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A TAVOLA CON L’IMPERATORE

<R> è il nome di una ragazza che non esiste.

<R> era a casa con il papà, la mamma, il fratellino e il cane, la notte della Domenica delle
Palme.
Poco prima, quelli della Protezione Civile li avevano esortati a ritornare alle loro abitazioni.
Non era il caso di cedere a facili e stupidi allarmismi diffusi da imbecilli che avevano chissà
quale interesse a diffondere il panico. C’erano decine di scosse al giorno e questo faceva
capire che l’energia si stava sprigionando e non era prevista una spallata.

"" Messaggi scritti nella sabbia del cielo


rendevano labile anche la paura ""

Alle 3.32 “la spallata” li colse nel sonno, ma erano andati a letto vestiti. Quindi presero le
loro cose e scapparono. <R> riuscì appena, nel panico, a mettere in tasca l’IPode e il
cellulare.
Per tre notti dormirono in macchina mentre <R> ripeteva, come in una cantilena
rassicurante, le stesse domande che non trovavano mai risposta.
“Che succederà, che succederà. Mamma, dimmi che non succederà mai niente”.
Poi trovarono una sistemazione in tenda da otto dividendola coi loro vicini di pianerottolo.
Quattro brande alla loro famiglia e a <R> toccò anche un armadio di plastica e un
comodino.
Tornarono a casa per prendere le prime cose e la terra ancora tremava.
Non ci fu il tempo per guardare tutto con attenzione. Eppure <R> sapeva che le sue cose
non le avrebbe viste forse più.
Ma la terra tremava.

http://www.youtube.com/watch?v=E10K73GvCKU

"" Non c’è mai il tempo per trasformare le nubi in coscienza.


Il messaggio bucava l’anima ""

Prese il portatile il cavo e qualche vestito, qualche indumento intimo. Le coperte.

Il suo diario, i suoi libri (studiava ingegneria civile), le sue letture, il suo bicchiere per la
notte, le foto dei suoi ex, i poster, i suoi CD e tutti i suoi film, la vecchia TV che si era
portata in camera, lo stereo, Dolly la bambolina che l’aveva accompagnata nella sua
crescita. E il posto solito dove si metteva il cane. La sua stilografica, i suoi vestiti, quello
buono per quando si sarebbe laureata (ancora mai messo), e le sue creme, le lettere, le
chiavi del suo amatissimo motorino, il salotto buono e quello moderno dove troneggiava
un grande plasma ricoperto di polvere, i lampadari, le argenterie e le foto dei cari defunti
che la mamma teneva sul comodino per custodirne il sonno e che –forse- avevano messo
una mano su di loro e li avevano salvati.
La porta di casa si chiuse su tutto questo e sull’incertezza di riprendere la loro vita.
Ma erano loro, erano vivi, il cane stava bene. Sotto i piedi la terra tremava e <R> non ci
pensò poi tanto.

"" Il pensiero è sfatto,


è la pena più grande,
anche se strapparsi di dosso gli oggetti è doloroso,

bisognava andare ""

Solo, le si fermò il respiro in gola quando scesero giù al livello dei box e videro che il
palazzo era completamente imploso. Era sceso di due piani sulle fondamenta. Il suo
motorino non esisteva più.

"" Il suono delle macchine è come il calcare dell’acqua che sgorga singhiozzando sui
pregiudizi,
le isole libere della mente vogliono restare tali.
A graffi per difendere questo diritto sacrosanto.
E la trivella continuava a lavorare imperterrita e insopportabile ""

La vita del campo aveva la sua regola:


Non si fa niente.
Non c’era lavoro, non c’era da aiutare, non c’erano i libri per distrarsi studiando, non c’era
un negozio, un posto, un bar dove andare. Non c’erano impegni.
E <R> capì che la vera essenza della vita non sta nei grandi episodi che ci capitano (amori,
abbandoni, matrimoni, separazioni, feste, cerimonie, nascite, morti), ma in una cosa molto
più banale, della quale ci lamentiamo sempre: il FARE.
E’ quando sei privata del FARE che il mondo ti crolla addosso. Il FARE ti aiuta a superare
anche le più dolorose separazioni, rallenta e placa la tua ansia quando accadono le cose
belle e tu vorresti uscire dal mondo e entrare in quella bolla fantastica di vita che dura
sempre poco, perché il FARE preme.
E questo FARE si manifesta nei modi classici che noi definiamo routine. Appuntamenti,
scadenze, corse in auto da un posto all’altro, ricerca frenetica del parcheggio poi del
grattino e così via.

