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Ieri e Oggi
Elvy Clerici Costa - Paolo Montalbano
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1 - Da San Sinforiano a Caminata
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sia stata distrutta probabilmente da un terremoto, o da un’orda vandalica, fra
il II e il III secolo d.C., questo nome, peraltro non va identificato con un’altra
Rosara, che si riferiva al luogo denominato “le Campagne” in Pianello Val
Tidone, “luogo dannato al ferro e al fuoco” nel 1244 dalle truppe di Federico
II, o di Re Enzo, per dirla con Lorenzo Molossi.
Il professor Aldo Greco Bergamaschi, fondatore nel 1973 del Gruppo
“Emilio Nasalli Rocca” per le ricerche etnografiche archeologiche e storiche,
G.R.E.A.S., al cui percorso di ricerca tanto dobbiamo per la stesura di queste
note, non ha invece dubbi, quando fa risalire le origini dell’abitato all’epoca
romana. Egli scrisse che si scoprirono nel 1962 in una platea da forno a
Molino della Montà, sulla riva sinistra del torrente Cavajone, alla confluenza
col Tidone: anfore, tavelloni, ed embrici romani, resti di un edificio da
identificarsi con una fornace. Così come, durante lavori aratorii, vennero alla
luce resti di fondazioni murarie estese, forse costituenti un sistema difensivo,
e frammenti di laterizi presumibilmente appartenuti ad una fornace in località
Monte Pioggia, sita in Stadera Comune di Nibbiano. Del resto la presenza
di vestigia romane si sono trovate nella vicina Volpara in Val Versa, in una
lapide sepolcrale pagana, del II secolo d.C., infissa sul muro della chiesa
parrocchiale, che reca sul timpano l’immagine della mitica Gorgona. Ed in
Canevino, luogo sacro in epoca pagana, dove si rinvennero antiche sepolture
ed una lapide funeraria romana murata sul fianco sud della Chiesa.
Il primo cenno toponomastico dell’antico borgo, si riferisce a San Sinforiano,
e risale al IX secolo in un documento redatto dal Monastero di San Colombano
di Bobbio, datato 833 – 835, ed anche tra l’862 – 883 negli inventari dei
possedimenti del Monastero,poichè faceva parte dei beni dell’Abbazia, ed è
citato ancora nei Diplomi di Ottone I e Ottone III negli anni 972 – 998 dove
risultava essere uno dei migliori in fatto di redditività a favore del Cenobio.
Da tempi remoti Caminata ebbe la ventura di trovarsi nelle vicinanze delle
antiche vie che risalivano la Valle del Tidone, come la Via della Costa
che passando per la Pieve di Stadera, Zavattarello, Oramala, raggiungeva
l’antica “Libarna” oggi Serravalle, o quella che da Roccapulzana per
Pecorara, si dirigeva verso Bobbio, sulle cui rotte e varianti a reticolo,
scorreva un flusso notevole di pellegrini, viaggiatori, nobili e mercanti, che
ci piace pensare abbiano trovato ricetto presso i primi abitanti del Borgo.
Data la posizione strategica di confine e punto nevralgico di vie di
comunicazione, San Sinforiano poteva essere facile preda dell’ingordigia
tanto di signori feudali quanto di avventurieri e banditi, così in età medievale,
si resero necessarie opere difensive tali, da renderlo un borgo fortificato.
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...Di nebbia o fronda non vi è velo alcuno
Al guardo, che perspicuo in alto scorge
Delle castella il profilarsi bruno ….. (1)
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Landi e i Beccaria, fu bruciato da questi ultimi nel novembre del 1356
assieme alle poche case che costituivano il paese, oggi è la residenza privata
del marchese Anguissola.
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La denominazione San Sinforiano durò fino al XV secolo, quando venne
aggiunto il compatrono Timoteo. Contemporaneamente si intensificarono le
opere di difesa e la geniale invenzione dei camminamenti sotterranei segreti,
già attuata in alcune zone del nord Italia, come avvenne a Castel Seprio ed
Angera presso Varese e nella Torre Romana di San Maffeo in provincia di
Como prossimo al confine svizzero. Vera e propria rete di vie sotterranee da
casa a casa, predisposte per la fuga a distanza di sicurezza dall’aggressore,
raccordate con botole e scale a pioli estraibili, che permettevano di accedere
sia ai piani superiori che a quelli inferiori, si dice addirittura che sbucassero al
Tidone, di queste la più interna, con andamento circolare destinata all’estrema
difesa, ed una seconda a occidente del borgo. L’accesso, a detta di alcuni,
era identificabile nei resti di due lesene, probabile decorazione dell’arcata
d’ingresso alla via sotterranea, di cui non abbiamo trovato traccia.
Tutte la case erano dotate di uno o più pozzi, così da garantire l’autosufficienza
d’acqua in caso di assedio prolungato.
Da camminamenti sembrò naturale derivarne il nome, La Caminata, poi
“Caminà“, Caminata.
Il borgo di Caminata in epoca feudale appartenne allo Stato Vermesco sotto
la signoria dei Dal Verme, famiglia che già nel ‘300 e nel ‘400, poteva offrire
un forte sostegno militare in una zona strategica come la Valle del Tidone
che, in pieno Rinascimento, ebbe come figura di spicco il condottiero
Jacopo (2), impegnato proprio nel maggio 1517 nella difesa della Rocca
d’Olgisio assediata da tre mila fanti francesi e cinquecento uomini d’arme. Il
patrimonio araldico della nobile casata ne portava il ricordo: “conte di Bobbio
con Corte Brugnatella e Romagnese, Signore di Zavattarello,Ruino,Trebecco
e Caminata”.
Quando nel 1545 Papa Paolo III, creò in favore del proprio figlio Pier Luigi
Farnese il Ducato di Parma e Piacenza donandogli terre che appartenevano
allo Stato della Chiesa, Caminata, assieme a Ruino e Canevino erano paesi
sudditi del Re di Spagna. Le note storiche ci ricordano che attorno alla
metà del 1600 il Duca di Piacenza aveva voluto istituire in Val Tidone un
Reggimento, chiamato Terzo, della Milizia Suburbana col compito di guardia
alla frontiera e repressione del contrabbando, che nella zona di Caminata era
fiorentissimo, in particolare quello del sale, ma anche delle pelli, del pesce in
barile, del tabacco, dei tessuti e della polvere da sparo.
Il Trattato di Aquisgrana del 1748, che pose termine alla guerra di successione
austriaca, stabilì che i Savoia dovessero cedere il Piacentino, che diventò
Ducato autonomo sotto la guida di Filippo di Borbone, figlio di Filippo V di
Spagna e di Elisabetta Farnese, mentre il territorio di Moncasacco frazione
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lontana di Caminata, per motivi di confine rimase ai Savoia.
E’ interessante ricordare di questo periodo la lunga “querelle” che tenne
l’attenzione sullo stato del territorio: la frana, di grandi proporzioni che si
verificò “sulla strada pubblica che da Moncasacco tende ai feudi vermeschi”.
La questione fu trattata con diplomazia e competenza dall’ingegner Giovanni
d’Aponte, inviato dal Re, se non fosse stato così si sarebbe rischiato l’incidente
diplomatico, trattandosi della Strada Regia che fungeva da confine. Ecco le
parole del d’Aponte:
“Ho esaminato il rimanente della strada di questo territorio confinante al
Piacentino, ed i rispettivi termini i quali sono tutti al loro posto.
