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PARTE I – DIRITTO, ORDINAMENTO GIURIDICO E STATO

Capitolo 1 - Il Diritto (Norma e Ordinamento giuridico)


Capitolo 2 - Le Fonti del diritto
Capitolo 3 – Lo Stato e i suoi elementi costitutivi
PARTE III - LA COSTITUZIONE E LE VICENDE COSTITUZIONALI ITALIANE
Capitolo 1 - La Costituzione : teorie generali
Capitolo 2 - Cenni di storia costituzionale italiana
PARTE IV - L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
Capitolo 1 - Teorie generali : Le forme di Governo
Capitolo 2 - Il Parlamento
Capitolo 3 - Il Presidente della Repubblica
Capitolo 4 - Il Governo
Capitolo 5 - La pubblica amministrazione
Capitolo 6 - Gli Organi ausiliari
Capitolo 7 - La Magistratura
PARTE V - LE AUTONOMIE LOCALI, LE REGIONI
Capitolo 1 - Le autonomie locali nella Costituzione
Capitolo 2 - La Regione
Capitolo 3 - Gli enti locali infraregionali
PARTE VI - DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
Capitolo 1 - Le posizioni giuridiche soggettive e dichiarazioni dei redditi
Capitolo 2 - Il principio di uguaglianza
Capitolo 3 - I diritti di libertà civile
Capitolo 4 - I diritti civili. I rapporti etico sociali
Capitolo 5 - I rapporti economici
PARTE VII - LE GARANZIE COSTITUZIONALI
Capitolo 1 - La Corte Costituzionale
PARTE PRIMA
DIRITTO, ORDINAMENTO GIURIDICO E STATO

CAPITOLO 1
IL DIRITTO (NORMA E ORDINAMENTO GIURIDICO)

• Il diritto si presenta come un insieme di regole dirette a disciplinare il comportamento dell’uomo


nella società .
• Le norme sociali sono regole del dover essere, le leggi naturali sono regole dell’essere (descrivono
quello che è).
• Il diritto dello Stato, proprio per la sua maggior forza dovuta all’autorità preminente dell’ente
sociale che lo esprime, è il fenomeno giuridico più rilevante e prevalente.
• Le funzioni del diritto sono:
− repressione dei comportamenti socialmente dannosi  diritto penale
− allocazione di beni e servizi a favore degli individui e della società  diritto civile
− disciplina delle istituzioni e delle distribuzione dei poteri (allocazione dei poteri pubblici) 
diritto processuale.
• Caratteri della norma giuridica:
− generalità: applicabile a tutti coloro che si trovino nella situazione disciplinata dalla norma;
− astrattezza: esprime una volontà preliminare  disciplina situazioni che potranno verificarsi;
− novità: deve innovare l’ordinamento, o disciplinando situazioni prima non considerate o
modificando una precedente disciplina;
− esteriorità: oggetto della sua disciplina è l’azione esterna del soggetto (il suo agire);
− interdipendenza: crea un’interdipendenza tra posizioni di vantaggio e di svantaggio;
− imperatività: contiene un precetto la cui attuazione è garantita da un meccanismo sanzionatorio.
• Teoria “normativa”: nell’ordinamento giuridico dalla norma fondamentale si giunge al comando
concreto in una disposizione gradualistica di rigorosa correlazione tra norme sopra e sottoordinate
(Scuola viennese).
• Teoria “istituzionale”: un ordinamento non si risolve solo di norme: il diritto è innanzitutto assetto
della collettività e la norma è solo la manifestazione di tale assetto.
• Alle due teorie si preferisce la tesi secondo cui l’organizzazione sociale traduce nelle norme e
nell’ordinamento le proprie finalità e le scelte che compie di fronte a problemi storici.
• Esistono una pluralità di ordinamenti giuridici, dati dalla pluralità degli Stati. Ma per accertare la
reale esistenza di un ordinamento si deve verificare l’effettività, ovvero la vigenza delle norme da
esso poste.
• Il diritto privato è il diritto degli interessi particolari, che sono trattati come interessi disponibili
 bisogni, esigenze, finalità, valori dei quali gli stessi interessati possono decidere, in certi limiti,
se e come cercare la soddisfazione o accettare il sacrificio.
• Il diritto pubblico è il diritto degli interessi generali, e quindi sono diritti indisponibili sia da un
singolo interessato che da un gruppo di interessati  essi riguardano infatti tutta la collettività e
perciò la loro concreta realizzazione sono affidati alla pubblica autorità.
• Il diritto pubblico si divide in diritto interno e internazionale.
• Il diritto pubblico interno si distingue in diritto costituzionale, amministrativo, penale, processuale
(civile, penale e amministrativo), ecclesiastico, tributario, dell’economia, etc.

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CAPITOLO 2
LE FONTI DEL DIRITTO

SEZIONE I : LE FONTI DEL DIRITTO IN GENERALE


La norma giuridica è prodotta da atti o fatti considerati idonei a porre regole di comportamento,
costitutive del diritto oggettivo: tali fatti o atti sono definiti fonti del diritto.
Le fonti-fatto sono collegate alla ripetitività di comportamenti o all’assunzione di determinati
accadimenti o situazioni quali fatti idonei a determinare regole di comportamento obbligatori e per
tutti i consociati, dando vita a un diritto non volontario appunto perché derivante da fatti e non da
atti.
Le fonti-atto, invece, sono manifestazioni volontarie dei soggetti cui è riconosciuta la competenza a
dettare regole di comportamento e in quanto tali si traducono in documenti, produttivi di norme
giuridiche che, adottati secondo le procedure prescritte, hanno la forza ad essi attribuita
dall’ordinamento. Ogni ordinamento riconosce le proprie fonti legali.
Le fonti-fatto:
- la consuetudine : perché una consuetudine si formi si richiede un comportamento ripetuto nel
tempo tali da indicare una relativa stabilità e uniformità (condizione oggettiva), e che tali
comportamenti siano tenuti dai soggetti con il convincimento di conformarsi a una regola
giuridica(condizione soggettiva). Solitamente la consuetudine regole materia non disciplinata
dal diritto scritto, oppure funge da “conferma” del diritto scritto esistente.
- la necessità : si richiede una necessità straordinaria da non poter essere soddisfatta con le
procedure formali, di situazioni non prevedibili e non disciplinabili a priori, che trovano nella
necessità straordinaria la loro giustificazione e la loro fonte (stato d’assedio, eventi bellici..).
- il rinvio a fonti di altri ordinamenti : perché l’efficacia delle norme internazionale si dispieghi
anche nell’ordinamento interno, è necessario un atto di esecuzione da parte dello Stato oppure
un rinvio alla fonte internazionale, che può essere rinvio mobile (efficacia anche alle
disposizioni che nel tempo la norma produrrà) oppure rinvio recettizio (efficacia alla sola legge)
Le fonti-atto nell’ordinamento italiano, secondo la disposizione gerarchica:
- Costituzione e leggi equiparate (leggi di revisione cost. e leggi costituzionali).Fonte costituente
- Legge ordinaria e atti equiparati (decreti legislativi, decreti legge, referendum abrogativo)
- Regolamenti interni degli organi costituzionali (due Camere, presidenza Repub.,Corte costituz.)
- Regolamenti statali (decreti del presidente della Repubblica o decreti ministeriali)
- Fonti di ordinamenti territoriali minori: leggi regionali, regolamenti regionali, statuti
- Disposizioni normative della Comunità Europea abilitate ad operare nel nostro ordinamento
I problemi di antinomia tra le fonti possono essere risolti attraverso due criteri :
• Criterio gerarchico : non tutte le norme hanno la stessa forza giuridica, essendovene alcune
sovraordinate. In certi casi va combinato con il criterio di competenza.
• Criterio cronologico : si fonda sul principio che tra più fonti o norme pariordinate prevale, in
caso di contrasto, quella più recente.
→ Riserva di legge : stabilita dalla Costituzione. Una certa materia può essere regolata solo dalla
legge o da atto di grado pari o sovraordinato : può essere assoluta (l’intera materia regolata dalla
legge) o relativa (la disciplina ulteriore può essere posta da fonti subordinate)
→ Preferenza di legge : se la legge disciplina anche materie non coperte dalla legge, essa prevale
su qualsiasi disciplina subordinata già eventualmente esistente e preclude l’adozione di
disposizioni secondarie in contrasto con la disciplina legislativa.
→ Principio di legalità : l’esercizio di autorità amministrativa deve trovare sia il proprio limite
negativo sia il proprio fondamento positivo in una previa norma di legge.
Le fonti di produzione pongono le norme di comportamento costitutive del diritto oggettivo.
Le fonti sulla produzione disciplinano i procedimenti delle fonti di produzione, indicando chi è
competente ad adottarle e i modi della loro adozione.
SEZIONE II : FORMAZIONE ED EFFICACIA DELLE FONTI
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Le fonti entrano in vigore dopo la promulgazione o emanazione seguita dalla pubblicazione nelle
forme previste dall’ordinamento e dal decorso di un periodo di tempo definito vacatio legis, alla cui
scadenza l’atto normativo diverrà obbligatorio. Le leggi e gli ordinamenti divengono infatti
obbligatori nel quindicesimo giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia
altrimenti disposto. Con l’entrata in vigore → la legge acquista efficacia.
Efficacia in relazione al tempo : la legge non dispone che per l’avvenire e dunque non può avere di
regola efficacia retroattiva.
Efficacia in relazione allo spazio : può variare in relazione all’ente al quale le fonti appartengono.
Efficacia in relazione ai soggetti : la legge è applicabile a tutti coloro che sono soggetti alla
sovranità dello stato, o che sono residenti sul territorio o cittadini dello Stato.
Leggi eccezionali . disposizioni dettate per disciplinare situazioni che derogano alla generalità della
disciplina e in termini che non ammettono ripetitività, come invece avviene per le leggi speciali.

SEZIONE III : L’INTERPRETAZIONE DELLE FONTI – ATTO :


Per interpretare le norme giuridiche si ricorre a :
• Interpretazione letterale : deve risultare dalla rilevanza testuale dei vocaboli e dalla loro
connessione che può modificarne la dinamica.
• Interpretazione sistematica: si mira a ricostruire non tanto la volontà del legislatore, quanto la
“volontà della legge”, che si è oggettivata nel testo normativo e va interpretata per quello che è,
ma partendo dal presupposto che sia conforme al sistema giuridico. Spesso, collegandole alla
presumibile volontà della legge, si effettuano interpretazioni estensive o restrittive.
• Analogia legis : si basa sul principio logico che se il legislatore avesse dovuto regolare una data
fattispecie nata successivamente all’adozione di una certa disposizione normativa, lo avrebbe
fatto basandosi sulle stesse idee che lo avevano spinto a disciplinare casi analoghi o simili.
• Analogia iuris : quando non si può ricorrere ai casi analoghi, è possibile far riferimento ai
principi generali dell’ordinamento giuridico.

SEZIONE IV: L’ABROGAZIONE DELLA LEGGE :


La legge è destinata a produrre norme giuridiche fino a che resti efficace. L’efficacia può cessare
per scadenza del termine (legge ad tempus), per dichiarazione di illegittimità costituzionale, o per
abrogazione → finalità di far cessare l’efficacia della legge precedente.
Secondo l’ art. 15 delle “Preleggi” può esserci :
- abrogazione esplicita, cioè espressamente dichiarata dalla dichiarazione posteriore che fa venir
meno la vigenza e l’efficacia della legge anteriore. E’ indispensabile per leggi speciali;
- abrogazione implicita, per l’incompatibilità tra le disposizioni nuove e le precedenti o perché la
nuova legge disciplina interamente la materia regolata da legge anteriore

CAPITOLO 3
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LO STATO E U SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI

SEZIONE I: CONCETTI GENERALI


Lo Stato, ordinamento giuridico più rilevante, può essere costituito da una collettività stabilmente
stanziata su un territorio e fornito di una sovranità (difesa all’esterno e ordine interno).
È il solo ente ad essere contemporaneamente ente politico, territoriale, sovrano.
Stato come ente politico: può assumere a contenuto della propria azione tutte le finalità che
storicamente ritenga opportuno assumere (politicità = libertà dei fini).
Tutti gli Stati hanno in generale il fine comune di sopravvivere, e ogni Stato ha poi finalità particolari: il
punto che differenzia la politicità degli enti territoriali infrastatali dalla Stato è che quest’ultimo è
sovrano dunque originario, mentre gli altri enti sono derivati dunque solo autonomi.

SEZIONE II: GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLO STATO


Elementi costitutivi dello Stato: popolo, territorio, sovranità.
POPOLO: del popolo fanno parte soltanto coloro che hanno con lo Stato un rapporto di cittadinanza, che
conferisce alla persona diritti e doveri.

La cittadinanza si può acquistare:


• al momento della nascita:
− jus sanguinis  per discendenza da genitore/i cittadini (usato in Italia)
− jus soli  per nascita sul territorio dello Stato da genitori ignoti o apolidi (utilizzato in Italia
in via sussidiaria)
• successivamente alla nascita: per il verificarsi di situazioni previste dalla legge
− juris communicatio  per l’esistenza di particolari condizioni: come in caso di
matrimonio,straniero adottato da italiano, etc.
− naturalizzazione  per concessione da parte dello Stato: come in caso di straniero da 10 anni in
Italia, apolide da 5 anni in Italia, cittadino della CE da 4 anni in Italia , etc.
Il riacquisto della cittadinanza è precluso per chi la abbia perduta per indegnità e cioè per chi abbia
servito senza esservi obbligato uno Stato estero in guerra con l’Italia.

La cittadinanza italiana può essere perduta:


• per volontà del cittadino  ad es. quando egli si sia stabilito all’estero
• per statuizione di legge  ad es. per indegnità
È escluso che la perdita di cittadinanza possa essere determinata da motivi politici.

Cittadinanza europea  secondo il trattato di Maastricht chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato
membro possiede anche la cittadinanza dell’Unione europea.

Popolazione (≠ da popolo): complesso delle persone che si trovano stabilmente sul territorio dello Stato,
indipendentemente dal possesso della cittadinanza. Sono compresi stranieri e apolidi residenti, sono
esclusi i cittadini residenti all’estero.
Nazione (≠ da popolo): collettività che si caratterizza per la comunanza di lingua, tradizioni, religione,
cultura e simili, indipendentemente dall’appartenenza a uno Stato. Le minoranze nazionali sono
ampiamente tutelate.
Non sempre nazione e popolo coincidono: esistono casi di Stati plurinazionali (come lo Stato elvetico, i
cui cittadini hanno almeno 3 nazionalità, italiana, francese e tedesca) e nazioni divise fra più Stati
(come la Jugoslavia, dove i cittadini hanno nazionalità serba, croata, slovena, macedone e albanese).
Il possesso della cittadinanza non è legato alla residenza sul territorio  dal 1989 esiste una anagrafe
dei cittadini italiani residenti all’estero (A.I.R.E).

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TERRITORIO: è quella parte della superficie terrestre che entra a costituire un certo Stato storico e gli
è coessenziale costituendone sia lo spazio indispensabile sia la sfera di validità e di efficacia del
proprio ordinamento e del proprio imperio.
Elementi costitutivi del territorio:
• Terraferma: porzione di superficie terrestre che è delimitata dai confini, siano naturali (fiumi,
mari, catene montuose,…), siano stabiliti mediante accori internazionali.
• Mare territoriale: è costituito dalla fascia di mare lungo le coste che corrisponde alle esigenza di
vita e di difesa della comunità statale e sulla quale lo Stato esercita la propria sovranità (tra le 3 e
le 12 miglia marine).
Al di là dei limiti del mare territoriale il mare è considerato libero (principio della libertà dei mari)
sul quale ogni Stato ha lo stesso diritto a trarne tutte le utilità che il mare può offrire.
• Piattaforma continentale: è il sottosuolo marino attiguo alla terraferma, ma fuori del mare
territoriale, sul quale gli Stati costieri rivendicano la propria sovranità ai fini di sfruttamento.
• Zona economica esclusiva: zona nella quale tutte le risorse economiche della zona, fino al limite di
200 miglia marine dalla costa, sono di pertinenza dello Stato costiero, rimanendo salvo il diritto
degli altri Stati di navigazione, di sorvolo, di posa di cavi sottomarini e di oleodotti e di quant’altro
consentito dai legittimi usi internazionali.
• Soprasuolo: lo spazio aereo soprastante il territorio statale, comprendendo sia la terraferma sia il
mare territoriale. La sovranità sul soprasuolo so estende fino al limite max di utilizzazione.
• Sottosuolo: anche per le profondità, la sovranità si estende fino al limite max di utilizzazione nei
confini terrestri e del mare territoriale.

Extraterritorialità: vengono sottratte alla potestà di impero delle Stato una o più porzioni, per lo più
di limitatissima estensione, della terraferma costituente il territorio statale (ad esempio la Santa
Sede, le sedi diplomatiche, veicoli situati nello Stato che battono bandiera).
Ultraterritorialità: lo Stato può esercitare potere di imperio su porzioni di terraferma siti al di fuori
del proprio territorio (reciproco della extraterritorialità).

SOVRANITÀ: è la supremazia nei confronti di ogni altro ente esterno, che si concreta nell’affermazione
dell’originarietà dell’ordinamento giuridico e della sua indipendenza.
L’originarietà è una caratteristica giuridica, nel senso che ogni ordinamento statale, in quanto sovrano,
si autolegittima, cioè trova in sé medesimo la giustificazione giuridica della sua esistenza e del suo
potere.
L’indipendenza significa che ogni Stato, in quanto sovrano, non può essere subordinato ad altri
ordinamenti e, nel suo ambito, gode del diritto di esclusione degli altri.
La sovranità dello Stato può tuttavia spettare allo Stato inteso come Stato–governo e in Italia, Stato
repubblicano, secondo l’art. 1 della Cost., “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme
e nei limiti della costituzione” (non solo nel titolo, ma anche nell’esercizio)  esercizio delle scelte
politiche del corpo elettorale attraverso la forma rappresentativa. Le scelte del corpo elettorale sono
la forma di gran lunga oggi prevalente nell’esercizio della sovranità popolare.

SEZIONE III: LE FORME DI STATO


La forma di Stato si riferisce alla reciproca posizione degli elementi costitutivi dello Stato (popolo,
territorio e potere sovrano), ponendo quindi l’attenzione sulle finalità.
La forma di governo indica la distribuzione del potere tra gli organo costituzionali dello Stato e la loro
reciproca posizione, concentrandosi sui mezzi per raggiungere le finalità.
Le forme di Stato attraverso l’evoluzione storica:
• Stato o regime patrimoniale (ordinamento feudale): l’organizzazione del potere è di natura
privatistica, il titolare del potere rivendica come facenti parte del proprio patrimonio le terre
assoggettate al suo potere e gli uomini che le coltivano, manca cioè il carattere della politicità 

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non si prefigge il raggiungimento di interessi generali, ma solo la difesa di interessi di carattere
patrimoniale e privatistico.
• Stato assoluto (Principati, Comuni, Signorie): l’ordine sociale è fondato sul principio della potestà
assoluta sovrana e della gerarchia  il sovrano si eleva sulla collettività, escludendo qualsiasi
frazionamento dei poteri.
• Stato di polizia (monarchie illuminate, tardo Settecento): il sovrano è sempre più funzionario dello
Stato, è il “primo suddito”. Finalità dello Stato è curare i fini di benessere collettivo, considerato
un dovere del sovrano, concedendo libertà terriera e facendo giustizia amministrativa.
• Stato liberale (‘800): emerge il ceto borghese, la legittimazione del potere statale si basa sulla
derivatività dei cittadini, ora liberi  si va verso la democrazia contemporanea (supremazia della
legge).
Tra il 1789 e il 1848 si va affermando una nuova forma di Stato, incentrata soprattutto sulle teorie che
avevano generato la rivoluzione francese  Stato moderno.
Caratteristiche dello Stato moderno:
• Costituzionalità (dalla “dichiarazione dei diritti e dell’uomo e del cittadino” del 1789): la garanzia
dei diritti e la separazione dei poteri sono il contenuto minimo di questa forma di Stato.
• Giuridicità: lo Stato si sottopone al diritto e di questo ne assicura l’osservanza in riguardo a se
medesimo, per mezzo di apposite istituzioni  debbono esistere libertà individuali e meccanismi
per la loro protezione.
• Rappresentatività: esprime la partecipazione dei cittadini alla formazione della volontà dello Stato
 la legge è espressione della volontà generale. Almeno uno degli organi costituzionali dello Stato
deve essere rappresentativo della volontà popolare, cioè deve essere liberamente eletto. Si
presuppone dunque la libera scelta da parte dei rappresentati (cittadini) dei loro rappresentanti.
• Democraticità: assicura regole indispensabili quali il principio di maggioranza (chi ha il diritto di
scegliere e far prevalere la propria scelta) e il rispetto dei diritti delle minoranze (protezione del
diritto delle minoranze di divenire maggioranza).
La democraticità dello Stato può attuarsi nella democrazia diretta, in cui i cittadini partecipano
alle scelte dello Stato mediante votazione diretta (referendum o plebiscito) non molto utilizzata, o
nella democrazia rappresentativa, in cui i cittadini eleggono i loro rappresentanti e sono questi ad
adottare le necessarie decisioni nell’ambito delle assemblee rappresentative (è di regola utilizzata).

Lo Stato moderno non può garantirsi a garantire le libertà e ad assicurare il metodo democratico,
dovendo invece, operare incisivamente sui rapporti sociali.
Forme di Stato:
• Monarchia: il potere del capo dello Stato deriva immediatamente dalla Costituzione.
• Repubblica: il potere è rimesso alla scelta o alla decisione di un organo incaricato 
rappresentatività del capo dello Stato.
• Stato unitario: esiste un solo ordinamento giuridico sovrano (derivato)  un solo popolo, un solo
territorio, un solo potere sovrano.
• Stato composto o federale: incontro fra ordinamenti sovrani dal quale nasce un nuovo ordinamento
giuridico sovrano  somma dei popoli e dei territori degli Stati membri, mentre il potere sovrano si
esercita nell’ambito delle competenze che sono conferite alla Stato dalla costituzione federale.
Ogni Stato membro conserva i proprio elementi costitutivi ed esercita la propria sovranità nei limiti
delle competenze attribuitegli.

PARTE TERZA
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LA COSTITUZIONE
LE VICENDE COSTITUZIONALI ITALIANE

CAPITOLO 1
LA COSTITUZIONE: TEORIE GENERALI

Al vertice delle fonti, la Costituzione si trova in posizione primaria, per quanto riguarda i contenuti, e in
essa si riassumono i principi fondamentali, organizzativi e finalistici della comunità statale (art. 134,138
e 139 della Cost.).
La Costituzione è il complesso di norme, anche non scritte, per le quali uno Stato è quello che è in un
determinato contesto storico.
La Costituzione è coessenziale allo Stato  la Costituzione si pone con lo stesso porsi dello Stato e lo
Stato non può non averla.
La Costituzione è una legge fondamentale che presenta un contenuto legato a scelte politiche e finalità
precise da perseguire; la Costituzione nasce con la rivoluzione francese del 1789 con un contenuto
minimo corrispondente alle ideologie liberali del momento fondate sulla protezione dei diritti individuali
e sulla separazione dei poteri.
La Costituzione è un documento di grande rilevanza sul piano giuridico – formale (cioè l’organizzazione
dello Stato) e su quello politico ( traduce in norma giuridica le idealità politiche che ispirano i suoi
estensori).
• Costituzioni bilancio: traduco in norma positiva un movimento politico già realizzato che trova in
tale documento disposizioni sanzione e forza giuridica.
Costituzioni programma: pur fissando gli obiettivi da raggiungere sono da completare mediante
successivi interventi normativi.
• Costituzioni consuetudinarie: complesso di regole consuetudinarie.
Costituzioni scritte: le più sicure in quanto documenti scritti (le più diffuse). Anche in queste è
presente la consuetudine che colma le lacune o modifica il tenore delle disposizioni scritte.
• Costituzioni flessibili: quando,nella scala gerarchica delle fonti normative,le leggi fondamentali si
trovano in una posizione pariordinata alla legge ordinaria statale  qualsiasi legge ordinaria può
modificare la Costituzione (Inghilterra, Statuto Albertino).
Costituzione rigida: quando si pone al vertice delle fonti normative (forza formale superiore)  per
derogarla o abrogarla sono necessarie speciali procedure previste dalla stessa Costituzione.
Tale tipologia è maggiormente garantita contro eventuali mutamenti volute da maggioranze
contingenti o casuali  maggiore stabilità (art. 138 della Cost.).
• Costituzioni concesse: documenti che il sovrano adottava autolimitando il suo potere assoluto,
senza l’intervento, almeno formale, della volontà popolare (nel passaggio dallo Stato assoluto allo
Stato costituzionale).
Costituzioni votate: deliberate da assemblee rappresentative, per lo più appositamente elette,
definite assemblee costituenti (sono le più diffuse oggi).
• Costituzione formale: complesso delle fonti normative di grado costituzionale (si presuppone una
gerarchia fra fonti ordinarie e fonti costituzionali e si tiene conto soltanto della diversa forza
delle singole fonti prescindendo da ogni considerazione contenutistica).
Costituzione materiale: fanno parte tutte quelle norme che attengono a materia avente natura
costituzionale, o che in un determinato contesto storico-politico si ritengano così essenziali alla
definizione dello Stato da considerarsi parte della Costituzione.

Materia costituzionale: da comprendersi tutto quanto attiene all’organizzazione essenziale degli organi
costituzionali dello Stato (necessari alla sua esistenza), nonché i rapporti fra tali organi, i quali
concorrono a definire sia la forma dello Stato sia la forma del Governo e le disposizioni sulla produzione

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normativa almeno di grado primario; comprende anche tutto quanto attiene alla posizione dei cittadini
nell’ambito dello Stato, con particolare riferimento ai diritti e ai doveri dei cittadini.

CAPITOLO 2
CENNI DI STORIA COSTITUZIONALE ITALIANA

SEZIONE I: LO STATUTO
Dal punto di vista giuridico formale, lo Stato italiano sorge con la legge n.4671 del 17 marzo 1861, che
attribuisce al sovrano il titolo di Re d’Italia: si è trattata di una graduale incorporazione dei vari Stati
con province annesse al Regno di Sardegna, che mantenne la sua continuità assumendo la denominazione
di Regno d’Italia.
Lo Statuto Albertino è la Costituzione che Carlo Alberto concesse nel 1848, nel contesto della ventata
rivoluzionaria che sconvolse i residui assolutismi europei in quegli anni, ispirata ai principi di separazione
dei poteri e dell’uguaglianza dei sudditi: “legge fondamentale, perpetua e irrevocabile della monarchia”,
“concessa” dal sovrano. Il principio monarchico si associava a quello rappresentativo, anche se la
rappresentatività, espressa dalla Camera dei Deputati, era inizialmente assai circoscritta.
Lo Statuto era la Costituzione flessibile, e dimostrò una notevole capacità di adattamento adeguandosi
con relativa facilità ai mutamenti politici del periodo 1848 – 1922:
− sorto come Costituzione del Regno di Sardegna, divenne senza difficoltà Cost. del Regno d’Italia;
− da regime politico a partecipazione popolare ristretta sopportò il progressivo allargamento al
suffragio di sempre più ampie masse popolari;
− legato a un principio di discriminazione dei culti acattolici nei confronti della religione cattolica,
consentì l’affermarsi dell’eguaglianza fra i culti e la separazione fra Stato e Chiesa.
L’evoluzione storica venne bruscamente interrotta dall’avvento al potere del fascismo.
Sotto un profilo formale, il passaggio al fascismo è avvenuto nella legalità statuaria, anche se a partire
dal 1925 iniziò una azione di demolizione degli istituti costituzionali qualificanti del regime che si era
realizzato  limitazione e abolizione delle principali libertà, soppressione del carattere
rappresentativo dello Stato, eliminazione dell’eguaglianza fra i cittadini attraverso discriminazioni
razziali.
Il fascismo cadde fra il 25 luglio 1943 quando Mussolini perse il posto di Capo del Governo.

SEZIONE II: VERSO LA NUOVA COSTITUZIONE


Con la caduta del fascismo iniziò un processo di rinnovamento istituzionale che si incentrò nella scelta
repubblicana e nella approvazione di una nuova Costituzione. È il cosiddetto periodo transitorio (25
luglio 1943 – 1° gennaio 1948), in cui si distinguono quattro fasi:
− dalla caduta del fascismo (25 luglio 1943) all’annuncio dell’armistizio con gli alleati (8 settembre
1943)  sono detti i 45 giorni del Governo Badoglio durante i quali, mentre sul piano internazionale
si continuano le trattative per fa cessare la guerra del nostro Paese, sul piano interno il Re cerca di
addossare al fascismo ogni responsabilità del regime autoritario, permettendo alla monarchia di non
essere coinvolta nel crollo del regime;
− dall’armistizio fino alla presa di Roma da parte degli alleati (4 giugno 1944) e che è caratterizzata
soprattutto dal duro contrasto fra il Re Vittorio Emanuele III e i partiti del Comitato di
Liberazione Nazionale che, ritenendo il Re responsabile del periodo autoritario, chiedevano
l’elezione di un’Assemblea costituente per decidere delle nuove istituzioni del Paese  tali
rivendicazioni portarono al Patto di Salerno, in cui i partiti del C.N.L. accettavano di collaborare con
la monarchia fino alla fine della guerra a patto poi di eleggere la desiderata Assemblea costituente;
− dalla presa di Roma al referendum istituzionale con l’elezione dell’Assemblea costituente (2 giugno
1946). Vittorio Emanuele, in accordo con il C.N.L., nomina il figlio principe Umberto luogotenente
generale del Regno, con il compito di provvedere a tutti gli affari dell’amministrazione e

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all’esercizio di tutte le prerogative regie, firmando i reali decreti  nomina irrevocabile che
trasferisce tutti i poteri al principe.
La tregua istituzionale fu violata in due casi dalla monarchia fino al referendum istituzionale in cui il
popolo scelse la repubblica (invece della monarchia), 2 giugno 1946 (data di nascita della repubblica)
 16 giugno 1946 la Corte di cassazione, riunita a Montecitorio nella sala della Lupa, proclamò
ufficialmente la Repubblica con conseguente espulsione dei Savoia dal Paese;
− dalla prima riunione dell’Assemblea costituente (25 giugno 1946) fino al 1° gennaio 1948 con
l’entrata in vigore della nuova Costituzione  compito dell’Assemblea costituente fu quello di
redigere e di deliberare la nuova costituzione.
La redazione del progetto di costituzione fu affidata a una commissione di 75 deputati detta
Commissione dei 75 o Commissione Ruini.

SEZIONE III: LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA


La Costituzione si compone di 139 articoli e XVIII disposizioni finali e transitorie.
Comprende un nucleo di principi fondamentali (art. 1 – 12) e due parti:
− diritti e doveri dei cittadini (art. 13 – 54): si divide in 4 titoli, rapporti civili, rapporti etico-sociali,
rapporti economici, rapporti politici;
− all’ordinamento della Repubblica ( art. 55 – 139): si divide in 6 titoli, il parlamento, il presidente
della Repubblica, il governo, la magistratura, le regioni, le province, i comuni, le garanzie
costituzionali.
Le disposizioni finali e transitorie comprendono norme destinate a completare il testo costituzionale o
di efficacia limitata nel tempo.
Si può affermare che le caratteristiche della Costituzione italiana sono:
− rigidità: non assoluta, bensì attenuata, nel senso che è possibile modificarla, ma solo con un
progetto aggravato, e solo per alcuni aspetti;
− lunghezza: si occupa cioè di argomenti di cui non tutte le costituzioni si occupano;
− programmaticità: vengono stabiliti obiettivi e scelte di fondo da seguire. Esistono norme, da molti
criticate, che impegnano il legislatore futuro, e che impongono una tavola di principi e valori anche
per l’avvenire;
− apertura: molte norme hanno infatti un carattere generico, che riflettono il carattere
compromissorio.

