IL PCI AL GOVERNO NEL '44-47

La situazione sociale e politica nel '44.

La decisione del PCI di entrare nel governo nel marzo del '44 colse di
sorpresa tutti gli osservatori politici e gran parte della base del partito
(peraltro estremamente inesperta: il PCI stava passando dai 6.000
iscritti nel' 43 ai 400.000 del dicembre del' 45, che diverranno addi-
rittura 1.700.000 nell' aprile del' 46, con un afflusso di giovani entu-
siasti ma totalmente scollegati da ogni tradizione del movimento ope-
raio, come conseguenza di vent'anni di fascismo). Il ritorno di To-
gliatti dall'URSS, preceduto il 14/3/'44 dal riconoscimento a sorpresa
del governo Badoglio da parte del governo sovietico, impose (con il
prestigio del "capo" su cui già si era creato un mito e un culto, e che
era soprattutto circondato dall'aureola di rappresentante del paese
della rivoluzione...), in meno di una settimana, le decisioni che passa-
rono poi alla storia come "svolta di Salerno". Il PCI entrava a raffor-
zare il fragilissimo governo del maresciallo Badoglio (vecchio resi-
duato fascista entrato in conflitto col regime prevalentemente per be-
ghe interne alla casta militare). L'elemento che piti colpi e turbò la
base comunista e soprattutto quella del PSI e del Partito d'Azione fu
la rinuncia alla pregiudiziale repubblicana; ma in realtà il PCI faceva
una scelta ancora piti grave: non solo accettava che per tutta la durata
del conflitto mondiale l'Italia rimanesse sotto la dinastia sabauda, che
tante colpe aveva accumulato aprendo la strada al fascismo e prepa-
rando la guerra, ma si impegnava soprattutto a non mettere in discus-
sione il futuro assetto sociale dell'Italia, la restaurazione capitalistica,
la ricostruzione dello Stato borghese.
Uno storico non sospettabile di essere influenzato da schemi estremi-
stici ha cosi descritto recentemente quel periodo:
"La situazione presentava tutte le caratteristiche dei momenti prerivoluzionari; il
Paese era per metà distrutto, le condizioni economiche si presentavano disastrose e
su una parte della popolazi~ne gravava lo spettro della fame, milioni di uomini era-

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 no senza prospettive di lavoro; mentre il vecchio Stato monarchico-fascista si era
disintegrato con la sconfitta militare e con esso l'esercito, la classe operaia del set-
tentrione, dietro la spinta della lotta antifascista, aveva raggiunto un alto grado di
( tensione rivoluzionaria. A differenza del 1919-20, esistevano (...) i quadri sufficien-
temente preparati a dirigere uno sforzo rivoluzionario. Ma per lo scoppio di un ten-
) tativo insurrezionale mancava un fattore decisivo: la volontà dei capi che avrebbe-
I ro dovuto dirigerlo" 1.
Il PCI in una situazione di questo tipo si impegna a fondo, prima nel
governo Badoglio, poi nei due governi Bonomi (nel secondo rifiutano
invece di entrare i socialisti e azionisti, per dissenso rispetto ai criteri
larghissimi con cui veniva impostata l'epurazione, recuperando la
quasi totalità dell'apparato statale fascista! poi, dopo la Liberazione,
nel breve governo Parri, che sembra raccogliere la spinta del ' 'vento
del Nord" (un maggiore rapporto con il CLNAI e piu in generale con
la problematica delle grandi città industriali) e contro cui si scatena
una campagna isterica da parte di tutte le componenti di destra. Il
PCI sarà accusato allora e successivamente di tiepidezza verso il go-
verno Parri, che indubbiamente non difese troppo. Analogo atteggia-
mento ebbe il PSI, che per bocca di Morandi salutò nella crisi e nel
nuovo gabinetto De Gasperi, che lo sostitui, un progresso delle sini-
stre. Togliatti esaltò addirittura come una rottura di una tradizione
reazionaria e un fatto storico di grande importanza positiva l'avvento
di un cattolico alla presidenza del consiglio. Ma al termine dei tre an-
ni di fedele collaborazione, lo Stato borghese, che nel 1945 usciva
frantumato dalla guerra, dalla divisione del Paese in due, dall' esisten-
za di due governi contrapposti e per giunta sottoposti a pesanti condi-
zionamenti stranieri, dallo scioglimento come neve al sole dell'eserci-
to dopo 1'8 settembre, dall'esistenza di consistenti embrioni di duali-
smo di potere nelle zone partigiane e nelle fabbriche, era stato nel
frattempo ricostruito ed era pronto a riprendere in pieno la sua fun-
zione repressiva nei confronti della classe operaia, dei partigiani, di
quegli stessi partiti che pure avevano avuto un ruolo determinante
non solo nella resistenza, ma anche nella restaurazione capitalistica, e
che, una volta esaurito il loro compito, venivano gettati via come li-
moni spremuti.
Le motivazioni della partecipazione al governo
La partecipazione al governo fu decisa non senza l'opposizione di set-
tori consistenti del partito. Inizialmente la resistenza si concentrò so-
1 G. Mammarella, L'Italia dopo il fascismo: 1943-73, Il Mulino, Bologna, 1974, p. 106.
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prattutto sulla questione istituzionale, anche perché il PCI si era im-
pegnato a fianco agli altri partiti antifascisti nell'opposizione alla mo-
narchia e al governo Badoglio; ma gli argomenti per respingere que-
ste obiezioni erano relativamente semplici ed efficaci: in una situazio-
ne di sfacelo, di emergenza, sull'orlo della catastrofe nazionale, col
pericolo ancora aperto di una vittoria nazista (anche se l'apertura del
secondo fronte proprio nel '44 allontanava sempre piu questa pro-
spettiva), impongono che tutti gli sforzi si concentrino sull'obiettivo
piu urgente, accantonando per il dopoguerra le altre questioni di as-
setto istituzionale e anche di definizione dei rapporti tra le classi.
"La classe operaia non è mai stata estranea agli interessi della Nazione. Guardate al
passato, ricordatevi come agli inizi del Risorgimento nazionale, quando esistevano
soltanto piccoli gruppi di operai distaccati gli uni dagli altri e ancora privi di co-
scienza di classe e di una ricca esperienza politica, questi gruppi dettero i combat-
tenti phi eroici per le lotte di massa che si svolsero nelle città e nelle campagne per
liberare il paese dal predominio straniero. Operai e artigiani furono il nerbo dei
combattenti delle cinque giornate di Milano... nelle legioni di Garibaldi... dovun-
que ci si battesse per la libertà e l'indipendenza del Paese. Noi rivendichiamo que-
ste tradizioni... La bandiera degli interessi nazionali, che il fascismo ha trascinato
nel fango e tradito, noi la raccogliamo e la facciamo nostra...' '2.
Rivendicando questo modello di subordinazione di singoli operai agli
interessi della nascente borghesia italiana, molto efficace su persone
educate da decenni di retorica patriottica, Togliatti chiama a confer-
ma della sua proposta anche i grandi maestri del socialismo, di cui as-
serisce di seguire l'esempio:
"Siamo sulla linea della dottrina di Marx ed Engels, i quali mai rinnegarono gli inte-
ressi della loro nazione, sempre li difesero, tanto contro l'aggressore ed invasore
straniero, quanto contro i gruppi reazionari che li calpestavano... Siamo nella linea
del grande Lenin, il quale affermava di sentire in sé l'orgoglio del russo... Non vi di-
ce nulla il fatto che sia proprio l'Unione Sovietica, il paese del potere proletario e
del socialismo, quello che dà l'esempio a tutti gli uomini liberi del mondo di unirsi
e combattere per salvare la patria ed il mondo intero dalla barbarie hitIeriana?"3.
In base a queste considerazioni, per impegnarsi a fondo nella guerra
di liberazione nazionale e "antitedesca" (spesso la caratterizzazione
in chiave nazionalistica prevale su quella antifascista), diventa logico
accantonare ogni preoccupazione di parte ed entrare direttamente nel
governo, per superarne i limiti, lavorando al suo interno:
"Mentre sembrava all'inizio che si potesse arrivare rapidamente e senza troppe dif-
ficoltà alla creazione di un governo democratico e antifascista di guerra, a poco a
2 Togliatti, rapporto ai quadri della organizzazione comunista napoletana su La politica di unità na.
zionale dei comunisti, 1114/44, in P. Togliatti Per la salvezza del nostro paese, Einaudi, Torino, 1946, p.
111.
3 Ibidem, pp. 112-3.
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 poco si è venuta creando, in seguito, una scissione, la quale è diventata sempre piu
profonda, tra due campi opposti, nell'uno dei quali si trovano i partiti democratici e
liberali, nell'altro il governo attuale con gli elementi che lo sostengono... se si vuole
uscire dalla situazione in cui l'Italia non è in grado di fare uno sforzo di guerra ordi-
nato e serio, bisogna superare questa scissione"4.
Oltre al riferimento costante all'URSS (Togliatti ricorda piii volte, in
quello come in tutti i discorsi di quel periodo, di essere appena giunto
da quel grande e invincibile paese), ritorna anche il modello (non del
tutto felice) della partecipazione dei comunisti al governo di Fronte
Popolare in Spagna senza reclamare posti dirigenti. Anche per il do-
poguerra, Togliatti accenna a un programma non socialista, ma de-
mocratico e progressivo, basato su una Assemblea nazionale costi-
tuente e sulla libertà per tutti, compresa
"la libertà della piccola e media proprietà di svilupparsi senza essere schiacciata dai
gruppi avidi ed egoisti della plutocrazia5" .Questa nuova democrazia dovrà mettere
fuori legge ogni residuo di fascismo e dovrà inoltre prendere delle misure per estir-
pare le radici da cui sorse il fascismo nel passato e da cui potrebbe risorgere in futu-
ro"6.
Le misure concrete saranno una riforma agraria che distrugga i "resi-
dui feudali" e imprecisate misure per mettere "nell'impossibilità di
nuocere... i gruppi plutocratici, i quali sono i responsabili della in-
staurazione in Italia del regime fascista e gli autori diretti della cata-
strofe nazionale odierna"7. .
È evidente l'ambiguità e contraddittorietà di queste formulazioni: è
impossibile" estirpare le radici del fascismo", se intanto si è deciso di
collaborare con i partiti e le forze capitalistiche, a patto che si siano
date una riverniciatura antifascista (cosa che non mancheranno di fa-
re praticamente tutti i massimi responsabili dell'avvento del fasci-
smo, ottenendo dalle componenti borghesi e conservatrici della Resi-
stenza attestati che permetteranno a tutti i capitalisti di "riciclarsi",
sfuggendo a commissioni di epurazione e a ogni inchiesta sui profitti
di regime!. E come distinguere e saparare i "plutocrati" dal resto del-
la classe capitalistica? Come dare concretezza alla distinzione tra "ca-
pitalisti democratici" o anche "onesti" e quelli "egoisti" e "reaziona-
ri"? In realtà la mistificazione principale sta già nell'attribuire alla ri-
voluzione italiana compiti democratici, di superamento di residui
I feudali, di sacche di arretratezza, dimenticando che ormai, una volta
\ superata la fase ascendente del .capitalismo, i residui della società
4 lbidem, p. 120.
5 lbidem, p. 133.
6 lbidem, p. 134.
7 lhidem. p. 134.
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preesistente sono stati assimilati e sono strettamente intrecciati alle
forme peculiari del capitalismo industriale, per cui diventa velleitario !I,
cercare di scindere rendita da profitto, profitto monopolistico dal .
"giusto profitto capitalistico" e, piii in generale, illudersi di poter al-
learsi con una parte dei capitalisti per colpirne un'altra, la piii poten- I
te e moderna.
Per questo la formula di "democrazia progressiva" si risolverà in una
fumosa teorizzazione, assai piii apparentata alle utopie che al "reali-
smo" cui tanto ci si richiama:
"Democrazia progressiva è quella che guarda non verso il passato, ma verso l'avve-
nire. Democrazia progressiva è quella che non dà tregua al fascismo, ma distrugge
ogni possibilità di un suo ritorno. Democrazia progressiva sarà quella che distrug-
gerà tutti i residui feudali e risolverà il problema agrario... toglierà ai gruppi pluto-
cratici ogni possibilità di tornare ancora una volta a concentrare nelle loro mani le
risorse del paese, a prendere nelle mani il governo... liquiderà l'arretratezza econo-
mica e politica del Mezzogiorno... Democrazia progressiva è quella che organizzerà
un governo del popolo e per il popolo e nella quale tutte le forze sane del paese
avranno il loro posto, potranno affermarsi ed avanzare verso il soddisfacimento
delle loro aspirazioni"s.
In ogni caso, per giustificare la collaborazione di classe piii o meno
mascherata dietro queste formulazioni equivoche e vaghe, Togliatti
scomoda persino uno scritto di Lenin del 1905, fingendo di ignorare
che l'opuscolo "Due tattiche della socialdemocrazia" alludeva ad
(
un'alleanza con la democrazia rivoluzionaria identificata sostanzial-))
mente con i contadini, escludendo esplicitamente l'alleanza con la:'
borghesia liberale anche se antizarista9. \
Il compito di dare un minimo di riverniciatura "ortodossa" a questa
decisione che sembrava tanto simile al collaborazionismo del vecchio
riformismo fu assunto da Mauro Scoccimarro, uno dei piiiprestigiosi
dirigenti della vecchia guardia l0.
La "prospettiva greca"
In ultima analisi, a vincere le resistenze a giustificare la partecipazio-
ne del partito a governi di coalizione con forze conservatrici sotto la
8 Discorso al teatro Brancaccio in Roma, in Togliatti, "Per la salvezza del nostro paese", cil. pp. 191-
192.
9 A proposito delle deformazioni e revisioni teoriche di quel periodo, un' esposizione ampia e docu.
mentata è contenuta nei primi capitoli del volume di Livio Maitan, PCl 1945.1969, stanilismo e op.
portunismo, Savelli, Roma, 1969, che rimane ancor oggi l'analisi piu rigorosa e puntuale da un punto
di vista marxista rivoluzionario.
lO Mauro Scoccimarro, Nuova democrazia, Editori Riuniti, Roma, 1958. Si veda, ad esempio, Una
discussione sulla politica di Unità nazionale, risposta a critiche di sinistra emerse nel V congresso del.
le federazione milanese nell'ottobre 1945, pp. 63.80.
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loro egemonia sarà determinante un riferimento al contesto interna-
zionale/ sia pure con argomentazioni abbastanza distorte e deformate
dal rifiuto del PCI di ammettere una spartizione del mondo in sfere di
influenza (anche se pare che Togliatti vi facesse riferimento in con-
versazioni con De Gasperi, sostenendo peraltro che, in base agli ac-
cordi di Yalta il PCI avrebbe avuto diritto ad entrare sia pure in modo
subordinato in ogni governo italiano. De Gasperi se ne lamentò con
l/ambasciatore americano James Dunn, ottenendo nel febbraio 194,7
una documentazione su quegli accordi che lo tranquillizzò sulla possi-
bilità di escludere i comunisti dal governo I I.
L/argomento principale che sarà usato per far comprendere alla base
irrequieta la "necessità di scartare, anzi attivamente impedire, la tra-
sformazione della rivoluzione antifascista in rivoluzione socialista e
mantenere invece la prospettiva di una repubblica democratica par-
lamentare" 12,sarà la "prospettiva greca". Già dall/ottobre 1944, su-
bito dopo la liberazione di Atene da parte dei partigiani dell/ELAS, le
truppe inglesi sopraggiunte, con esplicita carta bianca da Stalin, han-
no cominciato una repressione sistematica che culmina nel massacro
del 3 e 4 dicembre (con centinaia di manifestanti inermi massacrati
dalle truppe "alleate"). In realtà, come è stato documentato ampia-
mente/ la massima responsabilità per la tragica sconfitta greca non
era certo da attribuire a orientamenti estremisti del PC greco (ci sa-
ranno/ ma molto piu tardi, a sconfitta già avvenuta, con una insurre-
zione tardiva che avviene dopo che già il grosso del movimento parti-
giano è stato disarmato e paralizzato da una subordinazione politica
al restaurato governo monarchico, in cui compaiono persino ex colla-
borazionisti dei nazisti). Il gruppo dirigente del PC greco si trovò ad
applicare la politica di collaborazione di classe imposta da Stalin, con
una classe borghese che non era disposta ad accettarla neppure per
un mese e che anelava solo all'immediata distruzione di ogni movi-
mento di sinistra, per cui buona parte dei "partigiani" monarchici
non aveva esitato già durante la guerra a realizzare accordi con i nazi-
fascisti.
Da questa contraddizione nacquero le molte incertezze, le esitazioni,
i cedimenti successivi, e a volte i sussulti di protesta, a rimorchio del-
le esplosioni di indignazione popolare per la brutale restaurazione del
Il L'episodio è riportato nella copiosa documentazione tratta dagli archivi segreti americani in Ro-
berlo Faenza e Marco Fini, Gli americani in ltalia, Feltrinelli, Milano, 1977, p. 181.
12 Sono parole di uno storico comunista, G. Manacorda, Il socialismo nella storia d'Italia, Laterza,
Bari, 1966, p. 741.
