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COMMENTO DE LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA

"La Ragion Pura deve attenersi al sensibile,


la Ragion Pratica deve astenersene!"

La ragion pratica consiste nella capacit di determinare la volont e lazione morale


senza lausilio della sensibilit. Lo scopo della "Critica della Ragion Pratica" quello di
criticare la ragion pratica che pretende di restare sempre legata solo allesperienza. La
ragion pratica empirica non pu, da sola, determinare la volont; vi quindi il
recupero della sfera "noumenica" inaccessibile teoreticamente, ma accessibile
"praticamente". Quanto appena detto mostra la capacit della Ragione di farsi
"pratica" per lazione.

Tesi fondamentali

Fondamento delletica = c una legge morale con valore universale (tale affermazione
immediatamente evidente: un "fatto della ragione")

La legge morale universale, quindi non pu essere ricavata dallesperienza: "a


priori". (La ragione sufficiente "da sola" - senza impulsi sensibili - a muovere la
volont)
La legge morale "razionale" nel senso che deve valere per luomo in quanto essere
ragionevole (non solo perch conosciuta dalla ragione)
La legge morale non unesigenza che luomo segue per necessit di natura; quindi
deve essere un "imperativo" (cio una necessit oggettiva dellazione; tale principio
pratico valido per tutti).

Vi sono due tipi di imperativo:

- Imperativo ipotetico = subordina il comando dellazione da compiere al


conseguimento di uno scopo (es.: "Se vuoi essere promosso devi studiare"). Tali
imperativi sono oggettivi solo per tutti coloro che si propongono quel fine; da tali
imperativi derivano ledonismo e lutilitarismo.

- Imperativo categorico = comanda lazione in se stessa (es.: "Devi perch devi"). La


norma morale deve essere un imperativo categorico, cio la tendenza ad un fine deve
essere comandata da una legge morale.

La legge morale un "imperativo categorico" (anzi, leggi morali sono "solo" gli
imperativi categorici), quindi il suo valore non dipende dal suo contenuto, ma dalla sua
"forma" di legge; la sua "forma" di legge l"universalit" (devi perch devi).

Limperativo categorico pu essere formulato cos:

"Agisci in modo che la massima della tua azione (soggettiva) possa diventare legge
universale (oggettiva)"

"La nostra moralit dipende non dalle cose che vogliamo, ma dal principio per cui le
vogliamo"; principio della moralit non il contenuto, ma la "forma": questo il
"formalismo" kantiano.

Il Bene ci che comandato dalla legge morale. La legge morale non dice: "fa il
bene", ma "segui la legge morale". Non morale ci che si fa, ma lintenzione con cui
lo si fa; la legge morale "morale" perch mi comanda in quanto legge.
La legge morale deve avere valore per se stessa; la volont autonoma, ossia d a s
la sua legge. Vi quindi assoluta autonomia della volont nel suo auto-determinarsi.
Tutte le morali che si fondano sui "contenuti" compromettono lautonomia della
volont: "lunico principio della moralit consiste nella indipendenza da ogni materia
della legge". Non si deve agire per la felicit, ma unicamente per il puro dovere ( il
rovesciamento delletica eudaimonistica).
Chi deve fare una cosa, deve poterla fare: devi, dunque puoi; puoi perch devi. Se la
volont ragionevole d a s la sua legge, vuol dire che non la riceve da altri, ossia che
libera. Il "darsi" un dovere implica la "libert"; la condizione perch sia possibile un
imperativo categorico che la volont sia libera.
La libert postulata dal carattere formale della legge: prima conosciamo la legge
morale, poi inferiamo da essa la libert come suo fondamento.

Legge morale = "ratio cognoscendi" della libert


Libert = "ratio essendi" della legge morale

cos avvenuto il recupero del mondo noumenico che sfuggiva alla "ragion pura";
l, il mondo noumenico era presente solo come esigenza ideale, era l"uso regolativo"
della ragione; infatti anima, mondo e Dio indicavano allIntelletto solo una direzione di
ricerca. Ora il mondo noumenico recuperato nei "postulati della ragion pratica". I
"postulati" non sono nientaltro che presupposti "pratici" che non ampliano la
conoscenza speculativa, ma danno alle Idee della Ragione speculativa una realt
oggettiva, autorizzano perci la possibilit di alcuni concetti. Tali postulati si devono
ammettere per spiegare la "legge morale"; se non li ammettessimo non si
spiegherebbe la legge morale, ma le legge morale un "fatto" innegabile, quindi i
"postulati" hanno realt oggettiva. I "postulati" sono tre.