Per quanto attiene al disegno generale e alle scelte principali operate dai costituenti la Costituzione fu
frutto di un compromesso tra i partiti popolari antifascisti (D.C., P.C.I., P.S.I.) costitutivi
dell’Assemblea costituente, e riflette così un’ispirazione di tipo cattolico – marxista, ma anche di tipo
liberale. Sebbene la Costituzione scaturì da un compromesso e un accordo, essi furono realizzati nel
segno dell’equilibrio senza creare fratture.
La Costituzione ha costituito un punto di incontro fra le maggiori forze popolari (che influenzarono la
sua redazione soprattutto nella parte dedicata ai diritti e ai principi fondamentali), ponendo le
premesse per una forte spinta innovativa della società nazionale e il fatto che fu approvata da una larga
maggioranza testimonia il fatto che tale compromesso fu un frutto scaturito dal pensiero di tutti gli
italiani in quel momento. Si verificò comunque una costante lentezza nell’attuazione delle disposizioni.
La Costituzione traduceva in norme positive le aspirazioni di libertà che avevano animato la lotta contro
il fascismo e il totalitarismo, facendo spazio al pluralismo politico e sociale e all’apertura sul piano
internazionale per favorire la pace e la giustizia fra le Nazioni.
La Costituzione fissa obiettivi il cui raggiungimento deve essere realizzato mediante legislazione
ordinaria.
A seguito dei dibattiti sulla revisione costituzionale venne presentata una proposta di legge
costituzionale che venne definitivamente approvata il 22 gennaio 1997 e promulgata come legge
costituzionale il 24 gennaio 1997. Tale legge ha isituito una Commissione parlamentare per le riforme
costituzionali composta di 70 parlamentari (35 deputati e 35 senatori) nominati dai presedenti delle
9
Camere su designazione dei presidenti dei gruppi, rispettando la proporzione esistente fra i gruppi
medesimi.
Tale Commissione aveva il compito di esaminare in sede referente i progetti di legge costituzionale ad
essa assegnati e soprattutto di redigere un progetto di legge di riforma della parte II della
Costituzione in particolare in materia di forma di Stato, forma di governo e bicameralismo, sistema
delle garanzie. Questo progetto di revisione provocò però opposizioni politiche, restando di fatto
bloccato.

10
PARTE QUARTA
L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
CAPITOLO 1
TEORIE GENERALI. LE FORME DI GOVERNO

Le forme di governo indicano il diverso assetto che si instaura tra gli organi titolari della potestà
suprema e segnatamente tra capo dello Stato, Governo, Parlamento e ordine giudiziario.
Per lo studio delle forme di governo realizzate nello Stato moderno è importante la teoria della
separazione dei poteri elaborata nella metà del ‘700 da Montesquieu (uno degli ispiratori della
rivoluzione francese e del costituzionalismo postrivoluzionario) nel libro “Esprit des lois”: egli mirava a
fondare una formula di buon governo, ma soprattutto a garantire la libertà  “Perché non si abusi del
potere bisogna che, per la stessa disposizione delle cose, il potere limiti il potere”, cioè attribuire i
poteri a organi portatori di principi politici diversi e potenzialmente contrastanti.
La novità introdotta da Montesquieu è che egli non si arresta alla constatazione dell’esistenza di tre
funzioni (come era già successo spesso in passato, come nel Medioevo), ma che le tre funzioni vengano
attribuite a organi distinti, in potenziale contrapposizione dialettica fra loro  le funzioni
fondamentali dello Stato, fare leggi, darvi esecuzione, giudicare i crimini e le controversie, devono
essere attribuite a organi distinti.
La concentrazione dei poteri in un solo organo, come nei regimi assoluti, era la causa degli abusi
dell’antico regime.
Le forme di governo che si realizzano nello Stato moderno e contemporaneo di democrazia classica
possono ridursi a quattro tipi principali:
• forma di governo costituzionale puro: caratterizzata da una rigida distinzione fra potere
legislativo (parlamento), cui compete esclusivamente la formazione delle leggi, ed esecutivo
(governo), cui compete solo, o quasi, l’attività amministrativa. Si presenta così la separazione dei
potere e anche la rigorosa indipendenza fra loro, sicchè il governo non ha bisogno del consenso del
parlamento per formarsi e sopravvivere, e il parlamento non può essere condizionato o influenzato
dall’indirizzo politico del governo. Il monarca tuttavia può scegliere i ministri e sovrintende al loro
operato (l’esecutivo risponde al sovrano), il parlamento introduce una cornice di leggi che il sovrano
deve rispettare (governo dualista di re e parlamento).
Nella variante detta cancellariato, verso il monarca è responsabile solo il capo del governo
(cancelliere), mentre i ministri sono responsabili verso quest’ultimo  forma peculiare realizzatasi
in Germania (1850 – 1918), resa possibile dalla forte personalità del cancelliere Bismark che domina
la scena prussiana per quasi trent’anni (1861 – 1890).
• forma di governo convenzionale o assembleare: concentrazione di tutto il potere politico
nell’assemblea elettiva, per un criterio astratto di maggior democrazia. Realizza di fatto una
confusione dei poteri che la rende irrealizzabile al di là di situazioni particolari o limitate nel
tempo.
• forma di governo presidenziale: la sua attuazione più riuscita si è avuta negli Stati Uniti d’America.
La Costituzione americana (risale al 1787) separa nettamente, almeno in teoria, legislativo
(Congresso = Camera dei rappresentanti + Senato) ed esecutivo (preseidente federale e segretari
di Stato) eletti entrambi dal popolo, evitando al massimo ogni forma di collegamento.
L’esecutivo non ha neanche il potere di iniziativa legislativa in senso proprio. Il potere esecutivo non
dipende dal Congresso né nel momento della nomina, né nel corso della sua attività, non essendo
prevista alcuna interferenza formalmente rilevante del Congresso nell’esercizio del potere di
governo.

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Al presidente è dato il potere di influire sulla legislazione con il veto delle leggi e con la possibilità
di segnalare i provvedimenti che ritiene necessari e convenienti, ma anche il Congresso ha
importanti strumenti di pressione sull’esecutivo, sia mediante l’approvazione degli stanziamenti di
bilancio, sia mediante il consenso del Senato alla nomina degli alti funzionari e alla ratifica dei
trattati internazionali, sia infine mediante la procedura dell’”impeachment”, cioè della
sottoposizione del presidente a giudizio penale.
• semi-presidenzialismo: sistema di governo nel quale i presidente della Repubblica è eletto a
suffragio universale e dispone di importanti prerogative, riconosciutegli dalla Costituzione a titolo
personale (a metà tra presidenzialismo puro e parlamentarismo): Francia della V Repubblica,
Austria, Finlandia, Islanda, Portogallo, Repubblica tedesca di Weimar (1925-1933).
Si evidenziano ambiguità nel caso di conflitto (disaccordi) fra presidente e parlamento, caso che
può portare alla paralisi del primo o alla espropriazione dei poteri parlamentari  in Francia il
sistema funziona solo per il fair play dei contendenti (Jospin e Chirac).
• forma di governo parlamentare: si fonda più sulla collaborazione che non sulla contrapposizione dei
poteri. Legislativo ed esecutivo sono affidati a corpi diversi, espressione di principi politici diversi,
ma si condizionano reciprocamente attraverso la fiducia di cui l’esecutivo deve godere da parte del
legislativo (con l’obbligo di dimettersi in caso di sfiducia), e attraverso il potere attribuito
all’esecutivo (e per esso il capo dello Stato) di sciogliere il parlamento.

Forma di governo in Italia: lo Statuto albertino non precisava la forma di governo adottata, ma fin da
subito il governo si evolse in senso parlamentare, fino al periodo autoritario. Con la caduta del fascismo,
dopo aver valutato di introdurre il sistema presidenziale, si adottò un nuovo sistema parlamentare,
razionalizzato. I capisaldi del sistema adottato nella Costituzione del 1948 sono:
• la separazione dei poteri, intesa però non in termini rigoristici, come è confermato dalla possibilità
che il Governo eserciti, come eccezione e con molte cautele, attività normativa di grado legislativo
(decreti legge e decreti legislativi);
• la responsabilità del governo di fronte alle Camere e la possibilità che queste costringano il governo
alle dimissioni mediante apposita mozione di sfiducia (art. 94 della Cost.);
• la facoltà di sciogliere le camere attribuita al Capo dello Stato in ipotesi non testualmente previste
ma derivanti dalla logica del sistema;
• posizione di imparzialità assegnata al Capo dello Stato che esercita i suoi poteri non come capo
dell’esecutivo ma in attuazione di un indirizzo costituzionale che non coincide, almeno
necessariamente, con l’indirizzo di maggioranza;
• l’indipendenza funzionale e organizzativa del potere giudiziario, garantita da un organo apposito, il
Consiglio superiore della magistratura;
• il controllo di costituzionalità delle leggi, conseguente alla rigidità della Costituzione, attribuito a
un nuovo giudice speciale, la Corte costituzionale.

CAPITOLO 2

12
IL PARLAMENTO

SEZIONE I: LA STRUTTURA
Il Parlamento – espressione diretta della volontà e della sovranità popolare – si presenta in posizione di
primato fra gli organi costituzionali dello Stato.
Nella scelta dell’organizzazione del Parlamento si è preferito il bicameralismo (scartando il
monocameralismo). Una volta scelto il bicameralismo doveva precisarsi il ruolo delle due Camere
potendo ipotizzarsi parità di posizione (bicameralismo perfetto) o disparità, cioè preminenza di una
delle due Camere (bicameralismo imperfetto).
Nel nostro ordinamento si assiste al cosiddetto bicameralismo perfetto, in cui le due Camere hanno
assoluta identità di funzioni e di poteri, seppure con qualche correttivo  si è assistito a numerose
critiche per le inutili duplicazioni delle Camere, che d’altra parte garantisce una maggiore ponderazione
delle scelte legislative.
Nel nostro sistema vigente il Parlamento si compone della Camera dei Deputati e del Senato della
Repubblica. Entrambe le Camere sono elette, oggi, per 5 anni e tale periodo, intercorrente tra l’elezione
di una Camera e il suo scioglimento (anche se anticipato) viene detto legislatura (art. 60 Cost.).
La durata della legislatura può essere prorogata solo in caso di guerra e mediante legge formale,
mentre la fine anticipata della legislatura può essere disposta dal Presidente della Repubblica mediante
scioglimento delle Camere o di una sola di esse (art. 88 della Cost.).
La Camera dei Deputati è eletta a suffragio universale e diretto. È composta da 630 deputati.
Sono eleggibili a deputati tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto il 25°anno di età nel giorno
delle elezioni; sono elettori della Camera coloro che hanno il diritto di voto (cioè tutti i cittadini, uomini
e donne, che abbiano raggiunto la maggiore età) ai sensi dell’art. 48 della Costituzione.
Per le elezioni della Camera, il territorio nazionale è attualmente diviso in 26 circoscrizioni. A ciascuna
di esse è attribuito un numero di deputati determinato dividendo il numero degli abitanti della
Repubblica (dato dall’ultimo censimento) per 630 e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione
di ciascuna circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Il Senato della Repubblica è eletto, secondo la Costituzione, a base regionale. Il numero dei senatori
elettivi è 315.
Ogni Regione ha almeno 7 senatori, salvo il Molise che ne ha 2 e la Valle d’Aosta che ne ha 1.
La ripartizione fra i seggi si effettua in proporzione alla popolazione delle singole Regioni (data
dall’ultimo censimento) sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Sono eleggibili a senatori tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto nel giorno delle elezioni il
40°anno di età. Sono elettori del Senato tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto il 25°anno di
età. Accanto ai senatori elettivi si hanno senatori di diritto e a vita, e senatori a vita nominati dal
presidente della Repubblica.
Sono senatori di diritto a vita coloro che abbiano ricoperto la carica di presidente della Repubblica.
Il presidente della Repubblica può nominare senatori a vita 5 cittadini che abbiano illustrato la Patria
per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario.

Ineleggibilità: quando il candidato, attuale o potenziale, si trovi in una situazione, prevista dalla legge,
per la quale non può essere eletto; qualora vi sia egualmente la candidatura, e il candidato venga eletto,
l’elezione è invalida e priva di efficacia (art. 65 Cost.).
Cause di ineleggibilità nell’ordinamento vigente:
− coloro che ricoprano determinate cariche o uffici di natura burocratica, per non influenzare
eventualmente l’elettorato;
− tutti i magistrati (tranne quelli presso le giurisdizioni superiori) delle circoscrizioni sottoposte, in
tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati nei sei mesi
precedenti la candidatura, per non impedire l’imparzialità nell’esercizio della funzione
giurisdizionale;

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− coloro che ricoprano uffici presso governi esteri tanto in Italia quanto all’estero, questa causa è
operante solo quando il candidato ricopra l’ufficio all’atto dell’accettazione della candidatura; mira
ad evitare possibili interessi tra lo Stato italiano e quelli degli altri stati;
− coloro che per la posizione ricoperta in società o imprese private che abbiano rapporti di affari con
lo Stato si presume non potrebbero, se eletti parlamentari, esercitare il loro mandato con
sufficienti garanzie per l’interesse pubblico.

Incompatibilità: quando il deputato o senatore si trovi in una situazione per la quale, se vuole
conservare la carica che è stata validamente assunta, deve rinunziare ad altra carica, incompatibile, con
quella parlamentare (art. 65 Cost.).
Sono cause di incompatibilità (previste dalla Costituzione):
− quando si ha la carica di deputato e ci si candida per la carica di senatore (e viceversa), art. 65;
− la carica di deputato o senatore con quella di Presidente della Repubblica, art. 84;
− la carica di deputato o senatore con quella di componente del Consiglio superiore della Magistratura
o della Corte costituzionale (art. 104 e 135);
− la carica di deputato o senatore con quella di consigliere regionale, art. 122.
La ratio di tali disposizioni risiede nella presunzione che il parlamentare non possa svolgere con il
dovuto impegno due o più incarichi, oppure che la contemporanea posizione di membro del Parlamento e
di dirigente, amministratore o consulente di aziende, società o enti che abbiano rapporti con lo Stato,
possa compromettere la necessaria obiettività del parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni.
I membri del Parlamento non possono neppure ricoprire cariche o uffici in enti pubblici o privati per
designazione del Governo o di organi dell’amministrazione dello Stato. In questo caso la ratio risiede
nell’opportunità sia di evitare che il parlamentare possa ottenere gli incarichi in forza dell’autorità che
gli deriva dalla sua posizione, sia di evitare che il Governo o l’amministrazione statale possano limitare
l’obiettività e la libertà della funzione del parlamentare con tali incarichi.
L’incompatibilità può essere originaria o sopravvenuta qualora la situazione che la determina non esista
al momento dell’elezione, o si verifichi successivamente.
La presenza di una causa di incompatibilità pone il deputato o senatore nella necessità di optare per il
mandato parlamentare o per la carica di quello incompatibile.

La formazione e il funzionamento delle Camere sono ovviamente condizionati dal sistema elettorale
adottato, che può essere uninominale o plurinominale, maggioritario o proporzionale:
− sistemi uninominali: il territorio è diviso in collegi e in ogni collegio si presenta un solo candidato
per simbolo o per gruppo politico, e l’elettore può scegliere uno solo dei candidati;
− sistemi plurinominali: i candidati si presentano candidati in liste, nelle quali è spesso prescritto un
minimo e talora un massimo di candidature, e l’elettore sceglie non la persona ma la lista, pur
potendo esprimere una o più preferenze tra i candidati della lista;
− sistemi maggioritari: possono essere plurinominali o uninominali; i seggi sono attribuiti al candidato,
o alla lista, che abbia riportato il maggior numero di voti;
− sistemi proporzionali: sono necessariamente plurinominali; i seggi sono ripartiti fra le diverse liste
in competizione in proporzione ai voti ottenuti.

Nella realtà esistono numerose varianti a seconda delle combinazioni dei vari sistemi.
La differenza fra i diversi sistemi è che:
− quello maggioritario corrisponde alla finalità di assicurare, in società omogenee, il più efficiente
funzionamento del sistema, che conduce a un sostanziale bipartitismo con l’eliminazione a livello
parlamentare, di qualsiasi altro raggruppamento che non partecipi con i due più forti, con un
conseguente affievolimento della capacità rappresentativa dell’Assemblea eletta;
− quello proporzionale consente, soprattutto in società divise in una pluralità di forze politiche, una
più articolata rappresentanza e dunque un maggior livello di democrazia.

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In Italia si sono affermati nel corso del tempo sistemi maggioritari e sistemi proporzionali.
Ripristinata la democrazia dopo il regime fascista ritornò il sistema proporzionale. In questo caso
l’Assemblea costituente preferì non inserire nella Costituzione disposizioni in materia di sistemi
elettorali, limitandosi a prescrivere il suffragio universale e diretto. La decisione era volta ad evitare
di impegnare le future Camere costringendole a una revisione della Costituzione nel caso che volessero
in avvenire adottare un altro sistema. Infatti con la crescente instabilità politica, si sentì l’esigenza di
una revisione del sistema elettorale: con la riforma del 1993 decisa dagli italiani con un referendum
popolare si introdusse tanto per la Camera quanto per il Senato un meccanismo di votazione a turno
unico con attribuzione di 3/4 dei seggi con sistema maggioritario e del restante quarto con sistema
proporzionale.

L’elezione del Senato della Repubblica, sulla base della riforma del 1993, avviene mediante un sistema
elettorale di tipo maggioritario uninominale con parziale recupero proporzionale dei voti non utilizzati, a
livello regionale:
− ad ogni regione viene assegnato un numero di seggi in ragione della popolazione residente quale
risulta dall’ultimo censimento, tenendo conto che nessuna regione può avere meno di 7 seggi, con
l’eccezione della Valle d’Aosta che ne ha 1 e del Molise che ne ha 2 (art. 57 Cost.);
− i seggi attribuiti ad ogni regione vengono assegnati per i 3/4 ad altrettanti collegi uninominali, con
l’eccezione della Valle d’Aosta costituita da un solo collegio uninominale e del Molise ripartito in 2
collegi uninominali;
− il restante quarto dei seggi viene ripartito proporzionalmente nell’ambito di ogni circoscrizione
regionale fra i gruppi di candidati concorrenti nei collegi uninominali.
Ai fini dell’elezione uninominale, vengono costituiti in ogni Regione tanti collegi quanti sono i seggi
uninominali assegnati.
In ogni collegio si presentano singoli candidati quali, se intendono partecipare al riparto proporzionale
dei seggi residui, debbono collegarsi per gruppi che comprendono un numero di candidati non inferiore a
3 e non superiore al numero dei collegi della Regione.
All’elezione dei senatori partecipano gli elettori che hanno compiuto il 25° anno di età.
Chiuse le votazioni ed effettuato lo spoglio delle schede, viene proclamato eletto per ciascun collegio il
candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi.
Per l’assegnazione dei seggi residui (1/4) da attribuirsi con sistema proporzionale, l’ufficio regionale
procede:
− alla determinazione della cifra elettorale di ciascun gruppo di candidati nei collegi uninominali,
detratti i voti dei candidati già proclamati eletti (c.d. scorporo);
− alla determinazione della cifra individuale dei singoli candidati data dalla percentuale dei voti validi
ottenuti in rapporto ai voti validi espressi nel collegio;
− all’assegnazione dei seggi spettanti ad ogni gruppo dividendo la cifra elettorale di ogni gruppo
successivamente per uno, due, tre, ecc… sino alla concorrenza dei senatori da eleggere e scegliendo
quindi tra i quozienti così ottenuti i più alti in numero uguale ai senatori da eleggere, con
conseguente assegnazione dei seggi ai gruppi in corrispondenza dei quozienti (metodo d’Hondt e
delle divisioni successive);
− a proclamare eletti i candidati di ogni gruppo che abbiano conseguito la più alta cifra individuale.

L’elezione della Camera dei Deputati è stata profondamente modificata dalla 1.4 agosto 1993,
introducendo un sistema molto simile a quello adottato per l’elezione del Senato e quindi con una
combinazione del metodo uninominale maggioritario con quello proporzionale per l’assegnazione dei seggi
residui.
Il territorio del paese viene ripartito in 26 circoscrizioni elettorali più la Valle d’Aosta, e ad ognuna di
esse viene assegnato un numero di seggi in ragione della popolazione residente quale risulta dall’ultimo
censimento.

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Nell’ambito delle singole circoscrizioni si procede alla ripartizione dei 3/4 dei seggi in altrettanti
collegi uninominali, mentre il restante quarto è attribuito in ragione proporzionale mediante riparto fra
liste concorrenti. A tal fine:
− vengono costituiti in ogni circoscrizione tanti collegi quanti sono i seggi da assegnarsi con metodo
uninominale;
− in ogni collegio si presentano singoli candidati i quali si collegano a liste concorrenti per
l’assegnazione dei seggi da attribuirsi con metodo proporzionale; ogni candidato può collegarsi con
più liste fino a un massimo di 5;
− in ogni circoscrizione, si presentano liste formate da un numero di candidati non superiore a 1/3 dei
seggi assegnati in ragione proporzionale. Tendendo conto di tali seggi, le liste proporzionali non
potranno essere composte da più di 4 candidati.
All’elezione dei deputati partecipano tutti gli elettori iscritti nelle liste elettorali. Sono eleggibili ,
salvo le cause di ineleggibilità, gli elettori che abbiano compiuto il 25° anno entro il giorno delle elezioni.
Le votazioni si effettuano in un solo giorno. Ogni elettore utilizza due schede, una per la votazione del
candidato nel collegio uninominale, l’altra per la votazione della lista per l’assegnazione dei seggi a livello
circoscrizionale.
Esaurite le votazioni si procede alla spoglio delle schede e viene proclamato eletto a livello
circoscrizionale, in ciascun collegio uninominale, il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti
validi.
Si passa quindi a livello nazionale e l’Ufficio centrale nazionale:
− determina la cifra nazionale di ogni lista, risultante dalla somma delle cifre elettorali
circoscrizionali;
− esclude le liste che non abbiano riportato sul piano nazionale almeno il 4% dei voti validi espressi
(clausola di sbarramento);
− procede al riparto delle restanti liste dei seggi in base alla cifra elettorale nazionale con un sistema
proporzionale puro; eventuali seggi residui sono assegnati alle liste con maggiori resti;
− distribuisce nelle singole circoscrizioni i seggi assegnati alle varie liste attribuendo a ciascuna lista
tanti seggi quanti quozienti circoscrizionali interi essa ha conseguito in quella circoscrizione.

Gli Uffici circoscrizionali o quelli regionali procedono, sulla base dei conteggi effettuati, a proclamare
l’elezione dei deputati e dei senatori. Tale proclamazione, che determina subito uno status giuridico
peculiare comportando l’assunzione delle funzioni, non ha però efficacia definitiva essendo subordinata
al risultato della cosiddetta verifica dei poteri, o come chiamata nella Costituzione (art. 66): giudizio
dei titoli di ammissione attribuita alle stesse Assemblee.

La durata delle Camere nel nostro ordinamento è di 5 anni, ai sensi dell’art. 60 Cost. Il periodo di
durata in carica di una Camera è correntemente definito legislatura.
La durata della legislatura può essere prorogata solo in caso di guerra e mediante legge formale,
mentre la fine anticipata della legislatura può essere disposta dal presidente della Repubblica mediante
scioglimento delle Camere o di una sola di esse (art.88 Cost.).
Si osserva che mentre le prime quattro legislature repubblicane hanno avuto la prevista durata di 5
anni, a partire dalla V legislatura si sono succeduti ben 8 scioglimenti anticipati delle Camere, sintomo e
conseguenza dell’instabilità politica del nostro Paese.
Divieto di mandato operativo: la libertà delle scelte del parlamentare non può essere limitata in alcun
modo, né da parte degli elettori che lo hanno votato né da parte del partito di appartenenza, che
potrebbero aspettarsi dal proprio rappresentante determinati comportamenti. Ad ogni modo il
parlamentare è responsabile, non solo nei confronti dei propri elettori, ma di tutto il corpo elettorale, e
il partito, se tradito dal parlamentare, può emettere sanzioni punitive o censure verso di lui, che
tuttavia non lo privano dello status di parlamentare.
Prerogative e immunità dei parlamentari: con la legge costituzionale 29 ottobre 1993 è stato
sostituito l’art.68 Cost. e sono stati modificati i diritti dei parlamentari  i parlamentari sono
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insindacabili per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle proprie funzioni, ed è necessaria
l’autorizzazione della Camera di appartenenza per le perquisizioni personali o domiciliari, per gli arresti
o altre privazioni della libertà personale, per mantenere in detenzione un parlamentare, per sottoporlo
ad intercettazioni, qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza
(non è più richiesta per la sottoposizione a procedimento penale).
Indennità parlamentari: secondo l’art.69 Cost. i membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita
dalla legge, diretta a garantire il libero svolgimento del mandato, che comprende il rimborso delle spese
di segreteria e di rappresentanza. Essa è determinata dagli uffici di presidenza delle Assemblee in
misura tale che non superi il trattamento complessivo dei presidenti della Sezione della Corte di
Cassazione.

SEZIONE II: L’ORGANIZZAZIONE


L’organizzazione interna delle Camere (e del Parlamento in seduta comune) nonché le procedure per il
loro funzionamento sono in parte disciplinate dalla stessa Costituzione (art.64 e 72) ed in parte dai
regolamenti parlamentari cui la Costituzione rinvia.
La Costituzione repubblicana stabilisce (art. 64) che ciascuna Camera adotta il proprio regolamento
interno a maggioranza assoluta dei suoi componenti, mentre l’art. 72 Cost. riserva ai regolamenti delle
Camere la disciplina del procedimento legislativo, fatte salve, le sole disposizioni direttamente dettate
dalla Costituzione  i regolamenti parlamentari si pongono quindi in posizione subordinata alla sola
Costituzione e a loro favore è fissata una riserva che non potrebbe essere violata con disposizioni di
legge ordinaria.
Gli attuali regolamenti delle Camere sono stati adottati nel febbraio del 1971 e sono entrati in vigore,
entrambi, il 1°maggio di tale anno. Con tali regolamenti, successivamente modificati in vari punti, sono
state introdotte importanti innovazioni nella procedura parlamentare, il cui significato investe la
complessiva posizione delle Camere nel nostro ordinamento e spiega una rilevante influenza sulla stessa
concreta articolazione del sistema di governo, confermando l’importanza di questa fonte normativa.
I regolamenti delle Camere prescrivono la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, facendo tra
l’altro decorrere da tale pubblicazione la vacatio per la loro entrata in vigore.

ORGANIZZAZIONE INTERNA DELLE CAMERE: gli organi


La Costituzione si limita (art. 63) a stabilire che ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il
Presidente e l’ufficio di Presidenza. Maggiori dettagli sono forniti necessariamente dai regolamenti
parlamentari i quali indicano gli organi delle Assemblee e ne stabiliscono modalità di costituzione. In
sintesi, ogni Camera ha:
− un presidente eletto dagli appartenenti alla singola Assemblea con modalità diverse fra Camera e
Senato. La rilevanza del presidente si evidenzia sia nei momenti dell’organizzazione del lavoro
dell’Assemblea, sia nella garanzia del corretto funzionamento delle assemblee, dei loro organi e
nella tutela della posizione di ciascuno dei componenti.
Il presidente non ha più solo funzioni di direzione dei lavori, ma anche funzioni di direzione politica
 il suo ruolo è quindi di natura super partes e proprio per questo non può votare.
− 4 vice presidenti, 3 questori e 8 segretari.
− Un ufficio di presidenza (definito Consiglio di presidenza al Senato) del quale fanno parte il
presidente dell’Assemblea, che lo presiede, i vice presidenti, i questori e i segretari.
− Gruppi di parlamentari costituiti in base alle dichiarazioni rese dai singoli senatori o deputati. Per
la costituzione di un gruppo parlamentare al Senato sono necessari almeno 10 senatori, mentre alla
Camera almeno 20 deputati. I deputati o i senatori che non aderiscono ad alcun gruppo sono iscritti
automaticamente al cosiddetto gruppo misto.
− Le giunte (per il regolamento, per le elezioni e per le immunità parlamentari e per la biblioteca al
Senato; per il regolamento, per le elezioni, per le autorizzazioni di cui all’art. 68 Cost., alla Camera).

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Si tratta di organi a carattere permanente le cui funzioni principali risultano dalla loro stessa
denominazione. Le giunte sono nominate dal Presidente dell’Assemblea il quale è formalmente libero
di seguire i criteri che ritiene preferibili salvo qualche eccezione.
− Le commissioni permanenti. Costituite in ogni Camera con competenze legislative, di controllo
politico e conoscitive (13 sia alla Camera che al Senato). La ripartizione di senatori e deputati nelle
diverse commissioni deve ispirasi all’esigenza di rispettare, in proporzione, la composizione delle
Assemblee. I regolamenti di entrambe le Camere ammettono la possibilità di costituire le
commissioni speciali ove ne occorra la necessità.
Esistono commissioni permanenti bicamerali, composte da deputati e senatori, come la commissione
per le questioni regionali, la commissione per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi, il Comitato bicamerale per la messa in stato di accusa del presidente della
Repubblica.

IL FUNZIONAMENTO DELLE CAMERE


Sul funzionamento numerose disposizioni si ritrovano nella stessa Costituzione, tuttavia è molto ampia
l’autonomia delle Camere stesse ovviamente espressa attraverso i regolamenti parlamentari.
In quanto organi collegiali, alle Camere, si applicano i principi generali che disciplinano il funzionamento
dei collegi.
Il periodo che intercorre fra l’insediamento delle Camere e la loro scadenza (per fine del mandato o per
scioglimento anticipato) si denomina legislatura, e la sua durata, per Costituzione, è di 5 anni. L’ultima
legislatura è iniziata con le legislazioni del 1996 (attualmente in corso) ed è identificata come XIII
legislatura repubblicana.
Nell’ambito della legislatura non si parla più di sessioni, periodi di effettivo lavoro delle Assemblee, con
eccezione della sessione parlamentare di bilancio, ma esistono solo periodi di seduta delle Camere,
peraltro di notevole durata, cosicché può dirsi che le Camere sono di fatto in attività per tutto il corso
della legislatura.

Convocazione delle Camere


La convocazione delle sedute delle Camere spetta sempre al presidente, che vi procede mediante
apposito avviso e con la diramazione dell’ordine del giorno. Le sedute delle Camere possono essere
ordinarie o straordinarie.
In via ordinaria (art. 62 Cost.) le Camere riuniscono il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre.
In via straordinaria, ogni Camera si riunisce per iniziativa del suo presidente o del presidente della
Repubblica o di 1/3 dei suoi componenti (non ha potere di convocazione il Governo)  la convocazione in
via straordinaria di una Camera provoca l’automatica convocazione anche dell’altra.

Deliberazioni
Secondo l’art. 64 della Cost. le deliberazioni (e non le sedute!) di ciascuna Camera “non sono valide se
non è presente la maggioranza dei loro componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti”.
Tanto alla Camera che al Senato, le votazioni possono avvenire a scrutinio palese o a scrutinio segreto e
la maggioranza normale prescritta dalla Costituzione per le deliberazioni parlamentari è la maggioranza
semplice (50% più uno dei presenti). Per quanto riguarda la Camera sono considerati validi e presenti
solo favorevoli e contrari, e non gli astenuti; mentre il regolamento del Senato afferma che tutti i
senatori, siano favorevoli, contrari o astenuti, siano da ritenersi validi e presenti.

Programmazione dei lavori delle Camere


I lavori delle Camere sono organizzati secondo programmi che si articolano su alcuni momenti essenziali
tra i quali i contatti fra i presidenti delle Camere con il Governo e la formazione del programma cui
provvede la conferenza dei capigruppo. Se tale programma è adottato all’unanimità dalla conferenza dei
presidenti dei gruppi diviene impegnativo dopo la comunicazione all’assemblea e alle commissioni
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permanenti: l’Assemblea può comunque, al termine di ogni seduta, apportare le necessarie modificazioni
all’ordine dei lavori già stabilito.

Seduta comune delle Camere


L’art 65 della Costituzione stabilisce che il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica, ma aggiunge che il Parlamento può riunirsi anche “in seduta comune dei membri
delle due Camere” e deliberare autonomamente. Tale ipotesi è prevista solo nei casi tassativamente
previsti dalla Costituzione ed un suo ampliamento sarebbe possibile solo mediante legge costituzionale.
Il presidente, l’ufficio di presidenza, il regolamento e la sede del Parlamento in seduta comune sono
quelli della Camera dei deputati.