Era seduta fuori alla sua tenda e guardava tutti gli “Altri” che si occupavano di loro.
Quelli delle Protezione Civile, i Vigili del Fuoco, gli Alpini, i volontari della mensa e i
gruppi di operai venuti apposta da fuori per costruire le Newtown che avrebbero
ridisegnato le città.
Tutt’intorno un gran rumore. Martelli, richiami, voci, trapani, autocisterne, camion.
Loro lì. Fermi. Immobili.
Persi.
Ostaggi.

C’era anche l’ambulanza-clown, il libro-bus, quelli delle Associazioni teatrali che gli
proponevano di diventare attori di una bella commedia dell’arte; così, giusto per svagarsi
un po’.
Venivano restavano tre giorni poi andavano via.
Ogni tanto, un ragazzo sedeva vicino a lei e diventavano amici. Poi lui andava via, con gli
occhi tristi e il cuore gonfio di orgoglio per la sua azione di carità.

Ogni tanto ci provavano a riunirsi per guardarsi in faccia e chiedersi: “Cosa è successo?
Cosa dobbiamo, possiamo fare anche noi, fosse solo per sentirci ancora una volta vivi ….”.
Ma, puntualmente venivano i Carabinieri e scioglievano l’assemblea.
“Ma, che c’è di illegale? Eh? Stiamo solo parlando..”
“Assemblea sciolta, divieto di assembramento,
Legge Speciale,
Stato di Emergenza,
Calamità Naturale”.

"" Tu non pensare che io non ti conosca,


so che quando fai l’amore sei disincantato,
come il biglietto timbrato del metrò.
La tua sete è come la spada che mi trafigge i sensi ""

A volte incontrava il suo ragazzo, in un altro campo e facevano l’amore. Ma non avevano
niente da raccontarsi e l’amore non viene bene se non hai una storia da dirti.
Tornava a sedersi fuori alla sua tenda a guardare il niente.

Fu così che, quando giunse la notizia che cercavano delle hostess per il G8 lei prese la sua
decisione.
Di prima mattina, <R> si veste con le sue cose migliori e si reca al luogo fissato per i
colloqui.
Al cancello le sbarrano il passo degli agenti. Lei dice dove deve andare e la fanno passare.
Il posto è bellissimo. Un altro universo. Un mondo parallelo e sconosciuto.
Silenzio.
Pace.
Viali nuovissimi, appena asfaltati e larghi con piante già grandi e fiorite. Aiuole di prati
talmente perfetti che ci puoi giocare a polo. Poi giardini, panchine, fontane, statue,
sculture, gazebo.
E, ogni tanto, macchinine elettriche che passano senza produrre suono.
E poi, silenziosi e invisibili, come fantasmi, giardinieri trentini, emiliani, lombardi.
E segnaletica stradale bianca candida come l’abito della sposa.
Le sembra che la stessa materia sia differente. Mancano la polvere, i calcinacci, le macerie.
Dove sono le macerie?
Al gazebo non ha nessuna difficoltà a farsi assumere. Non solo è bellissima, ma è anche
piena di grazia, femminilità.
Le danno un vestito confezionato in busta, una scatola con delle scarpe e l’appuntamento
per il giorno dopo. Ore 9.00. Un pass.

Al mattino presto <R> si sveglia al suono del suo cellulare che lei nasconde sotto il cuscino,
per non disturbare gli altri che dormono.
Si alza e va nel container centrale dei bagni condivisi.
“Docce Donne” dice il cartello.
Poi si veste: calze sottilissime e leggere, gonna a tubino tipo hostess d’aereo, abbastanza
stretta, generosamente corta, camicetta bianca con cravattino e giacca a doppio petto, con
ampia scollatura.
Alla parete esterna dei bagni c’è la fila dei lavandini e lei lì si trucca con gusto e senza
esagerare.

