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BASILE
IL

PENTAMERONE
II

'

GIAMBATTIS A BASILE
!

IL

PENTAMERONE
OSSIA

LA FIABA DELLE FIABE


TRADOTTA DALL'ANTICO DIALETTO NAPOLETANO E CORREDATA DI NOTE STORICHE
DA

BENEDETTO CROCE
VOLUME SECONDO

BARI
GIUS.

LATERZA & FIGLI


1925

TIPOGKAKi-KDITORl-LIBRAI

PROPRIET LKTTfc-RAKlA

MAGGIO MCMXXV

67397

GIORNATA TERZA

G. B. Basile, Peniamerone

ji.

Tostoch per

la

visita del

Sole, furono liberate

tutte

le

ombre che erano

state

messe

in carcere dal tribunale della


il

Notte, tornarono nello stesso luogo

principe e la moglie
le

insieme con

le

donne;
tra
il

e,

per passare allegramente

ore che

erano frapposte
venire
i

mattino e quella del desinare, fecero


e cominciarono con gran diletto a danla

buttafuochi
il

('),

zare, ballando

Ruggiero,
il

Villanella,

il

Conto
il

delil
il

l'orco,

la

Sfessania,

Villano battuto,
lo

Tutto

giorno con quella colombella,

Stordiglione,

Basso delle ninfe, la Zingara, la Capricciosa, la Mia chiara stella, il Mio dolce amoroso fuoco, il Quella che vado cercando, la Cianciosa e cianciosella, r Accorda-messere, la

Bassa ed
il

alta, la

Chia-

ranzana con
a

lo

spuntapiede,
ti

Guarda

di chi

m'andai
di

innamorare, l'Apri che

giova, Le nuvole che per


il

l'aria

vanno,

il

Diavolo

in camicia,

Campare

(i)

Suonatori: v.

I,

232, n. 3.

GIORNATA TERZA
il

speranza,
letta
();

Cangia mano,

la

Cascarda,

la

Spagno-

e chiusero

conia Lucia canazza(2), per dar gusto

alla schiava.

Cosi

il

tempo trascorse

in

modo che non


fu

se ne accorsero,

e venne l'ora del mangiare, e

messo loro davanti ogni


affilata

ben

del Cielo. Levate le

mense, Zeza, che stava

come

rasoio per raccontare la

sua novella, disse quel che segue.

(i)

Di molti

di cotesti balli si trover la

descrizione nelle

Nuove

inveniiotii di balli, opera vaghissima di


il

Cesare Negri

milanese detto

Trombone, famoso

et eccellente

professore di ballare, ecc. (Milano,

1604);

e nel Ballarino di

niesser

Fabritio CarOso da Sermoneta


{Ritratto di Napoli, ms.
cit.,
f.

(Venezia, 1631).

Anche

il

Del Tufo

77)

ricorda quelle belle danze Ballate a nostra usanza.

Come

a dir

Spa-

gnoletta o Tordiglione, Fatto a proporzione, Rogier, Lo brando Passo e mezzo ancora, Ballo del Cavalier con la Signora; e inoltre: Quel gracioso ballo, Detto la Villanella, Cosa certo assai
e
bella,

rio, o la

Ola Barriera, Cingara,o Cascarda, O Gagliarda. (2) Come si gi detto, la Sfessania e la


o,

il

Ballo del canaLucia

erano una

medesima danza,
a taccone dello
ritrae

a ogni modo,

si

legavano strettamente. Nella Tiorba

Sgruttendi

(corda ix,

a Cecca,

la

catubba)
riferire:

si

questo ballo con

le relative parole,

che giova qui

Lucia, ah Lucia,

Lucia, Lucia mia,


stinne sto musso e nzccate cc.

Vide sto core ca ngrossa, ca sguazza, auza sso pede, ca zompo, canazza!
Cucherec,

zompa mo'su! Vecco ca suto, ca


natile

giro, ca

zompo;
da cc:

che scompo, zompa. Lucia, ch'addanzo


tubba, catubba e nanan.

io

Lucia, ah Lucia,

Lucia, Lucia mia,


cotogni, cotogni, cotogni.

Vide chest'arma ca scola, ca squaglia, tente, ca passo sautanno na quaglia.


Cucherec,

INTRODUZIONE
suta ino' su
!

Vecco ca suto, ca vi', ca rame vto:


suta, Lucia, ca

torno, ca roto,

zompo

io

da cc:

uh, che te scuosse! e pernovall! O Lucia, ah Lucia,


Lucia, Lucia mia,

cocozza de vino bonora me sa. Vide, canella, ca tutto me scolo, tiente, ca corro, ca roto, ca volo.

Cucherec,
rota mo' su
!

Vecco ca
vi',

roto,

ca corro, ca giro;

ca sospiro:

rota. Lucia, ca

scompo mo'

cc:

ngritta, ca ngritta, e cuccuras.

TRATTENIMENTO PRIMO

CANNETELLA

Cannetella non trova marito che


fa

le

vada a genio;
la

ma

il

suo peccato

la

incappare nelle mani d'un orco, che

condanna a

trista vita,

finch

da un

votacessi, vassallo di suo padre, liberata.

tato

mala cosa, signori, cercar miglior pane che


s

di

grano ('),

perch

viene poi a dover desiderare quello che s'era but-

via.

L'uomo deve

contentarsi dell'onesto, che chi tutto

vuole, tutto perde, e chi

cammina per

le

cime degli
i

alberi,
:

ha tanta pazzia sul cocuzzolo quanto pericolo sotto

calcagni

come

si

vide nel caso di una


sto per farvi.

figlia

di re,

che sar materia

del racconto che

C'era una volta un re di Bellopoggio, che aveva maggiore

brama

di fare razza
la

che non hanno


(2).

facchini delle esequie


alla

per raccogliere
Siringa
(3\

cera

Tanto che promise per voto


figlia, le
si

dea

che, se gli faceva fare una

avrebbe messo

nome
canna

Cannetella, per
(4).

memoria che essa

era trasformata in

tanto preg e strapreg che ottenne la grazia, ed

(i)

Modo

di dire,

che

si

trova anche in

altri scrittori

del tempo.

Il

LiPPi {Malmanlile, IX,

3):

lascia

il

proprio per l'appellativo, Cer-

cando miglior pane che


(2) Si

di

grano.

veda

I,

274, n. 5.

(3) Bisticcio lubrico. (4)

Veramente

il

nome

di Cannetella esisteva nel dialetto napoletano,

come diminuitivo

di

Cnneta,

ossia

Candida.

I.

CANNETELLA
alla

ebbe da Renzolla, sua moglie, una bella bambinetta,


mise
il

quale

nome che aveva promesso.


allora

Cannetella crebbe a palmi e divent lunga quanto una pertica.

E
ti

il

re le disse: Figlia mia, gi sei

fatta

(e

il

Cielo
di

benedica)

come una

quercia, e sei nel punto giusto


di cotesta bella

accompagnarti con un maritino, meritevole


per mantenere
ti

faccia tua,

la

razza della casa nostra.


le

Per-

ci io, che
e

voglio bene quanto

pupille degli occhi miei

bramo

il

piacer tuo, desidero conoscere la qualit di sposo


ti

che tu vorresti. Quale sorta d'uomo

andrebbe a genio? Lo

vuoi letterato o spadaccino? garzoncello o attempato? brunetto o bianco e rosso? lungo della persona o bassottino?
stretto nei fianchi
la
<'J

o tondo come u bue ?

Tu

scegli ed io metto

firma .

Cannetella, che senti queste larghe offerte, ringrazi

il

pa-

dre e

gli

dichiar dapprima che essa aveva consacrato

la

sua

verginit a Diana, n voleva per niun conto andarsi a per-

dere con un
re,
fini

marito. Per altro, alle

preghiere insistenti del

coi rispondere:

Per non mostrarmi sconoscente a


di

tanto

amore, mi contento

fare
tale

la

volont vostra;

ma

patto che
al

mi
.

sia

dato un

uomo

che non

vi

sia

l'altro

mondo
alla

Lieto di questa risposta,


sera
finestra,

il

padre

si

pose dalla mattina

alla

squadrando,

misurando e scandagliando
la

tutti quelli

che passavano per

piazza

dinanzi

al

palazzo

reale.

Pass, finalmente, un

uomo

di assai

buon garbo, ed
e vedi se

egli disse alla figlia:

Corri,

affacciati, Cannetella;

costui a misura delle voglie tue .

Ed

essa lo fece venir su,


si

e gli offersero un bellissimo banchetto, dove c'era quanto

(i)

Testo:

lungo ciavane o streppone de fescena

GIORNATA TERZA

possa mai desiderare. Senonch, nel mangiare, cadde dalla

bocca

al fidanzato

una mandorla; ed

egli,

chinatosi, la ripiil

gli destramente e la pose sotto la tovaglia, e, finito

desiil

nare, se ne and.

II

re disse a Cannetella:

Come

ti

piace

fidanzato, vita mia?.

goffo

(^),

perch un

Ed essa: Toglimelo dinanzi cotesto uomo grande e grosso come lui non douna mandorla
dalla

veva
Il

lasciarsi sdrucciolare
re,

bocca.

udito questo,

and ad

affacciarsi un'altra volta; e,


taglio,
lei.

passando un altro giovane di buon


sapere se trovasse grazia presso di
Cannetella volle che salisse, e
gli

chiam
la

la figlia

per

Come

prima

volta,
e,

fu

dato un banchetto;
il

quando

si fini di

mangiare e quello
gli piacesse.

si

accommiat,

re chiese
ri-

alla figlia

come

Che ne

voglio fare

essa

spose

di

quello

sgraziato?
servitori,

che doveva condurre con s

per lo

meno due

che

gli

levassero dalle spalle

il

ferraiuolo .

Se cosi

disse

il

re,

pasticcio:
ti

coteste

sono scuse
il

da cattivo pagatore, e tu vai cercando


gusto che
ti

peli per

non darmi

chiedo. Risolviti, perch io


la

voglio maritare, e

trovare radice valida a far germogliare

successione della mia

casa .

A
nel

queste parole stizzose, Cannetella parl aperto:

Per

dirvela, tata e signore, chiaro e

come
le

la sento,

voi vangate
io

mare e

fate

male

il

conto con

dita,

perch
tale

non mi
il

assoggetter ad

uomo

vivente, se

non sar

che abbia

capo e

denti d'oro .

il

travagliato re, sentendo che quella

testa era dura,


si

fece gettare

un bando che chi nei suoi domini


della
figliuola,
si

trovasse conforme al

desiderio

facesse

avanti perch gliela darebbe in moglie insieme col regno.

(i)

Testo:

sto grisolafto .

I.

CANNETELLA

Aveva questo
tanto da
lui

re

un gran nemico, chiamato Fioravante,

aborrito che
il

non poteva vederlo neppur dipinto


il

su un muro;

quale, udito

bando, poich era un bravo ne-

cromante, chiam una

frotta di quelli

che lontani siano, e coi

mand che

gli facessero subito la testa e

denti
gli

d'oro. Ri-

sposero quelli che solo grandemente sforzati

avrebbero reso

questo servigio, per essere cosa assai strana nel mondo, lad-

dove piuttosto
usitate al

gli

avrebbero fornito
('),

le
li

corna d'oro, come pi


costrinse

tempo d'oggi
e,

Ma

egli

con scongiuri
e,

e incantamenti,

infine,

ne venne soddisfatto;

quando

si

vide testa e denti di ventiquattro carati, and a spasseggiare


sotto le finestre del re.
Il

re,

a cui venne sott'occhio proprio quello che cercava,


la quale,

chiam

la figlia,

guardando, subito disse: Questo


migliore, se lo avessi impastato

quello:

non potrebbe essere


stesse . E,
il

con

le

mani mie
andar
via,

quando Fioravante stava per


un
po', fratello:
il

le-

varsi e

re gli disse: Aspetta

come

sei caldo di reni!

Sembra che

stii

col
il

pegno presso
pungolo sotto

giudeo,
codola.
te e

e che abbi l'argento vivo dietro e


Piano, che ora
ti

la

do bagagli e gente per accompagnare


ti

mia

figlia,

che voglio che

sia

moglie

Vi

ringrazio

rispose

Fioravante:

non
la

ce n' biso-

gno. Basta solo un cavallo, perch

me

metto in groppa e
servitori e

me
bili

la

porto a casa mia, dove non

mancano

mo-

quanti l'arena .

Contrastarono per un pezzo, ma,


vinse, e, alzatala sul cavallo, parti.

in

fine,

Fioravante

la

(i)

Un

proverbio napoletano suona:

Corna

di sra (sorella), corna

d'oro; corna di niogliera, corna davvero ; e forse questo, o simile motto,

andava per

la

mente

del Basile.

IO
Alla
sera,

GIORNATA TERZA
quando
dal

mulino del cielo


i

si

distaccano

cavalli rossi e vi si
stalla,

mettono

bovi bianchi, giunsero a una

dove alcuni

cavalli stavano alla mangiatoia.

Lo sposo
!

vi

fece entrare Cannetella

le

disse:

Bada bene
ci

debbo

fare

una corsa

fino

alla

mia

casa,

che

vogliono sette
e

anni per giungervi. Aspettami in questa


nirne fuori,

stalla,

non ve-

non

lasciarti

vedere da alcuno; perch, altrimenti,


fino
ti

far che te ne ricordi

a quando sarai viva e verde.

