle parti sostiene che ne giudizio precedente vi è
stata una violazione di legge. Il giudizio della cassazione è quindi un giudizio sulla legittimità: essa
infatti non tiene conto di come si sono svolti i fatti (o il reato) che hanno dato occasione al processo,
ma controlla che nel giudicare sia stato riespettato il diritto: non è quindi un giudizio sul fatto (che
sarebbe un giudizio di merito), ma sulla forma, cioè appunto un giudizio di legittimità. Solo la Corte di
cassazione può dare questo tipo di giudizio, quelli di primo e di secondo sono invece giudizi di merito.
In sede civile i magistrati giudicanti sono il giudice di pace, il pretore, il tribunale, la Corte d’appello e la
Corte di Cassazione. Giudice di pace e pretore sono giudici individuali (o monocratici), gli altri sono
collegiali.
Il giudice di pace, il pretore e il tribunale sono giudici di primo grado, in base ai criteri di competenza
fissati dal codice di procedura civile.
Le sentenze dei giudici di primo grado possono essere impugnate con appello (principio del doppio grado
di giurisdizione). Le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado (salvo quelle del giudice di
pace) possono essere impugnate con ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione per ottenere che vengano
cassate (cioè annullate con o senza rinvio).
La Corte di Cassazione è giudice di legittimità e non di merito, quindi può essere investita solo per
questioni di diritto.
In sede penale i magistrati giudicanti sono il giudice di pace, il pretore, il tribunale, il tribunale per i
minorenni, la Corte d’assise, d’appello e la Corte di Cassazione, secondo le norme del nuovo codice di
procedura penale.
Il giudice di pace, il pretore, il tribunale, il tribunale per i minorenni, la Corte d’assise sono giudici di
primo grado in base ai criteri di competenza fissati dal codice di procedura penale.
Anche in sede penale vige il principio del doppio grado di giurisdizione, cioè è prevista la possibilità di
impugnazione della sentenza di primo grado.
L’appello contro le sentenze del giudice di pace, del pretore, del tribunale, del tribunale per i minorenni,
della Corte d’assise si propone rispettivamente dinanzi al tribunale, alla Corte d’appello, alle sezione di
Corte d’appello per i minorenni, alla Corte d’assise d’appello.
Possono essere impugnati dinanzi alla Corte di cassazione i provvedimenti penali non soggetti di per se
stessi ad appello o pronunciati in grado d’appello per motivi di diritto.
Sia in sede civile sia in sede penale il processo si articola in 3 fasi: la fase dell’istruzione (o istruttoria),
la fase del giudizio e la fase di esecuzione. Le prime due fasi danno luogo al processo di cognizione e
l’ultima a quello di esecuzione.
Il pubblico ministero
Esso è un altro organo previsto dall’ordinamento giudiziario che si affianca al giudice: alle dipendenze
del procuratore capo si trovano i sostituti procuratori.
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Il p.m. assume diverse denominazioni a seconda del giudice presso il quale esercita le sue funzioni, come
ad es.: pubblico ministero, procuratore della Repubblica, procuratore generale presso la Corte d’appello
o presso la Corte di cassazione.
L’ordinamento giudiziario conferisce al p.m. una serie di attribuzioni dirette, fra l’altro, ad assicurare
l’osservanza delle leggi, la pronta e regolare amministrazione della giustizia, la repressione dei reati,
l’esecuzione dei giudicati.
In materia civile, il p.m. esercita l’azione civile e interviene nei processi, nei casi stabiliti dalla legge (in
particolare nei processi riguardanti lo stato delle persone, nei processi di cassazione, ecc…); in materia
penale, il p.m. è obbligato, secondo l’art.112 Cost., ad esercitare l’azione penale ed interviene a tutte le
udienze penali delle corti, dei tribunali e delle preture.
Il p.m. ha carattere del tutto “neutrale” ed è estraneo all’apparato amministrativo: la sua funzione non
può essere considerata giurisdizionale (non spetta al p.m. giudicare) ma non può essere nemmeno
considerata di parte, essendo finalizzata all’interesse generale e al rispetto della legge.
L’art.111 Cost. contiene 2 disposizioni relative all’obbligo dei provvedimenti giurisdizionali e alla
possibilità di ricorso in Cassazione contro tutte le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale.
− Tanto nel processo civile quanto in quello penale i provvedimenti dei giudici possono assumere la
forma del decreto (da non motivare), dell’ordinanza o della sentenza (entrambe da motivare).
− Il ricorso in Cassazione per violazione di legge è sempre ammesso contro le sentenze e i
provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali e
mira ad evitare la possibilità di escludere il ricorso in Cassazione per particolari materie o
limitandolo a particolari vizi di legittimità. Unica eccezione a questo principio si ha per le sentenze
dei tribunali militari in tempo di guerra.
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a) la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, secondo l’art.102, ed è vietata
l’istituzione di giudici straordinari (creati appositamente per una controversia) o speciali (che si
occupano solo di alcune materie), consentendosi soltanto l’istituzione di sezioni specializzate presso gli
organi giudiziari ordinari; b) revisione, e quindi sopravvivenza, dei giudici speciali di giurisdizione
esistenti (ed è dunque un’eccezione al principio a)); c) mantenimento delle funzioni giurisdizionali di
alcuni giudici speciali quali il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti e i tribunali militari; d) istituzione,
nelle Regioni, con legge statale, di organi di giustizia amministrativa di primo grado; e) la garanzia, da
stabilirsi con legge, dell’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali.
1. La giustizia amministrativa
I giudici speciali che assumono maggior importanza nel nostro ordinamento, sia per l’ampiezza della
competenza, sia per l’entità delle pronunce, sono i giudici amministrativi.
Nel diritto pubblico, e in particolare nei rapporti tra privato e p.a., le posizioni giuridicamente tutelate
non assumono soltanto la configurazione di diritti soggettivi, come nel diritto privato. Accanto a questi
si pongono nel nostro vigente ordinamento anche gli interessi legittimi, nella doppia configurazione di
interessi occasionalmente protetti e di diritti affievoliti, mentre gli stessi interessi semplici possono
acquistare qualche rilievo nella misura in cui investono il merito dell’attività amministrativa.
Le posizioni giuridiche soggettive tutelate:
a) diritto soggettivo: sorge quando la legge attribuisce ad un soggetto un potere per la tutela primaria
e diretta del proprio interesse.
b) interesso legittimo (o interesse occasionalmente protetto): si ha quando il comportamento della
pubblica Amministrazione incide su una posizione giuridica che si trovi in una particolare relazione con
la situazione di interesse generale, sicché ne scaturisce una protezione per l’interesse particolare
altrimenti impossibile. (ad es. in caso di concorso pubblico l’interesse legittimo sarà di colui che è stato
escluso a partecipare e che si trova perciò in una posizione soggettiva attiva qualificata).
c) diritto affievolito: si ha quando un diritto soggettivo si estingue a causa dell’esercizio dei poteri
dell’autorità amministrativa. Il diritto soggettivo è dunque subordinato alla sua compatibilità con
l’interesse pubblico. In caso di incompatibilità, il diritto perde la sua rilevanza e appunto si affievolisce,
riducendosi a mero interesse legittimo. L’esempio più comune è l’espropriazione per pubblica utilità: lo
stesso diritto di proprietà si affievolisce, e la proprietà del bene espropriato viene trasferita ad altro
soggetto.
Le Commissioni tributarie
Le Commissioni tributarie possono essere annoverate tra i giudici speciali amministrativi oggi esistenti.
Con il d.lgs.n.545/1992 si sono costituite commissioni provinciali e commissioni regionali.
Contro la sentenza della commissione regionale può essere proposto ricorso per cassazione.
