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GLI EROI DELLA MITOLOGIA

Area: Grecia Antica


Sezione: Religione e Mitologia

Eroidellamitologia.doc
Pagine: 30

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CONTENUTI

- Origine della stirpe umana

- Il diluvio di Deucalione

- Leggende regionali

o Tessaglia
 Lapiti e Centauri
 Admeto e Al cesti

o Beozia e Tebe
 Cadmo
 Antiope e i suoi figli, Anfione e Zeto

o Corinto
 Sisifo
 Bellerofonte

o Argo
 Io
 Danao e le Danaidi
 Preto e le Pretidi
 Perseo

o Laconia e Messenia
 Di oscuri

o Attica
 Cecrope
 Eretteo o Erittonio
 Teseo

o Creta
 Minosse e il Minotauro
 Talo
 Eracle – Ercole

- Leggende relative a imprese cui presero parte eroi di diversi paesi


o La caccia al cinghiale calidonio
o La spedizione degli Argonauti

- Il ciclo tebano

- Il ciclo troiano

- Vati, poeti e artisti mitici


o Melampo
o Calcante
o Orfeo
o Lino
o Tamiri
o Museo
o Dedalo

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ORIGINE DELLA STIRPE UMANA

Esistevano varie leggende sull’origine della stirpe umana.


Le più antiche facevano sorgere gli uomini dalla terra, come le piante. Questa idea
si colorò poi in modo diverso a seconda dei luoghi: in quelli montagnosi si pensava
che gli uomini fossero nati dagli alberi e dalle rocce. Nella leggenda di Cadmo
tebano si diceva fossero nati dai denti seminati di un serpente. Gli abitanti dei
luoghi lacustri credevano i loro progenitori nati dai laghi
Un’altra tradizione diceva invece che le stirpi, soprattutto quelle regali ed eroiche,
fossero nate dagli dei. Ad esempio si pensava che Poseidone fosse il capostipite
degli Eoli.
Una terza opinione, più recente, immaginò che qualche divinità avesse plasmato
gli uomini con la terra. Inizialmente si pensò che così fosse nata solo la prima
donna, Pandora, di cui parleremo tra poco.
Ma dal V a.C. si pensò che fosse stato Prometeo a creare uomini e bestie con
limo e acqua, mentre Atena avrebbe soffiato in essi il soffio della vita. Prometeo
inoltre rubò il fuoco dal cielo e lo donò agli uomini insegnandone loro l’uso,
rendendo così possibili le arti e l’industria. Zeus però lo punì per questa
profanazione, facendolo incatenare a una rupe nei monti della Scizia e ordinando
che ogni giorno un’aquila gli rodesse il fegato (considerato sede dalla cupidigia)
che gli ricresceva ogni notte.
Zeus inoltre punì anche gli uomini, inviando loro un dono, fonte di innumerevoli
guai. Fece forgiare da Efesto con terra e acqua una donna, Pandora, a cui
Afrodite diede la bellezza, Atena l’abilità in ogni arte, Ermes la facilità di parola e
l’ingegno. Zeus le consegnò una scatola in cui si trovavano tutti i mali, che lei, per
curiosità, aprì, una volta giunta sulla terra. Così tutti i mali si diffusero nel mondo.
Solo la speranza, rimase nel vaso, che subito Pandora aveva richiuso.
Connessa con l’origine dell’umanità è anche la leggenda del diluvio di Deucalione.

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IL DILUVIO DI DEUCALIONE

Licaone fu il primo mortale a istituire il culto di Zeus in Arcadia. Ma poi si attirò la


collera di Zeus perché i suoi figli uccisero uno dei loro fratelli e lo diedero in pasto
a Zeus che si era recato da loro sotto le false spoglie di un viandante. Egli allora,
furibondo, trasformò gli empi in lupi e ridiede la vita a quello che era stato ucciso.
Questa storia sembra in realtà essere il riflesso del disgusto dei popoli civili della
Grecia verso i riti cannibalici praticati in Arcadia.
Tornato sull’Olimpo, ancora furioso, scatenò una grande alluvione sulla terra che
avrebbe dovuto distruggere il genere umano. Ma Deucalione, il re di Ftia, avvertito
da suo padre che era il titano Prometeo, costruì un’arca, la riempì di vettovaglie e
vi salì con la moglie Pirra. A causa delle piogge, i fiumi si gonfiarono e scesero
verso il mare che in un attimo spazzò via ogni città e sommerse il mondo intero.
L’arca navigò per 9 giorni e quando la furia delle acque si placò andò a posarsi sul
monte Parnaso o secondo altre versioni sul monte Etna o sul monte Athos. Si dice
che Deucalione fu rassicurato da una colomba che aveva mandato a esplorare in
volo la regione.
Sbarcati Deucalione e Pirra offrirono un sacrificio a Zeus e lo pregarono di far
rivivere il genere umano. Il dio glielo concesse e mandò loro Temi che ordinò loro
di chinare il capo e di gettare dietro le spalle le ossa della loro madre. Essi
capirono che parlava della Madre Terra e così cominciarono a raccogliere pietre e
a gettarsele alle spalle. Da quelle lanciate da Deucalione nascevano uomini, da
quelle di Pirra, donne. Così rinacque il genere umano e da allora i termini gente
(laos) e pietra (laas) furono designate con termini simili in molte lingue.
Questo mito del diluvio, fu sicuramente importato dall’Asia e ha la stessa origine
della leggenda biblica di Noè. Inoltre, ricorda un’alluvione che si verificò in
Mesopotamia nel III millennio prima di Cristo. Anche la nascita degli uomini dalle
pietre è un prestito dell’Oriente: San Giovanni Battista accennò a una leggenda
del genere, in un gioco di parole di parole coi termini ebraici banim e abanim
dicendo che Dio poteva far sorgere i figli di Abramo dalle pietre del deserto.

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LEGGENDE REGIONALI

Tessaglia

LAPITI e CENTAURI

Si trattava di due tribù selvagge e molto forti che abitavano la Tessaglia. I Lapiti
abitavano le pendici meridionali dell’Olimpo, i Centauri le selve del Pelio.
L’immagine dei Centauri mezzi uomini e mezzi cavalli è un’immagine successiva,
dell’età di Pindaro, inizialmente si trattava solo di uomini rozzi.
La lotta fra Lapiti e Centauri ebbe inizio durante le nozze di Piritoo re dei Lapiti e
di Ippodamia, alle quali erano stati invitati anche i Centauri. Uno di questi,
ubriaco, tenta di rapire la sposa. Questo dà inizio a un’enorme rissa dalla quale i
Centauri dovettero fuggire nel Pindo, a occidente.
Si dice che questa lotta fosse stata voluta da Eris (la Discordia) e Ares (dio della
guerra), offesi per non essere stati invitati al matrimonio, unici fra gli dei

ADMETO E ALCESTI

Admeto era re di Fere, in Tessaglia ed era grande amico di Apollo. Fu lui a


concedergli in sposa la bella Alcesti. Durante la cerimonia di nozze Apollo fece
promettere alle Moire, dopo averle ubriacate, che quando Admeto fosse stato in
punto di morte, loro lo avrebbero lasciato in vita, purchè si trovasse un’altra
persona disposta a scendere nell’Ade al suo posto.
Ma quando questo momento giunse sul serio, né il padre di Admeto, né sua
madre, vollero morire per il figlio, benchè fossero ormai anziani. Alcesti, invece,
per quanto attaccata ai figli, decise di prendere il posto del marito.
Ma Persefone, commossa da questo esempio di amore coniugale, la rimandò al
marito.
Un’altra leggenda dice invece che fu Eracle, capitato per caso nella casa di
Admeto, a vincere Alcesti alla Morte.

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Beozia e Tebe

CADMO

Cadmo è considerato il fondatore della città di Tebe.


Sua sorella Europa fu rapita da Zeus, sotto forma di toro, e portata sull’isola di
Creta. Allora il padre Agenore, mandò Cadmo in cerca della sorella. Egli dopo aver
girato a lungo, si recò all’oracolo di Delfi per chiedere aiuto. Ma l’oracolo gli disse
di smettere di cercare sua sorella e di seguire invece una vacca con macchie a
forma della luna piena sui fianchi. Dove la vacca si fosse stesa, egli doveva
fondare una città.
Cadmo obbedì, incontrò la vacca e la seguì a lungo, finchè la vacca esausta si
stese a terra e qui Cadmo fondò quella che sarebbe diventata Tebe.
Cadmo decise di sacrificare la vacca a Zeus. Ordinò quindi ai compagni di
attingere dell’acqua da una vicina fonte, non sapendo però che la fonte era
custodita da un drago sacro ad Ares. Il drago uscì dalle acque e uccise tutti i
compagni di Cadmo. Egli però riuscì a ucciderlo. Allora Atena gli ordinò di
seminare i denti del drago. Subito dal terreno spuntarono uomini armati che
cominciarono a combattere fra loro, uccidendosi l’un l’altro. Solo 5 sopravvissero e
aiutarono Cadmo nella costruzione della città.
Cadmo dovette però espiare la morte del drago, servendo per 8 anni presso Ares.
Trascorso questo periodo il dio gli dette in moglie sua figlia Armonia, nata
dall’unione con Afrodite.
Alla loro morte Cadmo e Armonia furono trasformati in draghi e ammessi da Zeus
nei Campi Elisi, dove godono di vita eterna.

ANTIOPE E I SUOI FIGLI, ANFIONE e ZETO

Dopo la morte di Cadmo, essendo suo figlio Labdaco ancora troppo piccolo, rimase
re della città Nitteo, che veniva dalla città di Iria, in Beozia. Egli aveva una figlia di
nome Antiope. Ella si era concessa a Zeus sotto forma di satiro e quando scoprì di
essere incinta, lasciò la città per non incorrere nell’ira del padre. Si rifugiò a
Sicione, presso il re Epopeo. Allora Labdaco mosse guerra a Epopeo, perché gli
restituisse la figlia. Morendo lasciò l’impresa al fratello Lico, che riuscì a battere
Epopeo e riportò a casa Antiope. Sulla strada però la ragazza diede alla luce due
gemelli, Anfione e Zeto, che per ordine del re furono abbandonati sul monte
Citerone.
Un pastore ne ebbe però pietà e li allevò.
Antiope viveva intanto come una schiava alla corte di Lico e subiva continui
maltrattamenti da sua moglie Dirce. Così fuggì e per caso capitando nei pressi del
Citerone rincontrò i suoi figli cresciuti, raccontò loro le sue disgrazie e insieme a
loro decise di vendicarsi. Infatti essi conquistarono Tebe, uccisero Lico e anche
Dirce legandola alle corna di un toro.
I due fratelli dominarono da allora sulla città e si sposarono, ma nuove sciagure li
attendevano.
Anfione sposò Niobe, da cui ebbe sei figli maschi e sei femmine (o secondo altri 10
e 10). Ma Niobe si insuperbì della sua ricchezza e della sua prole e vietò ai suoi
figli e alle donne di Tebe il culto di Latona (madre di Apollo e Artemide) di cui lei si
stimava migliore, perché di figli ne aveva avuti molti di più. Per punizione Apollo e
Artemide uccisero a uno a uno i suoi figli. Anfione, addolorato si uccise e Niobe fu
trasformata in una pietra e portata sul monte Sipilo in Frigia, da dove ancor oggi
non smette di versare lacrime. Si tratta di un sasso dalla vaga forma umana e
sembra piangere quando i raggi del sole fanno sciogliere la neve invernale

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Zeto sposò invece Aedona (che significa usignolo), da cui ebbe un solo figlio.
Aedona, gelosa di Niobe che aveva avuto tanti figli, decise di ucciderne il
maggiore, ma per sbaglio uccise invece il suo unico figlio. Per questo passò il resto
della sua vita a piangere e lamentarsi. Zeus la trasformò in usignolo, ma anche
così, coi suoi queruli trilli, continua a ricordare la sua disgrazia.

