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della Scienza sia perché il presente fascicolo potrà servire di guida alle collezioni, sia
anche perché in esso vengono illustrati vari apparecchi che furono alluvionati durante
l'inondazione dell'Arno del 4 Novembre 1966 e che ora, perfettamente restaurati, si
trovano in parte esposti al pubblico ed in parte sono in attesa di una maggiore
ampiezza di locale per essere opportunamente collocati. Ci sembra doveroso
segnalare come la rinascita della strumentaria che andò alluvionata, si deve agli
artigiani che ad essa dedicarono la loro arte migliore, ma anche a tutti coloro che
generosamente contribuirono con aiuti e sovvenzioni. La nostra più viva
riconoscenza si estende specialmente al Committee to Rescue Italian Art, al
personale del Corríere della Sera di Milano, al personale del C.N.E.N., alla Direzione
del Deutsches Museum, ed a quei generosi che vollero anche singolarmente offrire il
loro contributo.
La storia dell'edificio è una delle più antiche della nostra città, poiché
risale ad epoca anteriore al 1180 quando, ancora castello e facente
parte delle mura di Firenze, il palazzo passò dalla famiglia degli
Altafronte che vi abitava, a quella degli Uberti che se ne servì di
fortezza e ne divise la proprietà coi Giandonati.
Nel 1333, quando la piena dell'Arno travolse ancora nelle sue acque
il Ponte Vecchio, anche il palazzo d’ Altafronte fu parzialmente distrutto.
Venne poi ricostruito, ma subì coi tempo notevoli trasformazioni, tanto
che nel 1572 apparivano sulla facciata degli affreschi ad opera di
Bernardíno Barbatelli detto il Poccetti.
IL MUSEO
Il benefico fluido scientifico proveniente dal mondo greco che fin dal
1200 si riversò sulla Toscana per merito di Leonardo Fibonacci, Niccolò
dal Negro, Paolo Dagomari e che per molti aspetti venne fissato in quel
codice che si può definire la Divina Commedia, trovò riscontro tre secoli
dopo, in un altro Toscano: Galileo che pur assumendo un atteggiamento
aggressivo verso Aristotele ne possedeva lo stesso spirito osservatore,
la stessa ammirazione per il fenomeno naturale, la stessa mentalità
realistica.
Termometro ad alto fusto diviso in 420 gradi con bulbo inferiore ramificato a rigonfiamenti, appartenuto
all'Accademia dei Cimento (1657-1667). Alt. cm. 120. Naturalmente la scala di graduazione di questo
strumento differisce dalle nostre attuali. Questo termometro, come gli altri della sua specie, conteneva alcool
di vino che gli Accademici chiamavano «acqua arzente» e che, all'inizio delle loro esperienze, usarono
colorare in rosso nel tentativo - ritenuto poi errato - di una migliore lettura delle graduazioni.
Termometro con cannello a spirale, o a «chiocciola», diviso in 420 gradi, appartenuto all'Accademia del
Cimento. Il termometro a spirale fu costruito per un più facile trasporto dello strumento e perché - dicono gli
Accademici - occupasse «minore altezza» e fosse «meno soggetto al brandire». Gli Accademici decisero
così che il «prolisso collo» dei termometri ad alto fusto « si spiegasse in facili e spesse rivolte, di soave
salita». Questo termometro era ritenuto, per la sua sensibilità, il più «sdegnoso» e «gelosissimo».
Per meglio giudicare della «linearità di marcia» dei termometro dell'Accademia, abbiamo riprodotto qui sopra
il diagramma dove, per ogni indicazione dei termometro Celsius tra –20° e 125° C. riportata in ascisse, viene
segnalata in ordinate la corrispondente indicazione dei termometro dell'Accademia unitamente alle differenze
che si verificano col termometro Réaumur. Il fatto che i punti così ottenuti, si dispongano praticamente su una
retta, sta a testimoniare la linearità di marcia dei termometro dell'Accademia e ciò prova che la linea dei
cannello era sensibilmente costante.
Termometri dell'Accademia del Cimento detti infingardi per la lentezza di caduta delle sfere galleggianti
nell'alcool contenuto nella fiala. Se la fiala contiene 6 sfere, il termometro è settantigrado poiché la prima
sfera cade a 20° e l'ultima a 70°. Ambedue queste temperature sono calcolate secondo la scala prodotta ed
usata dall'Accademia e corrispondono approssimativamente a 10° e 85° Celsius.
Termometro a forma di grappolo di 6 fiale detto «infingardo» dagli Accademici dei Cimento. Ogni fiala è
contrassegnata in alto con un numero dall'1 al 6 e porta nel suo interno una soia pallina di cristallo. La pallina
della fiala n. 1 cadeva in basso a 20° e quella della fiala contrassegnata n. 6 cadeva a 70° secondo la scala
già segnalata.
Termometri clinici a forma di rana costruiti dagli Accademici dei Cimento. Questi termometri furono
probabilmente ideati dal Granduca Ferdinando Il de' Medici. Lunghezza cm. 8, larghezza da zampa a zampa
cm. 3,90. Il termometro, che gli Accademici segnalarono poi coi nome di «botta» o «botticina», veniva legato
al braccio dei paziente per stabilirne la temperatura, a seconda dell'affondamento nel liquido delle piccole
sfere - di differente calore e densità - contenute nell'interno della «botticina» stessa.