16
vecchio ordine conservatoreI3. Comunque, è fuori dubbio che
l'esempio greco fu usato larghissimamente e in chiave ricattatoria da
tutti gli esponimenti del PCI e del PSI, e fu presente anche in altre
componenti della resistenza, soprattutto nel dicembre '44, quando i
rappresentanti del CLNAI firmarono l'atto politico piu importante e
gravido di .conseguenze: i Protocolli di Roma, in cui senza ottenere
nessun riconoscimento per sé di funzioni di governo, il CLNAI accet-
tò di cedere ogni autorità precedentemente assunta al governo milita-
re alleato; la sottomissione arriva a prevedere dettagliatamente che
"tutti i partigiani passeranno nel territorio liberato alle dipendenze dirette del co-
mandante alleato, ed eseguiranno qualsiasi ordine dato da lui o dal governo milita-
re alleato in suo nome, compresi gli ordini di scioglimento e di consegna delle armi,
quando ciò fosse richiesto" 14.
Nel dibattito violento nel CLNAI dopo quell/accordo, contro i firma-
tari (che furono Parri, Pajetta, Edgardo Sogno e Alfredo Pizzoni) piu
volte verrà evocato, piu o meno direttamente, lo spauracchio della
GreciaI5. Sarà una argomentazione costante: ad esempio 1/8 settem-
bre 1947/ in un discorso a Bologna, Pietro Nenni si giustificherà di-
cendo:
"sin dal 25 aprile 1945 avremmo potuto dire ai partigiani: avete liberato il paese e
ora liberate il popolo; ma non l'abbiamo detto ed è stato bene, perché ci saremmo
trovati dinanzi alla tragica prospettiva greca"I6.
Inutile dire che si sorvolava tranquillamente sull' esempio della Jugo-
slavia, in cui il movimento partigiano aveva rifiutato fin dall/inizio le
imposizioni di Stalin, e aveva sviluppato durante tutta la resistenza
antinazista iniziative anticapitalistiche che avevano reso indissolubili
i due processi, la liberazione del fascismo e la rivoluzione socialista,
rendendo vani tutti gli accordi tra Churchill e Stalin, che nell'ottobre
1944 a Mosca con un segno di penna avevano previsto per quel paese
un 50% di influenza britannica e un 50% di influenza russa l7.
La scorrettezza nell'utilizzazione dell/esperienza greca come deter-
rente per scoraggiare qualsiasi ipotesi diversa dalla collaborazione di
13 Vedi André Kedros, Storiadella resistenzagreca, Marsilio Editore, Padova 1967,pp. 505-541.
14 In "Il movimento di liberazione in ltalia", anno 1 , n. l, Luglio 1949.
15 Vedi Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, voI. 5°, Einaudi, Torino 1975, pp. 420-
450.
16 "Avanti", Milano, 9 settembre 1947.
17 Sul noto episodio, che concretizzò brutalmente quello che poi comunemente si chiamò "lo spiri.
to di Yalta", anche se per l'esattezza la conferenza di Yalta si svolse solo nel febbraio 1945, vedi Er.
nesto Ragionierinell'introduzione al volume Da Teherana Yalta,I verbalidelleconferenzein cui si de-
ciserole sorti del mondo, Editori Riuniti, 1965,edizionefuori commercioper gli abbonatia Rinascita,
p. XXXIV,e, naturalmente, Churchill, La secondaguerra mondiale,parte VI,voI. I, (L'ondadella vit-
\
toria) Mondadori, Milano 1953,p. 257.
I
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~
17
 I
classe con la borghesia, naturalmente, sta non solo nella deformazio-
ne di quella che fu realmente la lezione della Grecia e nella reticenza
nell'esaminare l'opposta esperienza jugoslava, ma piu in generale
nell'ignorare la grave difficoltà che avrebbero avuto nel 1945 Stati
Uniti e Gran Bretagna ad affrontare la repressione simultanea di pro-
cessi rivoluzionari avviati in paesi come la Francia, il Belgio, l'Italia,
la stessa Spagna (in cui una nuova generazione rivoluzionaria atten-
deva come logica conseguenza della sconfitta nazista aiuti per spazza-
re via il franchismo), anche tenendo conto dei movimenti tendenti ad
anticipare il rientro in patria che portarono a clamorose manifestazio-
ni di protesta delle truppe americane in Europa.
Queste argomentazioni acquisteranno un peso maggiore nei dibattiti
interni durante il biennio di collaborazione di governo, ogni volta che
la burocrazia del PCI o del PSI avrà difficoltà a difendere caso per ca-
so il proprio operato, quando gli atti concreti di governo indicheran-
no che ovviamente la "politica dei due tempi" aveva un carattere del
tutto mistificante; già nel corso della lotta antifascista si gettavano le
basi concrete del nuovo Stato dal momento che il compito della rico-
struzione si rivelava strada facendo tutt'altro che "neutro" e che quella
che veniva chiamata "ricostruzione naziònale" era chiaramente la ri-
costruzione del sistema capitalistico, del suo apparato statale, del suo
meccanismo di accumulazione, che portava ben lontano da quelle
"magnifiche sorti e progressive" tratteggiate nella descrizione della
futura Bengodi della "nuova democrazia".
Cercheremo di ricostruire nei suoi concreti passaggi questo processo,
partendo proprio dalla restaurazione capitalistica nelle fabbriche del
Nord.
La restaurazione dell'ordine nelle fabbriche
Giorgio Amendola, che ha sempre avuto il merito di esprimere con
brutale franchezza quanto altri dirigenti avvolgevano in nebbie fumo-
se, descrisse nel 1962, in una relazione al convegno dell'Istituto
Gramsd sulle "tendenze del capitalismo italiano" il ruolo egemone
del PCI nei CLN di fabbrica con queste parole:
"Nelle giornate insurrezionali i padroni, gli industriali collaborazionisti, e anche
molti altri che avevano colpe minori sulla coscienza, avevano abbandonato i loro
posti. Gli operai, i tecnici, gli impiegati, raccolti intorno ai Comitati di Liberazione
nazionale di azienda, avevano assunto la direzione degli stabilimenti, non per in-
staurare un regime di classe con l'eliminazione dei proprietari, ma per assicurarne
la gestione nell'interesse della collettività nazionale... La diserzione dei padroni po-
neva alla classe operaia il compito di dirigere la ripresa produttiva, in una tragica si-
18
tuazione di emergenza, e non per soddisfare solo i propri interessi di classe, ma per
rispondere alle esigenze generali della Nazione... Il posto dei padroni assenti fu pre-
so dai commissari designati dai CLN. Accanto ad essi, rappresentanti della proprie-
tà, i Consigli di Gestione rappresentavano le maestranze nella gestione degli im-
pianti... I proprietari avevano preferito abbandonare operai e tecnici di fronte alle
difficoltà del momento, col piano preciso di dimostrare la loro incapacità nella ge-
stione... Lo sforzo compiuto dai CLN fu invece quello di arrivare a un ritorno dei
padroni nelle fabbriche, ma ad un ritorno democratico, "controllato" dai nuovi or-
gani della classe operaia, perché vi assumessero le loro responsabilità, reinvestisse-
ro nelle aziende i capitali distorti e nascosti, e accettassero il controllo dei consigli
di gestione" 18.
Nella stessa relazione (e d'altra parte in moltissimi altri documenti uf-
ficiali) si precisa naturalmente che il compito dei Consigli di Gestione
era solo consultivo (ed erano d'altra parte paritetici, formati cioè a
metà di rappresentanti dei "lavoratori", compresi ingegneri e diri-
genti democratici, per metà di rappresentanti diretti del capitale), e si
esclude un controllo operaio in nome di un "controllo democratico"
o "controllo nazionale", ecc. Quel che non dice Amendola è che i pa-
droni, fuggiti per paura di essere messi al muro per le loro complicità
nel fascismo, nella guerra, nella collaborazione con i nazisti, una vol-
ta invitati a tornare per "assumersi le loro responsabilità", ripresero
presto il loro ruolo tradizionale, licenziando appena possibile proprio
quegli operai che avevano avuto un ruolo determinante nella stessa
salvaguardia degli impianti dalle distruzioni dei nazisti in ritirata.
Abbiamo citato Amendola per la sua autorevolezza e per il carattere
di panoramica retrospettiva di quella sua relazione sui rapporti tra
classe operaia e capitale durante la resistenza. Ma non si creda che sia
una voce isolata. Era la linea ufficiale di allora, documentata in infini-
ti articoli de l'Unità e di altri organi, in opuscoli, ecc. Ad esempio lo
stesso argomento era avanzato nella relazione del presidente (comu-
nista) del CLN lombardo, Emilio Sereni, in un'assemblea dei membri
dei Consigli di Gestione al teatro Odeon di Milano il 16 settembre
1945:
"Sarebbe troppo comodo per le vecchie classi dirigenti che hanno portato l'Italia al-
la catastrofe poter dire ai lavoratori: ora arrangiatevi da soli... I lavoratori non sono
caduti nel tranello, hanno saputo esigere che i rappresentanti della proprietà pren-
dessero la loro parte di responsabilità nel ricostruire" 19.
Nonostante l'inesperienza della maggior parte degli operai, che parte-
cipavano per la prima volta alla vita politica dopo vent'anni di fasci-
smo, non mancarono dubbi che non fosse esattamente questo il J'tra-
18 G. Amendola, Lotta di classe e sviluppo economico, Editori Riuniti, Roma, 1962, pp. 30-32.
19 Citato da G. Galli, Storia del PCl, Schwarz, Milano, 1958, p. 236.
19
nello" teso dai padroni. L'Unità di quel periodo era piena di denunce
contro "provocatori trotskisti" che "incitavano all'odio" tra le com-
ponenti dello schieramento nazionale e di episodi in cui risultava che
silenziosamente, dovunque possibile, comparivano formazioni clan-
destine che non deponevano le armi e provvedevano a liquidare
esponenti fascisti rimessi troppo presto in circolazione e soprattutto
padroni e dirigenti (anche se in certe zone, soprattutto nelle campa-
gne emiliane, l'odio di classe esplodeva in forma pili ingenua con la
ripulitura silenziosa anche di sostenitori marginalissimi del vecchio
regime, come marescialli dei carabinieri, parroci, ecc. che finivano a
«concimare qualche pioppo»!.
Ma nell'insieme l'operazione riusci, anche attraverso pressioni diret-
te dei massimi dirigenti, circondati dall'aureola prestigiosa di anni di
esilio e dall'avallo di Stalin. Togliatti, Roveda, Di Vittorio intervengo-
no personalmente a Torino per arginare "l'operaismo" della locale
federazione comunista e far applicare concretamente la linea nazio-
nale. Togliatti ad esempio critica i criteri con cui gli operai hanno te-
nuto lontano dalla fabbrica ben "1200 esperti" soltanto perché "invi-
si alle masse"20.
Nel giro di pochi mesi una pressione sistematica dei dirigenti del par-
tito fa rientrare in fabbrica la quasi totalità degli epurati: dal presi-
dente Valletta (che insieme a Giovanni Agnelli, senatore del Regno, e
a Giancarlo Camerana era stato inizialmente allontanato per collabo-
razione attiva al regime fascista, la costituzione di una milizia fascista
interna, l'assunzione a cariche di dirigenti di noti criminali fascisti! ai
numerosi capi e capetti allontanati dagli operai come' 'indesiderabili"
per la loro collaborazione all'intensificazione dello sfruttamento per
la produzione bellica21.
Uno dei problemi cruciali, a Torino come a Milano e in tutte le zone
industriali, era la cancellazione delle misure prese spontaneamente
dagli operai insorti, che andavano dalla cacciata dei capi alla soppres-
sione del cottimo e di ogni altra forma di incentivazione. A Milano,
per esempio, il commissario alla Magneti Marelli, ingegner Brasca,
chiede aiuto al presidente comunista del CLN Sereni, perché si rechi
in fabbrica "a tenere una conferenza alle maestranze illuminandole
sui problemi ed i pericoli che incombono sulla nazione in questi tem-
20 Discorso di Togliatti al congresso provinciale di Torino del 3 novembre' 45, citato da L. Lanzar-
do, Classe operaia e partito comunista alla FIAT - 1945-49, Einaudi, Torino, 1971, p. 102.
21 Sul bilancio complessivo dell'epurazione, vedi la comunicazione di Marcello Flores al convegno
int"rnnzionale di Firenze del 26.28 marzo 1976, ora in L'Italia dalla liberazione alla repubblica, atti
di'i convegno organizzato dall'Istituto per la storia del movimento di liberazione in Italia, Feltrinel.
li, Milnno. 1977, pp. 413/467.
20
pi di crisi ed invitarle cosi alla maggiore disciplina e senso di respon-
sabilità"22.
In seguito ad un'ispezione alla Magneti Marelli di un rappresentante
del CLN lombardo, verrà cosi criticato "l'atteggiamento irresponsabi-
le e demagogico di alcuni compagni che affiggono manifesti e critica-
no l'andamento dei rappresentanti del CLN23. Pili in generale il CLN
lombardo in una circolare ai CLN aziendali precisa che:
"I CLNA devono fare ad ogni costo all'interno dell'azienda gli interessi del governo
e della nazione, allo scopo superiore della ricostruzione. Non fanno, e non devono
fare gli interessi particolaristici dei lavoratori di quella tale azienda. Su tutti i pro-
blemi il CLN deve sempre assumere un atteggiamento di organo dal governo e di
giustizia nazionale, non di organo di classe e di demagogia... Se in qualche momen-
to il CLN si trova a dover assumere atteggiamenti e prendere iniziative contrarie
agli apparenti immediati interessi delle maestranze, deve avere il coraggio di farlo.
Esso non si deve preoccupare di perdere la propria popolarità, anche prendendo
decisioni per cosi dire impopolari,,24.
Ma i Consigli di Gestione, pur privati per legge di qualsiasi potere de-
cisionale autonomo e finalizzati esplicitamente a "migliorare la pro-
duzione secondo uno spirito veramente nazionale"25 ed anzi a per-
mettere' 'una piena e cosciente collaborazione tra i due grandi fattori
della produzione"26, continuano ad assumere in molti casi una fun-
zione di controllo operaio in chiave tutt'altro che collaborazionista,
suscitando quindi perplessità e proteste dei padroni: anche per que-
sto il PCI si impegna a modificare la composizione dei Consigli, inse-
rendo forzatamente elementi conservatori. Quando alla Mirafiori
vengono eletti 6 comunisti su 7 membri del CdG, essi vengono fatti
dimettere per decisione del partito, che propone nuove elezioni in cui
verranno eletti separatamente i rappresentanti operai e quelli impie-
gatizi, in modo da garantire 3 impiegati e 4 operai. In una relazione
tenuta dal segretario della federazione provinciale all' assemblea dei
comunisti della FIAT, si propone di concordare le liste in modo che
siano eletti 2 comunisti, 2 socialisti 1 democristiano, 1 rappresentante
del Partito d'Azione e un apolitico, per evitare che una maggioranza
di comunisti induca gli avversari a "dimostrare che non siamo capaci
e osteggiare le nostre iniziative"27. Cosi si cerca di limitare al massi-
mo ogni assunzione diretta di responsabilità da parte della classe ope-
22 ArchiviCLN,citoin Rugafiori,Vento,Levi, Il triangolo industrialetra ricostruzionee lotta di classe,
1945-48, Feltrinelli, Milano, 1974, p. 129.
23 Ibidem.
24 Il triangolo industriale, cito p. 131.
25 L'Unità, ed. torinese, 30/101'46.
26 Nuova Stampa, 17/10/'46.
27 Lanzardo, op. cit., p, 242.
21
 raia e dei suoi settori piu coscienti, inventandosi rappresentanti DC o
apolitici con cui mediare le decisioni.
L'indottrinamento delle nuove leve del partito viene condotto con si-
stematicità utilizzando come modello il famoso Stachanov, perforato-
re delle miniere di carbone del Donec, esaltato per aver aumentato di
5 o 6 volte la produttività del lavoro col cottimo. La sua figura di per
sé non poco discutibile - è presentata sistematicamente in chiave
_ benestare da parte della segreteria generale della CdL. Si invitano formalmente i
eroica sulla stampa comunista, ignorando tranquillamente il proble-
ma di chi si impossessa dei risultati di ogni aumento di produttività in
un paese capitalistico.
Riassumendo le conclusioni del convegno economico del PCI, il 28
agosto '45, l'Unità scrive che il compito fondamentale è "innanzitutto
fare appello agli operai, affinché aumentino il rendimento, e in se-
condo luogo di imporre alle classi possidenti il pagamento delle impo-
ste". Come ognuno ha potuto verificare, il primo compito è stato as-
solto subito, il secondo... non ancora!
Sui giornali comunisti si esalta l'attaccamento al lavoro degli operai:
ad esempio su Voce Comunista del 5/10/'46 (organo della federazione
milanese del PCI) un servizio sull' Alfa Romeo afferma
"1'Alfa, dicono gli operai con legittimo orgoglio, non è un porto di mare, all'Alfa ci
si attacca e ci si affeziona, vi si impara il mestiere in modo imbattibile, si diventa
partecipe del nome che essa gode".
Analoghe esaltazioni ci sono per la Pirelli, dove la CdL si impegna a
fondo per far reintrodurre il cottimo, rifiutato dagli operai dalla Libe-
razione, e arriva a istituire una propria scuola per cottimisti.
Nel bilancio che Giancarlo Pajetta tira nel settembre '46 alla confe-
renza provinciale milanese, afferma con parole attualissime: "il par-
tito ha offerto quest'anno non una politica demagogica ai lavoratori,
ma una politica di sacrificio e dì lavoro"28.