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Corinto

SISIFO

L’eroe fondatore di Corinto (chiamata in origine Efira) era considerato Sisifo. Si


dice che popolò la città con uomini nati dai funghi.
Tutte le leggende che lo riguardano, lo descrivono come un uomo molto scaltro,
col merito di aver sviluppato il commercio e la navigazione.
Egli possedeva una bellissima mandria di bestiame sull’istmo di Corinto. Nei pressi
viveva anche Autolico, che era molto abile nell’arte del furto perché Ermes gli
aveva dato in dono il potere di trasformare le bestie nere in bianche, quelle senza
corna in cornute e viceversa. Sisifo si accorse presto che le sue bestie sparivano,
mentre quelle di Autolico aumentavano, e per poterlo smascherare incise
all’interno degli zoccoli dei suoi animali il monogramma SS (o secondo un’altra
tradizione la scritta ‘rubato da Autolico’). Il mattino seguente le orme lungo la
strada diedero a Sisifo e ai vicini la prova della colpevolezza di Autolico. Così si
recarono tutti alle stalle di Autolico e mentre fuori i vicini discutevano col ladro,
Sisifo entrò in casa e sedusse Anticlea, figlia di Autolico, e moglie di Laerte, da cui
nascerà Odisseo (Ulisse).
Si dice che quando Zeus rapì da Fliunte Egina, figlia del fiume Asopo, egli scoprì
subito chi era stato e lo rivelò al padre. Questo però solo a condizione che egli
facesse scaturire una fonte nella città di Corinto. Da qui la celebre fonte Pirene.
Zeus, per essere stato scoperto e tradito, mandò a Sisifo Ade, ma lui riuscì a
ingannarlo, chiudendolo nei ceppi a lui destinati, pregandolo di mostrargli come
funzionavano. Così Ade rimase nella casa di Sisifo alcuni giorni e nel mondo
nessuno moriva più, nemmeno i decapitati. Fu allora mandato Ares a liberarlo e lui
gli consegnò Sisifo. Ma di nuovo lui riuscì a salvarsi: prima di morire ordinò alla
moglie che non facesse funerali per lui. Così, una volta giunto nell’Ade, si lamentò
con Persefone e Plutone della trascuratezza della moglie e ottenne di poter tornare
sulla terra per castigarla. Ma una volta sulla terra non volle più tornare negli Inferi
e morì molti anni dopo di morte naturale.
Per tutti questi motivi, una volta giunta la sua ora, ebbe all’inferno il suo famoso
castigo: trascinare su un monte un masso enorme che ogni volta precipitava di
nuovo a valle.
L’immane masso di Sisifo rappresentava in origine il disco del sole e la collina giù
dalla quale rotolava era la volta del cielo.

BELLEROFONTE

Altro eroe corinzio che non si sa bene per quale motivo (forse l’omicidio di Bellero,
da cui poi prese nome) fu costretto ad abbandonare la propria patria e a rifugiarsi
a Tirinto, presso il re Preto. La moglie del re, Stenebea (o Antea) si innamorò del
giovane, ma egli non voleva cedere alle sue lusinghe, così lei disse al re che
Bellerofonte aveva tentato di sedurla. Preto allora per vendicarsi, mandò
Bellerofonte dal suocero Jobate, re della Licia, con una tavoletta sigillata dove
c’era scritto di uccidere chi la consegnava. Bellerofonte partì per la Licia con il
cavallo alato Pegaso, figlio di Poseidone e della Medusa, che egli aveva domato.
Jobate, letta la lettera, mandò Bellerofonte a compiere una serie di avventure
rischiose, certo che vi avrebbe trovato la morte. Le imprese che dovette affrontare
furono:
- combattere la Chimera, che davanti era leone, in mezzo capra e dietro drago e
che infestava il paese. Egli riuscì a vincerla trafiggendola dal cielo, a cavallo di

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Pegaso e poi infilandole un pezzo di piombo tra i denti. L’alito infuocato della
Chimera fuse il piombo che le scivolò per la gola, bruciandole gli organi vitali
- combattere contro la popolazione montana dei Solimi, nemici dei Licii
- combattere le Amazzoni, donne guerriere
Tornato vincitore da queste imprese, Jobate gli tese un’imboscata, ma anche qui
Bellerofonte riuscì a salvarsi. Finalmente Jobate, ammirando il giovane e credendo
fosse protetto dagli dei, si rappacificò con lui, gli diede in sposa sua figlia e lo fece
sovrano di parte della Licia.
Bellerofonte tentò di volare fino all’Olimpo a cavallo di Pegaso. Allora Zeus mandò
un tafano ad infastidire il cavallo che sgroppò facendo cadere Bellerofonte sulla
terra, in mezzo ai rovi. Cieco e zoppo, vagò fino alla morte, solo, evitando le
strade battute dagli uomini.

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Argo

IO

Il progenitore degli Argivi era considerato Inaco, dio del fiume omonimo, il corso
d’acqua più importante della regione.
Suo figlio era Foroneo, considerato l’iniziatore della cultura del paese e autore
dell’ordinamento civile e religioso degli Argivi.
La sorella di Foroneo si chiamava Io. Essa era una sacerdotessa di Era,
particolarmente bella e per questo Zeus si innamorò di lei. Ma non appena Era se
ne accorse, trasformò Io in una vacca bianca e la affidò alla custodia di Argo dai
100 occhi. Zeus, impietosito dalla situazione di Io, le mandò Ermes affinchè la
liberasse da Argo. Così egli fece, facendo addormentare tutti e 100 gli occhi e
quindi spiccandogli la testa dal collo. Era decorò con gli occhi di Argo le piume del
pavone, a eterno ricordo di quell’omicidio, quindi, non contenta, mandò a Io un
tafano dispettoso. La giovenca infuriata dal suo morso, prese a correre
all’impazzata e in questo modo vagò per le terre d’Europa e d’Asia, finchè, giunta
in Egitto, si fermò. Zeus la fece tornare una fanciulla e quindi Io diede alla luce un
figlio, chiamato Epafo, che divenne re d’Egitto e fondò Menfi, dove Io fu onorata
col nome di Iside.

DANAO e le DANAIDI

Epafo ebbe una figlia, di nome Libia, che si sposò con Poseidone ed ebbe due figli:
Agenore, che regnava sulla Fenicia e Belo, che regnava sull’Egitto. Belo ebbe due
figli, Egitto e Danao, che ebbero a loro volta 50 figli e 50 figlie. Ma alla morte del
padre, i due fratelli cominciarono a litigare per l’eredità del regno, così Danao
dovette esulare, con le 50 Danaidi e giunse fino ad Argo. Qui regnava a quel
tempo Gelenore che, riconosciuto Danao come discendente di Io, gli cedette il
regno.
Dopo qualche tempo giunsero a Argo i 50 figli di Egitto, che reclamavano in spose
le 50 cugine. Danao acconsentì, ma diede a ognuna delle figlie un pugnale perché
durante la notte di nozze ognuna uccidesse il suo compagno. Così fecero tutte
tranne una, Ipermestra, che salvò il suo sposo Linceo. Inizialmente Danao si
arrabbiò e scacciò la figlia, ma poi pentito fece pace anche col genero, che
divenne il suo successore.
Una volta morte le Danaidi ricevettero come punizione per il loro omicidio, di
attingere continuamente acqua con vasi dal fondo forato.

PRETO e le PRETIDI

Da Linceo e Ipermestra nacque un figlio di nome Abante, che a sua volta ebbe due
gemelli, Acrisio e Preto. Si dice che questi si odiassero talmente tanto, che già
litigavano nel grembo della madre. Preto dovette lasciare anche la parte di regno
che spettava a lui, la città di Tirinto al fratello e si rifugiò in Licia, presso Jobate.
Questi gli diede in sposa la figlia Antea (o Stenebea) e lo rimandò a Tirinto,
aiutandolo a costruire una roccaforte e permettendogli di estendere il suo dominio
fino a Corinto.
Preto ebbe tre figlie le quali, divenute superbe per la loro bellezza e per la potenza
del padre, mancarono di rispetto agli dei, e questi le punirono rendendole pazze ,
tanto che scorrazzavano nude per i monti dell’Argolide e dell’Arcadia.

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Preto si rivolse allora a Melampo, l’indovino. Egli fu il primo mortale a cui furono
concessi poteri divinatori, il primo che praticò l’arte della medicina e che tagliò il
vino con l’acqua. Apollo gli aveva insegnato a trarre auspici dalle viscere delle
vittime e per aver liberato alcuni serpenti, che gli avevano leccato le orecchie in
segno di riconoscenza, era stato da quel momento in grado di intendere il
linguaggio degli uccelli. Nell’antichità i veggenti si vantavano spesso di aver avuto
le orecchie leccate da serpenti che venivano ritenuti reincarnazioni di eroi
oracolari. Melampo le guarì e ottenne in sposa una di loro e parte del regno di
Tirinto.