SEZIONE III: LE FUNZIONI


1) LA FUNZIONE LEGISLATIVA
La funzione dello Stato costituzionale che si considera prevalente nell’attività del Parlamento è la
funzione legislativa, cioè la deliberazione delle leggi.
Nei tempi passati, ma anche fino ai secoli XIII e XIV, la legge era la volontà stessa del sovrano,
mentre l’assemblea rappresentativa non aveva ingerenza sul punto e la sua funzione principale
consisteva nel consentire la tassazione. Successivamente il potere legislativo è ancora del re, ma
condizionato dalla assemblee: con il tempo la vera volontà legislativa si concentra nel Parlamento, e al
sovrano spetta ancora un potere formale sanzionatorio.
Il movimento rivoluzionario francese rivendica, attraverso il principio della separazione dei poteri, la
competenza legislativa del Parlamento, diretta espressione della volontà generale e quindi abilitato a
esprimere con la legge tale volontà generale.
La nostra Costituzione stabilisce che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due
Camere, statuendo che la legge in senso formale è risultato della concorde approvazione delle due
assemblee parlamentari, caratterizzata da un particolare procedimento formale e da una apposita
forma differenziata.
Accanto alla funzione legislativa le Camere hanno anche poteri di controllo e di indirizzo.

Caratteristiche delle leggi: le leggi sono fonti a competenza residuale, destinate a disciplinare le
materie che la Costituzione non ha riservato a se stessa o ad altre fonti, e destinate a rispettare i
regolamenti regionali e quelli parlamentari. Altri limiti incontrati dalla legge sono la riserva di legge,
che le impone di regolare una data materia, e l’irretrottività, secondo il principio che le leggi ordinarie
non sono efficaci nei casi avvenuti nel periodo a loro precedenti.
Solitamente le leggi presentano caratteri di generalità e astrattezza, tuttavia possono anche essere
l’esatto contrario, ovvero puntuali e concrete: prendono così il nome di provvedimento.
La legge è inoltre caratterizzata dalla cosiddetta forza legge, che si traduce in:
− idoneità ad abrogare leggi precedenti;
− capacità di resistere all’abrogazione di fonti successive sottoordinate.
Leggi speciali: esprimono un rapporto con un’altra fonte, quando un rapporto generale/speciale, e
ammettono ripetitività.
Leggi eccezionali: disposizioni dettate per disciplinare situazioni che derogano alla generalità e che
quindi non ammettono ripetitività.
Leggi temporanee: leggi la cui efficacia nel tempo è circoscritta dalla legge stessa, o indicando un
termine, o un evento al cui verificarsi perderanno efficacia. Derogano al principio secondo cui l’efficacia
dovrebbe cessare solo in seguito ad abrogazione o dichiarazione di illegittimità.

FASE DI INIZIATIVA LEGISLATIVA


La legge formale ordinaria si pone come la fattispecie conclusiva di un complesso procedimento
giuridico articolato nelle fasi instaurativa, preparatoria, costitutiva, integrativa dell’efficacia del
provvedimento legislativo.
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La fase instaurativa: quella che attiva il procedimento, dando l’avvio alle ulteriori procedure necessarie
a giungere alla emanazione della legge.
Iniziativa legislativa: la prima fase è la formulazione della legge. Secondo l’art. 71 della Cost. il potere
di iniziativa spetta al Governo, al popolo, al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, a ogni consiglio
regionale e ai Comuni.
Le proposte (o testi) presentati dal Governo sono detti disegni di legge, mentre tutti gli altri vengono
chiamate proposte di legge. Quando ci si riferisce alla ipotesi generale di iniziativa legislativa si parla di
progetti di legge.
La presentazione dei disegni di legge da parte del Governo da luogo a un subprocedimento che si
articola in 4 momenti:
− presentazione di uno schema di disegno di legge da parte di uno o più ministri;
− deliberazione del disegno di legge da parte del Consiglio dei ministri;
− autorizzazione da parte del presidente della Repubblica alla presentazione del disegno;
− presentazione a una delle Camere del disegno di legge accompagnato dal decreto presidenziale di
autorizzazione.
Nel caso di proposte di legge di iniziativa parlamentare ogni deputato e senatore può presentarne 
seguono procedure molto più rapide.
Le proposte di legge di iniziativa popolare devono essere sottoscritte da almeno 50 mila elettori per la
Camera dei deputati, accompagnate da accompagnate da una relazione che ne illustri le finalità e le
norme.
L’iniziativa di proposte di legge del C.N.E.L. (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) devono
riferirsi a questioni di economia e lavoro.
L’iniziativa regionale è prevista dall’art. 121 della Cost. che ne attribuisce l’esercizio ai Consigli regionali
 circoscritta a materie di diretto interesse regionale.
L’iniziativa legislativa spetta ai Comuni nel caso di mutamento di circoscrizioni provinciali o istituzione
di nuove province nell’ambito della stessa Regione.
La Costituzione stabilisce che l’iniziativa legislativa può essere attribuita anche ad altri organi o enti,
purchè ciò avvenga con legge costituzionale.
N.B: i progetti di legge possono essere presentati indifferentemente a una delle due Camere, ad
eccezione di senatori e deputati che sono vincolati alla camera di appartenenza.

FASE ISTRUTTORIA (O D’ESAME)


Dopo la presentazione del progetto di legge, si inizia la fase di esame e di eventuale approvazione di
esso, che può svolgersi, secondo la Costituzione, con 3 diverse procedure:
− Procedura normale (art.72 Cost.): composta da 2 fasi  1) esame da parte di una delle Commissioni
permanenti in sede referente (fase preparatoria), 2) esame e deliberazione da parte della Camera
(fase costitutiva).
Secondo questo schema, una delle Commissioni permanenti, ricevuto il progetto da una delle Camere,
lo discute, formula nel caso un testo modificato e riferisce alla Camera. Successivamente, la
Camera procede alla discussione del progetto e a votazione a scrutinio palese che avviene prima
articolo per articolo e poi sul testo complessivo. In caso di approvazione, la proposta di legge viene
trasmessa all’altra Camera mediante messaggio del Presidente e dopo, eventualmente, dalla seconda
Camera al Governo, sempre con messaggio, per la promulgazione da parte del Capo dello Stato.
− Procedure semplificate:
• Commissioni in sede deliberante ( o in sede legislativa): la Commissione è investita dell’esame
del progetto in sede legislativa, procede a votazione prima articolo per articolo e poi con
votazione sul testo finale, e si limita a riferire alla Camera. Fino all’approvazione definitiva da
parte della Commissione, la Camera ha il potere di “riappropriarsi” del procedimento.
Per alcune materie è escluso il procedimento in esame, ma è ammesso solo il procedimento
ordinario: si tratta di disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di

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delegazione legislativa, di autorizzazione di ratificare trattati internazionali, di approvazione di
bilanci e consuntivi (art. 72 Cost.).
• Commissioni in sede dirigente: il potere della Commissione è più marcato rispetto al
procedimento ordinario, ma meno marcato rispetto alla prima procedura semplificata. Alla
Commissione competente è assegnato il potere di formulare gli articoli in un disegno di legge e
di approvare gli articoli, riservando alla Camera l’approvazione finale del progetto, o al Senato la
votazione finale con sole dichiarazioni di voto. Anche questo procedimento non è ammesso per
tutti i disegni di legge.

FASE DI DELIBERAZIONE
Ogni progetto di legge, per divenire legge perfetta, deve essere approvato nell’identico testo da
entrambe le Camere (bicameralismo perfetto). In alcuni casi può accadere che il testo di un progetto
approvato da una Camera non trovi il consenso dell’altra Camera. Può accadere : a)che la seconda
Camera non passi all’esame del progetto, cioè che lo “insabbi”; b) che la seconda Camera respinga il
progetto votando il non passaggio agli articoli o bocciandolo nella votazione finale; c) che lo modifichi,
introducendo “emendamenti” al testo approvato dalla prima Camera. In quest’ultima ipotesi il testo
emendato deve tornare alla prima Camera perché questa valuti le modificazioni apportate e le accolga
(nel qual caso si è realizzato il consenso sul medesimo testo e il progetto diventa legge), le respinga (e il
progetto cade) o introduca ulteriori modificazioni (nei limiti consentiti dai regolamenti, cioè attinenti
agli emendamenti adottati) e in questo caso il progetto torna alla Camera precedente. Questi passaggi,
chiamati navette, si concludono con l’accordo delle due Camere sullo stesso testo o con l’abbandono del
progetto.
Alla fine della legislatura tutti i progetti di legge giacenti dinanzi alle Camere decadono. Per fare in
modo che non decadano anche i progetti prossimi all’approvazione si ricorre al principio della continuità
legislativa: la decadenza dei progetti pendenti alla fine della legislatura non è assoluta.

FASE DI PROMULGAZIONE
Approvata dalle due Camere nello stesso testo, la legge esiste ed è perfetta. Non è però ancora in
grado di spiegare gli effetti che le sono propri.
Il procedimento legislativo si conclude, infatti, con la promulgazione del testo deliberato cui segue la
pubblicazione e la vacatio legis. Solo dopo il compimento di tali atti e il trascorrere della vacatio legis la
legge entra in vigore.
La promulgazione è l’atto con il quale il capo dello Stato attesta solennemente che un certo testo è
stato approvato quale legge e ne ordina la pubblicazione e l’osservanza, in qualità di supremo garante
della costituzionalità dell’ordinamento.
La promulgazione è atto dovuto, ma il presidente della Repubblica, qualora non ritenga di procedere alla
promulgazione, può rinviare la legge alle Camere, con messaggio motivato, per chiedere una nuova
deliberazione: rinvio presidenziale  unico strumento che ha il capo dello Stato per intervenire nel
procedimento legislativo. Tale atto si inquadra nelle procedure di controllo mediante richiesta di
riesame.
Il rinvio presidenziale riapre il procedimento legislativo; la legge rinviata deve essere riesaminata dalle
Camere secondo le procedure consuete, e quindi sottoposta a votazione articolo per articolo.
Le Camere non sono tenute a riesaminare la legge rinviata, e questo è quello che accade spesso per non
creare contrasti fra Parlamento e capo dello Stato.
Qualora la legge sia riapprovata, con o senza le modifiche proposte dal presidente, essa deve essere
promulgata; cioè il presidente non può opporre ulteriori remore all’esercizio di un atto che diviene
obbligatorio. Può discutersi sulla possibilità di rinvio, qualora le Camere abbiano riapprovato la legge, ma
in un testo diverso da quello originario e senza adeguarsi alle richieste del presidente.

FASE DI PUBBLICAZIONE E DI VACATIO LEGIS

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La legge promulgata non entra ancora in vigore, essa infatti deve essere conosciuta dai soggetti cui è
destinata e a tal fine ne è prescritta la pubblicazione.
Con l’approvazione delle due Camere la legge è esistente nell’ordinamento parlamentare, con la
promulgazione viene ad esistere nell’ambito dell’organizzazione costituzionale, mentre solo con la
pubblicazione diventa efficace per l’ordinamento generale dello Stato.
La pubblicazione si effettua subito dopo la promulgazione, ed il testo è inserito nella “Raccolta ufficiale
delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana” e l’annuncio della pubblicazione (e pure il testo) nella
“Gazzetta ufficiale della Repubblica”. L’entrata in vigore è prevista per il 15° giorno (in genere) dalla
data di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Per questioni di urgenza o di conoscibilità il periodo di
vacatio legis può essere ridotto o prolungato.

Dopo essere entrata in vigore, la legge è destinata ad essere vigente fino a che non si verifichi una
situazione che ne faccia venire meno la vigenza.
Quando la vigenza di una legge sia esplicitamente subordinata alla durata di una particolare situazione,
alla scadenza di una data o al verificarsi di un determinato avvenimento si parla di leggi ad tempus.
La legge può perdere efficacia anche in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale.
La legge può anche perdere vigenza a seguito di abrogazione esplicita o implicita.
La Costituzione prevede un meccanismo di abrogazione della legge attraverso la partecipazione
popolare (principio della sovranità del popolo): referendum abrogativo, cioè un’apposita consultazione
popolare per conoscere se una legge, o una sua parte, deve essere abrogata o no.
La Costituzione (art. 75) ammette il referendum abrogativo per tutte quelle leggi e quegli atti aventi
valore di legge, ad eccezione per le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia, di indulto e di
autorizzazione a ratificare i trattati internazionali.
La richiesta per indire il referendum deve provenire da 500.000 elettori o da 5 Consigli regionali.
Per fare in modo che il referendum produca l’abrogazione è necessario: a) che abbia partecipato alla
votazione la maggioranza degli aventi diritto, e b) che la proposta abrogativa abbia ottenuto la
maggioranza dei voti validamente espressi.
Le richieste per il referendum vanno depositate tra il 1° gennaio e il 30 settembre di ciascun anno
presso la Cancelleria della Corte di Cassazione; sull’ammissibilità del referendum decide poi la Corte
Costituzionale entro il 20 gennaio con sentenza da pubblicarsi entro il 10 febbraio.
Se il giudizio della Corte è nel senso dell’ammissibilità, il presidente della Repubblica indice con proprio
decreto il referendum, fissandone la data in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Se i risultati del referendum sono favorevoli all’abrogazione, il presidente della Repubblica dichiara,
con proprio decreto, l’avvenuta abrogazione del testo legislativo sottoposto a referendum, avviando la
pubblicazione sulla “Gazzetta ufficiale” e l’abrogazione decorre dal giorno successivo alla pubblicazione.
Qualora, invece, il referendum dia risultato contrario all’abrogazione, ne è data notizia e non può
proporsi nuova domanda per sottoporre a referendum lo stesso testo prima di 5 anni.
Egualmente è data notizia sulla “Gazzetta Ufficiale” dell’eventuale invalidità della consultazione per
mancata partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto.
Possibili riforme del referendum: nel corso degli anni la Corte Costituzionale ha sempre più richiesto la
necessità che la formulazione dei quesiti da sottoporre a referendum sia semplice e chiara. Il ricorso ai
referendum non deve comunque rivelarsi eccessivo, e in futuro si può ipotizzare l’aumento del numero
minimo di firme necessario per la richiesta, e una più precisa definizione delle condizioni di
ammissibilità dei referendum. Bisognerebbe inoltre tutelare maggiormente i sostenitori del “no”,
evitando che le posizioni di chi è contrario all’abrogazione non siano conosciute apertamente dagli
elettori, e introdurre una diminuzione del numero minimo dei votanti oggi richiesto per la validità della
consultazione referendaria. Si è anche teorizzata una revisione più ampia, con l’introduzione di
referendum consultivi e deliberativi, con i quali gli elettori non sarebbero chiamati a dire cosa non
vogliono, ma cosa vogliono, dando dunque al referendum un valore positivo, che potrebbe così
coinvolgere maggiormente i cittadini.

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Posizione gerarchica del referendum: l’opinione prevalente è che la disposizione contenuta nel
risultato del referendum è un “frammento di norma”, destinato a saldarsi con quella abrogata. Così
resta il problema della peculiare forza giuridica del referendum, cioè se è tale da impedire alle Camere
di adottare con legge ordinaria un testo identico o almeno analogo a quello abrogato, frustando così la
decisione popolare. Da un punto di vista formale la decisione popolare dovrebbe ritenersi fornita della
forza di legge (ordinaria) con la conseguenza che non potrebbe attribuirsi ad essa la capacità di
resistenza nei confronti degli atti equiordinati e così, in particolare, nei confronti della legge formale.
La caratteristica del referendum è di essere fonte del tutto atipica e unica: la volontà popolare deve
prevalere per un principio organizzativo essenziale del sistema, giuridicamente rilevante e vincolante, e
pregiudica le eventuali deliberazioni che le Camere volessero adottare sulla stessa materia.
Si può dire che l’espressione popolare diretta priva, almeno temporaneamente, le Camere dello stesso
potere di decidere sull’argomento già deciso dal popolo.
“Referendum di indirizzo”: nel 1989 si è deciso di sottoporre a voto consultivo popolare l’idea di
trasformare le Comunità europee in vera Unione, con Governo, Parlamento e Costituzione propri e a tal
fine si è indetto un apposito referendum. Il referendum può definirsi consultivo perché si richiede un
consiglio, o meglio un “indirizzo”, con un contenuto doveroso assai più vincolante di un semplice parere,
destinato certamente ad assumere un notevole valore politico (rafforzato dall’88,1% a favore del “si”),
ma privo della forza tipica delle direttive.

2) LA FUNZIONE DI CONTROLLO
Le funzioni di controllo e di indirizzo hanno acquistato, e stanno progressivamente acquistando, un
rilievo crescente  accentuazione della specializzazione.
Il controllo di maggior rilevanza è quello che le Camere esercitano nei rapporti con il Governo
attraverso i vari aspetti in cui si concreta la constatazione della presenza, o della mancanza, del
rapporto fiduciario.
Negli atti e nelle procedure attraverso le quali le Camere concedono o negano la fiducia si riscontra una
procedura di controllo il cui momento valutativo si incentra sul dibattito parlamentare e il cui momento
sanzionatorio si manifesta nella concessione o nel rifiuto della fiducia, in conformità allo schema
generale dei procedimenti organizzatori dei controlli giuridici.
L’attività di controllo delle Camere sul Governo e sulla Pubblica Amministrazione in generale si attua
attraverso i seguenti strumenti ispettivi:
− Interrogazione: consiste nella semplice domanda, rivolta per iscritto, per sapere se un fatto sia
vero, se alcuna informazione sia giunta al Governo o sia esatta, se il Governo intenda comunicare alla
Camere (o al Senato) documenti o notizie, o abbia preso o stia per prendere alcun provvedimento su
un oggetto determinato. L’interrogazione può essere:
• a risposta orale, quindi il Governo risponde durante la seduta stabilita a termini di regolamento
e l’interrogante può replicare per dichiarare se sia stato o no soddisfatto;
• a risposta scritta, quindi il Governo fornisce la risposta entro 20 giorni ed essa è inserita nel
resoconto stenografico della seduta in cui è annunziata;
L’interrogazione è più uno strumento conoscitivo che non ispettivo in senso proprio.
Secondo la procedura question time, introdotta nel 1983, ogni mercoledì di norma la seduta è
dedicata alla discussione di “interrogazioni a risposta immediata”, cioè domande al Governo, con
limiti di tempo estremamente limitati (1 minuto per l’interrogante, 3 minuti per la risposta del
Governo e 2 minuti per la replica dell’interrogante). Va aggiunto che interrogazioni a risposta
immediata possono oggi rivolgersi anche in commissione.
− Interpellanza: consiste nella domanda, risposta per iscritto, per conoscere i motivi o gli
intendimenti della condotta del Governo in questioni che riguardino determinati aspetti della sua
politica. L’interpellante, nel giorno fissato a termini di regolamento, ha il diritto di svolgere
l’interpellanza e, dopo le dichiarazioni del Governo, può esporre le ragioni per le quali sia rimasto o
no soddisfatto.

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Qualora l’interpellante si dichiari insoddisfatto e intenda promuovere una discussione sulle
spiegazioni date dal Governo, può presentare una mozione.
L’interpellanza è uno strumento di carattere più intensamente ispettivo e sindacatorio nei confronti
della politica del Governo o dell’attività della Pubblica Amministrazione  spesso l’interpellanza è
infatti usata dall’opposizione.
− Risoluzione: può essere presentata sia in Aula che in Commissione, e con essa vengono manifestati
orientamenti o definiti indirizzi su specifici argomenti.
− Mozione: è un testo che può essere presentato da un presidente di un gruppo o da almeno 10
deputati alla Camera, o almeno 8 senatori al Senato. Essa mira a promuovere una deliberazione
dell’Assemblea su un determinato argomento.
Come tale la mozione rientra più fra gli atti di indirizzo che non fra quelli di controllo o di
informazione e il suo carattere ispettivo e sindacatorio nei confronti dell’esecutivo è variabile nelle
singole situazioni. I regolamenti parlamentari non definiscono la mozione ma risulta evidente che
deve esprimere una volontà che l’Assemblea potrà adottare o respingere.
La mozione si distingue da interrogazioni e interpellanze per tre aspetti:
• sulla mozione si apre una discussione generale;
• sulla mozione possono essere presentati emendamenti;
• sugli emendamenti eventualmente presentati e poi sul testo complessivo della mozione
l’Assemblea si esprime mediante votazione.
L’attività di controllo si manifesta anche nelle inchieste parlamentari: la stessa Costituzione (art. 82)
disciplina la materia, stabilendo che ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico
interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una Commissione formata in modo da
rispecchiare la proporzione fra i vari gruppi, che procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e
le stesse limitazioni dell’attività giudiziaria.
Si possono distinguere fra inchieste conoscitive (o legislative) come per esempio l’inchiesta sulla
miseria, sulle condizioni di vita nelle fabbriche, sulla condizione sociale dell’anziano; e inchieste
ispettive (o politiche) come per esempio: inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, sulla criminalità
in Sardegna. Entrambe possono essere disposte dalle Camere.
Le commissioni di inchiesta possono essere istituite separatamente da ognuna delle Camere (atto
monocamerale) o da entrambe le Camere congiuntamente (detti anche atti bicamerali non legislativi),
oppure l’inchiesta può essere deliberata con apposita legge.
A conclusione dei lavori, le Commissioni devono riferire alla Camera da cui sono state nominate,
mediante una o più relazioni, a seconda che i risultati dell’inchiesta siano adottati all’unanimità o a
maggioranza  sarà poi la Camera ad assumere le decisioni conseguenti.

3) LA FUNZIONE DI INDIRIZZO
Tale funzione corrisponde alla natura delle Camere in quanto espressive in via diretta della volontà
popolare. Appartengono all’attività di indirizzo le mozioni e le risoluzioni, ma possono essere comprese
anche le leggi di autorizzazione e di approvazione, che esercitano un’efficacia condizionante non solo
per l’attività successiva del Governo, ma anche per quella dello stesso Parlamento che rimane perciò
vincolato alla loro osservanza, a meno di non derogarvi in modo espresso.
Sono collegati alle leggi di autorizzazione e di approvazione la legge di bilancio, il principio secondo il
quale ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farne fronte e l’obbligo
delle Camere di approvare annualmente, oltre al bilancio dello Stato, anche il rendiconto consuntivo
presentato dal Governo.
Oltre a questi atti ve ne è un altro che concreta la funzione di indirizzo politico delle Camere: gli ordini
del giorno, che possono essere presentati nel corso della discussione di un progetto di legge; tali ordini
del giorno contengono indicazioni su problemi specifici e vincolano, sul piano politico, il Governo a
comportarsi di conseguenza.

4) ALTRE FUNZIONI DELLE CAMERE


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Alle Camere spetta di delegare al Governo l’esercizio della funzione legislativa, deliberare lo stato di
guerra (conferendo al Governo i poteri necessari), autorizzare con la legge la ratifica dei principali
trattati internazionali.
Le Camere hanno anche il dovere di esaminare le petizioni che i cittadini hanno ad esse rivolte, per
chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità, e il potere di svolgere, attraverso le
commissioni, indagini conoscitive che possono concretarsi in udienze conoscitive.

5) FUNZIONI DEL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE


Le sedute “tassativamente previste” dalla Costituzione per il Parlamento in seduta comune sono:
− di natura elettorale. Spetta infatti al Parlamento eleggere: il presidente della Repubblica (in questo
caso il collegio è integrato da rappresentanti regionali), 1/3 dei componenti del Consiglio superiore
della Magistratura, 1/3 dei componenti della Corte Costituzionale, i 45 cittadini che formano
l’elenco dal quale verranno estratti a sorte, quando necessario, i 16 giudici aggregati della Corte
Costituzionale per i giudici di accusa. In tutti questi casi si vota soltanto, senza che vi sia
consentita discussione  (collegio elettorale imperfetto).
− di natura processuale-penale. Il presidente della Repubblica può essere posto, con deliberazione del
Parlamento in seduta comune, in stato di accusa dinanzi alla Corte Costituzionale per i reati previsti
dalla Costituzione (art. 90 Cost.).
− di accertamento. Il presidente della Repubblica prima di assumere le sue funzioni, deve prestare
giuramento dinanzi al Parlamento in seduta comune.

CAPITOLO 3
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

SEZIONE I: LA STRUTTURA
Il Capo dello Stato è rappresentante dell’unità nazionale, il Presidente della Repubblica si colloca, nel
nostro ordinamento, al vertice formale della organizzazione statale, fornito di limitati ma significativi
poteri anche sul piano sostantivo.
Durante i lavori della Costituente si discusse a lungo sulla concretezza dei poteri del presidente,
indubbiamente ridotti quantitativamente rispetto a quelli che lo Statuto Albertino concedeva al re, ma
non per questo meno incisivi e rilevanti nel funzionamento del Senato.
Al di sopra delle parti, il presidente della Repubblica è garante della costituzionalità dell’ordinamento e
la Costituzione gli conferisce efficienti poteri per assolvere questa delicata funzione: egli è un organo
tendenzialmente al di sopra delle parti, capace di intervenire in forza di tali poteri costituzionalmente
assegnatigli, per consentire al sistema di funzionare nei momenti di crisi o di pericolo. L’indirizzo
politico per il quale agisce è distinto da quello di maggioranza e può definirsi “indirizzo costituzionale”
proprio in considerazione della posizione che gli spetta di “custode della Costituzione”.

ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


La formazione del Consiglio regionale: il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta
comune dei suoi membri, al quale partecipano 3 delegati per ogni Regione, con l’eccezione della Valle
d’Aosta che ne ha 1, eletti dal Consiglio regionale. La Costituzione consente l’elezione di delegati
regionali estranei ai Consigli regionali anche se preferibilmente non lo sono.

Le procedure per l’elezione: la convocazione di tale Parlamento spetta al Presidente della Camera dei
deputati, che deve provvedervi 30 giorni prima che scada il termine di durata del mandato del
presidente in carica.
Se però le Camere sono sciolte o manca meno di 3 mesi alla loro cessazione, l’elezione ha luogo entro 15
giorni dalla riunione delle nuove Camere (procedura che ha lo scopo di evitare l’elezione del Capo dello

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Stato da parte di Camere ormai alla fine del loro mandato e quindi meno rappresentative). Nel
frattempo vengono prorogati i poteri del presidente in carica.
In caso di impedimento permanente, di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, la
convocazione del Parlamento integrato dai delegati regionali ha luogo entro 15 giorni dal verificarsi
dell’evento, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manchi meno di 3 mesi alla loro
cessazione.
In questi casi non potranno essere prorogati i poteri del presidente cessato anticipatamente dal
mandato e quindi le funzioni presidenziali vengono svolte, in qualità di supplente, dal Presidente del
Senato (art. 86 Cost.).
L’organo cui spetta l’elezione del presidente della Repubblica funziona come un collegio elettorale, è
esclusa quindi qualsiasi forma di discussione di merito, ed è per questo ricompresso nella categoria dei
collegi imperfetti.
L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo a scrutinio segreto. È dichiarato eletto chi consegua
il voto dei 2/3 dei componenti dell’Assemblea. Qualora nessuno ottenga un tale risultato, si procede ad
una seconda ed eventualmente a una terza elezione; solo a partire dal quarto scrutinio è dichiarato
eletto chi consegua la maggioranza assoluta (cioè la maggioranza dei voti computata sui componenti del
collegio).
Proclamato l’esito positivo il Presidente della Camera, accompagnato dal Segretario Generale, si reca
dall’eletto per consegnargli il verbale dell’avvenuta elezione. Non è prevista però l’accettazione formale
da parte dell’eletto.

Requisiti di eleggibilità e incompatibilità: secondo la Costituzione può essere eletto presidente della
Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto 50 anni di età e goda dei diritti civili e politici.
L’ufficio di presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica, ufficio pubblico o
privato e con l’esercizio di qualsiasi professione. L’assunzione di tale carica da parte dell’eletto provoca
la decadenza immediata da tutte le altre cariche pubbliche e private e da tutti gli uffici ricoperti.
Al presidente sono attribuiti una dotazione e un assegno rivalutati automaticamente annualmente, in
base all’indice ISTAT dei prezzi di consumo.

L’assunzione della carica: il presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, deve
prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento
in seduta comune (art. 91 Cost.).
Il giuramento è l’atto con il quale il Capo dello Stato manifesta la volontà di accettare la carica e viene
immesso nell’esercizio delle sue funzioni. È ormai prassi consolidata che all’atto del giuramento il
presidente rivolga alle Camere riunite un messaggio orale.
Il presidente della Repubblica dura in carica 7 anni da giorno del giuramento: il termine presidenziale è
stato fissato più lungo rispetto alla durata delle Camere (5 anni), per garantire maggior indipendenza al
presidente nei confronti delle Assemblee, entrambe rinnovate nel corso del mandato presidenziale.
In astratto, il capo dello Stato è rieleggibile senza limiti, tuttavia si sono manifestate prevalenti
opinioni contrarie alla rielezione dei presidenti scaduti.

Cessazione della carica: può essere determinata da diverse cause:


− scadenza del mandato: è la situazione normale; il presidente della Camera procederà agli
adempimenti di cui all’art. 85 Cost.;
− dimissioni: atto personale del presidente che non va controfirmato, per essere valido, dai ministri;
− perdita dei requisiti per ricoprire la carica: ipotesi piuttosto astratta  perdita dei diritti civili e
politici a seguito di condanna penale, per atti non riferiti all’esercizio delle funzioni presidenziali;
− morte: il presidente del Senato eserciterà le funzioni di Capo dello Stato e il presidente della
Camera indirà entro 15 giorni dall’evento luttuoso l’elezione del nuovo presidente della Repubblica;
− impedimento permanente all’esercizio delle funzioni: questa ipotesi solleva problemi e procedure
complesse rispetto alla morte.
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Alla cessazione della carica il presidente della Repubblica diviene automaticamente senatore di diritto
e a vita (art. 59 Cost.), senza bisogno di accettazione, anche se rinunciabile per espressa disposizione
costituzionale. Se il presidente ha perduto la cittadinanza o i diritti civili e politici non può diventare
senatore.

Sostituzione temporanea del presidente: se il presidente della Repubblica non può adempiere le sue
funzioni è sostituito dal presidente del Senato  tenuto conto che al presidente della Camera è
attribuita la presidenza del Parlamento in seduta comune, e la disposizione in materia di supplenza
riequilibra così il rapporto tra le due Assemblee ispirato appunto al bicameralismo perfetto.
L’istituto di supplenza del presidente del Senato è lasciato dalla Costituzione a regole di correttezza: è
presupposto un impedimento temporaneo o permanente del presidente della Repubblica.
Per l’impedimento permanente devono sussistere ragioni di salute, e il presidente del Senato eserciterà
le funzioni del Capo dello Stato fino all’entrata in carica del nuovo presidente della Repubblica.
Se l’inadempimento è temporaneo, dovrà risultare da una situazione obiettiva (ad esempio viaggi
all’estero) e non da decisione personale del capo dello Stato, la cui valutazione è peraltro rilevante e
può risultare determinante. È escluso l’istituto della delega delle funzioni.
Accertato l’impedimento, il presidente del Senato acquista immediatamente l’esercizio delle funzioni
presidenziali, con tutte le prerogative della carica, senza necessità di alcuna particolare procedura e
senza l’obbligo di prestare giuramento.
In astratto, il supplente può esercitare tutte le funzioni del presidente impedito; tuttavia si è ritenuto
che la correttezza costituzionale gli impedisca di adottare decisioni di particolare rilievo politico, quale
lo scioglimento delle Camere, o non particolarmente urgenti, come la nomina di senatori a vita.

SEZIONE II: LE FUNZIONI


Le funzioni del Capo dello Stato nell’ordinamento internazionale: nello svolgimento dell’attività
internazionale del nostro Stato, il presidente della Repubblica:
− rappresenta lo Stato nei rapporti internazionali avendo una capacità rappresentativa generale;
− accredita e riceve i rappresentanti diplomatici secondo l’art. 87 Cost.;
− ratifica i trattati previa, quando occorra, autorizzazione delle Camere. Tale autorizzazione è
richiesta per i trattati di natura politica, per i regolamenti giudiziari, per le variazioni del
territorio, per gli oneri alle finanze o modificazioni delle leggi;
− dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Nella prassi soltanto con legge potrebbero
essere conferiti al Governo i poteri necessari e solo successivamente il presidente della Repubblica
potrebbe procedere alla formale dichiarazione di guerra (che tuttavia nel nostro ordinamento può
essere solo difensiva  art. 11 Cost.).