Cannetella rispose: Io

son soggetta ed eseguir

il

tuo

comando
lasci

in

ogni puntino

(');

ma

vorrei sapere che cosa


.

mi
Re-

per mantenermi in vita durante questo tempo

plic Fioravante:

Quel che rimane

di biada a questi cavalli,

baster per te .

Considera ora che cuore fece

la

misera Cannetella, e se
la

bestemmi
sua!

l'ora e

il

punto che aveva impegnato


gelata,

volont

Rimase fredda e

tanto

largo pasto fece di


la

lacrime quanto scarso di cibo, maledicendo

sorte e accu-

sando

le stelle di

averla ridotta dal palazzo reale alla stalla,

dai profumi al puzzo del letame, dalle materasse di lana bar-

baresca alla paglia, e dai buoni bocconi saporiti agli avanzi


dei cavalli. Passarono tuttavia

un paio

di

mesi

di questa vita

stentata, in cui ogni giorno si versava biada ai cavalli e


si

non

vedeva da
il

chi,

ed essa, coi

rilievi di

quella mensa, sosten-

tava

corpo suo.

In capo a quel tempo, affacciandosi a

un pertugio, ammir

un giardino bellissimo, dov'erano tante


tante grotte di cedri,
frutta e

spalliere di cedrangoli,
fiori

tanti

quadri di

e tanti alberi da

pergole d'uva, che formavano una gioia agli occhi.

(i)

Testo:

pe fino a no feuucchio

I.

CANNETELLA
('),

II

lei

venne voglia

di

un grappolo d'uva moscadella


tra se:

che

aveva adocchiato, e disse


a strapparlo, e

Voglio uscire piano piano


il

avvenga quel che voglia, e caschi


di

cielo!

Che pu accadere mai,


dire, a

qua a cento anni? Chi


lo

glielo vuol

mio marito? E, se anche mi pu


fare,
!

venisse a sapere per di-

sgrazia, che cosa


delia, e

infine? Questa uva


(2).

moscae
si

non uva

cornicella

Cosi usci dalla

stalla,

ricre lo spirito, assottigliato dalla fame.

Di

li

a poco, prima del tempo stabilito, torn

il

marito;

e un cavallo, di quelli che erano nella stalla, accus Cannetella di

aver preso l'uva. Fiora vante, sdegnato, cav di tra

calzoni

un

coltello e

voleva ucciderla.

Ma

essa

si

gett a terra
la

in ginocchi, e lo

preg di arrestare

la

mano, perch

fame

caccia
si

il

lupo dal bosco; e tante cose aggiunse che Fioravante

plac. Per questa volta


la vita

le disse,
tu
ti

ti

perdono, e
il

ti

conti

cedo

per limosina; ma, se un'altra volta


lasci

diavolo
al

tenta, e io

vengo a sapere che

vedere

sole,

ti

taglier a minuzzoli.

Dunque,

sta' in cervello,

che vado

fuori

un'altra volta, e veramente vi rester sette anni; e solca diritto,

che non
il

te la caveresti franca,

ed

io

ti

farei

scontare

il

nuovo e

vecchio.

Riparti, e Cannetella vers

una fontana

di lacrime, e, bati

tendo
si

le

mani e percotendosi

il

petto e strappandosi

capelli,

lamentava:

Oh

che non

fossi stata

mai generata

al

mondo,

giacch mi doveva toccare questa sorte acerba! Oh, padre mio,

come mi
io stessa

hai affogata!

Ma
il

perch mi dolgo
io stessa

di

mio padre, se

mi son

fatta

danno,

mi sono fabbricata

(i) (2)

Testo:

uva anzolia

die non

si

sa

bene quale variet designi.

Uva

galletta.

12

GIORNATA TERZA
mia sventura?

la

Ho

desiderato la testa d'oro per cader di

piombo e morir
voluto d'oro
i

di ferro.

Oh, come mi
il

sta

bene che, per aver

denti, fo adesso

dente d'oro!

castigo del

Cielo: io doveva ubbidire alla volont di


tanti ruzzi e capricci.

mio padre, e non aver


fa la via

Chi non ascolta madre e padre,


c'era giorno che

che non sa

Non
gli

non

ripetesse questo la-

mento, sicch

occhi suoi erano diventati due fontane e la

faccia cascante e gialliccia,

che moveva a

piet.

Dove erano

pi
il

quegli sguardi saettanti? dove quelle mele vermiglione? dove


risolino di quella bocca?

Neppur

il

padre l'avrebbe pi rico-

nosciuta.

Ora, a capo d'un anno, per caso, pass dinanzi alla stalla
il

votacessi di corte, che Cannetella conobbe e chiam, vefuori.


la

nendo
sando

Colui, che s'udi chiamare per

nome, non

ravvi-

povera giovane, tanto era mutata, ebbe a stupire.


chi essa era, e per qual

Ma, quando seppe

modo

si

trovasse

cosi cangiata dall'esser suo, in parte per piet, in parte per

guadagnarsi

la

grazia del re, la mise in una botte vuota che


alla

portava con s, sopra una soma, e trott


lopoggio.

volta di Bel-

Arrivarono

al

palazzo del re verso


alla

le

quattro di notte, e,
si

avendo picchiato

porta,
il

servitori

affacciarono,

e,

quando sentirono che era

votacessi,

gli

scaricarono una

doppia soma d'improperi, chiamandolo animale senza discrezione, che veniva a quell'ora a disturbare
il

sonno a

tutu, e

che se

la

cavava a buon mercato se non

gli
il

facevano piombare
re, destatosi al ru-

qualche sasso o macigno sulla zucca.

Ma

more, e avendogli un cameriere detto chi era che bussava, ordin di farlo subito entrare, considerando che, se a un'ora
cosi insolita
si

era presa la confidenza di recarsi a palazzo,

qualche gran cosa doveva essere accaduta.

I.

CANNETELLA
il

I3

Alla presenza del re,


la botte,

votacessi, scaricata la

soma, apri
altro

dalla quale usci Cannetella,

che
e,

ci

volle

che

parole per farsi riconoscere dal padre;

se

non

fosse stato

per una verruca che essa aveva

al

braccio

destro, poteva

tornarsene indietro. Ma, poich


re

si

fu

accertato
e
le

del fatto,

il

l'abbracci

la

baci mille volte;

fece preparare

subito una lavanda calda, e,


le die

quando

si fu ripulita

e rassettata,

da colazione, che essa veniva

meno

dalla fame.
il

Chi

me

l'avesse detto, figlia mia

andava esclamando
E

padre,

di rivederti in questo stato!

che faccia questa? Chi t'ha

ridotta in questi mali termini?.

La

fggila gli

rispose: Cosi sta la cosa, signore

mio

bello!

Quel turco

di

Barberia

m'ha

fatto patire strazi

da cane, e mi

son visto ognora che ho


sofferto,

lo spirito ai denti.

Ma non

vo' dirti quello


il

perch cosa che, quanto supera


la

soppor-

lamento umano, altrettanto passa


Basta, ora son qui, padre mio; e

credenza degli uomini.


partire dai

non voglio pi

piedi tuoi: voglio piuttosto esser serva alla casa tua che re-

gina in casa d'altri; piuttosto strofnacciolo dove tu

stai,

che

manto

d'oro, lontana da te; voglio piuttosto girare

uno spiedo
baldacchino

alla tua cucina, altrui .

che tenere uno scettro sotto

il

In questo mezzo,
cavalli gli riferirono
tella in

Fioravante torn dal suo

viaggio,

che

il

votacessi aveva trafugato Canne-

una
tutto

botte.

Ed

esso, subito, tutto scornato per la verdifilato

gogna,
trovata
disse:

acceso di sdegno, corse

a Bellopoggio,

e,

una vecchia che abitava


Chiedimi
la

di fronte al palazzo reale, le

la

somma che
re
.

vuoi,
gli

madama

mia, e lasciami

vedere

figlia del

Quella

chiese cento ducati; e

Fioravante, messa
sull'altro.

mano

alla cintura, glieli

cont subito l'un


sua casa,

La vecchia

lo fece salire sul battuto della

14
dal
i

GIORNATA TERZA
quale
(').

vide Cannetella

in

una terrazza che s'asciugava

capelli

Cannetella,

come

se

il

cuore

le

avesse parlato,

si

gir nel

punto stesso

dall'altra parte, e, avvedutasi dell'agguato, si pre-

cipit per le scale al padre, gridando:

Signore mio, se

non

mi

fate, in

questo

momento

stesso,

una camera con


ti

sette porte

di ferro, io

sono andata
re.

Per cosi poco


si

vorr perdere?
soddisfazione

disse
E

il

Si
figlia

spenda un occhio e
mia!
.

dia

a questa bella
subito

una toccata, una giocata,

furono fabbricate

le porte.

Fioravante, saputo ci, torn alla vecchia, e


cos'altro vuoi

le disse:

Che

da me? Ti dar quel che chiedi.

Ma

va' alla

casa del re col pretesto di vendere qualche scodellino di rossetto; e,

entrando nella camera della


le

figlia,

mettile questa car-

tina
role:

tra

materasse, pronunziando,
la

nel mettervela, le

pa-

Tutta
O

gente

resti

addormentata, e Cannetella sola


altri

stia svegliata .

La vecchia, per

cento ducati, lo servi con

ogni zelo.

misero chi lascia praticare in casa sua coleste


(2),

brutte streghe, che, sotto specie di portar conci


in

ti

conciano

cordovano l'onore e
Eseguito che ebbe
la

la vita!

vecchia

il

suo buon

ufficio,

casc tale

sonno straordinariamente pesante su

quelli della casa,


;

che

tutti

dormivano come se fossero scannati e solo Cannetella rimase

(i)

V. sopra,

I,

184, n. 3, 230, n. 5.

Il

Vecellio
donne
ai

(op.

cit.,

p. 145),

discorrendo dei luoghi delle case dove


la

le

suoi tempi solevano

mattina esporsi

al sole

per asciugare

le

chiome
le

nell'

imbiondirle, nota:

Nella citt di Napoli ancora usano sopra


ivi si

case alcuni luoghi scoperti,


et di cal-

che

chiamano

cina, tanto

battuti, et sono composti di sabbia grossa ben battuta che regge ad ogni grossa pioggia.

(2) Belletti.

I.

CANNETELLA
le

I5
porte di
era

con

gli
si

occhi aperti. Sentendo, dunque, scassinare


die a gridare

casa,

come

bruciata dal fuoco;

ma non

chi accorresse alle sue strida, di guisa che Fioravante pot

gettare a terra tutte e sette le porte, e, saltato in camera, affer-

rare Cannetella, involta nelle materasse, per portarsela via.


volle la
lina

Ma

sorte sua che, in quell'atto, scivolasse a terra


dalla vecchia, e, sparsa la polvere
s

la cartel-

messa

che conteneva,
Cannetella,

l'intera famiglia

risvegli, e,
i

udendo

gli strilli di

corsero

tutti,

perfino

cani e

gatti della casa, e si scagliarono

addosso

al

necromante e ne fecero macello. Cosi colui rest


la

preso alla medesima tagliuola, che aveva preparata per


turata

sven-

Cannetella, provando con suo danno che

di chi

non v'ha peggior dolore con l'armi sue ferito muore.

TRATTENIMENTO SECONDO

LA BELLA DALLE MANI MOZZE

Penta respinge indignata


mani,
gliele

le

nozze propostele dal

fratello e, tagliatesi le

manda

in

dono. Quegli
spiaggia,

la

fa gettare

a mare in una
la

cassa, che capita a

una

dove un marinaio
da un
re, gli

raccoglie e

conduce Penta a casa sua;

ma

la

moglie, gelosa, la fa rigettare a

mare
e,

nella stessa cassa. Raccolta

diventa moglie; ma,

pei raggiri della stessa malvagia

femmina, discacciata dal regno,


marito e
il

dopo lunghi

travagli, ritrova

il

fratello,

e restano

tutti

contenti e consolati.

Udito

il

racconto di Zeza, dissero

tutti di

comune accordo
il

che

ci

voleva questo e peggio

a Cannetella, che cercava

pelo nell'uovo; e

nondimeno provarono un gran senso

di sol-

lievo a vederla distrigata da tanti affanni. Die materia a

nuove

considerazioni che essa, che aveva disprezzato


fosse ridotta a supplicare
travaglio.
libert al

tutti gli

uomini,
di

un
il

votacessi, perch

la

levasse

Ma,

in questo,

re fece

cenno a Cecca, che desse

racconto suo, ed essa non fu tarda a obbedire, e


:

disse cosi

La

virt

si

cimenta nei travagli

la

candela della bont,


il

dove pi
il

buio, pi luce; e le fatiche partoriscono


si

merito, e
trionfa

merito
si

porta, attaccato all'ombelico, l'onore.


le

Non
di
la

chi

sta

con

mani

ai fianchi,

ma

chi

mena

le

mani, come

fece la figlia del re di Pietrasecca, che

con sudori
gioia;

sangue
storia

e pericoli di morte

si

fabbric la casa della

delle cui fortune 02:gi

mi sono messa

in testa di raccontarvi.

II.

LA BELLA DALLE MANI MOZZE

I7

Il

re di Pietrasecca, rimasto

vedovo, senza donna a fianco,


in isposa la propria sorella,

fu istigato

da Farfarello a prendere

Penta; onde un giorno, chiamatala da solo a sola, le

disse:
il

Non

, sorella cara,

da uomo

di giudizio far

andar via
ti tiri

bene

dalla casa propria: oltre

che non

sai quel

che

addosso,
as-

lasciandovi metter piede a gente forestiera.


sai

Ho

riflettuto

su questo punto e sono venuto infine nella risoluzione di


te

prendere

per moglie.