I postulato Libert
condizione della "legge morale"

II postulato - Esistenza di Dio


la legge morale mi comanda di essere virtuoso, quindi sono "degno" di essere felice; si
postula quindi lesistenza di Dio che ha il compito di far corrispondere in un "altro"
mondo quella felicit che compete al merito (non realizzabile in "questo" mondo)

III postulato - Immortalit delluomo


un processo continuo ed richiesta, ma non accessibile in questo mondo, per
avvicinarsi sempre pi alla "perfetta adeguatezza della volont alla legge morale" (la
santit il raggiungimento di tale perfetta adeguazione)

La ragion pratica ha dunque "riempito" quelle esigenze della ragion pura dando loro
"realt morale". Il "noumeno" teoreticamente inconoscibile; pu quindi avere solo
realt pratica. Kant, a questo punto, ha dunque riconosciuto due facolt:

Intelletto - facolt conoscitiva teoretica = dominio della ragion pura che non pu
rappresentarci gli oggetti come sono in s, ma solo come fenomeni;
Ragione - facolt pratica = pu rappresentare gli oggetti come cosa in s
(soprasensibili), ma non li pu conoscere teoreticamente, pu darli solo realt pratica.

Fra il mondo fenomenico della "Critica della Ragion Pura" (realt come appare allo
spirito umano) e il mondo noumenico della "Critica della Ragion Pratica"
(apparteniamo al mondo delle cose in s solo come soggetti morali) c un "abisso
immenso".
Con sommo bene Kant indica la coincidenza di virt e felicit, quella coincidenza di
cui in questo mondo non si fa affatto esperienza. Affinch il comando della ragione
abbia senso bisogna dunque supporre una rimunerazione in un'altra vita da parte di
chi sia il sommo bene sussistente: Dio. Ci non significa affatto che la ragione pratica
possa dimostrare l'esistenza di Dio, mentre ci impossibile a quella speculativa
(sarebbe un controsenso): ma piuttosto che l'esistenza di Dio non la posso dimostrare
(cio conoscere speculativamente) ma la debbo supporre (cio ammettere
praticamente). Celeberrima la conclusione della Critica della ragione pratica
(probabilmente ispirata al Salmo 19):

Due cose riempono l'animo con sempre nuovo e crescente stupore e venerazione,
quanto pi spesso e accuratamente la riflessione se ne occupa: il cielo stellato sopra di
me, e la legge morale in me . Entrambe le cose non posso cercarle e semplicemente

supporle come fossero nascoste nell'oscurit o nel trascendente, al di fuori del mio
orizzonte; io le vedo davanti a me e le collego immediatamente con la coscienza della
mia esistenza. Il primo comincia dal luogo che io occupo nel mondo sensibile esterno,
ed estende la connessione in cui mi trovo nell'infinitamente grande, con mondi sopra
mondi e sistemi di sistemi, e inoltre nei tempi illimitati del loro movimento periodico,
nel loro inizio e nella loro continuit. La seconda comincia dalla mia invisibile identit,
la personalit, e mi pone in un mondo che possiede vera infinit, ma di cui si pu
accorgere solo l'intelletto, e con il quale (ma grazie ad esso anche con tutti quei mondi
visibili) io non mi riconosco, come l, in una connessione puramente accidentale, ma
in una necessaria e universale. Il primo sguardo di una innumerabile quantit di mondi
per cos dire annienta la mia importanza, che quella di una creatura animale, che
dovr restituire ai pianeti la materia da cui sorta, dopo essere stata dotata per breve
tempo (non si sa come) di forza vitale. Il secondo al contrario innalza infinitamente il
mio valore, che quello di una intelligenza, grazie alla mia personalit, nella quale la
legge morale mi rivela una vita indipendente dall'animalit e anche dall'intero mondo
sensibile, perlomeno quanto pu essere dedotto dalla destinazione finale della mia
esistenza attraverso questa legge, che non limitata alla condizioni e ai confini di
questa vita, ma si estende all'infinito. Per, stupore e rispetto possono s spingere alla
ricerca, ma non sostituirne la mancanza. ... (Ragione pratica, A 287-290).

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