PERSEO

Acrisio, nipote di Linceo e Ipermestra, ebbe una figlia di nome Danae, di cui Zeus
si innamorò. Ma Acrisio, avendo saputo da un oracolo che sarebbe stato ucciso da
un suo nipote, rinchiuse Danae in una caverna sotterranea. Zeus, volendo
comunque entrare nella caverna, si trasformò in una pioggia d’oro, con cui
fecondò Danae.
Ne nacque Perseo. Ma quando Acrisio lo seppe, mise il bambino e la figlia in una
cassa e li fece gettare i mare, pensando così di sottrarsi al vaticinio.
La cassa arrivò all’isola di Serifo e fu raccolta da un pescatore, che trasse in salvo
mamma e bambino e li consegnò al fratello Polidette, che era il re dell’isola. Egli
voleva sposare Danae, ma poiché lei si rifiutava, la fece sua schiava e decise di
affidare una pericolosa avventura a Perseo al fine di liberarsene. Gli ordinò infatti
di portargli la testa della Medusa.
In aiuto di Perseo, vennero Atena e Ermes che gli consigliarono di procurarsi un
elmo che rendeva invisibili, una sacca da viaggio magica e un paio di calzari alati.
Questi oggetti li avrebbe trovati presso delle Ninfe che abitavano un luogo segreto
che gli sarebbe stato rivelato dalle Graie. Inoltre Ermes gli donò una falce e Atena
uno scudo lucido come uno specchio.
Giunto dalle Graie, che si dice avessero un dente e un occhio soli in tre, Perseo le
costrinse a rivelargli come giungere alle Ninfe, proprio rubando loro il dente e
l’occhio. Dalle Ninfe ottenne poi facilmente gli oggetti che gli avevano suggerito gli
dei.
Infine andò dalle tre Gorgoni, per uccidere Medusa. Si diceva che il suo sguardo
potesse pietrificare, così la avvicinò camminando all’indietro e aiutandosi con lo
scudo di Atena le tagliò la testa che ripose nella sacca magica. All’inseguimento e
alla vendetta delle sorelle si sottrasse mediante l’elmo che lo rendeva invisibile.
Tornato a Serifo, con la Medusa pietrificò il nemico Polidette e diede il regno al
fratello pescatore che li aveva salvati. Quindi andò ad Argo, dove consegnò la
testa della Gorgone ad Atena che la pose sull’egida per spaventare i nemici.
Un’altra leggenda relativa a Perseo era quella di Andromeda. Andromeda era figlia
di Cassiopea e del re d’Etiopia. Poiché sua madre si era vantata della sua bellezza
e di quella della figlia, paragonandosi alle Nereidi, queste chiesero a Poseidone di
essere vendicate. Poseidone colpì il paese con un’enorme inondazione, poi mandò
un mostro marino che uccideva uomini e bestie. Gli Etiopi si rivolsero all’oracolo di
Ammone e seppero che si sarebbero liberati del mostro solo se gli avessero offerto
in pasto la figlia del re. Legarono Andromeda sullo scoglio, ma quando il mostro
stava per avvicinarsi Perseo arrivò in Etiopia coi suoi calzari alati, la liberò e la
sposò
Perseo si riconciliò con il nonno Acrisio, ma poiché l’oracolo doveva comunque
compiersi, lo uccise involontariamente, durante il lancio del disco, a dei giochi
sportivi.

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Laconia e Messenia

DIOSCURI

Le più antiche leggende delle province meridionali del Peloponneso ricordano come
eroi di quei luoghi Tindareo, Afareo, Leucippo, Icario, Periere ed Ebalo. Presto si
cercò di stabilire un legame di parentela fra questi eroi e l’idea più diffusa era che
Tindareo, Afareo, Leucippo e Icario fossero figli di Periere.
Un’altra tradizione dice invece che, alla morte di Periere, da cui aveva avuto
Leucippo e Afareo, sua moglie si risposò con Ebalo, da cui ebbe Icario e Tindareo.
Tindareo e Icario erano considerati i fondatori della Laconia. Cacciati da un loro
fratello, Ippocoonte, trovarono rifugio presso Pleurone, in Etolia. Pleurone diede
loro in moglie le sue figlie: Policaste a Icario (da cui nascerà Penelope, moglie di
Ulisse), a Tindareo Leda, da cui nasceranno i Dioscuri, Castore e Polluce, Elena e
Clitennestra.
Si racconta che Zeus si fosse innamorato di Leda e si fosse unito a lei sotto forma
di cigno. I racconti non sono però concordi nel dire quale dei figli di Leda fossero
nati da Tindareo e quali da Zeus.
Secondo Omero solo Elena era figlia di Zeus. Più tardi si disse invece che erano
Castore e Polluce, poi detti Dioscuri, i rampolli di Zeus. In altre leggende si dice
che Elena e i Dioscuri nacquero da un uovo deposto da Leda.
Ma passiamo ora alle imprese dei Dioscuri. Essi erano molto diversi tra loro:
Castore era un abile domatore di cavalli, Polluce un pugile e cavallerizzo. Essi
fecero una spedizione di guerra contro Teseo che aveva rapito la loro sorella
Elena, di soli 10 anni. Poi presero parte anche alla spedizione degli Argonauti e
alla caccia al cinghiale Calidonio, di cui si parlerà.
La loro ultima impresa fu la lotta contro gli Afaridi, figli di Afareo e dunque loro
cugini. Non si sa perché nacque la contesa, se per delle donne, le figlie di Leucippo
re di Messenia che i Dioscuri rapirono ma che erano già promesse agli Afaridi o se
per un bottino di giovenche sulla cui spartizione non riuscirono ad accordarsi. Ad
ogni modo la lotta fu fatale per entrambe le coppie di fratelli: Castore fu ucciso da
Ida. Allora Polluce uccise Linceo, mentre un fulmine di Zeus uccideva Ida. Polluce,
addolorato per la morte del fratello, pregò Zeus che facesse morire anche lui. Ma
questo non era possibile, perché lui era immortale. Ottenne però di poter stare
sempre col fratello, un giorno nell’oltretomba, un giorno sull’Olimpo. Come
ricompensa per il loro amore fraterno, Zeus pose la loro immagine fra le stelle,
nella costellazione dei Gemelli-
I Dioscuri sono considerati protettori dei naviganti in pericolo, col potere di far
spirare venti favorevoli. Si credeva che sacrificando agnelli bianchi sulla prua di
una nave, loro giungessero subito, seguiti da uno stormo di rondini.
Erano anche considerati inventori della danza di guerra e della musica di guerra e
protettori degli aedi.

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Attica

CECROPE

Gli abitanti dell’Attica, credevano di essere nati dal suolo (il che per loro
significava aver sempre abitato quella terra, non essere degli ‘immigrati’). Il
personaggio mitico a cui legavano l’origine della loro civiltà è Cecrope, anche se
più tardi si disse che Cecrope fosse venuto dall’Egitto. Al fatto che fosse nato dal
suolo si riferisce l’aspetto con cui era rappresentato: umano nella parte superiore
e serpente in quella inferiore.
Era considerato il primo re, il primo legislatore, l’edificatore della cittadella (detta
Cecropia), il fondatore del culto di Zeus e di Atena nella città.

ERETTEO o ERITTONIO

Anche Erittonio, lontano successore di Cecrope, aveva per metà forma di


serpente, perché anche lui era nato dal suolo. Anche lui era considerato fondatore
dell’Attica, dopo però che era avvenuto il diluvio di Deucalione. In un certo senso
un ricostruttore.
Si narrava che dopo la sua nascita Gea l’avesse affidato a Pallade. La dea lo diede,
in una cassa chiusa alle sue sacerdotesse, figlie di Cecrope, e proibì loro di aprire
la cassa. Ma le giovani, curiose, disobbedirono e per punizione furono colpite dalla
pazzia. Erittonio fu quindi allevato dalla dea stessa nel suo santuario sull’Acropoli
e divenne re di Atene.

TESEO

Uno dei successori di Eretteo fu Egeo, padre di Teseo. Dal momento che Egeo non
aveva figli, si rivolse all’oracolo di Delfi, ma non riuscì a interpretarne la risposta.
L’oracolo gli aveva infatti detto di non aprire la bocca del suo rigonfio otre di vino
finchè non avesse raggiunto il punto più alto di Atene, a meno che non volesse
morire un giorno di dolore.
Tornando indietro, Egeo si fermò a Corinto, dove Medea gli fece giurare che la
avrebbe protetta dai nemici se mai lei si fosse rifugiata ad Atene. Si recò quindi a
Trezene, dal saggio amico Pitteo e qui conobbe la figlia di Pitteo, Etra e da lei ebbe
Teseo. Secondo una versione del mito, fu Pitteo a ubriacare l’amico e a mandarlo
a letto con la figlia. Caso volle però che durante la stessa notte anche Poseidone si
unisse ad Etra. Il dio però generosamente concesse la paternità del bimbo a Egeo.
Ad ogni modo Teseo risulta essere anche figlio di Poseidone, dunque figlio del
mare, e di Etra, che rappresenta l’aria serena, ed è in questo senso la
personificazione del sole che sorge dall’Oriente, nell’aria pura.
Teseo ebbe come maestro Pitteo che gli insegnò la musica e la ginnastica e il
Centauro Chirone.
Quando Egeo prese congedo da Etra, mise i suoi sandali e la spada sotto un
masso, sui monti tra Trezene e Ermione, con l’ordine che, quando Teseo fosse
stato in grado di sollevare quel masso, prendesse spada e sandali e andasse ad
Atene. A 16 anni, la madre portò Teseo davanti al masso ed egli lo sollevò con
estrema facilità. Da quel momento, cominciò la sua vita di eroe.
Prima di giungere ad Atene ebbe modo di compiere le sue fatiche, che in genere si
indicano come sei:

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1) tra Trezene ed Epidauro uccise Perifete lo zoppo, un figlio di Efesto, rozzo
come il padre, che aggrediva i viandanti e li uccideva con una mazza di ferro.
Di cui il suo soprannome di Corunete, o uomo con la mazza.
2) sull’Istmo tolse di mezzo un altro assassino, Sini il Pitiocampe, cioè Piegatore
di pini. La sua tortura consisteva nell’attaccare le sue vittime a due pini piegati
a forza. Poi, lasciando andare i pini, le persone venivano squartate.
3) Uccise una pericolosa scrofa che infestava il bosco di Crommione
4) Liberò il passaggio Scironico, a picco sul mare, da Schirone, che obbligava i
viandanti a lavargli i piedi e mentre erano chini, con un calcio li faceva rotolare
nel mare sottostante, dove una gigantesca testuggine li divorava. Teseo gli
fece fare la stessa fine.
5) Presso Eleusi vinse il gigante Cercione che obbligava i passanti a combattere
corpo a corpo con lui
6) Combattè contro Damaste, soprannominato Procuste, che poneva a forza la
gente su un letto. Se rispetto alla persona il letto era troppo corto, tagliava gli
arti del malcapitato, se era troppo lungo martellava e stirava le membra.
Superati questi ostacoli Teseo potè giungere ad Atene, dove trovò il padre irretito
dalla maga Medea, che da Corinto si era rifugiata ad Atene. Medea, gelosa di
Teseo, per via del figlio che aveva generato a Egeo, aveva già preparato il veleno
per ucciderlo, quando Egeo riconobbe i sandali e la spada, quindi fermò Medea e
successivamente la cacciò da Atene.
Un nuovo ostacolo era però pronto per Teseo: i 50 Pallantidi, figli di Pallante e
nipoti di Egeo, pensando fino a quel momento egli fosse senza figli, miravano ai
suoi beni. Cominciò quindi un’aspra lotta, che Teseo vinse, in parte uccidendo e in
parte scacciando i Pallantidi.
A questo punto si pone la spedizione più pericolosa di Teseo, quella contro il
Minotauro, a Creta.
Il re cretese Minosse, indispettito perché gli Ateniesi e i Megaresi avevano ucciso
suo figlio Andriogeo, decise di vendicarsi. Prese Megara, poi vinse anche gli
ateniesi e impose loro un pesante tributo: ogni nove anni dovevano mandare in
sacrificio al Minotauro sette giovani e sette fanciulle. Il mostro, mezzo uomo e
mezzo toro, era nato da Pasifae per vendetta di Poseidone.
Teseo decise di far parte di quella che doveva essere la terza spedizione. Afrodite
fece innamorare di lui Arianna, figlia di Minosse e questo fu la sua salvezza,
perché la fanciulla gli donò un gomitolo di lana per penetrare nel labirinto, dove
uccise il Minotauro e riuscì a trovare la via del ritorno.
Arianna seguì Teseo alla sua partenza, ma egli la abbandonò sull’isola di Nasso e
tornò ad Atene da solo. Ma tornando, causò la morte di Egeo. Il padre, infatti, gli
aveva detto che se fosse tornato vittorioso, la barca avrebbe esposto una vela
bianca, mentre invece quando era partito la vela era nera. Teseo dimenticò di
issare la vela bianca e Egeo, pensando che il figlio fosse morto, si gettò nel mare
che da quel giorno fu chiamato Egeo.
Teseo, rimasto re, si occupò di riforme religiose e politiche. Istituì il culto di
Afrodite e in onore di Dioniso, sposo di Arianna, fondò le Oscoforie, feste che
consistevano in una gara di corsa e in una processione con sacrifici a Dioniso e
Atena. Politicamente, riunì in una comunità le varie regioni dell’Attica e istituì le
feste Panatenee a cui partecipavano tutti gli attici.
Le altre imprese di Teseo sono le seguenti:
1) domò il toro di Maratona
2) aiutò l’amico Piritoo, principe dei Lapiti, nella guerra contro i Centauri
3) in una spedizione a Sparta rapì Elena, sorella dei Dioscuri
4) con Piritoo scese negli Inferi per rapire Persefone di cui l’amico era
innamorato. Ma Ade mandò le Erinni a incatenarlo e a farlo sedere a forza su
un masso che aveva la proprietà di tenere incollato chi ci si sedeva. Teseo sarà