E sebbene questa, anch’essa è molto cattiva all’inverno per la gran fanga,
nulla meno è soggetta a pericolo di Libbia. In questa stagione si fanno da
condottieri molti sentieri trasversali per evitare il fango, espressamente
massime nei boschi della Cascina Nova, che è sullo Stato, e parte di quelli
della Rossella...” (3)
Rileviamo da una mappa, che nel 1776, la frazione di Canova era costituita
soltanto da quattro fabbricati, e non esistevano nè la Mostarina di Sotto, nè
la Mostarina di Sopra. Proprio sulla strada che porta a Canova all’altezza del
piccolo cimitero, ancor oggi è visibile, ma malamente leggibile, il termine in
pietra arenaria con incise le doppie esse degli Stati Sardi.
Il 29 agosto 1789, il Regno Sardo per “agevolare le assise dei Giudici”, con
manifesto senatorio aveva suddiviso in Cantoni i territori delle Province,
Caminata assieme a Zavattarello, Ruino e Trebecco faceva parte del secondo
cantone. Quando le truppe napoleoniche conquistarono l’Italia afflissero le
popolazioni con pesanti balzelli, imposero negli atti pubblici la lingua francese,
per i giovani vi fu la coscrizione militare obbligatoria con l’unico risultato
di costringerli alla macchia armati meno peggio e determinati a delinquere
pur di non sottostare alle leggi dei francesi. Si diede luogo alla rapina delle
opere d’arte,ed assieme ad altre deprecabili imposizioni, fu intollerabile nelle
campagne, la requisizione degli animali. Allorchè il generale Jean Andoche
Junot intraprese la campagna per disarmare la popolazione, minacciando di
bruciare interi paesi,trovò i Caminatesi ad attenderlo con le armi in pugno, per
respingerlo. I piccoli Comuni furono soppressi. Con la caduta di Napoleone
nel 1814, Caminata tornò ad esser paese degli Stati Sardi, sotto il Mandamento
di Zavattarello che faceva parte della provincia di Bobbio nell’ambito della
divisione di Genova. Assieme a Caminata fecero parte del Mandamento di
Zavattarello anche: Fortunago, Ruino, Sant’Albano, Trebecco e Valverde.
Quando il 6 dicembre 1805, scoppiarono i fatti di Castel San Giovanni, tutti
i paesi della Val Tidone ne furono coinvolti, del nuovo corso dell’Impero
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Francese non se ne volle sapere!
Il Congresso di Vienna assegnò il Ducato di Parma,Piacenza e Guastalla a
Maria Luigia d’Austria moglie di Napoleone, i Caminatesi che andavano ai
mercati di Pianello e Nibbiano rientrando a casa avrebbero dovuto fermarsi a
pagare la gabella per i prodotti acquistati, alla Ricevitoria della Dogana Sarda,
che aveva la sua sede in paese nella casa dei Preposti “Prepusé”, sorta di
guardie confinarie. Questa costruzione assieme ai palazzi Cozzi e Castagnola
del XV sec., era chiamato “curtassa o curt di marchés”, assieme a quel
che resta dei camminamenti dell’antico borgo fortificato, alle cascine di
Cavajone, Battaja, Colombara, quest’ultima citata dal Boccia come “Villa di
Caminata pavese”.Da aggiungere le antiche Ville Chiericone e Gattoni, oggi
Case Chiericone e Gattoni un tempo assieme a numerose altre più lontane
già nella sfera giurisdizionale del Castrum de Durobecho, poi Beneficio
della Parrocchia di Caminata oggi proprietà private, ma situate in territorio
di Nibbiano, ed i Mulini, si possono considerare le più antiche costruzioni
di Caminata. A proposito di gabelle vogliamo ricordare che con la legge del
19 luglio 1857 numero 2320, i Comuni del circondario di Bobbio ebbero una
riduzione del canone gabellario di lire quattordicimila che si traduceva per
Caminata in lire duecentoquarantotto e centesimi ventisette!
Nel 1859 il Piemonte invase il Ducato di Parma, che fu annesso al Regno
Sardo in seguito ad un plebiscito ben orchestrato, amministrativamente
il comune di Caminata, circondario di Bobbio, fu aggregato alla
provincia di Pavia e da questo momento ebbe nome Caminata Pavese.
La prima Guerra Mondiale chiamò al fronte molti uomini di Caminata,
65 furono le famiglie che rimasero senza le braccia per lavorare i campi e
attendere al lavoro necessario per sopravvivere, in quest’occasione venne
elargito un sussidio per gli anni 1916 – ‘17.
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I Caduti della I Guerra Mondiale:
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2 - Episodi di lotta partigiana
Fusco ci da qui una descrizione efficace degli abitanti e del piccolo paese:
“ Nella popolazione, che allora credo fosse un po’ meno di cento unità,
trovammo una cordiale ospitalità e nonostante rischiassero più di noi, in
quanto per noi era solo la vita, per loro : la vita e gli averi.
Da parte nostra cercammo di dare il meno fastidio possibile. Ricordo, vi era
un tale che chiamavano il Fabbro, lo faceva per mestiere, era il maggiorente
della frazione e funzionava da collegamento collaborando con noi per
risolvere ogni problema che poteva sorgere e il comune di Pometo per quanto
riguardava l’amministrazione. Vi era una piccola scuola elementare, due
locali ed una scala per accedervi. Ne facemmo un ufficio e vi collocammo
una vecchia Olivetti e dove tenevamo i processi”. Nella parte nord del
paese, quella che guarda Canova,venne scavata una trincea su un sentiero
che scendeva verso Canova stessa denominato “strada delle Bregne”. Nel
febbraio ‘45 i partigiani che erano a Moncasacco disponevano di una mitraglia
di fabbricazione tedesca (machine Ghaver) usata da un tedesco che aveva
disertato, alcuni fucili sten americani, e bombe a mano. Appena fu avvistata
la colonna nemica i partigiani che erano a Moncasacco, si slanciarono sulla
linea Mollio – Costa Calatroni, e da posizione dominante spararono uccidendo
il capitano Hofman, comandante della colonna nazi – fascista. Il suo corpo
venne portato a Moncasacco, contemporaneamente fu giustiziato il tenente
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Muller, e i loro cadaveri vennero sepolti nel bosco dell’Inferno.
Don Grassi, Parroco di Canevino e poeta ce ne riferisce in rima:
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Erano le 19,45 dell’otto settembre 1943 quando la radio italiana divulgava
il messaggio del capo del governo, maresciallo Badoglio comunicando che:
”l’Ítalia ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower , comandante
in capo alle forze alleate e la richiesta é stata accolta“. Da quel momento
centinaia di migliaia di soldati dell’esercito italiano sono abbandonati a se
stessi, nel momento piú tragico dall’inizio della Guerra e senza direttive.
