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Siamo lieti di presentare questa selezione di strumenti del nostro Museo di Storia

della Scienza sia perché il presente fascicolo potrà servire di guida alle collezioni, sia
anche perché in esso vengono illustrati vari apparecchi che furono alluvionati durante
l'inondazione dell'Arno del 4 Novembre 1966 e che ora, perfettamente restaurati, si
trovano in parte esposti al pubblico ed in parte sono in attesa di una maggiore
ampiezza di locale per essere opportunamente collocati. Ci sembra doveroso
segnalare come la rinascita della strumentaria che andò alluvionata, si deve agli
artigiani che ad essa dedicarono la loro arte migliore, ma anche a tutti coloro che
generosamente contribuirono con aiuti e sovvenzioni. La nostra più viva
riconoscenza si estende specialmente al Committee to Rescue Italian Art, al
personale del Corríere della Sera di Milano, al personale del C.N.E.N., alla Direzione
del Deutsches Museum, ed a quei generosi che vollero anche singolarmente offrire il
loro contributo.

Maria Luisa Righini Bonelli


Ritratto di Galileo Galilei di Giusto Sustermans (1597 1681).
LA SEDE DELL'ISTITUTO E MUSEO

Il palazzo Castellani, sede dell'Istituto e Museo di Storia della


Scienza è adiacente alla Galleria degli Uffizi ed ha la sua facciata
principale e l'ingresso in piazza dei Giudici, mentre al lato Sud-Ovest
guarda l'Arno.

La storia dell'edificio è una delle più antiche della nostra città, poiché
risale ad epoca anteriore al 1180 quando, ancora castello e facente
parte delle mura di Firenze, il palazzo passò dalla famiglia degli
Altafronte che vi abitava, a quella degli Uberti che se ne servì di
fortezza e ne divise la proprietà coi Giandonati.

Nel 1333, quando la piena dell'Arno travolse ancora nelle sue acque
il Ponte Vecchio, anche il palazzo d’ Altafronte fu parzialmente distrutto.
Venne poi ricostruito, ma subì coi tempo notevoli trasformazioni, tanto
che nel 1572 apparivano sulla facciata degli affreschi ad opera di
Bernardíno Barbatelli detto il Poccetti.

I Castellani furono gli ultimi proprietari privati dei castello dopo le


famiglie degli Uberti, dei Bardi, dei Buoninsegni e nel 1574 l'edificio
passò ai Giudici di Ruota che qui si trasferirono dal palazzo dei
Podestà. Un ricordo di questa dimora si ha ancor oggi quando saliti i
due gradini dell'ingresso ai lati di questo, si trovano murate le antiche
armi di due magistrati, armi che conservano ancora ì loro originari colori
e che, com'era costume dei palazzi pretori, dovevano probabilmente
figurare sulla facciata. Una di tali armi, sotto la scritta latina, porta la
data 1581, mentre l'altra è datata 1577. Inoltre, sulle mura esterne, si
vedono scolpiti in pietra, gli emblemi dell'arte dei Giudici e Notai che
consistevano in una stella d'oro in campo d'argento. Le trasformazioni
divennero sempre maggiori anche nei secoli successivi, fino a che
l'edificio raggiunse sensibilissimi cambiamenti nel secolo passato
durante il quale fu infine occupato dalla Biblioteca Nazionale, prima che
questa si trasferisse nella più grande sede di Piazza dei Cavalleggeri.
L'Istituto e Museo di Storia della Scienza è passato in questo palazzo
nel 1929.

IL MUSEO

Il benefico fluido scientifico proveniente dal mondo greco che fin dal
1200 si riversò sulla Toscana per merito di Leonardo Fibonacci, Niccolò
dal Negro, Paolo Dagomari e che per molti aspetti venne fissato in quel
codice che si può definire la Divina Commedia, trovò riscontro tre secoli
dopo, in un altro Toscano: Galileo che pur assumendo un atteggiamento
aggressivo verso Aristotele ne possedeva lo stesso spirito osservatore,
la stessa ammirazione per il fenomeno naturale, la stessa mentalità
realistica.

Morto Galileo (l'8 gennaio 1642), anche se apparentemente assopita,


viveva ancora la di lui Scuola con i più grandi assertori quali Benedetto
Castelli (1577-1643), Bonaventura Cavalieri (1598-1647), Evangelista
Torricelli (1608-1647) e Vincenzio Viviani (1622-1703) che se pure
ancora giovane alla morte dei maestro, preparò il terreno sul quale con
l'aiuto e la munificenza dei Granduca Ferdinando Il (1610-1670) e di
Leopoldo de' Medici (1617-1675), nel 1657, sorse l'Accademia del
Címento della quale furono soci insigni, lo stesso Viviani, Alfonso
Borelli, Carlo Rinaldini, Francesco Redi, Carlo Dati, per non citare che i
maggiori, e Lorenzo Magalotti che ne fu il Segretario detto « il
Saggiatore».

Il culto per le scienze naturali, fisiche e matematiche, portò a raccogliere


nei palazzi granducali gran quantità di strumenti. Tutto questo materiale
raccolto dai Medici fin dal periodo di Cosimo 1, passò poi con la morte
di Giangastone, nel 1737, alla casa dei Lorena di cui i due primi
granduchi Francesco e Pietro Leopoldo, dettero grande importanza alle
collezioni. Il Granduca Pietro Leopoldo in particolare, chiamò presso di
sé l'Abate Felice Fontana (1730-1805) e poté da quest'ultimo fare
ampliare il già esistente Museo di Scienze Naturali diretto dal Targioni
Tozzetti, comprendendo in esso le collezioni di Fisica e creando così il
Museo di Fisica e di Scienze Naturali, cui annesse pure un'officina ben
arredata ove lavoravano artefici dì grande rinomanza. Da questa, deriva
anzi buona parte degli strumenti e dei modelli per la meccanica e la
fisica che ancor oggi conserviamo. Leopoldo medesimo, « per
sistemare un ricco e ben inteso Museo » comperò dai Targíoni anche le
case dei Bini, vicine al Palazzo Pitti, e così nel 1775, il Museo venne
aperto al pubblico. Ne fu direttore Felice Fontana, coadiuvato nella sua
opera dal professore di meccanica Giuseppe Pigri e dai due meccanici
Gori. Molti furono gli strumenti comperati e fatti costruire dal Fontana in
questo periodo. Di quelli già esistenti nelle due sale e sei stanze dei
Museo, egli ci dà notizia nel suo «Saggio del R. Gabinetto di Fisica e di
Storia Naturale di Firenze» dei 1775. A questa strumentaria si venne ad
aggiungere il corredo dei cimeli medicei che allora formavano una
collezione nella Galleria degli Uffizi e, fra questi, è opportuno ricordare i
pregevoli strumenti di Egnazio Danti e quelli portati dalla Germania dal
principe Mattias, fratello di Ferdinando Il De' Medici. La Direzione di
Felice Fontana presso il Museo di Fisica e di Scienze Naturali segnò un
periodo aureo e giustamente dice Ugo Schiff, che dopo quarant'anni di
lavoro «il Fontana poteva dare con soddisfazione ed orgoglio, uno
sguardo retrospettivo al Museo, sicuro che tale Istituto sarebbe un
giorno diventato di somma utilità e di lustro al paese».