Le funzioni del Capo dello Stato nell’ordinamento interno:


− Atti di indirizzo governativo: gli atti che rendono concreta la politica del Governo vengono imputati
al Presidente della Repubblica per ragioni formali, ma non indicano una competenza sostanziale
dell’organo alla loro adozione, e vengono definiti atti di indirizzo governativo.
La legge 12 gennaio 1991, n.13, ha indicato 30 gruppi di atti che vanno, appunto, adottati con
decreto presidenziale con elencazione esplicitamente dichiarata tassativa e tale da non poter
essere “modificata, integrata, sostituita o abrogata se non in modo espresso”.
Al presidente, in campo militare in qualità di comandante delle Forze Armate sono attribuiti anche
poteri di nomina degli ufficiali delle Forze Armate, del Capo di Stato maggiore della difesa, del
segretario generale della difesa, del capo della Polizia, del comandante generale dell’Arma dei
carabinieri, il comandante generale della Guardia di Finanza, ecc… (vedi pag. 322)
Infine vanno adottati con decreto del Presidente della Repubblica tutti gli atti per i quali è
intervenuta la deliberazione del Consiglio dei ministri.

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− Gli atti esecutivi di prescrizioni costituzionali: altri atti devono essere compiuti dal presidente della
Repubblica per lo stesso funzionamento dell’ordinamento costituzionale. Si tratta di atti dovuti
anche se spesso la loro concreta adozione è preceduta da una proposta ministeriale. Sono atti
assolutamente necessari per la continuità legale e il regolare funzionamento del sistema, sicchè la
loro omissione o anche un semplice ritardo sarebbero una forma di gravissima violazione
costituzionale da parte del Capo dello Stato.
Tali atti sono: la promulgazione delle leggi alla quale il presidente deve procedere entro 1 mese,
salvo che non intenda rinviare la legge alle Camere per una nuova deliberazione; l’indizione del
referendum popolare, costituzionale o abrogativo; l’indizione delle elezioni delle nuove Camere e la
fissazione della loro prima riunione.
− La presidenza di organi collegiali: spetta al presidente della Repubblica la presidenza di organi
collegiali di rilevanza costituzionali, il Consiglio supremo di difesa e il Consiglio superiore della
Magistratura (secondo la Costituzione, unico contatto che gli spetta con il potere giudiziario
ordinario).
La presidenza del Consiglio supremo della difesa spetta al Capo dello Stato come logica conseguenza
della posizione attribuitagli dalla Costituzione di comandante delle Forze armate.
Il Consiglio supremo della difesa è composto da 8 membri permanenti: il presidente della
Repubblica, il presidente del Consiglio dei ministri, 5 ministri (esteri, interno, tesoro, difesa,
industria) e il capo dello stato maggiore della difesa. Alle sedute possono essere invitati altri
ministri, autorità militari o esperti.
Spetta al Consiglio esaminare i problemi generali, politici e tecnici, attinenti alla difesa nazionale e
determinare i criteri e fissare le direttive per l’organizzazione e il coordinamento delle attività che
comunque lo riguardano.
Con gli atti del Consiglio supremo della difesa si concreta l’indirizzo politico in materia di difesa, con
efficacia vincolante anche nei confronti del Governo  quando il Capo dello Stato agisce come
presidente del Consiglio superiore della difesa è coperto dalla responsabilità ministeriale.
La presidenza del Consiglio superiore della Magistratura ha soprattutto carattere simbolico.
− Gli atti di prerogativa: si tratta di concessioni di onorificenze di ordini cavallereschi (non può
crearne nuovi ma concedere onorificenze a quelli esistenti), alla grazia e alla commutazione delle
pene (art. 87 della Cost.), mentre la potestà di concedere amnistia e indulto rimane alle Camere.
− Gli atti di indirizzo presidenziale: complesso di atti che sono attribuiti al presidente in vista della
sua posizione imparziale di supremo garante della costituzionalità del sistema soprattutto in
momenti di crisi politica o istituzionale, e con i quali in Capo dello Stato non dichiara decisioni altrui,
ma decisioni proprie  sono attribuiti non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, al capo
dello Stato. In forza di tali poteri, il nostro presidente non è solo l’organo neutro di
intermediazione, bensì l’organo attivo abilitato ad intervenire con atti rilevanti, nell’interesse del
rispetto della Costituzione e di quell’unità nazionale che spetta al presidente rappresentare.
In particolare:
• La nomina del presidente del Consiglio dei ministri: con questa nomina si conclude la fase
preparatoria nel procedimento formativo del Governo e si fa luogo alla fase costitutiva che
consta della nomina del presidente del Consiglio e, su sua proposta, dei ministri.
I margini di scelta del capo dello Stato possono in realtà risultare molto ridotti, poiché non può
non tenere conto degli orientamenti delle forze capaci di dar vita a una maggioranza
parlamentare.
• L’accettazione delle dimissioni del Governo: spetta al presidente accettare le dimissioni
presentate dal Governo. Quando il Governo non ha ottenuto fiducia delle Camere o è stato
colpito da sfiducia l’atto è dovuto, così come ne caso di morte, impedimento permanente o
decadimento della carica di Presidente del Consiglio. Quando invece il Governo presenta le sue
dimissioni per valutazioni politiche il Capo dello Stato può giocare un ruolo importante e la sua
decisione di accettare o di respingere le dimissioni del Governo, rientra un una valutazione
autonoma e fondata sugli interessi generali del Paese.
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• L’autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge di iniziativa governativa: l’atto di
autorizzazione della presentazione alle Camere di disegni di legge di iniziativa del Governo ha
per lo più valore formale.
• La convocazione straordinaria delle Camere: tale potere, previsto dall’art. 62 Cost., spetta al
Capo dello Stato ma non è mai stato esercitato fino ad oggi.
• L’invio di messaggi alle Camere: i messaggi del Capo dello Stato alle Camere hanno un senso solo
se si considerano come atti di indirizzo presidenziale (indipendenti dai ministri), come la
possibilità data al presidente, in momenti gravi del Paese, di prendere l’iniziativa di inviare alle
Camere messaggi per richiamare la loro attenzione su questioni che meritino di essere
esaminate e discusse.
• Potere di esternazione: il presidente della Repubblica deve avere la possibilità di esprimere le
proprie valutazioni, rispettando l’ordine costituzionale a lui rimesso, rivolgendole alle Camere, al
Governo, ai singoli ministri o anche ad altre istituzioni pubbliche attraverso note verbali o
documenti scritti.
Sarebbe una violazione costituzionale per il presidente fare dichiarazione su questioni che
rientrano nella competenza del Governo e del Parlamento e che sono dipendenti dall’indirizzo
politico della maggioranza.
• Il rinvio delle leggi alle Camere per una seconda deliberazione: il presidente può rinviare alle
Camere per una seconda deliberazione le leggi che gli sono state trasmesse per la
promulgazione; il rinvio deve essere operato con un messaggio nel quale il Capo dello stato
chiarisce i motivi della sua decisione.
Il Capo dello Stato deve infatti avere il potere di richiamare le Camere a una più attenta
valutazione delle leggi approvate, quando tali leggi appaiano in contrasto con prescrizioni
costituzionali o con quegli interessi generali della comunità nazionale di cui il Capo dello Stato è
tutore.
• Lo scioglimento delle Camere: è il potere più rilevante attribuito al Capo dello Stato. È un
contrappeso al potere delle Assemblee di condizionare, con il voto di fiducia, l’esistenza del
Governo nominato dal presidente della Repubblica. In Italia dopo il 1948 si sono avuti 10
scioglimenti anticipati, determinati da motivazioni tecniche (1953, ‘58, ‘63, ‘68), situazioni di
instabilità politica del Parlamento (1972, ’76, ’79, ’83, ’87), contrasti istituzionali (1992), bufere
giudiziarie e mutamento delle leggi elettorali (1994), rotture politiche (1996).
Il potere di scioglimento risponde, anzitutto, alla necessità di garantire il funzionamento delle
istituzioni in caso di incapacità delle Camere di dare un Governo almeno relativamente stabile al
Paese. Lo scioglimento è stato definito successivo quando viene disposto a seguito della sfiducia
votata nei confronti del Governo; anticipato quando viene disposto senza una formale votazione
di sfiducia, ma in una situazione di contrasti politici che dimostri l’impossibilità di avere un
governo stabile ed efficiente.
Altre ipotesi di scioglimento si hanno nel caso di radicale contrasto tra le due Camere (con
conseguente blocco della legislatura), o in caso di conflitto fra parlamento e corpo elettorale.
L’art 88 Cost., che non parla sui casi nei quali può farsi ricorso allo scioglimento anticipato,
contiene due indicazioni procedurali. Infatti il Capo dello Stato: a) prima di disporre lo
scioglimento deve consultare i presidenti delle due Camere e b) non può procedere a
scioglimento negli ultimi 6 mesi del suo mandato (“semestre bianco”).
• La nomina di 5 giudici costituzionali: spetta al presidente nominare 1/3 dei giudici della Corte
Costituzionale (cioè 5), dopo l’elezione degli altri 10 giudici, per consentire al presidente della
Repubblica di integrare la composizione della Corte con quelle delle competenze che fossero
state eventualmente trascurate dal Parlamento o dalle supreme magistrature.
Il presidente deve anche provvedere alla sostituzione del giudice scaduto o cessato dalla carica
entro 1 mese.

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• La nomina di 5 senatori a vita: la scelta rimessa al presidente garantisce una valutazione
obiettiva e non condizionata da considerazioni politiche particolari e, come tale, rientra nelle
esigenze politiche del sistema.
• La nomina di 8 componenti del CNEL e del Segretario Generale della presidenza della
Repubblica: dei 12 membri scelti fra qualificati esponenti della cultura economica, sociale, e
giuridica, 8 sono nominati dal presidente della Repubblica, senza bisogno della proposta del
presidente del Consiglio dei ministri. Per la nomina del Segretario Generale della presidenza
della Repubblica è invece obbligatorio il parere del consiglio dei ministri, ma non vincolante,
mentre è esclusa la proposta governativa.

SEZIONE III: LA RESPONSABILITÀ


La tutela del Capo dello Stato è disciplinata dal Codice Penale, che protegge il presidente della
Repubblica contro particolari reati quali l’attentato contro la sua vita, la sua incolumità e la sua libertà
personale (art. 276); l’offesa alla sua libertà (art. 277); l’offesa al suo onore e prestigio (art. 278).
Secondo l’art. 279 il presidente non ha responsabilità e non può essere biasimato per gli atti del
Governo da lui emanati, per lo stesso criterio si ritiene che sia responsabile per gli atti di indirizzo
presidenziale.
Responsabilità politica: secondo l’art. 89 Cost., nessun atto di indirizzo governativo è valido se non è
controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità. Per quanto riguarda gli atti
di indirizzo presidenziale, il Governo non si assume invece nessuna responsabilità politica.
Responsabilità penale: secondo l’art. 90 della Cost., il presidente non è responsabile degli atti compiuti
nell’esercizio delle sue funzioni, con l’eccezione nel caso di alto tradimento o di attentato alla
Costituzione. A mettere il presidente in stato di accusa è il Parlamento in seduta comune, a giudicarlo la
Corte Costituzionale in composizione integrata.

CAPITOLO 4
IL GOVERNO

SEZIONE I: LA STRUTTURA
Secondo l’art. 92 Cost. il Governo della Repubblica è composto dal presidente del Consiglio, i ministri (in
numero indeterminato ma regolato dall’art. 95 Cost.), che costituiscono insieme, il Consiglio dei ministri.
Il Governo è un organo che agisce in forza di una propria autonoma posizione costituzionale, con proprie
competenze, raccordate, nel loro esercizio, con la volontà popolare espressa dalle Camere e riassunta
nella concessione della fiducia e nello svolgersi del rapporto fiduciario.
Al Governo spetta tutto il potere esecutivo, escludendone l’attività esecutiva per via giurisdizionale.
È disciplinata dalla Costituzione la creazione, nell’ambito del Governo, di un organo collegiale ristretto
con competenze politiche generali detto Consiglio del Gabinetto.
Procedimento formativo del presidente del Governo: il presidente della Repubblica a) nomina il
presidente del Consiglio, b) nomina, su proposta del presidente del Consiglio, i ministri.
Secondo la pratica attuale, il presidente della Repubblica, quando riceve le dimissioni del Governo
uscente, si riserva di accettarle. Quindi, conferisce verbalmente l’incarico di formare il Governo e solo
dopo l’accettazione dell’incarica provvede, con 3 distinti ma contestuali, a:
− accettare le dimissioni del precedente Gabinetto: i decreti di accettazione delle dimissioni sono
controfirmati dal presidente del Consiglio entrante;
− nominare il nuovo presidente del Consiglio;
− nominare, su proposta del presidente del Consiglio, i ministri del nuovo Gabinetto.
Fase preparatoria alla nomina del presidente del Consiglio: l’atto di nomina del presidente del Consiglio
è preceduto da una fase preparatoria che si compone di 3 momenti:

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− Consultazioni: il capo dello Stato, secondo una consuetudine tradizionale, acquisisce le necessarie
notizie ufficiali per la situazione più conveniente della crisi, rivolgendosi ad alcune personalità
secondo le sue presenze. Solitamente si tratta di personalità che per la posizione ricoperta in
passato possano dare al presidente una visione che prescinda dalle considerazioni di parte (ex
presidenti della Repubblica, della Camera, del Consiglio,…) o personalità che esprimano, le posizioni
delle diverse forze politiche rappresentate in Parlamento.
− Missioni esplorative, affidate a personalità che possano fornire ulteriori indicazioni, ma che non si
propongono di costituire il Governo, o pre-incarichi, affidati al pre-incaricato di formare il Governo,
per ulteriori chiarimenti. Il Capo dello Stato può far ricorso alle missioni esplorative o ai pre-
incarichi qualora ritenga che esistano margini di dubbio o zone di incertezza.
− Conferimento dell’incarico: l’incarico in oggi è conferito verbalmente e di tale conferimento viene
data notizia nel decreto di nomina del presidente del Consiglio. L’incaricato, che accetta con
riserva, compie a sua volta, secondo la prassi affermatisi, ulteriori consultazioni, valutando per
proprio conto la situazione politica, e qualora si convinca della possibilità di ottenere un risultato
positivo, si reca dal presidente della Repubblica per sciogliere la riserva e accettare di formare il
Governo.
L’attività del capo dello Stato si esaurisce nella scelta del capo dello Stato: conclusa tale attività
egli non può ingerirsi nelle valutazioni politiche e nelle conseguenti determinazioni operative che
spettano, ormai, all’incaricato e ad esso soltanto. Di conseguenza il capo dello Stato potrà revocare
l’incaricato, ma solo per motivi che non attengano alle scelte politiche compiute dall’incaricato.
La nomina del presidente del Consiglio dei ministri: se la persona prescelta accetta l’incarico, il
presidente della Repubblica la nomina, con proprio decreto, presidente del Consiglio dei ministri.
Tale decreto deve essere controfirmato dallo stesso presidente del Consiglio entrante, che attesa che
la scelta del capo dello Stato è conforme a Costituzione, cioè tende effettivamente alla formazione di
un Governo nel rispetto delle regola del sistema.
Né la Costituzione né le leggi prevedono particolari requisiti per la carica di presidente del Consiglio:
come per tutte le cariche pubbliche è sufficiente l maggiore età e il godimento dei diritti civili e
politici.
La nomina dei ministri: come detto, da un punto di vista formale, il presidente incaricato conserva la
libertà, che la Costituzione gli riconosce, di scegliere i ministri che più rispondono al suo disegno
politico. Sul presidente incaricato, però, sono esercitate pressioni dai partiti e dai loro gruppi
parlamentari, tanto che, in pratica, sono più gli organi dei partiti che non l’incaricato a formare la lista
dei ministri, particolarmente quando il Governo è in coalizione.
Completata la lista dei ministri il presidente del Consiglio la propone al presidente della Repubblica (il
quale non ha il potere di cambiarla ma solo di consigliare l’incaricato della scelta), che procede alla
firma dei decreti di nomina. Nella lista dei ministri spesso compaiono:
− Vice presidenti del Consiglio: l’attribuzione di tale funzione a un ministro, che resta possibile ma
non necessaria, spetta al Consiglio dei ministri, su proposta del presidente del Consiglio;
− Ministri senza portafoglio: secondo la l. 400/1988 il presidente della Repubblica, all’atto della
costituzione del Governo, può su proposta del presidente del Consiglio, nominare, presso la
presidenza del consiglio, ministri senza portafoglio, i quali svolgono le funzioni loro delegate dal
presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei ministri, con provvedimento da pubblicarsi nella
Gazzetta Ufficiale. Sono sorte numerose critiche perché la l. 400/1988 sembra aggirare la
Costituzione, per la quale il numero dei ministri è determinato per legge.

Il giuramento dei membri del governo: prima di poter assumere le proprie funzioni, presidente del
Consiglio e ministri devono prestare giuramento, che avviene in due tempi: prima giura da solo il
presidente del Consiglio, e poi, a turno, tutti i ministri, alla presenza del presidente del Consiglio
che funge da testimone del giuramento dei suoi colleghi di Gabinetto. La l. 400/1988 fissa il

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contenuto di tale giuramento: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la
Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione”.
L’interpretazione formalmente più corretta della Costituzione richiederebbe dapprima la nomina e il
giuramento del presidente del Consiglio e quindi la nomina e il giuramento dei ministri.
Altri organi del Governo, secondo la l. 400/ 1988, possono essere considerati:
 Sottosegretari di Stato: ovvero segretari parlamentari che collaborano con un ministro del
Governo. Per la nomina, è previsto il decreto del presidente della Repubblica, su proposta del
presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei ministri. Ma la proposta del presidente del
Consiglio va fatta “di concerto con il ministro che il sottosegretario è chiamato a coadiuvare.
L’ufficio dei sottosegretari, che prestano giuramento nelle mani del presidente con la stessa
formula stabilita per i ministri, va disciplinato con legge. I sottosegretari seguono inoltre la sorte
del Governo che ne ha deciso la nomina e il limite massimo del loro numero è scomparso.
 Commissari straordinari del Governo: ferma restando le attribuzioni dei ministeri fissate per
legge, possono essere nominati Commissari straordinari del governo, al fine di realizzare
specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o
dal Consiglio dei ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo
tra amministrazioni statali. La nomina dei Commissari straordinari è disposta con decreto del
presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri.
 Comitati interministeriali: ovvero organi collegiali ristretti con compiti settorialmente limitati e
rientranti nella sfera di più ministeri, con finalità di coordinamento di attività che interessano
più dicasteri (dicastero = ministero). Dei comitati interministeriali possono farne parte solo
ministri, o ministri e sottosegretari. I Comitati non hanno comunque responsabilità nei confronti
delle Camere, mentre restano responsabile il Governo e i ministri individualmente. I Comitati
dovranno inoltre attenersi all’indirizzo politico- amministrativo deliberato dal Consiglio dei
ministri e dinanzi a questo saranno responsabili per gli atti eventualmente difformi da tale
indirizzo.

SEZIONE ② : LE FUNZIONI:
1. FUNZIONE POLITICA O DI GOVERNO:
Posto al vertice dell’esecutivo, il Governo esercita innanzitutto funzioni di indirizzo politico: la
politica generale del Governo è il momento della scelta, fra i vari indirizzi possibili, dell’indirizzo
politico cui intende conformarsi l’attività dell’esecutivo e della pubblica amministrazione e si
distingue dalla politica nazionale, momento di analisi delle possibili scelte in ordine alle esigenze
nazionali. Alcuni punti essenziali riguardo alla funzione di governo:
a) l’attività di governo è attività politica, ovvero libera nel fine;
b) l’attività di governo è condizionata al rispetto della Costituzione e delle leggi. Si pone però
come attività legislativa anche sul piano legislativo e come tale può tendere al mutamento della
situazione legislativa esistente, mediante proposta di disegni di legge;
c) l’attività del Governo è attività di scelta e di comando, dove si esprime l’autorità dello Stato;
d) l’attività di governo spetta istituzionalmente all’organo Governo, ma trova la sua verifica, in
relazione alla volontà popolare, nel raccordo con le Camere che si esprime con la concessione e
con la revoca della fiducia. Spetta inoltre alle Camere, approvando o respingendo le proposte di
legge del Governo,consentire davvero all’attuazione dell’indirizzo politico adottato e perseguito
Indirizzo politico: non può aversi indirizzo politico senza azione di governo ma anche viceversa.
L’indirizzo politico si concreta nella predeterminazione della linea politica lungo la quale si
svolgerà l’attività del Governo e nella mozione motivata della Camera con la quale le Camere
concedono la fiducia al Governo sulla base del programma (cioè dell’indirizzo) esposto dal
presidente del Consiglio. Si ritiene che il Governo potrà discostarsi dall’indirizzo politico illustrato
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alle Camere e posto a base della fiducia, tuttavia portando la responsabilità politica del
cambiamento dell’indirizzo politico originario ➪ le Camere potranno far valere tale responsabilità
revocando la fiducia.
L’indirizzo amministrativo: l’indirizzo amministrativo si manifesta soprattutto nella cosiddetta
attività di “alta amministrazione”. Secondo l’art. 95 Cost. anche l’attività amministrativa, per la
parte che non è pura esecuzione, va rimessa alle scelte generali del Governo ➪ l’alta
amministrazione è il punto di raccordo tra l’indirizzo politico del Governo e l’attività amministr.
2. FUNZIONI NORMATIVE: a) la delegazione legislativa
b) i decreti legge vedi pagg. 14 - 15
c) i regolamenti
3. FUNZIONI SPECIFICHE DEI SINGOLI ORGANI DI GOVERNO:
In base alle disposizioni della l. 23 agosto 198, n.400, e della Costituzione:
a) Il Consiglio dei ministri è competente a decidere la politica generale del Governo, tanto interna
quanto internazionale e spettano alla sua competenza tutte le decisioni che la Costituzione
attribuisce al Governo. Spetta inoltre al Consiglio dei ministri deliberare l’indirizzo generale
dell’azione amministrativa, dirimere i conflitti di attribuzione tra i ministri, decidere sulle
decisioni del Governo nei confronti delle Regioni, deliberare sugli atti concernenti i rapporti con
la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose, nonché decidere sugli atti da emanare con
decreto del presidente della Repubblica previo parere del Consiglio di Stato, qualora il ministro
competente non intenda conformarsi a tale parere, e sulla richiesta di registrazione con riserva
alla Corte dei conti.
b) Il presidente del Consiglio dei ministri è l’organo individuale di maggior rilevanza nell’ambito
del Governo e rappresenta il Governo. Propone al capo dello Stato la lista dei ministri e dei
sottosegretari da nominare; dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile; mantiene
l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.
Spettano a lui importanti funzioni di impulso e di direzione nei confronti dei ministri (circolari,
direttive, e simili, oppure richiami, richieste di spiegazioni o di chiarimenti e simili). Ove lo
ritenga opportuno e necessario, può proporre al capo dello Stato la revoca di uno o più ministri.
c) I vice presidenti del Consiglio suppliscono il presidente in caso di assenza o impedimento
temporaneo. In mancanza del vice presidente tale supplenza spetta al ministro più anziano d’età.
d) I ministri, in quanto organi individuali del Governo, contribuiscono a decidere la politica
generale del Governo e hanno compiti amministrativi, tanto da costituire il necessario raccordo
tra attività di Governo e attività amministrativa. I ministri senza portafoglio hanno competenza
politica ma non amministrativa ( non sono cioè preposti a un ministero).
e) I comitati interministeriali hanno competenze prevalentemente preparatorie nell’ambito dei
settori materiali loro assegnati, contribuendo a coordinare l’attività e le decisioni dei diversi
ministeri in settori di competenza mista o comunque collegata.
f) I commissari straordinari del Governo hanno la funzione di realizzare specifici obiettivi in
relazione a programmi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri ed anche la
funzione temporanea di coordinamento operativo fra amministrazioni statali.
g) I sottosegretari di Stato hanno il compito istituzionale di coadiuvare il ministro preposto al
ministero cui sono assegnati. Trattandosi di delegazione in senso proprio, l’attività compiuta dal
sottosegretario è imputata al ministero, così come se fosse stata compiuta dal ministro.

SEZIONE ③ : LA RESPONSABILITA’ GOVERNATIVA. LE CRISI DI GOVERNO:


Dopo la nomina da parte del capo dello Stato, il Governo deve ancora affrontare la verifica
parlamentare, deve cioè ottenere il consenso delle due Camere mediante concessione di fiducia.
Questo corrisponde al principio dei regimi parlamentari secondo il quale il Governo è politicamente
responsabile nei confronti delle assemblee rappresentative. Oltre che in sede politica, i ministri
possono essere responsabili in sede penale (reati ministeriali), in sede civile (per atti in violazione di
diritti), in sede contabile per danni cagionati con dolo o colpa grave nelle loro funzioni.
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Rapporto fiduciario: secondo l’art. 94 Cost. “il Governo deve avere la fiducia delle due Camere”.
➪ senza la fiducia il Governo non può sopravvivere e il rapporto fiduciario deve permanere.
In Italia: nel nostro ordinamento, secondo Costituzione, il Governo deve presentarsi alle Camere
entro dieci giorni dalla nomina per ottenere la fiducia, esponendo, mediante una dichiarazione del
presidente del Consiglio, la propria linea programmatica, sulla quale si apre un dibattito che si
conclude con un voto sulla mozione di fiducia. L’instaurazione della fiducia deve obbligatoriamente
avvenire mediante una votazione delle Camere su una apposita mozione motivata e votata per
appello nominale.
➪ Il discorso programmatico del Governo è letto solo in una Camera mentre all’altra è consegnato
il testo scritto che viene pubblicato subito negli Atti.
➪ Il dibattito sulle dichiarazioni del Governo avviene, alternativamente, prima alla Camera e poi al
Senato.
➪ Il Governo, dopo aver prestato il giuramento e prima di aver ottenuto la fiducia, può esercitare
tutte le funzioni che gli competono ma si ritiene che per correttezza, debba astenersi dal
compiere atti o dall’adottare iniziative in attuazione di un indirizzo politico che deve essere
ancora confortato dalla fiducia parlamentare.
La permanenza della fiducia si presume, e la sua messa in causa può ottenersi mediante voto di una
Camera su una mozione di sfiducia o sulla questione di fiducia posta dallo stesso Governo:
 La mozione di sfiducia: secondo l’art. 94 Cost., “il voto contrario di una o di entrambe le
Camere su una proposta del Governo non importa l’obbligo di dimissioni”. La revoca della
fiducia va operata mediante strumenti formali e con le procedure apposite, richieste dall’art. 94.
La mozione di sfiducia deve essere motivata, deve essere sottoscritta da almeno un decimo dei
componenti della camera dinanzi alla quale viene presentata, deve essere votata per appello
nominale. Qualora la mozione sia approvata, il Governo deve dimettersi senza indugio e si apre
così la crisi di Governo (crisi parlamentare). Nella pratica tutte le crisi, fino ad ora, sono state
determinate da avvenimenti accaduti fuori del Parlamento, caratterizzandosi così come crisi
extraparlamentari.
Sfiducia individuale: la dottrina ammette la possibilità astratta di un voto di sfiducia individuale,
che tuttavia in concreto porrebbe in posizione critica l’intero Governo per il principio dell’unità
e della solidarietà ministeriale.
 La questione di fiducia: la permanenza del rapporto fiduciario tra Governo e Camere può essere
verificata anche per iniziativa del Governo mediante la posizione della questione di fiducia su
un testo che una Camera si appresti a votare ➪ l’adozione o la reiezione del testo contro o a
favore del quale il Governo ha posto la questione, comporta la revoca delle fiducia e le
dimissioni obbligatorie del Gabinetto.
La posizione della questione di fiducia deve essere preceduta da una deliberazione del Consiglio
dei ministri e la votazione sulla questione di fiducia deve avvenire per appello nominale.
Il “rimpasto” del Governo: talvolta sono necessarie modifiche nella struttura del Governo,
successive alla sua formazione, a causa di situazioni politiche non rilevanti (dimissioni di un
ministro per motivi personali; morte di un ministro e simili), o a causa di contrasti di carattere
politico (dimissioni di uno o più ministri per dissensi sulla linea politica del Governo).
Sembra comunque necessario, salvo casi marginali, che il Governo rimaneggiato si presenti alle
Camere per constatare la permanenza del rapporto fiduciario.
Il Governo dimissionario: quando un Governo presenta le dimissioni il presidente della Repubblica
a)si riserva di accettarle; b) invita il Governo a restare in carica per il disbrigo degli affari correnti.
Non sembra accoglibile né la teoria di un organo straordinario che sostituirebbe il Governo nella
normalità delle sue funzioni, né quella del governo che diventerebbe organo amministrativo e non
più politico.
La responsabilità penale dei ministri: i ministri hanno piena responsabilità in sede penale e non
godono di alcuna immunità. Per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni (cioè per i
cosiddetti reati ministeriali), secondo la l. cost. 16 gennaio 1989, i ministri, anche se cessati dalla
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carica, sono sottoposti, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione della Camera della quale
facciano parte o, se non parlamentari, del Senato della Repubblica. I reati ministeriali sono quelli
compiuti a causa o in occasione delle attività ministeriali o in connessione con esse.
Il giudizio su detti reati è demandato al Tribunale del capoluogo del distretto di Corte d’appello
competente per territorio. Un collegio composto di tre membri effettivi e di tre membri supplenti
provvede all’istruttoria preliminare, potendo disporre l’archiviazione del procedimento o la
trasmissione degli atti alla presidenza della Camera competente per l’autorizzazione a procedere.


35
CAPITOLO 5: LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:

SEZIONE ¬: PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:


La Costituzione dedica numerosi articoli alla Pubblica Amministrazione ma i più importanti sono il
97 e il 98 nel titolo riservato al Governo, con l’intenzione di comprendere l’amministrazione
nell’attività esecutiva in senso lato: essa non può essere intesa come un corpo separato nell’ambito
dell’organizzazione statale, poiché, attraverso di essa, si concretano le finalità dello Stato.
Definizione: in senso oggettivo, la pubblica amministrazione è l’attività svolta dagli organi della p.a.
per provvedere alla cura degli interessi concreti ad essi affidati attraverso gli strumenti del diritto
pubblico. In senso soggettivo invece, la pubblica Amministrazione è costituita dal complesso di
organi ed enti che esercitano l’attività amministrativa appena definita.
Art.97 Cost.: i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge (a), in modo che siano
assicurati il buon andamento (b) e l’imparzialità dell’amministrazione (c).
Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le
responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede
mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
) a) riserva di legge nell’organizzazione dei pubblici uffici: si tratta di riserva relativa,
ammettendo l’esigenza di consentire a fonti di grado secondario di disciplinare l’organizzazione
di dettaglio dei pubblici uffici. Subordinando l’organizzazione amministrativa al Parlamento, si
riconduce la p.a. alla volontà popolare.
) b) principio del buona andamento della p.a.: il concetto di buona amministrazione mira ad
assicurare l’efficienza, la rapidità, la correttezza, la congruità dell’azione amministrativa in
riferimento ai fini di interesse pubblico che con essa devono essere perseguiti.
) c) imparzialità della p.a.: l’intendimento del costituente era non nel senso di non essere parte (la
sua posizione parziale nei rapporti giuridici dovrebbe essere la regola), quanto nel significato di
garantire l’indipendenza della p.a. da influenze politiche, nel duplice senso, attivo e passivo.
L’imparzialità si concreta nel dovere di usare parità di trattamento per tutte le situazioni.
Art.98 Cost.: i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Se sono membri del
Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità.
Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i
militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e
consolari all’estero.