La repressione dell'opposizione operaia
Nonostante l'inesperienza di gran parte delle nuove generazioni ope-
raie,PCI.
non tutti accettarono la politica "di sacrifici e di lavoro" offerta
dal
Un comunicato della Camera del Lavoro di Milano, ad esempio, pub-
blicato da l'Unità sotto il titolo "Denunciare i provocatori di manife-
stazioni inconsulte", rivela una realtà tutt' altro che immobile e sotto
controllo:
28 Voce comunista, 26/10/'46.
22
"A questa CdL risulta che da qualche elemento non ancora identificato vengono
promossi qua e là scioperi assolutamente inconsulti. Mentre si richiama l'attenzio-
ne delle masse operaie e in modo particolare delle commissioni interne sull'errore
gravissimo di eccedere in queste manifestazioni, si dichiara senz'altro che non sa-
ranno riconosciuti i movimenti e le agitazioni che non abbiano avuto il preventivo
componenti delle C.I. a voler denunciare senza riguardo i promotori di queste agi-
tazioni che - dato il particolare momento che attraversa il Paese - devono essere
considerati alla stregua di provocatori e, come tali, duramente colpiti"29.
Il segretario della Camera del Lavoro, Alberganti (che ha successiva-
mente rotto col PCI divenendo negli anni Settanta dirigente del MLS),
d'altra parte aveva denunciato la "tendenza alla scioperomania come
costume che distruggerebbe ogni possibilità di ripresa economica 30,
mentre un altro dei segretari comunisti della CdL, G. Nicola, parlan-
do agli scioperanti che agli inizi del '46 sono scesi in piazza per chie-
dere un'indennità invernale di 3.000 lire e il pagamento delle ferie
non godute nel' 45 sono andati in corteo alla CdL, li invita a tornare al
lavoro perché "scioperare adesso significherebbe gettare le basi per
una nuova crisi governativa"31.
Altre manifestazioni, soprattutto dei numerosissimi disoccupati e in
particolare di quelli che - reduci dalla guerra e dalla resistenza - si
sentono due volte truffati restando senza lavoro in una società in cui
si incominciano a scorgere le tracce della riorganizzazione della vec-
chia classe dominante (che rientra dopo la grande paura dell'insurre-
zione antifascista e del permanere di operai in armi), assumono un
carattere violentissimo. Il 4 gennaio del '46 un corteo di reduci, dopo
aver imposto alla radio la lettura di un comunicato, arriva in piazza
Duomo e se la prende con le vetrine dei caffé e dei negozi di lusso che
hanno riaperto i battenti: per disperdere la folla i carabinieri inter-
vengono a bordo di autoblinde. L'Unità commenta in questo modo:
"Le manifestazioni incomposte, i tumulti improvvisati, gli atti di violenza contro
privati, la cui azione è estranea o ai margini dei problemi in discussione, non posso-
no produrre utili frutti a chi onestamente, in tutta coscienza, vuoI fare valere i suoi
fondati diritti. L'esperienza di un secolo di battaglie della classe operaia ci insegna
che la lotta deve essere organizzata, che le masse che protestano devono avere dei
capi democratici in cui hanno riposto la loro fiducia, devono essere disciplinate alle
direttive di questi capi"32.
Nell'estate le manifestazioni dei disoccupati si ripeteranno piu vio-
lente, dopo la verifica che i padroni non hanno mantenuto la promes-
29 L'Unità, 6/9/'45.
30 L'Unità, 12/8/'45.
31 L'Unità, 3/11'46.
32 L'Unità, 5/1/'46.
23
 sa fatta in gennaio di assumere 10.000 reduci in tutte le aziende mila-
nesi superiori alle 200 unità e mentre si verificano gli effetti deva-
stanti dell'accordo siglato il 18 gennaio '46 tra CGIL e Confindustria
sullo sblocco dei licenziamenti. Un corteo si scontra con la polizia in
piazza Duomo, invade la RAI in corso Sempione, e fa leggere un co-
municato che preannuncia ulteriori e piu violente forme di lotta. La
CdL sconfessa la manifestazione avallando la versione della polizia,
dichiarando che:
"coloro che provocarono incidenti nella manifestazione jnon concordata con la se-
greteria cameralel non erano lavoratori disoccupati, ma furono riconosciuti come
clienti abituali dei diversi commissariati e di S. Vittore"33.
Lo stesso Togliatti, che è ministro della Giustizia nel governo Pani e
nel primo governo De Gasperi, invia severe disposizioni alla magi-
stratura perché "faccia rispettare la legge e la proprietà". Giorgio
Bocca riporta una delle circolari di Togliatti ai procuratori generali
del Regno:
"Non sarà sfuggito all'attenzione delle SS.LL.ILL.me che, specie in questi ultimi
tempi. si sono verificate in molte province manifestazioni di protesta da parte di di-
soccupati, culminanti in gravissimi episodi di devastazione e di saccheggio a danno
di uffici pubblici nonché di violenze contro i funzionari. Pertanto questo ministero,
pienamente convinto della necessità che l'energica azione intrapresa dalla polizia
per il mantenimento dell'ordine pubblico debba essere validamente affiancata e ap-
poggiata dall'autorità giudiziaria, si rivolge alle SS.LL. invitandole a voler impartire
ai dipendenti uffici le opportune direttive affinché contro le persone denunciate si
proceda con la massima sollecitudine e con estremo rigore. Le istruttorie e i relativi
giudizi devono essere espletati con assoluta urgenza onde assicurare una pronta ed
esemplare repressione,,34.
Anche nei confronti delle proteste delle carceri, in cui la crisi sociale
acutissima ammucchia migliaia di sbandati, di disoccupati che hanno
tentato di arrangiarsi in qualche modo per sfamarsi, di giovani ex par-
tigiani che hanno creduto di poter continuare individualmente o in
piccoli gruppi la loro lotta, il PCI è di una durezza sorprendente, a
senso unico. Le preoccupazioni di dimostrare ai borghesi che il PCI
non turba l'ordine, ma ne è il piu zelante tutore, porta a decisioni in-
credibili. Durante una prima sommossa di S. Vittore, nell'agosto del
'45, Riccardo Lombardi, che è allora il prefetto di Milano nominato
dal CLN (appartiene al Partito d'Azionel si reca nel carcere a discute-
re con gli insorti, accoglie le loro richieste, che si coneretizzano nella
sostituzione del direttore incapace e autoritario con un partigiano eo-
33 Battaglie del lavoro, in "Il triangolo industriale", cit., p. 171,25/7/'46.
34 G. Bocca, Palmiro Togliatti, Laterza, Bari, 1973, p. 452.
24
munista. Togliatti telegrafa immediatamente, in veste di Ministro di
Grazia e Giustizia: "Apprendo arbitraria destituzione direttore carce-
re e sua sostituzione con funzionario non competente. lnvitola imme-
diatamente a revocare provvedimento"35.
Successivamente una nuova rivolta scoppia nel marzo' 46 in seguito
all'uccisione di un detenuto da parte di una guardia che lo ha visto far
segni ad una persona sulla strada. La rivolta ha un carattere chiara-
mente antifascista; i detenuti appena usciti dalle celle pestano dura-
mente Vito Mussolini e il noto repubblichino Basile. La polizia inter-
v:ene uccidendo altri due carcerati, il che non impedisce a ['Unità di
eJogiare "Il chiaro senso di responsabilità degli agenti che ha evitato
che gli scontri diventassero tragici"36.
In aprile la rivolta si ripete per ben 4 giorni, con rivendicazioni ele-
mentari (celerità di giudizio, restituzione dei depositi confiscati per
indennizzo dei danni provocati nella rivolta del mese precedente, in-
dulgenza per i giovani incensurati); i tre membri comunisti milanesi
d~lla Consulta nazionale che funge da parlamento provvisorio Inon è
a:1cora stata eletta l'Assemblea costituente), Pajetta, Montagnani e
Alberganti, si rivolgono al ministero dell'Interno e a Palmiro Togliatti
con questo calunniatorio telegramma:
"La rivolta nel carcere di S. Vitto re è una nuova prova della riorganizzazione delle
forze fasciste e una seria minaccia per l'ordine democratico della nostra provincia.
Chiediamo l'immediato intervento del governo per accertare le responsabilità e col-
pire la complicità e le ingiustificabili tolleranze".
In realtà i rivoltosi non sono affatto fascisti, tanto è vero che hanno
c:1iesto come interlocutore il segretario dell' ANPI milanese, il co-
mandante partigiano Giovanni Pesce, comunista, con cui avevano
c~rcato di concordare la resa in cambio della promessa che non ci sa-
r~bbero state rappresaglie, della sostituzione del direttore, Tonini, e
rella concessione della libertà provvisoria per i piu giovani e incensu-
nti. Ma Pesce viene di fatto sconfessato dalla federazione comunista
eda un duro comunicato del CLN lombardo che dichiara "non si de-
\e assolutamente scendere a patti con i detenuti, perché questo signi-
fcherebbe sminuire il prestigio delle autorità democratiche"37. D'al-
ta parte, sulla stessa Unità, pochi mesi prima 126/8/'45) si era potuto
hggere un commento al dilagare delle rapine a danno dei ricchi e dei
tenestanti, che proponeva l'applicazione della pena di morte per i ra-
pnatori!
:5 Da una testimonianza di R. Lombardi. in Bocca. op. cit., p. 453.
:t) L'Unità, 16/3/'46.
~7 L'Unità, 24/4/'46.
25
 Intanto le carceri si sono svuotate rapidamente dei fascisti, liberati
grazie alla benevolenza della magistratura (rimasta compattamente
fascistizzante, per la morbidezza delle commissioni di epurazionel e
poi in seguito con una amnistia, promulgata dal solito Togliatti in ve-
ste di ministro Guardasigilli, e formulata in modo da lasciare uscire
tutti: l'unica esclusione è per chi si è reso colpevole di "sevizie parti-
colarmente efferate" (in origine il testo parlava genericamente di "se-
vizie", ma la precisazione ulteriore servi a far uscire anche i peggiori
aguzzini di Salò, tranne qualche caso al limite della patologia psichia-
trica... I.
Le stesse carceri si riempiono rapidamente di partigiani e di dissidenti.
Non piu solo quelli che vivacchiano di espedienti, per difficoltà di
riadattamento, ma anche giovani che cercano di sviluppare con mag-
gior o minore coerenza un'iniziativa che riprenda la battaglia inter-
rotta.
Il caso piu clamoroso e impressionante è quello dei sette giovani par-
tigiani di Schio che nel luglio '45, appresa la notizia che un gruppo di
fascisti stanno per essere liberati, entrano nel carcere mandamentale
della cittadina veneta e fucilano 51 fascisti; l'Unità denuncia subito la
"provocazione trotskista" (anche se poi i sette risulteranno tutti
iscritti al PCI e con valoroso passato di partigiani combattenti nella
brigata Garibaldi "martiri di VaI Leogra"l. L'Unità chiederà pene se-
verissime, anche se quando la sentenza della corte alleata condanne-
rà a morte Renzo Franceschini, Valentino Bortolosso e Antonio Fo-
cassato, e all'ergastolo altri due compagni partigiani, ci sarà in tutto il
Nord un moto enorme di protesta che costringerà l'Unità a criticare la
sentenza nell'edizione milanese (mentre l'edizione romana manterrà
un tono di compiacimento per il "ripristino dell'ordine", anche se
con perplessità sull'entità della penaj38.
Pochi giorni prima della sentenza, d'altra parte, di fronte all'inquietu-
dine del partito, ha dovuto prendere la parola Luigi Longo, affrontan-
do di petto la crisi che serpeggia tra gli ex-partigiani:
"In molti bravi combattenti della guerra di liberazione nazionale c'è malessere e in-
certezza sulla via da seguire. Le cose non vanno come dovrebbero andare: non si
epura, non si democratizza, non si ricostruisce. Alcuni pensano che si può porre ri-
medio facendo da sé, alla vecchia maniera partigiana. Altri esitano o si scoraggiano
o abbandonano la partita. Errore gravissimo. Oggi non si tratta piu di ribellarsi con-
tro un regime, ma di costruire il nuovo ordine che le battaglie e le vittorie di ieri ci
permettono di elaborare nell'atmosfera e nella disciplina democratica... Qualunque
38 Un ampio rapporto sull'episodio è stato recentemente pubblicato negli atti del CLNAI . Verso il
lIoverno del popolo. Feltrinelli, Milano, 1977, pp. 394-97.
26
-
richiamo a ritornare all'adozione delle vecchie forme di lotta partigiana, da qualun-
que parte esso provenga, quale che sia l'animo con cui si accoglie, non può non co-
stituire di fatto un attentato alla libertà e alla democrazia" 39.
Il grosso degli incerti finisce per indietreggiare (o è troppo confuso
per formulare un'alternativa organica), qualche altro tenta di organiz-
zarsi ugualmente "alla vecchia maniera partigiana" e finisce in gale-
ra, bollato per giunta come "trotskista" e naturalmente come ex spia
dell'OVRA... Il nuovo ordine che si sta costruendo assomiglia tre-
mendamente a quello vecchio!
L'inquietudine dei partigiani, nel primo anno dopo la liberazione si
manifestò prevalentemente come rifiuto di consegnare le armi, nono-
stante le pressioni dei dirigenti e le parate al termine delle quali i par-
giani avrebbero dovuto consegnare le armi40.
Successivamente, soprattutto nell'agosto del '46, si moltiplicheranno
i casi di ritorno in montagna, documentati da Piscitelli, e, per il Pie-
monte, da Liliana Lanzard041.
La politica economica dei governi di unità nazionale
La responsabilità del PCI nella politica economica dei governi di uni-
tà nazionale non fu marginale: uno dei massimi esponenti del partito,
Scoccimarro, mantenne tra l'altro l'incarico di ministro delle Finanze
per un anno cruciale, dal gennaio '46 al gennaio '47. Altri comunisti
ebbero, per periodi piu o meno lunghi, incarichi di ministri o sotto-
segretari in dicasteri economici (Agricoltura, Assistenza post-bellica,
Posta, Marina mercantile, Trasporti, Commercio estero). Nella Rela-
zione sull'attività del PCI dal V al VI Congresso, presentata dal CC
uscente al VI Congresso (voiumetto fuori commercio, riservato ai de-
lega li), si esalta l'opera di Scoccimarro e in particolare le misure di fi-
nanza straordinaria che avevano:
"come obiettivo di avviare il risanamento finanziario e la ricostruzione, evitando
che il costo dell'uno e dell'altra oberasse i larghi strati popolari ed invece colpisse i
ceti piu facoltosi e soprattutto coloro che hanno, piu o meno, approfittato del regi-
me e della guerra. Le misure di finanza straordinaria sono state: il progetto di impo-
sta straordinaria progressiva sul patrimonio, l'avocazione dei profitti di regime, di
guerra e di speculazione; l'imposta -
a favore dei Comuni -
sulle spese di lusso.
Questi provvedimenti si inquadravano in un piano finanziario, imperniato sul caro-
39 "La via da seguire", articolo di fondo, L'Unità, 22/8/'45.
40 "Le solenni cerimonie, alla presenza del piii vicino comandante di unità o formazioni alleate.
dovevano apparire come richieste dai partigiani e non imposte" secondo H.L. Coles e A.K. Wein-
berg, Disarmament wil/ be tactful, citato da Enzo Piscitelli, Da Parri aDe Gasperi, Storia del dopoguer.
ra 1945.1948, Feltrinelli 1975, p. 69.
41 E. Piscitelli, op.cit., pp. 168.175; L. Lanzardo, op.cit., pp. 328-332.
27
 bio della moneta, che non ha avuto attuazione causa il sabotaggio del cambio stes-
so, reso alla fine impossibile,,42.
Tutte queste misure non uscirono dallo stato di progetto. La stessa
imposta sul patrimonio sarà votata alla fine completamente svuotata
di ogni contenuto, per l'eliminazione di ogni criterio di controllo effi-
cace anche statale, come quello che sarebbe stato possibile con il
cambio forzato della moneta. Per evitare il cambio della moneta (che
avrebbe portato ad un controllo sulle enormi somme accumulate con
speculazioni di ogni genere che avrebbero dovuto essere presentate
dai detentori nelle banche, per non trovarsi in mano la vecchia mone-
ta ridotta a carta straccia), le forze piu conservatrici ricorsero a ogni
tipo di stratagemma, compreso un vero e proprio "giallo" (il furto di
clichés predisposti per la stampa dei nuovi biglietti), che portarono al
rinvio di mese in mese del provvedimento, di cui alla fine non si par-
lò piu se non nelle polemiche sulle responsabilità del sabotaggio, an-
che perché mano a mano che ci si allontanava dalla fine della guerra
il provvedimento perdeva ogni funzione reale.
È significativo che anche i comunisti votarono a favore della legge
sull'imposta patrimoniale, nonostante tutti i loro emendamenti jten-
denti a mantenere lo spirito del progetto originario di Scoccimarro)
fossero stati respinti da un blocco della DC con le destre (gli emenda-
menti proponevano l'abolizione del segreto bancario, un'imposta
progressiva all' 1% al 6% sugli enti collettivi, l'estensione dell'impo-
sta agli enti ecclesiastici e misure a favore delle proprietà piccole e
medie, con esenzione del 75% per le proprietà fino a 3.000.000, del
50% fino a 5.000.000 e del 25% fino a 10.000.000). La relazione del
CC sull'attività del gruppo parlamentare si consolava segnalando che
"il gruppo comunista riusciva però a ottenere la rateizzazione
dell'imposta per i piccoli e medi proprietari ed altre agevolazioni"43.