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liberato da Eracle. Durante la sua assenza i Dioscuri ripresero la sorella dalla
città di Afidna dove era tenuta prigioniera.
5) Con Eracle fece una spedizione contro le Amazzoni ed ebbe in premio la loro
regina Ippolita, che divenne sua moglie
6) Teseo dovette di nuovo combattere le Amazzoni quando invasero l’Attica per
liberare Ippolita. Ippolita, invece di unirsi alle amazzoni, le combattè, accanto
al marito e venne uccisa.
7) Prese parte alla caccia al cinghiale Calidonio
8) Prese parte alla spedizione degli Argonauti

Dall’unione con l’amazzone Ippolita era nato Ippolito. Teseo, dopo aver sposato
Fedra, figlia del re di Creta, mandò il figliastro a Trezene, da Pitteo. Ippolito era
molto devoto a Artemide e rifiutava invece di onorare Afrodite, la quale decise di
punirlo. Fece infatti in modo che Fedra si innamorasse di lui. Fedra soffriva per
quell’amore che teneva nascosto. Non mangiava, non dormiva e finì per indebolirsi
tanto che la nutrice, scoperta la verità, le consigliò di scrivere a Ippolito. Appena
ricevuto il messaggio, Ippolito lo bruciò inorridito e andò da Fedra a dirle tutto il
suo sdegno. La regina allora si strappò i vestiti, spalancò le porte e annunciò di
essere stata violentata. Quindi si impiccò a una trave del soffitto, lasciando uno
scritto che incolpava Ippolito.
Quando Teseo tornò dal campo di battaglia, trovò lo scritto e maledisse il figlio.
Diede ordine che il giovane lasciasse il suo palazzo. Quindi si ricordò di aver avuto
in dono da Poseidone la realizzazione di tre desideri e pregò perché Ippolito
morisse quel giorno stesso. Mentre Ippolito si allontanava dalla città, dall’Istmo
salì un’onda enorme e dalla spuma emerse un gigantesco toro. I cavalli del carro
di Ippolito si spaventarono, il carro si ribaltò e il giovane fu trascinato per diversi
metri e morì. Da allora tutte le spose di Trezene dovevano offrire a Ippolito una
ciocca dei loro capelli.
Taluni dicono che Teseo, saputa la verità da Artemide, fu processato per omicidio
e caduto in disgrazia si rifugiò a Sciro dove concluse la sua vita.

eroidellamitologia.doc 15
Creta

MINOSSE E IL MINOTAURO

Il primo re dell’isola di Creta fu Minosse, figlio di Zeus ed Europa. Europa era figlia
del re dei Fenici e sorella di Cadmo ed era solita andare a giocare con le amiche
sulle rive del mare, vicino a Tiro. Un giorno vide pascolare un toro bianco, molto
mansueto, che in realtà era Zeus. La ragazza gli si avvicinò, prese a giocare con
lui e a carezzarlo, fino a osare sedersi sulla sua schiena. Allora il dio cominciò a
galoppare e si fermò solo quando fu arrivato sull’isola di Creta. Qui Europa diede
alla luce Minosse, Radamanto e Sarpedonte.
Cacciati i suoi fratelli, Minosse regnò da solo su Creta e sposò Pasifae, figlia di
Elio, da cui nacquero Catreo, Deucalione, Glauco, Androgeno, Arianna e Fedra.
Minosse, ispirato dal padre che di tanto intanto lo andava a trovare, diede le leggi
ai Cretesi e fondò una grande signoria, che si estendeva alle isole dell’Egeo e fino
in Attica.
Un giorno Minosse chiese a Poseidone di mandargli un segno che gli indicasse il
favore degli dei alla sua signoria. Poseidone gli mandò un toro dal mare,
bellissimo, con l’ordine di sacrificarlo. Ma Minosse lo trovò talmente bello che
decise di tenerlo e lo sostituì con uno dei suoi armenti. Poseidone allora decise di
punire la sua avidità: fece innamorare Pasifae del toro. Lei chiese a Dedalo,
inventore che viveva a corte, di creare per lei una giovenca meccanica dove si
potesse nascondere per permettere l’accoppiamento. Così avvenne e dalla
mostruosa unione nacque un bambino con testa di toro, il Minotauro, che Minosse
inorridito fece nascondere nel labirinto. Qui il Minotauro veniva nutrito con i
giovani che, come abbiamo visto, venivano mandati come tributo da Atene. Come
abbiamo già raccontato, Teseo mise fine a tutto ciò.
Dedalo, che aveva costruito il labirinto, per punizione, perché aveva fornito ad
Arianna il filo con cui Teseo era riuscito ad uscire dal labirinto, vi fu rinchiuso a
sua volta col figlio Icaro. Ma egli non si disperò. Costruì delle ali di penne, unite
con cera, per sé e per il figlio. Icaro però volò troppo in alto, la cera si sciolse ed
egli precipitò in mare. Dedalo giunse invece in Sicilia, dove Minosse andò per
cercare di riprenderselo. Ma fu ucciso dalle figlie del re Cocalo che aveva ospitato
Dedalo.
Si dice che Minosse divenne, col fratello Radamante e con Eaco, il giudice dei
morti nell’al di là.

TALO

Si diceva che Talo fosse fatto di bronzo e invulnerabile. Sembra che Zeus o Efesto
lo avessero donato a Minosse come custode della sua isola. Egli percorreva
correndo tre volte l’isola e se qualche straniero tentava di avvicinarsi saltava nel
fuoco fino a diventare incandescente, poi abbracciava i malcapitati e li uccideva.
Ma aveva anche un lato debole: un’unica vena che scendeva dalla testa ai talloni e
qui era chiusa con un tappo. Quando impedì agli Argonauti di scendere sull’isola
Medea riuscì con una magia a strappargli il tappo ed egli morì dissanguato.

ERACLE – ERCOLE

Eracle era l’eroe della stirpe dorica, anche se le leggende su di lui erano molto
diffuse tra le popolazioni eolie e col tempo divenne l’eroe nazionale dei Greci in

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genere. Al nucleo primitivo delle leggende, col tempo se ne unirono altre, greche e
orientali, tanto che ve ne sono moltissime versioni e diramazioni. Noi
racconteremo le più importanti.

- Nascita e giovinezza di Eracle


Madre di Eracle era Alcmena, nipote di Perseo, che era sposata con Anfitrione.
Anfitrione aveva ucciso il suocero Elettrione e per sottrarsi alla vendetta del
fratello dovette rifugiarsi a Tebe. Da qui mosse guerra contro i Teleboi che
avevano saccheggiato il territorio di Elettrione e avevano ucciso i fratelli di
Alcmena. Durante questa assenza, Zeus andò a far visita ad Alcmena, camuffato
da Anfitrione e dalla loro unione nacque Eracle (che, ironia della sorte, significa
‘gloria di Era’). Era invece, moglie di Zeus, non era affatto contenta e gelosa come
era, quando Eracle aveva solo otto mesi, gli mandò due serpenti perché lo
avvolgessero nella culla, soffocandolo. Ma Eracle li strozzò.
Ma prima, con un sotterfugio, Atena era riuscita a farle allattare questo bimbo,
senza dirle chi fosse. Nello staccarlo da sé, alcune gocce di latte volarono in cielo e
andarono a formare la via lattea.
Il primo atto eroico lo compì a 18 anni, quando uccise un leone che infestava le
montagne dove lui pascolava le greggi. A Tebe poi, incontrò i messi di Ergino, re
dei Minii, che venivano in città a riscuotere il tributo annuo di 100 buoi. Eracle
tagliò loro naso e orecchie e li rimandò indietro. Nacque una guerra, ma Eracle
riuscì a battere i Minii, liberare Tebe dal tributo e obbligò i Minii a un doppio
tributo. Creonte, grato, gli diede in sposa la figlia Megara.
A questo punto Euristeo, re di Tirinto, chiamò Eracle al suo servizio. Egli, per
decisione di Zeus, doveva compiere 12 fatiche, al fine di conseguire l’immortalità.
Eracle non voleva sottomettersi a un uomo che sapeva di molto inferiore a lui.
Così consultò l’oracolo di Delfi che gli disse di arrendersi al suo destino. Allora,
preso da un raptus d’ira (mandato, si dice, da Era, gelosa dei suoi successi) uccise
i suoi tre figli. Tornato in sé si recò a Tirinto per compiere la sua missione e
purificare le sue colpe.

1) La lotta col leone di Nemea.


Il leone di Nemea era un mostro nato da Tifone ed Echidna e aveva la pelle
invulnerabile. Eracle, non potendolo colpire con le frecce o con la clava, lo
sospinse nella sua tana e lo soffocò tra le braccia. Poi gli tolse la pelle e da allora
la usò come veste, con la testa che gli fungeva da elmo.

2) L’idra di Lerna.
Era un grosso serpente, anch’esso nato da Tifone ed Echidna, con nove teste, di
cui una immortale. Eracle tagliò una a una tutte le teste, ma ogni volta, dal collo
mozzato, ne rinascevano due. Allora con l’aiuto del fido compagno Iolao fece dare
fuoco a un bosco vicino e si fece portare dei tronchi in fiamme. Con questi affrontò
l’Idra e bruciò le teste via via. Su quella immortale, invece, gettò un masso
enorme. Quindi intinse le sue frecce nella bile velenosa dell’animale. In questo
modo le ferite prodotte dalle frecce, risultavano inguaribili.

3) Il cinghiale di Erimanto
Era un cinghiale che seminava il terrore nelle zone dell’Acaia, dell’Elide e
dell’Arcadia. Eracle lo inseguì e lo spinse fino alla cima del monte Erimanto,
coperta di neve. Quindi lo afferrò e lo trascinò a Micene, da Euristeo. Ma Euristeo
ebbe tanta paura del cinghiale che andò a nascondersi in una botte. Non si sa chi
uccise il cinghiale, ma le sue zanne sono conservate nel tempio di Apollo a Cuma

4) La cerva di Cerinea

eroidellamitologia.doc 17
Era una cerva con le corna d’oro e i piedi di rame. Sacra ad Artemide, viveva sul
monte Cerinea, tra Arcadia e Acaia. Eracle doveva prenderla viva, così la inseguì
per un anno, finchè nei pressi del fiume Ladone la ferì a una zampa e la catturò.