Le Commissioni tributarie sono nominate con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del
ministro delle finanze, previa deliberazione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. I
presidenti delle Commissioni sono nominati fra magistrati anche a riposo mentre i componenti (almeno5
per sezione, compreso il vicepresidente) vengono tratti da elenchi formati da persone che per gli uffici
ricoperti o per le attività professionali svolte presentino una adeguata preparazione.
I componenti delle Commissione tributarie durano in carica nella stessa Commissione non oltre 9 anni e,
prima di assumere le funzioni, debbono prestare giuramento.
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Il Consiglio di presidenza è composto da 6 membri effettivi e da 6 supplenti e dura in carica 4 anni.
Le Commissioni tributarie sono competenti a giudicare sulle controversie concernenti le imposte sui
redditi, l’IVA, l’INVIM, l’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, le imposte
ipotecaria e catastale,l’imposta sulle assicurazioni,i tributi comunali nonché negli altri casi previsti dalla
legge.
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PARTE QUINTA
LE AUTONOMIE LOCALI – LE REGIONI
CAPITOLO 1
LE AUTONOMIE LOCALI NELLA COSTITUZIONE
La prospettiva regionale
Dopo le tendenze federaliste postunitarie e i provvedimenti fascisti contro le autonomie infrastatali,
coloro che prepararono il nuovo ordinamento democratico e poi la nuova Costituzione guardarono alle
autonomie locali, alla loro rinascita e al loro potenziamento, come uno dei punti fermi del nuovo Stato,
libero e fondato sulla partecipazione popolare.
Senza dubbio il rilievo concesso a tali autonomie era anche legato alle aspirazioni di una civiltà
contadina che stava per subire,in quegli anni,il più forte ridimensionamento degli ultimi secoli e che
concepiva la contrapposizione, e non la necessaria collaborazione,tra potere centrale e potere locale.
Tuttavia alla fine della guerra e nel periodo di preparazione della nuova Costituzione, era ben chiara agli
osservatori più attenti la necessità di ridare vigore alle pubbliche istituzioni con una ripresa di
efficienza e di velocità della pubblica Amministrazione. Era necessario cercare di trovare un corretto
punto di equilibrio tra le esigenze dello Stato e dell’Amministrazione centrale e quelle delle autonomie
locali, spesso eccessivamente frammentate, anche in prospettiva di programmazione economica: la
dimensione regionale divenne così la dimensione ottimale della nuova organizzazione amministrativa. La
“Commissione Forti” condusse tra il 1945 e il 1946 una serie di studi importanti sulla riorganizzazione
dello Stato.
Motivazioni importanti, che prevalsero, favorevoli alle autonomie locali, furono il valore dell’auto
governo (“Non si tratta solo di portare il governo alla porta degli amministrati, con un decentramento
burocratico e amminisrtativo…si tratta di porre gli amministrati nel governo di sé medesimi”), e il tema
della crescita delle libertà (“Senza istituzioni locali una nazione può darsi un governo libero, ma non lo
spirito della libertà”).
In conclusione, l’Assemblea costituente adottò una disposizione a carattere generale, inserita tra i
principi fondamentali (art.5) con l’esplicito riconoscimento delle autonomie locali, e dedicò il titolo V
della parte II agli enti locali territoriali, introducendo nel nostro ordinamento, accanto ai Comuni e alle
Province, le Regioni, quali enti autonomi dotati di propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella
Costituzione. La norma chiave è:
Art.5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; si attua nei servizi
che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della
sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.”
Il pluralismo giuridico non deve comunque trasformarsi in separazione politica. Qualunque iniziativa
assunta nel campo delle autonomie locali dovrà essere valutata alla stregua di questo limite e sarà
conforme a Costituzione solo se non comprometterà l’unità e indivisibilità della Repubblica.
Altri principi importanti sono dettati dagli art.115 (che proclama le regioni enti autonomi), art.116 (che
prevede forme e condizioni particolari di autonomia per le 5 regioni a statuto speciale), art.128 (che
dichiara enti autonomi anche le Province e i Comuni, rispettando i principi fissati da leggi generali della
Repubblica, art.119 (prevede l’autonomia finanziaria).
Ordinamenti degli enti locali: un aspetto rilevante delle autonomie locali è nella possibilità di creare
diritto non solo nell’ambito dell’ordinamento statale, ma dando vita ad ordinamenti particolari
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ricompresi nell’ordinamento generale. Sicuramente la Regione ha comunque un’autonomia più ampia,
perché nella creazione del suo ordinamento incontra solo i limiti direttamente o indirettamente
derivanti dalla Costituzione, mentre i Comuni e le Province devono contenersi, in più, nell’ambito dei
principi fissati da leggi generali della Repubblica. Tanto le Regioni quanto i Comuni e le Province hanno
però titolo a creare un proprio ordinamento giuridico, derivato da quello statale, e nel quale entrano, in
un incontro talora non semplice, norme statali e norme poste dall’ente locale in una articolazione di
competenze che trova nella Costituzione il suo punto di riferimento, la sua giustificazione e anche i
criteri per il superamento delle possibili antinomie.
Autonomia politica degli enti locali: tale autonomia consiste nel potere di darsi un indirizzo politico.
A livello di comunità più ristrette dello Stato, quali Regioni, Province, Comuni, costituzionalmente
disciplinate e garantite, può ammettersi l’esistenza di un indirizzo variamente circoscritto, ma pur
sempre suscettibile di uniformarsi a valutazioni politiche e che potrà essere definito secondario o
minore, o politico-amministrativo, ma che comunque non può essere negato o contestato, quando resti
nei limiti indicati da Costituzione. Si rileva anzi posizione di reciprocità tra Stato e Regione, poiché non
solo lo Stato può contrastare le scelte regionali che superino i limiti costituzionali, ma anche la Regione
può opporsi a quegli atti statali che invadano la sua sfera di competenza.
Tale attività politica della Regione con cui essa può darsi un indirizzo politico non è originaria come
quella statale, ma derivata ed appunto per ciò la si definisce autonoma. Analogamente può parlarsi di
autonomia politico-amministrativa per gli enti locali subregionali.
Né questo, di per sé, compromette l’unità statale o incrina il principio dell’indivisibilità della Repubblica,
perché l’autonomia politico-organizzativa tanto delle Regioni quanto degli enti locali infraregionali deve
contenersi nei limiti stabiliti dall’ordinamento e vi sono strumenti idonei per garantire il rispetto di tali
limiti.
CAPITOLO 2
LA REGIONE
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L’organizzazione regionale è delineata nei suoi aspetti essenziali dalla Costituzione ma la stessa
Costituzione attribuisce alle sole Regioni ad autonomia ordinaria la potestà statutaria, nell’art.123,
affidando la competenza a regolare l’organizzazione interna delle Regioni ad appositi statuti.
Secondo l’art. 123 Cost., ogni statuto ordinario è deliberato dal Consiglio regionale (entro 120 giorni
dalla prima convocazione) a maggioranza assoluta dei suoi componenti ed è approvato con legge della
Repubblica. Il Consiglio regionale trasmette lo statuto deliberato al presidente del Consiglio dei
ministri, il quale provvede a presentarlo entro 15 giorni al Parlamento.
Imputazione dello statuto: lo statuto, nonostante la successiva approvazione statale, è e resta atto
della Regione e va attribuito alla sola volontà regionale.
Lo statuto nel sistema delle fonti: si è spesso sostenuto che lo statuto vada considerato in posizione
sovraordinato alla legge regionale; tuttavia deve comunque escludersi che il legislatore regionale debba
sottostare, per obbligo giuridico, alle indicazioni programmatiche degli statuti.