SEZIONE − : L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA:


Funzione amministrativa: la funzione amministrativa, che consiste nel perseguimento degli scopi di
pubblico interesse che l’ordinamento assegna all’apparato amministrativo, è caratterizzata dalla
concretezza e dalla variabilità nel corso del tempo. L’attività amministrativa si presenta
complementare all’attività normativa, trasformando il precetto astratto in imperativo concreto.
Soggetti amministrativi pubblici: la p.a. comprende tutti i soggetti pubblici, competenti a porre in
essere attività ammin.; il più importante di essi è lo Stato, per gli altri c’è incertezza classificatoria.
La p.a. può compiere attività di diritto privato ed attività di diritto pubblico. La prima deriva dal
fatto che le persone giuridiche godono della stessa capacità giuridica delle persone fisiche, sicché
esse possono compiere tutte le attività che rientrino nella capacità di queste ultime e che siano
compatibili con la peculiare natura delle persone giuridiche. L’attività di diritto pubblico della p.a.
si realizza nella generalità dei casi mediante atti amministrativi, che vengono considerati nel
complesso degli atti dei pubblici poteri, per sottolineare il carattere di espressione della
amministrazione autoritativa che ad esso compete quando assume la veste di provvedimento,
conseguendo il massimo di forza giuridica.
Elementi essenziali dell’atto amministrativo: gli elementi di cui si compone un atto amministrativo
possono essere essenziali o eventuali. Elementi essenziali di ogni atto amministrativo sono:
- il soggetto: deve essere, di regola, un organo della p.a., competente ad adottare l’atto;
- l’oggetto: è il termine passivo nei cui confronti opera la vicenda giuridica cui l’atto rivolge i
propri effetti (ad esempio il terreno espropriato, il pubblico impiegato promosso..);
- il contenuto: è quanto l’atto dispone. Il contenuto necessario corrisponde alla finalità concreta
perseguita, ma accanto a questo può ammettersi un contenuto eventuale (ad esempio clausole);
- la causa: consiste nella funzione istituzionale che con l’atto si persegue o anche nello scopo
tipico dell’atto. Accanto ad essa si collocano i motivi;
- la forma (talora): non con finalità probatorie o di validità, bensì elemento essenziale in quanto
esternazione dell’amministrazione. Solitamente è la forma scritta.
Elementi eventuali dell’atto amministrativo: essi vengono considerati clausole accessorie:
- la condizione: è l’avvenimento futuro e incerto al cui verificarsi è subordinato l’inizio
(condizione sospensiva) o la cessazione dell’efficacia dell’atto (condizione risolutiva);
- il termine: è il momento a partire dal quale, o fino al quale, l’atto ha efficacia;
- il modo: è l’onere cui può essere assoggettato il destinatario (beneficiario) dell’atto.
Il silenzio della p.a.: in diritto amministrativo il silenzio viene considerato, più spesso, come
silenzio-rifiuto, e, più raramente, come silenzio-accoglimento.
Procedimento amministrativo: esso si compone di tre fasi che godono di relativa autonomia e
spesso sono attribuite ad organi diversi. La prima fase è la fase preparatoria, nella quale si avvia il
procedimento, si compiono le eventuali operazioni necessarie, si acquisiscono pareri, ecc..; la
seconda è la fase costitutiva (talora definita essenziale), nella quale sulla base dell’accertamento e
della valutazione dei presupposti viene emanato l’atto che esprime la statuizione dell’autorità
amministrativa. Segue, infine, la fase integrativa dell’efficacia, nella quale si acquisiscono quegli
ulteriori elementi che sono necessari perché l’atto possa produrre l’effetto giuridico che gli è
proprio. L’atto è perfetto a conclusione della fase costitutiva, per essere efficace deve completarsi la
fase integrativa dell’efficacia. L’amministrazione ha inoltre il dovere di concludere il procedimento
con un provvedimento espresso,entro un termine certo, che se non è altrimenti fissato è di 30 giorni.
Invalidità dell’atto: l’invalidità dell’atto può consistere nella sua difformità da una norma (vizio di
legittimità), oppure da un regola di buona amministrazione o di opportunità amministrativa (vizio di
merito). I vizi di legittimità possono comportare la nullità o l’annullabilità dell’atto, i vizi di merito
soltanto la annullabilità e nei soli casi previsti dalla legge.
Nullità dell’atto amministrativo: un atto amm. È nullo quando in esso manca un elemento
essenziale; se contrario a norme imperative di legge, non è nullo ma soltanto annullabile per
violazione di legge. Cause di nullità dell’atto amministrativo:
a) mancanza del soggetto: quando un atto non è stato posto in essere da un organo della p.a.
oppure è stato emanato sì da una pubblica autorità, ma assolutamente incompetente;
b) mancanza dell’oggetto: quando non esiste il bene o il rapporto che l’atto contempla, tanto
materialmente quanto giuridicamente;
c) mancanza della forma: quanto manca del tutto qualsiasi tipo di esternazione.
Annullabilità dell’atto amministrativo: l’atto amm. è invalido e annullabile quando viziato da:
- incompetenza: quando l’autorità che ha emanato l’atto non ne aveva la legittima potestà o per
ragioni di materia, o di territorio, o di grado;
- violazione di legge: quando si registra una violazione di una disposizione normativa cui
l’amministrazione doveva invece attenersi;
- eccesso di potere: le più rilevanti figure sintomatiche di eccesso di potere possono indicarsi
nella insufficiente o incongrua motivazione, nell’ingiustizia grave e manifesta, nella disparità di
trattamento, nella contraddittorietà fra provvedimenti dell’amministrazione, nel travisamento o
nell’erronea rappresentazione dei fatti, nella illogicità dei criteri di valutazione.
Annullabilità dell’atto viziato nel merito: l’atto viziato nel merito può essere annullato e revocato,
ma solo nei casi espressamente previsti dalla legge.
Sanatoria degli atti amministrativi invalidi: l’atto amministrativo nullo non produce effetti validi e
la nullità tanto dell’atto quanto dei suoi effetti può essere fatta valere in qualunque tempo. L’atto
viziato, invece, deve essere impugnato entro termini perentori, a pena di divenire inoppugnabile,
consolidandosi dunque, nonostante i suoi vizi e salva sempre la facoltà di autotutela della
amministrazione. La sanatoria può riguardare solo i vizi di legittimità, posto la difficoltà logica di
sanare vizi di merito. Può avvenire mediante convalida, cioè rimozione da parte della stessa autorità
che ha adottato l’atto, di quei difetti di legittimità che viziavano l’atto, mediante ratifica dell’organo
competente, oppure mediante conversione in forza della quale si attribuiscono all’atto invalido gli
effetti di altro atto del quale possiede i requisiti.

SEZIONE ® : I RICORSI AMMINISTRATIVI:


Se l’atto viziato viola situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela, può essere impugnato,
per farne valere la nullità o l’annullabilità, tanto in sede amministrativa quanto in sede
giurisdizionale. Quanto ai ricorsi in via giurisdizionali, la relativa cognizione è rimessa a giudici
speciali (vedi pag. 37). I procedimenti in via amministrativa sono caratterizzati dall’essere rimessi
alla stessa amministrazione che, appunto, attraverso un riesame del provvedimento oggetto del
ricorso, ne decide il mantenimento (respingendo il ricorso)o l’annullamento (accogliendo il ricorso).
- ricorso in opposizione: è diretto alla stessa autorità che ha emanato l’atto, solo nei casi
espressamente previsti dalla legge. E’ sempre facoltativo ed è considerato strumento di
collaborazione del privato per ottenere la rettifica del provvedimento verso cui è preposto.
- ricorso gerarchico: è rimedio a carattere generale avverso gli atti emanati da un’autorità
amministrativa, che non siano definitivi e si pretendano lesivi di un diritto o di un interesse, per
motivi di legittimità o di merito. Deve esistere un rapporto di sovra e sotto ordinazione tra
l’organo al quale viene presentato il ricorso e l’organo che ha emanato l’atto. Il ricorso
gerarchico può essere inoltre proposto “in un'unica istanza”, cioè una sola volta.
L’organo decidente sovraordinato, esaurita l’istruttoria, può: a) dichiarare il ricorso
inammissibile se non poteva essere proposto; b) respingere il ricorso se lo riconosce infondato;
c) accogliere il ricorso per motivi di legittimità o di merito, annullando o riformando l’atto,
salvo il rinvio dell’affare all’organo che lo ha emanato. La decisione deve essere motivata e
comunicata all’organo che ha emanato l’atto, al ricorrente e agli altri interessati.
In talune ipotesi, previste tassativamente dalla legge, è ammesso ricorso contro atti di autorità
che non hanno un superiore gerarchico (secondo il d.p.r. 1199/71, verso gli atti amministrativi di
ministri, di enti pubblici, di organi collegiali).
- ricorso straordinario al presidente della Repubblica: il ricorso al capo dello Stato è ammesso
soltanto contro gli atti amministrativi definitivi. Può essere proposto per la tutela sia di interessi
legittimi che di diritti soggettivi ma soltanto per motivi di legittimità, con l’esclusione di
censure di merito. Il ricorso straordinario è alternativo al ricorso giurisdizionale, sicché chi lo
abbia proposto non può, anche se ancora in termini, proporre ricorso al TAR avverso lo stesso
provvedimento.
Il ricorso straordinario deve essere presentato presso il Ministero competente per materia o
presso l’autorità amministrativa che ha emanato l’atto impugnato. Il ministero competente deve
poi trasmettere il ricorso al Consiglio di Stato per il previsto parere, che nei confronti del capo
dello Stato è “relativamente vincolante”: è vincolante cioè fino a che non intervenga una
dichiarazione difforme del Consiglio dei Ministri. La decisione è assunta con decreto del
presidente della Repubblica, controfirmato dal Ministero proponente e, se vi è stata
deliberazione del Consiglio dei Ministri, anche del presidente del Consiglio.
c

CAPITOLO 6: GLI ORGANI AUSILIARI:


Sotto il titolo dedicato al Governo, la Costituzione (artt.99 e 100) tratta degli organi ausiliari, cioè
del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti.
Secondo la definizione più corrente, gli organi ausiliari sono quegli organi che svolgono un’azione
funzionalmente correlata a quella di organi primari e quindi un’azione consultiva o di controllo.
Tali organi non si ritengono costituzionali, ovvero talmente coessenziali al sistema da alterare, ove
mancanti, lo stesso ordinamento, ma costituzionalmente rilevanti e garantiti e quindi una loro
abolizione non potrebbe operarsi che mediante legge di revisione costituzionale.
① Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL): doveva costituire un momento per
comporre preventivamente, rispetto al procedimento di emanazione delle leggi, gli interessi delle
categorie produttive ed economiche, ma viene spesso considerato un “ramo secco”. Ai sensi
dell’art.99 e della legge, il CNEL è composto di esperti (in numero di 11) e rappresentanti (in
numero 99) delle categorie produttive ed economiche, integrati dal presidente: tutti i componenti
durano in carica 5 anni e possono essere riconfermati.
Le funzioni del CNEL sono di due ordini (art.99): a) è organo di consulenza delle Camere e del
Governo, e può agire per propria iniziativa o su proposta del Governo, b) è organo dotato di
iniziativa legislativa: può proporre progetti di legge nelle materie dell’economia e del lavoro.
② Il Consiglio di Stato: anch’esso ha due importanti funzioni, secondo l’art.100: a) funzioni
consultive in materia giuridico-amministrativa (il parere del C.di S. richiesto dai ministri può essere
facoltativo o obbligatorio, ma non è mai vincolante), o attraverso formulazione di progetti di legge e
di regolamenti affidati dal Governo, b) funzioni giurisdizionali su atti o provvedimenti
amministrativi emessi in violazione di interessi legittimi ed, eccezionalmente, di diritti soggettivi.
Il C.di S. si divide in sei sezioni, le prime tre consultive, mentre le altre tre costituiscono il C.di S.
in sede giurisdizionale. Ogni sezione si compone di due presidenti e almeno dodici consiglieri.
③ La Corte dei Conti: ha anche funzioni consultive ma, soprattutto, di controllo: il suo controllo
sull’amministrazione dello stato non è solo contabile ma di legittimità (e non di merito), nei limiti
stabiliti dalla legge, e ad essa sono attribuite funzioni giurisdizionali in materia di contabilità
pubblica. Gli atti sottoposti a controllo preventivo divengono efficaci se la Corte non ne dichiara
l’illegittimità nel termine di trenta giorni.

35
CAPITOLO 7
LA MAGISTRATURA

SEZIONE I: PRINCIPI GENERALI. L’INDIPENDENZA DEI GIUDICI E DELL’ORDINE GIUDIZIARIO


La magistratura è un insieme di organi che esercitano la funzione giurisdizionale (potere giudiziario) in
modo autonomo e indipendente dagli altri poteri delle Stato (potere legislativo ed esecutivo)  per
adempiere il mandato che esercita in nome del popolo
In passato si è sempre cercato di riconoscere alla magistratura la garanzia della corretta applicazione
del diritto oggettivo alle situazioni concrete.
Funzione giurisdizionale: consiste nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto oggettivo (cioè
delle regole generali) al caso concreto, da parte di un organo terzo rispetto al conflitto e di solito in
seguito a impulso di parte  applicazione del potere giurisdizionale.
La funzione giurisdizionale è la funzione esercitata di regola dai magistrati ordinari istituiti e regolati
dalle norme sull’ordinamento giudiziario, ai sensi dell’art.102 Cost.
La funzione giurisdizionale, propria del giudice, è una delle funzioni fondamentali dello Stato (le altre
sono la funzione legislativa, svolta dal Parlamento, e quella amministrativa, svolta dalla Pubblica
amministrazione). Con il termine funzione giurisdizionale ci si riferisce a tutte le attività dei giudici.
L’insieme dei giudici togati (cioè i magistrati di carriera) costituiscono la magistratura e il loro potere
si chiama potere giudiziario.
Indipendenza dei giudici: l’indipendenza dei giudici è un principio disciplinato ampiamente dalla
Costituzione: “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” art.101, 2°comma; “la magistratura costituisce
un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” art.104, 1°comma; “spettano al Consiglio
superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le
assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”
art.105.
Appare evidente l’intendimento del costituente di tutelare sia l’indipendenza funzionale sia quella
organizzativa (intesa come autogoverno) dell’ordine giudiziario.
− L’indipendenza funzionale dei giudici consiste nella possibilità di giudicare senza altra soggezione
che non sia la soggezione alla legge ( “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”).
È escluso che il magistrato possa subire pressioni o influenze dirette ad incidere sul suo giudizio,
alterando la volontà della legge. Egli infatti nell’applicare la legge deve attribuire il senso fatto
palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dato dall’intenzione del
legislatore.
La dipendenza del giudice dalla legge, che deve applicare per quello che è e per quello che vuol dire,
è senza riserve, ma è anche l’unica; per legge si intende il diritto oggettivo, quale che ne sia la fonte
di produzione.
− L’indipendenza organizzativa della magistratura è la tutela del giudice fuori dal giudizio.
A ciò mira l’autonomia e l’autogoverno del potere giudiziario art.104 Cost.: “la magistratura
costituisce un organo autonomo e indipendente da ogni altro potere”. L’art. 107 Cost. afferma che i
giudici sono inamovibili, se non con il proprio consenso o con decisione del CSM adottata per gravi
motivi o per iniziativa dello stesso giudice. I giudici tra loro non si differenziano per posizione (non
esistono gerarchie) ma unicamente per funzioni.

Il Consiglio superiore della magistratura: assicura il collegamento tra potere giudiziario e altri poteri
dello Stato.
Il CSM si compone di tre membri di diritto (il presidente della Repubblica che presiede il CSM, il primo
presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione) e da 30 membri elettivi (20 sono eletti
dai magistrati ordinari e 10 dal Parlamento in seduta comune), dall’art. 104 Cost.
La Costituzione inoltre detta altre norme in materia di composizione e funzionamento del CSM:
− il presidente del CSM è il presidente della Repubblica;
− il vicepresidente è eletto fra 10 componenti di nomina parlamentare (designati dal Parlamento);
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− i membri elettivi del Consiglio durano in carica 4 anni e non sono immediatamente rieleggibili;
− tali membri, durante la carica, non possono essere iscritti negli albi professionali né far parte del
Parlamento o di un Consiglio regionale.
Tuttavia la Costituzione nulla dice riguardo al numero dei componenti elettivi il CSM rinviando,
implicitamente, alle leggi ordinarie.

Spettano al CSM le assunzioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi


dei magistrati (art.105 Cost.). Sempre al CSM spetta designare professori universitari in materie
giuridiche e gli avvocati con almeno 15 anni di esercizio (art.106 Cost.).
La legge n°195 del 1958 dice inoltre che: il CSM può fare proposte al ministro per la grazia e giustizia
sulle modificazioni delle circoscrizioni giudiziarie e su tutte le materie riguardanti l’organizzazione e il
funzionamento dei servizi relativi alla giustizia; il CSM può dare pareri al ministro sui disegni di legge
concernenti l’ordinamento giudiziario, l’amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto attinente
alle predette materie.
Appare dunque chiara la competenza del CSM in tutte le materie attinenti allo stato giuridico dei
magistrati e al governo dell’ordine giudiziario, in modo da essere considerato organo di autogoverno
della magistratura, capace di realizzare l’indipendenza organizzativa di cui essa necessita.

È previsto un Comitato di presidenza, con il compito di promuovere l’attività e l’attuazione delle


deliberazioni del Consiglio e di provvedere alla gestione dei fondi; è composto dal vice presidente, dal
primo presidente della Corte di cassazione e dal procuratore generale presso la Corte medesima.
Nell’ambito del CSM sono costituite, all’inizio di ogni anno, commissioni aventi il compito di riferire al
Consiglio, nonché la Commissione speciale competente a formulare le proposte per il conferimento degli
uffici direttivi.
Di grande importanza è la sezione disciplinare del CSM, competente a conoscere dei procedimenti
disciplinari a carico dei magistrati; composta da 15 membri.
Le deliberazioni sono adottate a maggioranza dei voti (in parità prevale il voto del presidente) e si
traducono in DPR o decreti del ministro per la grazia e la giustizia; i componenti del CSM “non sono
punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni e concernenti l’oggetto della
discussione”.
Contro i provvedimenti del CSM la legge ammette il ricorso al giudice amministrativo per motivi di
legittimità, mentre contro i provvedimenti in materia disciplinare è ammesso ricorso, che ha effetto
sospensivo, alle sezioni unite della Corte di Cassazione.

Posizione costituzionale del CSM


Sono considerati costituzionali quegli organi che sono elementi essenziali della struttura del regime
politico di uno Stato e la loro mancanza modifica la struttura o il regime dello stesso Stato. Di
conseguenza il CSM non è un organo costituzionale ma un organo a rilevanza costituzionale (poiché pare
troppo riduttivo classificarlo soltanto come organo di alta amministrazione).

Posizione del CSM nell’organizzazione complessiva del potere giudiziario


Il potere giudiziario è munito di due organi: la Corte di cassazione e il CSM. Nell’ambito del potere
giudiziario ogni organo è nello stesso tempo potere essendo competente ad esprimere la volontà del
potere giudiziario in modo potenzialmente definitivo.

Giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale


La Costituzione detta altri importanti principi in materia di ordinamento giurisdizionale e di esercizio
della funzione giurisdizionale. La giurisdizione può essere ordinaria o speciale.
Anzitutto, è regola generale che la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti
e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario  criterio dell’unicità di giurisdizione, ispirata alla
necessaria garanzia di obiettività del giudizio impedendo, di norma, la costituzione di giudici speciali o
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di giudici straordinari (principio che può subire eccezioni in riferimento a situazione particolari: come
l’istituzione di sezioni agrarie e i tribunali per minorenni), art.102, 2°comma.
Ancora, la Costituzione prevede espressamente la permanenza del Consiglio di Stato e di altri organi di
giustizia amministrativa della Corte dei conti e dei tribunali militari.
Giurisdizione ordinaria: si suddivide a sua volta in civile e penale. La giurisdizione civile agisce nelle
controversie tra privati, o tra privati e la P.a., per difendere i diritti soggettivi. La giurisdizione penale
ha il compito di reprimere i reati e a difendere la collettività, assegnando pene a coloro che i giudici
ritengano colpevoli di non aver rispettato le leggi.
Giurisdizione speciale: esercitano la loro funzione in settori particolari e anche i giudici che la
compongono sono sottoposti a regole diverse da quelle dei giudici ordinari. La giurisdizione
amministrativa si occupa delle controversie fra privati e la P.a. per la tutela degli interessi legittimi. La
giurisdizione contabile viene esercitata dalla Corte dei conti, che si occupa di controllare in quale modo
viene speso il denaro pubblico e di chiedere il risarcimento da quegli amministratori che ne hanno fatto
cattivo uso. La giurisdizione militare ha competenza per i reati commessi da militari sia in tempo di pace
sia in guerra, e per quelli dei civili commessi in tempo di guerra. Infine sulle controversie tra fisco e
contribuenti sono chiamate a giudicare le Commissioni tributarie, mentre in merito al demanio idrico
sono competenti i tribunali della acque.

Responsabilità civile dei giudici: con l’adozione della legge 13 aprile 1988, n.117, si è attuata una
revisione normativa che ha modificato tutto il sistema: può agire in giudizio chiunque abbia “subito un
danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in
essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni,o per diniego di giustizia”.
L’azione si propone contro lo Stato e mira ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non che
derivino da privazione della libertà personale.
Solo successivamente, entro 1 anno dall’effettuato risarcimento, lo Stato esercita l’azione di rivalsa nei
confronti del magistrato per una somma che, ad eccezione per i casi di dolo, non può superare 1/3 di un
annualità dello stipendio percepito da un magistrato.
Al fine di evitare richieste infondate o eccessive la legge prevede un preventivo esame di ammissibilità
della domanda assegnato allo stesso tribunale che dovrà pronunciarsi sul merito.

SEZIONE II : LA MAGISTRATURA ORDINARIA

La giurisdizione ordinaria
La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme
sull’ordinamento giudiziario. Per converso, ai giudici ordinari spetta il potere giurisdizionale nella sua
generalità, con la sola esclusione delle materie e delle situazioni attribuite per legge a giudici speciali o
a sezioni specializzate.
La magistratura ordinaria è disciplinata dall’ordinamento giudiziario che va adottato con legge (art.108
Cost.)  riserva assoluta di legge statale.
In base al vigente ordinamento giudiziario, la giustizia, nelle materie civile e penale, è amministrata dal
giudice di pace, dal pretore, dal tribunale ordinario, dalla Corte di appello, dalla Corte d’assise e dalla
Corte di cassazione.
I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni (art.107 Cost.). La l. 24 maggio
1951, n°329 ha provveduto a distinguere i magistrati ordinari, secondo le funzioni, in magistrati di
tribunale, di Corte d’appello e di Corte di Cassazione.

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Ogni processo può svolgersi al massimo in 3 gradi, quindi una controversia può essere decisa non da un
solo giudice, ma da più giudici in tempi diversi. Infatti, se una o più parti non sono soddisfatte dekka
decisione di primo grado possono rivolgersi a un altro giudice.
Nel giudizio di primo grado la questione viene esaminata per la prima volta e viene emessa una sentenza
o un altro provvedimento da parte del giudice competente.
Nel giudizio di secondo grado, detto di appello, la questione viene riesaminata da un giudice diverso, che
emetterà a sua volta una sentenza o un altro provvedimento; questo secondo giudizio può annullare gli
effetti del primo, modificandoli, oppure può confermarli. Naturalmente, se le parti sono soddisfatte del
giudizio di primo grado, si asterranno dal fare domanda di giudizio di secondo grado.
Il giudizio di terzo grado, detto di cassazione, ha lo scopo, in qualche caso, di riesaminare la sentenza
d’appello. Il giudizio di cassazione è il più elevato e l’ultimo dei gradi del processo. L’organo competente
è la Corte di cassazione, unico giudice sia per i processi di giurisdizione ordinaria sia per quelli di
giurisdizione speciale (a differenza del giudizio d’appello, pronunciato da giudici diversi a seconda della
materia della controversia). La Corte di cassazione ha sede a Roma e i magistrati che la compongono
sono quelli di grado più elevato nella carriera di giudice.
La Corte giudica in terzo grado sono quando una delle parti sostiene che ne giudizio precedente vi è
stata una violazione di legge. Il giudizio della cassazione è quindi un giudizio sulla legittimità: essa
infatti non tiene conto di come si sono svolti i fatti (o il reato) che hanno dato occasione al processo,
ma controlla che nel giudicare sia stato riespettato il diritto: non è quindi un giudizio sul fatto (che
sarebbe un giudizio di merito), ma sulla forma, cioè appunto un giudizio di legittimità. Solo la Corte di
cassazione può dare questo tipo di giudizio, quelli di primo e di secondo sono invece giudizi di merito.
In sede civile i magistrati giudicanti sono il giudice di pace, il pretore, il tribunale, la Corte d’appello e la
Corte di Cassazione. Giudice di pace e pretore sono giudici individuali (o monocratici), gli altri sono
collegiali.
Il giudice di pace, il pretore e il tribunale sono giudici di primo grado, in base ai criteri di competenza
fissati dal codice di procedura civile.
Le sentenze dei giudici di primo grado possono essere impugnate con appello (principio del doppio grado
di giurisdizione). Le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado (salvo quelle del giudice di
pace) possono essere impugnate con ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione per ottenere che vengano
cassate (cioè annullate con o senza rinvio).
La Corte di Cassazione è giudice di legittimità e non di merito, quindi può essere investita solo per
questioni di diritto.
In sede penale i magistrati giudicanti sono il giudice di pace, il pretore, il tribunale, il tribunale per i
minorenni, la Corte d’assise, d’appello e la Corte di Cassazione, secondo le norme del nuovo codice di
procedura penale.
Il giudice di pace, il pretore, il tribunale, il tribunale per i minorenni, la Corte d’assise sono giudici di
primo grado in base ai criteri di competenza fissati dal codice di procedura penale.
Anche in sede penale vige il principio del doppio grado di giurisdizione, cioè è prevista la possibilità di
impugnazione della sentenza di primo grado.
L’appello contro le sentenze del giudice di pace, del pretore, del tribunale, del tribunale per i minorenni,
della Corte d’assise si propone rispettivamente dinanzi al tribunale, alla Corte d’appello, alle sezione di
Corte d’appello per i minorenni, alla Corte d’assise d’appello.
Possono essere impugnati dinanzi alla Corte di cassazione i provvedimenti penali non soggetti di per se
stessi ad appello o pronunciati in grado d’appello per motivi di diritto.
Sia in sede civile sia in sede penale il processo si articola in 3 fasi: la fase dell’istruzione (o istruttoria),
la fase del giudizio e la fase di esecuzione. Le prime due fasi danno luogo al processo di cognizione e
l’ultima a quello di esecuzione.

Il pubblico ministero
Esso è un altro organo previsto dall’ordinamento giudiziario che si affianca al giudice: alle dipendenze
del procuratore capo si trovano i sostituti procuratori.
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Il p.m. assume diverse denominazioni a seconda del giudice presso il quale esercita le sue funzioni, come
ad es.: pubblico ministero, procuratore della Repubblica, procuratore generale presso la Corte d’appello
o presso la Corte di cassazione.
L’ordinamento giudiziario conferisce al p.m. una serie di attribuzioni dirette, fra l’altro, ad assicurare
l’osservanza delle leggi, la pronta e regolare amministrazione della giustizia, la repressione dei reati,
l’esecuzione dei giudicati.
In materia civile, il p.m. esercita l’azione civile e interviene nei processi, nei casi stabiliti dalla legge (in
particolare nei processi riguardanti lo stato delle persone, nei processi di cassazione, ecc…); in materia
penale, il p.m. è obbligato, secondo l’art.112 Cost., ad esercitare l’azione penale ed interviene a tutte le
udienze penali delle corti, dei tribunali e delle preture.
Il p.m. ha carattere del tutto “neutrale” ed è estraneo all’apparato amministrativo: la sua funzione non
può essere considerata giurisdizionale (non spetta al p.m. giudicare) ma non può essere nemmeno
considerata di parte, essendo finalizzata all’interesse generale e al rispetto della legge.

Il giudice naturale precostituito per legge


Nessuno, secondo Costituzione, può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge; la
precostituzione del giudice, non in quanto persona fisica, ma in quanto organo, comporta la previa
determinazione di competenze realizzabili in futuro e non già, a posteriori, in relazione a una
controversia già insorta. Non un giudice qualsiasi è competente a giudicare la fattispecie ma solo il
“giudice naturale”.

Garanzie costituzionali del processo


La Costituzione fissa alcuni principi in materia processuale: ognuno può agire in giudizio per la difesa dei
propri diritti e interessi legittimi; art.113: “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre
ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione
ordinaria e amministrativa.Tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di
impugnazione o per determinate categorie di atti.”
Art.24, 2°comma: “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. La
Costituzione prevede che siano assicurati, ai non abbienti,mezzi per agire e difendersi davanti ogni
giurisdizione”. 4°comma: “è affidato alla legge il compito di determinare le condizioni e i modi per la
riparazione degli errori giudiziari.”.

Garanzie del processo penale


Alcuni principi fissati dalla Costituzione: nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima del fatto commesso (irretroattività della legge penale e riserva assoluta di
legge, art.25); art.27: personalità della responsabilità penale, presunzione di non colpevolezza
dell’imputato fino alla condanna definitiva, principi relativi alle finalità e all’entità delle pene.

L’art.111 Cost. contiene 2 disposizioni relative all’obbligo dei provvedimenti giurisdizionali e alla
possibilità di ricorso in Cassazione contro tutte le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale.
− Tanto nel processo civile quanto in quello penale i provvedimenti dei giudici possono assumere la
forma del decreto (da non motivare), dell’ordinanza o della sentenza (entrambe da motivare).
− Il ricorso in Cassazione per violazione di legge è sempre ammesso contro le sentenze e i
provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali e
mira ad evitare la possibilità di escludere il ricorso in Cassazione per particolari materie o
limitandolo a particolari vizi di legittimità. Unica eccezione a questo principio si ha per le sentenze
dei tribunali militari in tempo di guerra.

SEZIONE III: I GIUDICI SPECIALI


I principi fondamentali che risultano dalla Costituzione in ambito di giudici speciali sono:

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a) la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, secondo l’art.102, ed è vietata
l’istituzione di giudici straordinari (creati appositamente per una controversia) o speciali (che si
occupano solo di alcune materie), consentendosi soltanto l’istituzione di sezioni specializzate presso gli
organi giudiziari ordinari; b) revisione, e quindi sopravvivenza, dei giudici speciali di giurisdizione
esistenti (ed è dunque un’eccezione al principio a)); c) mantenimento delle funzioni giurisdizionali di
alcuni giudici speciali quali il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti e i tribunali militari; d) istituzione,
nelle Regioni, con legge statale, di organi di giustizia amministrativa di primo grado; e) la garanzia, da
stabilirsi con legge, dell’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali.

1. La giustizia amministrativa
I giudici speciali che assumono maggior importanza nel nostro ordinamento, sia per l’ampiezza della
competenza, sia per l’entità delle pronunce, sono i giudici amministrativi.
Nel diritto pubblico, e in particolare nei rapporti tra privato e p.a., le posizioni giuridicamente tutelate
non assumono soltanto la configurazione di diritti soggettivi, come nel diritto privato. Accanto a questi
si pongono nel nostro vigente ordinamento anche gli interessi legittimi, nella doppia configurazione di
interessi occasionalmente protetti e di diritti affievoliti, mentre gli stessi interessi semplici possono
acquistare qualche rilievo nella misura in cui investono il merito dell’attività amministrativa.
Le posizioni giuridiche soggettive tutelate:
a) diritto soggettivo: sorge quando la legge attribuisce ad un soggetto un potere per la tutela primaria
e diretta del proprio interesse.
b) interesso legittimo (o interesse occasionalmente protetto): si ha quando il comportamento della
pubblica Amministrazione incide su una posizione giuridica che si trovi in una particolare relazione con
la situazione di interesse generale, sicché ne scaturisce una protezione per l’interesse particolare
altrimenti impossibile. (ad es. in caso di concorso pubblico l’interesse legittimo sarà di colui che è stato
escluso a partecipare e che si trova perciò in una posizione soggettiva attiva qualificata).
c) diritto affievolito: si ha quando un diritto soggettivo si estingue a causa dell’esercizio dei poteri
dell’autorità amministrativa. Il diritto soggettivo è dunque subordinato alla sua compatibilità con
l’interesse pubblico. In caso di incompatibilità, il diritto perde la sua rilevanza e appunto si affievolisce,
riducendosi a mero interesse legittimo. L’esempio più comune è l’espropriazione per pubblica utilità: lo
stesso diritto di proprietà si affievolisce, e la proprietà del bene espropriato viene trasferita ad altro
soggetto.

L’art.113 Cost., raccordato con l’art.24, costituisce la disposizione fondamentale in riferimento al


sistema di giustizia amministrativa vigente. Questo articolo fissa 3 principi:
a) la possibilità di ricorrere ai giudici ordinari o speciali, contro gli atti della Pubblica Amministrazione
per la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi;
b) l’impossibilità di escludere o limitare tale tutela giurisdizionale a particolari mezzi di impugnazione
o per determinate categorie di atti;
c) la possibilità di indicare con la legge gli organi giurisdizionali competenti ad annullare atti della
Pubblica Amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.