Si verificarono situazioni paradossali, il disarmo dei reparti italiani da parte
dei tedeschi ed il crollo totale dell’intero apparato militare italiano. In questo
scenario migliaia di giovani reclute, ragazzi non ancora ventenni, cercano
di tornare a casa ai loro affetti, ma invano. Uno di questi allora 18 enne ci
racconta in una intervista dell’aprile 2008:
“…..ed ero stato ritenuto idoneo alla visita di leva e subito designato al reparto
del terzo reggimento alpino di Susa al Forte Fenestrelle. L’otto settembre
nella confusione generale che regnava, e l’eco delle rappresaglie fasciste
e tedesche, con alcuni commilitoni decidemmo di tornare a casa. Da quella
fatidica data molti erano i posti di blocco organizzati dai tedeschi e dalle
milizie dei repubblichini. Con il desiderio di tornare a casa a piedi attraverso
le campagne, ragiungemmo la periferia di Torino e la stazione di Porta
Susa. Stanchi ed affamati ci rifugiammo in un carro bestiame in movimento
direzione Sud. A Tortona, nel tentativo di raggiungere Castelsangiovanni
in treno, fummo fermati da un gruppo di tedeschi. Ero l’unico a non avere
documenti se non la tessera del dopolavoro che portavo orgoglioso sempre
con me. Mentre i tedeschi discutevano tra di loro, in quel momento si avvicinó
un prete, parló in tedesco e subito dopo mi lasciarono andare. Ancora oggi ho
dei dubbi se fosse veramente un prete, ma mi salvó dalla deportazione.
Salii sul treno con una terribile angoscia di essere nuovamente fermato, ma
non dai tedeschi.
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tutti grazie all’aiuto di un comandante dei carabinieri e successivamente si
unirono al gruppo dei partigiani della Brigata del conte ”Rosso” Luchino
Dal Verme di Torre degli Alberi.
Erano momenti difficili, oggi si raccontano, ma non sembrano cosi lontani.
Alla Rocca mio zio mi consiglió di rifugiarmi nei boschi ed abbracciare la
causa della resistenza all’oppressione nazifascista. Mi diede 500 lire, del
pane e mi salutó. Da allora non lo rividi piú.
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Osp. Psichiatrico di Voghera maggio 1945
Brigata Crespi divisione Aliotta
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Immaginiamo la situazione di disagio e la mancanza di lavoro in quel
dopoguerra. Molti lavorarono nella cava di calce a Caminata altri presero la
via dell’emigrazione, Svizzera, Belgio ed anche il Sud Africa nelle miniere
di carbone.
Il ritorno alla provincia di Pavia non fu indolore: scoppiò in Alta Val Tidone
una piccola rivolta, che durò dal luglio 1925 al dicembre 1926. Il ponte di
legno, oggi in muratura, della strada Zavattarello-Caminata una notte venne
bruciato. La linea telefonica con Piacenza fu più volte interrotta perchè i
pali di sostegno furono segati o fatti saltare con la dinamite. Nel dicembre
1925 più di mille uomini della Valtidone marciarono su Bobbio, sede di una
sottoprefettura. In seguito a questo episodio il Governo di Roma, il 27 febbraio
1926 indisse un Referendum, dove la maggioranza votò per il ritorno alla
provincia di Pavia. Con la legge 23 dicembre 1926, numero 2246 i Comuni
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di Zavattarello, Romagnese e Ruino passarono nuovamente sotto la provincia
di Pavia. Moncasacco, quale frazione di Caminata Val Tidone restò alla
provincia di Piacenza. Ma le vicende politiche del “luogo di Moncasacco,
terra smembrata dello stato piacentino”, come la definì l’ingegner Giovanni
d’Aponte nella sua relazione, non erano ancora finite poichè il Regio Decreto
13 dicembre 1928 numero 3173, dispose la soppressione dei comuni di
Caminata e Trebecco aggregandoli a Nibbiano, e nove anni più tardi, il 30
dicembre 1937, Moncasacco, Canova e le Mostarine, con i loro 137 abitanti,
passarono sotto il comune di Pometo, in provincia di Pavia.
Nel 1928 il Comune di Caminata fu aggregato a quello di Nibbiano. Se
il fascismo aveva soppresso i piccoli Comuni, la neo Repubblica volle
ripristinarli, con la legge numero 25 del 28 febbraio 1950 fu decretata “la
ricostruzione del Comune di Caminata” e Moncasacco tornò ad esserne la
sua frazione.
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sotto la Provincia di Piacenza
La peste che nel 1608 si era affacciata mietendo centinaia di vittime e falciando
intere famiglie nei paesi circostanti, si era miracolosamente fermata alle porte
di Caminata, il cui popolo, si era affidato con preghiere all’intercessione
della Beata Vergine del Carmine alla quale ancora oggi, il 15 agosto di ogni
anno si offre lo scioglimento del voto in ringraziamento del miracoloso
avvenimento, portando in processione la Venerata Immagine.
Molti anni dopo, ed esattamente nel 1817 vi furono casi di tifo petecchiale
erano purtroppo sconosciuti i medicamenti atti a contrastare questo tipo di
epidemia.
Nel libro dei Morti dell’Archivio Parrocchiale di Caminata abbiamo riscontrato
che a partire dal 1836 e ne i successivi anni a venire dal 1855 fino al 1867,
si sono trovate registrazioni di raccolte di oboli per processioni ed esequie al
“Cimitero dei Cholerosi”, detto “Camp di Chulerus”, una porzione di terra
(5) alquanto staccata dal Cimitero, dove venivano seppelliti in una fossa
comune i morti per colera.
Sul Registro degli Atti di Morte, Diocesi di Bobbio, Prefettura di Bobbio,
Comune di Caminata, Parrocchia di Caminata per gli anni dell’epidemia
colerica, annotati dal 1839 al 1861 compresi, abbiamo riscontrato che su 361
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morti, 139 erano infanti, e 3 adolescenti. Da ultimo, negli anni dal ‘18 al ‘22
del ‘900 si ebbe l’epidemia di febbre spagnola, che come accadeva nel resto
d’Italia colpì anche Caminata, ma in modo debole.
Rileviamo in una lettera di A.G.Bergamaschi al Sindaco Pizzali, del 20 agosto
1956, l’esortazione a onorare la memoria dell’Arciprete Vicario Foraneo
Mons. Casimiro Borrè, con una lapide, per ricordare come in quell’occasione
si fosse prodigato con spirito eroico ed abnegazione, nell’assistenza degli
ammalati e fosse stato veramente Padre e Pastore tanto da meritare la medaglia
d’oro al valor civile e l’onorificenza a Cavaliere d’Italia.
L’Arciprete Mons. Casimiro Borrè, era nipote del Canonico Penitenziere
don Francesco Borrè della Cattedrale di Bobbio, e fratello dell’Avvocato Pier
Antonio, eletto presidente del Tribunale di Viterbo il 23 luglio 1887.
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Ci siamo chiesti come giungessero le notizie, possiamo supporre che dalla
Diocesi di Bobbio allora molto importante e attiva, pervenisse ai parroci per
corriere un foglio di aggiornamento almeno mensile, poiché il settimanale
della Diocesi di Piacenza Bobbio “La Trebbia” cominciò le tirature soltanto
nel 1903.
Il 19 novembre 1882 scrisse con distacco anche di sè “principio di grave
malattia”, avvenuta dopo le numerose cadute, e concluse il corposo volume
con la scritta:
Laus Deo
Deipare Virgini Maria
eiusque sponso Divo Josepho
necnon Sancty Casimiro et Augustino
__________________
1889
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innumerevoli opere di genere che si vedono nelle pievi di campagna, ma
se ci soffermiamo con uno sguardo più attento e soprattutto se ci facciamo
“prendere” dal profondo senso di grazia gentile che essa emana, ci accorgiamo
che non si tratta di opera comune. Nella nicchia esigua in cui è collocata
essa vive di vita propria e acquista risalto dalle ombre che si insinuano e
accarezzano i volumi delle due figure. I capelli della Vergine sono spartiti al
centro del capo e raccolti alla sommità del collo, appena sfiorati dal montare
dell’orlo della tunica, essi donano al volto di un ovale perfetto un’intima
sensazione di gentilezza e al tempo stesso intensità che impronta la maggior
parte delle immagini settecentesche. Questa opera è attribuita allo scultore
fiammingo Jan Geernaerth.