Contenuto degli statuti regionali: ai sensi del solito art. 123 Cost. lo statuto, “in armonia con la
Costituzione e con le leggi della Repubblica stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della
Regione”. Inoltre “lo Statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e
provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali”.
Apparentemente lo spazio che concretamente residua agli statuti è piuttosto modesto, si è così pensato
di interpretare in modo più ampio il riferimento all’organizzazione interna regionale.
L’ “armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica” non deve essere considerata limite degli
statuti, o semplice e piatta conformità. Essa esprime infatti l’esigenza di un collegamento logico con il
sistema generale che, proprio per essere unitario, non potrebbe tollerare contrapposizioni
organizzative così rilevanti da compromettere il quadro logico dell’ordinamento.
Revisione degli statuti: tutte le regioni hanno uno Statuto. Tali statuti possono essere modificati.
La revisione degli statuti si opera mediante legge costituzionale per le Regioni ad autonomia speciale e
mediante procedimento identico all’adozione di testi statutari per le Regioni ordinarie. La deliberazione
di revisione statutaria dovrà essere adottata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta e
sottoposta ad approvazione da fare con legge della Repubblica.
1. IL CONSIGLIO REGIONALE
Il Consiglio regionale è rappresentante in via diretta della volontà popolare ed ha importanti poteri di
decisione nella Regione. Alcuni principi riguardo alla sua organizzazione sono dettati dalla Cost., ma la
maggior parte dalla legge statale: il numero di consiglieri regionali è compreso tra 30 e 80; sono
eleggibili e elettori sostanzialmente tutti i maggiorenni; il sistema elettorale regionale combina sistema
maggioritario e proporzionale; i Consigli regionali durano in carica 5 anni.
Come per i parlamentari, esistono diverse cause di ineleggibilità (coloro che ricoprono cariche di alti
funzionari dello Stato) e incompatibilità (coloro che si trovino in rapporti economici con la Regione,
anche in via indiretta) per i consiglieri regionali, che non sono tenuti a giurare, godono di insindacabilità
per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, rappresentano l’intera Regione e godono di
un’indennità di carica.
I consiglieri regionali sono proclamati eletti dal presidente dell’ufficio centrale circoscrizionale: tale
elezione deve però essere convalidata dallo stesso Consiglio regionale che incarica un’apposita
Commissione di scovare eventuali cause di ineleggibilità.
1. LA FUNZIONE LEGISLATIVA
La funzione legislativa è la competenza di porre norme costitutive di diritto obiettivo e poste in
posizione equiordinata con la legge statale ordinaria (non così per gli altri enti locali).
Esistono diversi tipi di legislazione regionale: a)legislazione esclusiva, compete alle sole Regioni ad
autonomia speciale ed “esclude” la competenza statale; b) legislazione concorrente, compete a tutte le
Regioni e comporta concorso di norme statali e regionali, su una data materia; c) legislazione
integrativa o di attuazione, compete a tutte le Regioni.
I tipi di potestà legislativa che contribuiscono a delineare l’autonomia regionale sono i primi due, mentre
il terzo ha valore limitato e parziale.
Le leggi regionali possono sottostare a limiti di legittimità o di merito.
Limiti di legittimità:
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- limite costituzionale: le Regioni non possono porre disposizioni contrastanti con la Costituzione;
- limite territoriale: le Regioni non possono adottare disposizioni legislative destinate a valere oltre il
proprio territorio;
- limite dei principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato: sono da considerarsi come
“principi dell’ordinamento giuridico quegli orientamenti e quelle direttive di carattere generale e
fondamentale che si possono desumere dalla connessione sistematica, dal coordinamento e dalla
intima razionalità delle norme che concorrono a formare, in un dato momento storico, il tessuto
dell’ordinamento giuridico vigente”.
- limite del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica: per la
necessità di omogeneità dell’indirizzo generale economico-sociale dello Stato;
- limite degli obblighi internazionali dello Stato: è un’esigenza derivante direttamente dal carattere
unitario del nostro Stato. Le Regioni non hanno competenza in politica estera;
- limite delle materie: le regioni possono legiferare attenendosi alle enumerazioni (tassative) delle
materie di competenza legislativa regionale;
- limite dei principi fondamentali della legislazione statale: tale limite vale solo per la legislazione
regionale concorrente. La soluzione migliore sarebbe stata richiedere leggi-cornice.
Limiti di merito: le norme legislative regionali non devono essere in contrasto con l’interesse nazionale
e con quello di altre regioni. In caso di controversie, se il limite è di legittimità, la competenza è
attribuita alla Corte Costituzionale, se il limite è di merito la competenza è invece attribuita alle
Camere.
Procedimento di formazione delle leggi regionali: le leggi regionali sono deliberate dal Consiglio
regionale. Le procedure sono disciplinate da statuti e regolamenti interni, e sono ispirate alle procedure
di approvazione delle leggi del Parlamento. E’ previsto l’esame da parte di commissioni permanenti del
Consiglio con competenza referente e al controllo, di legittimità e di merito, del Governo nazionale,
attraverso il visto del Commissario del Governo. Se il Governo ritiene che la legge ecceda la competenza
o incontri dei limiti, può “rinviare” la legge al Consiglio regionale.
Il Consiglio regionale può modificare la legge o riapprovarla nello stesso testo: il Governo potrà in
questo caso promuovere la questione di legittimità di fronte alla Corte Costituzionale o alle Camere.
Posizione della legge regionale: la legge regionale è dunque equiparata alla legge statale, nel senso che
anche la legge statale deve cedere alla legge regionale, quando quest’ultima disciplini una materia
attribuita alla legislazione regionale. Nell’incontro sulla stessa materia, la prevalenza dovrà essere
riconosciuta alla fonte competente, statale o regionale che sia.
2. LA FUNZIONE AMMINISTRATIVA
Criterio del parallelismo delle funzioni: la Regione ha competenza amministrativa negli stessi settori
nei quali le è attribuita competenza legislativa, ma non viceversa (art.118 Cost.).
Le leggi della Repubblica possono anche attribuire, in tali settori, le competenze amministrative di
interesse esclusivamente locale alle province, ai comuni o ad altri enti locali.
Lo Stato può anche, con legge, delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.
Trasferimento delle funzioni: l’art.17 della l.1970,n.271, ha delegato il Governo ad emanare 11 decreti
legislativi per regolare il passaggio delle funzioni amministrative attribuite alla Regione dall’art.117
Cost. e del relativo personale dipendente dallo Stato. Con la l.22 luglio 1975, n.382 è stata conferita al
Governo una nuova delega e con il d.p.r. 24 luglio 1977 si è completato il trasferimento delle funzioni
amministrative alle Regioni.
Dopo la l.15/3/97, n.59 e il decreto lgs.31/3/98,n.112, il conferimento delle funzioni, comprendente le
funzioni di organizzazione e le attività connesse, è operato in blocco alle Regioni le quali poi debbono
provvedere entro sei mesi a conferire agli enti locali subregionali le funzioni amministrative che non
richiedono il loro unitario esercizio a livello regionale.
Ai sensi dell’art.118 Cost., le Regioni dovrebbero delegare agli enti subregionali l’amministrazione,
mantenendo prevalenti compiti legislativi, di programmazione e di indirizzo dell’attività amministrativa.
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In realtà il quadro dell’amministrazione è molto accentrato e nelle stesse materie resta riservata allo
Stato la funzione di indirizzo e di coordinamento per esigenze di unitarietà, così come le leggi cornice
statali delimitano la legislazione regionale.
Controllo sugli atti amministrativi regionali: il controllo di legittimità e talora anche di merito dei
regolamenti di competenza del Consiglio regionale viene esercitato da una Commissione statale sedente
nel capoluogo regionale, che può annullare l’atto, prevista dall’art.125 Cost.