Tu

sei fatta al fiato

mio, e io cono-

sco l'indole tua:

contentati,

dunque,
('),

di

fare

con

me

que-

st'incastro, questa lega di botteghe

questo unianlur

acin('^),

questo misce et

fiat polum'^i).

che condurremo l'uno

e l'altra

una

vita serena .

Penta, al sentire
di s, e

questo sbalzo di quinta


usciva e un altro
il

<4),

rimase fuor

un colore

le

le

entrava; perch

non
sif-

avrebbe potuto mai immaginare che


fatte

fratello

venisse a

stravaganze e cercasse di dare a

lei

un paio d'uova bar-

Iacee,

mentre esso proprio aveva bisogno, per suo conto, di


(5).

cento uova fresche

Stette,

per un pezzo, muta, pensando

(i)
(2)

Societ tra

due

negozianti.

Come

nei processi,

quando

si

riuniscono insieme

gli atti di

due

o pi cause.
(3) (4)

Formula

delle ricette dei medici.


v. sopra, I, 62,

Per questa frase,

n,

i.

(5)

Cio, era venuto matto.


i

La

cura, alla quale in quei tempi erano


di

sottomessi

pazzi dello spedale degl' Incurabili

Napoli, consisteva

nel girare la ruota per attingere l'acqua dal pozzo, mangiare cento

uova

come

cibo nutriente e leggiero, e ricevere periodiche bastonature. Biagio

Valentino, poeta dialettale della generazione seguente a quella del Basile,


fa dire a
rabili:

un

tale
la

che era stato scambiato per matto e portato agl'Incul'aule.


le

Votale
sleto.

com'
pazzia

rota comm'a tutte La porzione avette de

Me

magnale

le

cient'ova,

bcole. Si veda in proposito

E. Buo.s'ocoRE, Masirogiorgio {Giorgio Cattaneo) nella cura della


(Napi)li,

1907).

G. B. Basile, Penlamerone

- li.

l8

GIORNATA TERZA
a

quale risposta potesse dare


fuor di

domanda

cosi

impertinente e
la

proposito; ma, in ultimo, scaricando


disse:

soma

della

pazienza,

Se voi perdete

il

senno,

io

non voglio
fate scap-

perdere

la

vergogna: mi meraviglio di voi che vi

pare dalla bocca proposte di cotesta sorta, che, se sono dette

per

celia,

sono asinerie, se

sul serio,

puzzano

di

caprone; e

mi duole che, se voi avete una lingua per

dire di queste brutte

cose, io abbia orecchie per udirle. Io, moglie

voi?

Dove

avete
priate

il

cervello

?(').

Da quando
p ride,

in

qua

si

fanno di coteste ca-

(2),

di coteste olle

di coteste

mischianze?

E dove
(4).

stiamo? Al Ioio?^3). Vi sono sorella o cacio cotto con olio?


Mettete
la testa

a segno, per

la

vita vostra, e

non

vi fate pi

scivolare dalia bocca parole

come

queste; se no, far cose da


sorella, io

non credere,
tratter

e,

se voi

non mi onorerete come


siete! .

non

vi

da quello che mi

Ci detto, corse in

furia

a chiudersi in una camera, puntellandola di dentro, e non


vide
la

faccia del

fratello

per pi di un mese, lasciando

lo

sciagurato re, che era

andato con

una fronte da maglio a


fanciullo
alla

stancare

le palle (5\

scornato

come un

che ha lotto
il

l'orciuolo, e confuso

come una cuoca


Penta

quale

gatto ha

portato via

il

tocco di carne.
fu

capo

di quei tanti giorni,

citata di

nuovo dal

re alla gabella delle sue sfrenate voglie; ed essa volle appu-

(i) Testo:

chi fatto a tene? che nasa faise?: luogo inintelligibile,

e forse corrotto.
(2)

Capriata, miscuglio
.
I,

di

vino bianco e vino nero:

cfr.

lospagn.

calabriada
(3) (4)

V. sopra,
Testo:

60, n.

i.

caso cucito: sottintendendo (come, in

altri testi, si

trova compiuta la frase) con olio, ossia in guisa ripugnante al cacio.

Vuol

dire:

come

se

non fossimo

in

alcun

modo

parenti.

(5) Traslato dal giuoco del pallone.

II.

LA BELLA DALLE MANI MOZZE


il

I9
incapricciato

rare esattamente di che cosa

fratello si fosse

nella persona sua, e, uscita dalla camera, lo

and a trovare.
allo

Fratello mio,

gli

disse
in

io

mi sono

vista e mirata

specchio, e non trovo

questo mio volto cosa che

possa

essere meritevole dell'amor vostro; che, in verit,

non sono
gente .

un boccone
Il

cosi goloso da far

commettere pazzie

alla

re le rispose:
al

Penta mia, tu sei tutta bella e

compita dal

capo

piede;
la

ma

la

mano

quella

che sopr'ogni cosa mi


di

rapisce:

mano, forchettone che

dalla pignatta

questo

petto tira fuori le interiora; la

mano, uncino che

dal pozzo

di questa vita porta su la secchia dell'anima; la

mano, morsa

che stringe questo

spirito,

mentre Amore
sei
le

vi lavora di lima.

mano, o

bella

mano, che

mestolo che minestra dolvoglie, paletta

cezza, tenaglia

che strappa
il

che aggiunge

carbone per

far bollire

mio cuore!,
rispose: Sta bene: v'ho
di

pi voleva dire,

quando Penta

inteso. Aspettate

un

po',

non

vi

movete

qui,

che or ora

torno. E, rientrata nella sua camera, fece chiamare un suo


schiavo mezzo insensato,
gruzzolo di patacche e
gli gli

consegn un
disse:

coltellaccio

con un

Ali

mio, tagliare

mani
.

mie, volere fare bella secreta e diventare pi


schiavo, credendo
di farle servigio,

bianca
gliele

Lo

con due colpi

tronc

nette; e Penta, fattele mettere in

un bacile
al

di faenza, le invi,

coperte di un tovagliuolo di seta,

fratello,

con l'imbasciata

che
figli

si

godesse quello che pi

gli

piaceva con buona salute e

maschi.
Il

re,

vedendosi giocare questo

tiro,

mont

in tanta collera tutta

che divenne furente, e ordin


impeciata, dentro
la

di far
la

subito

una cassa
e
la

quale cacci

sorella

gett

in

mare.
in

Dopo

qualche giorno,

la cassa,

spinta dalle onde, die


la

una spiaggia; e qui alcuni marinai, che tiravano

rete,

20
la

GIORNATA TERZA
presero e l'apersero, e vi trovarono Penta, bella pi assai

della

Luna, quando pare che abbia


(').

fatto la

quaresima a Tail

ranto
il

Masiello, che era tra quella gente

principale e
alla

pi autorevole, se la condusse a casa,

raccomandando

moglie, Nuccia, di usarle carezze.

Ma
sia,

costei,

che era
il

la

mamma
la

del sospetto
la

e della gelo-

non appena

marito ebbe ripassato


rigett al

soglia,

torn a

cacciare Penta nella cassa, e


tuta dalle onde, tanto

mare.

qui, sbat-

and ballonzolando, finch


il

fu scontrata

da un vascello, sul quale navigava


galleggiare qualcosa di strano,
il
il

re di Terraverde.

Veduto

re fece calar la vela e mettere

battello a

mare,
la

e, tirata

su

la

cassa, l'aprirono e vi trova-

rono dentro

sventurata giovane, in quella cassa di morto


al re di
il

bellezza viva.

Sembr

avere scoperto un gran tesoro,

quantunque
gioie di

gli

piangesse

cuore che uno scrigno, pieno delle

Amore,

fosse privo di maniglie.

la

condusse

al

suo

regno, assegnandola per damigella alla regina, alla quale essa

prese a rendere ogni sorta di servigi, fino a infilare l'ago e


cucire, a inamidare
coi piedi,
i

coilari e ravviare

capelli, tutto
figlia.

facendo

onde essa era tenuta cara come una


citata la regina a

Qualche mese dopo,


della Parca a pagare
il

comparire

alla

banca
il

debito

alla

natura,

chiam presso

suo

letto

il

re.

Poco ancora pu tardare


il

gli disse l'anima


col corpo;

mia a

sciogliere

nodo matrimoniale
e

perci sta'

sano, marito mio,

scriviamoci

qualche volta. Ma, se mi

vuoi bene e se desideri che quest'anima se ne vada consolala all'altro

mondo, m'hai da
piena.
il

fare

una grazia. Coman-

(i)

La luna
veda
si

Poich Taranto abbonda di pesci e crostacei


Napoli,

squisiti (si

poema dell'AQUiNO, Deliciae Tarantinae,


cio

1771), vi

pu passare una quaresima,


la

mangiar

di

magro, pur sod-

disfacendo

gola e diventando grassi e tondi.

II.

LA BELLA DALLE MANI MOZZE

21

dami, muso mio dolce,


dare in vita
del bene che
i

rispose

il

re;

che se
ti

non

ti

posso

testimoni del

mio cuore,

dar peg^o
la

in

morte

ti

voglio . Ors
ti

continu
gli occhi,

regina:

poi-

ch

me

lo prometti,

prego quanto posso che, dopo che a


tu
ti

causa della polvere avr chiuso


la quale,

sposi Penta,

quantunque non sappiamo chi

sia

n donde venga,

pure, al

marco

dei buoni costumi,

si

fa

conoscere cavallo di

razza ().

Campami

di qui a cent'anni!

replic

il

re;

me

ma, quando
il

tu avessi a dirmi
ti

buona notte per dare a

cattivo giorno,

giuro che

me

la

prender per moglie, e


di peso,

non importa che


delle cose
tristi,

sia priva di

mani e scarsa

perch

come sono
si

le

donne, giova prenderne semle

pre

il

meno che

pu

Ma

queste ultime parole

borbott

nella lingua, perch la moglie

non

se ne offendesse.

Spenta che ebbe

la

regina la candela dei

giorni suoi,

il

re prese Penta per moglie, e la

prima notte

la

innest a figlio
al

maschio. Poi, bisognandogli compiere un'altra veleggiata


paese d'Altoscoglio, tolse licenza da
lei

e lev

l'ancora.

capo

di

nove mesi, Penta die

alla luce

un vago bambino, e
e subito
al
il

se ne fecero luminarie per tutta la

citt,

Consiglio

spedi apposta una feluca per l'annunzio

re.
si

La
icata
(^)

feluca corse cosi forte burrasca,


dalle

che ora

vide man-

onde e sbalzata

alle stelle,

ora rotolata in fondo

(i)

Come

il

cavai del Regno, ha le lettere su le chiappe, diceva

un proverbio, registrato nei Floris Ilalicae linguae libri noz>em del MoNOSiNi (Venezia, 1604), p. 413. da vedere in proposito il curioso e raro libriccino: Libro de marchi de cavalli de tulli li principi et privati signori che hanno razza di cavalli {in Venezia, appresso Nicol) Nelli, 569), dove abbondano appunto quelli delle razze del regno di Napoli.
(2)

Spagn.:
e

manicar

che significa (secondo

la

definizione
la

del

Franciosini)

metter alcuno in una coperta, e tra quattro, che


farlo saltare in alto e riceverlo in essa: burla
,

tengono
fa tra
i

da ogni capo,
paggi e
i

che

si

buffoni

e che (come tutti

rammentano)

fu fatta a

Sancio Panza.

22
al

GIORNATA TERZA
mare;
e,

in ultimo,

come

volle

il

Cielo, dette in terra, a

quella marina stessa dove Penta era stata raccolta dalla com-

passione di un

uomo

donde era

stata scacciata dalla crudelt

canina di una donna.

Per disgrazia, proprio allora quella stessa

Nuccia stava col a lavare fasce e pannilini del suo fantoccio;


e,

curiosa

come sono
di

le

donne

dei

fatti

altrui,

domand

al

padrone della feluca


parte di chi.
Il

dove veniva, dov'era avviato, e per

padrone rispose: Vengo da Terraverde e vado


re,

ad Altoscoglio dal
per
glie;
la

che

in quel paese, a dargli

una

lettera,

quale mi
ti

mandano

apposta. Credo

che gli scriva la

mo-

ma non

saprei dire propriamente di che cosa

si tratta .

chi la moglie di cotesto

re?

insist

Nuccia.

il

padrone: Per quel che intendo, dicono che una bellissima


giovane, chiamata Penta dalle mani mozze, perch
tutte e
le

mancano
una

due

le

mani.
e,

E ho
la

sentito dire

che

fu trovata in

cassa in mare,
del re, e

per

sua buona sorte, diventata moglie


gli scriva di

non so che cosa ora


'')

premura.
.

Ma mi

bisogna navigare col trevo

per arrivare presto


il

Udito ci, quella giudea di Nuccia invit


e,

padrone a bere,

ubbriacatolo
la

fin

dentro

gli

occhi, gli tolse la lettera dalla


(^),

saccoccia, e

port ad uno studente, suo cliente

perch
schiat-

gliela leggesse.