Nella direzione dei Museo successe al Fontana il Fabbroni, ma solo per


un breve periodo, poiché quest'ultimo, occupato troppo dai suoi studi e
da speciali incarichi ricevuti, Passò le sue responsabilità al Conte
Girolamo Bardi che mantenne il posto fino al 1829 anno della sua
morte. Egli si trovò in un periodo politicamente difficile, a causa dei
passaggio di tre governi tanto differenti fra loro, così che molto si
dovette battere per difendere l'istituzione e mantenerla in in vita.
Durante il periodo di direzione dei Bardi, s'instaurò nel Museo anche
l'insegnamento libero delle scienze e furono allora pubblicati gli «Annali
dei Museo Imperiale di Fisica e di Storia Naturale di Firenze». Di tali
Annali uscì il I° volume nel 1808 ed il II° nel 1810. Essi contengono i
rapporti dei vari professori di scienze fisiche e naturali come il Babbini, il
Gazzeri, l'Uccelli, il Targioni Tozzetti e costituiscono un documento
importantissimo che mette in evidenza il risultato degli studi scientifici in
quel periodo. Fu poi direttore dei Museo Vincenzio Antinori (1792-1865)
che esercitò tale funzione dal 1829 al 59. Molti sono i meriti di
quest'illustre scienziato e, fra gli altri, quello di aver chiamato a Firenze
Leopoldo Nobili (1784-1835) per l'insegnamento della fisica, l'Amici per
l'insegnamento dell'astronomia e quello di aver preparati i primi
Congressi scientifici italiani dei 1839 e dei 1841 che si tennero
rispettivamente a Pisa ed a Firenze ed a cui presero parte i più bei nomi
degli scienziati stranieri. t inoltre opera importante dell'Antinori aver
curata l'Edizione del 1841 dei «Saggi di Naturali Esperienze degli
Accademici del Cimento» alla quale fece ampia ed erudita prefazione.
All'Antinori, successe Cosimo Ridolfi. Da quel periodo la storia di quel
l'istituzione è meno conosciuta e necessita una più accurata ricerca che
dovrebbe far parte di un lavoro d'insieme dalle origini sino ai nostri
giorni.

Nel 1922 nasceva però in Italia un nuovo e generale movimento


promosso dal Prof. Andrea Corsini il quale, animato da grande passione
di storico e di scienziato, segnalava l'urgenza di assicurare il patrimonio
storico scientifico italiano e reclamava i mezzi per provvedervi. Si venne
allora in Firenze, alla costituzione di un «Gruppo per la tutela dei
Patrimonio Storico Scientifico Nazionale» e si costituì quasi
contemporaneamente in una stanza della Facoltà di medicina in via
degli Alfani, un piccolo nucleo storico scientifico dove si raccolsero
manoscritti e cimeli appartenenti a italiani e stranieri che alla scienza ed
alle sue applicazioni avevano dedicato la miglior parte di se stessi. Fu in
questo piccolo Museo, prima sede dell'Istituto e Museo di Storia della
Scienza, che il Corsini ebbe la sicura sensazione di quanto sarebbe
stato utile e proficuo far convenire da ogni parte d'Italia, tutto quel
patrimonio storico scientifico di cui Firenze possedeva già tanto ricca
a
parte, e fu così che nacque la l Esposizione Nazionale di Storia della
Scienza che il Corsini medesimo promosse, aiutato in questo dalla
munificenza e dall'appoggio dei principe Piero Ginori Conti. Il materiale
inviato a Fìrenze sarebbe poi ritornato alle varie sedi, ma avrebbe dato
intanto modo di effettuare un primo censimento dei patrimonio storico
scientifico esistente in Italia.

Con la Mostra di Storia della Scienza, il materiale dei Museo venne ad


aumentare considerevolmente e la stanza di via degli Alfani si mostrò
inadeguata alle necessità di un ulteriore sviluppo dell'Istituzione che
passò perciò all'attuale sede nell'antico palazzo Castellani dove gli
strumenti affluirono copiosi dai vari Istituti Universitari e per doni di
privati. Pervennero in speciale modo al Museo, tutte quelle collezioni
antiche che il culto verso le scienze naturali, fisichee matematiche
aveva fatto raccogliere nei palazzi granducali, venendo poi - come
abbiamo visto - a far parte dei Museo di Fisica e Scienze Naturali. Si
conservano perciò fra gli altri, nella nostra Istituzione, i cimeli galileiani
che formano uno dei suoi più pregevoli patrimoni e tutti quegli strumenti
che servirono agli Accademici dei Cimento compresi quelli che furono
costruiti anteriormente, dal Granduca Ferdinando Il per la sua
particolare Accademia.
LA BIBLIOTECA DELL'ISTITUTO

L'Istituto possiede una ricca biblioteca formata da una sezione antica e


da una moderna: la sezione antica, ereditata dall'Università di Firenze,
alla quale era pervenuta dal Fondo Mediceo e Lorenese, conserva
volumi di astronomia, geografia, fisica, matematica e chimica dei quali il
primo porta la data del 1475. Di essi volumi è uscito un completo
catalogo a stampa. La seconda sezione, cioè la « moderna »,
comprende anche volumi precedenti all' 800 ma per la maggior parte
essa è costituita da libri moderni di Storia della Scienza e dei pensiero
scientifico, da' un copioso numero di miscellanee e da riviste sempre dì
interesse storico scientifico.

Nella Biblioteca dei Museo, si tengono spesso lezioni e conferenze di


studiosi italiani e stranieri.