CAPITOLO 3
GLI ENTI LOCALI INFRAREGIONALI
l’Art.5 Cost. afferma che la Repubblica “riconosce e promuove le autonomie locali”, riferendosi a
Province e Comuni. La legge fissa poi i principi all’interno dei quali si esplica l’autonomia comunale e
provinciale, impedendo così anche interferenze delle Regioni.
Organi del Comune: gli organi di governo del Comune sono il sindaco, la giunta municipale e il Consiglio
comunale. Il Consiglio dura in carica quattro anni ed è composto dal sindaco e dai consiglieri; la Giunta
comunale è composto dagli assessori nominati dal sindaco. Le cariche di consigliere e assessore sono
incompatibili. Tra il sindaco e il Consiglio si instaura una sorte di rapporto fiduciario
Competenze degli organi del Comune: il sindaco, “ufficiale del Governo”, ha importanti compiti di
responsabilità e di supervisione, di sicurezza e ordina pubblico, di polizia e di sanità. La giunta collabora
con il sindaco nell’amministrazione del Comune. Il Consiglio, organo di indirizzo e di controllo politico-
amministrativo, decide riguardo gli “atti fondamentali del comune”.
Funzioni del Comune: spettano al Comune tutte le funzioni amministrative ce riguardino la popolazione e
il territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, dell’assetto ed utilizzazione
del territorio e dello sviluppo economico. Gestisce inoltre i servizi elettorali, di anagrafe, di stato
civile, di statistica e di leva militare. Sono previste diverse forme di gestione da parte del Comune.
La Provincia: la Provincia è l’ente locale intermedio tra Comuni e Regione. Essa comprende il territorio
di più comuni, ma la sua rilevanza operativa è assai inferiore a quella dei Comuni.
Gli organi istituzionali della provincia sono il presidente, la Giunta, il Consiglio provinciale.
Competono alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone
intercomunali o l’intero territorio provinciale in settori determinati e rilevanti. Le spettano inoltre
importanti compiti di programmazione e la predisposizione e l’adozione del piano territoriale di
coordinamento.
Nelle nove “aree metropolitane” la Provincia si configura come autorità metropolitana ed assume la
denominazione di “città metropolitana”. Le funzioni di questa città metropolitana sono anche più ampie
di quelle attribuite alla Provincia.
Controlli sui comuni e sulle Province: il controllo di legittimità e di merito sugli atti degli enti locali è
esercitato, come detto a pag.51, dal Comitato di controllo. Riguardo il controllo sugli organi degli enti
locali, i Consigli comunali e provinciali possono essere sciolti con decreto del presidente della
repubblica, su proposta del ministro dell’interno; i controlli “atipici” (autorizzazioni, approvazioni, visti e
simili) sono invece a competenza prevalentemente regionale, senza escludere quella statale.
Altri enti locali infraregionali: tra i numerosi enti locali infraregionali possono essere ricordati i
consorzi e le comunità montane, che hanno personalità giuridica, e le esperienze comprensoriali.
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PARTE SESTA: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
CAPITOLO 1:
LE POSIZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE E DICHIARAZIONI DEI DIRITTI:
Il tema delle libertà si collega a una lunga lotta per la loro conquista e per l’affermazione di
un’importante posizione del singolo e delle formazioni sociali nell’ambito dell’ordinamento
giuridico generale, durata centinaia di anni. Bisogna considerare le libertà come diritti, con tutto ciò
di positivo che questo implica, ma anche e soprattutto come elementi di partecipazione e non di
contrapposizione, proprio per superare una concezione dello Stato costituzionale valida agli inizi
dell’Ottocento, ma ormai logorata.
Classificazione dei diritti pubblici soggettivi: secondo lo Jellinek, i diritti pubblici soggettivi sono le
pretese giuridiche che derivano dai rapporti tra cittadini e Stato.
Status subiectionis: indica la mancanza di diritti pubblici soggettivi, e la soggezione totale degli
individui (qualificati appunto “sudditi”) al potere sovrano.
Status libertatis (status negativo): al sorgere del regime costituzionale, si afferma la garanzia di
sfere di libertà, sottratte all’influenza del potere pubblico. Si afferma la pretesa giuridica, ma
non i diritti di libertà.
Status civitatis (status positivo): vengono a coincidere interesse pubblico e individuale. Lo Stato
riconosce all’individuo pretese giuridiche verso l’attività statale, attribuendogli strumenti
giuridici per realizzarle.
Status activae civitatis (status attivo): viene attribuita non una pretesa giuridica, ma la
possibilità di agire come titolare di un organo dello Stato, cioè come membro dell’ordinamento.
Dichiarazioni dei diritti: le prime dichiarazioni di diritti, rilevanti e significative, si hanno in
Inghilterra (Magna Charta 1215, Petition of Rights 1628, Bill of Rights 1689).Larga risonanza ebbe
la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, deliberata dall’Assemblea francese il 26
agosto 1789, con la quale si affermarono i diritti dell’uomo in quanto tale, come preesistenti allo
Stato e quindi da garantirsi e non da concedersi da parte dello Stato medesimo. Da quel momento
seguirono numerose dichiarazioni dei diritti, anche molto diverse tra loro, tra le quali si ricorda la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Assemblea generale delle nazioni Unite, 1948).
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Esclusione di una dichiarazione programmatica dei diritti nella Cost.italiana: il Costituente
italiano ha preferito escludere un preambolo contenente una dichiarazione astratta di diritti,
disciplinandoli ampiamente nella parte prima della Costituzione (Diritti e doveri dei cittadini).
Non si volle infatti creare una graduatoria tra le norme del preambolo e quelle del testo
costituzionale, e soprattutto si volle sottrarre le disposizioni più rilevanti per la vita del Paese ad
improvvise modificazioni, collocandole nella “rocca” della Costituzione e sottoponendo la loro
eventuale revisione a più caute procedure.
Art.2 Cost.: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia coma singolo, sia
nella formazione sociale, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
➪ viene così introdotto il principio personalistico, ovvero l’affermazione della supremazia della
persona umana sullo Stato medesimo. La Repubblica “riconosce” i diritti inviolabili: riconoscere
non vuol dire attribuire, quindi tali diritti appartengono all’uomo in quanto tale, prima e
indipendentemente da ogni intervento statale, che ha solo significato ricognitivo e di garanzia.
➪ si introduce il pluralismo sociale: contrapponendosi all’esperienza fascista, il pluralismo sociale,
sostanzialmente ineliminabile, viene ad assumere il ruolo di pluralismo istituzionale, strumento
essenziale dell’organizzazione democratica della Repubblica e condizione essenziale per il pieno
esplicarsi della persona umana.
➪ viene posta l’attenzione sui doveri e sul principio di solidarietà: non la contrapposizione ma la
composizione degli interessi deve divenire la regola e le posizioni soggettive vanno coordinate in un
quadro di solidarietà non solo politica, ma economica e sociale, che conferisca alla Repubblica la
capacità di essere realmente il punto di incontro di tutti i componenti della comunità nazionale.
Condizione giuridica dello straniero e dell’apolide: in teoria, la parte della Costituzione dedicata ai
diritti e doveri, è riservata ai cittadini. Per quanto riguarda gli stranieri, l’art.10 Cost. afferma che:
a) la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei
trattati internazionali; b) lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle
libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della
Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge (non occorre dunque essere perseguitato
politico). Secondo la l.40/1998 sono riconosciuti allo straniero i diritti fondamentali della persona
umana e i diritti in materia civile se regolarmente soggiornante, compresa la parità di trattamento
con il cittadino. L’estradizione dello straniero per reati politici non è ammessa.