5) Gli uccelli di Stinfalo


Abitavano il lago Stinfalo in Arcadia ed erano muniti di artigli, becco e ali di bronzo
e lanciavano le penne, pure di bronzo, come fossero frecce. Eracle ne uccise
alcuni, altri li spaventò con un sonaglio datogli da Atena, ma il risultato fu
comunque che gli uccelli non si fecero più vedere

6) Il cinto di Ippolita
La cintura era stata donata ad Ippolita, regina delle amazzoni, da Ares. Eracle
doveva prenderla perché la figlia di Euristeo, Admeta, la voleva a tutti i costi. Si
recò perciò a Temiscira, città delle Amazzoni e strinse amicizia con la regina, tanto
che lei aveva accettato di cedere il suo cinto. Ma Era, sotto le false sembianze di
un’Amazzone, sparse la voce che Eracle era venuto a rapire la regina, così tutte le
amazzoni lo attaccarono. Ippolita fu uccisa da Eracle, che potè così prendere il
cinto

7) Pulizie delle stalle di Augia


Augia era figlio di Eleo, re degli Epei, nell’Elide e aveva moltissimi armenti. Eracle
doveva in un giorno pulire tutto il letame di quelle stalle e la cosa sembrava
talmente impossibile, nella realizzazione, che Augia offrì un decimo del suo
bestiame, se Eracle fosse riuscito nell’impresa. Eracle allora deviò il corso del
fiume Alfeo e fece passare le sue acque nelle stalle, in modo che la forza della
corrente trascinò via il letame.

8) Il toro di Creta
Era quello mandato da Poseidone a Minosse, come si è già visto. Poseidone aveva
reso furioso il toro, perché Minosse non lo aveva sacrificato. Il compito di Eracle
era prenderlo, perché non facesse più danni sull’isola. Lo prese e lo portò a Micene
vivo.

9) Le cavalle di Diomede
Erano bestie feroci, a cui Diomede, re dei Bistoni in Tracia, gettava in pasto gli
stranieri che sbarcavano sulle sue rive. Ma Eracle vinse Diomede e lo diede in
pasto alle sue cavalle. Poi le portò vive da Euristeo che le rimise in libertà.

10) I buoi di Gerione


Gerione era un mostro con tre corpi e possedeva del bellissimo bestiame che
Eracle doveva catturare. Si dice che durante questo viaggio Eracle piantò le
colonne che portano il suo nome, passando per la Libia. Inoltre, infastidito dai
raggi del sole, li fece riflettere contro Elios stesso e il dio, impressionato dal suo
coraggio, gli permise di usare il suo battello d’oro per attraversare l’oceano.
Giunto presso Gerione Eracle ne uccise il cane e il gigante che custodivano il suo
gregge e se ne impossessò. A nulla valse a Gerione combattere: fu ucciso.

11) I pomi delle Esperidi


Gea aveva fatto, come dono di nozze a Era, un giardino di mele d’oro, custodito
dalle Esperidi (le ninfe di ponente), figlie della notte. Eracle non sapeva dove fosse
questo giardino e vagò a lungo prima di trovarlo e tante sono le avventure che le
diverse versioni gli attribuiscono durante questo viaggio. Prima di tutto Eracle si
recò al fiume Po, in Illiria, dove viveva il dio del mare, Nereo. Lo afferrò mentre
era addormentato e benchè il dio continuasse a cambiare forma per sfuggirgli, si
fece dire come fare a cogliere le mele. Nereo disse che non avrebbe dovuto

eroidellamitologia.doc 18
coglierle lui di propria mano, ma farle prendere a qualcun altro. Quindi Eracle
andò da Prometeo, incatenato alla montagna, lo liberò e uccise l’aquila che
quotidianamente gli divorava il fegato. Fu proprio Prometeo a dirgli la via per il
giardino. Giunto in Scizia infatti Eracle trovò Atlante, che reggeva sulle spalle il
mondo, il quale si offrì di andare a prendere tre delle mele, se in cambio Eracle
teneva sulle spalle la volta celeste per lui. Eracle accettò. Ma Atlante, una volta
liberatosi del peso, non voleva più tornarci sotto e così cerco di convincere Eracle
che avrebbe portato lui le mele a Euristeo. Eracle, con uno stratagemma però
riuscì a restituirgli la fatica: gli chiese infatti di sorreggere il cielo il tempo che lui
si fasciasse la testa, Atlante accettò e Eracle potè ripartire. Un’altra tradizione dice
però che fu Eracle stesso ad andare al giardino e uccidere il drago dalle centro
teste che custodiva le mele.

12) Cerbero
Giunto alle porte dell’Ade, Eracle liberò Teseo che si era lì recato con l’amico
Piritoo per cercare di rapire Persefone. Eracle non riuscì a liberare anche Piritoo
perché la terra tremò e lui fu costretto a desistere. Ade gli permise di portare con
sé il cane a tre teste Cerbero, purchè riuscisse a domarlo senz’armi. L’eroe lo
strinse alla gola, lo domò e lo portò alla luce del sole, quindi mostratolo a Euristeo
lo riportò negli Inferi.
Questo fu l’ultima fatica per Eracle, che si liberò così dell’impegno con Euristeo.

Dopo le 12 fatiche Eracle tornò a Tebe e cedette la prima moglie Megara a Iolao.
Quindi si recò a Ecalia (luogo incerto, in Tessaglia o nel Peloponneso o in Eubea)
dove il re Eurito prometteva la sua bionda figlia Iole a chi fosse riuscito a vincere
lui e i suoi figli nel tiro con l’arco. Niente di più facile per il nostro eroe. Ma una
volta vintala, il re non voleva dargli sua figlia, poiché egli aveva ucciso i figli avuti
da Megara ed era stato a servizio da Euristeo. Irato, Eracle prese uno dei figli del
re e lo gettò giù dalle mura di Tirinto uccidendolo. Era necessario a questo punto
purificare la colpa, ma l’oracolo di Delfi, a cui si era rivolto, lo rifiutò. Eracle allora
fece per distruggere il tempio stesso e, comparso il dio in persona, voleva
addirittura combattere con lui. ma Zeus intervenne, dividendo i due con un
fulmine, e la Pizia (sacerdotessa dal tempio) decise che Eracle doveva espiare con
3 anni di schiavitù. Così Eracle andò come schiavo presso Onfale, regina della
Lidia e vestito da donna filava la lana insieme alle schiave della regina, ma non
rinunciò comunque a compiere azioni eroiche: presso Efeso catturò i Cercopi,
folletti scaltri dei boschi che facevano brutti scherzi ai viandanti, poi Sillo, che li
obbligava a lavorare nella sua vigna.
Tornato in libertà Eracle, con altri eroi greci, marciò contro Troia e poi contro Pilo.
C’è poi un’altra moglie nella storia di Eracle, Deianira, figlia del re degli Etoli. Molti
erano i pretendenti, ma solo uno osò sfidare Eracle: il fiume Acheloo. Acheloo
assunse forme diverse, ma sempre veniva battuto, sotto forma di toro perse un
corno che, riempito di fiori e frutti da una ninfa divenne il corno dell’abbondanza.
Alla fine Eracle sposò Deianira e ebbe da lei il figlio Illo. Molti anni dopo, recandosi
in visita a un amico, capitò ai due l’avventura col centauro Nesso. Nesso si era
offerto di traghettare oltre un fiume Deianira, ma innamoratosi di lei tentò di
fuggire rapitala. Eracle allora lo colpì con un dardo, ma prima di morire Nesso
operò una vendetta: diede a Deianira un po’ del suo sangue, dicendole che
avrebbe potuto prepararvi un unguento per assicurarsi l’amore del marito.
Qualche anno dopo Eracle fece la sua ultima impresa: marciò contro quel re che
gli aveva rifiutato la figlia Iole e vintolo, prese la ragazza. Deianira, temendo che
Eracle ne facesse la sua amante e per assicurarsi invece il suo amore, mandò in
dono a Eracle una veste intrisa del sangue di Nesso. Ma subito il veleno, quello
che era in realtà, fece effetto, la veste prese fuoco e si appiccicò alla pelle dolente
di Eracle. Tornato a casa, trovò la moglie morta, uccisasi dopo aver saputo quello

eroidellamitologia.doc 19
che aveva fatto. Allora diede in sposa Iole al figlio e salì sul monte Oeta dove
accese eresse una pira per poter finire il suo dolore tra le fiamme. Ma nessuno
voleva dargli fuoco, solo Peante, che passava di là per caso e che ne ebbe in
cambio il suo arco e le sue frecce. Ma mentre il fuoco ardeva scoppiò un enorme
temporale e un cocchio guidato da Atena scesa dalle nuvole, a prelevare Eracle e
condurlo nell’Olimpo, dove visse, ebbe il dono dell’immortalità e sposò Ebe.

A Roma Eracle si latinizzò in Ercole e le sue leggende si diffusero fra le genti


italiche, arricchite anche da vicende che lo vedevano protagonista proprio in Italia.
In particolare si diceva che durante la spedizione contro Gerione, fosse passato
anche per le nostre terre, avesse incontrato un ladrone di nome Caco, abitante
sull’Aventino, che gli aveva rubato alcuni buoi, facendoli camminare all’indietro e
conducendoli nella sua grotta. Ma il muggito condusse Ercole là, dove uccise Caco
dopo breve lotta. Gli abitanti del luogo festeggiarono Ercole per averli liberati da
quel ladro e da qui ebbe origine il suo culto nella religione romana. Gli fu dedicata
infatti un’Ara Maxima tra l’Aventino e il Palatino e anche dei templi. Ogni anno,
inoltre, i pretore offriva a Ercole, in nome della città intera, una giovenca e anche i
privati, in caso di guadagno, dovevano offrire la decima parte a Ercole in segno di
ringraziamento.

Rappresentazioni figurate:
- Eracle in riposo del tipo detto di Argo
- Testa in terracotta di altorilievo frontonale etrusco
-

eroidellamitologia.doc 20
LEGGENDE RELATIVE A IMPRESE CUI PRESERO PARTE
EROI DI DIVERSI PAESI

LA CACCIA AL CINGHIALE CALIDONIO

Eneo era re della città di Calidone, in Etolia.