Ascolt

la lettura

con

tale un'invidia

da

tarne, che quasi

non

ci fu sillal)a

a cui

non gettasse un sospiro; e

poi, dallo stesso studente, fece falsificare quella

mano

di scritla
gli

tura e

comporre

un'altra lettera, nella quale


si

si

diceva che

regina aveva partorito un cane deforme, e

aspettavano

(i)

Testo: co lo triego.

Trevo o

triego

(secondo

il

Gu-

glielmotti)

quella vela pi quadra, pi bassa e pi grande, che la

prima

delle tre, spiegate ordinariamente suU'istesso albero.

(2) Clientela,

che getta un'ombra anche sulla condotta coniugale

della malvagia Nuccia.

II.

LA BELLA DALLE MANI MOZZE

23
let-

ordini per quel che s'avesse a fare. Scritta e sigillata la


tera,
si

la

rimise nella saccoccia del marinaio,

il

quale,
si

quando

fu scosso dal sonno,

vedendo che

il

tempo

era rassere(')

nato,

and a orza a orza a prendere garbino


arriv presso
il

in

poppa.
la letle

Quando
tera,
il

re e gli

ebbe consegnata

re rispose che facessero


di
si

stare

allegra la regina e

raccomandassero
spiacere, perch

non prendersi nemmeno un'oncia

di di-

trattava di cose

permesse dal Cielo e l'uomo

dabbene non deve


torno,
il

rivoltarsi contro le stelle. Sulla via del ri-

padrone giunse, dopo due sere,


la

di

nuovo

alla casa di

Nuccia,

quale,

fattigli

grandi complimenti, lo rimpinz di cibo

e lo colm di vino, sicch and daccapo a


infine,

gambe

in aria, e,

pesante e stordito,
(^)

si

butt a dormire. Nuccia gli frug


la

nella tasca di coscia

e trov

risposta, e corse a farsela


si

leggere; e poi ve ne sostitu un'altra falsa, con la quale

co-

mandava
ciare

al

Consiglio di Terraverde
e figlio.

di far subito subito bruil

madre

il

padrone, quando ebbe digerito

vino, riparli.

Allorch
re, e
il

egli,

giunto a Terraverde, present

la lettera del

Consiglio la lesse, fu
e,

un grande susurro

tra quei saggi

vecchioni,
re

assai dibattendo quest'affare, conclusero

che

il

era

diventato
di

pazzo

era

stato

affatturato,
di

perch,

avendo una perla


fare di

moglie e un gioiello

erede, voleva

entrambi polvere pei denti della Morte. Per questa

considerazione, vennero nell'avviso di prendere la via di mezzo,

mandando
se

la

giovane col

figlio

a errare pel

mondo, che non


di

ne avesse pi nuova alcuna; e

cosi, provvistala

una

(i)

Libeccio,

che chiamato garbino dai marinai della costa

adriatica.
(2)

Testo:

lo cosciale.

24

GIORNATA TERZA
di tornesetti per

manata
reale
rito

campare

la vita,

levarono dalla cassa


dal

un

tesoro, dalla citt

una lanterna splendente,

ma-

due

puntelli delle sue speranze.


lo
sfratto,

La povera Penta, vedendosi dare non


fosse n

quantunque
n

femmina disonesta, n parente


('),

di bandito,

studente fastidioso

si

prese in braccio

il

suo cetriuolo, che

innaffiava di latte e di lacrime, e s'avvi verso Lagotorbido.

Era

di quel

luogo signore un mago, che, ammirando questa

bella storpia

che storpiava

cuori, costei

che faceva pi guerra


le

coi

suoi moncherini

che Briareo con

cento mani, volle

sentire tutt' intera la storia delle sventure

che aveva
il

sofferte

da quando

il

fratello,

per essergli negato

pasto della carne,

volle farla pasto ai pesci, fino a quel giorno che aveva

messo

piede nel suo regno.


Il

mago, all'amaro racconto, vers lacrime senza


gli

fine,

la

compassione, che
in sospiri

entrava pei pertugi delle orecchie,


fine, la

vaporava
<:onfort

per lo spiraglio della bocca. Alla


Sta' di

con buone parole:

buona

voglia, figlia mia,


si

che, per infracidita che sia la casa di un'anima,

pu reglasciare

gere tuttavia, se

la

puntella la speranza. Perci,


il

non

smarrire l'animo; che

Cielo

tira talvolta le

disgrazie

umane

all'estremo della ruina par fare pi mirabile l'opera sua.


<3ubitare,

Non
e pa-

dunque, perch

tu hai trovato in

me mamma

dre, e io t'aiuter col

mio sangue stesso.

La povera Penta
che
il

lo ringrazi:

Non importa

gli

disse

Cielo piova disgrazie e grandini ruine, ora

che sono

sotto la tettoia della grazia vostra, di voi che potete e valete;

(i)

Tre categorie di persone, che

si

soleva allora pi di frequente

rimuovere dai luoghi dove abitavano o scacciare dal Regno. V. sopra


per
gli studenti,
I,

136, n.

i.

II.

LA BELLA DALLE MANI MOZZE


.

25

e gi questa vostra bella faccia m'incanta

cosi,

dopo

mille

parole di cortesia da una parte e di ringraziamento dall'altra,


il

mago

le

assegn un ricco appartamento nel palazzo suo e

la

fece governare

come una

figlia.

E,

la

mattina dopo, ordin di

pubblicare un bando: che alla persona che fosse venuta alla

sua corte a raccontare

la

pi grande delle disgrazie, avrebbe

dato una corona e uno scettro d'oro: due belle cose, che

valevano pi d'un regno.

Correndo questo grido per


del

tutta l'Europa,
i

vennero

al

paese

mago

pi gente che non siano

broccoli, per guadagnarsi

la ricchezza

promessa.

chi raccontava che aveva servito in


il

corte tutta la vita, e,


la

dopo avervi perduto

ranno e

il

sapone,

giovent e

la salute, era stato


gli

pagato con un caciocavallo.

Chi diceva che


riore e

era stata fatta un'ingiustizia da un supegli

non

gli

era concesso di lagnarsene, tanto che


la

bi-

sognava inghiottire
si

pillola e

non evacuare
le

la collera.

Uno

lamentava

di

aver posto tutte

sue sostanze in una nave,

e che un po' di vento contrario

gli

aveva

tolto

il

cotto e

il

crudo.

Un
e,

altro si
la

doleva di avere speso

tutti gli
l'utile di

anni suoi

a esercitare

penna, senza cavarne mai


si

una sola

penna;

soprattutto,

disperava che

le fatiche della
le

penna

sua avevano avuto cosi poca ventura, laddove


calamai
(')

materie dei

erano tanto fortunate


il

al

mondo.
regno
e,

In questo mezzo,

re di Terraverde torn nel

trovata a casa quella dolce bevanda che

non

s'aspettava, pro-

ruppe
i

in atti

da leone scatenato, e avrebbe

fatto

scuoiare

tutti

consiglieri, se essi

non

gli

avessero senz'altro posto soit'oclui.

chi la lettera che

avevano ricevuta da

Ma, quando
il

la vide,

e conobbe

la

falsa

mano

di scrittura,

chiam a s

corriere

(i)

Cio,

il

corno: v.

l,

46, n. 3.

26
e
gli

GIORNATA TERZA
ordin di raccontare tutto quanto
gli

era

occorso nel
la

viaggio. Cosi, a poco a poco, venne a penetrare che


di Masiello
gli

moglie

aveva macchinato
di

la

rovina;

onde,

armata
Ivi, ri-

subito

una galea, and


la

persona a quella spiaggia.

trovata

femmina, con bel

modo

le

cav

di

corpo tutto
la

l'intrigo; e,

avendo inteso che causa

del fatto era stata


e,

gelosia, volle che essa diventasse di cera

incerata e spal-

mata

di sego,

la

fece

mettere sopra una grande catasta di

legna secche,

alla

quale fu dato fuoco.

Poich ebbe

assistito alla

fiammata, e veduto che

il

fuoco,

vibrando una lingua rossa rossa, s'era divorata


mina, fece vela; e, in alto mare,
tava
il

la trista

fem-

incontr una nave, che por-

re di Pietrasecca.

Dopo molte

cerimonie scambievoli,

questi disse all'altro del

che navigava verso Lagotorbido a causa


dal signore di quel

bando pubblicato

luogo, per tentare


al

la sorte sua,

come

colui che

non cedeva per mala fortuna

pi dolente

uomo

del

mondo.

Se per questo

disse
mondo;
li

il

re di Terraverde,

io
(')

ti

salto

di sopra a piedi giunti, e posso dare quindici e fallo

al
i

pi

sventurato che sia


lori a lucernette

al

e,

dove

gli altri

misurano

do-

'^\
te,

io

posso misurare a tomoli. Perci vonoi

glio venire

con

e facciamola tra

da galantuomini, e
la

chi di noi vince, spartir

da buon compagno esaltamente


il

vincita.

Siamo

intesi, disse

re di Pietrasecca; e

si

det-

tero reciprocamente la fede.

Andarono
dati,
si

cosi di conserva
al

a Lagotorbido, dove, approli

presentarono

mago, che

onor

di

grandi acco-

(i)

Termini

di giuoco: v. sopra,

I,

i68, n.

i.

(2)

locernella:

sembra che

fosse

una piccolissima misura

di

capacit o una metafora per designarla.

II.

LA BELLA DALLE MANI MOZZE


convenivano a
teste coronate, e
li

27
fece sedere

glienze, quali

si

sotto

il

baldacchino, salutandoli mille volte benvenuti. E, poisi

ch ebbe udito che


sventurati, volle

presentavano

alla

prova degli uomini


di dolore
li

conoscere quale peso

rendesse

soggetti agli scirocchi dei sospiri.


Il

re di Pietrasecca

cominci allora a narrare l'amore che

aveva posto al sangue suo, l'alto da


sua sorella,
il

donna onorata che

fece

fiero

cuore che egli mostr col chiuderla in


gettarla a mare; per le quali cose,

una cassa impeciata e


una

da

parte, lo trafiggeva la coscienza del proprio errore, e dallo

l'altra,

pungeva
la

l'aflfanno della sorella perduta;


di
l
il

di qua, lo

tormentava

vergogna,

danno;

di guisa

che

tutti

dolori delle pi angosciate bicco,


quelli

anime

dell'inferno, posti a

un lam-

non sgocciolerebbero una quintessenza


che provava
il

di affanni

come

cuor suo.
di

Finito ch'ebbe questo re

parlare,

incominci

l'altro:

Oim, che

le

doglie tue sono ciambellette inzuccherate, fran(')

fellicchi e strffoli

a paragone del dolore che io sento, per-

ch quella Penta dalle mani mozze, che trovai nella cassa come
torcia di cera di Venezia
f^)

per fare

le

mie esequie,
e,

io la presi

per moglie, ed essa mi partor un bel bambino,


di

per malignit

una brutta

arpia,

poco mancato che non fossero l'una e

l'altro

arsi dal fuoco.

Nondimeno, oh chiodo
li

del

mio cuore!
scacciati

oh dolore per cui non mi posso dar pace!

hanno

(i)

Dei

franfellicchi

si

detto,

I,

134, n. 5.

Strftble ,

dolciume
pezzi ro-

napoletano, pasta di

fior di

farina con uova, fritta in piccoli

tondeggianti e condita con


(2) Il

miele e confettini

di

consuetudine nel Natale.

vario

Garzoni {Piazza universale, p. 509), dopo aver discorso del modo di colorir la cera, soggiunge: et da essa procedono quelle
si

belle candele e torzi (sic) che

comprano
.

in Venetia, l'una delle quali

bramar doveva

il

Cantelicio, ecc.

28
tutti

GIORNATA TERZA
e due, mandandoli fuori del
alleggerito di ogni piacere,

mio

stato;

di tal che,

veden-

domi

non so come,

sotto la

soma
mia

di tante pene,
vita! .

non caschi prostrato a

terra l'asino della

Udito
il

il

mago

l'altro re,
il

conobbe

al e,

fiuto fatto
i

che l'uno era

fratello e l'altro
il

marito di Penta;

chiamare Nu-

friello,

fanciullo, gli disse:


il

Va', e bacia

piedi a tata, si-

gnore tuo; e
la

fanciullo obbed al
di quel

mago.

Il

padre, vedendo
gett

buona grazia
al

marmocchietto,
di che,
il

gli

una

bella

catena d'oro
Bacia la

collo.

Dopo

mago
mio
;

torn a parlare:
e quel bel

mano

allo zio,

bel ragazzo

pala

cioncello fece subito l'ubbidienza; e l'altro re,


vivacit
di
al

ammirando

quella

fraschetta, gli
figlio,

die

un

bel gioiello, e do-

mand

mago
la

se gli era

e quegli rispose che ne do-

mandasse

madre.

Penta, che, nascosta dietro

una
e,
il

portiera,

aveva ascoltato tutto


che,

questo negozio, venne fuori;


ritrovando dopo tanti giorni

come cagnolina sperduta

padrone, lo lecca, scodinzola,


al fratello

e fa mille segni di allegria, essa, ora correndo

ora

al marito, ora tirata dall'affetto dell'uno, ora dalla carne dell'altro,

abbracciava ora questo ora quello, con tanto giubilo


si

che non

potrebbe immaginare. Fa' conto che eseguivano un


interrotti.
il

concerto a tre di parole smozzicate e di sospiri


Fatta pausa a questa musica,
ciullo,
si

ritorn a carezzare

fan-

e ora

il

padre e ora

lo zio

a vicenda lo stringevano
in

e lo baciavano, e se ne

andavano

brodo

di giuggiole.