Per quanto riguarda l’apolide, il principio ispiratore è che, per quanto riguarda i diritti civili,
l’apolide è assimilato al cittadino mentre, per quanto riguarda i diritti politici, è assimilato allo
straniero.
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Libertà di manifestazione del pensiero: la libertà di manifestazione del pensiero acquista crescente
importanza con lo sviluppo dei mass media, per la necessità di impedire degenerazioni attraverso la
creazione di situazioni monopolistiche che potrebbero impedire di fatto la circolazione delle idee.
L’art.21 Cost. garantisce a tutti (e quindi non ai soli cittadini) il diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Lo strumento di diffusione che il legislatore ha più ampiamente disciplinato è la stampa.
→ Libertà di stampa: l’art.21 Cost. è integrato dalla legge sulla stampa (l. 2 febbraio 1948, n.47).
La regola fondamentale è che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si
esclude, cioè, ogni possibilità del potere pubblico di intervenire sull’esercizio della libertà o di
limitare libertà mediante controlli sul contenuto l’esercizio di tale degli stampati. Seguono poi
disposizioni che prevedono il “sequestro preventivo” degli stampati nel caso di delitti per i quali la
legge espressamente lo autorizzi o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescrive
per l’indicazione dei responsabili (nome e domicilio stampatore, luogo e anno di pubblicazione,
ecc..). La stampa periodica deve avere un direttore responsabile il quale può essere perseguito,
qualora non eserciti il controllo necessario per evitare la commissione di reati con la pubblicazione.
Secondo l’art.21 sono inoltre vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre
manifestazioni contrarie al buon costume. La legge può anche stabilire che siano resi noti i mezzi di
finanziamento della stampa periodica ➪ la l.5 agosto 1988, n.338, detta disposizioni dirette ad
impedire la concentrazione della stampa quotidiana in poche mani, prevede l’istituzione di un
registro nazionale della stampa, una miglior trasparenza della pubblicità sui giornali e sui periodici,
nonché la pubblicità dei bilanci delle imprese editoriali.
Teatro e cinematografo: per gli spettacoli teatrali,, la vigente legislazione si limita a prescrivere la
licenza del questore. Quanto alle rappresentazioni cinematografiche, la legge 161 dispone che la
proiezione in pubblico dei film è soggetta a nulla osta che va rilasciato dal ministro del turismo e
spettacolo su parere conforma di speciali commissioni di primo grado e di appello.
Disciplina della radio e della televisione: il d.lgs. 3 aprile 1947, n.428, concedeva in via esclusiva
alla RAI il servizio delle radio audizioni circolari e il servizio di televisione circolare; affermando
che la maggioranza assoluta delle azioni RAI doveva passare in titolarità all’IRI.
Successivamente, di fronte alle continue critiche del monopolio statale, fu approvata la l.14 aprile
1975, n.103, contenente “nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva”, e infine la
l.6 agosto 1990, n.223, più volte integrata. Secondo tale legge l’esercizio della radiodiffusione di
programmi radiofonici e televisivi è subordinato a una concessione a una società per azioni a totale
partecipazione pubblica o a soggetti privati. La RAI è una società per azioni “di interesse nazionale”
e il suo C.d.A. è nominato d’intesa fra i presidenti di Camera e Senato.
E’ istituita una Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che assorbe le funzioni già attribuite
al Garante per la radio diffusione e l’editoria, le cui competenze sono elencate dalla legge 249/97.
Tale legge vieta sostanzialmente posizioni dominanti nei settori delle comunicazioni sonore e
televisive, anche nelle forme evolutive.
Disciplina delle pubblicità: la l.223/90, dopo aver premesso che la pubblicità radiofonica e
televisiva non deve offendere la dignità della persona, non deve evocare discriminazioni di razza,
sesso e nazionalità, non deve offendere condizioni religiose e ideali, non deve indurre a
comportamenti pregiudizievoli per la salute, la sicurezza e l’ambiente, non deve arrecare
pregiudizio morale e fisico ai minorenni, stabilisce i limiti temporali massimi della durata dei
messaggi pubblicitari. E’ inoltre disciplinata la sponsorizzazione e l’inserimento di spots all’interno
de programmi radiofonici o televisivi.
Disciplina dell’informazione e disposizioni rilevanti: i concessionari privati hanno l’obbligo di
trasmettere programmi per un numero di ore giornaliere e settimanali fissate dalla legge, e
programmi di informazione, statale o locale. Il Governo, le Amministrazioni dello Stato, le Regioni
e gli altri enti pubblici territoriali possono chiedere ai concessionari privati o alla concessionaria
pubblica la trasmissione di brevi comunicati, da trasmettere immediatamente.
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E’ vietata la trasmissione di messaggi cifrati o di carattere subliminale; è vietata la trasmissione di
programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene
di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su
differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.
I film vietati ai minori di anni 18 non possono essere trasmessi, i film vietati ai minori di anni 14
possono invece essere trasmessi tra le 22.30 e le 7.
La pianificazione delle radiofrequenze deve constare di un piano nazionale di ripartizione,
aggiornato di regola ogni cinque anni, e di un piano nazionale di assegnazione.
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In quanto libertà nell’insegnamento, pur non significando anarchia, garantisce ad ogni docente la
possibilità di esercitare le sue funzioni di insegnante in conformità alle proprie convinzioni in
ordine alla disciplina che insegna, senza essere condizionato o costretto da una verità ufficiale alla
quale adeguarsi. Ma la libertà di insegnamento si concreta anche nella possibilità di istituire scuole.
Il primo punto fermo che risulta dalla Costituzione (art.33) è la preminenza della posizione statale
nell’organizzazione scolastica: spetta infatti alla Repubblica non solo istituire proprie scuole per
tutti gli ordini e gradi, ma anche dettare le norme generali sull’istruzione, secondo un diritto civico
(di prestazione) dei cittadini nei confronti dello Stato.
Gli enti e i privati hanno comunque il diritto di istituire scuole e istituti di istruzione, senza oneri per
lo Stato. Le scuole paritarie si distinguono per l’intervento pubblico che ha legittimato la loro
apertura. Tale intervento, trattasi di concessione o autorizzazione, è diretto a garantire la serietà
dell’iniziativa e ad evitare che si carpisca la buona fede di coloro che si propongono di seguire
l’insegnamento impartito in una scuola privata. Gli esami di maturità e di abilitazione, come
prescritto dalla Costituzione, sono comunque riservati allo Stato.
Sempre l’art.33 dispone che “le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di
darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato”. Il principio di libertà di
insegnamento è naturalmente valido anche per l’insegnamento universitario, e non si esclude
comunque la possibilità di università non statali.
Libertà di istruzione: ai sensi dell’art.34 Cost. “la scuola è aperta a tutti” e non sono quindi
ammissibili selezioni fondate su valutazioni non rispondenti al principio generale di uguaglianza.
“L’istruzione inferiore, della durata di otto anni è obbligatoria e gratuita”: la gratuità rende concreto
il diritto allo studio.. Per quanto riguarda la scuola non obbligatoria, la Costituzione limita il diritto
(che non comporta gratuità) a raggiungere i più alti gradi degli studi ai “capaci e meritevoli”.
CAPITOLO 5. I RAPPORTI ECONOMICI:
La nostra Costituzione sottolinea in misura rilevante il carattere sociale di un nuovo tipo di Stato
che ha tra i suoi fini fondamentali quello di intervenire nei rapporti sociali per modificarne gli effetti
a favore di determinati gruppi e categorie, e segnatamente a favore dei gruppi e delle categorie
economicamente più deboli.