I Tribunali amministrativi regionali


I TAR sono stati istituiti con la l.6 dicembre 1971, previsti dall’art.125 Cost., e sono stati riordinati con
la l.27 aprile 1982.
I TAR sono “organi di giustizia amministrativa di primo grado”, composti da un presidente e da almeno 5
magistrati amministrativi regionali: le loro circoscrizioni sono regionali ma possono essere istituite
sezioni staccate. Il TAR decide su vari tipi di ricorso e sulla violazione di interessi; la sua giurisdizione
è di regola di legittimità. Il termine per presentare ricorso al TAR è di 60 giorni dalla conoscenza
dell’atto da parte dell’interessato e le sentenze, con le quali si conclude il procedimento dinanzi al TAR,
sono impugnabili mediante ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, da proporre entro 60
giorni dalla sentenza.
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Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
L’art.100 Cost. precisa che il Consiglio di Stato è organo oltre che di consulenza giuridico-
amministrativa anche di tutela della giustizia nell’amministrazione.
Anche il Consiglio di Stato ha una competenza generale di legittimità e una competenza particolare di
merito. Nella grande maggioranza dei casi, il C.di S. decide sulla controversia annullando la decisione
impugnata o respingendo il ricorso contro di essa. Contro le decisioni pronunziate dal C.di S. sono
ammessi soltanto il ricorso per revocazione in alcuni casi e il ricorso in Cassazione per motivi inerenti
alla giurisdizione.

Il Consiglio di Presidenza della giurisdizione amministrativa


Il Consiglio di Presidenza è un organismo che si configura organo di autogoverno della magistratura
amministrativa. Esso è composto da 13 membri effettivi: il Presidente del Consiglio di Stato, dai 2
presidenti di Sezione del Consiglio di Stato più anziani nella qualifica, in servizio presso il Consiglio di
Stato, da 4 magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato e da 6 magistrati in servizio presso i TAR.
Le sue attribuzioni sono dirette all’organizzazione dell’attività dei giudici amministrativi e a garantire
l’indipendenza organizzativa della magistratura amministrativa. Il consiglio delibera sulle assunzioni,
assegnazioni di sedi e funzioni, trasferimenti, promozioni, conferimento di uffici direttivi e su ogni
altro provvedimento riguardante lo stato giuridico dei magistrati del consiglio di stato e dei TAR. Esso
inoltre delibera sui provvedimenti disciplinari riguardanti tali magistrati.

La competenza giurisdizionale della Corte dei conti


La Corte dei conti è un giudice speciale amministrativo con competenza particolare; è un organo a
competenza mista.
La Corte dei conti si compone come organo giurisdizionale di sezioni centrali e sezioni regionali.
Le sezioni centrali (o giurisdizionali) hanno competenza in materia di responsabilità contabile e in
materia pensionistica.
Le sezioni regionali giudicano in materia di contabilità pubblica e contro le loro sentenze è ammesso
ricorso, entro 60 giorni, alle sezioni giurisdizionali centrali.
La Corte dei conti può decidere a Sezioni riunite sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima
rimesse al giudizio delle Sezioni giurisdizionali centrali o regionali o a richiesta del procuratore
regionale.

Il Consiglio di presidenza della Corte dei conti


Il Consiglio di presidenza della Corte dei conti è composto da 17 membri: dal presidente della Corte dei
conti che lo presiede; dal procuratore generale della Corte; dal presidente di sezione più anziano; da 4
cittadini scelti di intesa fra i Presidenti delle due Camere, tra i professori ordinari di materie
giuridiche o gli avvocati con 15 anni di esercizio professionale; da 10 magistrati ripartiti fra le varie
qualifiche eletti da tutti i magistrati della Corte in un’unica tornata, con voto personale e segreto.

Le Commissioni tributarie
Le Commissioni tributarie possono essere annoverate tra i giudici speciali amministrativi oggi esistenti.
Con il d.lgs.n.545/1992 si sono costituite commissioni provinciali e commissioni regionali.
Contro la sentenza della commissione regionale può essere proposto ricorso per cassazione.
Le Commissioni tributarie sono nominate con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del
ministro delle finanze, previa deliberazione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. I
presidenti delle Commissioni sono nominati fra magistrati anche a riposo mentre i componenti (almeno5
per sezione, compreso il vicepresidente) vengono tratti da elenchi formati da persone che per gli uffici
ricoperti o per le attività professionali svolte presentino una adeguata preparazione.
I componenti delle Commissione tributarie durano in carica nella stessa Commissione non oltre 9 anni e,
prima di assumere le funzioni, debbono prestare giuramento.
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Il Consiglio di presidenza è composto da 6 membri effettivi e da 6 supplenti e dura in carica 4 anni.
Le Commissioni tributarie sono competenti a giudicare sulle controversie concernenti le imposte sui
redditi, l’IVA, l’INVIM, l’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, le imposte
ipotecaria e catastale,l’imposta sulle assicurazioni,i tributi comunali nonché negli altri casi previsti dalla
legge.

Tribunali delle acque pubbliche


I Tribunali delle acque pubbliche rientrano nella giustizia amministrativa come organi giurisdizionali
aventi competenza sulle controversie in materia di acque pubbliche e precisamente di acque del demanio
idrico statale. Nonostante la definizione tali tribunali sono Sezioni specializzate della Corte di appello
presso la quale sono istituiti. Giudice speciale è invece il Tribunale superiore delle acque pubbliche
istituito a Roma, e composto di 12 componenti: 9 magistrati della Cassazione o del Consiglio di Stato e 3
membri effettivi del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Contro le decisioni pronunciate in grado di appello dal Tribunale superiore è ammesso ricorso alle
Sezioni Unite della Corte di cassazione.

Altre giurisdizioni amministrative speciali sono previste nel nostro ordinamento:


− i Commissionari regionali per la liquidazione degli usi civici;
− la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie;
− la Commissione per le controversie in tema di brevetti per invenzioni industriali;
− il Ministro per i lavori pubblici in materia di revisione di prezzi dei contratti per pubbliche
forniture;
− i Consigli nazionali di alcuni ordini professionali;
− la Commissione centrale di vigilanza per l’edilizia economica e popolare quando decide le
controversie in materia di condominio fra i soci di cooperative edilizie.

2. La giustizia penale militare


I giudici speciali istituiti nell’ambito della giurisdizione penale militare sono i tribunali militari, che in
tempo di pace, come afferma l’art.103 Cost., hanno giurisdizione per i reati militari commessi da
appartenenti alle Forze Armate, mentre in tempo di guerra la competenza, ovviamente più vasta, viene
rimessa alla legge. Per reato militare si intende qualunque violazione della legge penale militare o quella
fattispecie criminosa nella quale si realizzi concorso di lesione della legge penale comune e della legge
penale militare.
I Tribunali militari, in numero di 8, sono giudici di primo grado; quando vi sia concorso nel reato di
militari e civili, è competente per tutti i procedimenti l’autorità giudiziaria ordinaria.
La Corte militare d’appello: giudica sull’appello proposto avverso (cioè contro) tutti i provvedimenti
emessi dai Tribunali militari. Contro i provvedimenti dei giudici militari è ammesso ricorso per
cassazione secondo le norme del codice di procedura penale.
Il Consiglio della magistratura militare: con la l.30 dicembre 1988, n.561, è stato istituito il consiglio
della magistratura militare con compiti nei confronti dei magistrati militari analoghi a quelli del
Consiglio superiore della magistratura nei confronti dei magistrati ordinari.

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PARTE QUINTA
LE AUTONOMIE LOCALI – LE REGIONI

CAPITOLO 1
LE AUTONOMIE LOCALI NELLA COSTITUZIONE

La prospettiva regionale
Dopo le tendenze federaliste postunitarie e i provvedimenti fascisti contro le autonomie infrastatali,
coloro che prepararono il nuovo ordinamento democratico e poi la nuova Costituzione guardarono alle
autonomie locali, alla loro rinascita e al loro potenziamento, come uno dei punti fermi del nuovo Stato,
libero e fondato sulla partecipazione popolare.
Senza dubbio il rilievo concesso a tali autonomie era anche legato alle aspirazioni di una civiltà
contadina che stava per subire,in quegli anni,il più forte ridimensionamento degli ultimi secoli e che
concepiva la contrapposizione, e non la necessaria collaborazione,tra potere centrale e potere locale.
Tuttavia alla fine della guerra e nel periodo di preparazione della nuova Costituzione, era ben chiara agli
osservatori più attenti la necessità di ridare vigore alle pubbliche istituzioni con una ripresa di
efficienza e di velocità della pubblica Amministrazione. Era necessario cercare di trovare un corretto
punto di equilibrio tra le esigenze dello Stato e dell’Amministrazione centrale e quelle delle autonomie
locali, spesso eccessivamente frammentate, anche in prospettiva di programmazione economica: la
dimensione regionale divenne così la dimensione ottimale della nuova organizzazione amministrativa. La
“Commissione Forti” condusse tra il 1945 e il 1946 una serie di studi importanti sulla riorganizzazione
dello Stato.
Motivazioni importanti, che prevalsero, favorevoli alle autonomie locali, furono il valore dell’auto
governo (“Non si tratta solo di portare il governo alla porta degli amministrati, con un decentramento
burocratico e amminisrtativo…si tratta di porre gli amministrati nel governo di sé medesimi”), e il tema
della crescita delle libertà (“Senza istituzioni locali una nazione può darsi un governo libero, ma non lo
spirito della libertà”).
In conclusione, l’Assemblea costituente adottò una disposizione a carattere generale, inserita tra i
principi fondamentali (art.5) con l’esplicito riconoscimento delle autonomie locali, e dedicò il titolo V
della parte II agli enti locali territoriali, introducendo nel nostro ordinamento, accanto ai Comuni e alle
Province, le Regioni, quali enti autonomi dotati di propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella
Costituzione. La norma chiave è:
Art.5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; si attua nei servizi
che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della
sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.”
Il pluralismo giuridico non deve comunque trasformarsi in separazione politica. Qualunque iniziativa
assunta nel campo delle autonomie locali dovrà essere valutata alla stregua di questo limite e sarà
conforme a Costituzione solo se non comprometterà l’unità e indivisibilità della Repubblica.
Altri principi importanti sono dettati dagli art.115 (che proclama le regioni enti autonomi), art.116 (che
prevede forme e condizioni particolari di autonomia per le 5 regioni a statuto speciale), art.128 (che
dichiara enti autonomi anche le Province e i Comuni, rispettando i principi fissati da leggi generali della
Repubblica, art.119 (prevede l’autonomia finanziaria).

Ordinamenti degli enti locali: un aspetto rilevante delle autonomie locali è nella possibilità di creare
diritto non solo nell’ambito dell’ordinamento statale, ma dando vita ad ordinamenti particolari

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ricompresi nell’ordinamento generale. Sicuramente la Regione ha comunque un’autonomia più ampia,
perché nella creazione del suo ordinamento incontra solo i limiti direttamente o indirettamente
derivanti dalla Costituzione, mentre i Comuni e le Province devono contenersi, in più, nell’ambito dei
principi fissati da leggi generali della Repubblica. Tanto le Regioni quanto i Comuni e le Province hanno
però titolo a creare un proprio ordinamento giuridico, derivato da quello statale, e nel quale entrano, in
un incontro talora non semplice, norme statali e norme poste dall’ente locale in una articolazione di
competenze che trova nella Costituzione il suo punto di riferimento, la sua giustificazione e anche i
criteri per il superamento delle possibili antinomie.
Autonomia politica degli enti locali: tale autonomia consiste nel potere di darsi un indirizzo politico.
A livello di comunità più ristrette dello Stato, quali Regioni, Province, Comuni, costituzionalmente
disciplinate e garantite, può ammettersi l’esistenza di un indirizzo variamente circoscritto, ma pur
sempre suscettibile di uniformarsi a valutazioni politiche e che potrà essere definito secondario o
minore, o politico-amministrativo, ma che comunque non può essere negato o contestato, quando resti
nei limiti indicati da Costituzione. Si rileva anzi posizione di reciprocità tra Stato e Regione, poiché non
solo lo Stato può contrastare le scelte regionali che superino i limiti costituzionali, ma anche la Regione
può opporsi a quegli atti statali che invadano la sua sfera di competenza.
Tale attività politica della Regione con cui essa può darsi un indirizzo politico non è originaria come
quella statale, ma derivata ed appunto per ciò la si definisce autonoma. Analogamente può parlarsi di
autonomia politico-amministrativa per gli enti locali subregionali.
Né questo, di per sé, compromette l’unità statale o incrina il principio dell’indivisibilità della Repubblica,
perché l’autonomia politico-organizzativa tanto delle Regioni quanto degli enti locali infraregionali deve
contenersi nei limiti stabiliti dall’ordinamento e vi sono strumenti idonei per garantire il rispetto di tali
limiti.

CAPITOLO 2
LA REGIONE

SEZIONE I : PROBLEMI GENERALI, L’ISTITUZIONE DELLE REGIONI


Art.115 Cost.: le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni, secondo i
principi fissati dalla Costituzione.
Distinzioni tra Regioni: la Costituzione differenzia dalle Regioni ad autonomia ordinaria cinque Regioni
alle quali, secondo l’art.116, sono attribuite “forme e condizioni particolari di autonomia” (ovvero dove
più forte è il problema delle minoranze etniche e linguistiche: Sicilia, Sardegna, Trentino – Alto Adige, ,
Valle d’Aosta, istituite nel 1948, e Friuli – Venezia Giulia, istituita nel 1963). Gli statuti speciali sono
considerati atti dello Stato e non della Regione, e tali Regioni non godono quindi di potestà statutaria,
ma d’altra parte esse godono di più ampi poteri proprio in forza degli statuti che, essendo leggi
costituzionali dello Stato, ben possono derogare alle prescrizioni generali in materia di regioni fissate
dalla Costituzione.
Evoluzione storica: dopo numerose peripezie i consigli regionali furono effettivamente eletti solo il 7-8
giugno 1970, i decreti delegati, per il trasferimento da parte del Governo delle funzioni amministrativi,
furono emanati nel gennaio 1972 e il concreto esercizio di tali funzioni iniziò il 1° aprile 1972. Più volte,
e in ultimo nel 1998, sono stati innovati i trasferimenti delle materie e la loro distribuzione tra regioni
ed enti locali infraregionali. I blocchi di materie trasferite sono stati identificati nello sviluppo
economico e attività produttive; nel territorio, ambiente e infrastrutture; nei servizi alla persona e alla
comunità e nella polizia amministrativa e regime autorizzatorio.
Più di recente è stata istituito un organismo denominato Conferenza Stato-Regioni.

SEZIONE II : GLI STATUTI REGIONALI

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L’organizzazione regionale è delineata nei suoi aspetti essenziali dalla Costituzione ma la stessa
Costituzione attribuisce alle sole Regioni ad autonomia ordinaria la potestà statutaria, nell’art.123,
affidando la competenza a regolare l’organizzazione interna delle Regioni ad appositi statuti.
Secondo l’art. 123 Cost., ogni statuto ordinario è deliberato dal Consiglio regionale (entro 120 giorni
dalla prima convocazione) a maggioranza assoluta dei suoi componenti ed è approvato con legge della
Repubblica. Il Consiglio regionale trasmette lo statuto deliberato al presidente del Consiglio dei
ministri, il quale provvede a presentarlo entro 15 giorni al Parlamento.
Imputazione dello statuto: lo statuto, nonostante la successiva approvazione statale, è e resta atto
della Regione e va attribuito alla sola volontà regionale.
Lo statuto nel sistema delle fonti: si è spesso sostenuto che lo statuto vada considerato in posizione
sovraordinato alla legge regionale; tuttavia deve comunque escludersi che il legislatore regionale debba
sottostare, per obbligo giuridico, alle indicazioni programmatiche degli statuti.
Contenuto degli statuti regionali: ai sensi del solito art. 123 Cost. lo statuto, “in armonia con la
Costituzione e con le leggi della Repubblica stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della
Regione”. Inoltre “lo Statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e
provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali”.
Apparentemente lo spazio che concretamente residua agli statuti è piuttosto modesto, si è così pensato
di interpretare in modo più ampio il riferimento all’organizzazione interna regionale.
L’ “armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica” non deve essere considerata limite degli
statuti, o semplice e piatta conformità. Essa esprime infatti l’esigenza di un collegamento logico con il
sistema generale che, proprio per essere unitario, non potrebbe tollerare contrapposizioni
organizzative così rilevanti da compromettere il quadro logico dell’ordinamento.
Revisione degli statuti: tutte le regioni hanno uno Statuto. Tali statuti possono essere modificati.
La revisione degli statuti si opera mediante legge costituzionale per le Regioni ad autonomia speciale e
mediante procedimento identico all’adozione di testi statutari per le Regioni ordinarie. La deliberazione
di revisione statutaria dovrà essere adottata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta e
sottoposta ad approvazione da fare con legge della Repubblica.

SEZIONE III : GLI ORGANI DELLE REGIONI


La stessa Costituzione, all’art.121, indica quali organi della Regione il Consiglio regionale, la giunta e il
suo presidente, definibili organi necessari alla Regione e organi istituzionali, cioè organi che
corrispondono alla struttura organizzativa fondamentale dell’ente. Per la maggior parte la materia
dell’organizzazione dei massimi organi regionali è comunque da ritenersi rimessa all’autonomia statuaria
di ogni Regione, ovvero a statuti regionali e a regolamenti interni.

1. IL CONSIGLIO REGIONALE
Il Consiglio regionale è rappresentante in via diretta della volontà popolare ed ha importanti poteri di
decisione nella Regione. Alcuni principi riguardo alla sua organizzazione sono dettati dalla Cost., ma la
maggior parte dalla legge statale: il numero di consiglieri regionali è compreso tra 30 e 80; sono
eleggibili e elettori sostanzialmente tutti i maggiorenni; il sistema elettorale regionale combina sistema
maggioritario e proporzionale; i Consigli regionali durano in carica 5 anni.
Come per i parlamentari, esistono diverse cause di ineleggibilità (coloro che ricoprono cariche di alti
funzionari dello Stato) e incompatibilità (coloro che si trovino in rapporti economici con la Regione,
anche in via indiretta) per i consiglieri regionali, che non sono tenuti a giurare, godono di insindacabilità
per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, rappresentano l’intera Regione e godono di
un’indennità di carica.
I consiglieri regionali sono proclamati eletti dal presidente dell’ufficio centrale circoscrizionale: tale
elezione deve però essere convalidata dallo stesso Consiglio regionale che incarica un’apposita
Commissione di scovare eventuali cause di ineleggibilità.

Organizzazione interna del Consiglio regionale


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Secondo l’art. 122 Cost., il Consiglio regionale “elegge in suo seno un presidente e un ufficio di
presidenza per i propri lavori”. Il presidente viene eletto a scrutinio segreto, talora con particolari
maggioranze.
L’ufficio di presidenza, eletto dal Consiglio, si compone del presidente, dei vice presidenti, dei
segretari. Altri organi spesso specificati dagli statuti sono i gruppi consiliari, la conferenza dei
capigruppo, le commissioni consiliari (con il compito di esaminare preliminarmente i progetti di legge e le
altre deliberazioni consiliari, non dotate di competenza deliberante).
Attribuzioni del Consiglio regionale: secondo Costituzione, il Consiglio regionale “esercita le potestà
legislative e regolamentari attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e
dalle leggi”. Inoltre “può fare proposte di legge alle Camere”.
Appare dunque evidente che il Consiglio è il massimo organo deliberativo della Regione.
Le norme sul funzionamento dei Consigli regionali sono contenute negli statuti che rinviano a loro volta
ai regolamenti consiliari. Spesso i lavori consiliari vengono divisi in sessioni e programmati.

2. LA GIUNTA REGIONALE E IL SUO PRESIDENTE


Composizione: La Giunta regionale, organo esecutivo della Regione, viene eletta dal consiglio regionale
tra i suoi componenti, solitamente a scrutinio palese per appello nominale. Tra Consiglio regionale e
Giunta si instaura un rapporto fiduciario simile a quello Parlamento - Governo. La Giunta
compone del presidente, che “rappresenta la Regione”, e dei membri della Giunta, spesso definiti
“assessori”. Il numero di assessori è fissato dagli statuti; quando essi agiscono come componenti della
Giunta, non godono dell’immunità di cui godono i consiglieri regionali.
Compiti: compiti principali attribuiti alla Giunta sono quelli di attuare i programmi approvati dal
Consiglio regionale, conformarsi agli indirizzi politici e amministrativi deliberati dal Consiglio, proporre
al Consiglio regionale i provvedimenti da valutare ed eventualmente deliberare.
La Giunta regionale ha l’iniziativa delle leggi regionali e degli altri atti normativi la cui adozione spetta
al Consiglio. Spetta anche alla Giunta deliberare di ricorrere alla Corte Costituzionale.
Bisogna escludere invece che la Giunta regionale possa adottare in via d’urgenza, in mancanza di
disposizioni statutarie che lo consentano, deliberazioni o atti di competenza del Consiglio.
Posizione del presidente: per espressa disposizione costituzionale spetta al presidente rappresentare
la Regione; promulgare le leggi e i regolamenti; dirigere le funzioni amministrative delegate dallo Stato
alla regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale. La sua posizione è simile a quella del
presidente del Consiglio dei ministri per il compito di dirigere e coordinare l’attività della Giunta e di
mantenere l’unità di indirizzo della Giunta medesima. Il presidente può essere coadiuvato da un vice
presidente che lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento.
Principio della collegialità: si ritiene che sia necessario privilegiare ed evidenziare l’attività della
Giunta con limitazione dell’attività individuale dei suoi componenti. In pratica, il principio risulta spesso
disatteso con notevole incremento delle attività individuali degli assessori.

SEZIONE IV : LE FUNZIONI DELLE REGIONI

1. LA FUNZIONE LEGISLATIVA
La funzione legislativa è la competenza di porre norme costitutive di diritto obiettivo e poste in
posizione equiordinata con la legge statale ordinaria (non così per gli altri enti locali).
Esistono diversi tipi di legislazione regionale: a)legislazione esclusiva, compete alle sole Regioni ad
autonomia speciale ed “esclude” la competenza statale; b) legislazione concorrente, compete a tutte le
Regioni e comporta concorso di norme statali e regionali, su una data materia; c) legislazione
integrativa o di attuazione, compete a tutte le Regioni.
I tipi di potestà legislativa che contribuiscono a delineare l’autonomia regionale sono i primi due, mentre
il terzo ha valore limitato e parziale.
Le leggi regionali possono sottostare a limiti di legittimità o di merito.
Limiti di legittimità:
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- limite costituzionale: le Regioni non possono porre disposizioni contrastanti con la Costituzione;
- limite territoriale: le Regioni non possono adottare disposizioni legislative destinate a valere oltre il
proprio territorio;
- limite dei principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato: sono da considerarsi come
“principi dell’ordinamento giuridico quegli orientamenti e quelle direttive di carattere generale e
fondamentale che si possono desumere dalla connessione sistematica, dal coordinamento e dalla
intima razionalità delle norme che concorrono a formare, in un dato momento storico, il tessuto
dell’ordinamento giuridico vigente”.
- limite del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica: per la
necessità di omogeneità dell’indirizzo generale economico-sociale dello Stato;
- limite degli obblighi internazionali dello Stato: è un’esigenza derivante direttamente dal carattere
unitario del nostro Stato. Le Regioni non hanno competenza in politica estera;
- limite delle materie: le regioni possono legiferare attenendosi alle enumerazioni (tassative) delle
materie di competenza legislativa regionale;
- limite dei principi fondamentali della legislazione statale: tale limite vale solo per la legislazione
regionale concorrente. La soluzione migliore sarebbe stata richiedere leggi-cornice.

Limiti di merito: le norme legislative regionali non devono essere in contrasto con l’interesse nazionale
e con quello di altre regioni. In caso di controversie, se il limite è di legittimità, la competenza è
attribuita alla Corte Costituzionale, se il limite è di merito la competenza è invece attribuita alle
Camere.
Procedimento di formazione delle leggi regionali: le leggi regionali sono deliberate dal Consiglio
regionale. Le procedure sono disciplinate da statuti e regolamenti interni, e sono ispirate alle procedure
di approvazione delle leggi del Parlamento. E’ previsto l’esame da parte di commissioni permanenti del
Consiglio con competenza referente e al controllo, di legittimità e di merito, del Governo nazionale,
attraverso il visto del Commissario del Governo. Se il Governo ritiene che la legge ecceda la competenza
o incontri dei limiti, può “rinviare” la legge al Consiglio regionale.
Il Consiglio regionale può modificare la legge o riapprovarla nello stesso testo: il Governo potrà in
questo caso promuovere la questione di legittimità di fronte alla Corte Costituzionale o alle Camere.
Posizione della legge regionale: la legge regionale è dunque equiparata alla legge statale, nel senso che
anche la legge statale deve cedere alla legge regionale, quando quest’ultima disciplini una materia
attribuita alla legislazione regionale. Nell’incontro sulla stessa materia, la prevalenza dovrà essere
riconosciuta alla fonte competente, statale o regionale che sia.

2. LA FUNZIONE AMMINISTRATIVA
Criterio del parallelismo delle funzioni: la Regione ha competenza amministrativa negli stessi settori
nei quali le è attribuita competenza legislativa, ma non viceversa (art.118 Cost.).
Le leggi della Repubblica possono anche attribuire, in tali settori, le competenze amministrative di
interesse esclusivamente locale alle province, ai comuni o ad altri enti locali.
Lo Stato può anche, con legge, delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.
Trasferimento delle funzioni: l’art.17 della l.1970,n.271, ha delegato il Governo ad emanare 11 decreti
legislativi per regolare il passaggio delle funzioni amministrative attribuite alla Regione dall’art.117
Cost. e del relativo personale dipendente dallo Stato. Con la l.22 luglio 1975, n.382 è stata conferita al
Governo una nuova delega e con il d.p.r. 24 luglio 1977 si è completato il trasferimento delle funzioni
amministrative alle Regioni.
Dopo la l.15/3/97, n.59 e il decreto lgs.31/3/98,n.112, il conferimento delle funzioni, comprendente le
funzioni di organizzazione e le attività connesse, è operato in blocco alle Regioni le quali poi debbono
provvedere entro sei mesi a conferire agli enti locali subregionali le funzioni amministrative che non
richiedono il loro unitario esercizio a livello regionale.
Ai sensi dell’art.118 Cost., le Regioni dovrebbero delegare agli enti subregionali l’amministrazione,
mantenendo prevalenti compiti legislativi, di programmazione e di indirizzo dell’attività amministrativa.
48
In realtà il quadro dell’amministrazione è molto accentrato e nelle stesse materie resta riservata allo
Stato la funzione di indirizzo e di coordinamento per esigenze di unitarietà, così come le leggi cornice
statali delimitano la legislazione regionale.
Controllo sugli atti amministrativi regionali: il controllo di legittimità e talora anche di merito dei
regolamenti di competenza del Consiglio regionale viene esercitato da una Commissione statale sedente
nel capoluogo regionale, che può annullare l’atto, prevista dall’art.125 Cost.

3. I RAPPORTI DELLA REGIONE CON GLI ENTI LOCALI INFRAREGIONALI


Principio di sussidiarietà: il trasferimento di funzioni sia da Stato a Regioni sia da Regioni a altri enti
locali si è ispirato al principio di sussidiarietà, attribuendo cioè le funzioni in discorso all’autorità
territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini, con esclusione delle sole funzioni che
richiedono l’unitario esercizio a livello regionale. Il conferimento di compiti e funzioni agli enti locali è
stato effettuato con legge regionale, antecedente il 30 settembre 1998, con la quale la Regione ha
attribuito agli enti locali le risorse umane, finanziarie, organizzative e strumentali in misura tale da
garantire la congrua copertura degli oneri derivanti dall’esercizio delle funzioni e dei compiti trasferiti.
Controllo sugli atti degli enti locali. Ai sensi dell’art.130 Cost., spetta alla regione esercitare il
controllo di legittimità e di merito sugli atti delle province, dei comuni e degli altri enti locali,
attraverso un Comitato regionale di controllo.

SEZIONE V : L’AUTONOMIA FINANZIARIA REGIONALE


La limitatezza di adeguati mezzi finanziari a disposizione delle Regioni è stata una delle cause del
ritardato decollo dell’ordinamento regionale.
Autonomia finanziaria delle regioni: secondo l’art.119 Cost., alla Regione sono assegnati:
a) tributi propri e quote di tributi erariali in relazione ai bisogni regionali per le spese necessarie ad
adempiere le loro funzioni normali, comunque troppo bassi per le esigenze regionali. Alle Regioni
viene in pratica impedita la potestà impositiva regionale, potendo soltanto determinare aliquote di
tributi già disciplinati dal legislatore italiano.
b) contributi speciali per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Sud.
c) un demanio (che comprende i beni indicati dall’art.822 c.c., e che godono di inalienabilità,
incommerciabilità, imprescrittibilità) e un patrimonio regionale (che comprende gli altri beni
appartenenti alla regione).
Secondo la l.158/1990 i tributi erariali del punto a) vengono accorpati in un fondo comune distribuito
proporzionalmente alle regioni, e in un altro fondo sono raggruppati trasferimenti dallo Stato per gli
investimenti. L’autonomia finanziaria è garantita anche dalla possibilità di ricorrere all’indebitamento.
La l..281/1970 prevede inoltre l’istituzione di un fondo diretto al finanziamento dei programmi regionali
di sviluppo, composto di una quota variabile e di una fissa, e di un fondo sanitario nazionale, con la
finalità di garantire i livelli sanitari in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Ogni Regione
adotta con legge, ogni anno, un bilancio annuale e un bilancio pluriennale, seguendo i principi
fondamentali e le norme in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni fissati dalla l.19 maggio
1976, n.335.

SEZIONE VI : I CONTROLLI SULLE REGIONI


Organi di controllo: il controllo dello Stato sugli organi e sulle attività regionali costituisce lo
strumento per garantire il rispetto delle esigenze unitarie e del quadro costituzionale complessivo.
Gli organi statali cui compete esercitare il controllo sull’attività e sugli organi delle regioni sono:
- il Governo della repubblica: ad esso compete il controllo di legittimità e di merito sulle leggi
regionali, nonché il controllo sugli organi regionali.
- il Commissario del Governo nella Regione: soprintende alle funzioni amministrative esercitate dallo
stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione. Raccorda lo Stato e le Regioni, vistando le
leggi regionali o rifiutando il visto, rinviando le leggi al Consiglio.
- la Commissione statale di controllo: vedi pag.51
49
- la Commissione interparlamentare per le questioni regionali : interviene nel procedimento di
controllo per l’eventuale scioglimento del Consiglio, formula proposte al Governo per la concessione
di contributi speciali alle Regioni e fornisce pareri di merito.
Controllo sugli organi regionali: il controllo su presidente della Giunta, Giunta e Consiglio è esercitato
dal Governo nei seguenti casi: A) sulla Giunta e/o sul suo presidente quando compiano atti contrari alla
Costituzione o gravi violazioni di legge, invitando il Consiglio a sostituire la Giunta o il presidente; B) sul
Consiglio regionale qualora questo organo: a) compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di
legge; b) non corrisponda all’invito del Governo di sostituire la Giunta o il presidente; c) non sia in grado
di funzionare, per dimissioni o per impossibilità di formare una maggioranza; d) per ragioni di sicurezza
nazionale. La sanzione è lo scioglimento del Consiglio stesso.
Scioglimento automatico: la durata del Consiglio regionale è ridotta a un biennio se nel corso di
ventiquattro mesi il rapporto fiduciario tra Consiglio e Giunta è comunque posto in crisi. Non sarà
comunque difficile al Consiglio dissenziente porre in difficoltà la Giunta senza porre formalmente in
crisi il rapporto fiduciario, evitando così la sanzione dello scioglimento anticipato.