Vaso artistico appartenuto all'Accademia del Cimento e prodotto nella fornace Granducale che Cosimo Il de'
Medici, dopo il 1617, aveva fatta impiantare nel Giardino di Boboli onde ottenere vetri nobili e smalto da
cammei artificiali sul modello veneziano. Grande numero di bicchieri, caraffine, ampolle e giare fu prodotto
nella fornace granducale e, nonostante la rottura e la dispersione di tanti esemplari, il numero pur
limitatissimo di oggetti oggi esistenti, rimane a documentare l'arte vetraria di quel periodo, alla quale non fu
certo estranea la perizia degli artisti di Murano che il Granduca aveva chiamati a Firenze.
Globo celeste arabo dei 1081. L'iscrizione araba dichiara: « Fabbricò questo globo fornito di piedistallo per
l'investito di duplice visirato Qáyid supremo 'Abú 'Isá 'Ibn Labbún (prolunghi Dio la sua potenza e il suo
sostegno), il suo servo 'Ibráhim ‘Ibn Sa'id 'as-Sahli il pesatore in Valenza, con Muhammed suo figlio, e pose
le stelle fisse in quello, giusta loro grandezze e diametri. Or fu compiuto nel principio di Safar nell'anno 473
dell'Egira (del Profeta) benedica Dio lui e gli conceda pace perfetta». (Vedi: F. Meucci, «Il Globo Celeste
Arabico dei secolo XI»).
Planisfero di Lopo Homen. Planisfero a colori su pergamena di m. 2,26x1,48. Segnato: « Lopo home
cosmographo cavaleiro fidalgo dei rei nosso snór me féz e lixboa Era de 1554 Annos ». E’ ben visibile in
questo planisfero la linea di demarcazione con la quale vennero divisi da Papa Alessandro Vi nel 1493 i
possedimenti spagnoli da quelli portoghesi. Inoltre, si nota l'Argentina segnalata - pare per la prima volta - coi
nome di « terra Argétea ».
Coppia di globi celeste e terrestre di Guglielmo Blaeuw (1571-1638), amico e discepolo dei celebre
astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601). Il Blaeuw, cartografo, costruttore di sfere, planetari e sestanti,
fondò in Amsterdam un grande laboratorio per la costruzione di globi che venivano da lui delineati, incisi e
stampati. Egli tuttavia non si firmò sempre in modo uniforme, ma alcune volte «GuiljeImus Janssonius
Alcmarianus», altre come «GuiljeImus Janssonius», ed in periodo più tardo, «Caesius» forma latinizzata
dell'olandese «Blaeu o Blaeuw» che pure usò spesso. Le prime coppie dei globi costruiti dal Blaeuw portano
le date 1599 per il terrestre e 1603 per il celeste. Le ulteriori grandi opere terrestri e celesti fabbricate dal
Blaeuw, portano le date 1616, 1622. Dei globi qui presentati, il terrestre datato 1622, porta la dedica a
Ferdinando II de' Medici Granduca di Toscana seguita dalla firma «GuiljeImus Blaeu » ed il celeste è firmato
« GuiljeImus Caesius Anno 1622 ».
Sfera armillare tolemaica dorata a fuoco. Montata su piede di legno tornito e costruita da Cammillo Della
Volpaia fiorentino, nell'anno 1557. La famiglia dei Della Volpaia segna in Toscana l'inizio di un artigianato
scientifico che ebbe il capostipite in Benvenuto. I nomi che ebbero più rilievo nella famiglia, oltre al primo
Benvenuto, sono quelli di Lorenzo (1446-1512) e dei suoi discendenti: Benvenuto, Eufrosino e Cammillo.
Ultimo esponente di questa particolare tradizione scientifica, fu Girolamo. Il nostro Museo possiede strumenti
di Lorenzo, Eufrosino, Cammillo e Girolamo.
Sfera armillare tutta di ottone nella quale trovasi inciso «Hieronimus Vulparia Florentinus A. D. MDLXIII».
Lo strumento fu ideato a scopo gnomonico, e la sfera dii cristallo, che trovasi all'interno, sembra funzionare
da specchio nel quale dovrebbe riflettersi l'immagine prospettiva capovolta della sfera celeste e quindi dare la
posizione del Sole e degli altri astri.
Sfera armillare del Santucci dalle Pornarance. A partire dal centro, ove si trova il globo terrestre, si
contano le sette sfere da! pianeti mobili ed una sfera delle stelle fisse che porta la fascia zodiacale. Le sfere
sono seguite dalla nona sfera, detta Primo mobile, che porta le calotte polari ed i meridiani. Si notano sulla
sfera gli stemmi della famiglia de' Medici e dei Lorena, poiché Maria Cristina di Lorena era moglie di
Ferdinando I°. La sfera fu iniziata nel 1588 e terminata nel 1593.
Planetario dei Fergusson secondo il sistema copernicano (sec. XVIII). Movimento dei pianeti, Mercurio,
Venere e Terra intorno al Sole. Mancano i pianeti superiori. Movimento della Luna intorno alla Terra. La
macchina viene mossa da una manovella. Questo tipo di modelli meccanici dimostrativi, furono detti
«orreries» in ricordo di Charles Boyle quarto Conte di Orrery il quale finanziò la costruzione dei primi modelli.