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Nella stessa Prepositurale possiamo ammirare un’altra pregevole esecuzione
scultorea, raffigurante il Simulacro Ligneo del Signor Morto, (8) del veronese
Attilio Righetti, del 1920, opera di forte pathos, è ricollegabile ai modi
stilistici delle opere genovesi dello stesso autore, in particolare all’immagine
del Santo nella statua equestre lignea di San Giacomo in San Desiderio di
Bavari.
Entro nicchie nei pilastri dei bracci, trovano posto le grandi opere plastiche
dei Quattro Evangelisti, commissionati alla Premiata Ditta Gioacchino
Rossi di Milano, in Corso di Porta Volta al civico n° 3, nel 1921 per lire 2030
trasporto e collocazione esclusi, una vera novità del tempo, perchè eseguiti
con un materiale innovativo, poco costoso, inattaccabile dall’umidità: il
cartone romano o carton gesso, che i francesi chiamarono “carton pierre”.
La costruzione della terza Chiesa fu condotta a termine nel 1856 e nel ‘60
fu completata dell’attuale portale. Della seconda Chiesa rimaneva testimone
superstite il campanile in stile barocchetto, che data la posizione centrale
impediva la visuale della facciata.
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Questo stesso venne abbattuto nel 1932 e ricostruito innestandolo nel corpo
della Chiesa il 27 marzo 1933 e inaugurato il 22 agosto dello stesso anno, su
progetto dell’ingegner Bagnalasta. Mercè l’intervento di Don Paolo Mariani,
l’orologio oggi elettronico, durante la seconda guerra mondiale si salvò dalla
requisizione, alcune sue parti sono oggi conservate presso il Museo della
Civiltà Contadina che ha sede presso il Municipio.
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e croce in ottone dorato, raffigurante la Vergine del Carmelo che riceve i
corporali da San Simone Stock, ai lati delle figure sono rappresentati i Castelli
di Corticelli e Rocca d’Olgisio, sul verso è raffigurato San Francesco e il
Borgo di Caminata col Tidone. Doveva servire nelle processioni, sorretto
da un appartenente alla Confraternita, all’epoca fu definito “magnifico e di
bellissimo effetto”.(9) Nelle Cronache parrocchiali del 1681 il Rettore G.
Batta Callegari in un elenco di suppellettili annota “.... item Stendardo con
l’immagine della Beata Vergine” non giunto sino a noi.
Nel 1975 la Chiesa Prepositurale dei Santi Timoteo e Sinforiano venne
elevata al rango di Monumento Nazionale.
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Pianta della terza chiesa
(da un disegno originale dell’epoca, 1796 circa)
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6 - Le Confraternite
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che parallelamente alla congregazione più importante erano sorte piccole
fratellanze riservate separatamente agli uomini e alle donne, ai vedovi e alle
vedove, ed alle fanciulle. Risale invece ad una data molto più tarda, il 18
luglio 1927 l’erezione della Congregazione del Terz’Ordine Francescano, le
notizie riguardanti la Confraternita del Terz’Ordine sono molte e dettagliate,
riguardano il numero degli aderenti, le offerte, le adunanze e le visite pastorali
con le relative annotazioni, il 7 marzo 1943 il Padre Tiziano Sapegni visitatore
scriveva: “ in Nomine Domini Amen, mi compiaccio per la cura diligente
del regolamento, auguro sempre maggiori frutti”.
Ma nel 1961 le visite pastorali denunciano defezioni alle adunanze e la
mancanza di giovani, ed il 24 luglio 1966 Padre Alessandro Casolari,
constaterà l’Estinzione dell’ultima Confraternita.
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Cronotassi dei Parroci della Chiesa Prepositurale dei Santi Timoteo e
Sinforiano di Caminata Val Tidone:
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7 - Mercati, Scambi e Imprenditoria
Il fornacione
(da una cartolina postale all’epoca della costruzione della diga del Molato)
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Quasi ad ogni porta si aprivano magazzini e botteghe, la porta negozio veniva
detta “mustra” i proprietari si approvvigionavano, caricando le mercanzie sui
cavalli, al vicino antichissimo mercato di Nibbiano di istituzione carolingia,
com’è ricordato in un atto vescovile bobbiese del 1065. Curioso il soprannome
del padrone del negozio di frutta e verdura “Tognèn d’la russa”, per il colore
del mantello della sua mula, egli faceva affari fino a Pontedell’Olio dove
arrivavano le merci dal genovesato. E “Maggioni” che fece l’ambulante di
frutta e verdura compiendo ogni giorno ventotto fermate, da Caminata a Casa
Marchese, per tre anni, prima di aprire negozio a Nibbiano.
Vi erano poi le insostituibili Osterie, quella detta “del Torrente” che faceva
anche da trattoria e negli anni ‘50 si aprì ai monopoli rilevando la privativa
da Amelinda. L’Osteria Pace con trattoria e deposito della corriera, quella di
“Vigettu”, con macelleria di carne suina nella piazza principale, oggi Piazza
del Popolo, e l’ormai centenario storico negozio di alimentari della signora
Maria Comaschi, ancor oggi esistente
.
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Piazza del Popolo
L’antico negozio di alimentari appartenuto a Maria Comaschi ha compiuto 100 anni
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che proseguì l’impegno paterno e si dedicò all’insegnamento presso l’Istituto
Industriale di Voghera. L’attività di Luigi Mascaretti a tutt’oggi è proseguita
dal figlio Giorgio.
8 - I Mulini
Conviene ricordarci dei Mulini che tanta parte ebbero nell’economia della
vallata e del Borgo in particolare, dall’800 fino agli anni ‘80 del ‘900. Essi a
seconda delle macine a disposizione macinavano grano, frumento, castagne,
queste ultime producevano farina ad integrazione degli altri alimenti.
Dal I° gennaio 1869 fino al 1884 i Caminatesi dovevano pagare una tassa
sulla macinazione dei cereali che versavano nelle mani del mugnaio prima del
ritiro della farina, i mulini a Caminata erano: il Molino Pizzali o della Muntà,
oggi casa Traversone che ne conserva le grandi ruote in pietra, a Molato di
Caminata, il Molino Garbarini detto Molinetto o Mulinino, e il Molino dei
Fondi.
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Il Molino Garbarini apparteneva ad Armando Garbarini di famiglia originaria
di Gorreto località in provincia di Genova, egli si trasferì a Caminata intorno
agli anni ‘20 del ‘900 installandosi al Molinino che già esisteva dai primi
dell’800, fu sposo di Paola Mossi appartenente all’ antica famiglia dei mugnai
Mossi di Trevozzo che collaborò attivamente, tanto che si può dire avesse
insegnato lei stessa il mestiere al marito. Più tardi il Mulino passò ai figli,
i fratelli Andrea e Valerio Garbarini che lo tennero per molti anni, compresi
quelli più duri della II Guerra Mondiale, in cui l’attività viene definita discreta.