E,
il

dopo che da questa parte e da

quella fu fatto e fu detto,

mago

concluse con queste parole:


il

Sa

Cielo quanto esulta


la

il

mio cuore
le

a vedere conso-

lata la
rita

signora Penta,

quale per

sue belle qualit


e per la quale

mecer-

di essere tenuta in

palma

di

mano

ho

II.

LA BELLA DALLE MANI MOZZE


il

29
marito
(').

cato con tanta industria di condurre a questo regno


e
il

fratello,

per darmi all'uno e all'altro schiavo incatenato


si

Ma, poich l'uomo


e
la

lega con

la

parola e

il

bue con

le

corna,

promessa
il

di

un uomo dabbene

contratto,

giudicando
gli

che

re di

Terraverde abbia sofferto dolore da morire,

voglio mantenere la parola e dargli non solo la corona e lo


scettro promessi col bando,

ma

altres

il

regno. Io non ho

figli

fastidi di

famiglia; e perci,
figli

con buona grazia vo-

stra, voglio per miei


rito e

adottivi questa bella coppia di


le

ma-

moglie, che mi sar cara quanto


ci sia

pupille degli occhi.


tutti,

perch non
si

pi altro da desiderare alla felicit di


i

ors, Penta

metta

moncherini sotto

il

grembiule, che ne
.
il

trarr fuori le mani, pi belle

che non erano prima

Penta cosi

fece, e la

cosa riusci appuntino come


e

mago

aveva detto.
larono
tutti,

di ci la gioia fu grandissima;
il

ne gongo-

e particolarmente
il

marito, che stim pi assai


dal

questa bella fortuna che

nuovo regno donatogli

mago.
il

Dopo

aver trascorso alcuni giorni in magnifiche


al

feste,

re di

Pietrasecca se ne torn

regno suo, e
fratello

il

re di Terraverde,

mandato

il

cognato

al

suo minor

perch da sua parte

lo incaricasse della

cura delio stato, rimase col mago, scon-

tando a canne di
e

diletto le dita di travaglio


al

che aveva

sofferte,

rendendo testimonio

mondo

che:

non pu

il

dolce aver caro

chi provato

non ha, prima, l'amaro.

(i)

Per questa protesta di servit, che


I,

si

usava allora nella conver-

sazione e nelle lettere, v.

243, n.

i.

TRATTENIMENTO TERZO
IL

BIANCO VISO

Renza, chiusa dal padre in una


astrologi che sarebbe

torre,

per esserle stato predetto dagli


di

morta a causa

un osso maestro, s'innamora


da un cane,
fora
il

di

un

principe, e con

un

osso, portatole

muro
sposa,

e fugge.

Ma, vedendo l'amante suo ammogliato baciare


il

la

muore

di crepacuore, e

principe, per l'angoscia,

si

ammazza.

Mentre Cecca, con grande


si

affetto,

narrava questa

storia,

vide un'olla podrida di piacere e di disgusto, di consoladi pianto.


la fine

zione e di affanno, di riso e

Si

piangeva per
i

le

sventure di Penta,
vagli; ci
si

si

rideva per

che ebbero

suoi tra-

angosciava a vederla in

tanti pericoli, ci si

con-

solava che fosse, con tanto onore, salvata; s'ebbe disgusto


dei tradimenti che le erano stati
falli

si

prov piacere della


al

vendetta che ne segui. Intanto Meneca, che stava armata


chiacchierare, mise

mano

ai

ferri,

dicendo:
di

Suole accadere spesse volte che, quando l'uomo crede


fuggire una mala sciagura, proprio allora l'incontra.

perci

l'uomo savio deve porre


suoi, e

in

mano

del Cielo tutti gl'interessi

non cercare

circoli di

maghi e

tubi di astrologi; che,


i

altrimenti, procacciando di prevedere

pericoli

da prudente,
udite.

casca nei precipizi da bestia.

che ci

sia vero,

(i)

Testo:

Lo

viso;

ma

vedi

pi

sotto

versi,

che formano

come

il

motivo del racconto.

III.

IL

BIANCO VISO

31

C'era una volta un re di Fossostretto. che aveva una bella


figlia, e,

desiderando conoscere

la sorte scritta

per

lei

nel libro
(')

delle stelle,

chiam

tutti

necromanti, astrologi e zingari

di

quel paese. Venuti costoro alla corte reale, chi scrut


della

le linee

mano,

chi
cosi

segni della faccia, chi


si

nei sulla persona di

Renza (che
il

chiamava

la

figlia del re),

ognuno
altro,

disse

suo parere. La maggioranza dei convenuti, per

condi

cluse che essa correva pericolo, per


sturare
la

un osso maestro

(2),

chiavica maestra della vita.


il

Avuto quest'oroscopo,

re volle gittarsi innanzi per

non

cadere, e fece fabbricare una bella torre, dove rinchiuse la


figliuola

con dodici damigelle e una donna


ordinando, pena
la

di

governo, che

la servissero:

vita,

di

porgerle sempre,

per evitare l'avverso pianeta, carne senz'osso. Ora, essendo Renza cresciuta

come

la

Luna, un giorno che

guardava dalla
ferro,

finestra della torre, attraverso


figlio della

un cancello
il

di

pass Cecio,

regina di Vignalarga,

quale,

a vedere una cosa cosi


E, poich quella
riso,
gli

bella, subito si senti tutto rimescolare.


il

rese

saluto e accenn

un bocchino a
le

prese animo

e,

fattosi
tutti

pi
i

sotto

la

finestra,

disse:

Addio, protocollo di
archivio di tutte
versale di
tutti
i

privilegi

della

natura;

addio,

le

concessioni del Cielo; addio, tavola unidella bellezza! .


lodi,

titoli

Renza,
pi bella,
vers,

all'udirsi
e,

dare queste

per la vergogna
di

si

fece
gli

buttando nuove legna sul fuoco

Cecio,

come

disse quello, sulle scottature acqua bollente. E,


vinta di cortesia

non volendo essere


il

da Cecio, rispose:

Sii

benvenuto, o dispensa del companatico delle Grazie, o ma-

(i) Gli zingari, in


(2)

quanto sogliono indovinare


il

la

ventura.

Testo

uosso mastro,

femore degli animali.

32

GIORNATA TERZA
traffici di

gazzino delle mercanzie della Virt, o dogana dei

Amore!

Cecio replic:

Come mai
Cupido?

sta

in

una

torre rinchiuso

il

castello delle forze di

che

la

prigione delle

Come sta cosi carcerata colei, anime? Come sta dietro un cancello
.

di ferro

un pomo
gli

di

oro?

Renza
le disse

raccont allora

come

la

cosa andava; e Cecio

com'egli fosse

figlio di

regina,

ma

vassallo della bel-

lezza sua, e che, se si fosse contentata di svignarsela al

regno

suo,

le

avrebbe posto sul capo


di

la

corona.

quella, che, sen-

tendo

aver preso odor di chiuso tra quelle quattro mura,


l'ora di sciorinarsi all'aria aperta, accett
il

non vedeva
tito;

par-

e gli die
gli

appuntamento per

la

mattina,
()

quando l'Alba
che
le

chiama

uccelli a testimoni della

macriata

ha

fatto

l'Aurora, per scappar via insieme. Cosi, gettatogli un bacio


dall'alto della finestra, rientr, e
il

principe

si

ritrasse al

suo

alloggiamento.

Renza stava pensando


le

al

modo

di scapolarsela e
il

gabbare

damigelle, quando un certo cane corso, che

re teneva

(i)

Imbrattamento

di rosso alla parte esterna delle case,

che era atto


perci

di grave offesa

che s'intendeva arrecare a colui che

vi abitava, e

causa di
l'altro,

fatti

di

sangue, e severamente represso dalle leggi: come, tra


luglio 1549 (riprodotto di

da un bando del vicer Toledo, del 6

poi e rinforzato) contro la


di Napoli e

crescente audacia de' malfattori

nella citt

suo distretto e

casali, quali di notte,

per disonorare et in-

giuriare gli huomini e persone vassalli e sudditi di

Sua Maest

habitanti

in lor case pacifici e quieti, buttano e fanno petriate e macriate rosse,

negre, gialle, verdi, alle vituperio e

mura

di lor case, porte e finestre, in

grandissimo
voi.

danno

dei suoi sudditi


iniuriis)
Si

(Collez
il

cit.

delle

Prammatiche,

VI,
5-6.

tit.

CXXIX, De

veda

Cortese, Micco Passare, Vili,


fu fatta, pi tardi, proprio alla
(v.

da ricordare che una macriata

sorella del Basile, la

famosa cantatrice Adriana

Ademollo, La

bel-

l'Adriana, pp. 327-8).

III.

IL

BIANCO VISO

33

per guardia della torre, entr in camera sua con un grande

osso maestro in bocca,


Ietto,

e,

mentre se

lo

rosicchiava sotto

il

Renza, chinandosi, vide l'osso. Subito pens che fosse


la

strumento che
ciando
il

Fortuna

le

mandava

ai

casi suoi; e, scacin-

cane dalla camera, glielo strapp. Die poi a


le

tendere alle damigelle che

doleva

il

capo, e che perci la

lasciassero riposare senza disturbarla; e puntell la porta.

Cosi sola,

si

mise con l'osso a lavorare come un mura-

tore di mestiere; e, scantonando una pietra dal muro, tanto


fece che la distacc e sfabbric in
fatica

modo che
corda;

si

poteva senza
di
fu

passare per l'apertura. Stracci poi


e
la
le

un paio
e,

lenri-

zuola

attorcigli
delle

come una
ombre
dalla

quando
Cielo

mossa

tela

scena
(')

del

perch
della

l'Aurora
Notte,

usciva

fare
il

il

prologo

della

Tragedia
il

avendo udito

fischio di Cecio, attacc

capo delle

lenzuola a uno

stipite,

si

lasci
e,

scivolare gi nella via.

Cecio l'abbracci teneramente


cui dosso

postala sopra un asino sul


alla volta di

aveva

gittato

un tappeto, s'avviarono

Vignalarga.

A
al

sera, giunsero in

un luogo chiamato Viso e alloggiai

rono in un bellissimo palazzo, dove Cecio appose


bel podere che

termini

aveva acquistato, come segnali della pos-

sessione amorosa.

Ma
il

la

Fortuna ha

il

vizio

di

arruffar la
i

matassa, di guastare

giuoco e di dar di naso

in tutti

buoni

disegni degli innamorati; e questa volta, nel meglio dei loro


diletti,

fece arrivare

un corriere con una

lettera della

madre

di Cecio, la

quale

gli

diceva di partir sull'istante per rivederla,

(i) Il

Liebrecht

(I,

2^7, e

Anmerk.,
felice,

I,

408) qui corre:j;ge epilogo:


il

correzione non necessaria e non

perch l'Aurora

prologo

della tragedia, cio della sconfiua e fuga della Notte.

G. B. Basilk, Penlanierone

- il.

34
altrimenti

GIORNATA TERZA
non l'avrebbe
ritrovata viva;

giacch essa tirava


al

quanto pi poteva,
riiii

ma

si

trovava gi sul punto di arrivare

e bis^'^ dell'alfabeto della vita.

A
il

questa cattiva notizia, Cecio disse a Renza: Cuor mio,


io

negozio d'importanza, e bisogna che

corra per
sei

le

poste

per giungere in tempo.

Tu

trattieniti

cinque o

giorni in

questo palazzo, che io torno subito o


derti .

mando

gente a pren-

Scoppi
sciagurata

in pianto
la

Renza,

al triste

annunzio, e rispose:

Oh

mia

sorte,
!

come

presto calata alla


al

feccia la

botte dei miei piaceri


dei miei spassi!

Come

scesa

fondigliolo la pignatta
la

Com'

ridotta al

rimasuglio

cesta

delle

mie contentezze!
le

Me

misera, che se ne scorrono con l'acqua


in

mie speranze; mi vanno

crusca

disegni, e

si

risolve

fumo ogni mia soddisfazione! Appena ho cominciato a gustare questa salsa reale, che il boccone mi si fermato
in
in gola;

appena ho appressato

le

labbra a questa fontana di


il

dolcezza, che

mi

si

intorbidato
dire:

diletto;

appena ho
zio

visto

spuntare
riccio! .

il

sole,

che posso

Buonanotte,

paglie-

Queste e

altrettali

parole uscivano dagli archi turcheschi

di quelle labbra a trafggere l'anima di Cecio,


le disse:

quando

questi

Sta' zitta, o bel palo della

mia

vita,

o chiara lan<2),

terna di questi occhi, o giacinto confortativo di questo cuore

che presto sar

di ritorno.

Le miglia

di

lontananza non po-

(i) (2)

Vedi sopra,

I,

238, n.
il

1.

Forse non qui

fior di giacinto,

ma

la

gemma
il

giacinto , la

quale, portandosi addosso in anello, tra le altre virt, faceva


allegro,
si

l'uomo

conservando

il

cuore in vigore, e conciliava


(ed. di

sonno;

come

legge nel

Donzelli, Teatro farmaceutico

Venezia, 1704),

PP. 137-8.

III.