Il lavoro nella Costituzione: la posizione del lavoro, non solo manuale ma in
ogni sua forma di espressione umana, è fondamentale nel nostro
ordinamento, e la stessa Costituzione si apre con il riconoscimento di tale
posizione centrale, affermando che la Repubblica democratica è “fondata”
sul lavoro. Quale che sia la forma della sua manifestazione e purché miri a
contribuire al progresso materiale o spirituale della società, il lavoro è
dunque fondamento della Repubblica e conferma la pari dignità sociale di
tutti i cittadini, senza possibilità di introdurre differenziazioni
discendenti dalla diversa attività lavorativa esercitata. Questo non
esclude tuttavia che il lavoro subordinato sia destinatario delle
disposizioni costituzionali che mirano a tutelare il prestatore d’opera.
Il diritto al lavoro: la Costituzione, all’art.4 introduce il diritto (considerato anche un dovere) al
lavoro, ponendolo tra i principi fondamentali dell’ordinamento.
Esso si pone come diritto di libertà, nel senso che ogni cittadino deve essere libero di scegliere
l’attività più congeniale alle proprie possibilità e alle proprie preferenze, e come diritto civico, in
quanto attribuisce al cittadino la pretesa a un “facere” da parte della Repubblica per promuovere,
come precisa l’art.4, le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Nella realtà, preoccupanti
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problemi di disoccupazione e sottoccupazione frustrano non solo il diritto al lavoro come diritto
civico, ma anche come diritto di libertà posto che le possibilità di scelta dei singoli lavoratori ne
sono gravemente limitate o addirittura escluse.
La tutela del lavoro nella Costituzione: il principio fondamentale in materia di tutela del lavoro è
proclamato dal 1° comma dell’art.35, per il quale la Repubblica assume a suo compito la tutela del
lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Si prevedono inoltre accordi internazionali per
affermare e regolare i diritti del lavoratore e si riconosce la libertà di emigrazione con conseguente
tutela del lavoro italiano all’estero.
L’art.36 stabilisce il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del
suo lavoro (principio della giusta retribuzione) e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla
sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (principio della retribuzione familiare). La retribuzione
non è la sola corrisposta durante il rapporto di lavoro, ma anche quella differita. Quanto all’orario di
lavoro, l’articolo riserva alla legge la competenza a stabilire la durata massima della giornata
lavorativa, e infine, stabilisce il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite, cui il
lavoratore non può rinunciare.
L’art.37 tutela in particolare la posizione della donna, il cui trattamento nel rapporto di lavoro deve
essere equiparato a quello dell’uomo, e privilegia, giustamente, la lavoratrice in relazione alla sua
essenziale funzione familiare, più rilevante in presenza di figli piccoli. Per quanto riguarda il lavoro
minorile, la Costituzione rimanda alla legge per stabilire il limite minimo d’età per il lavoro
salariato (fissato in 15 anni), e tutela la posizione del minore nell’attività lavorativa.
Lo Statuto dei lavoratori: ampia tutela, tanto sul piano sostanziale tanto su quello processuale, alla
libertà e dignità del lavoratore e della libertà sindacale, viene attuata dalla l.20 maggio 1970, n.300,
il cosiddetto Statuto dei lavoratori. Tralasciando il piano sostanziale, per il quale vengono enunciati
numerosi diritti dei lavoratori, sotto il profilo processuale viene prevista una speciale procedura
dinanzi al pretore per la repressione della condotta antisindacale nonché la legittimazione delle
organizzazioni sindacali a promuovere il procedimento giudiziario di che trattasi. Giudice del
lavoro di primo grado è in ogni caso il pretore e contro le sue sentenze è ammesso ricorso al
tribunale competente, in funzione di giudice del lavoro. La sentenza del tribunale è ricorribile alla
Corte di Cassazione, secondo il rito ordinario.
Collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende: in forza dell’art.46 Cost., la Repubblica
riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, nei modi e nei limiti
stabiliti dalla legge. La disposizione mira a elevare il lavoratore da strumento a collaboratore della
produzione, ma in quanto norma programmatica e diretta quindi al legislatore non ha potuto essere
applicata non essendo intervenute le necessarie disposizioni legislative (tranne Olivetti e Ilva).
Il sindacato: lo strumento più efficace per la tutela del lavoratore, e particolarmente del lavoratore
subordinato, è il sindacato. L’art.39 Cost. sancisce anzitutto il principio fondamentale della libertà
dell’organizzazione sindacale. Questo significa libertà di costituzione di uno o più sindacati e libertà
per ogni lavoratore di aderire o meno al sindacato. L’unico obbligo che può essere imposto ai
sindacati, a norma dell’art.39, è la loro registrazione presso uffici centrali e locali, alla sola
condizione che gli statuti dei sindacati che chiedono la registrazione sanciscano un ordinamento
interno a base democratica. Con la registrazione, i sindacati acquistano personalità giuridica.
Tale registrazione, ai sensi di Costituzione, deve avvenire però in base a norme da stabilirsi con
legge ordinaria (legge sindacale) e poiché tale legge non è intervenuta, fino ad oggi, anche a causa
della netta opposizione dei sindacati all’adozione delle necessarie disposizioni legislative, le norme
costituzionali non possono trovare attuazione. La mancanza di registrazione rende dunque
impossibile la stipulazione di contratti collettivi di lavoro di diritto pubblico (previsti dall’art.39),
sicché accanto ai contratti individuali di lavoro sono possibili solo i contratti collettivi di lavoro di
diritto privato o di diritto comune.
Il diritto di sciopero e i suoi limiti: lo sciopero è un’astensione dalla prestazione del lavoro
effettuata da una pluralità di lavoratori e che non dà luogo a una violazione del contratto di lavoro,
sicché il datore di lavoro può solo non corrispondere la retribuzione.
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Lo sciopero, fondamentale strumento di autotutela dei lavoratori, vietato dal codice penale fascista,
è stato dichiarato dall’art.40 Cost. un diritto, anche se viene operato un rinvio alla legge ordinaria
per la determinazione delle modalità (e quindi anche dei limiti) per l’esercizio di tale diritto.
Più di recente, la Corte Costituzionale ha affermato la legittimità non solo dello sciopero rivolto a
conseguire fini di carattere economico, ma anche di scioperi politici, di solidarietà, di pressione.
Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali: la l.12 giugno 1990, n.146, contiene norme importanti
riguardo allo sciopero nei servizi pubblici essenziali, quelli cioè volti a garantire il godimento dei
diritti della persona, costituzionalmente tutelati. Nei servizi pubblici essenziali stabiliti dalla legge,
il diritto di sciopero non può esercitarsi se non : a) con un preavviso di almeno 10 giorni; b) con la
predisposizione di prestazioni indispensabili; c)con l’indicazione della durata della astensione dal
lavoro; d) con comunicazioni adeguate agli utenti. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il
prefetto,in caso di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente
garantiti, possono adottare un’ordinanza diretta a garantire le prestazioni indispensabili.
E’ stata inoltre istituita una Commissione di garanzia per l’attuazione della legge 146.
La serrata: la Costituzione non disciplina la serrata, ovvero la sospensione totale o parziale della
attività da parte del datore di lavoro per finalità collegate o meno al contratto di lavoro. Si ritiene
che essa non possa più essere considerata un delitto, mentre può concretare un illecito civile.
Libertà di iniziativa economica privata: l’art.41 Cost.: a) afferma il
principio della libertà dell’iniziativa economica privata; b) indica i limiti cui
deve attenersi tale iniziativa (non può svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana); c) rinvia alla legge per la determinazione di programmi ed i
controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
La programmazione economica: essa è dunque prevista dall’art.41, e
avrebbe dovuto concretarsi in interventi dello Stato in settori
determinati dalla legge, non solo mediante disposizioni di stimolo o di
incentivo, ma anche mediante disposizioni imperative, giustificate da quei
fini di utilità sociale che vanno perseguiti, tenendo comunque conto del
principio della libertà di iniziativa economica privata. Tale
programmazione non ha comunque ottenuto risultati positivi, se non con
interventi programmatori di estensione settoriale.