Associato ad altri Enti, l'Istituto provvede alla emanazione della Rivista


Internazionale di Storia della Scienza «Physis».
Frontespizio dei volume «Saggi di Naturali Esperienze» preparato dal Segretario dell'Accademia dei
Cimento, conte Lorenzo Magalotti a chiusura dei lavori dell'Accademia stessa. Le prime copie di questa
edizione uscirono con la data del 1656, ma furono seguite subito dopo dalla edizione datata 1667 che
portava pure un grande rame riproducente Ferdinando II de' Medici, promotore dell'Accademia. Tale ritratto
mancava nella copia datata 1666.
Cannocchiali di Galileo Galilei (1564-1642). 1) Cannocchiale di legno ricoperto di carta, lungo m. 1,36, con
obiettivo biconvesso, apertura 26 mm., distanza focale m. 1,33 oculare piano concavo; ingrandimento 14
volte. - 2) Cannocchiale di legno, coperto in pelle con decorazioni in oro lungo m. 0,92 con obiettivo
biconvesso di mm. 16, distanza focale m. 0,96, oculare biconcavo aggiunto posteriormente; ingrandimento 20
volte.
Sotto i cannocchiali si trova la lente obiettiva, montata in cornice d'avorio, con la quale per la prima volta
Galileo osservò i satelliti di Giove.
Lente obiettiva di Galileo Galilei montata in cornice d'avorio da Vittorio Croster nel 1677. La lente veniva
così descritta nel 1675: « un vetro obiettivo che fu già dei celebre Galileo Galilei destinato in dono al Ser.mo
Gran D.ca Ferdinando secondo, per mezzo dei quale scoperse tutte le Novità Celesti e fra l'altre i quattro
Pianeti Medicei, il quale obiettivo, vivente il med.o Galileo accidentalmente si ruppe... ».
Compasso di Galileo Galilei. Trattasi con sicurezza di opera di Marcantonio Mazzoleni, l'operaio che
lavorava gli strumenti matematici inventati o proposti da Galileo in Padova. Il compasso detto
«geometrico-militare » rappresentò un notevole perfezionamento dei compasso di proporzione. Lo strumento
era costituito da due regoli metallici uniti da una cerniera, dal centro della quale partivano le linee incise su
ambedue le facce dei regoli, secondo una disposizione opportuna. Questo apparecchio dava modo di
eseguire le operazioni aritmetiche e geometriche con svariatissime applicazioni illustrate da Galileo nella
pubblicazione dei 1606, dedicata a Don Cosimo de' Medici, che portava il titolo « Le operazioni dei compasso
geometrico e militare ».
Calamita naturale armata da Galileo Galilei Consiste di un blocchetto di magnetite fasciato con piastre di
ferro e strisce d'ottone, che sostiene un peso pure di ferro a forma di urna, con piccoli mascheroni di ottone,
detta «urna di Maometto». Come ben si sa, Galileo, dopo aver letto il « De Magnete » (1600) di William
Gilbert di Colchester (1540-1603) ed aver giudicata «stupenda» la concezione dei fenomeno magnetico
sperimentata dallo scienziato inglese, si dedicò con entusiasmo a questo genere di studi.
Astrolabio di un solo timpano per la latitudine 43° 40' incassato su tavolino ottagonale inclinabile. Sembra di
costruzione italiana della fine dei secolo XVI. Probabilmente fu costruito quando Galileo era ancor giovane e
benché non a lui attribuibile, si ha ragione di ritenere fosse poi da lui usato in Padova. Nel «Giornaletto della
Galleria» (anni 1642-1688) lo strumento viene così ricordato: «Addì 12 Settembre 1671 s'è dato al sig.
Vincenzio Viviani un tavolino in noce ottagonale sopra il quale vi è un astrolabio di piastra d'ottone con sua
rete, diottra, traguardi, fermo al suo piede di noce... ».
Giovilabio. Trattasi probabilmente di un unico esemplare dei Sec. XVII forse costruito sotto la direzione di
Galileo, o comunque, curato da uno dei suoi immediati discepoli in omaggio al Granduca de' Medici. Il
meccanismo, pur modificato per alcune parti, ci riporta alle figure dello strumento tracciato da Galileo. Sono
incise a lato della piastra dello strumento le quattro tavole per i moti medi di ciascuno dei satelliti di Giove,
con valori molto vicini a quelli che si riscontrano in quelle tavole che Galileo chiamò di Bellosguardo e che
egli riteneva le migliori.
.