Astrolabio di ottone dorato (cm. 16) con caratteri in arabo antico, latino e gotico. La tradizione riporta lo
strumento all'epoca di Carlo Magno e quindi al sec. IX. La custodia reca nel fondo una dichiarazione scritta
nel sec. XVI: «Astrolabium Arabicum ex Hispania delatum et paratum eo tempore quo Aequinoctium vernum
haerebat in die 15 Martii, id est anno Christi 1252, quo Alfonsus Rex Hispaniarum restituit motus Celestes».
C'è quindi una evidente contraddizione fra la data dei 1252 e quella che potremmo grossolanamente
attribuire dai dati astronomici dello strumento che lo riportano ad un periodo anteriore al 1000.
Astrolabio di ottone di Charolus Whitwell. L'astrolabio ha il diametro di cm. 38,5. Sul dorso, trovasi inciso:
« Charolus Whitwell fecit 1595 », ma la longitudine di Regolo riporterebbe lo strumento al 1550. Charolus
Whitwell fu costruttore ed incisore di buona parte degli strumenti di invenzione di Sir Robert Dudley Duca di
Northumberland Conte di Warwich e Leicester nato nel 1573 in Inghilterra e morto a Firenze nel 1649. Robert
DudIey fu grande ciambellano delle tre Granduchesse di Toscana Maria Maddalena, Cristina di Lorena e poi
di Vittoria della Rovere. Il «Magnus opus» di Robert Dudley fu pubblicato coi titolo «Del L'Arcano del Mare» in
4 volumi pubblicati dal 1646 al 1647. Al Dudley, conosciuto principalmente per l'attivo e valido lavoro di
cartografo e costruttore di strumenti per uso nautico, fu affidata la direzione dei lavori nell'arsenale di Livorno.
Quadrante in ottone di Egnatio Danti (1536-1586) o strumento dei primo mobile, secondo Pietro Apiano. Vi
sono incise le parole: «Instrumentu Primi Mobilis», lo stemma mediceo con corona, la data 1568 e le iniziali
F.E.D.P.F. (cioè: «Frater/ Egnatius/Danti/Praedicatorum/Fecit »). Egnatio Danti (Pellegrino Rainaldi) fu
cosmografo di Cosimo I de' Medici ma cadde poi in disgrazia col successore Francesco I. Oltre ad altri
strumenti, il Danti costruì in Firenze un quadrante astronomico ed una armilla equinoziale con la quale trovò
che l'equinozio dei 1574 cadeva l'11 Marzo. Rivelava in tal modo l'errore del Calendario Giuliano allora in
vigore in base al quale - per antica tradizione - la durata dell'anno non corrispondeva al reale corso dei sole.
Nel 1580 Papa Gregorio XIII (Ugo Boncompagni) chiamò a Roma il Danti per la riforma dei calendario
promulgata poi nel 1582.
Quadrante di Gerolamo della Volpaia in ottone di cm. 33 circa per la latitudine di 43° 30'. Porta incisa
]'iscrizione «Lineae perpetuae Ante Meridianas horas. Interpunctae Vero Pomeridianas Indicant Ad
Latitudinem Poli Graduum XXXXIII et m. XXX, Hieronimus Vulpariae Faciebat Florentiae A.D. 1570 ».
Quadrante di ottone dorato. Porta incisa l'iscrizione «Christophorus Schissler senior [circa 1530-1609]
Geometricus ac astronomicus Artifex. Augustae Vindelicorum anno 1599 ». Probabilmente questo quadrante
faceva parte della collezione acquistata in Germania dal Principe Mattias fratello dei Granduca di Toscana
Ferdinando II de' Medici.
Quadrante di ottone dorato ed accessori dei tipo dello Stoffler usato anche a scopo militare. Sopra una
faccia vi è una bussola con un orologio solare che nella parte interna porta l'incisione «horologium noctis
secundum Lunae». Nel quadrato delle ombre, trovasi inciso «Auctorae Tobia Volkmero Brunsvicensi
Sereniss. Ducis Bavarorum Mathe. et aurifabro faciebat» e la data «1608».
Quadrante per altezze di Carlo Rinaldini (1615-1698). Fu eseguito nel 1667 e dedicato al Principe
Leopoldo de' Medici come risulta dalla iscrizione: «Munificientia Serenissimi Leopoldi Principis ad
Etruria/Carolus Rinaldinus Fieri curavit Anno a Virginis partu/MDCLXVII: invent». Il Conte Carlo Rinaldini (o
Renaldini), di Ancona fu, come G.A. Borelli, Alessandro Marsili, Francesco Redi e Vincenzio Viviani, fra i
maggiori esponenti dell'Accademia del Cimento (fondata in Firenze nel 1657) che aveva scelto per emblema
tre crogiuoli alla fornace, ed il motto «Provando e riprovando». Le divisioni matematiche ed il termine delle
costruzioni di questo quadrante si devono tuttavia a Jacopo Mariani che pure lavorò nell'Accademia.