Esso è situato quasi al termine della via omonima, dove la strada curva,
attraversa una macchia e lambisce il Tidone, anche se malauguratamente
segnato da un incendio avvenuto nel 1990 è ancora leggibile nelle sue parti
principali, conserva la ruota metallica e parte dei macchinari, nonchè le
due interessanti macine di cui una, quella di tipo francese costruita a Varzi,
produceva farine molto sottili. L’acqua proveniva inizialmente dalla galleria
vecchia del lago artificiale del Tidone, arrivava al Molino Montà e da qui
deviata con un canale continuamente tenuto libero da sabbia e ramaglia, che
fungeva da rio molitorio, giungeva al Molinino. La costruzione si presenta
suddivisa in due sezioni: una la parte riservata al mulino vero e proprio, il
cui soffitto è costituito da grosse e antiche travi forse di castagno o di quercia
probabilmente ricavate tra quelli che crescevano rigogliosi a mezza costa del
Bissolo, straordinariamente non intaccate dalle tarme, l’altra a cascina a due
piani, uno terreno dove venivano riposte le numerose carriole per il trasporto
dei sacchi di grano e di melica, il secondo conteneva il foraggio per il cavallo.
Oltre la strada è ancora ben conservata la stalla per tre vacche, ed una
ingegnosa porcilaia, dove si trova una grossa pietra scavata al centro,
addossata all’esterno, collegata con il truogolo, in cui si versava il pasto per il
maiale senza doverne aprire la porta. Al Molinino l’attività ebbe termine nel
1988 a causa dell’opprimente burocrazia.
I Molini di Caminata andavano ad aggiungersi ai numerosi altri disseminati
lungo tutto il corso del Tidone, ed a quelli posti sui piccoli rivi tributari. Il
Mulino, per quelli che attendevano la macinazione diveniva luogo d’incontro
e per concludere affari. Ancora negli anni ‘70 del novecento si poteva
incontrare il mugnaio “Valeri Garbarini” di Caminata seduto sul pianale del
suo “tibar” (11) carico di sacchi di grano che aveva ritirato dalle cascine, con
le gambe penzoloni e il cappello calato sugli occhi per meglio ripararsi dal
sole che batteva, sulla “muntà” (12). Vi era inoltre il Mulino dei Fondi oggi
fiorente attività equestre con maneggio sede dell’omonima Associazione,
fa parte delle Ippovie dell’Appennino Emiliano-Romagnolo, ed ogni anno
promuove la manifestazione “Echi Medievali, Arcieri, Dame e Cavalieri”
che attrae un gran numero di turisti dal “milanese”.
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Mulino Garbarini 1950
( per gentile concessione della famiglia Traversone)
41
9 - I Cognomi più antichi
Già nel Medio Evo, per identificare la gente comune, era consuetudine
aggiungere al nome il luogo di provenienza. Questo uso si protrasse almeno
fino alla fine del ‘500.
In un documento del 1537, conservato nell’Archivio di Stato di Milano,
abbiamo trovato che alcuni abitanti, di Moncasacco, la frazione lontana di
Caminata, che si recavano a Canevino per coltivare la terra, erano individuati
col solo nome di battesimo seguito dalla dizione “da Moncasacho”, per citarne
alcuni ricordiamo:
Cabro da Moncasacho
Jacomino da Moncasacho
Bassino da Moncasacho
Zanino da Moncasacho
Rancino da Moncasacho
Her (edi) di Albertino Bertolame da Moncasacho
Tutti erano proprietari di quelle terre.
I cognomi fecero la loro comparsa più tardi, intorno al 1688 troviamo a
Moncasacco: Berinzona, Chiappini, Dall’Occhio, Da Piazzo, Janvella,
Molinaro, Montemartino, Nonino, Pisano, Zuffada. E qualche anno più
tardi, apparvero: Alessi, Bellinzona,Borgognoni, Calatrone, Chiappini, Della
Colomba, Dall’Occhio, Da Piaggio, Faranelli poi Faravelli, Fasoli, Martinoni,
Molinari, Pisani, Pisano, Zanarda, e ancora Zuffada.
Consultando il Liber Congregationis della Chiesa Prepositurale dei Santi
Timoteo e Sinforiano a Caminata, dalla fine del ‘600 all’anno 1790, abbiamo
trovato quali nomi ricorrenti da queste date e rappresentati da persone che
abitavano nel Borgo e ricoprivano alti incarichi nell’ambito delle Confraternite
e del Priorato: Castignoli (Castagnola), Comascho (- schi), de Gatty (Gatti),
Ghigini, Pezzati, Scaricabarozzi.
Mentre dal 1719 al 1786, ai Pezzati e ai Comasco si aggiungono: i Costignola
i Gatto i Prati, gli Scabeno e i Dal’Ochio (poi Dallocchio) i Carobbio
provenienti da Carubbio degli Angeli (Svizzera).
Altre fonti ci riportano, nel 1800: Pizzali, Quadrelli e ai primi del ‘900: Dalla
Giovanna, Garbarini,Traversone, nuove famiglie giunte da altri Comuni.
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10 - Usi e curiosità
Ricordiamo che fra i riti religiosi il più sentito era quello delle Rogazioni (13)
in cui la processione preceduta dal sacerdote seguito dal popolo, intonava
le litanie dei Santi portandosi nelle tre direzioni: a Costiola, a Chiapeto e al
Tidone, ad implorare protezione dal Cielo, sugli uomini e sulla campagna.
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E l’è terminato Aprile, ed è chi il primo di Maggio
con l’erba e con le foglie e la fresca rugiada.
Tutte le sposine fan la so bugada. bis
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Il gruppo degli “Enerbia“ in un concerto nella piazza Del Popolo a Caminata
Non mancano gli appuntamenti estivi nella suggestiva cornice della Piazza
del Popolo, con concerti di musica classica e folcloristica. Di grande rilievo è
l’iniziativa della Banca di Piacenza che con Comuni e Pro Loco organizza ogni
anno “Castelli in Musica” con tappa finale a Caminata e tende a stimolare la
valorizzazione degli Antichi Borghi ed i Castelli del nostro territorio.
Caminata proprio per la sua caratteristica di Antico Borgo è scelta per l’annuale
edizione “Dell’Appennino Folk Festival” organizzato dall’ Assessorato alla
Cultura della Regione Emilia Romagna e Provincia di Piacenza. A questa
rassegna partecipano ogni anno i più significativi gruppi Italiani ed Europei
che propongono musica antica e tradizionale. Tra questi è presente anche il
gruppo Piacentino degli “Enerbia“ diretto da Maddalena Scagnelli, che ha al
suo attivo, oltre che ad un vasto repertorio di musiche della tradizione rurale
delle nostre valli, anche una serie di prestigiose collaborazioni con il mondo
del cinema, tra cui la partecipazione alla colonna sionora del film di Ermanno
Olmi “I cento chiodi“.
Le ragazze nubili caminatesi ricevevano serenate da giovani venuti anche da
lontano, e al termine offrivano loro da mangiare e da bere. Da sole cucivano
il corredo da spose ricamando con abilità iniziali e applicando pizzi. Le donne
maritate vestivano sobriamente con abiti neri accollati, con maniche larghe
applicate alle spalle da un numero infinito di pieghine che ingentilivano e
rendevano elegante la figura, a completare indossavano il grembiule di tessuto
leggero a fondo nero con impressioni di fiori colorati. L’acconciatura per tutte
era l’immancabile crocchia.