Il bilancio complessivo di quel periodo di attività governativa sul ter-
reno economico è stato sintetizzato cosi da E. Piscitelli:
"Ma quel che è ancora piu grave, è che tutta la gestione della finanza straordinaria
del secondo dopoguerra non diede, economicamente, i risultati sperati e attesi, non
servi di rimedio al risanamento del bilancio e mise in funzione un congegno ammi.
nistrativo complesso e costoso. In poche parole, mancò quello che sarennl' stato
maggiormente necessario per il successo di operazioni come quelle previste: la deci-
sa volontà politica e legislativa e la rapida esecuzione di quel poco che si fece. ... Ba-
sti pensare che l'avocazione dei profitti di regime al 31 dicembre 1949 (termine di
42 Due anni di lotta dei comunisti italiani, relazione sull'attività del PCI dal 50 al 60 congresso, pp.
72-73.
43 Due anni di lotta dei comunisti italiani, cit. pp. 134-135.
28
...
decadenza) diede .un gettito complessivo di 19 miliardi per 24.823 accertamenti, di
cui ben 7804 archiviati e appena 115 seguiti da confisca,,44.
La politica salariale
Tuttavia il bilancio dell'attività del PCI sul terreno economico non
può limitarsi alla valutazione dell'opera di governo e a quella del
gruppo parlamentare (per entrambi i casi l'argomento di giustificazio-
ne ricorrente è il condiziona mento delle altre forze conservatrici o
l'inesperienza45), ma deve estendersi all'opera della Confederazione
Generale Italiana del Lavoro, in cui il PCI ebbe peso preponderante
fino alla scissione e la cui struttura rispondeva alle caratteristiche che
la sua direzione aveva imposto lottando duramente contro ogni ten-
tativo di ricostruire sindacati di classe fuori della logica verticistica
del "Patto di Roma" (in particolare combattendo la CdL di Napoli e il
Segretariato meridionale della CGIL, costruiti per iniziativa di com-
pagni della sinistra del PCI, del PSIUP e del PdA fin dal novembre
'43)46.
Il banco di prova dell'azione sindacale sviluppata durante la parteci-
pazione di comunisti e socialisti al governo furono la questione dei li-
cenziamenti e l'adeguamento salariale al costo della vita (per Torino
un memoriale della FIOM presentato nell'ottobre del 1945, per giu-
stificare la richiesta di un premio di produzione che tenesse conto de-
gli aumenti di produttività che erano già del 43% in media, con punte
del 100% alla SPA, documentava come le paghe fossero aumentate di
otto volte rispetto al '38, mentre il costo della vita, in particolare il
prezzo delle auto, era di ben sedici volte superiore al livello del '38)47.
Sul terreno salariale una conquista essenziale fu la scala mobile, ap-
plicata all'indennità di contingenza- Un primo accordo era stato rag-
giunto dalla CdL di Milano subito dopo la liberazione, e il l° Conve-
gno della CdL dell'alta Italia, tenuto a Milano il 24/7/'45, ne propose
l'estensione a tutte le CdL del Nord48, mentre nell'Italia liberata era
già stato realizzato un accordo molto parziale il 24/2/'45, superando
una parte delle resistenze di cui parlava a Napoli il 28/11'45 Di Vitto-
44 E. Piscitelli, Da Parri aDe Gasperi, cit., pago 230. Vedi anche F. La Cecilia, La gestione della finan.
za straordinaria in Tributi, n. 12, marzo '66, pp. 65-68.
45 Vedi G. Amendola, Intervista sul/'antifascismo, Laterza, Bari, 1977, pp. 178.179.
46 Vedi: Clara De Marco, La costituzione della Confederazione Generale del Lavoro e la scissione di
Montesanto, in "Giovane critica", n. 27, estate 1971, e anche S. Turone, Storia del sindacato in Italia,
Laterza, Bari, 1975, pp. 88.94; P. Bianconi, 1943: La CGL sconosciuta. Sugar edizioni. Milano, 1975,
pp 3<J.R4.
47 L. Lanzardo, op. cit., pp. 187-8.
48 I Congressi della CGIL, Atti, Editrice sindacale italiana, Roma, 1970, voI. l, p. 250.
29
 rio nella sua relazione al l° Congresso della CGIL dell'Italia liberata:
"ci è stilto osservato che la scala mobile potrebbe essere un mezzo per precipitare le
finanze e l'economia del Paese, perché la bassezza dei salari e degli stipendi sareb-
be il solo mezzo di resistenza al tracollo della moneta,,49.
Il primo vero e proprio accordo che prevede un adeguamento auto-
matico senza dover ricontrattare volta per volta la "contingenza" (il
nome doveva sottolineare la provvisorietà dell'indennità), viene rea-
lizzato il 6 dicembre' 45 ed è ancora limitato geograficamente alla so-
la Italia del Nord, in cui maggiore era la pressione operaia. Solo
nell'ottobre del '46 l'accordo, parzialmente modificato, viene esteso a
tutta l'Italia, nella speranza che possa "determinare una sospensione
di tutte le agitazioni, anche alla periferia, ridonando alla fine la tran-
quillità e aumentando il ritmo di lavoro nelle officine e nei cantieri"
(come dichiarò l'allora presidente della Confindustria Angelo Costa
al Corriere della Sera, in una dichiarazione che esaltava il "pesante sa-
crificio" che gli industriali avevano accettato). In realtà, come scrisse
successivamente uno dei massimi specialisti della CGIL in materia,
E. Giambarba,
"la richiesta della scala mobile dei salari fu accolta senza eccessive opposizioni dal-
la Confindustria. Fu il prezzo che le classi padrona li italiane si rassegnarono a paga-
re per impedire che il processo inflazionistico agisse come acceleratore del movi.
mento rivendicativo dei lavoratori, che si sviluppava in quel periodo con una am-
piezza senza precedenti"so.
In realtà la Confindustria accettava quell'accordo non solo perché era
ancora grandissima la forza ed in crescendo l'inquietudine della clas-
se operaia di fronte al tipo di ricostruzione capitalistica che stava av-
venendo, ma perché aveva una precisa contropartita: la tregua sala-
riale concordata per periodi brevi, ma regolarmente prorogata, e la
accettazione della richiesta confindustriale di un rigido sistema cen-
tralizzato nella definizione dei rapporti di lavoro, che escludeva ogni
contrattazione articolata e affidava la determinazione dei salari esclu-
sivamente a trattative interconfederali (accordi interconfederali del 6
dicembre '45 e del 25/5/'46). Di Vittorio, al primo congresso unitario
della CGIL del giugno '47 giustificava l'accettazione della tregua esat-
tamente con il conseguimento della scala mobile, che, anche se
"compensa solo in parte i lavoratori di fronte al crescente costo della vita... costitui-
sce una garanzia minima che in determinate circostanze e per brevi periodi di tem-
49 In Atti, cit., voI. l, p. 113.
50 Carmela D'Apice, La scala mobile dei salari, ESI, Roma, 1975, pp. 6.7 e E. Giambarba, La scala
mobile storia e problemi, in Rassegna sindacale, al V, n. 17lgiugno) e 18-19 (luglio-agosto), 1959.
30
po può essere considerata se non soddisfacente, almeno sopportabile per il lavora-
tore italiano" S\ .
I toni critici e non trionfalistici di Di Vittorio su questa importante
conquista si spiegano col malcontento per la sua inadeguatezza, dovu-
la già allora alla artificiosità del paniere (o "pacchetto viveri" come si
diceva allora, anche perché conteneva un numero ridottissimo di pro-
dotti essenziali). In particolare una nota della CGIL alla Confindu-
stria dell' aprile '46 segnalava che gli scatti erano rallentati perché
"il pacchetto viveri convenzionalmente stabilito come corrispondente ai bisogni
minimi della famiglia operaia pone sullo stesso piano la parte che si riferisce all'ac-
quisto di generi alimentari e quella che si riferisce ai generi di abbigliamento. 1pri-
mi sono aumentati, i secondi hanno avuto un certo ribasso, neutralizzato dall'au-
mento dei primi: ne consegue che i lavoratori subiscono l'aumento dei prezzi dei
generi alimentari, ma non fruiscono della riduzione degli altri prezzi"sz.
Quale fosse il risultato complessivo di questa politica si può capire
dal tono amareggiato e angosciato di una risoluzione della Direzione
del PCI riunita congiuntamente con il comitato direttivo del Gruppo
comunista all' Assemblea Costituente il 7 maggio 1947, alla vigilia
della cacciata dal governo:
"A questo proposito si deve rilevare che mentre i lavoratori (operai, impiegati, pen-
sionati, reduci, disoccupati) hanno dato prova di un alto senso di disciplina e di un
elevato spirito di sacrificio nell'interesse comune, lo stesso non può dirsi per gruppi
determinati delle classi abbienti. Mentre i lavoratori hanno accettato una tregua dei
salari a cui non ha corrisposto un blocco dei prezzi, hanno contenuto le loro riven-
dicazioni e frenato le loro agitazioni per non creare soverchio disagio allo Stato e al-
la Nazione, si nota nelle classi piu ricche una preoccupante tendenza a sottrarsi ai
necessari sacrifici e a far ricadere sui lavoratori e sullo Stato tutto il peso della situa-
zione"s3
Non è chiaro come si potesse essere realmente sorpresi dalla' 'preoc-
cupante tendenza a sottrarsi ai necessari sacrifici" da parte dei capi-
talisti, anzi di "gruppi determinati" di essi, come si preferisce dire
per sostituire a una definizione in rigorosi termini classisti una valu-
tazione che privilegi la scelta soggettiva "egoistica" da parte di alcuni
"plutocrati" (termine assai in auge e assolutamente privo di ogni ca-
rattere scientifico, ma evidentemente utilizzato per la sua popolarità
dovuta all'uso larghissimo fattone dal fascismo quando era in vena di
demagogia). In realtà i sacrifici per i lavoratori erano stati definiti in
modo molto concreto e materialistico dagli accordi tra CGIL e Con-
51 l Congressi della CGIL, Atti, cit., voI. Il, p. 108.
52 L'Unità. 18/4/'46.
53 L'Unità delle forze democratiche per lo difesa della lira e del tenore di vita dei lavoratori, in La politica
dei comunisti dal Vai VI Congresso, risoluzioni e documenti raccolti a cura de/l'ufficio di segreteria del
PCI, edizione riservata ai delegati al VI Congresso, gennaio 1948, p. 248.
31
 findustria e nella legislazione governativa (ad esempio svuotando su-
bito dopo la firma parte dei contenuti dell'accordo sulla contingenza
con l'applicazione ad essa dell'imposta di ricchezza mobile), mentre
le proposte del piano della CGIL alla Confindustria erano del tutto
platoniche e astrattamente moraleggianti. Ad esempio, le prime due
proposte di Di Vittorio al Congresso di Firenze alla Confindustria so-
no:
"l) rinuncia da parte degli industriali a realizzare alti profitti e accontentarsi di pro-
fitti normali, abbassando i prezzi;
21pubblicazione dei prezzi di vendita all'ingrosso, per poter seguire i prodotti e ve-
dere dove sorge la maggiorazione speculativa"54;
La fine del blocco dei licenziamenti
La questione dei licenziamenti era l'altra cartina di tornasole dell'atti-
vità del PCI e del PSI nel governo e nel paese. Fin dalle giornate im-
mediatamente successive alla Liberazione, gli esponenti della bor-
ghesia nel CLN avevano posto in modo piuttosto duro la loro rivendi-
cazione di una piena libertà di licenziamento. Già il 9 maggio' 45 Ce-
sare Merzagora, dimettendosi polemicamente dalla presidenza della
Commissione centrale economica del CLNAI (protestando contro gli
"eccessi" dell'epurazione dal basso e piu in generale contro "gli abu-
si, manifestazione di un vero sgretolamento del potere centrale" che
sarebbero stati commessi in quei giorni), poneva apertamente la que-
stione delle "maestranze esuberanti", proponendo una presa di posi-
zione chiara del CLNAI, che avrebbe dovuto promuovere
"la costituzione di compagnie di lavoro presso le quali convogliare le maestranze
esuberanti, autorizzando le ditte a provvedere ad allontanare il personale non uti-
lizzabile, che comunque potrà essere impiegato o mantenuto da un ente collettivo e
non dalle singole imprese che non ne hanno possibilità materiale. Il problema è po-
litico e di urgente soluzione: già per la settimana ventura molte imprese non po-
tranno materialmente dar corso alle paghe"55.
Nonostante la comprensione e a volte la collaborazione aperta dalle
direzioni sindacali, le imprese a cui alludeva Merzagora dovettero
avere molta pazienza ed aspettare assai piu di una settimana. Le pri-
me deroghe al blocco dei licenziamenti strappato sull'onda della pre-
ponderanza operaia nell'insurrezione di aprile si hanno in autunno: il
27 settembre un primo accordo tra Confindustria e CGIL prevede che
54 l <":ullxressidella CGlL. cil. voI. Il, p. 110.
55 Appunti di Merzagora sul funzionamento del CLNAl in rapporto alla situazione economica. 9 maggio
1945, in Verso il governo del popolo, Atti e documenti del CLNAl1943-46, a cura di G. Grassi, Feltri-
nelli. Milano, 1977, p. 349.
32
si possano licenziare "i lavoratori che hanno altri cespiti o sufficienti
risorse personali o familiari" e "i lavoratori assunti dopo il 30 giugno
1943"56.
Il grave provvedimento viene presentato con tutte le mistificazioni
possibili, a partire dal negare che si tratti di licenziamenti:
"Oggi non si tratta di licenziamenti, si tratta di rimandare alla loro categoria d'origi-
ne dei lavoratori affinché... possano contribuire all'opera di ricostruzione... Vi sono
cumuli di macerie da sgomberare e non si trovano manovali disposti a compiere ta-
le lavoro. Vi sono case, ponti, officine da ricostruire e non si trovano i muratori. I
lavoratori edili italiani devono uscire dagli stabilimenti per riprendere il loro antico
e nobile mestiere"5'Z
Ma questo accordo assai parziale rimase in buona parte inapplicato e
la trattativa per un vero e proprio sblocco dei licenziamenti generaliz-
zati si protrasse a lungo.
L'accordo in tal senso fu realizzato il 18 gennaio 1946 e Di Vittorio lo
presentò come un grande successo, perché i licenziamenti sarebbero
stati scaglionati con questi criteri: 5% in febbraio, 4% nella prima me-
tà di marzo e 4% nella seconda metà dello stesso mese. I licenziati
avrebbero avuto per due mesi un'indennità pari al 66% del salario
globale e avevano da subito un mare di promesse su futuri sbocchi
occupazionali, attraverso lavori pubblici e riconversione produttiva.
Anche se ['Unità presentò con molto favore l'accordo, assicurando
che i sacrifici "contribuiranno in misura notevole all'abbassamento
dei costi di produzione, unico mezzo per salvare il patrimonio indu-
striale del Paese" 58, non mancarono le proteste, anche della CdL di
Milano, col risultato di costringere i padroni a ritardare ulteriormente
l'applicazione dell'accordo, almeno nelle grandi roccaforti operaie.
Vittorio Foa ha scritto a questo proposito che i due accordi del settem-
. bre '45 e del gennaio '46
"rimasero praticamente lettera morta per la resistenza operaia. Basti pensare che in
molte grandi fabbriche, e in particolare (come ci dimostra Levi) alla FIAT, l'occupa-
zione aumentò nei due anni sucessivi alla fine della guerra. L'accordo del '46 era
stato esaltato dalla CGIL come prova di realismo e di rispetto delle esigenze della
produzione, sulla linea generale dei partiti di sinistra nel 1945. Ma Vento ci ricorda
che la CdL di Milano criticò apertamente l'accordo e Rugafiori fa cenno alle violen-
te proteste degli operai genovesi. 10 sblocco dei licenziamenti era per i padroni
molto ph1 che un vantaggio economico o una necessità tecnica, era una questione
56 "Bollettino della CdL di Milano", l o ottobre '45, in G. Galli, Storia del partito comunista italiano,
cil. 268.
57 lbidem. Cf. anche Danilo Montaldi, Saggio sulla Politica Comunista in ltalia (1919-1970), Ed. Qua-
derni Piacentini, Piacenza, 1976, p. 260.
58 L'Unità, 18/11'46.
33
 di principio, una discriminante di potere. Lo sblocco voleva dire possibilità di licen-
ziare e quindi di intimidire i lavoratori con il ricatto della disoccupazione. Di fronte
all'inadempimento dell'accordo la Confindustria non si irrigidi, raccomandò ai suoi
associati di comprendere l'applicazione collegandola a contropartite di politica eco-
nomica o di poteri delle commissioni interne. Alla Confindustria interessava che il
blocco dei licenziamenti fosse abbandonato in linea di principio dall'organizzazione
operaia, che le masse in lotta avessero un fianco scoperto. La linea della stabilizza-
zione e del produttivismo poteva non essere immediatamente vincente nel movi-
mento operaio, potevano provvisoriamente prevalere le tendenze combattive delle
organizzazioni periferiche; ma il solo fatto che la linea della stabilizzazione ci fosse
e fosse quella ufficiale costituiva a medio termine un elemento di drammatica de-
bolezza"s9.
Nello stesso tempo a Torino violentissime proteste accolsero il discor-
so tenuto alla Consulta da Cavinato, commissario unico alla FIAT nel
periodo in cui non era stato ancora accettato il rientro di Valletta,
Agnelli, Carne rana ed altri dei massimi esponenti dell'azienda nel pe-
riodo fascista. Cavi nato, che era rappresentante socialista nella Con-
sulta, aveva sostenuto in quella sede:
"La manodopera improduttiva, in quanto fattore negativo di massimo rilievo, ri-
schia di far fallire le industrie e le trasforma in istituti di beneficienza, perciò chie-
do lo sblocco dei licenziamenti"6o.