IL

BIANCO VISO

35

Iranno

fare

ch'io
la

mi

scosti

un palmo da questa bella per-

sona; non potr

forza del

tempo sbalzar
il

via

l'immagine

tua da questa testa. Calmati, riposa


occhi, e

cervello, asciuga gli

serbami nel cuore

Con
il

queste parole, mont a

cavallo e prese a galoppare verso

suo regno.
cetriuolo, s'avvi

Renza, che appresso a


lui,

si

vide

piantata

come un
di
lui;
si

dietro le

orme

e,

spastoiato

un

ca-

vallo che trov a pascere in un prato,


via che egli

mise a correre sulla


si

aveva percorsa. Nel cammino,

scontr col gare


fece

zone

di

un romito; e subito scese da cavallo


che erano
tutte

cambio

delle sue vesti,

guarnite d'oro, col sacco e


Si gett
le

con
si

la

corda che quegli portava.

addosso

il

sacco,

cinse la corda, essa che cingeva

anime

col laccio d'amore,


il

e torn a cavalcare, spronando con

le

calcagna
gli

cavallo, tanto

che

in

poco tempo raggiunse Cecio, e

disse:

Ben

trori-

valo, gentiluomo mio! .

Ben venuto, padricello


viene e

mio,

spose

l'altro:

donde

si

dove

siete

avviato? .

Renza:

Vengo da
si

parte dove sempre in pianto


dice:

sta

una donna, e
ti

Oh

bianco viso!
fi).

Deh, come

perdei, che m'eri accanto!

Cecio, che non


ragazzo, esclam:

la

riconosceva e credeva che


bel giovane mio,

fosse

un
la

quanto mi cara
le

tua compagnia! Perci fammi un piacere, e prenditi


pille:

mie pu-

non

ti

partire

mai dal mio fianco

e, di

volta in volta,
il

ripetimi

questi versi, che, proprio,

mi

solletichi

cuore!.

(i)

mente:
dice:

Sembra frammento di uno strambotto. Nel testo suona propria Vengo da parie, dove sempre nchianto Stace na donna e
bianco viso! Deh, chi

me

t'ha levato da lo canto.

36

GIORNATA TERZA
Cosi, col ventaglio delle chiacchiere sventolandosi pel caldo

della

via,
la

giunsero insieme

a Vignalarga.

Col trovarono

che

regina aveva dato moglie a Cecio, e per questo lo


la

aveva mandato a chiamare con un'astuzia; e


stava in ordine e l'aspettava.

moglie gi
di tel'a-

Cecio preg
fratello
il

la

madre

nere in casa e trattare

come suo
poich
la

giovane che
lo

veva accompagnato;
stare

e,

madre acconsenti,

fece

sempre accanto a s e mangiare a una stessa tavola


la

con

sposa.
la

Considerate che cuore faceva


ghiottiva noce vomica!

sventurata Renza e se in-

Con

tutto ci, essa di volta in volta

ripeteva

versi che tanto piacevano a Cecio.

Ma, quando

si

fu levata la

mensa

e la sposa

si

ritir in

una cameretta per


di
in

parlare da sola a solo

con Cecio, Renza, per aver campo

sfogare la passione del cuore, entr in

un orto che era

piano colla casa,

e,

postasi sotto

un

gelso, cosi prese a lail

mentarsi: Oim, Cecio crudele, questo

'mille grazie'

dell'amore che

ti

porto? Questa
il

la

'gran merc' del bene


ti

che

ti

voglio?

Questo

beveraggio dell'affezione che

mostro? Ecco che ho


casa, calpestato
il

piantato

mio padre, abbandonato

la

mia

mio onore, e mi son data


tagliato
il

in potere di

un

cane feroce per vedermi


faccia e levato
il

passo, serrata la porta in

ponte, quando credevo di prender dominio

di cotesta bella fortezza; per

vedermi

scritta alla gabella del-

l'ingratitudine tua, mentre


della grazia tua(''; per

mi pensavo
fatto

di stare alla
il

Duchesca
fanciullo:

vedermi

giuoco

di

(i) Si

chiama

cosi

un luogo

di
il

Napoli (prossimo alla stazione cen1487,


il

trale della ferrovia), dove, circa

duca

di

Calabria, Alfonso

d'Aragona, aveva costruito un palazzo e un giardino (intorno ai quali vedi A. Colombo, in Arch. slor. nap., IX, 563 sgg). Per dono di
Carlo

pass poi

al vicer

Toledo e

agli eredi di costui,

quali abbatte-

III.

IL

BIANCO VISO
parte
di te

37
',

'Bando e comandamento da
mentre immaginavo

mastro Chiomento
ad
'

di giocare

con

Anca Nicola

'
!

('),

Ne ho
ne ho

seminate, di speranze; e ora raccolgo caciocavalli


gittati,

(*);

di

razzi

del
(3);

desiderio, e ora
fatd,

tiro

dalla pesca
in
aria,
e,

arena d'ingratitudine
pnfete,

ne ho

di

castelli
il

ho

battuto col corpo in terra!

Ecco
il

ricambio che

ricevo; ecco la pariglia che

m'

data; ecco

pagamento che

ottengo
e

Ho

calato la secchia nel pozzo delle voglie


il

amorose
di-

m' rimasto

manico
vi

in

mano; ho steso

il

bucato dei

segni miei e mi

piovuto sopra a cielo aperto;


al

ho messo

a cucinare

la

pentola dei pensieri


la fuliggine la fede

fuoco del desiderio, e c'

cascata dentro

delle

disgrazie.

Ma

chi credeva,

o voltabandiera, che
la

tua dovesse scoprirsi rame? che


alla

botte

delle

promesse scendesse

feccia?

che

il

pane
Belle

della bont prendesse muffa? Bel tratto

d'uomo da bene!

prove

di

persona onorata!

Bei termini da figlio di re: bur-

larmi, impastocchiarmi, imbrogliarmi, farmi larga la cappa per

darmi corto

il

giubbone, promettermi mari e monti per getla faccia,

tarmi dentro un fosso, lavarmi


il

perch mi trovassi
di crusca,

cuore nero!

promesse
!

di vento,

o parole

o giu-

ramento

di milza soffritta

Ecco
sei

che tu hai detto quattro prima


cento miglia discosto, quando
si

che fosse nel sacco; ecco che

credevi di essere arrivata a una casa di barone: ben

prova

tono palazzo e giardini e censirono

il

luogo per case, e in quei vicoli

della

Duchesca

si

raccolsero prostitute e gente di mala vita.

ci alludi star

dono

le

parole di Renza, che vogliono dire:

una donna credeva

libera a godere alla Duchesca, e fu iscritta alla gabella delle meretrici

e assoggettata
(i)

alla polizia e al fisco.


v.
I,

Per questi giuochi,

175, n. 3, 177, n. 2.

(2)

Poco

profitto:

un semplice dono
dalla pesca.

di caciocavalli: v. sopra, p. 25.

(3)

Immagini prese

38

GIORNATA TERZA
di sera
il

che parole
di essere

vento

le

mena! Oim, quando pensavo


lui

carne ed unghia con questo crudele, sar con


e gatto; dove

come cane

m'immaginavo

di essere scodella e
lui

cucchiaio con questo cane rabbioso, sar con


e rospo
(*);

come

biscia

perch non potr sopportare che un

altro,

con un
la pri-

cinquantacinque di buona fortuna, mi tolga di

mano

miera passante delle speranze mie(^); non potr sopportare che mi


ti

sia dato
ti

scacco matto.

Renza male

avviata,

va' e

fida, va' e

gonfia di parole d'uomini! uomini senza legge


vi si

e senza fede, povera chi


sventurata chi
fare!
si
ti

mescola,

trista

chi vi
essi

si

attacca,

corica al largo letto,


curare: tu sai che chi

che

ti

sogliono
fa la

Ma non

gabba

fanciulli,

morte dei
scrivani

grilli

(3>;

sai

che alla banca del Cielo


le

non
e,

ci

sono

marranchini, che imbroglino

carte

(4);

quando

meno

te l'aspetti, verr

la giornata tua, tu che hai fatto questo


ti

giuoco di

mano

a chi

ha dato se slessa in credenza per

ricevere una mala azione in contanti.

Ma

io
al

non m'avvedo
vuoto; sospiro
i

che dico

le

mie ragioni

al

vento e sospiro
sola.

in perdita, e

mi lamento,
la

ma
alla

Esso stasera salda


faccio
i

conti

con

la

sposa e rompe
il

taglia;

e io

conti con la

Morte e pago

debito

natura. Esso star in


io

un

letto

bianco e odoroso di bucato;

dentro
'

un'oscura bara, che


scarica- la- botte
'

puzza d'ammazzato. Esso giocher a

con

fi)

Testo: cervone: la biscia mangia


dal giuoco della primiera.

il

rospo.

(2) Traslati
(3)

Nel

testo:

chi gabba peccerille,


cio
i

fa la

morte de
dei

li

grilie .

(4)

Contro

gli scrivani,

bassi
i

ufficiali

tribunali

delle

altre

pubbliche amministrazioni e
i

loro imbrogli e la loro venalit, ab-

bondano

motti

satrici nella letteratura dialettale


111, 5,

napoletana. Si veda

Cortese, Micco Passaro, mina I9 giornata IV.

il

nostro stesso, nell'egloga che ter-

III.

IL

BIANCO VISO

39
ferito sono'<'>,

quella fortunata, ed io far:

'Compagno

mio,

vibrandomi uno stecco appuntito


alla vita .

alle costole

per dare fondo

Dopo

queste e altre parole di dolore e di rabbia, Renza,


di lavorare coi denti, fu

venuta l'ora
g' ingratinati

chiamata a tavola, dove


(^^

e gli spezzati ie

erano arsenico e tiiimalo

avendo

altro pel
lo

capo che

il

pensiero di mangiare, altro andi riempirlo.


le

dandole per

stomaco che l'appetito

Tanto che
cos'

Cecio, a vederla cosi pensosa e avvilita,

disse:

Che

che non

fai

onore a queste vivande? Che hai? che pensi?

che send?

Non mi

sento niente bene

rispose
dieta
il
il

Renza;

n so se indigestione o vertigine. Fai bene a lasciare


il

pranzo
(3)

replic

l'altro,

perch
ti

la

miglior ta-

bacco

d'ogni male; ma, se

bisogna
di

medico, mande(4)

remo
faccia,

chiamare un
il

tal

dottore

urina

che, alla

sola

senza toccare

polso, conosce le malattie della gente .

(i) (2)
(.3)

Per questi giuochi v. sopra,


Testo:
Il

I,

177,

nn.

5.

si

tutomaglio

che l'aeuphorbia helioscopia

tabacco, che
si

allora proprio entrava nel

costume generale,

adoprava o

stimava rimedio a molte e diverse infermila.

Un

cronista

scrive sotto l'anno 1632:

S' preso

cosi in uso di

pigliar

del tabacco

in Napoli, eh' cosa meravigliosa, poich tutti indifferentemente portano .id ogni le loro tabacchere piene, e ne prendono in gran quantit, et

ora et in ogni luogo, cosi sagro

come

profano, stando in grand'opinione

che giovi mirabilmente (Bucca, in Arch. star, nap., XXXVII, 133); e pi oltre racconta della motte del duca di Sicignano Caracciolo, che,

essendosi fatto aprire, se


ivi

li

trovato

una gran quantit


i

di

tabacco

nel cerebro, che, stando

che da ci

la

zosamente

lo

ammassato insieme, hanno medici concluso morte; e pure si seguita a prenderne (ivi, p 272). Scheresalta come panacea un altro contemporaneo del Basile,
in

Franceco Zucchi da Monteregale


estivo sopra
(4)
il

Abruzzo, ne

l.a tabacchete^ >>,

scherzo

tabacco (Ascoli,
noto, allora
i

16,16).

Com'

si

distinguevano
i

medici di urina, che


i

erano propriamente

medici, e

medici di piaga, che erano

chirurgi.

40

GIORNATA TERZA
male da ricette
pignatta
fuori

Non

disse
E

Renza,
.

e nessuno sa
muovo

guai

della

del

mestolo

Esci

un po' a prender
in giro

aria , aggiunse Cecio.


gli occhi,

Renza: Quanto pi
il

pi mi

si

rompe

cuore

Cosi parlando, termin

il

pranzo e venne l'ora

di

dormire;
il

e Cecio, per udire sempre quella canzone, volle che

comin
lo

pagno

si si

ponesse in un lettuccio

(^)

nella

camera stessa

cui egli

doveva coricare con


versi,
alia

la

sposa.

ad ora ad ora
al

chiamava a ripetere quei


di

che erano pugnalate


testa

cuore

Renza e intronamenti

della

sposa.

La quale

stette e stette, e alla fine,

scoppiando, disse: Mi avete rotto


'

tutto

il

di dietro

con cotesto

bianco viso

'
!

Che

trista

mu-

sica questa?

Oramai una vera


il

dissenteria,

che non

finisce

pi!
testa,

Basta, poffar

mondo! E che cosa ? un


la stessa

dirizzone di

che replicate sempre


te, di

cosa? Io credevo, cori-

candomi con
di voce.

sentire

musica

di strumenti e

non

repetii

vedi

come

l'hai presa meticolosa a toccare

sempre

lo stesso tasto!