Grafometro in ottone dorato di Erasmo Habermel (circa 1538-1606). Porta incisa l'iscrizione «Pragae fecit
Erasmus Habermel». Nel dorso, porta un gambo girevole da inserire nel piede. La custodia è in legno,
coperta di pelle. Nell'Europa settentrionale Erasmo Habermel, Humphrey Cole, gli Arsenius, Michael Coignet,
Philippe Danfrie, superarono nella realizzazione degli strumenti rinascimentali, le qualità professionali di
qualsiasi artigiano scientifico, per il senso inimitabile della precisione.
Strumento per la prospettiva di ottone dorato. Porta incise le iscrizioni «Balthassar Lancaeus Urbinas
faciebat Anno A.N.D. MDLVII» e «Hoc Uti possunt in strumento tum mathematici et ad Geographiam et
Chorographiam et Carthographiam efficiendam cum perfectamque habere notitiam omnis distantiae eamque
in picturam redigere». Il Lanci (m. 1571), fu ingegnere militare prima in Lucca e poi in Firenze al servizio dei
Granduca Cosimo I de' Medici.
Tavoletta pretoriana di Miche] Bumel, con bussola, orologio solare, visorio, livella a pendolo per rilevare le
piante. Lo strumento è unito ad un libro legato in pelle, contenente un testo in pergamena stampato in
caratteri gotici, con la figura dell'apparecchio e la spiegazione di esso, seguita da varie tavolette da incidere.
Il testo è di 43 pagine e l'ultima porta l'impresa del libraio: «Simon Halbmayer Bibliop. gloria virtute paratur».
Sul misuratore degli angoli si legge: «Michel Bumel in Nurnberg 1625».
Archimetro, o strumento per triangolazione, in metallo dorato. Settore circolare diviso in 1251. Raggio cm. 9.
Vi è inciso: «Instrumentum percipiendi distantiam per superficiem ». Porta una alidada graduata con una riga
imperniata divisa in 43 parti e lunga cm. 37. Ogni riga porta due «mire». Date le caratteristiche dello
strumento, si pensa possa trattarsi di opera di Baldassarre lanci di Urbino (sec. XVI).
Compasso in ottone di Michelangiolo Buonarroti (1475-1564), in astuccio di cartone in cattivo stato
contenente altri dieci pezzi assortiti in acciaio. Nell'interno dell'astuccio fu trovata una memoria manoscritta
dalla quale risulta appunto che lo strumento appartenne a Michelangiolo Buonarroti. Le caratteristiche
costruttive dei compasso non sembrano smentire l'attribuzione. (Donazione Alfredo Pimpinelli).
Compasso in ottone dorato ed inciso appartenente alla cassetta di strumenti matematici di Cristoforo
Schissler (Sec. XVI). Gli Schissler padre (Christoph; Augsbourg circa 1530-1609) e figlio (Hans Christoph; n.
Augsburg m. 1610 circa) furono celebri costruttori di strumenti matematici ed astronomici che assai spesso
non firmavano, ma che sono facilmente riconoscibili per l'accuratissima arte e precisione incisoria. Il padre,
che impiegò nel suo laboratorio grande numero di specialisti, raggiunse maggiore fama dei figlio, che fino al
1591 lavorò coi padre ad Augsburg. e da qui si recò a Praga e poi a Vienna, dove fu orologiaio alla Corte
Imperiale. In Vienna costruì un bellissimo quadrante dorato datato 1595.
Compasso con archipenzolo in ottone dorato di Baldassarre Lanci. Porta incisa l'iscrizione: «Balthassar
Lanceus Urbinas faciebat A.N.D. MDLVII». Nella bussola centrale sono incernierate le gambe arcuate del
compasso, una delle quali è fissa e l'altra, girevole, porta avvitato un archipenzolo graduato e girevole sopra
due guide e segnato « B.L. ».
Compasso di ottone dorato con bussola bilicata (sec. XVI?). Nell'orlo si trovano segnate le latitudini di
alcune città. Orologio solare equinoziale. Due archi, uno per l'apertura dei compasso, l'altro per il pendolo.
Nella nocellatura si trova inciso il Leone di San Marco con la scritta: «Sanctus Marcus Venetus» e in una
r
gamba dei compasso si trova pure un'altra incisione «S. laur batecin Inventor». Nelle gambe, fori per il
traguardo delle altezze.
Bussola dorata emisferica a sospensione cardanica (sec. XVII). Lo strumento serviva in viaggio e veniva
attaccato alla sella del cavallo mediante i ganci di cui dispone. Il costruttore è Cristoforo Schissler.
L'apparecchio è contenuto in una scatola di pelle nera che, come è caratteristica di tutte le cassette di
strumenti degli Schissler, porta eleganti fregi in oro.
Compasso distanziometro di metallo dorato di Antonio Bianchini. Esistono nel Museo due esemplari di
compassi di questo tipo: uno dorato, ed uno in ottone. Attorno alla bussola del compasso di metallo dorato
trovasi il motto: «vigilate quia nescitis diem neque horam. Mathei 25». Nel compasso di ottone trovasi invece
l'iscrizione «Antonio Bianchini orologista fecit 1564 in Venetia».