Il risultato era stato una levata di scudi violentissma, soprattutto in
seno al PSI, proprio alla vigilia dell'accordo nazionale del gennaio
'46. Nel Nord l'applicazione dell'accordo fu contestata e bloccata (o
meglio ritardata, perché il mutamento della situazione politica e so-
ciale nazionale era facilitato anche dall'applicazione di quell'accordo
nel resto del paese), riferendosi ai deliberati del I Convegno delle
CdL del Nord, tenutosi a Milano il 24 luglio '45, che era stato nettissi-
mo a questo proposito:
"Le CdL del Nord concordano nell'opporsi vigorosamente alle pretese padronali di
risolvere il problema della manodopera resa esuberante dalle contingenze attuali
col licenziamento dei lavoratori in sovrannumero. La CGIL non può permettere
che i lavoratori, che con il loro eroismo hanno salvato le officine, oltre all'onore
dell'Italia, vengano allontanti dagli stabilimenti e gettati nel lastrico e nella dispera-
zione... Il convegno afferma che le aziende uscite d,dIa guerra con un'efficienza al-
meno parziale debbono mantenere in servizio la totalità dei propri dipendenti, con
gli opportuni adattamenti, anche se questo sforzo dovesse esigere, da parte degli in-
dustriali, di rimettere una parte degli alti profitti realizzati sotto la dittatura fascista
e specialmente nel corso della guerra... Per normalizzare la situazione delle indu-
strie sovraccariche di manodopera, il Convegno impegna le CdL a chiedere l'istitu-
zione di turni di lavoro in modo che l'intera maestranza sia occupata: la parte ne-
cessaria nella rispettiva azienda e l'altra in lavori vari di ricostruzione, avvicendan-
59 Prefazione di Vitlorio Foa a: Levi, Rugafiori, Vento. li triangolo industriale, cit. p. XXIII.
60 L. Lanzardo op. cit., p. 248.
34
L
dosi nel lavoro, entro e fuori l'officina, in modo che le maestranze, pur partecipan-
do ai lavori piu svariati, rimangano raggruppate e legate alla proprie officine e mes-
se in condizione di mantenere la propria qualifica professionale"61.
Per quanto riguarda Torino, appare chiaro che la locale CdL si richia-
ma a questo deliberato per rifiutare i licenziamenti e anche la cassa
integrazione prolungata per una parte degli operai. Richieste di avvi-
cendamenti fra gli operai, per ripartirsi il lavoro, vengono avanzate
già il 25 maggio '45, e successivamente, dopo aver strappato un pri-
mo impegno alla FIAT a non ridurre l'organico (in data 5 settembre,
mentre si sviluppano già le trattative nazionali per lo sblocco dei li-
cenziamenti), la CdL di Torino richiede che nessun operaio esca di
fabbrica, ma il lavoro sia ripartito fra tutti riducendo l'orario a 40 ore
per tutti (anche a costo di accettare una riduzione proporzionale del
salario). È singolare che Fabio Levi, riportando quest'episodio non
riesca a intuirne il segno politico, considerando questa richiesta come
dettata dalla volontà di evitare danni al meccanismo di accumulazio-
ne, anziché da una pressione operaia e da una maggiore sensibilità
della classe operaia e dei quadri torinesi alla tematica della ridistribu-
zione del lavoro tra tutti per evitare i licenziamenti e divisioni all'in-
terno della classe. 62.
Il vero dramma fu comunque la sterilità di queste pur consistenti sac-
che di resistenza operaia nelle grandi concentrazioni industriali, una
volta che gli effetti disgregatori dell'avvio dei licenziamenti avevano
cominciato ad agire sul tessuto operaio delle zone periferiche e nelle
stesse fabbriche piccole e medie del triangolo, provocando demora-
lizzazione e risentimenti.
La situazione era particolarmente grave nel Sud e nel centro Italia, e
in determinate aree (come il pubblico impiego) che vengono colpite
. piU duramente dalla politica governativa e che diventano presto riser-
va di caccia della demagogia di destra del Partito dell'Uomo Qualun-
que di Guglielmo Giannini e di organizzazioni monarchiche, (e anche
- ben presto - di formazioni apertamente filofasciste).
Il PCI aveva preso l'iniziativa diretta di pròporre i licenziamenti nel
settore Enti locali (nel quale aveva in molte regioni un peso notevole),
sia pure con una formulazione volutamente ambigua:
61 I Congressi della CGTL, cit., voI. I, pp. 251-252.
62 F. Levi. li triangolo industriale, cit., pp. 230 e 232; a proposito della particolare sensibilità sulla
tematica dell'orario di lavoro del PCI torinese e in particolare dei quadri di provenienza dall'espe-
rienza dell'Ordine Nuovo, si veda l'interessante articolo di Celeste Nagarville, Un dibattito sulle 36
ore, sul n. Il.12 - anno XI, 1954, di "Rinascita", numero speciale dedicato a Problemi e discussioni
per la TVconferenzanazionaledel PCI, pp. 765-768.
35
 "Data la situazione pletorica del personale di ogni grande amministrazione comu-
nale, si dovrà procedere alla eliminazione di quella parte che non dà sufficienti ga-
ranzie di moralità e di rendimento, evitando però una politica di licenziamenti tale
da aggravare la situazione già critica del mercato dellavoro"63.
La formulazione è tale da dar l'impressione di escludere i licenzia-
menti, mentre in realtà si escludono solo quelli "tali da aggravare la
situazione già critica del mercato del lavoro' " ribattezzando pudica-
mente gli altri "eliminazione"... Non è un caso isolato. Di questo lin-
guaggio, che sembra ispirarsi alla tradizione gesuitica non meno delle
formulazioni che nei trenta anni successivi hanno caratterizzato
l'oscuro linguaggio politico italiano (con una particolare maestria del
personale politico del partito egemone, che arriverà a veri capolavori
di mistificazione linguistica, come le "convergenze parallele", ecc.),
sono pieni i discorsi e i documenti ufficiali di quel periodo.
Nella citata relazione di attività al VI Congresso, ad esempio, parlan-
do delle attività dei comunisti "in difesa del popolo", un intero para-
grafo è dedicato allo sblocco dei licenziamenti, in termini tali che uno
storico che si dovesse basare solo su di esso potrebbe dedurne che
questo sblocco non è mai stato accettato:
"La CGIL si è battuta contro lo sblocco indiscriminato dei licenziamenti e risponde
no alle pressioni degli industriali e del governo per ottenere la libertà di licenziare. I
padroni intendono, attraverso lo sblocco, buttar fuori dalle aziende gli operai piu
combattivi, i dirigenti sindacali e politici, screditare le commissioni interne, ren-
dendole corresponsabili dei licenziamenti. ridurre non già i costi, ma la produzione
e tener alti i prezzi sul mercato. Ma il tentativo padronale... non può riuscire. La
battaglia contro lo sblocco dei licenziamenti non è combattuta soltanto per salvare
centinaia di migliaia di famiglie dalla miseria e dalla fame, ma per aumentare la
produzione, per difendere la nostra economia dagli attacchi del dollaro e per raffor-
zare la democrazia in Italia"64.
È evidente che nel frattempo il PCI e il PSI sono stati allontanati dal
governo, e hanno dovuto - con non poche difficoltà - riadattarsi
compiti di opposizione, assumendo un atteggiamento meno disponi-
bile verso le richieste padronali. Ma la formulazione cerca di nascon-
dere anche che già piu volte le direzioni sindacali hanno firmato ac-
cordi per lo sblocco dei licenziamenti: l'ipocrisia sta tutta nel termine
indiscriminato, che nasconde e giustifica l'accettazione di una politica
di licenziamenti "diversa". D'altra parte all'origine dell'accettazione
operaia di questa politica non c'è solo la difficoltà a sfuggire a cosi
63 Coordinare e potenziare il nostro lavoro nei comuni, mozione proposta dalla Commissione Enti Lo.
cali alla Conferenza nazionale di Organizzazione, 10 gennaio '47, in La politica dei comunisti dal Vai
VI congresso, cito p. 215.
64 Due anni di lolla, cit., pp. 175-176.
36
sottili mistificazioni, ma il fatto che effettivamente, per le forze ope-
raie meglio organizzate e piu concentrate, lo sblocco dei licenziamen-
ti è rimasto (per il momento) lettera morta, non è stato sentito sulla
carne, grazie alla pazienza padronale nell'articolare e graduare l'at-
tacco, per creare progressivamente le condizioni per l'attacco succes-
sivo (che verrà, tremendo, anche nelle maggiori fabbriche, alla fine
degli anni quaranta e nei primi anni del decennio successivo). Nello
stesso programma avanzato dai dirigenti del PCI alla vigilia dell'ulti-
ma crisi, che li vedrà allontanati dal governo, ci sono formulazioni
analoghe tra le proposte concrete:
"La riduzione dei costi di produzione da ottenersi non con la riduzione dei salari,
né con una piena libertà di licenziamento che non farebbe che spostare il problema
e porrebbe un grave turbamento nei rapporti tra capitale e lavoro, ma con una in-
tensificazione dell'attività produttiva della nazione e un aumento della produttività
del lavoro, facilitata dalla liquidazione di ogni inutile vincolo burocratico,,65.
Di fatto, non c'è dubbio che questo "duro" rifiuto della "piena liber-
tà di licenziamento" equivale a una via libera a misure parziali ma
non meno dolorose. La carta fondamentale dei dirigenti del PCI di
fronte alla propria base è quella di presentarsi come garanti di un ri-
dimensionamento dell' attacco padronale, trasformando in successo
parziale quella che è in realtà la prima rata e la premessa di una scon-
fitta di portata storica.
Intanto nel Sud la situazione si è aggravata, ed è una significativa am-
missione il paragrafo dedicato allo squadrismo fascista già nella riso-
luzione approvata al V Congresso del PCI:
"Per questo si assiste oggi... ad una vera e propria ripresa organizzata di criminalità
fascista, sia sotto bandiera schiettamente mussoliniana, sia con insegna monarchi-
ca. Per questo le condizioni economiche dei lavoratori, degli impiegati, dei reduci,
dei disoccupati, degli abitanti delle zone sinistrate e devastate, destano preoccupa-
zioni sempre piu gravi,,66
a
Il nesso tra la disgregazione economica che investiva certe zone del
paese e il proliferare di una opposizione di destra (l'unica opposizione
visibile, data l'esiguità delle formazioni rivoluzionarie alla sinistra
del PCI) era colto correttamente, ma le proposte di soluzione erano
quanto mai inadeguate:
"Il Congresso del PCI dà mandato al CC di rafforzare l'azione dei comunisti nel Go-
verno, nella Consulta e nel Paese, per ottenere che veramente siano garantite le li-
bertà riconquistate, che tutto l'apparato dello Stato agisca con energia a tutela di
65 Perla stabilizzazionedellalira e peralleviareil disagiodellemasse,risoluzionedella direzione del
PC\, 27/41'47,in La politicadei comunistidal Val VI Congresso,citopp. 243-244.
66 Stroncarele velleitàdi squadrismofascista,in La politicadeicomunisti,citop, 9.
37
- -
 queste libertà e per distruggere ogni velleità di squadrismo, per ottenere che si sol-
levino con67.
misure efficaci le miserie dei lavoratori, dei reduci, dei disoccupati, dei
sinistrati"
Al di là della delega all'apparato statale (sempre piu solidamente in
mano - a tutti i livelli - a funzionari formatisi nel ventennio fascista
e pronti a feroci vendette contro i partigiani e operai, come si vedrà
appena dopo la cacciata del PCI e PSI dal governo, quando si scatene-
rà la repressione anticomunista), questo appello resterà del tutto va-
no, proprio perché la scelta della collaborazione di classe come unica
strada esporrà il PCI sempre piu pesantemente ai ricatti delle compo-
nenti borghesi dei governi di Unità nazionale, a mano a mano che
queste, con l'aiuto determinante dei comunisti, si rafforzano e rico-
struiscono il loro Stato.
Questi arretramenti successivi imposti dal progressivo deteriorarsi
dei rapporti di forza per il venir meno in molti settori operai e popola-
ri della fiducia nel movimento organizzato che aveva accompagnato
la caduta del fascismo, si riflettono nelle diverse stesure del program-
ma del PCI formulato nel corso del biennio '45-'47.
Basta confrontare, ad esempio, le tre formulazioni successive delle
proposte di nazionalizzazioni:
"nazionalizzazione dell'industria elettrica, dei servizi pubblici, delle società di assi-
curazione, della grande industria chimica monopolistica IMontecatini); nazionaliz-
zazione della Banca d'Italia e delle altre banche d'interesse nazionale"68.
"Nazionalizzazione della Banca d'Italia, come base per la riorganizzazione del cre-
dito di un sistema unitario sul piano nazionale; nazionalizzazione dell'industria
elettrica e misure preparatorie a quella dell'industria chimica"69.
"Effettivo esercizio nell'interesse della collettività delle leve economiche fonda-
mentali giuridicamente già in possesso dello Stato, e piu precisamente dell'IRI, che
dovrà essere conservato come coordinatore del settore industriale già controllato
dallo Stato... e delle banche di diritto pubblico e di interesse nazionale, che dovran-
no essere coordinate al fine di orientare il credito al finanziamento della ricostru-
zione e a impieghi produttivi; nazionalizzazione delle industrie monopolistiche e
soprattutto delle industrie elettriche" 70.
È chiarissimo come svanisca, attraverso la formulazione intermedia
delle "misure preparatorie", ogni riferimento alla nazionalizzazione
delle industrie chimiche. Il già citato programma dell'aprile '47, adat-
tandosi in nome del cosiddetto "nuovo corso" a quel che.si ritiene ac-
67 lbidem.
68 ci!.
"Proposte
sti. p. 63. del PC! per un programma immediato di governo", 26/6/46. in La politica dei comuni-
69 Le proposte per un programma di governo, 24111'47, op. cit., p. 227.
70 Per la stabilizzazione.della lira, 27/4/'47, op. cito pp. 244-245.
38
cettabile dai partiti borghesi, va assai avanti non solo nel rinunciare a
proporre, almeno propagandisticamente, parti essenziali del pro-
gramma originario, ma anche nel formulare richieste assai lontane e
anzi nettamente contrastanti con gli interessi operai, come' 'una sag-
gia politica di emigrazione che protegga i nostri lavoratori e nello stes-
so tempo riattivi il flusso delle rimesse"71.
L'esclusione dei partiti operai dal governo nella versione del
PCI
Seguendo nella raccolta ufficiale dei documenti del PCI un ordine
cronologico, ci si trova di fronte a un sorprendente silenzio prolunga-
to per alcune settimane decisive: dopo l'accorata risoluzione del
7/5/'47 che abbiamo già ricordato, la prima presa di posizione ufficia-
le sulla crisi di governo è de131 maggio e la riportiamo integralmente:
"Contro ogni intrigo delle forze plutocratiche e reazionarie
Ad opera di determinati organi del ministero degli Interni sono state diffuse tra le
forze di polizia e nei quadri dell' esercito voci allarmistiche circa pretesi ed assurdi
propositi di ricorso alla violenza e a forme di lotta insurrezionale che esisterebbero
nel partito comunista in seguito alla soluzione antidemocratica che è stata data alla
crisi del governo.
La Segreteria del PCI ritiene superfluo dare una smentita a queste voci. Esse fanno
parte della solita campagna di provocazioni che da tempo viene condotta per diso-
rientare l'opinione pubblica e mettere in pericolo la democrazia. Il fatto che da par-
te del ministero degli Interni si sia prestata fede oppure si sia dato corso a simili vo-
ci è segno di irresponsabilità e leggerezza, particolarmente grave in un momento
come l'attuale, in cui non deve essere messa in pericolo, ma rafforzata, l'unità della
nazione.
I comunisti disapprovano e respingono nel modo piu reciso la soluzione che è stata
data alla crisi di governo, costituendo un ristretto e settario gabinetto di parte pro-
prio nel momento in cui, invece, era necessaria la piu larga unità di forze democra-
tiche e repubblicane. I comunisti invitano tutto il popolo ad unirsi per esprimere
apertamente questa disapprovazione, nelle forme legali che sono proprie della de-
mocrazia, in modo da rendere a tutti evidente che il grave errore commesso da chi
ha voluto creare questo governo deve essere corretto al piu presto nell'interesse su-
premo della Nazione.
Appunto per questo i comunisti respingono quelle forme di lotta che creerebbero
nel corpo della Nazione fratture insuperabili e denunciano come una provocazione
gli allarmi pazzeschi diffusi dal ministero degli Interni e l'azione di tutti coloro i
quali contribuiscono in qualsiasi modo a dar loro anche solo una parvenza di giusti-
ficazione.
Le classi lavoratrici si sono conquistate attraverso la guerra di liberazione il diritto
di dire una parola decisiva su tutti i problemi nazionali, anche partecipando al go-
verno del Paese.
71 lbidem, p. 244.
39
 Esse hanno dato sufficiente prova di disciplina e maturità democratica perché que-
sto diritto non debba venir negato. Lottando sul terreno democratico e mantenendo
la loro unità, esse sapranno affermare questo diritto e farlo valere contro ogni intri-
go di forze plutocratiche e reazionarie"n.