Di grazia, non
lasciaci in

pi, marito mio; e tu, caglia,

che senti d'aglio, e


Sta'
zitta,
filo

pace un po'.
Cecio.

moglie mia!

rispose

che
lo

ora spez-

ziamo

il

del parlare. E, nel dir questo, le dette

un bacio

cosi forte che se ne senti

un miglio lontano
al

schiocco. Quel

rumore

di labbra fu

tuono

petto di Renza, la quale ne prov


tutti gli
il

tanto dolore che, essendo corsi


al

spiriti

a dar soccorso
il

cuore, accadde,
il

come

dice

proverbio, che
il

soperchio

rompe

coperchio, perch tale e tanto fu


le

concorso del

sangue che, soffocatala,

fece stendere

piedi.
alla sposa,

Cecio, somministrati che

ebbe quattro vezzi

(i)

Letto
sofA.

di riposo, dice

il

testo,

che quello che

si

chiam poi

canap o

III.

IL

BIANCO VISO
gli

41
quelle parole

chiam sottovoce Renza, perch


che
gli

ripetesse

piacevano tanto;

e,

non sentendosi rispondere come

aspettava, torn a pregarla, che gli desse quel po' di gusto;


e,

vedendo che rimaneva


per un braccio;
al volto; e,
il

in silenzio, levandosi pian piano, la

tir
la

e,

poich
il

nemmeno

rispondeva,

le

mise

mano

a toccare

naso freddo freddo, s'accorse

che era spento


gottito, atterrito,

fuoco del calore naturale di quel corpo. Sbile

chiam subito

candele,

e,

scoprendo quel
in

corpo, riconobbe Renza a un bel


al

neo che aveva

mezzo

petto.

allora alz le strida:

Che cosa

vedi, o sciagu-

rato Cecio?
ti

Che

t'

accaduto, sventurato? Quale spettacolo

sta dinanzi agli occhi?


fiore

Quale rovina

ti

cade sulle giunture?


ti

O O
ti

mio, chi

ti

ha clto?

lucerna mia, chi

ha spenta?
fuori?

pignatta dei gusti d'amore,


ti

come

ti

sei

rovesciata

Chi

ha abbattuta, o
stracciata,

bella casa delle

mie contentezze? Chi


ti

ha

o carta franca dei miei piaceri? Chi


bella

ha

mandata a picco, o

nave degli spassi

di

questo cuore?
fallita

O
la

bene mio, che,

al

chiudere dei tuoi begli occhi,


le al

bottega della bellezza, sono state interrotte

faccende delle

Grazie, e

Amore

andato a buttare le ossa


si

ponte!

(').

Al

partire di questa bell'anima


si

persa la

semenza

delle belle,
la
ri-

guastata la stampa delle vezzose, e

non

si

trova pi

bussola pel mare delle bellezze amorose.

Oh danno
una
bella

senza

paro, oh strazio senza comparazione, oh rovina senza misura!

Va' e vantati, madre mia, che hai

fatto

prova a

(1)

Testo:

ed iuto a votare (= voltare) ossa a


nel

lo

ponte

Ammore.

Mi par da correggere

modo

in cui

ho

tradotto; e vorrebbe dire che

Amore
tavano

butta

le

ossa al ponte Ricciardo o ponte della


il

Maddalena, a
si

Napoli, sul Sebeto (per antonomasia


le

ponte): luogo in cui

getaltri

ossa dei giustiziati e suicidi, e le carcasse dei cavalli e di

animali.

42

GIORNATA TERZA

maritarmi a forza, perch'io perdessi questo bel tesoro! Che


far,

disgraziato,

scempio d'ogni piacere, netto

di

consola-

zione,

nudo

di spasso, squattrinato di

contentezza!

Non

cre-

dere, vita mia, ch'io voglia senza di te restarmene in questo

mondo, perch

ti

voglio perseguitare e assediare dovunque

vai, e, a dispetto del dispetto della

morte,

ci

congiungeremo
uffizio
al

insieme; e, se
letto,
ti

ti

aveva presa a compagna di


(')

mio

sar caratarlo

alla

tomba, e un solo

epitaffio nar-

rer l'infortunio di entrambi noi! .

Disse e die di
fortativa sotto la

mano

a un chiodo e

si fece

una cura scon-

mammella mancina, per


La sposa

la

quale lasci scor-

rere col sangue la vita sua.


e,

rest atterrita e gelata;

quando

le

fu possibile sciogliere la lingua e


al

mandar

fuori
tutta

la

voce, chiam la regina, che accorse


corte. Al vedere morti
la
il

rumore con

la

figlio

suo e Renza, e all'apprensi

dere

causa della sciagura, essa

strapp

capelli, e, dibatle stelle

tendosi come un pesce fuor dell'acqua, grid crudeli

che avevano piovuto


la trista

alla

casa sua tante disgrazie e maledisse

vecchiezza, che l'aveva serbata a tanta rovina. Fatto


strillatorio, battitorio,
i

cosi

un grande

strappatorio e schiamaz-

zatorio,

fece collocare

due insieme in

una stessa fossa e

scrivervi sopra la storia delle loro fortune.

In
quale,

quel

tempo stesso arriv


pel

il

re,

padre di Renza,

il

andando

mondo
lo

in cerca della figlia fuggita, s'era

incontrato col ragazzo del romito, che offriva in vendita le


vesti di quella e

che

inform del caso; e

cosi,

persegui-

tando

il

principe ereditario di Vignalarga, giunse proprio nel


le

punto che, mietute

spighe degli anni suoi,

si

stava

per

(i)

Socio, o azionista, d'impresa coinmc.''Cale.

III.

IL

BIANCO VISO

43

calarle nella fossa

('J.

E, vedendo e conoscendo Renza sua,

e piangendola e sospirandola,

bestemmi l'osso maestro, che


(2)

aveva dato

il

grasso alla minestra

delle sue rovine. Quel-

l'osso egli aveva ritrovato a terra nella stanza della figliuola,

e lo riconosceva ora strumento dei crudele caso, avverandosi


a questo modo, in genere e in ispecie,
il

triste

augurio di quei

saltimbanchi, che avevano predetto che Renza sarebbe morta

per un osso maestro, e dimostrandosi chiaramente che

quando un malanno
entra per
le

c' segnato in sorte,

fessure delle porte.

(i)

Allusione alle fosse in cui


le

si

conserva

il

grano. Anche a Napoli

c'erano

fosse del grano


le

di propriet della citt, fuori le

mura,
si

al

posto ove sono ora

case a

man

destra della salita del Museo:

veda

Celano, Notizie
(2)

cit.,

V, 20-22.
si

Nella minestra di erbaggi, per darle sapore,

mette un pezzo di

prosciutto attaccato all'osso.

TRATTENIMENTO QUARTO
SAPIA LICCARDA

Sapia, mentre

il

padre in viaggio,
il

si

mantiene onorata in casa per opera


veniva sopra, ripara

del suo ingegno, nonostante

cattivo esempio delle sorelle: burla l'in-

namorato, e poi, previsto


danno;
e,

il

pericolo che

le

al

in ultimo,

il

figlio

del re se la prende per moglie.

Tutto

il

diletto
il

provato nei racconti precedenti

fu intorbi-

dato all'udire
e
si

caso miserabile di questi poveri innamorati;


afflitti
il

rimase buon pezzo


Il

come quando nasce

la

figlia

femmina.

che vedendo

re,

disse a Tolla che avesse rac-

contato qualcosa di allegro per temperare la passione della

morte

di

Renza

e di Cecio; e quella, ricevuto

il

comando,

si

lasci andare nel


Il

modo che

segue.
la

buon

giudizio

dell'uomo una brava lanterna per

notte dei travagli del

mondo, con
m.ali

la

quale

dato saltare fossi

senza pericolo e

traversare

passi senza paura. Perci,

meglio assai aver senno che tornesi, perch questi vengono


e vanno, e quello
si

trova pronto a

tutti

bisogni. Della qual

cosa vedrete una grande esperienza nella persona di Sapia Liccarda(i\ che, uscendo con
la

tramontana sicura del giudizio


ridusse a

da un immenso golfo

di

travagli, si

buon porto.

C'era una volta un mercante ricco ricco, chiamato Marcone,

(i)

Cio: la savia Riccarda.

IV.

SAPIA LICCARDA
Sabella,

45

che aveva

tre belle

figlie,

Cenza e Sapia Liccarda.


affari,

Ora, dovendo egli andare in viaggio per certi suoi

conoscendo
prima

le

due maggiori per indomabili


inchiod tutte
le

finestraiuole d),

di partire,

finestre di casa e lasci a


si

ciascuna delle figliuole un anello con certe pietre, che

co-

privano di macchie se chi


azioni disoneste.
Si era

le

portava

al

dito

commettesse

appena

il

padre allontanato da Villaperta (cosi

si

chiamava quella
scalare le finestre

terra)

che

le

due

sorelle
agli

cominciarono a

ad
la

affacciarsi

abbaini; nonostante

che Sapia Liccarda,

pi

piccola,

facesse

cose dell'altro
i

mondo,
la

e gridasse che la casa loro


il

non era n

Gelsi, n

Duchesca, n
(2),

fondaco del Cedrangole, n

il

vico

del

Pisciatoio

da praticarvi coteste gherminelle e


il

civetterie.
re, e
i

Proprio di fronte alla casa loro era


figli

palazzo del

tre
tre

del re, Ceccariello,

GrazuUo e ToreO), adocchiate


cominciarono a
far

le

giovinette, che erano

di bell'aspetto,

cenni

cogli occhi, dai cenni


alle parole,

vennero

ai

baciamani, dai baciamani


ai fatti.

dalle parole alle

promesse, dalle promesse

una

sera,

quando

il

Sole per non competere con

la

Notte

(i)

Testo:
,

cavallesse fenestrere:

cavallesse

cavalle sfrenate

fenestrere
(2)

che stanno sempre

alla finestra a civettare.

Luoghi

di vita allegra; pei


i. Il

due

primi, v.

1,

86, nn. 7 e 8,

143,

n. 4 e in questo voi., p. 36, n.

fondaco del Cedrangole

il

pre-

sente vico Cedrangolo, nel borgo di Sant'Antonio Abate. L'altro era

un

lurido budello nel quartiere di Porto, presso !a via di


il

San Bartolom-

meo, che

Basile ricorda
le

anche nella terza egloga delle Musenapolitane,


alla

dove chiama
<

femmine che concorrevano


(il

taverna del Cerriglio


nostri

l'accoppatura

fior

fiore)

de

lo

Pisciaturo. Ai giorni
col

quel

vicolo ha ricevuto

nuova

tabella viaria

nome

di

Vico Stella a

Porto

(3)

Diminutivi di Francesco, Orazio e Salvatore.

46
si

GIORNATA TERZA
ritira

con

le

sue entrate

('),

scalarono

tutti

e tre

la

casa
le

delle

tre

sorelle; e,

intesisi

due
il

fratelli

pi grandi con

due sorelle pi grandi, quando

terzo, Tore, volle dar di

mano

a Sapia Liccarda, questa


la

gli

sfuggi

come

un'anguilla,

si

chiuse in una camera e

puntell cosi saldamente che


il

non

fu

possibile aprirla: tanto che


i

povero ragazzo
quelli

stette a
i

contare

bocconi

ai

fratelli,

e,

mentre
mula.

caricavano

sacchi dal

mulino, esso tenne

la

Al mattino, quando

gli uccelli,

trombettieri dell'Alba, suosi

nano

il

tutti

a cavallo ,
quelli se

affinch le ore del giorno


tutti
lieti

met-

tano in

sella,

ne partirono

della soddisfa-

zione ottenuta, e quest'altro, sconsolato per

la

cattiva notte.

Le due
la loro,

sorelle

vennero subito

incinte;

ma

fu

mala gravidanza

tante ne disse loro la Sapia Liccarda; sicch, mentre

esse gonfiavano di giorno in giorno, quella


in ora,

sgonfiava d'ora
(^^

concludendo sempre che

la
e,

pancia di ramarro

do-

veva portare loro guerra e rovina,


si

quando
le

il

padre tornava,

sarebbero viste ballare allegramente


Intanto
il

pecore.

desiderio, che

Tore aveva concepito per Sapia


per
la

Liccarda, cresceva, in parte

bellezza di

lei,
il

in parte

per averne ricevuto affronto e provato dispetto; e


si

giovane

concert con

le

sorelle
vi

maggiori per

farla

cadere nella

trappola,

quando meno
di ridurla a tale

avrebbe pensato, e quelle presero

impegno

che sarebbe andata a trovarlo nella


le

casa sua stessa. Onde, un giorno, chiamata Sapia,

dissero:

(i)

L'immagine

presa dai baroni che venivano a corte a gareggiare

di

pompe

e sfoggi, e pi particolarmente
affatto, si

da

quelli di essi che, a

un

certo

punto, per non rovinarsi


far vita
(2)

ritraevano dalla gara e tornavano a

parsimoniosa nei loro feudi.


Per analogia, trovandosi negli
scrittori

occhio di ramarro

per

occhio che civetteggia e adesca.

IV.

SAPIA LICCARDA
fatto:

47
si

Sorella nostra,

il

fatto

se

consigli
;

pagassero, o

costerebbero pi caro o sarebbero pi stimati

se noi t'inten-

devamo

dirittamente, certo

non avremmo

afflosciato l'onore

della casa e tesa la pancia,

come

tu vedi.

Ma

quale rimedio
le

a questo?