"" Il mistero è sempre dietro l’angolo,


ai margini dei sentieri della curiosità,
nel delirio assoluto delle grida.
Chissà cosa è rimasto del pugno di terra stretto tra le dita ""
...

Si reca al G8.
Alle nove prove tecniche.
Prove generali. Tutto pronto.
La direttrice le allinea. Sono tante, tutte giovanissime.
L’emozione tende i loro corpi come corde, spezza i loro respiri. Gli occhi di ciascuna
brillano dalla gioia e la pelle è luminosa, radiosa.
Sorridono.
Arrivano le prime auto. Delegazioni.
“Ragazze, attenzione! Ferme!!”
Poi, finalmente il personaggio tanto atteso. Il nostro Premier.
Tutte si irrigidiscono sull’attenti e guardano avanti. Insieme disegnano il perimetro di un
lato del lungo tappeto rosso che fa da guida all’interno. L’interno è vietato e <R> ne ha solo
una vaga idea che somiglia a qualcosa tipo hotel 5 stelle, super lusso executive ecc …
La incuriosisce un pannello con una carta pergamena vergata a mano, ma non riesce a
vederne il contenuto.

Il nostro Primo Ministro esce dall’auto, passa in rivista le ragazze, soffermandosi avanti ad
alcune.
Le saluta, ci scherza da vero uomo che conosce bene le donne e ne sa apprezzare la
bellezza, il fascino. Le carezza, le tocca.
Poi torna dalla direttrice, sorridente e fiero.
Arrivano i delegati e le ragazze vedono sfilare avanti ai loro occhi i Grandi del mondo e i
loro segretari, portaborse, traduttori, maggiordomi.
Il Premier li accoglie, li accompagna dentro.
Poi esce ad attenderne altri.

"" Profezia e profumo di quelle viole aggrappate a foglie di limone,


meglio pensare a qualcosa di rilassante,
bergamotto e rosmarino, forse ""

La tensione è altissima, ma arriva alle stelle quando giunge la notizia che LUI è arrivato. E’
giunto all’aeroporto e adesso sta scendendo e prendendo posto nella auto ammiraglia.
E’ l’uomo più potente della terra.
Mr. Obama sta per arrivare.
La faccia del nostro Primo Ministro si fa tesa, cupa. Controlla tutto. Ogni cosa deve essere
perfetta e la direttrice diventa isterica.
“Ragazze, ferme, immobili, mani sui fianchi, sguardo teso testa in avanti non guardate di
lato. Mai!”
Giunge la limousine e <R> non può muovere la testa. Ma sforzando un poco lo sguardo
riesce ad averne una fugace visione.
E’ un bellissimo uomo, atletico, elegante, accompagnato dalla moglie.
Il Capo del Governo gli si avvicina sorridente e lo saluta come se fossero vecchi compagni
di scuola e Obama quello intelligente, che gli passava i compiti.
Grandi manate sulle spalle, affacci generosi alla scollatura della sua signora (non graditi al
Presidente).

Il Presidente Usa entra nel corridoio e, saputo che le ragazze sono del posto, vuole
trattenersi con qualcuna di loro. Si ferma, conversa in perfetto inglese.
L’Italiano si oscura.
Non previsto dal protocollo. Assolutamente non previsto.
Già 20 secondi di attenzione deviata da lui, verso una semplice sciacquetta.
Poi procedono.

Obama si ferma avanti a <R> e le porge la mano.

"" Vien voglia di ritrarre la mano e in un nanosecondo il presente,


il passato,
il non futuro,
il libero pensiero,
il lupo che scappa dal branco,
la strage,
la tristezza,
il suolo dove qui si muore,

qui si muore … ""

Ora, con tutte e due le tue mani perse dentro le mani di DIO e con gli occhi direttamente
nei suoi, non è che ti viene di parlargli della tua bambola, del tuo amatissimo motorino
schiacciato dalle macerie, del tuo vestito per la laurea, dei tuoi studi interrotti, della tua
casa, del matrimonio sfumato proprio a causa del terremoto che ti ha tolto ogni vitalità e
tutti i progetti per il futuro.
Che ti ha rubato i sogni. Che si è preso l’amore.