È sintomatico del profondo disorientamento dello stesso gruppo diri-
gente del partito il tentativo di ininimizzare la rottura, mettendo in
primo piano la denuncia delle "voci allarmistiche" (anche per tener
fermi settori di ex partigiani di cui poteva essere prevedi bile una rea-
zione violenta all'ultimo atto della liquidazione dei risultati della Re-
sistenza); incredibilmente miope l'analisi di quella che fu una scelta
di fondo e di lunga durata dell'insieme della borghesia italiana, e che
viene ridotta a "intrigo di forze plutocratiche", mentre il gabinetto
monocolore viene presentato come "settario" e frutto di un errore
soggettivo, da riparare al piu presto.
Anche nel piu ampio e organico documento della direzione del parti-
to dell'8 giugno le argomentazioni sono tutte in questo senso:
"Tanto la crisi di governo del mese di gennaio quanto quel1a del mese di maggio so-
no state provocate dal1'on. De Gasperi senza alcun serio motivo... Non esistevano
nel governo contrasti insuperabili... Nel suo desiderio di provocare ad ogni costo
una crisi, l'on. De Gasperi e alcuni dei suoi col1aboratori piu vicini non hanno esita-
to ad accrescere il turbamento del Paese con dichiarazioni e discorsi inconsulta-
mente allarmistici... Nel corso delle conversazioni con l'on. De Gasperi non è
emerso nessun punto di insuperabile dissenso programmatico: è bensi emerso il
proposito deliberato del1'attuale Presidente del Consiglio di costruire artificialmen-
te e ad ogni costo un dissenso con i partiti di sinistra,,73.
Il documento prosegue poi insistendo nell'attribuire "a una parte del-
la DC" tutte le responsabilità, e tirando ne quindi questa conclusione:
"Perciò è da augurarsi che al piu presto si possa, attraverso le vie democratiche,
correggere questa situazione, rendendosi conto gli stessi dirigenti democristiani i
quali hanno un senso del1e loro responsabilità davanti al Paese, del1a necessità che
questo avvenga"74.
Il grosso del documento era volto a tranquillizzare le irrequietezze in-
terne, insinuando tra l'altro che
"uno degli obiettivi che le forze reazionarie interne e internazionali si proponevano
e propongono di raggiungere, escludendo il PC dal governo, è, in particolare, di
spingere le forze comuniste sulla via di avventure antidemocratiche le quali do-
vrebbero offrire alla reazione la possibilità di isolare la classe operaia dal1e altre for-
ze democratiche e repubblicane, di batteria, di stroncare in questo modo il consoli-
damento e lo sviluppo della democrazia e preparare il ritorno a un regime di tiran-
72 Roma, 31/5/'47, in La politica dei comunisti, cil. pp. 250-251.
73 Unità dei lavoratori e delle forze democratiche contro ogni tentativo di ripresa reazionaria, in La poli-
tica dei comunisti, op.ci!.. p. 260-261.
74Ibidem, p. 264.
40
nide... La direzione del PC denuncia al1'opinione pubblica queste campagne di pro-
vocazione e mette in guardia contro l'attività che provocatori e avventurieri posso-
no tentare di svolgere nelle file del movimento operaio e nelle file stesse del
partito"75.
Al tempo stesso, anche verso le forze borghesi, si continuavano a of-
frire garanzie non solo di senso di responsabilità e rifiuto di forme di
lotta "avventuristiche", ma anche di disponibilità a moderare ulte-
riormente il programma, facendo concessioni persino alliberalismo
fino allora respinto:
"1 comunisti continueranno a prppugnare un programma di ricostruzione, che sen-
za opprimere le sane forze produttive con eccessivi interventi del10 Stato restituisca
a tutti la fiducia nel1'avvenire,,76.
Ma nonostante l'ottimismo del documento citato, che con involonta-
rio umorismo si conclude con il paragrafo dal titolo "Preparare nuove
vittorie democratiche del Partito", che appare per lo meno un po' sin-
golare all'indomani di una pesante sconfitta che avrà ripercussioni
profonde per decenni, il partito rimane a lungo scosso e passivo. Un
piu ampio documento viene cosi preparato dalla direzione per orga-
nizzare la discussione in tutti i comitati federali e, successivamente,
in tutti i comitati direttivi di sezione.
Gli scopi del documento sono due: fornire una spiegazione un po' me-
no infantile e personalizzata della crisi e riorientare il partito, argi-
nando gli eccessi "estremistici" che si sono manifestati qua e là, ma
anche i frequenti casi di debolezza. Per quanto riguarda la crisi, si in-
troduce un minimo di valutazione in termini di classe, presentandola
secondo lo stile stalinista in polemica con imprecisati compagni diso-
rientati:
"Molti compagni, nel periodo in cui durava la partecipazione al governo, si erano
lasciati prendere. dalla illusione che le cose potessero procedere ormai in modo
molto tranquillo, attraverso la graduale estensione in ampiezza e profondità del1a
nostra attività costruttiva e una marcia tranquilla verso la conquista del1a maggio-
ranza. Le ultime crisi di governo hanno attirato con forza l'attenzione di tutti sul1a
vivace lotta di classe che si combatte nel Paese, e sui contrasti che si approfondisco-
no nel campo internazionale. Esse hanno fatto capire a molti, che prima ancora non
lo avevano capito, che le nostre prospettive sono legate nel modo piu stretto a come
si sviluppano tanto i contrasti internazionali quanto la lotta di classe nel1'interno
del nostro paese,,77.
Come conseguenza di questa lentezza nel capire che le prospettive
75 Ibidem, p. 265.
76 Ibidem, p. 266.
77 L'orientamento politico e di lavoro dei comunisti nel momento presente, lettera della Direzione del Par-
tito a tutte le organizzazioni, 16/8/'47, in La politica dei comunisti, cil. p. 273.
41
dei <omunisti al governo dipendono anche dai rapporti e dalla lotta
tra l~classi a livello internazionale e nazionale, si osserva che:
"!'el suo complesso il partito è stato debole nel passaggio all'opposizione. Forse per
le abitudini contratte durante la partecipazione al governo, forse per il timore di da-
re esca a correnti estremiste e di far perdere alla nostra attività il suo carattere co-
stluttivo, le nostre organizzazioni e la nostra stampa quotidiana non hanno ancora
déltoprova di saper condurre una larga campagna di opposizione al governo... In
el1sodi singoli ci è stata e vi è alle volte una vivacità anche esagerata, ma nel com-
pl~sso la nostra opposizione, al di fuori dei comizi dove parlano i dirigenti del parti-
to non si manifesta ancora come sarebbe necessari078.
Un altro elemento di confusione è la tattica verso la DC, su cui si ri-
torn~ in vari punti del documento:
"la maggioranza del partito ha praticamente ignorato la direttiva che tendeva a im-
P~ire che si creasse un abisso tra noi e la DC... Insensibilmente... il Partito tende a
sc'volare sul terreno della lotta aperta e persino violenta contro la DC"79.
"p. proposito delle relazioni con la DC bisogna riuscire a modificare la pratica di
m~lte organizzazioni, le quali ignorano questo problema, oppure lo vedono come
pr~blema di lotta aperta. Non si deve ricadere nell'errore che si commetteva in
m~lte parti prima del 2 giugno, quando per non guastare i rapporti con la DC non si
P~emizzava con essa e non si rispondeva ai suoi attacchi... Consigliamo alle orga-
llI~zazioni del partito di studiare la possibilità di organizzare un contatto regolare
tra quadri e militanti del nostro partito e quadri e militanti della DC. Questo contat-
tO.potrebbe prendere la forma di riunioni ristrette convocate per discutere proble-
mI singoli della situazione italiana, allo scopo di chiarire le posizioni reciproche,,8o.
Gli accenni del documento agli errori commessi prima del 2 giugno,
alludono probabilmente a eccessi di moderatismo che avevano susci-
t~to ~reoccupazioni durante quella campagna elettorale e in quella,
di pOco precedente, per le amministrative:
"Per quanto riguarda i problemi economico-sindacali che in questo momento agita-
no il Paese, la Direzione è di opinione che sia errato l'atteggiamento di quei compa-
gni che ritengono sia nostro dovere e interesse intervenire sempre e in ogni caso
n~l senso di sedare a ogni costo le agitazioni stesse. Nostro preciso dovere è invece
di tener vive e deste le agitazioni stesse, sempre che giustificate, avendo cura piut-
tO~todi evitare che esse sfocino in atti inconsulti. Il problema non è tanto di frenare
o rallentare l'azione delle masse quanto di disciplinarla e controllarla, esercitando
una permanente pressione in senso democratico sulle autorità e sul governo... Nel
~rSmuovere le agitazioni aver cura di sceglierle e condurle in modo tale da ottenere
Il Inigliore dei risultati anche dal punto di vista elettorale"81.
Ma ritorneremo successivamente sul complesso processo di riorien-
78 lbiqem, pp. 275-276.
79 lbiqem, p. 277.
80 lbiqem, pp. 283.284.
81 Portaretutto il partito sul piano elettorale,2/3/'46, op. cit., pp. 22-23.
42
tamento del partito, che lo porterà in un tempo relativamente breve a
riconquistare la fiducia degli elementi piti combattivi della classe
operaia, presentandosi con un volto nuovo e "duro" (pur nell'assolu-
ta continuità strategica con il periodo in cui la borghesia aveva accet-
tato la sua collaborazione di governo!.
Le cause profonde della rottura dell'unità antifascista
Le spiegazioni fornite dal PCI sulla sua esclusione dal governo, anche
se a mano a mano, con un maggiore distacco, assumono un carattere
meno schematico e soprattutto personalizzano un po' meno le re-
sponsabilità, rimangono nel complesso insufficienti. D'altra parte, su
questo drammatico momento della sua storia il gruppo dirigente del
PCI ha scritto poco e in genere di sfuggita. Ad esempio, solo poche tra
le 260 pagine del quaderno di Rinascita dedicato a ''Trenta anni di vi-
ta e lotte del PCI"sono dedicate all'esperienza di governo e addirittu-
ra solo poche righe affrontano il problema della rottura8Z. Analoga re-
ticenza su quel periodo nella prima biografia ufficiosa di Togliatti83, e
nel manuale usato per anni nelle scuole quadri del partit084.
Una ricostruzione ricca e complessa viene invece da vari saggi, tra
cui spicca quello di Guido Quazza85, (le cui ultime 250 pagine sono
dedicate alla "liquidazione degli istituti di movimento", alla "con-
troffensiva padronale e la politica dei due tempi" e alla fine del
"compromesso antifascista"), e il volume di Enzo Piscite1li86, che de-
dica notevole attenzione alle vicende della politica economica, pur ri-
conducendo la rottura alla concomitanza di molti altri fattori, tra cui
quelli internazionali.
La tregua tra i due schieramenti, quello riformista e quello conserva-
tore, che hanno fin dall'inizio coesistito all'interno della fittizia unità
antifascista, aveva dato segni di incrinatura da tempo, e soprattutto
dopo i primi risultati elettorali della primavera del' 46 e del 2 giugno
dello stesso anno, sostanzialmente sfavorevoli per i partiti di sinistra
(comunque inferiori alle loro attese e alla loro forza di mobilitazione
all'interno delle fabbriche e in genere tra le masse). Ma soprattutto la
parziale correzione tattica del PCI, con le critiche agli eccessi di mo-
82 Trenta anni di vita e lotta del PCI, a cura di P. Togliatti, Quaderni di Rinascita, Roma, 1951.
83 Conversando con Togliatti, Note biografiche a cura di Marcella e Maurizio Ferrara, Ed. di Cultura
sociale, Roma, 1953.
84 Breve corso, "Togliatti" sul Partito Comunista italiano, a cura del PCI, senza indicazione di data,
ma del 1953.
85 Guido Quazza, Resistenza e storia d'italia, problemi e ipotesi di ricerca, Feltrinelli, Milano, 1976.
86 Enzo Piscitelli, Da Parri a De Gasperi, Storia del dopoguerra 1945/48, Feltrinelli, Milano, 1975.
43
deratismo che abbiamo già ricordato e l'allontanamento di Togliatti
dal governo proprio per dedicarsi maggiormente all'orientamento del
partito (che comincia a sviluppare in modo piu articolato la propria
azione, in modo da poter raccogliere e recuperare almeno una parte
del malcontento contro i governi a cui pur partecipava e di cui era
pienamente corresponsabile), provoca un vivo allarme tra i conserva-
tori, che accusano sistematicamente il PCI di doppio gioco, perché
partecipa a movimenti di massa di fatto rivolti contro il governo. I ri-
sultati delle elezioni amministrative in alcuni grossi comuni avevano
visto in autunno un miglioramento delle posizioni della sinistra e un
arretramento della DC, ero sa a destra dal Fronte dell'Uomo qualun-
que, che tra la sorpresa generale si era affermato già il 2 giugno come
una grossa forza (30 deputati, contro i 7 del Partito d'Azione e i 2 della
Concentrazione democratica repubblicana di Ferruccio Parri!), e che
beneficiava ora dell'impatto sull'opinione pubblica della sua inspera-
ta affermazione. Il Fronte dell'Uomo qualunque supera tra l'altro la
DC a Roma, Napoli e Palermo, mentre la grossa affermazione del PCI
come primo partito a Torino, Genova e Firenze (seguito dal PSIUP
nelle prime due città, dalla DC, ma con un forte distacco, nella terza),
nonché in molte altre città minori dell'Italia centro-settentrionale,
provoca sgomento nella DC. I risultati autunnali, scaglionati in sei
domeniche dal 6 ottobre allO novembre, secondo il macchinoso mec-
canismo elettorale predisposto dal ministro socialista Romita87, ri-
guardano quasi tutti i centri rossi, e vedono in essi uno spostamento
impressionante di voti dal Partito Socialista al PCI (anche attraverso
le preferenze, nelle città in cui si sperimentano i primi listoni unitari!.
Questo dato accelera senza dubbio il processo di differenziazione in-
terna al PSIUP (che culminerà nel gennaio '47 nella scissione di Pa-
lazzo Barberini), ma anche le prime contromisure nella DC, che si ve-
de erodere da destra la posizione preminente emersa dal 2 giugno, e
che vede con allarme la crescita del PCI. Il problema è solo quello di
trovare il tempo e l'occasione piu opportuni. Il viaggio di De Gasperi
negli Stati Uniti (proprio mentre si consuma la scissione saragattiana)
viene considerato l'elemento decisivo per la rottura governativa, e
senza dubbio nel viaggio americano (presentato ambiguamente come
un viaggio semi-privato, per conferenze al Forum di Cleveland, ma in
cui trattò e ottenne promesse di forti aiuti economici), De Gasperi ot-
tenne spinte e incoraggiamenti per una rottura dell'unità antifascista.
Lo stesso Andreotti, che a De Gasperi fu vicinissimo in quegli anni,
87 Vedi a questo proposito, C. Ghini, 11voto degli italiani, Editori Riuniti, Roma, 1975, pago 22.
44
ammette che "per De Gasperi era essenziale sentire di avere il soste-
gno americano"88, anche se ribadisce che la crisi aperta subito dopo il
rientro dagli Stati Uniti non puntava a una rottura totale, perché
"non voleva rompere con le sinistre prima della firma del trattato di
pace"89.
Intanto però il risultato della oscura crisi di fine gennaio è un rimpa-
sto che ridimensiona pesantemente le sinistre, togliendo a Nenni il
ministero degli Esteri e a Scoccimarro quello delle Finanze (unito a
quello del Tesoro ed assegnato al democristiano Campilli).
Come osserva Enzo Piscitelli, "pur di rimanere al governo, socialisti e
comunisti accettano qualunque condizione posta dal leader democri-
stiano, prendendovi parte in condizioni molto subordinate"9o. Leo
Valiani afferma che "i ministri socialcomunisti, privi della presenza
dei loro maggiori capi, estromessi da ogni effettiva leva di comando,
all'infuori del ministero dell'Industria che rimaneva a Morandi, si
trovavano prigionieri di una situazione che doveva necessariamente
evolversi ai loro danni"91. Intanto è arrivato al pettine il nodo 'tanto
temuto da De Gasperi, del trattato di pace, che il governo può solo fir-
mare senza essere stato ammesso alle trattative, e di cui ha voluto
rendere corresponsabili i partiti di sinistra per avere almeno su quel
fianco una copertura (dato che da destra invece l'attacco' su questo
terreno è particolarmente violento e, soprattutto sulla questione giu-
liana, vedrà per un lungo periodo un rafforzamento neofascista).
Nel frattempo De Gasperi è oggettivamente incoraggiato dalla tran-
quillità con cui a Parigi il PCF viene allontanato dal governo Rama-
dier (che si costituisce ai primi di maggio), nonostante le numerose
prove di "responsabilità" e di zelo nella repressione dei movimenti
per l'indipendenza delle colonie (ancora alla vigilia della crisi il CC
del PCF approvò il voto dei ministri comunisti a favore dei crediti che
dovevano finanziare la guerra nel Vietnam92.
L'inasprirsi della guerra fredda si è manifestato tra l'altro con l'inter-
vento diretto degli Stati Uniti in Grecia a partire da marzo, per la re-
pressione delle formazioni partigiane che sono sfuggite alle persecu-
88 G. Andreotti, InteTllista su De Gasperi a cura di A. Gambino, Laterza, Bari, 1977, pp. 75-76.
89Ibidem, p. 65, Analoghe affermazioni anche a pp. 36.37.
90 E. Piscitelli, Da Parri a De Gasperi, cit., p. 176.
91 Lco Valiani, L'awento di De Gasperi, Tre anni di politica italiana, Silva, Torino, 1949, p. 106.
92 Jacob Moneta, Le PCF et la question coloniale, Maspero, Paris, 1971, p. 149; a proposito dello
sfrenato sciovinismo del PCF, che provocò una polemica aperta tra PC! e PCF sulla questione dei
danni di guerra. si veda il comunicato della Segreteria del PC! de123/4I' 46, in La politica dei comuni.
sti, cit., pp. 35.36.