Nazionalizzazione delle imprese: strumento rilevante di intervento pubblico nell’economia è la
nazionalizzazione delle imprese, che oggi ha perduto buona parte della sua efficacia. L’art.43 ha
introdotto il principio della possibile nazionalizzazione delle imprese, circondandolo di cautele.
Innanzitutto l’atto a disporre la nazionalizzazione è la legge. Poi deve esistere un fine di utilità
generale, deve trattarsi di imprese, aventi carattere di preminente interesse generale, che si
riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio. Qualora
ricorrano queste condizioni, tali imprese possono essere riservate originariamente o trasferite,
mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o
i utenti. Il caso più rilevante di nazionalizzazione si è avuto con l’ENEL (1962).
Il diritto di proprietà e i suoi limiti: nel Codice del 1942 e nella Costituzione il diritto di proprietà
viene riconosciuto, ma rispetto al passato viene circondato da limiti. L’art.42 Cost., riconoscendo il
diritto di proprietà, ne sottolinea la funzione sociale, affidando alla legge il compito di renderla
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accessibile a tutti. Come afferma l’art.42, la proprietà è pubblica e privata e i beni economici
appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
Espropriazione per pubblico interesse: ai sensi dello stesso art.42, la proprietà privata può essere
espropriata per motivi di interesse generale, nei casi previsti dalla legge (➪ riserva di legge
assoluta) e salvo indennizzo che, secondo il parere della Corte Costituzionale, deve consistere in un
“serio ristoro del pregiudizio economico risultante dall’espropriazione”.
Disciplina della proprietà terriera privata: disposizioni particolari, legate ad un antica battaglia
contro il latifondo, sono dettate dall’art.44 Cost. in materia di proprietà terriera privata, al fine di
conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali.
La Costituzione rinvia alla legge per stabilire le norme e i limiti della successione legittima e
testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Altre disposizioni costituzionali in materia economica: altre disposizioni costituzionali sono dettate
in materia di cooperazione, a favore dell’artigianato, di incoraggiamento al risparmio, e in materia
di credito.
Assistenza e sicurezza sociale: l’art.38 Cost. introduce il principio della sicurezza sociale,
affermando che ogni cittadino inabile e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale. Viene inoltre affermato il diritto di lavoratori infortunati,
malati, invalidi, anziani, ecc.…di godere un sistema di assistenza e di previdenza, che si concreta
attraverso le assicurazioni sociali. Il relativo finanziamento è oggi in larga misura a carico dei datori
di lavoro e dei lavoratori con la necessità, però, di massicci interventi pubblici.
Un serio sistema di sicurezza sociale non potrà non accompagnarsi a profonde revisioni dell’attuale
struttura previdenziale e assistenziale pubblica per evitare che finalità giuste e doverose siano
compromesse da oneri economici ingiustificati ed eccessivi, capaci di determinare il dissesto della
finanza pubblica e dell’economia del Paese.
PARTE SETTIMA
LE GARANZIE COSTITUZIONALI
CAPITOLO 2
LA CORTE COSTITUZIONALE
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SEZIONE II: POSIZIONE E STRUTTURA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Nel nostro ordinamento non fu mai contestata la scelta di istituire una magistratura costituzionale, al
fine di assicurare il rispetto dell’ordine costituzionale delle competenze, mentre si discusse se
assegnare o meno alla Corte una composizione influenzata dal dato politico, propendendo per il no.
L’art.137 Cost. riserva alla legge costituzionale (legge cost.1953,n.1) di stabilire le condizioni, le forme,
i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, nonché le garanzie di indipendenza dei
giudici della Corte, mentre le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte
sono stabilite con legge ordinaria (legge 1953,n.87).
La composizione della Corte Costituzionale: la composizione della Corte Costituzionale è disciplinata
anzitutto dall’art.135 Cost., modificato dalla l.cost. 1967,n.2.
I giudici della Corte sono quindici e sono nominati, in ordina successivo: dalle supreme magistrature
ordinaria e amministrativa (1/5), dal Parlamento in seduta comune (1/5), dal presidente della Repubblica
(1/5). Tali giudici sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e
amministrative, tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo 20
anni di esercizio, e durano in carica 9 anni. Viene esclusa l’ipotesi della proroga dei poteri con
l’eccezione del caso di scadenza di un giudice durante un processo penale costituzionale: il giudice resta
in carica limitatamente allo svolgimento di quel processo e fino alla sua conclusione. I giudici non
possono essere nuovamente nominati, scaduti i 9 anni.
Per i soli giudizi di accusa contro il presidente della Repubblica è prevista una composizione allargata
della Corte Costituzionale: accanto ai quindici giudici ordinari intervengono altri sedici giudici
“aggregati”, di origine più accentuatamente politica, tratti a sorte da un elenco, compilato dal
Parlamento, di 45 cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore (aventi 40 anni).
“Status” dei giudici costituzionali: ogni giudice, prima di assumere le funzioni, presta giuramento nelle
mani del presidente della repubblica di osservare la Costituzione e le leggi, e da tale momento
decorrono i 9 anni di durata della carica. La l.cost. 1953,n.1 e la l. 1953,n.87 disciplinano lo status di
giudice costituzionale: sostanzialmente i giudici non possono assumere o conservare altri impieghi
lavorativi, possono iscriversi a partiti politici ma non esercitare l’attività di partito e godono
dell’immunità accordata ai membri della Camera (senza autorizzazione della C.Cost., non possono essere
arrestati, perquisiti, ecc.. e godono di una cospicua retribuzione). I giudici costituzionali inoltre non
sono sindacabili né possono essere perseguiti per le opinioni espresse e per i voti dati nell’esercizio
delle loro funzioni; non possono essere rimossi né sospesi dal loro ufficio se non con decisione della
Corte, per sopravvenuta incapacità fisica o civile o per gravi mancanze nell’esercizio delle loro funzioni.
Infine va ricordato che un giudice che per 6 mesi non eserciti le sue funzioni decade dalla carica.
Organizzazione interna della Corte Costituzionale: il presidente della Corte Costituzionale, che dura in
carica 3 anni, è eletto dai giudici ordinari a maggioranza dei componenti; nel caso nessuno riporti la
maggioranza si procede a una seconda votazione, ed eventualmente a ballottaggio.
Subito dopo l’elezione, il presidente designa un giudice che assume il ruolo di vice presidente, destinato
a sostituirlo per il tempo necessario in caso di impedimento. E’ prevista inoltre la costituzione di un
ufficio di presidenza composto del presidente, del vice presidente e di 4 giudici, eletti per 2 anni dalla
Corte a scrutinio segreto. Ancora, la Corte procede all’elezione di due commissioni di tra giudici
ciascuna, una per gli studi e i regolamenti, l’altra per la biblioteca.
La Corte Costituzionale ha sede a Roma nel Palazzo della consulta. La destinazione di tale Palazzo,
compresi gli accessori, le pertinenze e gli arredi, a sede permanente della Corte, costituisce
un’ulteriore garanzia in favore dell’indipendenza e dell’autonomia della Corte.
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1) sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di
legge, dello Stato e delle Regioni;
2) sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le
Regioni;
3) sulle accuse promosse contro il presidente della Repubblica a norma della Costituzione;
4) sull’ammissibilità rispetto all’art.75 Cost. delle richieste di referendum abrogativi (secondo la
l.cost. 11 marzo 1953).