Termometro ad alto fusto diviso in 420 gradi con bulbo inferiore ramificato a rigonfiamenti, appartenuto
all'Accademia dei Cimento (1657-1667). Alt. cm. 120. Naturalmente la scala di graduazione di questo
strumento differisce dalle nostre attuali. Questo termometro, come gli altri della sua specie, conteneva alcool
di vino che gli Accademici chiamavano «acqua arzente» e che, all'inizio delle loro esperienze, usarono
colorare in rosso nel tentativo - ritenuto poi errato - di una migliore lettura delle graduazioni.
Termometro con cannello a spirale, o a «chiocciola», diviso in 420 gradi, appartenuto all'Accademia del
Cimento. Il termometro a spirale fu costruito per un più facile trasporto dello strumento e perché - dicono gli
Accademici - occupasse «minore altezza» e fosse «meno soggetto al brandire». Gli Accademici decisero
così che il «prolisso collo» dei termometri ad alto fusto « si spiegasse in facili e spesse rivolte, di soave
salita». Questo termometro era ritenuto, per la sua sensibilità, il più «sdegnoso» e «gelosissimo».
Per meglio giudicare della «linearità di marcia» dei termometro dell'Accademia, abbiamo riprodotto qui sopra
il diagramma dove, per ogni indicazione dei termometro Celsius tra –20° e 125° C. riportata in ascisse, viene
segnalata in ordinate la corrispondente indicazione dei termometro dell'Accademia unitamente alle differenze
che si verificano col termometro Réaumur. Il fatto che i punti così ottenuti, si dispongano praticamente su una
retta, sta a testimoniare la linearità di marcia dei termometro dell'Accademia e ciò prova che la linea dei
cannello era sensibilmente costante.
Termometri dell'Accademia del Cimento detti infingardi per la lentezza di caduta delle sfere galleggianti
nell'alcool contenuto nella fiala. Se la fiala contiene 6 sfere, il termometro è settantigrado poiché la prima
sfera cade a 20° e l'ultima a 70°. Ambedue queste temperature sono calcolate secondo la scala prodotta ed
usata dall'Accademia e corrispondono approssimativamente a 10° e 85° Celsius.
Termometro a forma di grappolo di 6 fiale detto «infingardo» dagli Accademici dei Cimento. Ogni fiala è
contrassegnata in alto con un numero dall'1 al 6 e porta nel suo interno una soia pallina di cristallo. La pallina
della fiala n. 1 cadeva in basso a 20° e quella della fiala contrassegnata n. 6 cadeva a 70° secondo la scala
già segnalata.
Termometri clinici a forma di rana costruiti dagli Accademici dei Cimento. Questi termometri furono
probabilmente ideati dal Granduca Ferdinando Il de' Medici. Lunghezza cm. 8, larghezza da zampa a zampa
cm. 3,90. Il termometro, che gli Accademici segnalarono poi coi nome di «botta» o «botticina», veniva legato
al braccio dei paziente per stabilirne la temperatura, a seconda dell'affondamento nel liquido delle piccole
sfere - di differente calore e densità - contenute nell'interno della «botticina» stessa.
Vaso artistico appartenuto all'Accademia del Cimento e prodotto nella fornace Granducale che Cosimo Il de'
Medici, dopo il 1617, aveva fatta impiantare nel Giardino di Boboli onde ottenere vetri nobili e smalto da
cammei artificiali sul modello veneziano. Grande numero di bicchieri, caraffine, ampolle e giare fu prodotto
nella fornace granducale e, nonostante la rottura e la dispersione di tanti esemplari, il numero pur
limitatissimo di oggetti oggi esistenti, rimane a documentare l'arte vetraria di quel periodo, alla quale non fu
certo estranea la perizia degli artisti di Murano che il Granduca aveva chiamati a Firenze.
Globo celeste arabo dei 1081. L'iscrizione araba dichiara: « Fabbricò questo globo fornito di piedistallo per
l'investito di duplice visirato Qáyid supremo 'Abú 'Isá 'Ibn Labbún (prolunghi Dio la sua potenza e il suo
sostegno), il suo servo 'Ibráhim ‘Ibn Sa'id 'as-Sahli il pesatore in Valenza, con Muhammed suo figlio, e pose
le stelle fisse in quello, giusta loro grandezze e diametri. Or fu compiuto nel principio di Safar nell'anno 473
dell'Egira (del Profeta) benedica Dio lui e gli conceda pace perfetta». (Vedi: F. Meucci, «Il Globo Celeste
Arabico dei secolo XI»).
Planisfero di Lopo Homen. Planisfero a colori su pergamena di m. 2,26x1,48. Segnato: « Lopo home
cosmographo cavaleiro fidalgo dei rei nosso snór me féz e lixboa Era de 1554 Annos ». E’ ben visibile in
questo planisfero la linea di demarcazione con la quale vennero divisi da Papa Alessandro Vi nel 1493 i
possedimenti spagnoli da quelli portoghesi. Inoltre, si nota l'Argentina segnalata - pare per la prima volta - coi
nome di « terra Argétea ».
Coppia di globi celeste e terrestre di Guglielmo Blaeuw (1571-1638), amico e discepolo dei celebre
astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601). Il Blaeuw, cartografo, costruttore di sfere, planetari e sestanti,
fondò in Amsterdam un grande laboratorio per la costruzione di globi che venivano da lui delineati, incisi e
stampati. Egli tuttavia non si firmò sempre in modo uniforme, ma alcune volte «GuiljeImus Janssonius
Alcmarianus», altre come «GuiljeImus Janssonius», ed in periodo più tardo, «Caesius» forma latinizzata
dell'olandese «Blaeu o Blaeuw» che pure usò spesso. Le prime coppie dei globi costruiti dal Blaeuw portano
le date 1599 per il terrestre e 1603 per il celeste. Le ulteriori grandi opere terrestri e celesti fabbricate dal
Blaeuw, portano le date 1616, 1622. Dei globi qui presentati, il terrestre datato 1622, porta la dedica a
Ferdinando II de' Medici Granduca di Toscana seguita dalla firma «GuiljeImus Blaeu » ed il celeste è firmato
« GuiljeImus Caesius Anno 1622 ».
Sfera armillare tolemaica dorata a fuoco. Montata su piede di legno tornito e costruita da Cammillo Della
Volpaia fiorentino, nell'anno 1557. La famiglia dei Della Volpaia segna in Toscana l'inizio di un artigianato
scientifico che ebbe il capostipite in Benvenuto. I nomi che ebbero più rilievo nella famiglia, oltre al primo
Benvenuto, sono quelli di Lorenzo (1446-1512) e dei suoi discendenti: Benvenuto, Eufrosino e Cammillo.
Ultimo esponente di questa particolare tradizione scientifica, fu Girolamo. Il nostro Museo possiede strumenti
di Lorenzo, Eufrosino, Cammillo e Girolamo.
Sfera armillare tutta di ottone nella quale trovasi inciso «Hieronimus Vulparia Florentinus A. D. MDLXIII».
Lo strumento fu ideato a scopo gnomonico, e la sfera dii cristallo, che trovasi all'interno, sembra funzionare
da specchio nel quale dovrebbe riflettersi l'immagine prospettiva capovolta della sfera celeste e quindi dare la
posizione del Sole e degli altri astri.
Sfera armillare del Santucci dalle Pornarance. A partire dal centro, ove si trova il globo terrestre, si
contano le sette sfere da! pianeti mobili ed una sfera delle stelle fisse che porta la fascia zodiacale. Le sfere
sono seguite dalla nona sfera, detta Primo mobile, che porta le calotte polari ed i meridiani. Si notano sulla
sfera gli stemmi della famiglia de' Medici e dei Lorena, poiché Maria Cristina di Lorena era moglie di
Ferdinando I°. La sfera fu iniziata nel 1588 e terminata nel 1593.
Planetario dei Fergusson secondo il sistema copernicano (sec. XVIII). Movimento dei pianeti, Mercurio,