45
 zioni tornando in montagna - sia pure alla spicciolata e in condizioni
che determineranno l'inevitabilità della sconfitta finale93.
Gli Stati Uniti, dal marzo 1947, teorizzano ormai apertamente, con la
cosiddetta dottrina Truman, il diritto di intervenire contro "pressioni
esterne o sovversioni interne" in Grecia e in Turchia (ma vari accen-
ni lasciano capire che la dottrina Truman è estensibile all'Italia). La
cacciata dei comunisti dal governo viene non a caso preceduta da in-
tense campagne allarmistiche contro presunti piani insurrezionali del
PCI, su cui si sbizzarriscono gli organi di stampa "indipendente" (re-
stituiti tutti nel frattempo ai vecchi padroni, che erano stati cacciati o
erano fuggiti alla caduta del fascismo). Anche diversi esponenti della
resistenza "bianca" o "azzurra", in particolare personaggi come Ed-
gardo Sogno, legato ai servizi segreti occidentali, svolgono un ruolo
importante in questa campagna che attacca sempre piti apertamente
le formazioni partigiane Garibaldi, accusandole di crimini compiuti
durante la lotta e soprattutto di preparare una nuova insurrezione ar-
mata. Tra i finanziatori spiccano naturalmente gli industriali, che già
nel giugno 1945 avevano scritto agli alleati per sollecitarli a non parti-
re dall'Italia e ad assumere direttamente il controllo delle fabbriche e
che si impegnavano da parte loro a portare avanti una "intensa cam-
pagna di stampa e di propaganda", autofinanziata con 120 milioni de-
positati nella Città del Vaticano, e a "organizzarsi autonomamente
per combattere il comunismo" eventualmente anche con le armi (tra
i finanziatori di quell'appello comparivano i nomi significativi del
presidente della FIAT Valletta, di Piero Pirelli, di Enrico Falck, dei
Piaggio, di Angelo Costa presidente della Confindustria, di Pierluigi
Roccatagliata, proprietario della Nebiolo)94.
Al tempo stesso - elemento essenziale troppo spesso sottovalutato da
parte comunista - alla accresciuta 'volontà' di liquidare l'esperienza
della collaborazione tripartita tra DC, PCI e PSI e alle indubbie pres-
sioni esterne si accompagna una 'possibilità' di farlo in modo relati-
vamente indolore. L'attacco contro i movimenti di protesta nel Sud,
in cui si è cimentato con ferocia il ricostruito apparato statale borghe-
se, che ha represso senza pietà i moti del Fucino e di Licata già nel '44
e poi ha sparato negli anni successivi ad Andria, a Bisceglie, a Molfet-
ta, a Minervino Murge, a Bitonto , a Palmi e in molte altre località del
meridione, comincia ad essere affiancato da formazioni irregolari che
attaccano apertamente il movimento operaio anche nelle sue manife-
stazioni piti pacifiche, approfittando della sua debolezza, della sua in-
93 André Kedros, Storia della resistenza greca. Marsilio, Padova, p. 549.
94 G. Quazza, Resistenza e Storia d'Italia, ci!. p. 381.
46
I
capacità di rispondere su questo terreno, della delega impotente a
una polizia e a una magistratura che in realtà sono indulgenti se non
complici degli assassini. È proprio a pochi giorni dalla crisi di gover-
no che si ha lo spaventoso eccidio di Portella delle Ginestre, il 10
maggio 1947.
Il PCI e il movimento operaio nel suo complesso, da tempo, arretrano
sotto i colpi senza reagire adeguatamente, per timore di "fare il gioco
dell'avversario". Diventa sempre piti difficile recuperare la propria
credibilità scossa da tanti arretra menti successivi.
Non c'è dubbio, inoltre, che il PCI fu colto di sorpresa dalla guerra
fredda, dal momento che tutta la sua analisi della situazione internazio-
nale aveva sistematicamente presentato come indistruttibile l'alleanza
tra l'Unione Sovietica e le grandi potenze imperialiste occidentali (nei
cui confronti naturalmente si evitava accuratamente questa caratteriz-
zazione); per anni questo tasto era stato ribattuto, contrastando le diffi-
denze istintive alla base, con formulazioni di questo tipo:
"Noi non diremo una parola, non faremo un gesto il qualE!possa in qualsiasi modo
contribuire a un peggioramento qualsiasi delle relazioni che esistono tra le grandi
Nazioni democratiche' ,95.
Togliatti aveva spinto il suo zelo in tal senso fino al punto da accettare
imposizioni persino da un sergente americano, come riferi compia-
ciuto ai suoi biografi-agiografi, Marcella e Maurizio Ferrara, che ri-
portano cosi l'episodio: .
"A Milano... una folla enorme si riuni sotto le finestre della federazione milanese,
sui bastioni, non appena si seppe del suo arrivo. Subito arrivò un sergente america-
no e comunicò che non si poteva fare un comizio. Togliatti si affacciò, disse al po,
polo: 'Ci comprendiamo lo stesso, anche senza parlare' e si ritirò tra il delirio della
folla"96.
Probabilmente Togliatti aveva piti chiaro della maggior parte del
gruppo dirigente (per non parlare dei quadri di base ed intermedi) co-
sa significavano gli accordi di Yalta (o meglio l'insieme delle com-
plesse trattative, svoltesi in varie sedi, per la spartizione del mondo in
zone di influenza). Senza dubbio la coscienza di questo contesto inter-
nazionale è stata determinante per la scelta di respingere qualsiasi
possibilità di forzare la situazione italiana, di sviluppare un'azione in-
dipendente della classe operaia nella prospettiva della conquista del
potere. Ma i servizi resi non solo alla burocrazia sovietica interessata
95 Togliatli, discorso al teatro Brancaccio in Roma, 9/7/'44.
96 M. e M. Ferrara, op. cit., p. 355; I due dirigenti comunisti riferiscono l'episodio per esaltare l'at.
teggiamento del sergente americano, che subito dopo volle rimanere un momento solo con Togliatli
per abbracciarlo e chiedergli un autografo. '
47
 >
al mantenimento dello status quo, ma anche alla borghesia italiana
aiutata a rimettersi in piedi, avevano creato realmente l'illusione che
la collaborazione interclassista potesse mantenersi a lungo, se non in-
definitamente. D'altra parte, anche se con minori illusioni di quelle
che erano state sciaguratamente riposte nella stabilità della alleanza
con la Germania nazista, la stessa URSS staliniana aveva considerato
l'accordo con le "grandi democrazie" come un'intesa di lungo perio-
do. Per questo il rapidissimo deterioramento dei rapporti tra gli ex-
alleati e la conseguente spaccatura delle coalizioni interclassiste crea-
te in quel contesto, trovarono particolarmente impreparato il movi-
mento comunista occidentale.
Comunque, sia il PCI sia il PSI affrontarono il dibattito parlamentare
sul governo senza tentare una pressione di massa, e anzi utilizzando
come argomento principale contro il nuovo governo non la sua carat-
terizzazione di classe, ma una contestazione della sua legittimità co-
stituzionale (in senso lato, perché la Costituzione non era ancora ter-
minata). Sia Togliatti che Nenni, nelle sedute dell' Assemblea Costi-
tuente del 19 e 20 giugno '47, sostengono che il governo debba essere
composto da tutte le forze parlamentari, anche perché l'Assemblea
costituente non potrebbe a rigore neppure votare la fiducia al gover-
no essendo priva di poteri legislativi (che fino alla elezione delle due
camere, che avverrà il 18 aprile, sono affidati al governo).
"A Montecitorio noi facciamo la Costituzione, mentre le leggi le fa il
governo", afferma Nenni; quindi il vero parlamento non è a Monteci-
torio ma al Viminale, e quindi"il governo non può essere di parte o
di classe, ma deve essere rappresentativo di tutte le forze democrati-
che del Paese" . Ma i giochi sono fatti, e su questi argomenti formali è
difficile sviluppare una mobilitazione di massa. Il governo sarà tem-
poraneamente un monocolore DC con qualche "tecnico" liberale, e
appoggiato da liberali, monarchi ci e qualunquisti (i socialdemocrati-
ci, che sono una pedina importante nell'operazione, non se la sentono
ancora di assumere direttamente la corresponsabilità di governo; en-
treranno a dicembre, insieme ai repubblicani).
Nel giro di pochi mesi la restaurazione sarà piena e totale. L'ultimo
prefetto di origine partigiana, Ettore Troilo, viene destituito alla fine
di novembre, di sorpresa, a Milano, provocando una mezza insurre-
zione in sua difesa (con occupazione degli edifici pubblici e dei punti
nevralgici, compresi telefoni e radio, da parte di 5.000 ex-partigiani e
decine di migliaia di operai). Ma è solo un'indicazione della straordi-
naria disponibilità di energie per una politica piu decisa ed energica.
L'episodio rimane isolato e quindi fallisce l'obiettivo. La repressione
48
antipartigiana anzi viene accelerata anche da questo episodio. Gli ar-
resti sistematici di partigiani erano cominciati, col plauso del PCI, in
modo selettivo contro frange estremiste e non sempre ben delimitate
rispetto al banditismo comune che ovviamente prosperava nel caos
del"dopoguerra (vedi un ampio comunicato ufficiale, sulle "provoca-
zioni in Emilia", che in data 29 ottobre '46 aveva bollato come provo-
catori o addirittura neofascisti i numerosi sbandati che avevano' 'per-
petrato delitti a danno di agrari, professionisti e commercianti
onesti"), insinuando naturalmente che tutte queste piccole bande,
nonché il Movimento di Resistenza Partigiana sorto a Milano per ini-
ziativa di numerosi ex-partigiani "siano collegati da una direzione
unica"97.
A partire dalla cacciata dei comunisti dal governo, la repressione si
estende fino a raggiungere dimensioni di massa (in provincia di Mo-
dena, 3.500 fermi o arresti su un totale di 18.411 partigiani, pari cioè
al 20% circa)98.
Il vero test della portata della sconfitta subita (e consolidata con la
passività immediatamente successiva alla cacciata dal governo) si
avrà il 18 aprile 1948, quando dopo molti rinvii si hanno le prime ele-
zioni generali per Camera e Senato nel quadro della nuova Costituzio-
ne repubblicana. La lista unitaria presentata da PSI e PCI avrà un tra-
collo pauroso, anche in molte città industriali, e la DC avrà addirittu-
ra la maggioranza assoluta degli eletti nelle due Camere (passando dal
35% al 48,5% dei voti). Per giunta compaiono numerose liste aperta-
mente fasciste, a partire dal MSI, che raccoglierà però solo 526.670
voti, perché il grosso dell'elettorato di destra è stato attratto dalla DC,
che si presenta come il baluardo anticomunista ed ha all'attivo la li-
quidazione indolore della partecipazione comunista e socialista al go-
verno.
Il segno piu grave del massiccio spostamento a destra fu l'arretra-
mento della lista del Fronte Democratico Popolare, che ebbe appena il
31 % rispetto al 40% conseguito nel' 46 dai due partiti separati nelle
elezioni del 2 giugno (che pure erano state considerate un test defor-
mante, che aveva dato un risultato inferiore alle previsioni e alla for-
za reale di mobilitazione dei due partiti e soprattutto del PCI in quella
fase).
Le spiegazioni ufficiali attribuirono il risultato "all'intervento del cle-
ro, dello straniero e delle autorità di governo per coartare la volontà
97 La politica dei comunisti, cit., pp. 140-148.
98 P. Secchia, La resistenza accusa, Mazzotta, Milano, 1973, p. 72.
49
degli elettori" e Togliatti defini drasticamente le elezioni "né libere,
né democratiche". Ma nessuna di queste argomentazioni spiegava
perché queste manovre avevano trovato una rispondenza di massa,
perché si era indebolita l'area di consensi intorno ai partiti di sinistra,
perché settori larghi delle stesse masse operaie e contadine avevano
perso la fiducia nella lotta e cominciavano a rivolgersi verso i partiti
del sottogoverno, della corruzione, del paio di scarpe in cambio di un
voto. Soprattutto nel Sud, il PCI era diventato il capro espiatorio di
una politica che in misura notevole aveva solo subito e anzi cercato di
contrastare in parte dall'interno del governo, ma che aveva difeso ze-
lantemente tra le masse, attirandosi gli odi che proprio i maggiori re-
sponsabili della situazione attizzavano giocando su tavoli diversi.
Il 14 luglio 1948
Il disorientamento e la passività che hanno reso sostanzialmente in-
dolore l'allontanamento del PCI dal governo hanno probabilmente
indotto la borghesia a farsi qualunque illusione e a tirare la corda piu
del dovuto. Il clima di caccia al comunista si fa rapidamente isterico,
assume quasi toni "greci", e sempre piu spesso si parla apertamente
di mettere fuori legge il PCI, con polemiche vivaci tra chi ritiene indi-
spensabile farlo con leggi straordinarie e chi invece sostiene che si
possano usare le leggi ordinarie della Repubblica (che, vedi caso, sot-
to la vernice di proclamazioni platoniche del preambolo costituziona-
le, sono rimaste in gran parte quelle del codice fascista Rocco, ed ef-
fettivamente si prestano senza bisogno di eccessive modifiche a un
pesante uso repressivo!. Tuttavia la forza della classe operaia e degli
altri strati sfruttati che era emersa nella grande ascesa rivoluzionaria
del' 43-44, è stata mal utilizzata, in parte logorata, in parte dispersa o
frammentata, ma non è stata distrutta. Lo si vedrà quando un fanati-
co anticomunista, Antonio Pallante, tenta di uccidere con quattro col-
pi di Smith and Wesson Palmiro Togliatti mentre esce da Montecito-
rio. Entro un'ora la capitale, e nel giro di un paio d'ore tutto il Paese,
sono paralizzati da uno sciopero generale che nessuno ha proclamato
e che ci vorrano 36 ore per cominciare a fermare. Pietro Secchia lo ha
definito' 'il piu imponente, il piu spontaneo, il piu forte che la storia
del movimento operaio ricordi"99.
Sull' Unità, sempre Secchia aggiunse:
"se guardiamo gli stessi scioperi generali del 1919-20, non ne troviamo nessuno
99 P. Secchia. La resistenza accusa, cit., p. 58.
50
che lo eguagli per ampiezza, slancio, spontaneità... Occorre soprattutto tener pre-
sente che non fu preparato, che non fu preceduto da alcun lavoro di organizzazio-
ne" 100.
Per ammissione unanime degli stessi avversari politici, lo sforzo del
gruppo dirigente fu solo teso a far rientrare la protesta, a incanalarla,
ad esempio facendo camminare per chilometri e chilometri sotto il
sole i 200.000 manifestanti romani, mandando li a sfilare intorno al
Policlinico per sottrarli alle piazze romane che avevano sanguinosa-
mente conteso alla Celere (il primo morto operaio fu a poche centi-
naia di metri da Montecitorio, in Piazza Colonna).
Le fabbriche del Nord furono in gran numero occupate e spesso pre-
sidiate con le armi rapidamente disotterrate (varie testimonianze con-
fermano che spesso i nascondigli erano nelle stesse fabbriche). In una
recente intervista a la Repubblica, Luigi Longo ha ricordato che tutto
il gruppo dirigente, senza eccezioni, si ritenne vincolato dalle ultime
parole sussurrate da Togliatti a D'Onofrio e a Scoccimarro, prima di
andare sotto i ferri: "State calmi, non perdete la testa".
Anche senza perdere la testa, il gruppo dirigente si trovò sull'onda di
uno sciopero generale ad oltranza, che in molte città e anche in mol-
tissimi centri minori assunse caratteristiche insurrezionali. Il bilancio
ufficiale parla di 20 morti, 600 feriti, oltre 7.000 lavoratori arrestati
nel periodo immediatamente successivo le altri ancora saranno colpi-
ti piu tardi, passata la grande paura). I morti sono relativamente po-
chi, anche perché in molti casi la polizia è rimasta disorientata
dall'ampiezza delle mobilitazioni e si è anche fatta disarmare. A Ge-
nova, già alle 15 del pomeriggio dello stesso 14 luglio, una prima ca-
mio netta è stata presa dai dimostranti e bruciata, mentre poco dopo
vengono catturate in via XX Settembre 5 autoblinde della polizia, i
cui occupanti vengono portati in una "prigione del popolo" nel palaz-
zo delle poste presidiato. In tutte le città chiodi. a quattro punte bloc-
cano istantaneamente tutte le vie d'accesso, mentre accanto alle armi
dissotterrate compaiono sempre piu frequentemente armi nuove
strappate a commissariati o ad agenti isolati. Scontri a fuoco ci sono a
Taranto, a Venezia, a Livorno, ad Abbadia San Salvatore, dove gli in-
sorti hanno occupato una importante stazione telefonica sull' Amiata,
attraverso cui passano gran parte delle comunicazioni tra il Nord e il
Sud. Per riconquistare Abbadia, come altri piccoli centri completa-
mente in mano agli insorti, occorreranno vere e proprie operazioni
militari in grande stile101.