Compasso di riduzione in ottone dorato di Jerg Zorn. Lo strumento di cm. 45, ha tre gambe di cui una
fissa alla cerniera e le altre snodate. Due aste articolate fanno scorrere un cursore lungo la gamba centrale,
mentre si operano i movimenti angolari delle gambe laterali, che portano le solite divisioni dei compassi di
proporzione. La gamba centrale è graduata solo all'esterno, dove finisce con un anello circolare, il quale
doveva sostenere una bussola a sospensione cardanica, ora mancante. L'apparecchio aveva forse l'ufficio di
distanziometro o balestriglia. Porta inciso: «Jerg. Zorn in Aug. 1618».
Compasso di ferro a guisa di pugnale. Ouesto è un tipo di misuratore universale che potrebbe essere stato
posseduto e usato da un ingegnere durante una campagna militare nel XVI secolo. Benché alcune parti dei
compasso siano ora mancanti, sia di esse, sia dei loro uso, ci viene data ampia notizia da un manoscritto,
una volta appartenuto all'architetto Bartolomeo Ammannati (1511-1592). Nell'interno del pomo di ottone che
sovrasta lo strumento, vi è un piccolo spazio che una volta conteneva la bussola e l'archipenzolo.
L'archipenzolo permetteva allo strumento di essere usato anche come un inclinometro per la misurazione
delle altezze e per la messa a punto della traiettoria dei cannone. Ouando le due aste vengono aperte, lo
strumento può essere usato come compasso geometrico e nell'interno le aste sono calibrate e possono
scorrere per l'articolazione che le unisce, dando così modo allo strumento di comportarsi come un teodolite o
una tavoletta pretoriana.
Strumenti matematici, in cassetta in due scompartimenti, di Cristoforo Schissler databili 1599. Questa
strumentaria proviene dai fondo portato dalla Germania dal Principe Mattias figlio di Cosimo Il de' Medici. Il
Principe Mattias, dal 1629 militò in Germania per 10 anni e fu incaricato dal fratello Ferdinando Il - dei quale
abbiamo già accennato quale fosse l'interesse alla scienza e all'arte - di portare a Firenze grande quantità di
strumenti scientifici di rara precisione e bellezza.
Astuccio in legno rivestito in pelle con dorature, contenente strumenti matematici, fra i quali compassi,
misuratori di lunghezze e di angoli, ed apparecchi per disegnare. Era evidentemente una cassetta che veniva
facilmente trasportata dai matematico - al quale apparteneva - sul luogo dei suoi studi. Tanto l'astuccio
quanto gli strumenti di rara bellezza in esso contenuti, rappresentano veri gioielli di arte e di scienza dei sec.
XVII.
Cassetta di strumenti matematici. Questa cassetta di legno elegantemente filettato ha le dimensioni di
circa centimetri 65x41. Contiene oggi un solo alloggiamento, nel quale segnaliamo - oltre a due righe per il
tracciato delle parallele (una lunga cm. 56 e l'altra cm. 39) -, uno strumento per descrivere ellissi con asta
lunga cm. 46, un archipenzolo, e due compassi di cui uno a verga con cursore e punta a vite micrometrica
(sec. XVIII).
Odometro in legno e ottone con iscrizioni attribuite a Cristoforo Schissler il vecchio (1530-1609). Il
quadrante dell'odometro porta tre scale concentriche.
Originariamente esistevano anche tre lancette di cui ora una è mancante. Sempre sul quadrante si trova una
fenditura dalla quale è visibile un numero. La lancetta più corta segna una completa rivoluzione per ogni giro
della ruota di legno; la lancetta mediana (ora mancante) doveva fare una rivoluzione completa per ogni 100
giri della ruota ed una rivoluzione completa della lancetta lunga, corrispondeva a 1000 giri della ruota. Il
numero leggibile nella fenditura intagliata nel quadrante dell'odometro dava il numero di rivoluzione della
lancetta più lunga con cifre da o a 10. Si poteva così leggere il percorso fino a 10.000 giri della ruota. Le due
scale esterne erano manovrabili a mano e dovevano registrare o meglio memorizzare il numero dei cicli
completi compiuti dallo strumento. Mille giri della ruota corrispondono all'incirca a 1788 metri. Lo strumento
sembra sia stato usato dall'Accademia dei Cimento
Macchina cicIologica aritmetica composta di una lastra di ottone dorata con 55 cerchi d'argento numerati e
17 cerchi d'ottone, coperti di lamiera d'argento, pure numerati. Vi è inciso: «Henricus Sutton et Sarnuel Knibb
Londini fecerunt 1664 (sic). Machina Cyclologica Arithmetica a Samuele Morlando Equite aurato et Baronetto
inventa anno salutis 1666 (sic). Nec non Serenissimo Principi Cosmo III Magno Duci Etruriae humillime
oblate anno salutis 1679».
Quadrante di ottone dorato in astuccio di pelle rossa. Sopra una faccia vi è un oriuolo a Sole in
concavità, con coperchietto: in angolo, un mascheroncino in rilievo. Bussoletta e rosa dei venti. Nel dorso si
trova un quadrato magico ed il quadrante orario con l'incisione - Quadrans Horarium ad Latitudinern Grad
XLII » (corrispondente alla latitudine di Roma). Il quadrante che appartenne a Gregorio XIII, Papa che
promosse la riforma dei calendario nel 1582, è firmato «Joannes Batis» e cioè Giambattista Giusti.