Venere e Terra intorno al Sole. Mancano i pianeti superiori. Movimento della Luna intorno alla Terra. La
macchina viene mossa da una manovella. Questo tipo di modelli meccanici dimostrativi, furono detti
«orreries» in ricordo di Charles Boyle quarto Conte di Orrery il quale finanziò la costruzione dei primi modelli.
Astrolabio di ottone dorato (cm. 16) con caratteri in arabo antico, latino e gotico. La tradizione riporta lo
strumento all'epoca di Carlo Magno e quindi al sec. IX. La custodia reca nel fondo una dichiarazione scritta
nel sec. XVI: «Astrolabium Arabicum ex Hispania delatum et paratum eo tempore quo Aequinoctium vernum
haerebat in die 15 Martii, id est anno Christi 1252, quo Alfonsus Rex Hispaniarum restituit motus Celestes».
C'è quindi una evidente contraddizione fra la data dei 1252 e quella che potremmo grossolanamente
attribuire dai dati astronomici dello strumento che lo riportano ad un periodo anteriore al 1000.
Astrolabio di ottone di Charolus Whitwell. L'astrolabio ha il diametro di cm. 38,5. Sul dorso, trovasi inciso:
« Charolus Whitwell fecit 1595 », ma la longitudine di Regolo riporterebbe lo strumento al 1550. Charolus
Whitwell fu costruttore ed incisore di buona parte degli strumenti di invenzione di Sir Robert Dudley Duca di
Northumberland Conte di Warwich e Leicester nato nel 1573 in Inghilterra e morto a Firenze nel 1649. Robert
DudIey fu grande ciambellano delle tre Granduchesse di Toscana Maria Maddalena, Cristina di Lorena e poi
di Vittoria della Rovere. Il «Magnus opus» di Robert Dudley fu pubblicato coi titolo «Del L'Arcano del Mare» in
4 volumi pubblicati dal 1646 al 1647. Al Dudley, conosciuto principalmente per l'attivo e valido lavoro di
cartografo e costruttore di strumenti per uso nautico, fu affidata la direzione dei lavori nell'arsenale di Livorno.
Quadrante in ottone di Egnatio Danti (1536-1586) o strumento dei primo mobile, secondo Pietro Apiano. Vi
sono incise le parole: «Instrumentu Primi Mobilis», lo stemma mediceo con corona, la data 1568 e le iniziali
F.E.D.P.F. (cioè: «Frater/ Egnatius/Danti/Praedicatorum/Fecit »). Egnatio Danti (Pellegrino Rainaldi) fu
cosmografo di Cosimo I de' Medici ma cadde poi in disgrazia col successore Francesco I. Oltre ad altri
strumenti, il Danti costruì in Firenze un quadrante astronomico ed una armilla equinoziale con la quale trovò
che l'equinozio dei 1574 cadeva l'11 Marzo. Rivelava in tal modo l'errore del Calendario Giuliano allora in
vigore in base al quale - per antica tradizione - la durata dell'anno non corrispondeva al reale corso dei sole.
Nel 1580 Papa Gregorio XIII (Ugo Boncompagni) chiamò a Roma il Danti per la riforma dei calendario
promulgata poi nel 1582.
Quadrante di Gerolamo della Volpaia in ottone di cm. 33 circa per la latitudine di 43° 30'. Porta incisa
]'iscrizione «Lineae perpetuae Ante Meridianas horas. Interpunctae Vero Pomeridianas Indicant Ad
Latitudinem Poli Graduum XXXXIII et m. XXX, Hieronimus Vulpariae Faciebat Florentiae A.D. 1570 ».
Quadrante di ottone dorato. Porta incisa l'iscrizione «Christophorus Schissler senior [circa 1530-1609]
Geometricus ac astronomicus Artifex. Augustae Vindelicorum anno 1599 ». Probabilmente questo quadrante
faceva parte della collezione acquistata in Germania dal Principe Mattias fratello dei Granduca di Toscana
Ferdinando II de' Medici.
Quadrante di ottone dorato ed accessori dei tipo dello Stoffler usato anche a scopo militare. Sopra una
faccia vi è una bussola con un orologio solare che nella parte interna porta l'incisione «horologium noctis
secundum Lunae». Nel quadrato delle ombre, trovasi inciso «Auctorae Tobia Volkmero Brunsvicensi
Sereniss. Ducis Bavarorum Mathe. et aurifabro faciebat» e la data «1608».
Quadrante per altezze di Carlo Rinaldini (1615-1698). Fu eseguito nel 1667 e dedicato al Principe
Leopoldo de' Medici come risulta dalla iscrizione: «Munificientia Serenissimi Leopoldi Principis ad
Etruria/Carolus Rinaldinus Fieri curavit Anno a Virginis partu/MDCLXVII: invent». Il Conte Carlo Rinaldini (o
Renaldini), di Ancona fu, come G.A. Borelli, Alessandro Marsili, Francesco Redi e Vincenzio Viviani, fra i
maggiori esponenti dell'Accademia del Cimento (fondata in Firenze nel 1657) che aveva scelto per emblema
tre crogiuoli alla fornace, ed il motto «Provando e riprovando». Le divisioni matematiche ed il termine delle
costruzioni di questo quadrante si devono tuttavia a Jacopo Mariani che pure lavorò nell'Accademia.
Grafometro in ottone dorato di Erasmo Habermel (circa 1538-1606). Porta incisa l'iscrizione «Pragae fecit
Erasmus Habermel». Nel dorso, porta un gambo girevole da inserire nel piede. La custodia è in legno,
coperta di pelle. Nell'Europa settentrionale Erasmo Habermel, Humphrey Cole, gli Arsenius, Michael Coignet,
Philippe Danfrie, superarono nella realizzazione degli strumenti rinascimentali, le qualità professionali di
qualsiasi artigiano scientifico, per il senso inimitabile della precisione.
Strumento per la prospettiva di ottone dorato. Porta incise le iscrizioni «Balthassar Lancaeus Urbinas
faciebat Anno A.N.D. MDLVII» e «Hoc Uti possunt in strumento tum mathematici et ad Geographiam et
Chorographiam et Carthographiam efficiendam cum perfectamque habere notitiam omnis distantiae eamque
in picturam redigere». Il Lanci (m. 1571), fu ingegnere militare prima in Lucca e poi in Firenze al servizio dei
Granduca Cosimo I de' Medici.
Tavoletta pretoriana di Miche] Bumel, con bussola, orologio solare, visorio, livella a pendolo per rilevare le
piante. Lo strumento è unito ad un libro legato in pelle, contenente un testo in pergamena stampato in
caratteri gotici, con la figura dell'apparecchio e la spiegazione di esso, seguita da varie tavolette da incidere.
Il testo è di 43 pagine e l'ultima porta l'impresa del libraio: «Simon Halbmayer Bibliop. gloria virtute paratur».
Sul misuratore degli angoli si legge: «Michel Bumel in Nurnberg 1625».
Archimetro, o strumento per triangolazione, in metallo dorato. Settore circolare diviso in 1251. Raggio cm. 9.
Vi è inciso: «Instrumentum percipiendi distantiam per superficiem ». Porta una alidada graduata con una riga
imperniata divisa in 43 parti e lunga cm. 37. Ogni riga porta due «mire». Date le caratteristiche dello
strumento, si pensa possa trattarsi di opera di Baldassarre lanci di Urbino (sec. XVI).
Compasso in ottone di Michelangiolo Buonarroti (1475-1564), in astuccio di cartone in cattivo stato
contenente altri dieci pezzi assortiti in acciaio. Nell'interno dell'astuccio fu trovata una memoria manoscritta
dalla quale risulta appunto che lo strumento appartenne a Michelangiolo Buonarroti. Le caratteristiche
costruttive dei compasso non sembrano smentire l'attribuzione. (Donazione Alfredo Pimpinelli).
Compasso in ottone dorato ed inciso appartenente alla cassetta di strumenti matematici di Cristoforo
Schissler (Sec. XVI). Gli Schissler padre (Christoph; Augsbourg circa 1530-1609) e figlio (Hans Christoph; n.
Augsburg m. 1610 circa) furono celebri costruttori di strumenti matematici ed astronomici che assai spesso