CAPITOLO 3
GLI ENTI LOCALI INFRAREGIONALI

l’Art.5 Cost. afferma che la Repubblica “riconosce e promuove le autonomie locali”, riferendosi a
Province e Comuni. La legge fissa poi i principi all’interno dei quali si esplica l’autonomia comunale e
provinciale, impedendo così anche interferenze delle Regioni.
Organi del Comune: gli organi di governo del Comune sono il sindaco, la giunta municipale e il Consiglio
comunale. Il Consiglio dura in carica quattro anni ed è composto dal sindaco e dai consiglieri; la Giunta
comunale è composto dagli assessori nominati dal sindaco. Le cariche di consigliere e assessore sono
incompatibili. Tra il sindaco e il Consiglio si instaura una sorte di rapporto fiduciario
Competenze degli organi del Comune: il sindaco, “ufficiale del Governo”, ha importanti compiti di
responsabilità e di supervisione, di sicurezza e ordina pubblico, di polizia e di sanità. La giunta collabora
con il sindaco nell’amministrazione del Comune. Il Consiglio, organo di indirizzo e di controllo politico-
amministrativo, decide riguardo gli “atti fondamentali del comune”.
Funzioni del Comune: spettano al Comune tutte le funzioni amministrative ce riguardino la popolazione e
il territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, dell’assetto ed utilizzazione
del territorio e dello sviluppo economico. Gestisce inoltre i servizi elettorali, di anagrafe, di stato
civile, di statistica e di leva militare. Sono previste diverse forme di gestione da parte del Comune.
La Provincia: la Provincia è l’ente locale intermedio tra Comuni e Regione. Essa comprende il territorio
di più comuni, ma la sua rilevanza operativa è assai inferiore a quella dei Comuni.
Gli organi istituzionali della provincia sono il presidente, la Giunta, il Consiglio provinciale.
Competono alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone
intercomunali o l’intero territorio provinciale in settori determinati e rilevanti. Le spettano inoltre
importanti compiti di programmazione e la predisposizione e l’adozione del piano territoriale di
coordinamento.
Nelle nove “aree metropolitane” la Provincia si configura come autorità metropolitana ed assume la
denominazione di “città metropolitana”. Le funzioni di questa città metropolitana sono anche più ampie
di quelle attribuite alla Provincia.
Controlli sui comuni e sulle Province: il controllo di legittimità e di merito sugli atti degli enti locali è
esercitato, come detto a pag.51, dal Comitato di controllo. Riguardo il controllo sugli organi degli enti
locali, i Consigli comunali e provinciali possono essere sciolti con decreto del presidente della
repubblica, su proposta del ministro dell’interno; i controlli “atipici” (autorizzazioni, approvazioni, visti e
simili) sono invece a competenza prevalentemente regionale, senza escludere quella statale.
Altri enti locali infraregionali: tra i numerosi enti locali infraregionali possono essere ricordati i
consorzi e le comunità montane, che hanno personalità giuridica, e le esperienze comprensoriali.

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PARTE SESTA: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI

CAPITOLO 1:
LE POSIZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE E DICHIARAZIONI DEI DIRITTI:

Il tema delle libertà si collega a una lunga lotta per la loro conquista e per l’affermazione di
un’importante posizione del singolo e delle formazioni sociali nell’ambito dell’ordinamento
giuridico generale, durata centinaia di anni. Bisogna considerare le libertà come diritti, con tutto ciò
di positivo che questo implica, ma anche e soprattutto come elementi di partecipazione e non di
contrapposizione, proprio per superare una concezione dello Stato costituzionale valida agli inizi
dell’Ottocento, ma ormai logorata.
Classificazione dei diritti pubblici soggettivi: secondo lo Jellinek, i diritti pubblici soggettivi sono le
pretese giuridiche che derivano dai rapporti tra cittadini e Stato.
 Status subiectionis: indica la mancanza di diritti pubblici soggettivi, e la soggezione totale degli
individui (qualificati appunto “sudditi”) al potere sovrano.
 Status libertatis (status negativo): al sorgere del regime costituzionale, si afferma la garanzia di
sfere di libertà, sottratte all’influenza del potere pubblico. Si afferma la pretesa giuridica, ma
non i diritti di libertà.
 Status civitatis (status positivo): vengono a coincidere interesse pubblico e individuale. Lo Stato
riconosce all’individuo pretese giuridiche verso l’attività statale, attribuendogli strumenti
giuridici per realizzarle.
 Status activae civitatis (status attivo): viene attribuita non una pretesa giuridica, ma la
possibilità di agire come titolare di un organo dello Stato, cioè come membro dell’ordinamento.
Dichiarazioni dei diritti: le prime dichiarazioni di diritti, rilevanti e significative, si hanno in
Inghilterra (Magna Charta 1215, Petition of Rights 1628, Bill of Rights 1689).Larga risonanza ebbe
la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, deliberata dall’Assemblea francese il 26
agosto 1789, con la quale si affermarono i diritti dell’uomo in quanto tale, come preesistenti allo
Stato e quindi da garantirsi e non da concedersi da parte dello Stato medesimo. Da quel momento
seguirono numerose dichiarazioni dei diritti, anche molto diverse tra loro, tra le quali si ricorda la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Assemblea generale delle nazioni Unite, 1948).
51
Esclusione di una dichiarazione programmatica dei diritti nella Cost.italiana: il Costituente
italiano ha preferito escludere un preambolo contenente una dichiarazione astratta di diritti,
disciplinandoli ampiamente nella parte prima della Costituzione (Diritti e doveri dei cittadini).
Non si volle infatti creare una graduatoria tra le norme del preambolo e quelle del testo
costituzionale, e soprattutto si volle sottrarre le disposizioni più rilevanti per la vita del Paese ad
improvvise modificazioni, collocandole nella “rocca” della Costituzione e sottoponendo la loro
eventuale revisione a più caute procedure.
Art.2 Cost.: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia coma singolo, sia
nella formazione sociale, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
➪ viene così introdotto il principio personalistico, ovvero l’affermazione della supremazia della
persona umana sullo Stato medesimo. La Repubblica “riconosce” i diritti inviolabili: riconoscere
non vuol dire attribuire, quindi tali diritti appartengono all’uomo in quanto tale, prima e
indipendentemente da ogni intervento statale, che ha solo significato ricognitivo e di garanzia.
➪ si introduce il pluralismo sociale: contrapponendosi all’esperienza fascista, il pluralismo sociale,
sostanzialmente ineliminabile, viene ad assumere il ruolo di pluralismo istituzionale, strumento
essenziale dell’organizzazione democratica della Repubblica e condizione essenziale per il pieno
esplicarsi della persona umana.
➪ viene posta l’attenzione sui doveri e sul principio di solidarietà: non la contrapposizione ma la
composizione degli interessi deve divenire la regola e le posizioni soggettive vanno coordinate in un
quadro di solidarietà non solo politica, ma economica e sociale, che conferisca alla Repubblica la
capacità di essere realmente il punto di incontro di tutti i componenti della comunità nazionale.
Condizione giuridica dello straniero e dell’apolide: in teoria, la parte della Costituzione dedicata ai
diritti e doveri, è riservata ai cittadini. Per quanto riguarda gli stranieri, l’art.10 Cost. afferma che:
a) la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei
trattati internazionali; b) lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle
libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della
Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge (non occorre dunque essere perseguitato
politico). Secondo la l.40/1998 sono riconosciuti allo straniero i diritti fondamentali della persona
umana e i diritti in materia civile se regolarmente soggiornante, compresa la parità di trattamento
con il cittadino. L’estradizione dello straniero per reati politici non è ammessa.
Per quanto riguarda l’apolide, il principio ispiratore è che, per quanto riguarda i diritti civili,
l’apolide è assimilato al cittadino mentre, per quanto riguarda i diritti politici, è assimilato allo
straniero.

CAPITOLO 2: IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA:


La nostra Costituzione afferma il principio dell’eguaglianza, che si affermò con lo Stato
costituzionale, non solo in termini di eguaglianza formale, ma anche di eguaglianza sostanziale.
Art.3 Cost.: (1° comma) Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali. (2° comma). E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla
organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
➪ l’eguaglianza formale si esprime, per lunga tradizione, nell’uguaglianza dinanzi alla legge.
La parità di trattamento va naturalmente garantita per situazioni eguali, mentre situazioni
differenziate devono essere trattate in modo differenziato. L’eguaglianza dinanzi alla legge richiede
l’eguaglianza di forza giuridica della legge per tutti i cittadini.
Le specificazioni rispetto a situazioni differenziate (sesso, razza,..) sono dovute agli ingiustificati
trattamenti differenziati del passato. Alcune deroghe sono previste e giustificate da ostacoli
52
biologici o naturali, o di ordine morale, per le quali in non pochi casi la diversità di sesso può
determinare una disparità di trattamento senza violare il principio di eguaglianza (agente di custodia
in un carcere maschile, vigilatrice di scuola materna,..)
➪ l’eguaglianza sostanziale implica la possibilità di conseguire il pieno sviluppo della propria
personalità e di partecipare, con pari opportunità, alla vita politica, civile ed economica del Paese.
E’ una linea di sviluppo che dovrà essere ancora in gran parte essere realizzata concretamente dal
legislatore ordinario.
Molto deve essere fatto dallo Stato e dagli altri enti pubblici per attuare il precetto costituzionale.
Attraverso una decisa programmazione economica; attraverso la rivendicazione prioritaria della
funzione sociale della proprietà che va resa accessibile a tutti; attraverso interventi che, restituita
serietà alla scuola, garantiscano concretamente ai capaci e meritevoli la possibilità di raggiungere i
più alti gradi degli studi; e così via.

CAPITOLO 3: I DIRITTI DI LIBERTA’ CIVILE:


La Costituzione tratta dei diritti e doveri nella parte prima (artt. 13-54), distinguendo in rapporti
civili, etico-sociali, economici e politici.
La libertà personale: l’art.13 Cost. garantisce e disciplina la libertà personale, dichiarata
“inviolabile”. Senza la garanzia della libertà personale tutte le altre libertà potrebbero vanificarsi e
divenire semplici espressioni verbali. La libertà personale indica la libera disponibilità della propria
persona fisica (garantita dagli habeas corpus), ma sono ricompresi nella libertà personale anche gli
aspetti psichici e morali. In senso attivo, la libertà personale è la disponibilità nel poter fare, e in
senso passivo nello escludere interferenze nella sfera della personalità, verso il pubblico e verso il
privato. Sempre secondo l’art.13, non è ammessa “forma alcuna di detenzione, di ispezione o
perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale”.
Tutela delle persone e trattamento dei dati personali: la protezione della privacy da intrusioni e
utilizzazioni è volta a impedire quella violazione che potrebbe recar danno o limitare comunque il
libero dispiegamento della libertà personale, nei limiti consentiti dalla legge. Non tutti,
naturalmente, possono richiedere la stessa protezione.
L’aumento vertiginoso di questo problema ha portato a nuove leggi: la legge 31 dicembre 196, n.
675 definisce i dati personali protetti come ogni informazione relativa a persona fisica, giuridico,
ente od associazione, identificati o identificabili anche indirettamente. Particolare tutela è riservata
ai “dati sensibili”. Il trattamento dei dati personali deve svolgersi nel rispetto dei diritti, delle libertà
fondamentali, della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e
all’identità personale. Per garantire la corretta applicazione della legge e per rilasciare le prescritte
autorizzazioni è istituito un “Garante” avente carattere collegiale, composto da quattro membri
eletti dalle Camere, tra i quali viene eletto un presidente, il cui voto prevale in caso di parità.
Limitazioni della libertà personale: la Costituzione, all’art.13, prevede ed ammette la possibilità di
limitazioni o restrizioni della libertà personale, subordinatamente al verificarsi si due condizioni:
a) che la limitazione o restrizione sia disposta con “atto motivato dell’autorità giudiziaria”
(➪ riserva di giurisdizione) e b) che ciò avvenga “nei soli modi e casi previsti dalla legge”
(➪ riserva assoluta di legge). In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente
dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti, se pur provvisori, limitativi
della libertà personale.
53
L’attuazione della libertà personale non è così facili: la legge stabilisce casi in cui possono essere
adottate misure di prevenzione, adottate per prevenire la commissione di reati anche contro
incensurati, e misure di sicurezza, disposte a carico di abbia commesso un delitto.
Posizione dell’imputato: lo stesso art.13 punisce ogni violenza fisica sulle persone comunque
sottoposte a restrizioni di libertà, e demanda alla legge la fissazione dei limiti massimi della
carcerazione preventiva (secondo il C.p.p. varia da tre mesi a un anno).
Altre disposizioni in materia penale sono stabilite dagli artt. 25 e 26 Cost.: nessuno può essere
punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Sul punto il
C.p. stabilisce che nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non
costituisce reato e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali. Se la legge del
tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella più favorevole al
reo. L’art. 27 Cost. statuisce che la responsabilità penale è personale, e che l’imputato non è da
considerarsi colpevole fino alla sentenza definitiva (“presunzione di non colpevolezza”).
Regime delle pene:l’art.27 Cost., che riguarda le pene limitative della libertà personale, afferma che
esse non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbono tendere alla
rieducazione del condannato. Non è inoltre ammessa la pena di morte. E’ stata invece dichiarata
costituzionale dalla Corte, la pena dell’ergastolo: gli ergastolani possono essere posti in libertà
condizionale dopo aver scontato 25 anni di reclusione e purché abbiano tenuto buona condotta.
Secondo la legge 354/1975 “il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve
assicurare il rispetto della dignità della persona”, ma nella pratica il problema è consistente.
Amnistia e indulto (l.cost. 6 marzo 1992, n.1): il potere di esercitare clemenza nei confronti dei
responsabili di reati o dei condannati a pene detentive, spetta alle Camere che vi provvedono con
legge, che deve essere approvata a maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera.
La clemenza non può applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno
di legge. Le modalità di concessione e di applicazione di tale potere sono stabilite dalla legge.
Estradizione: l’estradizione è l’istituto di collaborazione penale internazionale per il quale uno Stato
consegna ad un altro Stato un individuo accusato o condannato, al fine della sottoposizione del
processo o all’espiazione della pena. L’estradizione dello straniero non è ammessa per reati politici
(art.10 Cost.); e non può essere concessa quando vi è ragione di ritenere che l’imputata verrà
sottoposto ad atti persecutori o discriminatori oppure a pene e trattamenti crudeli (art.698 C.p.p.).
L’estradizione del cittadino invece non solo non può essere in alcun caso ammessa per reati politici
ma anche per i reati comuni può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle
convenzioni internazionali.
Prestazioni personali: nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in
base alla legge (art.23 Cost., riserva di legge relativa). In base all’art.32 Cost., premesso il dovere
della Repubblica di tutelare la salute,si aggiunge che nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la quale non può comunque in nessun caso
violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. L’art.22 Cost. afferma che nessuno può
essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.
Libertà di domicilio: l’art.14 Cost. disciplina la libertà di domicilio. Nel domicilio è ricompreso
l’abitazione altrui o altro luogo di privata dimora. Anche il domicilio è dichiarato “inviolabile” e le
eventuali limitazioni o restrizioni di tale libertà (quali ispezioni, perquisizioni o sequestri) sono
consentite soltanto con le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale, e cioè nei casi e
modi stabiliti dalla legge e mediante atto motivato dell’autorità giudiziaria. In casi eccezionali di
necessità e urgenza (ad esempio flagranza di reato), l’autorità di pubblica sicurezza può procedere a
ispezioni, perquisizioni o sequestri, ma deve comunicarlo entro 48 ore all’autorità giudiziaria.
Libertà di corrispondenza: fra le libertà “inviolabili”, la Costituzione comprende anche la libertà di
corrispondenza e di comunicazione. L’art.15 afferma che la limitazione dell’inviolabilità e della
segretezza della corrispondenza può avvenire solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria, con le
garanzie stabilite dalla legge (tale divieto viene esteso anche alla pubblica autorità con l’art.15).
Non sono previste limitazioni da parte dell’autorità di pubblica sicurezza. Eccezioni all’inviolabilità
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e alla segretezza sono ammesse a favore degli ufficiali di polizia giudiziaria e nei confronti di
soggetti che si trovino in particolari situazioni previste dalla legge.
Libertà di circolazione e di soggiorno: ogni cittadino, come dispone l’art.16 Cost., può soggiornare
e circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge
stabilisce in via generale per motivi di sanità e di sicurezza (e quindi senza intervento dell’autorità
giudiziaria). Nessuna restrizione può essere determinata per ragioni politiche.
➪ stranieri e apolidi potranno dunque essere assoggettati a limitazioni senza poter invocare le
garanzie dell’art.16. Unica eccezione alla libertà di soggiorno è prevista per Casa Savoia.
Libertà di espatrio: allo stesso art.16, la Costituzione garantisce anche la libertà di espatrio, intesa
come libertà dei cittadini di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi. Sono fatti salvi gli
“obblighi di legge” ➪ oneri o condizioni cui è subordinato il documento autorizzativo.
Diritto di emigrazione: secondo l’art.35 la libertà di emigrazione è subordinata al rispetto degli
obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale.
Libertà di riunione: accanto ai diritti di libertà che sono riconosciuti all’uomo, o al cittadino in
quanto tale, la Costituzione disciplina i diritti di libertà che spettano all’uomo in quanto
appartenente a formazioni sociali, secondo il principio affermato dall’art.2.
La distinzione tra riunioni ed associazioni si fonda sul carattere temporaneo delle prime e sul
vincolo più saldo delle seconde; mentre la distinzione tra riunioni e assembramenti sta nella
casualità degli assembramenti, mentre la riunione è il preordinato convenire di più persone in un
medesimo luogo per uno scopo prefissato.
La libertà di riunione è disciplinata dall’art.12 che la riconosce ai soli cittadini (degli assembramenti
la Costituzione non parla, e per essi non può invocarsi garanzia costituzionale). Le riunioni possono
svolgersi in luogo privato, in luogo aperto al pubblico o in luogo pubblico. Tutte le riunioni
debbono svolgersi pacificamente e senza armi (vietate “armi improprie” e mascheramenti).
Solo per le riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle
solo per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica, oppure per ragioni di ordina
pubblico, di moralità o di sanità pubblica. I cortei sono stati definiti “riunioni in movimento” , e
serve quindi preavviso alle pubbliche autorità. L’art.19 garantisce invece a tutti il diritto di
esercitare il culto religioso “in pubblico”, senza prescrivere obblighi di preavviso.
Libertà di associazione: la disposizione dell’art.18 Cost. garantisce il diritto di associazione in
termini assai ampi, escludendo ogni forma di autorizzazione, e ponendo come unico limite il
perseguimento di fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale. Sono inoltre proibite, per
esigenza di lealtà da parte dei cittadini, le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche
indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Le associazioni segrete
sono state disciplinate con la legge 25 gennaio 1982, n.17.
La libertà di associazione implica, in certi casi,anche la libertà di non associarsi (libertà “negativa”).
Libertà religiosa: la libertà religiosa, conquista fondamentale dello Stato moderno, è la libertà per
ognuno di poter pensare e dire ciò che vuole anche in materia religiosa. Art.19 Cost.: “tutti hanno
diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata,
di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti
contrari al buon costume”. Viene così garantita la libertà di coscienza, intesa come libertà di avere
una fede o di non averne, e appunto la libertà religiosa, che si concreta non solo nell’adesione a una
religione ma anche nella possibilità di esercitare liberamente la propria fede.
Per quanto riguarda la religione cattolica, essa non è in oggi la sola religione di Stato, ma dato che
la stragrande maggioranza degli italiani sono cattolici, non è possibile escludere, in taluni casi,
disposizioni differenziate in suo favore (ad esempio in materia di vilipendio della religione). Più
problematica è la questione della compatibilità tra le formule del giuramento con la libertà religiosa.
Per l’art.20 Cost., il carattere ecclesiastico o il fine di religione o di culto di una associazione od
istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative né di speciali gravami fiscali
per la sua costituzione, capacità giuridica ed ogni forma di attività.

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Libertà di manifestazione del pensiero: la libertà di manifestazione del pensiero acquista crescente
importanza con lo sviluppo dei mass media, per la necessità di impedire degenerazioni attraverso la
creazione di situazioni monopolistiche che potrebbero impedire di fatto la circolazione delle idee.
L’art.21 Cost. garantisce a tutti (e quindi non ai soli cittadini) il diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Lo strumento di diffusione che il legislatore ha più ampiamente disciplinato è la stampa.
→ Libertà di stampa: l’art.21 Cost. è integrato dalla legge sulla stampa (l. 2 febbraio 1948, n.47).
La regola fondamentale è che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si
esclude, cioè, ogni possibilità del potere pubblico di intervenire sull’esercizio della libertà o di
limitare libertà mediante controlli sul contenuto l’esercizio di tale degli stampati. Seguono poi
disposizioni che prevedono il “sequestro preventivo” degli stampati nel caso di delitti per i quali la
legge espressamente lo autorizzi o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescrive
per l’indicazione dei responsabili (nome e domicilio stampatore, luogo e anno di pubblicazione,
ecc..). La stampa periodica deve avere un direttore responsabile il quale può essere perseguito,
qualora non eserciti il controllo necessario per evitare la commissione di reati con la pubblicazione.
Secondo l’art.21 sono inoltre vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre
manifestazioni contrarie al buon costume. La legge può anche stabilire che siano resi noti i mezzi di
finanziamento della stampa periodica ➪ la l.5 agosto 1988, n.338, detta disposizioni dirette ad
impedire la concentrazione della stampa quotidiana in poche mani, prevede l’istituzione di un
registro nazionale della stampa, una miglior trasparenza della pubblicità sui giornali e sui periodici,
nonché la pubblicità dei bilanci delle imprese editoriali.
Teatro e cinematografo: per gli spettacoli teatrali,, la vigente legislazione si limita a prescrivere la
licenza del questore. Quanto alle rappresentazioni cinematografiche, la legge 161 dispone che la
proiezione in pubblico dei film è soggetta a nulla osta che va rilasciato dal ministro del turismo e
spettacolo su parere conforma di speciali commissioni di primo grado e di appello.
Disciplina della radio e della televisione: il d.lgs. 3 aprile 1947, n.428, concedeva in via esclusiva
alla RAI il servizio delle radio audizioni circolari e il servizio di televisione circolare; affermando
che la maggioranza assoluta delle azioni RAI doveva passare in titolarità all’IRI.
Successivamente, di fronte alle continue critiche del monopolio statale, fu approvata la l.14 aprile
1975, n.103, contenente “nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva”, e infine la
l.6 agosto 1990, n.223, più volte integrata. Secondo tale legge l’esercizio della radiodiffusione di
programmi radiofonici e televisivi è subordinato a una concessione a una società per azioni a totale
partecipazione pubblica o a soggetti privati. La RAI è una società per azioni “di interesse nazionale”
e il suo C.d.A. è nominato d’intesa fra i presidenti di Camera e Senato.
E’ istituita una Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che assorbe le funzioni già attribuite
al Garante per la radio diffusione e l’editoria, le cui competenze sono elencate dalla legge 249/97.
Tale legge vieta sostanzialmente posizioni dominanti nei settori delle comunicazioni sonore e
televisive, anche nelle forme evolutive.
Disciplina delle pubblicità: la l.223/90, dopo aver premesso che la pubblicità radiofonica e
televisiva non deve offendere la dignità della persona, non deve evocare discriminazioni di razza,
sesso e nazionalità, non deve offendere condizioni religiose e ideali, non deve indurre a
comportamenti pregiudizievoli per la salute, la sicurezza e l’ambiente, non deve arrecare
pregiudizio morale e fisico ai minorenni, stabilisce i limiti temporali massimi della durata dei
messaggi pubblicitari. E’ inoltre disciplinata la sponsorizzazione e l’inserimento di spots all’interno
de programmi radiofonici o televisivi.
Disciplina dell’informazione e disposizioni rilevanti: i concessionari privati hanno l’obbligo di
trasmettere programmi per un numero di ore giornaliere e settimanali fissate dalla legge, e
programmi di informazione, statale o locale. Il Governo, le Amministrazioni dello Stato, le Regioni
e gli altri enti pubblici territoriali possono chiedere ai concessionari privati o alla concessionaria
pubblica la trasmissione di brevi comunicati, da trasmettere immediatamente.

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E’ vietata la trasmissione di messaggi cifrati o di carattere subliminale; è vietata la trasmissione di
programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene
di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su
differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.
I film vietati ai minori di anni 18 non possono essere trasmessi, i film vietati ai minori di anni 14
possono invece essere trasmessi tra le 22.30 e le 7.
La pianificazione delle radiofrequenze deve constare di un piano nazionale di ripartizione,
aggiornato di regola ogni cinque anni, e di un piano nazionale di assegnazione.

CAPITOLO 4: I DIRITTI CIVICI. RAPPORTI ETICO- SOCIALI:


Concetto di diritti civici: i “diritti civici” o “di prestazione”, che sorgono superata la prima fase
dello Stato costituzionale, sono quei diritti per i quali il soggetto ha diritto non già ad un’astensione
della pubblica autorità (come nei diritti di libertà), ma ad un suo intervento attivo per assicurare il
conseguimento di quei fini di interesse generale che corrispondono alla progressiva evoluzione
dello Stato moderno.
La famiglia nella Costituzione: l’art.29, riferendosi alla famiglia come all’insieme di coniugi e figli,
afferma che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio”. E’ la positiva affermazione che la famiglia ha diritti che preesistono allo Stato e che
da esso non possono essere menomati né mutati. Unioni di fatto non hanno dunque riconoscimento
costituzionale, ma questo non significa che esse non siano situazioni giuridicamente rilevanti.
Il matrimonio: secondo il 2° comma dell’art.29 “il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e
giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità famigliare”. La famiglia
legittima dunque si fonda sul matrimonio, ed anzi sorge con esso. Nel nostro vigente ordinamento
sono possibili tre tipi di matrimonio: a) matrimonio civile, celebrato di fronte ad un ufficiale di
Stato; b) matrimonio concordatario, che si concreta nel riconoscere effetti civili al matrimonio
canonico; c) matrimonio celebrato dinanzi ad un ministro di culto ammesso nello Stato, che
acquista effetti civili qualora siano osservate le formalità e le prescrizioni dettate dalla l.24/6/1929.
Il principio dell’incostituzionalità del matrimonio non è costituzionalizzato, e anzi la legge
1°dicembre 1970, n.898, ha introdotto il divorzio, pur con molte tesi contrarie.
I rapporti tra i coniugi e nei confronti dei figli: le disposizioni degli art.29 e 30 Cost. riguardo
all’ordinamento interno della famiglia hanno avuto ampia e importante attuazione grazie alla l.19
maggio 1975,n. 151, intitolata alla “Riforma del diritto di famiglia”: tale legge ad esempio detta
norme riguardo all’eguaglianza dei coniugi (proclamata dalla Costituzione), che raccoglie le
legittime aspirazioni della donna e ne garantiscono la posizione nella famiglia.
Anche nei confronti dei figli la legge del 1975 stabilisce una posizione di eguaglianza da parte dei
coniugi, non più di patria potestà, ma di potestà dei genitori. Alla parità di diritti nei confronti dei
figli corrisponde parità di doveri: ad entrambi i genitori spetta infatti l’obbligo di mantenere, istruire
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ed educare la prole, anche se nata fuori del matrimonio, come secondo Costituzione, tenendo conto
delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
Nuovo orientamento della legge del 1975 anche verso il regime patrimoniale del matrimonio:
mentre prima la regola era la separazione dei beni, ora la regola è la comunione dei beni, dando
quindi maggior considerazione all’apporto del lavoro casalingo. E’ stata inoltre abolita la dote.
L’art.30 Cost., aggiunge che, nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano
assolti i loro compiti (si richiede dunque riserva di legge e accertamento oggettivo e certo).
Tutela dei figli illegittimi: come detto, la Costituzione afferma il diritto- dovere, per i genitori, di
uguale trattamento sia verso i figli legittimi sia verso i figli nati fuori del matrimonio. Essi godono
infatti di ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
La Costituzione prevede inoltre che disposizioni di legge fissino i criteri e i limiti per la ricerca
della paternità.
Doveri della Repubblica nei confronti della famiglia: l’art.31 Cost. indica i compiti attivi, di
prestazione, dello Stato nei confronti della famiglia, affermando che la Repubblica agevola con
misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti
relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Inoltre, protegge la maternità, l’infanzia e
la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
E’ dunque un “favor familiae, intesa come più importante formazione sociale in cui si svolge la
personalità dell’uomo. Rilevanti in questo contesto sono i provvedimenti nei confronti delle
lavoratrici e specialmente verso le lavoratici madri o per l’attribuzione di assegni famigliari.
Disciplina dell’aborto: fino al 1978 l’aborto (o “interruzione volontaria della gravidanza”) era
considerato un delitto, e dunque perseguibile in sede penale.
Con la legge 22 maggio 1978, n.194 viene invece consentito alla donna, anche se minorenne, nei
primi novanta giorni della gestazione, piena e assoluta libertà di decisione sull’interruzione della
gravidanza, subito o al più tardi dopo sette giorni dalla richiesta. Tale legge riconosce inoltre al
personale sanitario ed esercente attività ausiliarie, di poter compiere “obiezione di coscienza”,
potendo quindi decidere di non prendere parte agli interventi abortivi e alle relative procedure.
Tutela della salute: l’art.32 Cost. afferma la tutela della salute da parte della Repubblica “come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, garantendo cure gratuite agli
indigenti. Questo articolo e l’art.38, relativo a lavoratori inabili, infortunati, minorati, ecc..,
postulano l’introduzione delle necessarie riforme con la relativa provvista di mezzi finanziari, senza
precisarne le modalità. Va segnalato che la maggior parte delle funzioni relative alla “assistenza
sanitaria e ospedaliera” sono state trasferite alle Regioni e che con la l.23 dicembre 1978, n.833, è
stato istituito il“Servizio sanitario nazionale”,la cui attuazione ha comunque registrato molte lacune.
Trattamenti sanitari obbligatori: ai sensi dell’art.32 Cost. “nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso
violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. In forza di tale norma, viene quindi
istituita riserva di legge assoluta ed è stato possibile dichiarare incostituzionale il test del DNA, se
non effettuato con il consenso dell’interessato. Unica ipotesi nella quale può ammettersi un
intervento medico senza il previo consenso del malato, si ha qualora si versi in una condizione di
pericolo o di urgenza. Non sembrano ammissibili trattamenti obbligatori a fini eugenetici, quali la
visita prematrimoniale e l’eventuale sterilizzazione, con il fine di prevenire o evitare la nascita di
soggetti malati.
Diritto all’ambiente: è un diritto dei singoli determinato da una progressiva presa di coscienza dei
problemi ambientali, caratterizzato dall’istituzione nel 1986 del Ministero dell’ambiente.
Libertà dell’arte e della scienza: tale libertà, affermata dall’art.33 Cost., è determinata e resa
indispensabile dalle finalità di progresso che l’arte, ma soprattutto la scienza, perseguono, e si
afferma quindi nell’interesse non solo del singolo artista o ricercatore, ma dell’intera società, come
condizione vitale per il suo sviluppo e per il suo avanzamento.
Libertà di insegnamento: la libertà di insegnamento discende dalla libertà dell’arte e della scienza.