Non è che puoi dirgli (a DIO), quando ti guarda così, che non sei mai riuscito a piangere, a
raccontare niente, a dormire la notte. Non gli puoi dire che ti dondoli in continuazione su
quella pietra, fuori della tua tenda e in testa ti rimane il motivetto, quella canzone scema
per allontanare l’ossessione dei pensieri cattivi.
Così, quando il Presidente Usa le chiede: “How’re you?”, chiamandola per nome <R>
riesce a rispondere soltanto: “Very well, Sir, Thank you so much.”

Il nostro Premier con il volto nero (sono ormai quasi 2 minuti che non è il centro della
scena), lo prende per un braccio, lo strattona violentemente e lo richiama al protocollo.
Tenendolo a braccetto, come un vecchio compagno d’armi, entra con lui nella penombra
dei saloni.
Poco dopo la direttrice scioglie la parata.
“Molto bene ragazze, adesso andate tutte a cas … Sì, cioè, insomma, andate a mangiare,
riposatevi e ci vediamo di nuovo alle sei”.
<R> trova il coraggio di chiederle di dare un’occhiata alla pergamena.
Ottiene il permesso, si avvicina e legge:
--
G8 L’Aquila, giorno di apertura dei lavori.
Menù a pranzo:
In stile prevalentemente abruzzese:

- Aperitivo e brindisi, con vini che provengono da fuori Abruzzo:


Garganega Marani e Giulio Ferrari Riserva del Fondatore.

- Si prosegue nel percorso culinario, rigorosamente locale:


Pomodoro tiepido con giuncata di Rivisondoli e basilico.
Maccheroncini alla chitarra con ragù all’abruzzese.
Vitello in crosta con tartufo estivo delle Colline del Sangro e patate al forno, mazzetti di
fagiolini e melanzane farcite.

E ancora, verranno serviti:


- Capretti e maiali della provincia dell’Aquila.

Senza dimenticare:
- i famosi spiedini, gli arrosticini.

Ovviamente, non mancheranno


- formaggi tipici abruzzesi.

E dulcis in fundo:
- La Cupola di Collemaggio, tributo alla Basilica dell’Aquila gravemente danneggiata dal
sisma.
--

"" Ovviamente non mancheranno le maschere nei piatti,


giro di forchette sospese e penombra d’universo.
Com’è facile adesso usare la fantasia ""

"" A mani nude,


ogni giorno lo stesso pensiero:
Tutte le lezioni che ci fanno dalla tv su come essere più sexy,
vivere meglio,
più ricchi … e intanto qui si muore,

qui si muore ""



<R>torna al campo, rientra in tenda, si sveste, posa gli abiti con cura sul letto, va al
padiglione docce.
Si rinfresca poi mette su un camicione fresco e comodo e va verso l’unica mensa, ospitata
sotto un tendone azzurro.
Il vetro del banco è reso opaco dai vapori del cibo e su un cartello dattiloscritto è segnata la
scelta.

Mozzarella, stracchino, pomodori.


Riso all’insalata, pasta in bianco.
Pane, acqua, pera.
Vassoio con posate, bicchieri e piatti di plastica, tovaglietta e tovagliolo di carta.

Sceglie, pasta in bianco e mozzarella.


Deve tornare al G8 e vuole mantenersi leggera.

http://www.youtube.com/watch?v=7f5DNpB91C8

A L’Aquila per il G8 sono stati spesi più di due miliardi di euro.


I lavori per il terremoto sono stati sospesi.
Le telecamere di tutto il mondo hanno ripreso il nostro Primo Ministro sorridente che
accompagnava a passeggio i suoi ospiti.

"" Volti segnati dalla musica lenta che arriva da chissà dove,
volti spaccati dall’espressione grigia delle dimore in cui siamo nati muti
e rimasti mutilati
e ancor più muti ""

Una passerella dei Grandi della Terra, tra le rovine di una città italiana.

versi di Silvia Denti


mimmo bencivenga

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