Durante una festa solenne, seguita a un’abbondante vendemmia, Eneo si
dimentica di sacrificare ad Artemide e lei in punizione manda un enorme cinghiale
a infestare i dintorni della città.
Allora il figlio del re, MELEAGRO, decide di riunire i guerrieri più valorosi per
scacciarlo. Partecipano all’impresa i Dioscuri, Teseo e l’amico Piritoo, Giasone,
Peleo e altri, tra cui anche Atalanta, una cacciatrice d’Arcadia.
Il primo colpo alla bestia, viene inferto proprio da Atalanta. Per alcuni la lotta al
cinghiale sarà fatale, ma alla fine un dardo lanciato da Meleagro ferisce a morte la
belva. A lui spettano la pelle e la testa del cinghiale, ma Meleagro si è innamorato
di Atalanta e decide di cederglieli, dicendo che spettavano a chi aveva ferito per
prima la bestia. Questo suscitò la gelosia di altri partecipanti, fra cui Plesippo e
Tosseo, zii materni di Meleagro, che rubarono il trofeo alla fanciulla. Indignato
Meleagro li uccise.
Ne nacque allora una guerra tra Calidonesi e Pleuronesi. Altea, madre di Meleagro,
addolorata per la morte dei fratelli, maledisse il figlio, che si ritirò dalla lotta. Così
i Calidonesi ebbero la peggio e videro presto la loro città cinta d’assedio. I saggi
della città chiesero più volte a Meleagro di riprendere la lotta, ma lui continuava a
rifiutare. Solo la moglie Cleopatra riuscì a convincerlo e così Meleagro passò alla
testa due suoi e riuscì a sconfiggere i nemici. Ma le Erinni, dee malvagie che
avevano udito la maledizione della madre, lo uccisero.
Un’altra storia relativa alla morte di Meleagro è la seguente: dopo la sua nascita le
Moire erano andate in visita alla madre Altea e l’avevano avvisata che il figlio
sarebbe vissuto solo finchè sarebbe durato un tizzone che in quel momento
ardeva nel fuoco. La donna tolse subito il tizzone dal fuoco e lo nascose. Quando
Meleagro uccise gli zii, Altea, addolorata e con desiderio di vendetta, rimise il
tizzone nel fuoco e lo fece consumare fino alla morte di Meleagro. La madre,
pentita, si tolse la vita.

LA SPEDIZIONE DEGLI ARGONAUTI


Atamante, figlio di Eolo, era re di Orcomeno, in Beozia. Aveva in moglie Nefele
(=nuvola) e da lei aveva avuto due figli, Frisso (=pioggia che scroscia) e Elle (=la
luce viva). Lasciò però la donna celeste per sposare una donna terrena, Ino, figlia
di Cadmo.
Nefele, offesa, abbandonò la terra e inviò una ostinata siccità sulla Beozia. Ino,
cercando di liberarsi dei figli di primo letto del marito, cercava di convincere
Atamante a sacrificare Frisso a Zeus per far terminare la siccità. Nefele allora
venne in aiuto dei suoi figli, regalò loro un ariete dal vello d’oro sul quale Frisso ed
Elle fuggirono verso la Colchide, a est del Mar Nero. Durante il tragitto però Elle
cadde in mare e diede a quel mare il nome di Ellesponto. Frisso invece giunse
nella Colchide, sacrificò l’ariete a Zeus e ne appese il vello d’oro nel bosco di Ares,
facendolo sorvegliare da un drago.
Da quel momento in poi riportare in patria il vello, come talismano per liberare la
patria dai mali, divenne l’unico scopo della stirpe di Eolo. Atamante stesso,
vedendo il male che regnava nella sua terra impazzì. Uccise Learco, uno dei figli
avuti da Ino, e lei stessa e l’altro figlio Melicerte dovettero saltare in mare per
salvarsi.

eroidellamitologia.doc 21
A Atamante successe il fratello Creteo, quindi il figlio Esone, che fu però scacciato
dal fratellastro Pelia. Esone riuscì a salvare dalla persecuzione di Pelia il figlio
Giasone affidandolo al centauro Chirone che lo educasse. Così Giasone crebbe in
una caverna e quando ebbe 20 anni decise di andare a riprendersi la signoria che
gli spettava. Avendo perso un sandalo per strada, si presentò da Pelia con un
piede nudo. Poco prima Pelio era stato avvertito di guardarsi dallo straniero con
un sandalo solo. Così, sospettoso, non osando ricorrere ad una violenza esplicita,
decise di affidargli qualche impresa impossibile. Quindi gli disse che avrebbe
ceduto la signoria di Iolco se fosse riuscito a riportare dalla Colchide il vello d’oro.
In realtà un’altra leggenda dice che lo spirito di Frisso tormentava il paese, perché
al momento della morte non aveva ricevuto degna sepoltura, e che non si
sarebbe placato finchè non fosse tornato alla sua patria col vello d’oro.
Giasone allora fece costruire una nave enorme, che chiamò Argo dal nome del suo
costruttore (da cui il termine Argonauti=navigatori della Argo) e con altri 49
uomini valorosi partì. Durante il viaggio agli Argonauti capitarono moltissime
avventure, ma finalmente giunsero al vello. Qui entra in scena Medea, fgilia di
Eeta. Medea si innamorò subito di Giasone e decise di aiutarlo. Il padre promise a
Giasone che gli avrebbe dato il vello se fosse riuscito ad aggiogare due tori che
sbuffavano fuoco dalle narici e avevano gli zoccoli di bronzo e che con essi arasse
un tratto di terreno, seminando denti di drago e combattendo tutti gli uomini
armati che ne sarebbero nati. Medea, che era una maga e sacerdotessa di Ecate,
diede a Giasone un farmaco che lo difendeva dal fuoco dei tori e lui riuscì a
superare tutti gli ostacoli. Quando poi dai denti di drago nacquero gli uomini
armati, su consiglio di Medea, gettò una pietra in mezzo a loro, al che quelli
presero le armi uno contro l’altro e si trucidarono a vicenda.
A quel punto però Eeta, con la scusa che Medea li aveva aiutati, non voleva più
cedere il vello agli Argonauti. Allora Giasone addormentò il drago con una pozione
di Medea, rubò il vello e salpò, portando con sé anche Medea. Eeta mandò subito
gente a inseguirli, ma Medea trovò modo di fargli perdere tempo, facendo a pezzi
un fratellino, Absirto, che aveva portato con sé, e gettandolo via via in mare. Così
gli inseguitori si fermavano a dare onorata sepoltura ai pezzi e i fuggiaschi
guadagnarono terreno.
Giasone, giunto a Iolco, consegnò il vello d’oro a Pelia, ma questi non volle
mantenere la promessa. Allora Medea decise di eliminarlo: convinse le figlie di
Pelia che tagliandolo a pezzi e facendolo cuocere in un liquido da lei preparato, gli
avrebbero restituito la giovinezza. Così le ragazze uccisero il proprio padre.
Rimase però al trono il figlio di Pelia e Giasone e Medea furono costretti a fuggire
a Corinto.
Qui si svolse una nuova tragedia: Giasone aveva deciso di lasciare Medea per
sposare Creusa, figlia del re Creonte. Medea allora per vendicarsi mandò alla
futura sposa una veste e un diadema avvelenati che la uccisero sul colpo. Poi
uccise i figli che lei stessa aveva avuto da Giasone e fuggì ad Atene.
Giasone fu ucciso più tardi dalla prora della nave Argo che gli si sfracellò addosso.

eroidellamitologia.doc 22
IL CICLO TEBANO

Laio, figlio di Labdaco e pronipote di Cadmo, aveva avuto ordine dall’oracolo di


non generare figli, perché suo figlio avrebbe ucciso lui e sposato la madre,
Giocasta. Perciò quando sa moglie rimase incinta e diede alla luce un bambino, lo
fece abbandonare sul monte Citerone. Ma un pastore corinzio, trovato il bambino
lo raccolse e lo portò al re di Corinto Polibo, che non aveva figli. Il re lo adottò e lo
chiamò Edipo (‘dai piedi gonfi’) perché quando era stato abbandonato, gli era
stata passata una corda attraverso le caviglie, che lo aveva menomato. Edipo
crebbe convinto che Polibo e Merope fossero i suoi genitori. Un giorno però,
durante un banchetto, qualcuno fece battute che lo fecero sospettare delle sue
vere origini. Così si recò a Delfi, a consultare l’oracolo, il quale gli disse che
avrebbe ucciso suo padre e sarebbe giaciuto con sua madre. Edipo perciò decise di
non tornare a Corinto e si avviò verso Tebe. Sulla strada, però, si imbattè in un
cocchio che pretendeva che lui si spostasse dalla strada per farla transitare. Sul
cocchio infatti c’era il re Laio che si recava a Delfi, per sapere cosa fare di una
Sfinge che infestava la città, ponendo un enigma e gettando giù da una rupe
chiunque non sapesse rispondere.
Nacque una lite tra Edipo e il cocchiere, in seguito alla quale Laio e il suo seguito
furono uccisi. Una parte dell’oracolo, a insaputa di Edipo, si era già compiuta.
Presso Tebe Edipo incontrò la Sfinge, mostro con corpo di leone e faccia di donna,
mandato da Era, adirata con Laio. Anche a Edipo la Sfinge pose l’enigma: qual è
quell’animale che ha quattro gambe al mattino, due a mezzogiorno e tre alla sera.
Ma Edipo, a differenza degli altri, seppe rispondere: l’uomo, che nell’infanzia
cammina gattoni, da adulto su due gambe e in vecchiaia si aiuta con un bastone.
Edipo ottenne così il premio per chi liberava la città dalla Sfinge (che per la
disperazione si era buttata nel dirupo in cui lanciava chi non sapeva rispondere):
ottenne il trono di Tebe e la mano di Giocasta rimasta ormai vedova. Così, anche
la seconda parte dell’oracolo si compiva.
Edipo e Giocasta vissero insieme molti anni, ignari del loro peccato, e misero al
mondo 4 figli: Eteocle e Polinice, Antigone e Ismene. Dopo qualche tempo una
tremenda pestilenza si abbattè su Tebe e ne seguì anche una carestia. Venne
interrogato l’oracolo che rispose che per mettere fine al male bisognava cacciare
della città l’assassino di Laio. Edipo si dà da fare nella ricerca del colpevole, ma a
un certo punto salta fuori un servo, sfuggito alla strage di Laio, che era poi lo
stesso che aveva esposto sulla montagna il piccolo Edipo. Così si scopre la verità.
Giocasta si impicca e Edipo si acceca.
I Tebani lo obbligano a lasciare Tebe e la Beozia e così egli, accompagnato dalla
figlia Antigone, vaga in cerca di pace, finchè giunge a Colono e qui muore.
Ma la maledizione che gravava su di lui doveva, secondo la tradizione greca,
cadere anche sui suoi figli. Così Eteocle e Polinice che avevano deciso di regnare a
Tebe un anno per ciascuno, cominciano a litigare. Eteocle, giunto il suo turno di
lasciare il trono, si rifiuta. Così Polinice è costretto a fuggire dalla città e si rifugia
presso il re di Argo Adrasto. Qui incontra un altro fuggitivo, Tideo, fuggito da
Calidone. Adrasto dà in spose ai due le sue figlie e si offrì di aiutarli nella marcia
contro Eteocle. È la cosiddetta guerra dei Sette contro Tebe, a cui parteciparono,
oltre ai tre citati (Adrasto, Polinice e Tideo), anche altri 4 eroi: Capaneo,
Ippomedonte, Partenopeo e Anfiarao. Ogni eroe si pose di fronte a una delle sette
porte di Tebe per cingerla d’assedio. Alla fine rimasero, a fronteggiarsi solo
Eteocle e Polinice che finirono con l’uccidersi a vicenda.