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In quanto libertà nell’insegnamento, pur non significando anarchia, garantisce ad ogni docente la
possibilità di esercitare le sue funzioni di insegnante in conformità alle proprie convinzioni in
ordine alla disciplina che insegna, senza essere condizionato o costretto da una verità ufficiale alla
quale adeguarsi. Ma la libertà di insegnamento si concreta anche nella possibilità di istituire scuole.
Il primo punto fermo che risulta dalla Costituzione (art.33) è la preminenza della posizione statale
nell’organizzazione scolastica: spetta infatti alla Repubblica non solo istituire proprie scuole per
tutti gli ordini e gradi, ma anche dettare le norme generali sull’istruzione, secondo un diritto civico
(di prestazione) dei cittadini nei confronti dello Stato.
Gli enti e i privati hanno comunque il diritto di istituire scuole e istituti di istruzione, senza oneri per
lo Stato. Le scuole paritarie si distinguono per l’intervento pubblico che ha legittimato la loro
apertura. Tale intervento, trattasi di concessione o autorizzazione, è diretto a garantire la serietà
dell’iniziativa e ad evitare che si carpisca la buona fede di coloro che si propongono di seguire
l’insegnamento impartito in una scuola privata. Gli esami di maturità e di abilitazione, come
prescritto dalla Costituzione, sono comunque riservati allo Stato.
Sempre l’art.33 dispone che “le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di
darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato”. Il principio di libertà di
insegnamento è naturalmente valido anche per l’insegnamento universitario, e non si esclude
comunque la possibilità di università non statali.
Libertà di istruzione: ai sensi dell’art.34 Cost. “la scuola è aperta a tutti” e non sono quindi
ammissibili selezioni fondate su valutazioni non rispondenti al principio generale di uguaglianza.
“L’istruzione inferiore, della durata di otto anni è obbligatoria e gratuita”: la gratuità rende concreto
il diritto allo studio.. Per quanto riguarda la scuola non obbligatoria, la Costituzione limita il diritto
(che non comporta gratuità) a raggiungere i più alti gradi degli studi ai “capaci e meritevoli”.
CAPITOLO 5. I RAPPORTI ECONOMICI:
La nostra Costituzione sottolinea in misura rilevante il carattere sociale di un nuovo tipo di Stato
che ha tra i suoi fini fondamentali quello di intervenire nei rapporti sociali per modificarne gli effetti
a favore di determinati gruppi e categorie, e segnatamente a favore dei gruppi e delle categorie
economicamente più deboli.
Il lavoro nella Costituzione: la posizione del lavoro, non solo manuale ma in
ogni sua forma di espressione umana, è fondamentale nel nostro
ordinamento, e la stessa Costituzione si apre con il riconoscimento di tale
posizione centrale, affermando che la Repubblica democratica è “fondata”
sul lavoro. Quale che sia la forma della sua manifestazione e purché miri a
contribuire al progresso materiale o spirituale della società, il lavoro è
dunque fondamento della Repubblica e conferma la pari dignità sociale di
tutti i cittadini, senza possibilità di introdurre differenziazioni
discendenti dalla diversa attività lavorativa esercitata. Questo non
esclude tuttavia che il lavoro subordinato sia destinatario delle
disposizioni costituzionali che mirano a tutelare il prestatore d’opera.
Il diritto al lavoro: la Costituzione, all’art.4 introduce il diritto (considerato anche un dovere) al
lavoro, ponendolo tra i principi fondamentali dell’ordinamento.
Esso si pone come diritto di libertà, nel senso che ogni cittadino deve essere libero di scegliere
l’attività più congeniale alle proprie possibilità e alle proprie preferenze, e come diritto civico, in
quanto attribuisce al cittadino la pretesa a un “facere” da parte della Repubblica per promuovere,
come precisa l’art.4, le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Nella realtà, preoccupanti

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problemi di disoccupazione e sottoccupazione frustrano non solo il diritto al lavoro come diritto
civico, ma anche come diritto di libertà posto che le possibilità di scelta dei singoli lavoratori ne
sono gravemente limitate o addirittura escluse.
La tutela del lavoro nella Costituzione: il principio fondamentale in materia di tutela del lavoro è
proclamato dal 1° comma dell’art.35, per il quale la Repubblica assume a suo compito la tutela del
lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Si prevedono inoltre accordi internazionali per
affermare e regolare i diritti del lavoratore e si riconosce la libertà di emigrazione con conseguente
tutela del lavoro italiano all’estero.
L’art.36 stabilisce il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del
suo lavoro (principio della giusta retribuzione) e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla
sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (principio della retribuzione familiare). La retribuzione
non è la sola corrisposta durante il rapporto di lavoro, ma anche quella differita. Quanto all’orario di
lavoro, l’articolo riserva alla legge la competenza a stabilire la durata massima della giornata
lavorativa, e infine, stabilisce il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite, cui il
lavoratore non può rinunciare.
L’art.37 tutela in particolare la posizione della donna, il cui trattamento nel rapporto di lavoro deve
essere equiparato a quello dell’uomo, e privilegia, giustamente, la lavoratrice in relazione alla sua
essenziale funzione familiare, più rilevante in presenza di figli piccoli. Per quanto riguarda il lavoro
minorile, la Costituzione rimanda alla legge per stabilire il limite minimo d’età per il lavoro
salariato (fissato in 15 anni), e tutela la posizione del minore nell’attività lavorativa.
Lo Statuto dei lavoratori: ampia tutela, tanto sul piano sostanziale tanto su quello processuale, alla
libertà e dignità del lavoratore e della libertà sindacale, viene attuata dalla l.20 maggio 1970, n.300,
il cosiddetto Statuto dei lavoratori. Tralasciando il piano sostanziale, per il quale vengono enunciati
numerosi diritti dei lavoratori, sotto il profilo processuale viene prevista una speciale procedura
dinanzi al pretore per la repressione della condotta antisindacale nonché la legittimazione delle
organizzazioni sindacali a promuovere il procedimento giudiziario di che trattasi. Giudice del
lavoro di primo grado è in ogni caso il pretore e contro le sue sentenze è ammesso ricorso al
tribunale competente, in funzione di giudice del lavoro. La sentenza del tribunale è ricorribile alla
Corte di Cassazione, secondo il rito ordinario.
Collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende: in forza dell’art.46 Cost., la Repubblica
riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, nei modi e nei limiti
stabiliti dalla legge. La disposizione mira a elevare il lavoratore da strumento a collaboratore della
produzione, ma in quanto norma programmatica e diretta quindi al legislatore non ha potuto essere
applicata non essendo intervenute le necessarie disposizioni legislative (tranne Olivetti e Ilva).
Il sindacato: lo strumento più efficace per la tutela del lavoratore, e particolarmente del lavoratore
subordinato, è il sindacato. L’art.39 Cost. sancisce anzitutto il principio fondamentale della libertà
dell’organizzazione sindacale. Questo significa libertà di costituzione di uno o più sindacati e libertà
per ogni lavoratore di aderire o meno al sindacato. L’unico obbligo che può essere imposto ai
sindacati, a norma dell’art.39, è la loro registrazione presso uffici centrali e locali, alla sola
condizione che gli statuti dei sindacati che chiedono la registrazione sanciscano un ordinamento
interno a base democratica. Con la registrazione, i sindacati acquistano personalità giuridica.
Tale registrazione, ai sensi di Costituzione, deve avvenire però in base a norme da stabilirsi con
legge ordinaria (legge sindacale) e poiché tale legge non è intervenuta, fino ad oggi, anche a causa
della netta opposizione dei sindacati all’adozione delle necessarie disposizioni legislative, le norme
costituzionali non possono trovare attuazione. La mancanza di registrazione rende dunque
impossibile la stipulazione di contratti collettivi di lavoro di diritto pubblico (previsti dall’art.39),
sicché accanto ai contratti individuali di lavoro sono possibili solo i contratti collettivi di lavoro di
diritto privato o di diritto comune.
Il diritto di sciopero e i suoi limiti: lo sciopero è un’astensione dalla prestazione del lavoro
effettuata da una pluralità di lavoratori e che non dà luogo a una violazione del contratto di lavoro,
sicché il datore di lavoro può solo non corrispondere la retribuzione.
60
Lo sciopero, fondamentale strumento di autotutela dei lavoratori, vietato dal codice penale fascista,
è stato dichiarato dall’art.40 Cost. un diritto, anche se viene operato un rinvio alla legge ordinaria
per la determinazione delle modalità (e quindi anche dei limiti) per l’esercizio di tale diritto.
Più di recente, la Corte Costituzionale ha affermato la legittimità non solo dello sciopero rivolto a
conseguire fini di carattere economico, ma anche di scioperi politici, di solidarietà, di pressione.
Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali: la l.12 giugno 1990, n.146, contiene norme importanti
riguardo allo sciopero nei servizi pubblici essenziali, quelli cioè volti a garantire il godimento dei
diritti della persona, costituzionalmente tutelati. Nei servizi pubblici essenziali stabiliti dalla legge,
il diritto di sciopero non può esercitarsi se non : a) con un preavviso di almeno 10 giorni; b) con la
predisposizione di prestazioni indispensabili; c)con l’indicazione della durata della astensione dal
lavoro; d) con comunicazioni adeguate agli utenti. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il
prefetto,in caso di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente
garantiti, possono adottare un’ordinanza diretta a garantire le prestazioni indispensabili.
E’ stata inoltre istituita una Commissione di garanzia per l’attuazione della legge 146.
La serrata: la Costituzione non disciplina la serrata, ovvero la sospensione totale o parziale della
attività da parte del datore di lavoro per finalità collegate o meno al contratto di lavoro. Si ritiene
che essa non possa più essere considerata un delitto, mentre può concretare un illecito civile.
Libertà di iniziativa economica privata: l’art.41 Cost.: a) afferma il
principio della libertà dell’iniziativa economica privata; b) indica i limiti cui
deve attenersi tale iniziativa (non può svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana); c) rinvia alla legge per la determinazione di programmi ed i
controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
La programmazione economica: essa è dunque prevista dall’art.41, e
avrebbe dovuto concretarsi in interventi dello Stato in settori
determinati dalla legge, non solo mediante disposizioni di stimolo o di
incentivo, ma anche mediante disposizioni imperative, giustificate da quei
fini di utilità sociale che vanno perseguiti, tenendo comunque conto del
principio della libertà di iniziativa economica privata. Tale
programmazione non ha comunque ottenuto risultati positivi, se non con
interventi programmatori di estensione settoriale.
Nazionalizzazione delle imprese: strumento rilevante di intervento pubblico nell’economia è la
nazionalizzazione delle imprese, che oggi ha perduto buona parte della sua efficacia. L’art.43 ha
introdotto il principio della possibile nazionalizzazione delle imprese, circondandolo di cautele.
Innanzitutto l’atto a disporre la nazionalizzazione è la legge. Poi deve esistere un fine di utilità
generale, deve trattarsi di imprese, aventi carattere di preminente interesse generale, che si
riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio. Qualora
ricorrano queste condizioni, tali imprese possono essere riservate originariamente o trasferite,
mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o
i utenti. Il caso più rilevante di nazionalizzazione si è avuto con l’ENEL (1962).
Il diritto di proprietà e i suoi limiti: nel Codice del 1942 e nella Costituzione il diritto di proprietà
viene riconosciuto, ma rispetto al passato viene circondato da limiti. L’art.42 Cost., riconoscendo il
diritto di proprietà, ne sottolinea la funzione sociale, affidando alla legge il compito di renderla

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accessibile a tutti. Come afferma l’art.42, la proprietà è pubblica e privata e i beni economici
appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
Espropriazione per pubblico interesse: ai sensi dello stesso art.42, la proprietà privata può essere
espropriata per motivi di interesse generale, nei casi previsti dalla legge (➪ riserva di legge
assoluta) e salvo indennizzo che, secondo il parere della Corte Costituzionale, deve consistere in un
“serio ristoro del pregiudizio economico risultante dall’espropriazione”.
Disciplina della proprietà terriera privata: disposizioni particolari, legate ad un antica battaglia
contro il latifondo, sono dettate dall’art.44 Cost. in materia di proprietà terriera privata, al fine di
conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali.
La Costituzione rinvia alla legge per stabilire le norme e i limiti della successione legittima e
testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Altre disposizioni costituzionali in materia economica: altre disposizioni costituzionali sono dettate
in materia di cooperazione, a favore dell’artigianato, di incoraggiamento al risparmio, e in materia
di credito.
Assistenza e sicurezza sociale: l’art.38 Cost. introduce il principio della sicurezza sociale,
affermando che ogni cittadino inabile e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale. Viene inoltre affermato il diritto di lavoratori infortunati,
malati, invalidi, anziani, ecc.…di godere un sistema di assistenza e di previdenza, che si concreta
attraverso le assicurazioni sociali. Il relativo finanziamento è oggi in larga misura a carico dei datori
di lavoro e dei lavoratori con la necessità, però, di massicci interventi pubblici.
Un serio sistema di sicurezza sociale non potrà non accompagnarsi a profonde revisioni dell’attuale
struttura previdenziale e assistenziale pubblica per evitare che finalità giuste e doverose siano
compromesse da oneri economici ingiustificati ed eccessivi, capaci di determinare il dissesto della
finanza pubblica e dell’economia del Paese.

PARTE SETTIMA
LE GARANZIE COSTITUZIONALI

CAPITOLO 2
LA CORTE COSTITUZIONALE

SEZIONE I: LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE IN GENERALE


Il problema della giustizia costituzionale, intesa come possibilità di sindacare le leggi ordinarie per
preteso contrasto con la Costituzione, sorge, prevalentemente, in presenza di Costituzioni rigide e si
pone come garanzia di tale rigidità.
“Sindacato diffuso” di costituzionalità: si parla di sindacato diffuso quando ogni giudice, all’atto di
applicare una legge, può, e deve, accettarne la conformità a Costituzione, disapplicandola in caso di
difformità. Il giudice non annulla, non potendo, la norma ritenuta incostituzionale, ma si limita a non
applicarla: è il caso degli U.S.A. La norma disapplicata però resta in vigore potendo essere annullata solo
dall’organo legislativo. I vantaggi sono legati a una più diretta e immediata possibilità di controllo di
costituzionalità delle leggi ordinarie, tuttavia questo sistema può consentire ai giudici ordinari
un’ingerenza nel merito delle scelte legislative delle Assemblee (“governo dei giudici”).
Sindacato accentrato di costituzionalità: sistema opposto al precedente, si realizza quando la
competenza a valutare la conformità a Costituzione delle leggi è attribuita a un solo organo. Può
distinguersi a seconda che l’organo sia di natura prevalentemente politica (Francia), o di natura
prevalentemente giurisdizionale (Stati tedeschi, Austria). La soluzione adottata dalla Costituzione
italiana per una magistratura speciale denominata Corte Costituzionale si avvicina maggiormente a
quest’ultimo modello.

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SEZIONE II: POSIZIONE E STRUTTURA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Nel nostro ordinamento non fu mai contestata la scelta di istituire una magistratura costituzionale, al
fine di assicurare il rispetto dell’ordine costituzionale delle competenze, mentre si discusse se
assegnare o meno alla Corte una composizione influenzata dal dato politico, propendendo per il no.
L’art.137 Cost. riserva alla legge costituzionale (legge cost.1953,n.1) di stabilire le condizioni, le forme,
i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, nonché le garanzie di indipendenza dei
giudici della Corte, mentre le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte
sono stabilite con legge ordinaria (legge 1953,n.87).
La composizione della Corte Costituzionale: la composizione della Corte Costituzionale è disciplinata
anzitutto dall’art.135 Cost., modificato dalla l.cost. 1967,n.2.
I giudici della Corte sono quindici e sono nominati, in ordina successivo: dalle supreme magistrature
ordinaria e amministrativa (1/5), dal Parlamento in seduta comune (1/5), dal presidente della Repubblica
(1/5). Tali giudici sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e
amministrative, tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo 20
anni di esercizio, e durano in carica 9 anni. Viene esclusa l’ipotesi della proroga dei poteri con
l’eccezione del caso di scadenza di un giudice durante un processo penale costituzionale: il giudice resta
in carica limitatamente allo svolgimento di quel processo e fino alla sua conclusione. I giudici non
possono essere nuovamente nominati, scaduti i 9 anni.
Per i soli giudizi di accusa contro il presidente della Repubblica è prevista una composizione allargata
della Corte Costituzionale: accanto ai quindici giudici ordinari intervengono altri sedici giudici
“aggregati”, di origine più accentuatamente politica, tratti a sorte da un elenco, compilato dal
Parlamento, di 45 cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore (aventi 40 anni).
“Status” dei giudici costituzionali: ogni giudice, prima di assumere le funzioni, presta giuramento nelle
mani del presidente della repubblica di osservare la Costituzione e le leggi, e da tale momento
decorrono i 9 anni di durata della carica. La l.cost. 1953,n.1 e la l. 1953,n.87 disciplinano lo status di
giudice costituzionale: sostanzialmente i giudici non possono assumere o conservare altri impieghi
lavorativi, possono iscriversi a partiti politici ma non esercitare l’attività di partito e godono
dell’immunità accordata ai membri della Camera (senza autorizzazione della C.Cost., non possono essere
arrestati, perquisiti, ecc.. e godono di una cospicua retribuzione). I giudici costituzionali inoltre non
sono sindacabili né possono essere perseguiti per le opinioni espresse e per i voti dati nell’esercizio
delle loro funzioni; non possono essere rimossi né sospesi dal loro ufficio se non con decisione della
Corte, per sopravvenuta incapacità fisica o civile o per gravi mancanze nell’esercizio delle loro funzioni.
Infine va ricordato che un giudice che per 6 mesi non eserciti le sue funzioni decade dalla carica.
Organizzazione interna della Corte Costituzionale: il presidente della Corte Costituzionale, che dura in
carica 3 anni, è eletto dai giudici ordinari a maggioranza dei componenti; nel caso nessuno riporti la
maggioranza si procede a una seconda votazione, ed eventualmente a ballottaggio.
Subito dopo l’elezione, il presidente designa un giudice che assume il ruolo di vice presidente, destinato
a sostituirlo per il tempo necessario in caso di impedimento. E’ prevista inoltre la costituzione di un
ufficio di presidenza composto del presidente, del vice presidente e di 4 giudici, eletti per 2 anni dalla
Corte a scrutinio segreto. Ancora, la Corte procede all’elezione di due commissioni di tra giudici
ciascuna, una per gli studi e i regolamenti, l’altra per la biblioteca.
La Corte Costituzionale ha sede a Roma nel Palazzo della consulta. La destinazione di tale Palazzo,
compresi gli accessori, le pertinenze e gli arredi, a sede permanente della Corte, costituisce
un’ulteriore garanzia in favore dell’indipendenza e dell’autonomia della Corte.

SEZIONE III: LE FUNZIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE


Nel nostro ordinamento la Corte Costituzionale è organo di garanzia e, in quanto tale, esercita
un’importante funzione di controllo. Secondo l’art.134 Cost. modificato dalla l.cost. 16 gennaio 1989, la
Corte ha la competenza a giudicare:

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1) sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di
legge, dello Stato e delle Regioni;
2) sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le
Regioni;
3) sulle accuse promosse contro il presidente della Repubblica a norma della Costituzione;
4) sull’ammissibilità rispetto all’art.75 Cost. delle richieste di referendum abrogativi (secondo la
l.cost. 11 marzo 1953).

1. IL GIUDIZIO SULLA LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELLE LEGGI E DEGLI ATTI AVENTI


FORZA DI LEGGE DELLO STATO E DELLE REGIONI
Atti assoggettabili al giudizio della Corte: la competenza di maggior rilievo della Corte Costituzionale è
quella di giudicare la costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge.
Gli atti che possono essere sottoposti al giudizio della Corte sono, anzitutto, le leggi dello Stato e
quelle delle Regioni; in secondo luogo gli atti aventi forza di legge dello Stato (ma non delle Regioni); in
terzo luogo le leggi delle Province autonome di Trento e Bolzano.
In quanto “atti”, può escludersi l’impugnabilità di norme consuetudinarie, in quanto “aventi forza di
legge”, può escludersi la competenza della Corte su atti normativi di grado secondario, che spetta
invece al giudice ordinario o al giudice amministrativo.
Tra gli atti dello Stato aventi forza di legge, possono essere compresi i decreti presidenziali di
attuazione degli statuti regionali speciali, che rientrano nei decreti legislativi, gli atti adottati dal
Governo dotato dal Parlamento di potestà legislativa, gli atti normativi e il risultato del referendum
abrogativo.
Per quanto riguarda gli atti legislativi regionali, possono sicuramente essere impugnate le leggi regionali,
mentre qualche dubbio rimane per gli statuti regionali. Sono da escludere invece gli atti regionali con
forza di legge analoghi ai decreti legge o ai decreti legislativi statali, per il fatto che al Consiglio
regionale spetta la potestà legislativa, senza possibilità di deleghe o di eccezioni.
Forza legge: secondo una diffusa dottrina la forza legge comporta per l’atto che la possiede due
qualità:
− capacità innovativa: capacità di abrogare o modificare qualsiasi atto legislativo (aspetto attivo);
− capacità di resistenza: capacità di non essere abrogato o derogato da parte di qualsiasi atto di
grado non legislativo (aspetto passivo).
Possibili vizi delle leggi: i possibili vizi degli atti impugnati possono inquadrarsi nella tripartizione:
• violazione di legge: può essere stata violata la Costituzione negli aspetti formali (procedimento
di formazione) o negli aspetti materiali (contrasto del contenuto);
• incompetenza: in ipotesi di concorso vincolato di fonti a competenza reciprocamente definita (ad
es. decreti legislativi che superino il contenuto della legge di delegazione, o legge statale che
disciplina una materia riservata ad altra fonte;
• eccesso di potere legislativo: anche il legislatore deve infatti perseguire le finalità stabilite dalla
Costituzione, sicché la sua attività non può più dirsi del tutto libera nel fine, può essere
impugnata per eventuali deviazioni dalla finalità prescritta. Deve invece escludersi
l’ammissibilità che il controllo di legittimità della Corte comporti una valutazione di natura
politica o un sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento.
Il processo costituzionale può iniziarsi o mediante ricorso proposto da chi vi sia legittimato
(procedimento in via d’azione o principale), oppure mediante eccezione di incostituzionalità sollevata nel
corso di un giudizio (procedimento in via di eccezione o incidentale).
a) Procedimento in via d’azione: può essere iniziato solo dallo Stato nei confronti di leggi regionali e
dalle Regioni nei confronti di leggi o atti con forza di legge dello Stato o di altre Regioni.
L’impugnazione dello Stato può essere esercitata quando la Regione abbia riapprovato la legge che il
Governo aveva già rinviato per motivi di illegittimità, e ha natura preventiva, nel senso che interviene
dopo l’approvazione della legge (che dunque è perfetta) ma prima della sua promulgazione. Per quanto

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riguarda l’impugnazione da parte delle Regioni di leggi o atti con forza di legge statali e di leggi di altre
Regioni, questa è sempre successiva alla pubblicazione.
I motivi di ricorso: le leggi statali possono essere impugnate dalle Regioni solo per “invasione di
competenza”, la legge regionale, invece, può essere impugnata dal Governo quando esso ritenga che la
legge “ecceda la competenza della Regione”, ma comprendendo anche qualsiasi vizio di incostituzionalità.
Se però l’impugnazione della legge regionale è proposta da un’altra regione, il vizio deve riguardare la
violazione della Regione corrente (di nuovo incompetenza in senso stretto).
b) Procedimenti in via di eccezione: i soggetti diversi dallo Stato e dalle Regioni possono chiamare in
causa la C. Costituzionale per far valere l’illegittimità di una legge soltanto in via di eccezione.
Tale procedura presuppone:
- l’esistenza di un giudizio principale dinanzi ad un’autorità giurisdizionale;
- la necessità di applicare, nel corso di tale giudizio, una disposizione legislativa che una parte, o il
pubblico ministero, o lo stesso giudice sospetta di incostituzionalità;
- la questione di costituzionalità sollevata mediante istanza da una delle parti o d’ufficio, che si
configura come incidente processuale;
- un preliminare esame del giudice per accertare che la disposizione enunciata sia rilevante (nel senso
che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della proposta
questione) e che la questione non sia manifestamente infondata;
- l’emissione di un’ordinanza con la quale il giudice del procedimento principale dispone l’immediata
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso.
La rilevanza della questione e la non manifesta infondatezza trovano giustificazione nell’esigenza non
solo che esista un filtro selettore delle questioni di costituzionalità ma anche che esso funzioni
correttamente per evitare che la legge venga aggirata e siano portate al giudizio della Corte questioni
la cui decisione non ha influenza sulla definizione del processo principale.
Con l’ordinanza di rimessione, che deve indicare le disposizioni dell’atto che si ritengono viziate da
illegittimità costituzionale e quelle della Costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono
violate, la questione di costituzionalità è sottoposta al suo giudice naturale, cioè la Corte Costituzionale.
Si instaura così il processo di costituzionalità.
La decisione della Corte: l’art. 18 della legge 1953,n.87, pur subendo eccezioni, stabilisce che la Corte
giudica in via definitiva con sentenza, mentre gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati
con ordinanza. Le sentenze della Corte, secondo lo schema più semplice, possono essere di accoglimento
(e quindi incostituzionalità) o di rigetto. Principio generale nella decisione della controversia da parte
della Corte è la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ma possono esserci due eccezioni: a) la
Corte stessa, nel corso di un processo in svolgimento dinanzi ad essa sollevi eccezione di
incostituzionalità nei confronti di una disposizione da applicarsi nel processo di che trattasi; b) la Corte
dichiari l’illegittimità di altre disposizioni legislative, in conseguenza dell’illegittimità delle disposizioni
impugnate.
Le sentenze di accoglimento: le sentenze di accoglimento sono pubblicate due volte: mediante deposito
in cancelleria, come le sentenze delle altre magistrature, ed entro dieci giorni “nella medesima forma
stabilita per la pubblicazione dell’atto dichiarato costituzionalmente illegittimo” , e cioè sulla Gazzetta
Ufficiale e, in caso di legge regionale, sul Bollettino Ufficiale della Regione. E’ stata inoltre disposta la
pubblicazione del testo integrale di tutte le sentenze della Corte nella prima parte della Gazzetta
Ufficiale.
Secondo l’art. 136 Cost. “la norma dichiarata incostituzionale dalla Corte cessa di avere efficacia dal
giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Con la legge 57/1983 viene però dichiarata la
retroattività della pronuncia della Corte: dal giorno successivo alla pronuncia della Corte la legge
dichiarata incostituzionale non può più avere applicazione, con l’eccezione dei rapporti già esauriti
(sentenza passata in giudicato, prescrizione maturata, decadenza). Tale eccezione non vale comunque in
materia penale, dove la sentenza ha efficacia totalmente retroattiva.
Le sentenze di rigetto: come tutte le sentenze della Corte Costituzionale, sono pubblicate per esteso
nella Gazzetta Ufficiale; a differenza delle sentenze di accoglimento, le decisioni di rigetto non hanno
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efficacia generale, e i loro effetti sono limitati al processo nel corso del quale è stata sollevata
l’eccezione. Nulla esclude che sotto altri profili, o in riferimento a disposizioni costituzionali diverse da
quelle enunciate nell’eccezione che ha dato luogo al giudizio,la legge sia incostituzionale e tale possa
venir giudicata dalla Corte in un successivo processo.
Altre sentenze: accanto alle sentenze di accoglimento e di rigetto, espressamente previste dalla legge,
la pratica ha evidenziato un altro tipo di sentenze, definite volta a volta interpretative, condizionali,
parziali, correttive, addittive, manipolative e talora “monitorie” (verso il legislatore), che hanno
accentuato il ruolo politico della Corte e hanno solo forza di legge ordinaria.

2. IL GIUDIZIO SUI CONFLITTI DI ATTRIBUZIONI


Compete dunque alla Corte decidere sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra
lo Stato e le Regioni e tra le Regioni. Sorge un conflitto quando due autorità si dichiarino entrambe
competenti(conflitto positivo)o entrambe incompetenti rispetto allo stesso affare(conflitto negativo).
Conflitti reali: se vi è stata emanazione di provvedimenti che importino assunzione di competenza o
implicita affermazione di competenza ≠ Conflitti virtuali: presuppongono un’affermazione potenziale di
competenza, non però tradottasi nell’emanazione di un atto.
Conflitti diretti: è il titolare della attribuzione a sollevare la questione ≠ Conflitti indiretti: tale potere
spetta a soggetti esterni, a ciò espressamente preposti.
I poteri nel vigente ordinamento non possono ridursi ai tre tradizionali, dovendosi riconoscere posizione
distinta ad altri organi e così, almeno, al presidente della Repubblica e alla Corte Costituzionale la cui
posizione al di fuori dei tre poteri tradizionali è da tutti ormai riconosciuta.
Il problema di chi sia abilitato a sollevare il conflitto nell’ambito del potere è meno rilevante per i
poteri organizzati gerarchicamente, ma non così per organi come la magistratura (i giudici sono sullo
stesso piano) o il Parlamento (le Camere hanno gli stessi poteri). Per il Governo è competente il Consiglio
dei ministri.
Procedimento: la Corte decide con ordinanza in camera di consiglio sulla ammissibilità del ricorso, se la
decisione è nel senso dell’ammissibilità, la Corte dispone la notifica del ricorso a tutti gli organi
interessati. Successivamente la Corte risolve il conflitto sottoposto al suo esame dichiarando con
sentenza il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione. Ove sia stato emanato un atto
viziato da incompetenza, lo annulla.
Per i conflitti di attribuzioni tra Stato e regioni e tra Regioni, i conflitti si caratterizzano per essere
reali e positivi; si richiede un’invasione di competenza (che è soprattutto con atti amministrativi, ma
anche con atti giurisdizionali) già realizzata e non meramente eventuale. Successivamente al ricorso,
presentato per lo Stato dal presidente del Consiglio dei ministri o da un ministro da lui delegato e per la
Regione dal presidente della Giunta regionale dopo deliberazione della Giunta stessa, la decisione della
Corte è pronunciata dalla Corte con sentenza ed eventuale annullamento dell’atto, anche in questa
ipotesi.

3. IL GIUDIZIO SULLA AMMISSIBILITA’ DELLE RICHIESTE DI REFERENDUM ABROGATIVO


La Corte dovrà accertare, anzitutto, che le leggi delle quali si chiede l’abrogazione mediante
referendum non siano leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a
ratificare i trattati internazionali. Il giudizio di ammissibilità richiede inoltre che si stabilisca in via
preliminare se non si impongano altre ragioni, costituzionalmente rilevanti, in nome delle quali si renda
indispensabile impedire il referendum abrogativo, ad integrazione delle ipotesi previste dalla
Costituzione. Nella sentenza 16/1978 sono state dichiarate inammissibili le richieste di referendum: a)
per l’abrogazione del Concordato tra Stato e Chiesa Cattolica, e di parte del Trattato lateranense; b)
per l’abrogazione di 97 articoli del Codice penale; c) per l’abrogazione del Codice penale militare di
pace; d)per l’abrogazione dell’ordinamento giudiziario militare.
La C.Costituzionale si pronuncia sull’ammissibilità delle richieste di referendum mediante sentenza che
va pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale entro il 10 febbraio.

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4. IL GIUDIZIO SULLE ACCUSE CONTRO IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Procedimento per la messa in stato d’accusa: l’art.90 Cost. dispone che il presidente della Repubblica
responsabile di alto tradimento o di attentato alla Costituzione è messo in stato d’accusa dal
Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri.
I successivi atti e rapporti vengono trasmessi ad un apposito Comitato parlamentare per i procedimenti
d’accusa, che compie le indagini del caso e, se non si dichiara incompetente e non dispone l’archiviazione,
dopo richiesta di un quarto dei componenti del Parlamento in seduta comune presenta la propria
relazione al Parlamento, che nel caso di messa in stato di accusa deve riportare le indicazioni degli
addebiti con le relative ipotesi di reato e degli elementi su cui la proposta è basata,.
Entro 30 giorni dalla presentazione della relazione del Comitato viene convocato il Parlamento in seduta
comune: in caso di proposta di messa in stato d’accusa, si vota a scrutinio segreto e la deliberazione
deve essere adottata a maggioranza assoluta. Qualora il Parlamento abbia deliberato la messa in stato
d’accusa, il presidente della Camera trasmette entro due giorni l’atto di accusa della Corte
Costituzionale unitamente alla relazione del Comitato per i giudizi di accusa, alle eventuali relazioni di
minoranza e agli atti e ai documenti del procedimento.
Procedimento di fronte alla Corte Costituzionale: la composizione della Corte sale in questo caso a
trentun membri per la ”aggregazione” di altri sedici giudici. Alle udienze devono partecipare tutti i
giudici che non siano legittimamente impediti e il giudice assente ad un’udienza non può partecipare alle
udienze successive. Dopo aver nominato un giudice per l’interrogatorio, gli atti istruttori necessari e la
relazione, si passa al dibattimento e poi alla riunione in Camera di consiglio. Ogni giudice esprime
oralmente la propria votazione, senza possibilità di astensione, e distintamente per ogni capo
d’imputazione. Il dispositivo della sentenza è letto dal Presidente in pubblica udienza. La sentenza è
depositata in cancelleria e trasmessa al Ministro di Grazia e Giustizia per la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale; essa è inappellabile e può solo essere sottoposta a revisione ove, dopo la condanna,
sopravvengano o si scoprano fatti nuovi importanti.
La pena irrogabile al presidente della Repubblica può raggiungere l’ergastolo, mentre per le altre
sanzioni è da ritenersi certa la pronuncia della decadenza della carica, nonché l’interdizione dai pubblici
uffici e gli eventuali risarcimenti di danni, in conformità alle norme generalmente vigenti.

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