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Se a queste usanze se ne erano aggiunte alcune eterogenee portate dai
nuovi caminatesi venuti per la costruzione della diga, ne ricordiamo una
prettamente locale legata alla morte: quando un compaesano moriva, tutti gli
uomini si riunivano a casa sua per la veglia funebre, là recitavano il Rosario,
mangiavano, bevevano, trascorrevano la notte e stavano col morto senza
lasciarlo mai solo fino al momento del suo seppellimento, in questo modo la
morte non era solo un evento privato ma coinvolgeva tutta la Comunità.
A Caminata fino alla metà degli anni ‘50 del ‘900 c’era l’asilo infantile tenuto
da suore, mentre la scuola elementare fino alla V classe aveva come insegnante
la signorina Betti, la scuola rimase a Caminata fino al 1981.
Caminata come ogni altro borgo Medievale che si rispetti conserva nel cortile
di Casa Castagnola, adiacente all’antica casa comunale il così detto Pozzo
delle lame, “Pus dal Tai”, che verità o leggenda, là finiva tutto ciò che doveva
scomparire. Nondimeno “strane voci e presenze” si aggiravano nella vecchia
casa della medium che aveva capacità di colloquiare con i defunti.
Un’attivissima Pro Loco, con presidente la signora Giovanna Scansani
organizza periodicamente happening di gastronomia della tradizione e serate
danzanti molto frequentate, ha sede assieme all’Associazione Velosport,
presidente il dottor Franco Ogliari, in Piazza del Popolo al civico n° 1,
mentre l’Associazione Culturale “Il Cammino” che raccoglie testimonianze
e promuove il nostro territorio con presidente il signor Pietro Luigi Bonoldi,
ha sede al civico n° 2. Inoltre esiste il gruppo Tartufai, con il presidente
provinciale il signor Giorgio Sandrinelli, caminatese doc, con sede a Piacenza
in via Fontana, n° 16.
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11 - Mediconi “madgòn”
Ed ecco affacciarsi tra le figure che animavano la vita del Borgo quelle mitiche
ed un poco misteriose dei guaritori. Personaggi che hanno tradizionalmente
fatto parte del quotidiano della gente delle nostre contrade e che mettevano
a disposizione degli altri le loro capacità naturali “vix sanatrix” in sinergia
con la forza interiore della preghiera, e riuscivano a guarire o ad alleviare
le sofferenze di chi chiedeva il loro aiuto. Di loro sappiamo che quando il
guaritore anziano era prossimo alla fine della sua vita, era solito consegnare
ad un successore che si era scelto le istruzioni per continuare e tramandare
le sue pratiche “lassà la còa”. Le patologie sottoposte al guaritore erano
di diversa natura: il fuoco di Sant’Antonio, l’abbassamento dello stomaco,
l’ingrossamento della tiroide, le lussazioni degli arti, le storte, il mal di schiena
ed anche l’erisipela e le piaghe, il mal di denti le infiammazioni di varia natura,
la liberazione dai vermi e gli inevitabili traumi riportati durante i lavori in
campagna, alcuni guaritori agivano anche sugli animali che avevano gli arti
“strambati” per il troppo lavoro. I rimedi erano semplici, il guaritore usava
preparati di sua composizione mescolando grasso di maiale “sugna”, facendo
empiastri e applicandoli sulla parte dolente, “segnando” la parte interessata
con il segno della Croce di Cristo o con quella di Salomone, ponendosi alle
spalle del paziente, dopo aver acceso le candele e l’incenso. Riportiamo qui
una ricetta autografa della guaritrice G. di Nibbiano che aveva la sua sfera
d’azione anche a Caminata e dintorni:
Contro i reumatismi:
Preparare acqua e alcol
Una manciata di eucaliptus
Con tre quadrettini di canfora
Dopo dieci giorni filtrare il liquido e frizionare l’arto”.
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12 - Testimonianze.
San Colombano
Il cardinale Zuccarino consegna le reliquie del Santo all’ Arciprete don Paolo Mariani
21 Marzo 1965
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Nell’antico borgo fortificato
di
San Sinforiano
poi CAMINATA denominato
pellegrine d’amore giungono
le venerate reliquie
di
SAN COLOMBANO
preludio alla fausta ricorrenza
del XXVII cinquantenario
di suo glorioso transito
Auspice
Ecc. Mons. Pietro Zuccarino
Vescovo e Abate
il popolo caminatese
memore del passato pensoso dell’avvenire
devotamente le accoglie
nunzie di rinvigorita fede
costruttiva unità ed operosità
nella pace e libertà cristiane
21 marzo 1965
______________
LAVORO
PREGHIERA
CARITA’
e il significato della peregrinatio indetta nel 1965 dallo stesso Vescovo nelle
sue stesse parole “….dovrà essere in primo luogo a gloria di Dio, quindi a
glorificazione del nostro Patrono, ma la vera glorificazione San Colombano
l’attende dai nostri cuori e dalle nostre menti.”
Colombano ha una colomba nel nome: la Colomba simbolo della Pace, ce
l’ha portata dalla sua terra, un luogo lontano dopo aver attraversato tanti
paesi, così da essere considerato il Santo Europeo per eccellenza.
Sappiamo che: Il 17 luglio 929 d.C. era partito da Bobbio un corteo di Monaci
che, in processione, doveva portare a Pavia il corpo di San Colombano. Il
corteo passò per Arcello, Pianello, Nibbiano, Caminata, Montelungo ed
il giorno 18 transitò nei pressi di Canevino, dove avvenne il miracolo. La
descrizione la ricaviamo dal “Miracula S. Colombani”, un opuscolo di uno
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scrittore anonimo che probabilmente era un monaco del monastero di Bobbio
che partecipò alla “traslazione”. Narra l’anonimo:
Caminata Pavese
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CAMINATA PAVESE
A
RE VITTORIO EMANUELE II
CHE
LIBERANDO L’ ITALIA
DALLE TIRANNIDI CITTADINE E STRANIERE
IL VOTO DEI SECOLI COMPIENDO
LA COSTITUIVA NAZIONE IN ROMA
LA GENTE DI CAMINATA
A MEMORARNE L’AMORE
NELLE PIÚ TARDE GENERAZIONI
ASSICURATO IN SUO NOME
AI POVERI L’ASSISTENZA
AI VALOROSI UN PREMIO
NEL DI ANNIVERSARIO DELLA SUA MORTE
9 GENNAIO 1879
PONEVA
Queste parole sono state scritte su marmo per sancire l’unitá della nostra
Nazione che tanto ha chiesto in vite umane anche alla nostra piccola comunità.
Il Sindaco di allora Sig. Quadrelli Luigi con un discorso di introduzione
nella seduta comunale dell’ottobre 1878 ricordava con commozione la
partecipazione ed il sacrificio dei cittadini di Caminata nella sfida di unire
l’Italia liberandola dalle tirannidi siano esse cittadine o straniere.
La seduta si è conclusa con la decisione di ricordare S.M. RE Vittorio
Emanuele II intitolando a Suo nome la via principale del Borgo mediante la
posa di una lapide.
La lapide a suo tempo malamente rimossa, recuperata e gelosamente
conservata nella casa torre della famiglia Bergamaschi, si trova in frammenti
presso il museo Comunale “Aldogreco Bergamaschi” e ci auguriamo possa
ritornare, dopo il restauro, alla sua collocazione originale quale contributo
della cittadinanza caminatese, nel commemorare il 150.mo anniversario
dell’Unitá D’Italia.