eroidellamitologia.doc 23
IL CICLO TROIANO

Si tratta degli avvenimenti relativi alla guerra di Troia e agli eroi che vi presero
parte.
I principali eroi greci che presero parte alla guerra di Troia furono Agamennone e
Menelao, Achille, Aiace Telamonio, Aiace Oileo, Diomede, Nestore e Ulisse.
Vediamoli in brevi cenni:
- Agamennone e Menelao appartenevano alla famiglia dei Pelopidi e
discendevano dal re frigio Tantalo. Questi era un re talmente fortunato e
benvisto dagli dei, che spesso questi li invitavano ai loro banchetti. Ma Tantalo
divenne per questo presuntuoso e maligno, così per mettere alla prova
l’onniscenza divina, uccise suo figlio Pelope e ne fece cuocere le membra per
servirle al banchetto degli dei. Inoltre compì altri atti indegni, come rubare il
cibo degli dei per servirlo ai suoi amici mortali. Ma una volta morto ne ebbe la
giusta punizione; legato a un albero da frutto che si allunga sopra una palude
è continuamente tormentato da fame e sete. L’acqua della palude gli giunge
alla vita e anche al mento, talvolta, ma ogni volta che lui si sporge per bere,
l’acqua si ritira. L’albero è inoltre carico di frutti di ogni tipo, ma ogni volta che
lui allunga una mano, un soffio di vento li fa cadere lontano.
Naturalmente la colpa di Tantalo doveva ricadere sui suoi figli. Pelope fu
richiamato in vita da Ermes e aveva una spalla in avorio, perché durante il
banchetto maledetto, Demetra per sbaglio l’aveva mangiata, perché afflitta
dalla sparizione della figlia Persefone. Pelope capitò a Elide, dove il re Enomao
prometteva la figlia Ippodamia in sposa a chi lo avesse battuto nella corsa coi
cocchi. Pelope aveva dei cavalli alati donatigli da Poseidone e in più conquistò
l’amicizia di Mirtilo, cocchiere di Enomao. Lo convinse a sostituire i cavicchi
delle ruote del cocchio di Enomao, con cavicchi di cera e in questo modo vinse.
Ottenuta in sposa Ippodamia e il regno di Elide, però, non mantenne fede alla
parola data e non diede metà del regno a Mirtilo, bensì lo gettò in mare.
Pelope e Ippodamia ebbero come figli Atreo e Tieste. I due si macchiarono di
fratricidio uccidendo Crisippo che Pelope aveva avuto da un’altra donna (sotto
suggerimento di Ippodamia). Per questo dovettero fuggire con la madre a
Micene, dove alla morte del re, ereditarono il regno. Ma presto nacque una
rivalità tra i due fratelli. Tieste dovette lasciare Argo, ma portò con sé un figlio
di Atreo, Plistene e lo allevò come fosse suo. Quando fu cresciuto lo rimandò
ad Argo perché uccidesse Atreo. Ma fu scoperto e condannato a morte.
Quando però Atreo scoprì di aver fatto uccidere suo figlio, decise di vendicarsi.
Finse di aver perdonato il fratello e lo fece richiamare a corte, coi figli. Allora
Atreo li fece uccidere e con le membra apparecchiò un banchetto per il fratello.
Quando Tieste scoprì l’orrore maledì suo fratello e fuggì in Epiro. Più tardi il
figlio Egisto uccise Atreo e col padre rientrò a Micene, scacciando i figli di
Atreo, Agamennone e Menelao.
Costoro si rifugiarono a Sparta ed ebbero in moglie le figlie del re, Clitennestra
e Elena. Agamennone uccise Tieste, scacciò Egisto e riprese Argo. Menelao
invece rimase a Sparta, dove successe al suocero, finchè Paride, rapendo
Elena, diede inizio alla guerra.

- Achille e Aiace appartenevano alla famiglia degli Eacidi. Eaco era figlio di Zeus
e di una mortale ed era re dell’isola di Egina. Caro agli dei, quando morì andò
accanto a Radamante e Minosse come giudice delle anime.
Suoi figli erano Peleo e Telamone, che anch’essi colpevoli di fratricidio
dovettero lasciare la patria. Peleo si recò in Tessaglia dove il re Eurizione gli
diede in moglie la figlia e una parte del regno. Durante la caccia al cinghiale
Calidonio, Peleo uccise per sbaglio il suocero, così dovette nuovamente
andarsene e si recò a Iolco. Qui Ippolita, moglie del re, si innamorò di lui e

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cercò di conquistarlo. Ma poiché lui le resisteva, lo calunniò col marito. Allora
questi approfittando di un momento di stanchezza in cui Peleo si era
addormentato nei boschi, gli rubò le armi e lo lasciò solo, sperando che i
Centauri lo facessero a pezzi. Ma gli dei lo proteggevano e gli inviarono una
spada magica con cui uccise i Centauri. Tornato in città uccise Ippolita e il re
ed ebbe in moglie una nereide, Teti. Alle nozze parteciparono anche gli dei. Da
questa unione nacque Achille
Telamone, fratello di Peleo, si nascose invece a Salamina, dove il re gli diede la
figlia e il regno. Da Telamone nacque Aiace detto appunto Telamonio

L’altro Aiace era invece figlio di Oileo, che aveva anch’egli, come Telamone, preso
parte all’impresa degli Argonauti.
Diomede era figlio di Tideo, che insieme a Polinice prese parte alla guerra dei sette
contro Tebe.
Nestore partecipò alla guerra di Lapiti e Centauri, alla caccia al cinghiale calidonio
e alla spedizione degli Argonauti. Ai tempi della guerra di Troia era dunque molto
vecchio, ma i suoi consigli furono di grande aiuto.
Ulisse era di Itaca

Per quel che riguarda i principali guerrieri troiani, la famiglia regnante a Troia
traeva origine da Dardano, figlio di Zeus, emigrato in Arcadia e Samotracia e poi
nella Frigia, dove aveva ottenuto dal re Teucro il permesso di fondare una città.
Ebbe come figlio Erittonio, da cui nacque Troo, che diede nome alla stirpe dei
Troiani. Uno dei suoi figli, Ilo, andò vicino allo Scamandro e fondò Ilio o Troia.
Nipote di Ilo fu Priamo, che regnava ai tempi della guerra, con la moglie Ecuba.
Due dei suoi figli erano Ettore, grande guerriero, e Paride che fu causa della
guerra.

Vediamo come scoppiò la guerra:


Eris, dea della discordia, si irritò per non essere stata invitata alle nozze di Peleo e
Teti. Decise allora di vendicarsi. Scrisse su una mela ‘Alla più bella’ perché fosse
data a una delle dee presenti, Atena, Era e Afrodite. Zeus decise che fosse Paride
a scegliere. Era prometteva al giudice ricchezza, Atena sapienza e Afrodite
bellezza. Paride scelse quest’ultima, così che Era e Atena furono sempre nemiche
di Troia.
Durante un viaggio, Paride arrivò a Micene, dove conobbe Elena, moglie di
Menelao. Afrodite, per favorire il suo pupillo, fece innamorare di lui Elena. Siccome
il marito era in viaggio Elena fuggì a Troia con Paride. Menelao ne chiese la
restituzione, ma gli fu negata, così si preparò alla guerra e ottenne facilmente
l’adesione di altri principi greci. A capo della spedizione fu messo Agamennone,
ma poiché aveva ucciso una cerva sacra ad Artemide, questa lo punì mandando
una calma di vento che impediva alla flotta di salpare. Allora l’indovino Calcante
disse che la dea si sarebbe calmata se Agamennone avesse sacrificato sua figlia
Ifigenia. Già la giovane stava per essere immolata quando Artemide la sostituì con
una cerva e la trasportò in Tauride per farla sacerdotessa del suo tempio. Così la
flotta potè salpare.
Durante il viaggio Filottete, tessalo, che possedeva le frecce e l’arco di Eracle, fu
morso da un serpente. Poiché dava fastidio ai compagni, per i lamenti e il fetore
emanato dalla ferita, fu abbandonato su un’isola. Ma tempo dopo si dovette
tornare a riprenderlo, perché un oracolo aveva detto che senza l’arco e le frecce di
Eracle Troia non sarebbe caduta.
La guerra cominciò e si trascinò per 10 anni fra scorrerie e saccheggi, ma senza
che la città fosse presa. Al decimo anno avvenne una celebre contesa tra
Agamennone e Achille. Passando in Asia gli Achei avevano fatta schiava una figlia
di Crise, sacerdote di Apollo, cara ad Agamennone. Crise era venuto a chiedere la

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restituzione della figlia, ma Agamennone lo derise. Allora Apollo irritato mandò sul
campo una grave pestilenza. L’indovino Calcante ne spiegò il motivo e disse che
bisognava restituire Criseide al padre. Agamennone sdegnato disse che avrebbe
accettato se in cambio avesse avuto Briseide, l’ancella di Achille. Così restituì
Criseide al padre e mandò a prendere Briseide. Achille offeso, decise che non
avrebbe più combattuto. I Troiani saputolo cominciarono ad attaccare gli Achei.
Nulla convinceva Achille. A un certo momento il suo migliore amico, Patroclo,
chiese di indossare le armi di Achille per combattere. Sceso in campo i Troiani si
ritirarono, temendo il ritorno di Achille, ma poi si scontrarono Patroclo e Ettore e il
primo fu ucciso. Allora Achille furioso scese in campo e uccise Ettore. Trascinò il
corpo del nemico in giro per il campo di battaglia, ma poi cedette alle preghiere di
Priamo e gli consegnò il cadavere del figlio.
La guerra continuò. Durante un assalto alla porta Scea, una delle principali di
Troia, un dardo scagliato da Paride colpì Achille al tallone, l’unico punto dove non
era immortale. Nacque allora una contesa per chi dovesse portare le sue armi.
Agamennone decise per Ulisse e Aiace Telamonio, che aveva sperato di portarle,
divenne pazzo e si uccise. Ulisse seppe che senza le frecce di Eracle non si poteva
vincere, così tornò a prendere Filottete e proprio una di quelle frecce uccise
Paride. Poi fece costruire il famoso cavallo. Trenta soldati si nascosero dentro,
mentre gli altri bruciavano il campo e fingevano di salpare con la flotta, riparando
invece nell’isola di Tenedo. I Troiani pensarono che il cavallo fosse un regalo degli
Achei che si arrendevano e lo portarono all’interno della città. Di notte i soldati
uscirono dal cavallo e aprirono le porte agli altri che silenziosamente erano tornati.
La città fu presa, Priamo fu ucciso ed Elena fu ripresa da Menelao, che incantato
dalla sua bellezza rinunciò ad ucciderla.

Ma le avventure per gli eroi achei non erano ancora finite. C’era infatti ancora da
affrontare il ritorno, non certo breve, alle rispettive dimore.
- Il destino più tragico fu quello di Agamennone che tornò in patria con
Cassandra, indovina figlia di Priamo. Cassandra aveva il dono della profezia,
ma la sventura di non essere mai creduta. Giunto a Micene Agamennone trovò
la morte per mano di Egisto che era diventato amante di Clitennestra. Oreste,
figlio di Agamennone, durante l’omicidio, fu portato via dalla sorella Elettra e
condotto da uno zio nella Focide. Una volta cresciuto decise di vendicare il
padre. Accompagnato da cugino Pilade tornò a Micene 7 anni dopo, uccise
Egisto e anche la madre, tirandosi addosso in questo modo la persecuzione
delle Erinni che lo inseguivano ovunque andasse. L’oracolo di Delfi gli ordinò di
recarsi in Tauride e di prendere l’immagine di Atena. Giunto in Tauride rischiò
di essere sacrificato, come tutti gli stranieri che vi giungevano, quando la
sacerdotessa Ifigenia, che era sua sorella, lo riconobbe e fuggì con lui. tornato
in Attica con la statua di Atena, fu perdonato e assolto dall’Aeropago.