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riguarda l’impugnazione da parte delle Regioni di leggi o atti con forza di legge statali e di leggi di altre
Regioni, questa è sempre successiva alla pubblicazione.
I motivi di ricorso: le leggi statali possono essere impugnate dalle Regioni solo per “invasione di
competenza”, la legge regionale, invece, può essere impugnata dal Governo quando esso ritenga che la
legge “ecceda la competenza della Regione”, ma comprendendo anche qualsiasi vizio di incostituzionalità.
Se però l’impugnazione della legge regionale è proposta da un’altra regione, il vizio deve riguardare la
violazione della Regione corrente (di nuovo incompetenza in senso stretto).
b) Procedimenti in via di eccezione: i soggetti diversi dallo Stato e dalle Regioni possono chiamare in
causa la C. Costituzionale per far valere l’illegittimità di una legge soltanto in via di eccezione.
Tale procedura presuppone:
- l’esistenza di un giudizio principale dinanzi ad un’autorità giurisdizionale;
- la necessità di applicare, nel corso di tale giudizio, una disposizione legislativa che una parte, o il
pubblico ministero, o lo stesso giudice sospetta di incostituzionalità;
- la questione di costituzionalità sollevata mediante istanza da una delle parti o d’ufficio, che si
configura come incidente processuale;
- un preliminare esame del giudice per accertare che la disposizione enunciata sia rilevante (nel senso
che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della proposta
questione) e che la questione non sia manifestamente infondata;
- l’emissione di un’ordinanza con la quale il giudice del procedimento principale dispone l’immediata
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso.
La rilevanza della questione e la non manifesta infondatezza trovano giustificazione nell’esigenza non
solo che esista un filtro selettore delle questioni di costituzionalità ma anche che esso funzioni
correttamente per evitare che la legge venga aggirata e siano portate al giudizio della Corte questioni
la cui decisione non ha influenza sulla definizione del processo principale.
Con l’ordinanza di rimessione, che deve indicare le disposizioni dell’atto che si ritengono viziate da
illegittimità costituzionale e quelle della Costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono
violate, la questione di costituzionalità è sottoposta al suo giudice naturale, cioè la Corte Costituzionale.
Si instaura così il processo di costituzionalità.
La decisione della Corte: l’art. 18 della legge 1953,n.87, pur subendo eccezioni, stabilisce che la Corte
giudica in via definitiva con sentenza, mentre gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati
con ordinanza. Le sentenze della Corte, secondo lo schema più semplice, possono essere di accoglimento
(e quindi incostituzionalità) o di rigetto. Principio generale nella decisione della controversia da parte
della Corte è la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ma possono esserci due eccezioni: a) la
Corte stessa, nel corso di un processo in svolgimento dinanzi ad essa sollevi eccezione di
incostituzionalità nei confronti di una disposizione da applicarsi nel processo di che trattasi; b) la Corte
dichiari l’illegittimità di altre disposizioni legislative, in conseguenza dell’illegittimità delle disposizioni
impugnate.
Le sentenze di accoglimento: le sentenze di accoglimento sono pubblicate due volte: mediante deposito
in cancelleria, come le sentenze delle altre magistrature, ed entro dieci giorni “nella medesima forma
stabilita per la pubblicazione dell’atto dichiarato costituzionalmente illegittimo” , e cioè sulla Gazzetta
Ufficiale e, in caso di legge regionale, sul Bollettino Ufficiale della Regione. E’ stata inoltre disposta la
pubblicazione del testo integrale di tutte le sentenze della Corte nella prima parte della Gazzetta
Ufficiale.
Secondo l’art. 136 Cost. “la norma dichiarata incostituzionale dalla Corte cessa di avere efficacia dal
giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Con la legge 57/1983 viene però dichiarata la
retroattività della pronuncia della Corte: dal giorno successivo alla pronuncia della Corte la legge
dichiarata incostituzionale non può più avere applicazione, con l’eccezione dei rapporti già esauriti
(sentenza passata in giudicato, prescrizione maturata, decadenza). Tale eccezione non vale comunque in
materia penale, dove la sentenza ha efficacia totalmente retroattiva.
Le sentenze di rigetto: come tutte le sentenze della Corte Costituzionale, sono pubblicate per esteso
nella Gazzetta Ufficiale; a differenza delle sentenze di accoglimento, le decisioni di rigetto non hanno
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efficacia generale, e i loro effetti sono limitati al processo nel corso del quale è stata sollevata
l’eccezione. Nulla esclude che sotto altri profili, o in riferimento a disposizioni costituzionali diverse da
quelle enunciate nell’eccezione che ha dato luogo al giudizio,la legge sia incostituzionale e tale possa
venir giudicata dalla Corte in un successivo processo.
Altre sentenze: accanto alle sentenze di accoglimento e di rigetto, espressamente previste dalla legge,
la pratica ha evidenziato un altro tipo di sentenze, definite volta a volta interpretative, condizionali,
parziali, correttive, addittive, manipolative e talora “monitorie” (verso il legislatore), che hanno
accentuato il ruolo politico della Corte e hanno solo forza di legge ordinaria.
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4. IL GIUDIZIO SULLE ACCUSE CONTRO IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Procedimento per la messa in stato d’accusa: l’art.90 Cost. dispone che il presidente della Repubblica
responsabile di alto tradimento o di attentato alla Costituzione è messo in stato d’accusa dal
Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri.
I successivi atti e rapporti vengono trasmessi ad un apposito Comitato parlamentare per i procedimenti
d’accusa, che compie le indagini del caso e, se non si dichiara incompetente e non dispone l’archiviazione,
dopo richiesta di un quarto dei componenti del Parlamento in seduta comune presenta la propria
relazione al Parlamento, che nel caso di messa in stato di accusa deve riportare le indicazioni degli
addebiti con le relative ipotesi di reato e degli elementi su cui la proposta è basata,.
Entro 30 giorni dalla presentazione della relazione del Comitato viene convocato il Parlamento in seduta
comune: in caso di proposta di messa in stato d’accusa, si vota a scrutinio segreto e la deliberazione
deve essere adottata a maggioranza assoluta. Qualora il Parlamento abbia deliberato la messa in stato
d’accusa, il presidente della Camera trasmette entro due giorni l’atto di accusa della Corte
Costituzionale unitamente alla relazione del Comitato per i giudizi di accusa, alle eventuali relazioni di
minoranza e agli atti e ai documenti del procedimento.
Procedimento di fronte alla Corte Costituzionale: la composizione della Corte sale in questo caso a
trentun membri per la ”aggregazione” di altri sedici giudici. Alle udienze devono partecipare tutti i
giudici che non siano legittimamente impediti e il giudice assente ad un’udienza non può partecipare alle
udienze successive. Dopo aver nominato un giudice per l’interrogatorio, gli atti istruttori necessari e la
relazione, si passa al dibattimento e poi alla riunione in Camera di consiglio. Ogni giudice esprime
oralmente la propria votazione, senza possibilità di astensione, e distintamente per ogni capo
d’imputazione. Il dispositivo della sentenza è letto dal Presidente in pubblica udienza. La sentenza è
depositata in cancelleria e trasmessa al Ministro di Grazia e Giustizia per la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale; essa è inappellabile e può solo essere sottoposta a revisione ove, dopo la condanna,
sopravvengano o si scoprano fatti nuovi importanti.
La pena irrogabile al presidente della Repubblica può raggiungere l’ergastolo, mentre per le altre
sanzioni è da ritenersi certa la pronuncia della decadenza della carica, nonché l’interdizione dai pubblici
uffici e gli eventuali risarcimenti di danni, in conformità alle norme generalmente vigenti.
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