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13 - CAMINATESI E NON
Quintino Pizzali
Eugenio Dovati
Nacque a Santa Maria di Bobbio nel 1924, fu allievo del Seminario Vescovile
della stessa città dove entrò all’età di dodici anni, il 10 ottobre 1937, ispirato
dall’esempio dello zio, don Agostino Ridella arciprete di Vaccarezza.
L’Ordinazione gli fu conferita dal Vescovo Mons. Bernardo Bertoglio nel
1949. Nei sei anni successivi lo troviamo parroco ad Ascona in Val d’Aveto,
dove avviò al sacerdozio alcuni giovani della Parrocchia. Nel 1955 gli venne
affidata Trebecco in Val Tidone. Dal 1969 guidò la comunità di Caminata.
56
Fu cultore, oltrechè di teologia, di studi umanistici così da essere conosciuto
come il “sacerdote letterato”.Il suo apostolato fu ricco di iniziative: si prese
cura della parrocchia di Lazzarello, ristrutturò il Santuario della Madonna
della Torrazza, diede nuova vita al bollettino interparrocchiale “Famiglie
parrocchiali” e grazie alla sua sensibilità la Chiesa di Caminata, fu ripulita
da inutili sovrastrutture e restituita alla purezza delle sue linee neoclassiche.
Seppe vedere la necessità della grande scalinata e diede ai giovani il grande
salone per le riunioni.
Leggiamo sulla “Trebbia” le brevi annotazioni, del suo compagno di studi
Don Ugo Casaleggi scritte in occasione della trigesima della scomparsa sul
settimanale della Diocesi di Piacenza – Bobbio, “La Trebbia”: “In don Agostino
ho sempre ammirato il suo sorriso (era il primo saluto), la sua modestia, la
sua voce, quasi un sussurro nel dire le cose, anche nelle discussioni non l’ho
mai sentito alzare la voce. Mite ed umile di cuore, sempre disponibile a fare
bene la sua parte”.
E’ nella rilettura di parte delle sue omelie, che traspare la sua personalità,
che se apparentemente schiva e mite, traeva dall’ insegnamento del Vangelo
che a sua volta trasmetteva ai suoi fedeli, forza e originalità. Toccava infiniti
argomenti,dalla bontà al perdono, dalla felicità al perbenismo, senza mai
essere superato, conscio del tormento del vivere quotidiano, ma sicuro
dell’aiuto del Padre, rimanendo sempre legato a quel mondo agricolo che
lo aveva generato. Ci piace ricordarlo nell’omelia dell’Ascensione del 1993,
dove tratta della precarietà delle cose terrene, incoraggiando a non misurare
la speranza a tempi troppo ravvicinati, ed esortando:” neppure nella nostra
campagna siamo abituati a tempi lunghi e ai rischi inerenti. Si mettono a
dimora oggi delle piante che daranno frutto fra dieci anni e che potranno
essere pronte per ricavare legna fra decine d’anni......”. Oppure in quella
delle Pentecoste dello stesso anno dove a proposito dei Doni dello Spirito
Santo ci da una sua singolare, ironica, interpretazione: “.....la Sapienza è quel
dono che ci permette di capire tutto nel giusto senso. Uno può avere anche
cinque lauree e parlando con lui sentite che è vuoto, che sà di .....rock!”.
E’ Don Guido Migliavacca che lo definisce”..... un prete mite, ma operoso e
dinamico, aperto al nuovo soprattutto ai giovani. Si sentì prete più che mai.
La comunità di una certa consistenza gli dava ossigeno, gli metteva le ali...”
Don Agostino morì a Caminata allo scoccare dei 54 anni di sacerdozio, il 16
luglio del 2003.
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Giovanni Da Caminata
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“Toponimi valtidonesi nelle carte del Monastero di San Colombano di Bobbio”
in B.S.P., 1963.
“Vestigia Romane a Fiorenzuola”, in Pagine Storiche di Fiorenzuola d’Arda,
Fiorenzuola, 1969.
La sua passione di raccoglitore di pezzi, qualsiasi essi fossero, dal semplice
sasso che può rivelare una notizia, ai libri, agli attrezzi della civiltà Contadina,
alle lettere ai documenti ha fatto si che l’ampia raccolta di reperti è stata
sistemata nel Museo Comunale e Biblioteca “Aldogreco Bergamaschi“
inaugurato il 22 Marzo 2009. Tra i vari reperti si conserva il complesso
meccanismo dell’orologio antico della torre campanaria barocca, risalente al
1769 ca.
Il suo ricordo vive così nello scritto di don Agostino Ridella: “...un’intelligenza
lucida e amara quella del dottor Aldogreco. Conduceva una vita sobria,
ritirata, solitaria, taciturna, senza partecipare mai ai pregiudizi più comuni
ed infausti che caratterizzano le piccole comunità. Detestava i pettegolezzi,
gli artifizi, gli infingimenti, le furbizie di villaggio, tutto ciò che non era
verità.....visse in una sfera inaccessibile, sia alle seduzioni delle lodi che alle
mortificazioni dei biasimi”.
Che dire di suo figlio? Per Lucio non ci servono date, menzioni, encomi,
è sufficiente leggere la breve E mail da Pondicherry, inviata agli amici, per
capire che uomo è quello che va così lontano a fare tanto, tanto di bene, e poi
torna a Caminata, respira l’aria di quì, si riempie il cuore di ricordi e dona
tutto ciò che suo padre aveva raccolto in anni di ricerche, compresa la ricca
raccolta di libri, anche rari, al suo Comune d’origine. Non ci resta che dirgli:
grazie Lucio a nome di tutti!
La morte colse il professor Bergamaschi a Tradate il 21 aprile del 1995.
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Rodolfo Quadrelli
La figura di Rodolfo Quadrelli si staglia come una scia luminosa nel cielo
plumbeo della cultura italiana degli anni Sessanta e Settanta: un vuoto dolente
e dominato dal pensiero unico, da materialismo, mediocrità, consumismo
imperante, conformismo laicista e secolarizzazione della vita.
Oggi, possiamo dire che Quadrelli ha promosso un’azione culturale di
importanza storica, che è stato un grande maestro di umanismo cristiano e
Tradizione cattolica, un compendio sublime di valori morali, umani, spirituali,
letterari, educativi e civili. La Tradizione, scritta con la maiuscola e da non
confondere con lo sterile tradizionalismo, non è un’ancora del passato ma
un giardino di virgulti liberi e forti, con un’ originaria vitalità per gli uomini
dell’oggi e del domani, del presente e del futuro.
Il suo pensiero, intessuto di folgoranti visioni, genera ancora un arricchimento
intenso e perennemente fecondo, attraverso pagine magistrali di filosofia,
poesia, prosa, saggistica e mirabili traduzioni.
Egli non è stato soltanto un autore di felice scrittura e di stile “eccezionale”,
secondo la definizione di Giuseppe Prezzolini, ma splendida letteratura, che
ha raccolto l’eredità morale di Manzoni, una vera e propria “filosofia delle
parole delle cose”, indirizzata verso la “ ricostruzione della cultura italiana”.
E’ stato una delle glorie della casa editrice Rusconi e con il suo coraggio,
la sua libera intelligenza, indipendenza ed energia morale ha contribuito
ad abbattere la censura dominante e a regalare alla maggioranza silenziosa
libri di autori straordinari. Intellettuale scomodo e sempre in prima linea, ha
avuto meriti enormi ed un senso profetico che gli ha permesso di anticipare
anche alcune questioni aperte del quotidiano, come i problemi del traffico
automobilistico e la tematica ambientale.