Orologio notturno sidereo di ottone dorato datato 1554. Lo strumento ha il diametro di circa mm. 60 e porta
nel dorso un oriolo a sole. I misuratori del tempo si possono dividere in due classi. La prima si può chiamare
astronomica, e ad essa appartengono orologi lunari, solari, notturni o stellari (gnomoni, armille, quadranti
orari ed astrolabi portatili di varia specie) come lo strumento qui presentato. La seconda è quella dei
misuratori meccanici.
Orologio notturno e solare di Girolamo della Volpaia. La parte anteriore dei quadrante mostra un orologio
notturno: nel retro è data l'altezza del quadrante e una tavola per il movimento dei sole e le linee orarie. Il
disco di ottone è di 145 mm. di diametro e il quadrante ha, tra le altre cose, un calendario zodiacale. Su di
esso gira un secondo disco con un indice segnato «media nox ». Un terzo disco ha 24 denti e porta incise le
lunghezze orarie notturne ed annuali. Sul lungo indice è scritto «horologium nocturnum». Le indicazioni
astronomiche dateci da questo strumento ci fanno pensare che l'equinozio vernale cada il 10 marzo, data
approssimativamente corretta prima della riforma gregoriana dei calendario (1582). Lo strumento porta pure
l'iscrizione «Ad latitudinem graduum XXXXIII et m. XXX» e «Hieronimus Vulparia Fiorentinus fecit anno
MDLXVIII ».
Orologio solare in ottone dorato di H. C. Schissler. Nella parte superiore porta una alidada con due
pinnule a traguardo per la misura dell'altezza degli astri, che si legge su una scala verticale. La scala porta
una doppia gradazione in gradi e in «pollici convenzionali». Sulla faccia di ottone è fissato un cerchio pure di
ottone con 24 divisioni, indicate con due serie di numeri romani da l a XII, e un indice sul quale è incisa la
scala delle latitudini. Eccentrico rispetto al precedente è un piccolo planisfero inciso su un disco di ottone. Nei
quattro lati della cornice si trovano le scritte Meridies, Occidens, Oriens, Septentrio e la firma dell'autore H.C.
Schissler. Nel retro della faccia anteriore è tracciato un astrolabio parziale con l'orizzonte e le linee delle ore
disuguali (notte divisa in 12 parti, giorno diviso in 12 parti). Al posto della rete vi è soltanto il cerchio
dell'eclittica con i segni dello zodiaco e le graduazioni relative. L'astrolabio è tracciato per una latitudine di 46°
Nord. La faccia posteriore porta un calendario convenzionale; nell'interno, una bussola orizzontabile con
gradazione da 0 a 360°.
Orologio solare di Stefano Bonsignori. Orologio solare a forma di dodecaedro regolare, miniato. Vi è
segnato il motto «Praesidium et decus» stemma della Casa de' Medici. In un nastro nero con retro rosso si
trova inoltre miniata in oro la data «1587» e le iniziali D.S.F.F. (Don Stefano [Bonsignori] Fiorentino Fece).
Morto Cosimo I de' Medici (1519-1574), che aveva sempre difeso il suo cosmografo Egnatio Danti
(1536-1586), gli successe nel Granducato di Firenze il figlio Francesco, il quale chiamò Don Stefano
Bonsignori a por termine alla compilazione delle carte geografiche, già iniziate dal Danti, per la sala ad esse
dedicata in Palazzo Vecchio.
Orologi solari. Da sinistra: 1) Orologio solare a forma poliedrica, con 17 facce tutte miniate. Si attribuisce
con probabilità a Stefano Bonsignori. - 2) Orologio solare a forma di ottaedro regolare, tutto miniato; latitudine
43° 30'. Si attribuisce con probabilità a Stefano Bonsignori. - 3) Orologio solare cilindrico in parte dorato, in
parte dipinto (Sec. XIV). Sull'orlo superiore la dedica «Francesco Magno Etruriae Duci Dicatum». La prima
idea di questi strumenti a colonna verticale risale al geometra, algebrista ed astronomo Paolo dell'Abbaco.
Orologio composto di tre lastre d'ottone incernierate a cassetta di cm. 26x26. All'esterno, sul coperchio, si
trova lo stemma mediceo e forellino centrale che rappresenta schematicamente il «fuso dei mondo». Sul
rovescio del coperchio tabelle delle durate semidiurne per i diversi mesi dell'anno, per le latitudini di 43°45'
(Firenze) e 43°28' (Pisa). Sopra una lastra quadrata centrale vi è un disco orario. Sulle due facce trovasi un
forellino centrale e nel fondo un cerchio con le orientazioni. Lo strumento è mancante di parti e doveva
essere provvisto di archi per altezza per servire come orologio equinoziale.
Orologio solare a forma di scatola quadrata (cm. 25 di lato) di ottone dorato. E’ di fabbricazione tedesca.
Sulla faccia esterna trovasi lo specchio geografico dell'emisfero boreale e nel rovescio del fondo, è lo
specchio geografico dell'emisfero australe. Il coperchio porta una piccola apertura che è scoperta o ricoperta
da un disco, che si trova sulla faccia interna dei coperchio. Questo disco mostra la posizione del sole su di
una scala nella quale sono segnati i giorni del mese lunare. Nell'interno della scatola, oltre all'arco per le
altezze, si trova, maschiettato, il circolo equinoziale per le ore solari. Nel fondo della scatola, rosa dei venti ed
ostensore graduato.