100 M. e M. Ferrara, Conversando con Togliatti, ci!. pp. 378-379.
51
 Il giorno 1510 sciopero è talmente violento e massiccio che i dirigenti
della CGIL (che non l'hanno proclamato I non tentano neppure anco-
ra di fermarlo. Il giorno 15 il gruppo dirigente del PCI è cosi sgomen-
to e incapace di dare indicazioni che non esce neppure l'Unità (che
aveva fatto tre edizioni straordinarie il giorno primal e solo in serata
viene annunciato che lo sciopero si dovrà concludere alle ore 12 del
giorno 16. In realtà continuerà quasi ovunque ancora per ore e anche
per giorni, ovviamente senza prospettiva alcuna, e anzi con l'amarez-
za di vedere che le eroiche iniziative locali rimangono senza coordi-
namento, senza uno sbocco, senza un minimo di proiezione politica
nazionale. I dirigenti del PCI e del PSI e quelli della CGIL ancora uni-
taria (si romperà poco dopo, anche col pretesto della adesione allo
sciopero spontaneo per Togliattil tenteranno invano di trattare col go-
verno, di cui hanno chiesto inizialmente le dimissioni e da cui mendi-
cheranno successivamente un gesto distensivo, che dalla richiesta in-
termedia delle dimissioni del sanguinario ministro degli Interni Scel-
ba si ridurrà alla generica richiesta di ' 'un cambiamento di situazione
per ristabilire un regime di libera convivenza", come dichiarò lo stes-
so Di Vittorio reduce dall'incontro. Ma il governo - riunito in seduta
permanente - non cede di un palmo, e mano a mano che si rende
conto del carattere spontaneo e scollegato degli episodi insurreziona-
li, indurisce il suo atteggiamento, dichiarando che dal momento che
la CGIL era andata contro il governo, "a sua volta il governo sarebbe
andato contro la CGIL" 102. Invano, nella seduta parlamentare del 16
luglio, Di Vittorio cerca di dimostrare che la CGIL si è inserita sullo
sciopero esattamente per poterlo poi "tenere in pugno". Nenni nella
stessa seduta afferma che " è vera ottusità politica e morale il non
aver compreso da parte del governo il significato della decisione pre-
sa dalla CGIL in contrasto con la volontà della classe operaia". Il go-
verno ha deciso di approfittare della dispersione del movimento e di
sferrare un colpo duro all'insieme del movimento operaio, senza te-
ner conto delle "benemerenze" acquisite dai suoi dirigenti come
"pompieri" e preoccupandosi di disarticolare al massimo soprattutto
la struttura sindacale. Oltre alla scissione già in preparazione, ci pen-
serà Scelba a togliere di mezzo un gran numero di avanguardie ope-
raie e contadine (Sereni fornisce la cifra di 75 morti, 5.104 feriti,
148.269 arrestati, 61.243 condannati a 20.426 anni di carcere e 18
condanne all'ergastolo per conflitti di lavoro nel periodo tra il gen-
101 Renzo Del Carria, Proletari senza rivoluzione, storia delle classi subalterne in Italia. Savelli, Roma,
1976, voI. IV, pp. 200.211.
102 Ibidem, p. 207.
52
naio '48 e il settembre '54, in cui vengono arrestati anche, per azioni
di guerra, 1.697 partigiani, dei quali 884 condannati a 5.806 anni di
carcere; i dati sarebbero parziali perché riferiti solo a 38 province) 103.
I dirigenti del PCI e del PSI sostennero allora, e hanno ribadito in segui-
to, che il loro comportamento prudente il 14 luglio evitò una tragedia,
dato che c'era "il sospetto che l'attentato fosse stato organizzato ap-
posta per far cadere il partito nella trappola di un movimento incon-
sulto, e poi scagliarsi sopra le sue organizzazioni e tentar di schiac-
ciarle" 104.
Ma rimane il fatto, abbondantemente verificato, che la borghesia e il
suo maggior partito si scagliarono ugualmente contro le organizzazio-
ni operaie, "tentando di schiacciarle". Non si trattava tanto "di ap-
profittare del momento buono" il 14 luglio (come peraltro pensarono
ingenuamente quei proletari romani che insistentemente chiesero a
D'Onofrio: "A d'Ono', dacce er via"). quanto di utilizzare sistemati-
camente l'enorme potenziale di lotta emerso in mille episodi sponta-
nei di quegli anni, e di cui lo sciopero generale del 14, 15 e 16 luglio
fu un macroscopico rivelatore.
Cos'è rimasto di quel triennio?
Il significato della Costituzione
Il bilancio dei tre anni di partecipazione comunista e socialista al go-
verno di unità nazionale può apparire forse troppo sommariamente
negativo da quanto abbiamo messo in evidenza finora. Tuttavia, an-
che gli scritti piu smaccatamente apologetici, come abbiamo già os-
servato, si tengono sul vago per quanto riguarda il bilancio di quel pe-
riodo: un esempio tipico è il capitolo su Rivoluzione antifascista e tran-
sizione al socialismo in Italia - 1944-47,nel libro di Giuseppe Vacca su
Togliatti, che valorizza come conquista fondamentale del periodo la
"Costituzione programmatica", premessa di una "democrazia pro-
gressiva" 105.In realtà i trenta anni successivi non hanno confermato
troppo il carattere "progressivo" della democrazia repubblicana: ci
sono voluti rispettivamente 8 e 22 anni perché venissero attuate le
due maggiori novità della Costituzione, la Corte Costituzionale e le
Regioni, e gran parte delle trasformazioni in senso democratico di
questi ultimi anni (dallo Statuto dei lavoratori al divorzio, al sindaca-
to di polizia, alla liberalizzazione dell'etere) sono state il sottoprodot-
103 R. Del Carria, op. cit., p. 212.
104 M. e M. Ferrara, op. cito pp. 379-380.
105 Giuseppe Vacca, Saggio su Togliatti e lo tradizione comunista, De Donato, Bari, 1974, pp. 278 sgg.
53
 to in riforme di una poderosa ondata che ha scosso tutto l'assetto so-
ciale e politico italiano, a partire dal 1968, in una prospettiva poten-
zialmente tutt'altro che riformista e con un ruolo inizialmente margi-
stra. o addirittura frenante delle maggiori forze politiche della sini-
nale
Eppure raramente - anche nelle esaltazioni propagandistiche meno
rigorose - si può valorizzare qualche altro risultato positivo di quel
triennio la meno che non si voglia, del tutto scorrettamente, attribui-
re al merito della partecipazione comunista al governo quelli che fu-
rono i risultati generali dell'ondata rivoluzionaria che spazzò via il fa-
scismo, e che, nonostante tutte le velleità democristiane degli anni
successivi, impedf una completa restaurazione totalitaria). Non dipe-
se certo dalla partecipazione al governo la conquista della scala mobi-
le, frutto di una poderosa pressione operaia ed anzi già in quegli anni
intaccata dai primi accordi peggiorativi la volte su proposta delle stes-
se direzioni sindacali, come nel caso della trasformazione dell'inden-
nità di contingenza da uguale per tutti a differenziata proporzional-
mente alle categorie, sesso, età e regioni, cioè nella forma che sareb-
be stata rimessa in discussione dalla nuova ascesa operaia iniziata nel
'68 e '69 e modificata radicalmente nella "vertenza generale" del
1974, l'ultima delle grandi lotte di questo ciclo).
Nulla di concreto fu allora raggiunto sul terreno della cosiddetta "de-
I
mocratizzazione dello Stato", allora ed oggi cavallo di battaglia essen-
ziale del PCI. Che tipo di forze armate, di polizia, di servizi segreti, di
magistratura siano stati rimessi in piedi è stato verificato in modo co-
stosissimo nei decenni successivi. Anche su questo terreno, le modifi-
cazioni profonde che hanno investito una parte della magistratura e
degli strati inferiori dell'apparato militare e repressivo in questi ulti-
mi anni sono assai piu legati alla profondissima crisi politica e morale
della borghesia, dei suoi valori, della sua ideologia, e ai riflessi della
nuova ascesa operaia in Italia e in Europa, che alle premesse astratta-
mente iscritte nei preamboli "programmatici" della Costituzione. In
realtà, se Vacca arriva con molta fantasia a vedere nella Costituzione
una "rielaborazione originale e un adattamento alla situazione italia-
na di un altro classico esempio di strategia leninista, tratto dall'espe-
rienza della NEP" 106,ben diverse sono le valutazioni di giuristi come
Massimo Severo Giarinini o di politici democratici come Calaman-
drei, o storici come Guido Quazza, il quale concorda con il giudizio
dato da M.S. Giannini sulle
106 Ibidem, p. 279.
54
-Il!.
"enunciazioni propagandistiche della prima parte, che, pur non essendo arretrate ri-
spetto alla maggior parte delle costituzioni occidentali, sono, da un lato, il frutto di
un non brillante né originale compromesso teorico fra la tradizione cattolico-
corporativa popolare e quella marxista, dall'altro l'alibi per avviare una politica di
congelamento della Carta, quale effettivamente De Gasperi mise subito in
atto" 107.
Piero Calamandrei, erede della tradizione gobettiana, era stato piu
drastico nel giudicare il testo costituzionale, osservando che "per
compensare le forze di sinistra di una rivoluzione mancata, le forze
della destra non si opposero ad accogliere nella Costituzione una rivo-
luzione promessa" IO!!. Altri criticarono soprattutto il "compromesso"
del PCI con la DC sul famoso articolo 7 che inseriva il Concordato tra
le norme costituzionali (anche se è stato osservato che questa discus-
sa ed improvvisa decisione assomigliava ben poco a un "compromes-
so", in quanto il PCI dava senza ottenere nulla in cambio, neppure un
po' di gratitudine).
Piu in generale si può dire, con un certo distacco, che la maggiore
conquista politica di quel periodo si risolse in due parti nettamente
staccate, l'una astrattamente progressi sta in termini di proclamazioni
di diritti senza possibilità di concretizzazione, l'altra assai piu mode-
sta, concreta e niente affatto progressista. Il 7 febbraio 1948, una sen-
tenza fondamentale delle sezioni riunite della Corte di Cassazione for-
niva una interpretazione gravida di conseguenze sulla portata delle
diverse parti della Costituzione, distinguendo tra norme "program-
matiche" e "precettizie", e suddividendo queste ultime a loro volta in
"complete" e "incomplete", precisando che le sole norme precettizie
complete abrogano le leggi preesistenti eventualmente contrastanti,
mentre tutte le altre hanno un platonico valore di orientamento: è la
chiave per il mantenimento di gran parte della legislazione fascista e
prefascista, che rimarrà operante anche se in palese contrasto con lo
spirito della Resistenza, a cui la Costituzione voleva originariamente
richiamarsi.
In ogni caso nulla rimaneva degli organismi unitari nati nella Resi-
stenza, liquidati insieme al governo Parri e comunque bloccati e
svuotati di ogni autorità fin dai primi giorni successivi alla Liberazio-
ne. Piu volte sono emersi accenni autocritici, anche pesanti, a questo
proposito, sia in "oppositori" come Donini 109,sia anche in dirigenti
107 G. Quazza, Resistenza e Storia d'Italia, cil. p. 438.
108 lbidem.
109 Si veda ad esempio l'intervista all'''Espresso a proposito" raccolta di scritti di Secchia "Chi so-
no i comunisti", Mazzotta, Milano, 1977.
55
 rigorosamente in linea, come Pajetta, che pure scrisse nel 1971:
"non si riusci neppure a tenere il congresso nazionale del CLN, che pure era stato
previsto e da noi richiesto... Che il veto democristiano e liberale sia passato senza
una resistenza effettiva, senza una piu dura lotta politica e, soprattutto, senza un
appello alla base, dimostra come una incomprensione del valore di questi strumen-
ti per far crescere e radicare un movimento democratico popolare ci fosse anche
nel nostro partito. Va ricordato che il tema generale era quello dell'alleanza dei par-
titi di massa, e che sulle questioni del CLN non poche erano le resistenze di fatto
degli stessi socialisti, che vedevano in ogni movimento di democrazia diretta una
posizione che offriva vantaggi al nostro partito piu di quanto avrebbe potuto le di
fatto cosi fuI il confronto elettorale" 110.
Ma in realtà, tanto in questo raro momento di riflessione di Pajetta,
quanto in altri piu sistematici e continuativi del filone "secchiano",
manca completamene l'ipotesi di una alternativa globale alle scelte
fatte: il dubbio è se, valorizzando un po' piu i CLN e altri istituti piu o
meno di democrazia diretta, si sarebbe potuto allargare qualche spa-
zio, ampliando i margini della democrazia borghese e contenendo un
po' l'offensiva restauratrice. È, in definitiva, un'ottica angusta, che
minimizza lo scontro di classe che attraversò tutta la Resistenza e si
protrasse e acutizzò nell' Assemblea costituente. Da quello scontro
non sarebbe stato comunque possibile uscire senza la vittoria
dell'uno o dell'altro campo, una volta finite le condizioni eccezionali
che avevano costretto la classe dominante a fare buon viso a cattivo
gioco e accettare la scomoda e insicura collaborazione con i propri av-
versari di classe.
Ben piu lucida, anche se senza nessuna implicazione pratica, la rifles-
sione che comparve in un editoriale di Rinascita nell'agosto del 1946
(al momento del relativo indurimento sotto l'impatto del risultato in-
sufficiente del 2 giugno) e che può essere attribuito con molta proba-
bilità a Togliatti. In esso compare per la prima volta, per definire l'in-
tesa antifascista, il termine "compromesso", che sarà poi ripreso suc-
cessivamente da Berlinguer per definire la rinnovata proposta di col-
laborazione di classe:
"Era evidente - ed era anche, bisogna riconoscerlo, normale - che i conservatori
italiani potessero aderire alla politica delle forze piu avanzate del blocco antifasci-
sta unicamente al patto di avere tra le mani solide garanzie. I conservatori italiani
dovevano assicurarsi che la liquidazione politica del fascismo, il raggiungimento
delle condizioni politiche di un normale sviluppo democratico, non coincidessero con
modificazioni profonde o addirittura rivoluzionarie della struttura economica italiana.
Esistevano tutte le condizioni, dunque, perché, in seno al fronte antifascista, tra le
110 Giancarlo Pajetta, Dalla liberazione al/a repubblica. Le scelte del PCI fino al passaggio all'opPosi-
zione, in AA.VV., Problemi di storia del Partito Comunista Italiano Editori Riuniti, Roma, 1971, pp.
98.99.
56
I
-.......-
sue grandi ali, si addivenisse ad un preciso compromesso. La natura del compromes-
so non poteva essere basata che su questi punti: rinunzia a impostazioni economi-
che di tipo rivoluzionario; direzione della vita economica -
e quindi anche del risa-
namento finanziario e della ricostruzione -
lasciata, nei punti decisivi, alle forze
conservatrici; impegno di tutti i partiti alle soluzioni politiche fondamentali; difesa
sul terreno sindacale da eventuali conseguenze, minacciosamente antisociali e anti-
nazionali, di una politica economica conservatrice che venisse improntata a un li-
berismo sfrenato; perciò libertà di azione sindacale, riforme minime, sul terreno
agrario e, contemporaneamente, sviluppo dell'iniziativa popolare per sopperire in
qualche modo alle necessità piu urgenti e venire incontro all'angosciosa situazione
delle masse... Il compromesso lasciavaaperte, quindi, due prospettive: quella della
democratizzazionedel paese nel suo complesso, permettendo il conseguimento de-
gli obiettivi politici fondamentali, e quella della democratizzazionedegli stessi con-
servatori italiani, ove avessero saputo, e voluto, prendere coscienza delle condizio-
ni reali della vita economica e della lotta politica in Italia. Il compromesso del fron-
te antifascista apriva una grande ipoteca, garantita dalla possibile intelligenza pos-
seduta dai conservatori italiani. Disgraziatamente si deve riconoscere, oggi, che
mai ipoteca fu peggio garantita" 111 .
È un brano verosimilmente attribuibile a Togliatti, dicevamo, perché
rivela la capacità (che pochi altri dirigenti del PCI ebbero) di lasciar
cadere in certe occasioni le abituali mistificazioni propagandistiche,
recuperando in pieno la lucidità analitica. Ma concordiamo piena-
mente con il secco giudizio con cui Livio Maitan ha commentato que-
sto passo:
"Questo si chiama parlar chiaro: e questo parlar chiaro spazza via tutte le variazio-
ni teoriche, rivelandone il carattere strumentale. Il presupposto di tutta una politi-
ca è qui espresso nella sua sostanza.
Ora nessuno vorrà, in nome di una pretesa ortodossia marxista e leninista, respin-
gere il compromesso in quanto tale. Ma c'è compromesso e compromesso, e in ulti-
ma analisi, il giudizio dei fatti è decisivo. Del compromesso di cui parla Rinascita
chi ha fatto le spese e chi ci ha guadagnato?
-
Giudicando con i criteri realistici del marxismo leninismo, non era difficile ren-
dersi subito conto di come sarebbero andate le cose necessariamente. In ogni modo
oggi la risposta si riduce a una constatazione pura e semplice. Sono le forze borghe-
si conservatrici che hanno avuto la meglio perché, pagando un prezzo in fondo sop-
portabile, sono riuscite a ricostruire il loro Stato e la loro economia nonché a ripren-
dersi in un secondo tempo larga parte di quanto avevano ceduto. Questa è la so-
stanza delle cose e lasciamo pure che l'editorialista di Rinascita ironizzi sulla "possi-
bile" intelligenza dei conservatori. Se il discorso concerne l'intelligenza politica,
non è di quella dei conservatori che in questo caso vien fatto di dubitare..."llz.
111 Rinascita, anno m, n. 8, agosto 1946.
112 L. Maitan, PCI 1944-69, Stalinismo e opportunismo, ci!. pp. 42-43.
57
 ANTONIO MOSCATO

SINISTRA E POTERE
L'ESPERIENZA ITALIANA 1944 - 1981

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SAPERE 2000 srl 1983