Lo scrittore Andrea Sciffo, eccellente studioso cattolico dell’enorme mole
quadrelliana, ha scritto che la pubblicazione dell’opera omnia “sarebbe la
folgore giustiziera di legioni di intellettuali”, mentre “dal fitto della nebulosa
che induce a dimenticare gli scrittori autentici, si è assistito a una riscoperta
dell’eredità di Quadrelli”.
A Caminata, Rodolfo Quadrelli possedeva un podere di famiglia, il Molino
dei Fondi, dove scriveva una delle sue ultime poesie,“Il Paradiso”, pubblicata
postuma e datata “Caminata, Pasqua, 17 aprile 1982”, su cui “ si irradia più
che mai la luce caldissima di libri ultimi”, come scrive Quirino Principe.
Osservata la posizione della casa, lungo il Tidone, ai piedi delle colline dove
62
Caminata è distesa, sembra che il paese dell’Alta Valtidone faccia capolino
anche nella più nota “Ode: salvaguardia dell’ambiente”:
...
...
...
Già tutto è stato detto su Monsignor Guido Tammi, nulla si può aggiungere a
ciò che ci hanno raccontato le persone che lo ebbero amico e maestro, vogliamo
ricordarlo come un Caminatese per affezione a tutti gli effetti. Nato a Piacenza
il 18 aprile del 1906, teologo, letterato, libero docente in filologia romanza,
medievista, studioso e conoscitore profondo del dialetto piacentino che studiò
con piglio scientifico, preside del Collegio San Vincenzo, Cancelliere della
Curia Vescovile fino al 1962, Rettore del Seminario fino al 1968, Canonico
del Duomo di Piacenza, fu autore di numerose opere di carattere filologico,
religioso e di critica letteraria. Suoi sono:
“Il Codice del Consorzio dello Spirito Santo in Piacenza (1268)”.
Piacenza, 1957.
“Due versioni della leggenda di Santa Margherita d’Antiochia in versi francesi
del Medioevo”.
Piacenza,1958.
“Il devoto di San Giuseppe nella leggenda popolare”-
Roma Edizioni dell’Ateneo, 1955.
“Un obituario piacentino del secolo XIII – note di onomastica”.
Piacenza, 1954, in “Bollettino Storico Piacentino” a. XLIX (1954), pp. 1 – 14.
“Il calendario – Obituario del Codice 65 della Biblioteca Capitolare di
Piacenza”.
Piacenza, 1958.
“Due calendari – Obituari della Biblioteca Capitolare” in “Il Duomo di
Piacenza” (1122 – 1972), Piacenza, 1975 – 28 cm. pp. 231 – 234 – illustrato.
“Antologia dei poeti dialettali piacentini dell’Ottocento”.
Piacenza, 1976.
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Ricordiamo i numerosi articoli pubblicati in riviste, volumi miscellanei e
opuscoli:
“Il dialetto” in Panorami di Piacenza, 1955.
“Il Corso di dialetto Piacentino, Grammatica”. Piacenza 1974.
“Il Corso di Dialetto Piacentino, Storia della Letteratura Dialettale”. Piacenza,
1976.
“Mario Casella” in Archivio Storico per le Province Parmensi 9 (1957) pp.
25 – 31.
“Mario Casella Dantista” in Piacenza a Dante – Piacenza, Biblioteca Storica
Piacentina, 1967, pp. 170 – 179.
“Note sul lessico piacentino con particolare riguardo alla zona della Val
Tidone” in Archivio Storico per le Province Parmensi 16 (1964) pp.247 – 260.
“Elementi storici e filologici ne “La Nuova vaga et dilettevole Villa di
Giuseppe Falcone” in Bollettino Storico Piacentino, 59 – (1964) pp. 1 – 28.
“San Fulco Scotti” in onore di Emilio Nasalli Rocca, Piacenza, 1971, pp.555
– 563.
“Un sonetto su Bernardo Morando in dialetto piacentino” in Bollettino Storico
Piacentino,52, pp- 114 – 122.
“Valente Faustini, Poesie dialettali. A cura di Guido Tammi”
Piacenza, 1967 – 78.
“Egidio Carella, Poesie, A cura di Guido Tammi e Luigi Bearesi” Piacenza
1982. ...... e compose senza vederlo realizzato il “Vocabolario Piacentino
Italiano”.Piacenza, Banca di Piacenza 1998.
Vogliamo ricordare in queste righe quanto disse di lui don Giovanni Montanari:
“Monsignor Guido Tammi ebbe il senso della sua terra; egli conservò
l’accento dialettale della sua Comunità, ove una bella casetta e un pezzo
di terra nel bel verde di una valle servono, così come la filosofia, a tenerlo
accanto alla tradizione nella classica compostezza di una certa signorile
armonia di vita”.
Mentre Monsignor Tammi “segreto” così ci viene rivelato Dal Professor
Ferdinando Arisi:
“..... amava Caminata. Al di là della strada c’era l’orto che teneva sempre
in ordine”.” Ho vangato un bel po’ – mi diceva – e tra una decina di giorni
semino”. “Ma ha vangato proprio lei? - gli chiedevo” - “ No, no, ho fatto
vangare”. “Teneva in ordine quel pezzettino di terra dietro casa, raggiungibile
per un sentiero da capre. Piante grasse e fiori anche lì......”
Ancora il Professor Arisi ricorda:
“Quando pensò di mettere ordine nella cappella di famiglia, nel cimitero di
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Caminata, chiese la mia consulenza,Gli suggerii di far fondere in bronzo il
Crocifisso in legno del Gernaerth conservato nella chiesa di Carmiano”.
” A mons. Tammi piacevano le cose belle. Della sua casa di Caminata ricordo
una stupenda brocca da lavabo, un Richetti e un Marulli”.
Sulla sua schiettezza e il suo carattere tutto d’un pezzo è l’avvocato Sforza
Fogliani che ci racconta:
“Me – gli disse una volta – ‘l Sant che stim po’ ‘d tutt l’è San Giusepp :
“in tutt ‘l Vangeli, ‘l disa gnan una parola”.
Caminata era il suo buen retiro, il luogo amato degli ozi, ozi nel senso latino
del termine, perchè ivi Egli si dedicava oltre che a far curare l’ortaglia, ai suoi
studi preferiti, e al culto dell’amicizia.
Morì a Piacenza l’8 luglio del 1995.
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Ringraziamenti
Gli autori
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NOTE
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13) Rogazioni, dal lat. rogatio – onis, rogare, chiedere. Nella liturgia, pro-
cessione penitenziale destinata a supplicare il Signore per le varie necessità
umane, soprattutto per i lavori della terra e il lavoro dell'uomo.
14) Apparve su COLUMBA- Rivista trimestrale per le Celebrazioni Colom-
baniane del 1965, No. 1-Bobbio- dicembre 1963. Emiliana Grafica – Piacenza
15) Don Luigi Carrà già missionario in Brasile e Parroco della Chiesa di S.
Maria Assunta di Trevozzo
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BIBLIOGRAFIA
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Gli Autori nonostante l'autorevolezza dei contributi di molte persone non rispondono
personalmente degli errori e delle valutazioni nella presente pubblicazione.