Orologio meccanico tedesco tutto in metallo dorato cesellato e scolpito con figure ed ornati. Nella faccia
anteriore, trovasi l'orologio per ore diurne e notturne e nella posteriore, l'astrolabio con rete, gli ostensori dei
Sole e della Luna comandati dal meccanismo interno. (Sec. XVI). In data posteriore, gli fu applicato il
pendolo.
Microscopio «Galileiano». Riunisce le prerogative dei microscopi dell'epoca ed aggiunge tre
perfezionamenti importanti: 1) la terza lente, 2) il diaframma mobile in sede dell'oculare, 3) la possibilità di far
scorrere il cannoncino dentro l'anello di ferro con base a tripode che lo contiene. (Sec. XVII). Questo
microscopio, che è stato per lungo tempo attribuito a Galileo, fa piuttosto pensare ad un esemplare di
Giuseppe Campani. Il Campani - affermatosi in Roma nella seconda metà dei sec. XVII - si trovava allora in
competizione con Eustachio Divini. Il Campani e il Divini furono in Roma fra i più notevoli costruttori di
strumenti ottici post galileiani.
Microscopio dì Pietro Patrono con tubo fasciato di pelle nera e raccordi in avorio, su base di legno dipinta
con figure e fiori. Nella fascia di ottone, trovasi inciso: «Petrus Patronus Sac. Caes: ae Et: Catae: Maies: is
Opticus: Mediani: 1726 ». Un altro microscopio semplice dei Patrono con lente montata in un tubo di legno
imperniato su un treppiede di rame e datato 1715 esiste al Rijksmuseum voor de Geschiedenis der
Natuurwetenschappen in Leida.
Pietro Patrono fu ottico di un certo valore ed oltre a microscopi, fabbricò anche telescopi binoculari secondo
la descrizione di P. Chérubin D'Orléans. Di tali telescopi binoculari dei Patrono, secondo i modelli di Chérubin
d'Orléans, un esemplare datato 1714 si trova al Deutsches Museum di Monaco ed un altro datato 1719 nella
collezione Nachet di Parigi.
Lente di Benedetto Bregans di Dresda, del diametro di cm. 45 in cornice di legno dorato, distanza focale
m. 1,58. Vi è aggiunta un'altra piccola lente che funziona da condensatore, ed un piattello di ferro per gli
oggetti da mettere al fuoco del condensatore. Movimento in altezza a mezzo di vite. La lente fu costruita nel
1690 dal Bregans che, al suo passaggio da Firenze, la donò al Granduca Cosimo III. Dal 1694 al 1710 circa
lo strumento servì all'Averani ed al Targioni per esperienze sulla combustione. Più tardi (1814), Humphrey
Davy e Michael Faraday l'usarono per la ricerca della natura chimica dei diamante. Nel 1860 G. B. Donati usò
questa lente, montata su di un tubo, come condensatore della luce delle stelle nelle osservazioni delle strie
degli spettri stellari.
Tornio per il taglio e la pulitura delle lenti. E’ composto di un castello di legno con quattro colonne rivestite
di carta verniciata a marmo. Porta il volano con manubrio, ingranaggi di ottone, dispositivo verticale per la
lavorazione della lente in piano orizzontale e varie ruote dentate per i cambiamenti di velocità. Lo strumento è
attribuito al «Frati» dei quale non si è riusciti a trovare notizie comunque, il periodo in cui lo strumento è stato
costruito risale al sec. XVIII, ma apparecchi per la lavorazione delle lenti erano stati costruiti anche
anteriormente.
Particolare della sala dei telescopi dei sec. XVIII e XIX. Sono evidenti, uno accanto alla parete e l'altro al
lato della finestra, i cannocchiali di Giovan Battista Amici (1786-1863) astronomo e fisico modenese, che fu
chiamato a Firenze nel 1831 per l'insegnamento dell'astronomia presso l'Istituto e Museo di Fisica e Scienze
Naturali, annesso alla « Specola » fiorentina, di cui l'Amici fu anche direttore per un certo periodo.
Igrometro originale a nastro di carta di Francesco Folli (1624-1685) da Poppi (Casentino). Il Folli costruì
l'apparecchio nel 1664, quando venne a conoscenza che il Granduca Ferdinando lI de' Medici «andava
investigando il modo di far uno strumento da conoscere li gradi dell'umido, e del secco ». Nel 1665 il Folli
presentò poi al Granduca la sua «mostra umidaria» nella quale si faceva uso della carta « della grandezza di
mezzo dito auricolare traverso».