non firmavano, ma che sono facilmente riconoscibili per l'accuratissima arte e precisione incisoria. Il padre,
che impiegò nel suo laboratorio grande numero di specialisti, raggiunse maggiore fama dei figlio, che fino al
1591 lavorò coi padre ad Augsburg. e da qui si recò a Praga e poi a Vienna, dove fu orologiaio alla Corte
Imperiale. In Vienna costruì un bellissimo quadrante dorato datato 1595.
Compasso con archipenzolo in ottone dorato di Baldassarre Lanci. Porta incisa l'iscrizione: «Balthassar
Lanceus Urbinas faciebat A.N.D. MDLVII». Nella bussola centrale sono incernierate le gambe arcuate del
compasso, una delle quali è fissa e l'altra, girevole, porta avvitato un archipenzolo graduato e girevole sopra
due guide e segnato « B.L. ».
Compasso di ottone dorato con bussola bilicata (sec. XVI?). Nell'orlo si trovano segnate le latitudini di
alcune città. Orologio solare equinoziale. Due archi, uno per l'apertura dei compasso, l'altro per il pendolo.
Nella nocellatura si trova inciso il Leone di San Marco con la scritta: «Sanctus Marcus Venetus» e in una
r
gamba dei compasso si trova pure un'altra incisione «S. laur batecin Inventor». Nelle gambe, fori per il
traguardo delle altezze.
Bussola dorata emisferica a sospensione cardanica (sec. XVII). Lo strumento serviva in viaggio e veniva
attaccato alla sella del cavallo mediante i ganci di cui dispone. Il costruttore è Cristoforo Schissler.
L'apparecchio è contenuto in una scatola di pelle nera che, come è caratteristica di tutte le cassette di
strumenti degli Schissler, porta eleganti fregi in oro.
Compasso distanziometro di metallo dorato di Antonio Bianchini. Esistono nel Museo due esemplari di
compassi di questo tipo: uno dorato, ed uno in ottone. Attorno alla bussola del compasso di metallo dorato
trovasi il motto: «vigilate quia nescitis diem neque horam. Mathei 25». Nel compasso di ottone trovasi invece
l'iscrizione «Antonio Bianchini orologista fecit 1564 in Venetia».
Compasso di riduzione in ottone dorato di Jerg Zorn. Lo strumento di cm. 45, ha tre gambe di cui una
fissa alla cerniera e le altre snodate. Due aste articolate fanno scorrere un cursore lungo la gamba centrale,
mentre si operano i movimenti angolari delle gambe laterali, che portano le solite divisioni dei compassi di
proporzione. La gamba centrale è graduata solo all'esterno, dove finisce con un anello circolare, il quale
doveva sostenere una bussola a sospensione cardanica, ora mancante. L'apparecchio aveva forse l'ufficio di
distanziometro o balestriglia. Porta inciso: «Jerg. Zorn in Aug. 1618».
Compasso di ferro a guisa di pugnale. Ouesto è un tipo di misuratore universale che potrebbe essere stato
posseduto e usato da un ingegnere durante una campagna militare nel XVI secolo. Benché alcune parti dei
compasso siano ora mancanti, sia di esse, sia dei loro uso, ci viene data ampia notizia da un manoscritto,
una volta appartenuto all'architetto Bartolomeo Ammannati (1511-1592). Nell'interno del pomo di ottone che
sovrasta lo strumento, vi è un piccolo spazio che una volta conteneva la bussola e l'archipenzolo.
L'archipenzolo permetteva allo strumento di essere usato anche come un inclinometro per la misurazione
delle altezze e per la messa a punto della traiettoria dei cannone. Ouando le due aste vengono aperte, lo
strumento può essere usato come compasso geometrico e nell'interno le aste sono calibrate e possono
scorrere per l'articolazione che le unisce, dando così modo allo strumento di comportarsi come un teodolite o
una tavoletta pretoriana.
Strumenti matematici, in cassetta in due scompartimenti, di Cristoforo Schissler databili 1599. Questa
strumentaria proviene dai fondo portato dalla Germania dal Principe Mattias figlio di Cosimo Il de' Medici. Il
Principe Mattias, dal 1629 militò in Germania per 10 anni e fu incaricato dal fratello Ferdinando Il - dei quale
abbiamo già accennato quale fosse l'interesse alla scienza e all'arte - di portare a Firenze grande quantità di
strumenti scientifici di rara precisione e bellezza.
Astuccio in legno rivestito in pelle con dorature, contenente strumenti matematici, fra i quali compassi,
misuratori di lunghezze e di angoli, ed apparecchi per disegnare. Era evidentemente una cassetta che veniva
facilmente trasportata dai matematico - al quale apparteneva - sul luogo dei suoi studi. Tanto l'astuccio
quanto gli strumenti di rara bellezza in esso contenuti, rappresentano veri gioielli di arte e di scienza dei sec.
XVII.
Cassetta di strumenti matematici. Questa cassetta di legno elegantemente filettato ha le dimensioni di
circa centimetri 65x41. Contiene oggi un solo alloggiamento, nel quale segnaliamo - oltre a due righe per il
tracciato delle parallele (una lunga cm. 56 e l'altra cm. 39) -, uno strumento per descrivere ellissi con asta
lunga cm. 46, un archipenzolo, e due compassi di cui uno a verga con cursore e punta a vite micrometrica
(sec. XVIII).
Odometro in legno e ottone con iscrizioni attribuite a Cristoforo Schissler il vecchio (1530-1609). Il
quadrante dell'odometro porta tre scale concentriche.
Originariamente esistevano anche tre lancette di cui ora una è mancante. Sempre sul quadrante si trova una
fenditura dalla quale è visibile un numero. La lancetta più corta segna una completa rivoluzione per ogni giro
della ruota di legno; la lancetta mediana (ora mancante) doveva fare una rivoluzione completa per ogni 100
giri della ruota ed una rivoluzione completa della lancetta lunga, corrispondeva a 1000 giri della ruota. Il
numero leggibile nella fenditura intagliata nel quadrante dell'odometro dava il numero di rivoluzione della
lancetta più lunga con cifre da o a 10. Si poteva così leggere il percorso fino a 10.000 giri della ruota. Le due
scale esterne erano manovrabili a mano e dovevano registrare o meglio memorizzare il numero dei cicli
completi compiuti dallo strumento. Mille giri della ruota corrispondono all'incirca a 1788 metri. Lo strumento
sembra sia stato usato dall'Accademia dei Cimento
Macchina cicIologica aritmetica composta di una lastra di ottone dorata con 55 cerchi d'argento numerati e
17 cerchi d'ottone, coperti di lamiera d'argento, pure numerati. Vi è inciso: «Henricus Sutton et Sarnuel Knibb
Londini fecerunt 1664 (sic). Machina Cyclologica Arithmetica a Samuele Morlando Equite aurato et Baronetto
inventa anno salutis 1666 (sic). Nec non Serenissimo Principi Cosmo III Magno Duci Etruriae humillime
oblate anno salutis 1679».
Quadrante di ottone dorato in astuccio di pelle rossa. Sopra una faccia vi è un oriuolo a Sole in
concavità, con coperchietto: in angolo, un mascheroncino in rilievo. Bussoletta e rosa dei venti. Nel dorso si
trova un quadrato magico ed il quadrante orario con l'incisione - Quadrans Horarium ad Latitudinern Grad
XLII » (corrispondente alla latitudine di Roma). Il quadrante che appartenne a Gregorio XIII, Papa che
promosse la riforma dei calendario nel 1582, è firmato «Joannes Batis» e cioè Giambattista Giusti.
Orologio notturno sidereo di ottone dorato datato 1554. Lo strumento ha il diametro di circa mm. 60 e porta