- Menelao ed Elena furono spinti da una tempesta sulle coste dell’Egitto e


dovettero vagare per 7 anni prima di tornare a Sparta. Ma poi vissero qui
felici.

- Aiace Oileo naufragò a sud dell’isola di Eubea, a causa di una maledizione.


Infatti durante la presa di Troia aveva strappato a forza Cassandra dalla statua
di Atena, nel tempio. Aiace riuscì a salvarsi dal naufragio ed ebbe l’ardire di
dire che si sarebbe salvato comunque, anche a dispetto degli dei. Poseidone
allora con un colpo di tridente ruppe lo scoglio dove si trovava Aiace e lo fece
annegare.

- Ulisse fu certo quello che ci mise più tempo a tornare ad Itaca. Molte furono le
avventure che gli capitarono. Le elenchiamo rapidamente:

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1) Partito da Troia fu sbattuto sulle coste della Tracia dove dovette
combattere coi Ciconi e perse molti uomini.
2) Una tempesta lo portò nella terra dei Lotofagi (mangiatori di loto) nella
Libia. Tre dei suoi uomini assaggiarono il loto e assuefatti non volevano più
partire. Ulisse dovette imbarcarli con la violenza.
3) Nell’estremo occidente incontrò il Ciclope Polifemo. I ciclopi erano un
popolo di giganti che viveva su un’isola badando alle proprie greggi.
Avevano un occhio solo in mezzo alla fronte ed erano carnivori. Ulisse
capitò nella grotta di Polifemo che era figlio di Poseidone. Quando Polifemo
tornò nella grotta, la chiuse con un grosso masso e in questo modo
intrappolò Ulisse e i suoi compagni. Ulisse riuscì a ubriacare il gigante e
quindi ad accecarlo. Il giorno dopo, quando il gigante dovette aprire la
grotta per far uscire il gregge, Ulisse e i compagni fuggirono,
aggrappandosi al ventre delle pecore
4) Ulisse giunse quindi nell’isola Eolia dove Eolo, re dei venti, teneva i venti
chiusi in un antro per scatenarli quando riceveva ordine da un dio. Eolo
regalò a Ulisse un otre con dentro rinchiusi i venti malvagi, così che la nave
sarebbe giunta facilmente a destinazione. Ma mentre Ulisse dormiva i
compagni curiosi aprirono l’otre, liberando i venti malvagi e facendo
allontanare la nave di nuovo verso occidente.
5) Capitarono quindi nel paese dei Lestrigoni, giganti cannibali. Ma Ulisse
riuscì a fuggire.
6) Giunsero quindi all’isola Eea, dove abitava la maga Circe che trasformava
in bestie chi le capitava a tiro. I compagni di Ulisse furono mutati in maiali,
tutti tranne Euriloco che non aveva bevuto una pozione offerta dalla maga
e tornò alla nave ad avvertire Ulisse. Ermes diede a Ulisse un’erba che lo
proteggeva da ogni magia. Allora Ulisse indusse Circe a ridare forma
umana ai suoi amici e potè ripartire. Circe gli consigliò di navigare verso
occidente, oltre l’Oceano, per giungere ai boschi di Persefone e interrogare
l’anima di Tiresia su come tornare a casa.
7) Così facendo Ulisse giunse nella terra dei Cimmeri dove gli comparve
l’ombra di Tiresia e altre anime, fra cui quella di sua madre. Tiresia gli
disse che avrebbe raggiunto Itaca se in Trinacria avesse rispettato le
mandrie di Elios
8) Ulisse passò di nuovo da Circe che gli diede altri consigli per il viaggio.
Poco dopo toccò l’isola delle Sirene che allettavano i viaggiatori col loro
canto, facendoli sbarcare e poi uccidendoli. Ulisse tappò le orecchie ai
compagni con la cera e si fece legare all’albero della nave. In questo modo
sfuggirono alle Sirene e riuscirono poi anche a passare fra i mostri Scilla e
Cariddi, nello stretto siciliano, anche se alcuni uomini di Ulisse furono
uccisi.
9) Ulisse giunse in Trinacria. Qui i suoi compagni presi dalla fame uccisero
alcuni capi della mandria di Elios, sebbene Ulisse glielo avesse vietato. Gli
dei si infuriarono. Quando si rimisero in mare un fulmine di Zeus distrusse
la nave e morirono tutti tranne Ulisse. Lui galleggiò attaccato a una trave
per 9 giorni finchè giunse all’isola di Ogigia.
10) Qui abitava Calipso, figlia di Atlante, che si innamorò di lui e tentò di
convincerlo a restare lì. Ma Ulisse voleva tornare da Penelope. Per 7 anni
rimase lì, col desiderio di partire, finchè gli dei ebbero pietà di lui e
mandarono Ermes a ordinare a Calipso di lasciare andare l’eroe.
11) Sta per giungere a Scheria quando Poseidone gli distrugge l’imbarcazione.
Lo aiuta Ino Leucotea che gli fa raggiungere la riva. Qui è accolto da
Nausicaa, figlia di Alcino, re dei Feaci. Una nave dei Feaci lo riconduce a
Itaca, dopo 20 anni di assenza.

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12) Nella sua casa da molti anni Penelope era perseguitata dai Proci che
aspiravano alla sua mano. penelope riuscì a tenerli a bada per un po’
dicendo che si sarebbe sposata di nuovo quando avesse finito la coperta
funebre per il vecchio suocero, che filava di giorno e disfava di notte. Ma
alla fine i Proci se ne accorsero e la obbligarono a finire l’opera. Lei allora
promise di fissare un giorno in cui avrebbe ripreso marito. Il giorno fissato
era proprio quello in cui sbarcò Ulisse sull’isola. Ulisse si recò dapprima alla
casa del pastore di porci Eumeo, dove incontrò il figlio Telemaco. Penelope
intanto annunciava che avrebbe sposato chi fosse stato in grado di tendere
il grande arco di Ulisse e lanciare una freccia attraverso 12 anelli di ferro.
Ulisse comparve alla gara vestito da mendicante e poiché nessuno dei Proci
era riuscito a tendere l’arco, chiese di provarci lui. vinse entrambe le prove
e quindi uccise i Proci insieme a Telemaco. Quindi si fece riconoscere anche
dalla moglie e visse con lei per gli anni seguenti.

Infine Enea, eroe troiano, fuggì dalla città in fiamme col padre Anchise e il
figlio Ascanio, mentre perse la moglie Creusa. Salpò dalla città e in parte le
sue avventure furono dalla tradizione ricalcate su quelle di Ulisse. A Delo
l’oracolo di Apollo gli consigliò di cercare la patria della sua famiglia e in sogno
i suoi antenati gli indicarono l’Italia, dove giunse dopo lungo peregrinare.
Giunto a Cuma, interrogò la Sibilla, che gli consigliò di scendere nell’Averno
per avere notizie sul suo destino. Quindi riprese il viaggio e giunse alle foci del
Tevere dove il re Latino gli diede la figlia Lavinia in sposa e un territorio dove
fondare una nuova città che chiamò Lavinio.

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VATI, POETI E ARTISTI MITICI

MELAMPO
Presente nelle leggende argive e tessale, era un profeta e si dice che avendo
curato una covata di serpenti a cui erano morti i genitori, essi gli leccarono le
orecchie e in questo modo imparò il linguaggio degli uccelli e a predire
l’avvenire.
Ad Argo guarì le figlie del re Preto e così ottenne una parte del regno.

CALCANTE
A sette anni di età vide Atena che faceva il bagno e la dea, presa dalla rabbia,
lo accecò, ma gli diede in cambio la capacità di predire il futuro. Era in grado di
comprendere il linguaggio degli uccelli.
Altri profeti furono MOPSO, ELENO e CASSANDRA

ORFEO
Era il primo suonatore di cetra e come tale prediletto di Apollo. Cantava così
bene che le piante e le pietre si muovevano nel sentirlo e le bestie selvatiche
diventavano docili. A Zone, in Tracia, un gruppo di antiche querce è ancora
disposto secondo lo schema di una delle sue danze, come Orfeo le lasciò.
Orfeo accompagnò gli Argonauti nella loro spedizione e si dice che con la sua
musica li aiutò a superare molte difficoltà. Tornato, sposò. Un giorno, nei
pressi di Tempe, Euridice incontrò Aristeo, che cercò di violentarla. La ragazza
inciampò e cadendo fu morsa da un serpente e morì. Orfeo prese a piangerla
con canti così dolci che commuoveva anche le pietre. Decise quindi di scendere
negli Inferi per cercare di riaverla. Infatti perfino Ade si commosse al suo
pianto e gli fu concesso che Euridice lo seguisse a condizione che durante il
tragitto Orfeo non si voltasse mai a guardare la sposa, altrimenti l’avrebbe
persa per sempre. Giunto quasi all’uscita dagli inferi Orfeo non riuscì a
resistere, si voltò e perse Euridice per sempre.
Quando il dio Dioniso giunse in Tracia, Orfeo non lo onorò e iniziava invece i
suoi fedeli ad altri misteri e condannava i sacrifici umani che invece
rientravano nel culto di Dioniso. Il dio, adirato, ordinò alle sue fedeli Menadi di
vendicarlo. Così le Menadi fecero a pezzi Orfeo e gettarono nel fiume Ebro la
sua testa che galleggiò, cantando, fino al mare, e fu portata dalle onde
sull’isola di Lesbo. Le Muse in lacrime raccolsero le membra di Orfeo e le
seppellirono ai piedi del monte Olimpo. La sua testa fu invece posta nella
grotta di Antissa, sacra a Dioniso. Da lì profetizzò giorno e notte finchè Apollo
vedendo che i suoi oracoli non erano più frequentati dai fedeli, andò alla grotta
e gridò alla testa di tacere per sempre. Cosa che fece. Anche la lira di Orfeo
arrivò a Lesbo sulle onde e per intercessione di Apollo e delle Muse fu posta in
cielo come costellazione.

LINO
Figlio della musa Urania rallegrava coi suoi canti le zone del monte Elicona. Fu
ucciso da Apollo geloso della sua bravura.

eroidellamitologia.doc 29
TAMIRI
Fu il primo dei cantori antichi ad allietare una corte coi suoi canti. Ma peccò di
superbia e volle gareggiare con le Muse. Per punizione fu accecato e gli fu tolta
la capacità di cantare e suonare.

MUSEO
Introdusse e diffuse l’arte poetica in Attica.

DEDALO
Artista mitico, che lavorò a Creta, in Attica, in Italia e in Sicilia.
Altri due artisti famosi furono TROFOINO e AGAMEDE

eroidellamitologia.doc 30

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