Igrometro a dischi di carta a bilancina con indice dì registrazione. Vi è inciso, «Adams Maker London
Coventry Inventor» Sec. XVIII. Gli Adams, padre (1704-1786) e figlio (1750-1795) - avevano ambedue il
nome di George -furono meccanici ed ottici in Londra. Fin dal secolo XV lo studio dell'igrometria aveva
grandemente interessato gli studiosi i quali, come l'Alberti, Leonardo ed altri si erano serviti di spugne ed altre
sostanze igroscopiche che pesavano prima secche e poi umide, così da poter giudicare lo stato di umidità
dell'aria. Solo nel sec. XVI col Santorio Santorio (1561-1636) si cominciò ad avere un vero strumento
igrometrico. Il Santorio usava per la maggior parte dei suoi strumenti una corda tesa e gravata da una palla
che pendeva su un indice graduato. Con l'interesse che Ferdinando Il dedicò a questi strumenti, si ebbero in
seguito gli igrometri costruiti da lui stesso, da Francesco Folli e da Vincenzio Viviani. Lo strumento qui
presentato è dimostrazione dell'ulteriore sviluppo dell'apparecchio.
Barometri di fabbricazione inglese, italiana e francese dei primi dei sec. XVIII e XIX. L'esperienza suggerita
da Evangelista Torricelli nei 1643 ed eseguita da Vincenzio Viviani portò all'esecuzione dei barometro a
mercurio, capostipite di una serie di strumenti molto semplici detti barometri a pozzetto e destinati a
determinare la pressione atmosferica. Dal barometro a pozzetto derivò ben presto quello a fondo ricurvo,
detto a sifone, che portò alla doppia lettura dei due livelli nei rami dei tubo. Si hanno i perfezionamenti di
René Descartes (1596-1650), di Chrístían Huygens (1629-1695), e di Robert Hooke (1635-1703) (per il
barometro a sifone di tipo Hooke, vedi 5° barometro da sinistra) finché - per quanto riguarda le nostre
collezioni - si giungerà ai più completi di Jean André De Luc (17271817), di Felice Fontana (1730-1805) e di
Nicolas Fortin (1750-1831).
Automa di metallo argentato di Federico Knaus. Trattasi di una macchina scrivente nella quale un
meccanismo ad orologeria imprime ad una mano un movimento che la porta ad attingere la penna nel
calamaio ed a scrivere su di un cartoncino: «Huic/Domui/Deus / Nec metas rerum / Nec tempora / Ponat». la
macchina è dedicata dall'artefice alla casa di Lorena allora regnante in Toscana. Vi è inciso: «Federicus de
Knaus invenit et fecit ». (Sec. XVIIII).
Banco e strumentarla chimica di Pietro Leopoldo di Lorena Granduca di Toscana (Sec. XVIII). Pietro
Leopoldo di Lorena (1747-1792) terzogenito dì Francesco Stefano duca di Parma ed imperatore, in seguito
Granduca di Toscana e poi successore dei padre nell'Impero, ebbe per madre Maria Teresa d'Austria.
Successe al padre nel Granducato di Toscana dal 1765 al 1790. In quegli anni fece progredire gli studi
riformando le Università di Pisa e di Siena e fondando Accademie e Musei. Si interessò grandemente agli
studi chimici e di lui ci rimangono, oltre al Banco chimico, anche vari preparati, molti dei quali andarono però
alluvionati durante la piena dell'Arno dei 1966.
Cassetta n. XXVIII «Pro Amputatione» facente parte dell'Armamentario chirurgico di Giovanni Alessandro
Brambilla (1728-1800). Questa speciale collezione di cassette di ferri chirurgici fu donata dall'Imperatore
d'Austria Giuseppe Il al fratello Pietro Leopoldo di Lorena che a sua volta ne fece dono all'Arcispedale di S.
Maria Nuova di Firenze.
Particolare della «sala di meccanica». Trattasi di strumenti fatti costruire a scopo didattico da Pietro
Leopoldo di Lorena per il Museo di Fisica e Scienze Naturali annesso a « La Specola » fiorentina. (Sec.
XVIII).
Macchina elettrostatica dei tipo ideato da Otto von Guericke (1602-1,686) e nel modello qui presentato
simile al disegno realizzato dall’abate Jean Antoine Nollet (1700-1770) nella Planche I delle «Lecons de
Physique » Tomo VI, XX. Lo sfregamento si otteneva a mezzo di una sfera di vetro o di ceramica, ruotante
contro un cuscinetto di pelle.
Dalle - Lecons de Physique », Tomo VI, pag. 241 riportiamo una piacevole descrizione di esperienza di
elettrizzazione, descritta dall'Abate Nollet:
« Frottez un tube de verre, suivant sa longeur, avec la maine nue, pourvu qu'elle soit seche ou avec un
morceau de papier gris que vous tiendrez appliqué sur le verre: faites-le passer brusquement à une petite
distance de votre visage [ ... ]. Vous sentirez des attouchements semblables à ceux de fils d'araignée que l'on
rencontre flottants en l'air ».
Fonografo di Thomas Alva Edison (1847-1931). Sullo strumento trovasi un biglietto con la firma autografa
di Thomas A. Edison e la dedica: «To my friend / E. P. Fabbri / from / Thomas A. Edison / Orange, N. J. Nov.
1, 1890». Edison costruì il suo primo fonografo nel 1878 e nel 1881 ne presentò un esemplare (che tuttavia
non riproduceva ancora fedelmente la vibrazioni), all'Esposizione di elettricità. Nel 1889 sostituendo un
miscuglio di cere alla foglia di stagno che copriva il cilindro dei fonografo (sistema Trainter), Edison fu in
grado di offrire un fonografo perfezionato che fu sperimentato con successo.
Finito di stampare Maggio 1973 con i tipi