nel dorso un oriolo a sole. I misuratori del tempo si possono dividere in due classi. La prima si può chiamare
astronomica, e ad essa appartengono orologi lunari, solari, notturni o stellari (gnomoni, armille, quadranti
orari ed astrolabi portatili di varia specie) come lo strumento qui presentato. La seconda è quella dei
misuratori meccanici.
Orologio notturno e solare di Girolamo della Volpaia. La parte anteriore dei quadrante mostra un orologio
notturno: nel retro è data l'altezza del quadrante e una tavola per il movimento dei sole e le linee orarie. Il
disco di ottone è di 145 mm. di diametro e il quadrante ha, tra le altre cose, un calendario zodiacale. Su di
esso gira un secondo disco con un indice segnato «media nox ». Un terzo disco ha 24 denti e porta incise le
lunghezze orarie notturne ed annuali. Sul lungo indice è scritto «horologium nocturnum». Le indicazioni
astronomiche dateci da questo strumento ci fanno pensare che l'equinozio vernale cada il 10 marzo, data
approssimativamente corretta prima della riforma gregoriana dei calendario (1582). Lo strumento porta pure
l'iscrizione «Ad latitudinem graduum XXXXIII et m. XXX» e «Hieronimus Vulparia Fiorentinus fecit anno
MDLXVIII ».
Orologio solare in ottone dorato di H. C. Schissler. Nella parte superiore porta una alidada con due
pinnule a traguardo per la misura dell'altezza degli astri, che si legge su una scala verticale. La scala porta
una doppia gradazione in gradi e in «pollici convenzionali». Sulla faccia di ottone è fissato un cerchio pure di
ottone con 24 divisioni, indicate con due serie di numeri romani da l a XII, e un indice sul quale è incisa la
scala delle latitudini. Eccentrico rispetto al precedente è un piccolo planisfero inciso su un disco di ottone. Nei
quattro lati della cornice si trovano le scritte Meridies, Occidens, Oriens, Septentrio e la firma dell'autore H.C.
Schissler. Nel retro della faccia anteriore è tracciato un astrolabio parziale con l'orizzonte e le linee delle ore
disuguali (notte divisa in 12 parti, giorno diviso in 12 parti). Al posto della rete vi è soltanto il cerchio
dell'eclittica con i segni dello zodiaco e le graduazioni relative. L'astrolabio è tracciato per una latitudine di 46°
Nord. La faccia posteriore porta un calendario convenzionale; nell'interno, una bussola orizzontabile con
gradazione da 0 a 360°.
Orologio solare di Stefano Bonsignori. Orologio solare a forma di dodecaedro regolare, miniato. Vi è
segnato il motto «Praesidium et decus» stemma della Casa de' Medici. In un nastro nero con retro rosso si
trova inoltre miniata in oro la data «1587» e le iniziali D.S.F.F. (Don Stefano [Bonsignori] Fiorentino Fece).
Morto Cosimo I de' Medici (1519-1574), che aveva sempre difeso il suo cosmografo Egnatio Danti
(1536-1586), gli successe nel Granducato di Firenze il figlio Francesco, il quale chiamò Don Stefano
Bonsignori a por termine alla compilazione delle carte geografiche, già iniziate dal Danti, per la sala ad esse
dedicata in Palazzo Vecchio.
Orologi solari. Da sinistra: 1) Orologio solare a forma poliedrica, con 17 facce tutte miniate. Si attribuisce
con probabilità a Stefano Bonsignori. - 2) Orologio solare a forma di ottaedro regolare, tutto miniato; latitudine
43° 30'. Si attribuisce con probabilità a Stefano Bonsignori. - 3) Orologio solare cilindrico in parte dorato, in
parte dipinto (Sec. XIV). Sull'orlo superiore la dedica «Francesco Magno Etruriae Duci Dicatum». La prima
idea di questi strumenti a colonna verticale risale al geometra, algebrista ed astronomo Paolo dell'Abbaco.
Orologio composto di tre lastre d'ottone incernierate a cassetta di cm. 26x26. All'esterno, sul coperchio, si
trova lo stemma mediceo e forellino centrale che rappresenta schematicamente il «fuso dei mondo». Sul
rovescio del coperchio tabelle delle durate semidiurne per i diversi mesi dell'anno, per le latitudini di 43°45'
(Firenze) e 43°28' (Pisa). Sopra una lastra quadrata centrale vi è un disco orario. Sulle due facce trovasi un
forellino centrale e nel fondo un cerchio con le orientazioni. Lo strumento è mancante di parti e doveva
essere provvisto di archi per altezza per servire come orologio equinoziale.
Orologio solare a forma di scatola quadrata (cm. 25 di lato) di ottone dorato. E’ di fabbricazione tedesca.
Sulla faccia esterna trovasi lo specchio geografico dell'emisfero boreale e nel rovescio del fondo, è lo
specchio geografico dell'emisfero australe. Il coperchio porta una piccola apertura che è scoperta o ricoperta
da un disco, che si trova sulla faccia interna dei coperchio. Questo disco mostra la posizione del sole su di
una scala nella quale sono segnati i giorni del mese lunare. Nell'interno della scatola, oltre all'arco per le
altezze, si trova, maschiettato, il circolo equinoziale per le ore solari. Nel fondo della scatola, rosa dei venti ed
ostensore graduato.
Orologio meccanico tedesco tutto in metallo dorato cesellato e scolpito con figure ed ornati. Nella faccia
anteriore, trovasi l'orologio per ore diurne e notturne e nella posteriore, l'astrolabio con rete, gli ostensori dei
Sole e della Luna comandati dal meccanismo interno. (Sec. XVI). In data posteriore, gli fu applicato il
pendolo.
Microscopio «Galileiano». Riunisce le prerogative dei microscopi dell'epoca ed aggiunge tre
perfezionamenti importanti: 1) la terza lente, 2) il diaframma mobile in sede dell'oculare, 3) la possibilità di far
scorrere il cannoncino dentro l'anello di ferro con base a tripode che lo contiene. (Sec. XVII). Questo
microscopio, che è stato per lungo tempo attribuito a Galileo, fa piuttosto pensare ad un esemplare di
Giuseppe Campani. Il Campani - affermatosi in Roma nella seconda metà dei sec. XVII - si trovava allora in
competizione con Eustachio Divini. Il Campani e il Divini furono in Roma fra i più notevoli costruttori di
strumenti ottici post galileiani.
Microscopio dì Pietro Patrono con tubo fasciato di pelle nera e raccordi in avorio, su base di legno dipinta
con figure e fiori. Nella fascia di ottone, trovasi inciso: «Petrus Patronus Sac. Caes: ae Et: Catae: Maies: is
Opticus: Mediani: 1726 ». Un altro microscopio semplice dei Patrono con lente montata in un tubo di legno
imperniato su un treppiede di rame e datato 1715 esiste al Rijksmuseum voor de Geschiedenis der
Natuurwetenschappen in Leida.
Pietro Patrono fu ottico di un certo valore ed oltre a microscopi, fabbricò anche telescopi binoculari secondo
la descrizione di P. Chérubin D'Orléans. Di tali telescopi binoculari dei Patrono, secondo i modelli di Chérubin
d'Orléans, un esemplare datato 1714 si trova al Deutsches Museum di Monaco ed un altro datato 1719 nella
collezione Nachet di Parigi.
Lente di Benedetto Bregans di Dresda, del diametro di cm. 45 in cornice di legno dorato, distanza focale
m. 1,58. Vi è aggiunta un'altra piccola lente che funziona da condensatore, ed un piattello di ferro per gli
oggetti da mettere al fuoco del condensatore. Movimento in altezza a mezzo di vite. La lente fu costruita nel
1690 dal Bregans che, al suo passaggio da Firenze, la donò al Granduca Cosimo III. Dal 1694 al 1710 circa
lo strumento servì all'Averani ed al Targioni per esperienze sulla combustione. Più tardi (1814), Humphrey
Davy e Michael Faraday l'usarono per la ricerca della natura chimica dei diamante. Nel 1860 G. B. Donati usò
questa lente, montata su di un tubo, come condensatore della luce delle stelle nelle osservazioni delle strie
degli spettri stellari.
Tornio per il taglio e la pulitura delle lenti. E’ composto di un castello di legno con quattro colonne rivestite
di carta verniciata a marmo. Porta il volano con manubrio, ingranaggi di ottone, dispositivo verticale per la
lavorazione della lente in piano orizzontale e varie ruote dentate per i cambiamenti di velocità. Lo strumento è
attribuito al «Frati» dei quale non si è riusciti a trovare notizie comunque, il periodo in cui lo strumento è stato
costruito risale al sec. XVIII, ma apparecchi per la lavorazione delle lenti erano stati costruiti anche
anteriormente.
Particolare della sala dei telescopi dei sec. XVIII e XIX. Sono evidenti, uno accanto alla parete e l'altro al
lato della finestra, i cannocchiali di Giovan Battista Amici (1786-1863) astronomo e fisico modenese, che fu
chiamato a Firenze nel 1831 per l'insegnamento dell'astronomia presso l'Istituto e Museo di Fisica e Scienze
Naturali, annesso alla « Specola » fiorentina, di cui l'Amici fu anche direttore per un certo periodo.
Igrometro originale a nastro di carta di Francesco Folli (1624-1685) da Poppi (Casentino). Il Folli costruì
l'apparecchio nel 1664, quando venne a conoscenza che il Granduca Ferdinando lI de' Medici «andava
investigando il modo di far uno strumento da conoscere li gradi dell'umido, e del secco ». Nel 1665 il Folli
presentò poi al Granduca la sua «mostra umidaria» nella quale si faceva uso della carta « della grandezza di
mezzo dito auricolare traverso».
Igrometro a dischi di carta a bilancina con indice dì registrazione. Vi è inciso, «Adams Maker London
Coventry Inventor» Sec. XVIII. Gli Adams, padre (1704-1786) e figlio (1750-1795) - avevano ambedue il
nome di George -furono meccanici ed ottici in Londra. Fin dal secolo XV lo studio dell'igrometria aveva
grandemente interessato gli studiosi i quali, come l'Alberti, Leonardo ed altri si erano serviti di spugne ed altre
sostanze igroscopiche che pesavano prima secche e poi umide, così da poter giudicare lo stato di umidità
dell'aria. Solo nel sec. XVI col Santorio Santorio (1561-1636) si cominciò ad avere un vero strumento
igrometrico. Il Santorio usava per la maggior parte dei suoi strumenti una corda tesa e gravata da una palla
che pendeva su un indice graduato. Con l'interesse che Ferdinando Il dedicò a questi strumenti, si ebbero in
seguito gli igrometri costruiti da lui stesso, da Francesco Folli e da Vincenzio Viviani. Lo strumento qui
presentato è dimostrazione dell'ulteriore sviluppo dell'apparecchio.
Barometri di fabbricazione inglese, italiana e francese dei primi dei sec. XVIII e XIX. L'esperienza suggerita
da Evangelista Torricelli nei 1643 ed eseguita da Vincenzio Viviani portò all'esecuzione dei barometro a
mercurio, capostipite di una serie di strumenti molto semplici detti barometri a pozzetto e destinati a
determinare la pressione atmosferica. Dal barometro a pozzetto derivò ben presto quello a fondo ricurvo,
detto a sifone, che portò alla doppia lettura dei due livelli nei rami dei tubo. Si hanno i perfezionamenti di
René Descartes (1596-1650), di Chrístían Huygens (1629-1695), e di Robert Hooke (1635-1703) (per il
barometro a sifone di tipo Hooke, vedi 5° barometro da sinistra) finché - per quanto riguarda le nostre
collezioni - si giungerà ai più completi di Jean André De Luc (17271817), di Felice Fontana (1730-1805) e di
Nicolas Fortin (1750-1831).
Automa di metallo argentato di Federico Knaus. Trattasi di una macchina scrivente nella quale un
meccanismo ad orologeria imprime ad una mano un movimento che la porta ad attingere la penna nel
calamaio ed a scrivere su di un cartoncino: «Huic/Domui/Deus / Nec metas rerum / Nec tempora / Ponat». la
macchina è dedicata dall'artefice alla casa di Lorena allora regnante in Toscana. Vi è inciso: «Federicus de
Knaus invenit et fecit ». (Sec. XVIIII).
Banco e strumentarla chimica di Pietro Leopoldo di Lorena Granduca di Toscana (Sec. XVIII). Pietro
Leopoldo di Lorena (1747-1792) terzogenito dì Francesco Stefano duca di Parma ed imperatore, in seguito
Granduca di Toscana e poi successore dei padre nell'Impero, ebbe per madre Maria Teresa d'Austria.
Successe al padre nel Granducato di Toscana dal 1765 al 1790. In quegli anni fece progredire gli studi
riformando le Università di Pisa e di Siena e fondando Accademie e Musei. Si interessò grandemente agli
studi chimici e di lui ci rimangono, oltre al Banco chimico, anche vari preparati, molti dei quali andarono però
alluvionati durante la piena dell'Arno dei 1966.
Cassetta n. XXVIII «Pro Amputatione» facente parte dell'Armamentario chirurgico di Giovanni Alessandro
Brambilla (1728-1800). Questa speciale collezione di cassette di ferri chirurgici fu donata dall'Imperatore
d'Austria Giuseppe Il al fratello Pietro Leopoldo di Lorena che a sua volta ne fece dono all'Arcispedale di S.
Maria Nuova di Firenze.
Particolare della «sala di meccanica». Trattasi di strumenti fatti costruire a scopo didattico da Pietro
Leopoldo di Lorena per il Museo di Fisica e Scienze Naturali annesso a « La Specola » fiorentina. (Sec.
XVIII).
Macchina elettrostatica dei tipo ideato da Otto von Guericke (1602-1,686) e nel modello qui presentato
simile al disegno realizzato dall’abate Jean Antoine Nollet (1700-1770) nella Planche I delle «Lecons de
Physique » Tomo VI, XX. Lo sfregamento si otteneva a mezzo di una sfera di vetro o di ceramica, ruotante
contro un cuscinetto di pelle.
Dalle - Lecons de Physique », Tomo VI, pag. 241 riportiamo una piacevole descrizione di esperienza di
elettrizzazione, descritta dall'Abate Nollet:
« Frottez un tube de verre, suivant sa longeur, avec la maine nue, pourvu qu'elle soit seche ou avec un
morceau de papier gris que vous tiendrez appliqué sur le verre: faites-le passer brusquement à une petite
distance de votre visage [ ... ]. Vous sentirez des attouchements semblables à ceux de fils d'araignée que l'on
rencontre flottants en l'air ».
Fonografo di Thomas Alva Edison (1847-1931). Sullo strumento trovasi un biglietto con la firma autografa
di Thomas A. Edison e la dedica: «To my friend / E. P. Fabbri / from / Thomas A. Edison / Orange, N. J. Nov.
1, 1890». Edison costruì il suo primo fonografo nel 1878 e nel 1881 ne presentò un esemplare (che tuttavia
non riproduceva ancora fedelmente la vibrazioni), all'Esposizione di elettricità. Nel 1889 sostituendo un
miscuglio di cere alla foglia di stagno che copriva il cilindro dei fonografo (sistema Trainter), Edison fu in
grado di offrire un fonografo perfezionato che fu sperimentato con successo.
Finito di stampare Maggio 1973 con i tipi

della Tipografia R.G.R.

Via Faenza, 54 – Tel . 216014 - Firenze

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