Il

coltello penetrato fino al


il

manico,

cose sono
Perci non

passate troppo innanzi, fatto

becco
si

all'oca.

possiamo credere che


ci

il

tuo

sdegno

spinga all'eccesso e
e pensiamo che, se

voglia vedere fuori di questo

mondo;

non

per noi,

almeno per queste povere creature che portiamo


ti

nel ventre,

moverai a compassione del nostro stato

Sa
il

il

Cielo

rispose Sapia
e
alla

Liccarda

Quanto mi pianga
alla ver-

cuore per l'errore che avete commesso, pensando

gogna presente

pena che

vi

aspetta,

quando torner

nostro padre e trover tale offesa alla casa sua; e darei un dito
della

mano perch
il

questo brutto negozio non fosse accaduto.


il

Ma, poich

diavolo vi ha tolto
fare,

lume

dagli occhi, dite voi


il

che cosa posso

purch
e,

ci

sia

l'onor mio; giacch

sangue non acqua*'),

all'ultimo degli ultimi,

mi

tira

la

carne, e la piet del caso vostro mi pungolo, e metterei la

mia

vita stessa per rimediare a

quanto accaduto
poi
le

Le

sorelle

la

lasciarono parlare e
altro

dissero:

Noi
ci

non desideriamo

segno dell'affezione

tua se non che


il

procuri un po' di pane di quello che mangia

re,

perch ce

n' venuta tanta voglia, che, se non


rio,

ci

leviamo questo desidesulla


facci

c' rischio che

bambini
sei

ci

nascano con un pane

punta del naso. Perci, se


questo piacere:
i

cristiana,

domani mattina

ti

caleremo dalla

finestra per la quale salirono

figli

del re, e

ti

vestiremo da pezzente, e non sarai conosciuta.

Sapia Liccarda, compassionevole pei poveri bambini che

(i)

Testo:

non

se

fare lattenalte : letteralmente, fior di latte.

48

GIORNATA TERZA
al

dovevano venire
ciosa e postasi

mondo,

ravvoltasi in una veste tutta cen-

un

pettine da lino ad armacollo,

quando
la

il

Sole

alza trofei di luce per la vittoria


si

guadagnata contro

Notte,

rec

al

palazzo del re a pitoccare un tozzo di pane;


si

e,

men-

tre,

ottenuta la limosina,

moveva per andar

via,

Tore, che
sopra.

era istrutto nella malizia dell'appuntamento, subito

le fu

Ma,

nel darle di

mano, Sapia
si

si

volt di schiena, e lo fece


assai

dare nel pettine; sicch egli per un paio di giorni con


la

graffi

bene e rimase

mano
e

malconcia.
la

Avuto

il

pane

le

sorelle

cresciuta

fame

al

misero
giorni,

Tore, quelle tornarono

a confabulare, e,

dopo due

presero di nuovo a sollecitar Sapia, dicendo ch'era loro ve-

nuta voglia di due pere del giardino del

re;

e Sapia

si

mise
''\

addosso un'altra veste e and nel giardino. Qui trov Tore


che subito riconobbe
la

pezzente,

e,

udito

che chiedeva

le

pere, volle di persona salire su


di pere e le gitt in

un albero, spicc una coppia


Sapia.

grembo a

Ma, quando

fece per

scendere e afferrarla, quella pronta lev


tra
il

la scala e lo lasci sii

fogliame, a gridare alle gazze

^^1.

Che, se non giungeva


(3),

per caso un giardiniere a cogliere due lattughe inconocchiate


il

quale lo aiut a discendere, esso restava l tutta


la

la notte:

per

qual cosa

si

morse

le

mani e minacci

di

fare

gran

risentimento.

Ora,

come
;

volle

il

Cielo, le sorelle diedero alla luce

due bei

bambinelli

e dissero a Sapia: Noi siamo

rovinate affatto,
aiutarci,

cara sorella nostra, se tu

non

ti

risolvi

ad

perch

(i)

Testo:

lo

re : evidente

cattiva lettura

del

manoscritto

per

Tore
(2) (3)

servir

da spauracchio

agli uccelli.

Lattuga romana o lattugona, com 'anche detta.

IV.

SAPIA LICCARDA
il

49
e,

poco pu tardare e torner

messere nostro,
ci

trovando
il

questo cattivo servizio alla casa,

governer

in

modo che
ti

maggior pezzo sar l'orecchio. Perci, va'

gi, e noi

por-

geremo

in

un canestro questi due


.

piccolini, e tu portali ai

padri loro, che ne abbiano cura

Sapia Liccarda, ch'era tutta amorevole, quantunque

le sa-

pesse duro di dover sopportare questo travaglio per l'asineria


delle sorelle, si lasci persuadere a scendere in istrada; e, fattisi

calare

bambini,
li

li

port alle camere dei loro genitori,

che non v'erano, e

colloc ciascuno nel letto di ciascuno,

secondo che

si

era destramente informata. Entrata poi nella


le

camera

di

Tore, mise sotto

tende del

letto

una grossa

pietra; e se

ne torn a casa.

quando

principi rientrarono
figlioletti

nelle

loro camere e trovarono quei bei

coi

nomi

dei padri scritti sopra

un

cartellino e cuciti al petto, prova-

rono gioia grande; e Tore, indispettito e amareggialo, perch


lui

solo

non era

stato

degno

di

fare

razza, nel

buttarsi

sul
si

suo
fece

letto, die col

cocuzzolo sulla pietra cosi fortemente che

un grosso bernoccolo.

In questo
volle vedere

tempo torn
gli

il

mercante dal viaggio, e subito


figlie,

anelli

delle

e,

trovando

quelli

delle

due maggiori
voleva metter

tutto macchiati, fece

un chiasso del diavolo; e gi

mano

ai

ferri
i

e tormentarle e bastonarle per


figli

scoprire la verit,

quando

del re

si

presentarono a
il

lui

e gli chiesero le tre figlie in moglie.


lordito e sulle

Rimase
lo

brav'uomo sbaMa, saputo


stati

prime credette che

beffassero.
figli

poi della pratica passata tra loro e dei


il

che n'erano
le

frutto,

si

tenne fortunato; e

si

appuntarono

nozze per

quella sera stessa.

Sapia, che
dispetti

si

passava
fatti

la

mano

sullo

stomaco e ripensava
si

ai

che aveva

a Tore, quantunque

sentisse richie-

G. B. Basilf, Pentamerone

- il.

50
dere
al

GIORNATA TERZA
padre con tanta insistenza, nondimeno immagin che
e che
il

non ogni erba menta,

mantello non era senza


di

peli.

Provvide, dunque, a lavorare subito una bella statua


di

pasta

zucchero

e,

collocatala in

una grande
i

cesta, la coperse

con
pre-

certi vestiti.

La

sera, tra le feste e

balli,
al

mise innanzi
cuore, e
si

il

testo che

le

era venuto

un soprassalto
letto,
i

ritir

per prima in camera da

dove

si

fece portare la
sola,

cesta
dalla

per cangiare (essa disse)

vestiti.

Rimasta

tolse

cesta la statua, la coric e

compose

tra le lenzuola; e poi si

appost dietro

le

cortine, aspettando l'esito del negozio.


gli

Giunta l'ora che


statosi al
le

sposi andassero a letto, Tore, accovi

suo

letto e

credendo che Sapia

fosse
i

coricata,

disse:

Ora mi pagherai, cagna crudele,

disgusti,

che

mi

hai dati; ora vedrai


elefante;

quel che sia a un grillo


le

competere
tutte;

con un

ora,
il

una volta

sconter

per

ti

voglio ricordare
bero,
dire,
e,

pettine di lino, la scala tolta di sotto l'alsfregi ('\

e tutti gli

altri

che m'hai
la

fatti! .

Nel cosi

mise

mano

un pugnale e

pass da banda a banda;


ora mi
voglio

non
il

soddisfatto, aggiunse:

succhiare

anche

sangue!

e,

sconficcato
il

il

pugnale dal petto della

statua e leccatolo, senti

dolce e

il

profumo

del muschio, di

cui

la

statua era cosparsa. E, nell'atto stesso,

si

penti di avere

trafitto

ammazzato una giovinetta

cosi inzuccherata e odo-

rosa; e cominci a lamentarsi della sua furia, dicendo parole

da intenerire
il

sassi,

chiamando

di fiele

il

suo cuore,

di tossico

ferro,

che avevano potuto offendere una cosa tanto dolce e

soave. E, dopo lunghi gemiti, tirato dalla cavezza della disperazione, alz la

mano con

lo stesso

pugnale per trafiggersi.

Ma

Sapia

fu presta a balzare dal

luogo dove stava, e ritenergli

(i)

Testo: tdesquilte: spagn.:

descuido

IV.

SAPIA LICCARDA

SI

la

mano, dicendo: Ferma, Tore! Abbassa queste mani!


di

Ecco un pezzo

quella che tu piangi

eccomi sana e viva


per ostinata, per
fatto

per vederti vivo e verde.

Non mi

tenere

un cuoio

di

montone, se t'ho maltrattato e

qualche

di-

spiacere: eh' stato solamente per esperimento e scandaglio


della costanza e della fede tua; e quest'ultimo

inganno l'ho
.

posto in opera per dare riparo

alle furie di

un cuore sdegnato

cosi gli

domandava perdono

di tutto

quanto era passato.

Lo sposo

l'abbracci con grande affetto, e se la fece co-

ricare a lato e si rappaciarono; e a lui,

dopo

tanti travagli,

seppe pi dolce
della moglie

il

gusto, e stim assai pi quel po' di ritrosia


la tanta facilit

che non

delle cognate, perch,

come

disse quel poeta:

N nuda
la via di

Citerea,

n Cinzia ammantellata:

mezzo sempre

fu pregiata.

TRATTENIMENTO QUINTO

LO SCARAFAGGIO,

IL

TOPO E

IL

GRILLO

Nardiello mandato tre volte dal padre a fare mercanzia con cento ducati

per volta, e compra una volta uno scarafaggio, un'altra un topo


grillo.

e la terza un

Scacciato per questo dal padre, giunge in un

paese, dove, sanando per

mezzo

di questi animali la figlia del re,

dopo

vari casi, le diventa marito.

Assai lodarono
Liccarda;

il

principe e la schiava

il

giudizio di Sapia

ma

lodarono assai pi Tolla, che aveva saputo cosi


di esservi
lista,

ben porgere questo caso, che parve ad ognuno


stato presente; e poich,

seguendo l'ordine
si

della

suc-

cedeva Pepa

al parlare,

essa

comport da Orlando, dicendo

a questo modo:

La Fortuna
uomini
di fogli
dotti,

femmina puntigliosa e fugge


di

la faccia degli

perch costoro fanno pi conto


di

un voltamento

che non delle girate

una ruota; e perci essa pra-

tica volentieri

con gl'ignoranti e dappoco, e non dubita, per


la

ottenere
stolti,

onore presso

plebe, di ripartire

suoi beni agli

nel

modo che

si

pu udire nel racconto seguente.

C'era una volta sul Vomero(') un massaro assai ricco,

chiamato Miccone, che aveva un

figlio

nome

Nardiello,

il

(i)

Luogo presso Napoli

in collina,

che in quel tempo gi comin(v.

ciava a coprirsi di ville e case di

campagna

Celano, Notizie

cit.,

IV, 745 sgg.).

V.

LO SCARAFAGGIO,

IL

TOPO E
trovasse

IL

GRILLO
nella

53

pi

sciagurato bestione che


gaglioffi; di tal
afflizione,

si
il

mai

polmo-

nara('>dei

che

disgraziato padre ne pativa


in qual

amarezza e

non sapendo

modo

e maniera
livello.

indirizzarlo per fargli fare cosa

che riuscisse a sesto e a

Se andava

all'osteria a

porcheggiare coi compagni scrocconi,

era burlato; se praticava con male femmine, prendeva la peggiore carne


e
la

pagava contro

l'assisa

(2);

se giocava nelle
lo

bische, lo trappolavano, lo mettevano in

mezzo e

lasciavano

nudo nudo:
sipato

cosicch, con questo suo bel fare, aveva gi disle

mezzo

facolt paterne.
e,

Miccone tempestava continuamente,


ciando,
gli

gridando e minac-

diceva:

Che

ti

pensi di fare, scialacquone?

Non
di

vedi che

la

roba mia ormai se ne va gi pel fiume? Lascia,

lascia coteste maledette osterie,

che cominciano con


(3);

nome

nemici e finiscono con significato di male

lasciale,

che sono

emicranie del cervello, idropisie della gola e diarree della


borsa; lascia, lascia
sico la vita e
si
il

giuoco scomunicato, che


i

ci

mette a

ri-

rosica la roba, che ci toglie

contenti e ci
in zero, e le

consuma
parole
ti

contanti,

dove

le

zare

ti

riducono
(4).

assottigliano

come

piolo di liuto!
figlia

Lascia, lascia di

sbordellare con cotesta mala razza,

del brutto peccato,

con

la

quale spendi e spandi; per una sordida, consumi soldi;


ti

per una carne disfatta,

disfai e

ti

riduci a spilluzzicare ossa;

che non sono, esse, mere-trici,

ma

mare-trace

(5),

dove

sei

(i)

Come

si

detto, era

una nave vecchia che serviva da ospedale:

V.

I,

128, n. 3.

(2)

Assisa o

tariffa.

(3) Cio,

oste-rie: nella prima parte, oste, hostis, e nella

seconda

rie ,

da

rio ,

malvagio.

(4) Testo: (5)

comm'a

pirolo , propr. bischero.


dell'

La parte superiore

Egeo.

54

GIORNATA TERZA
ti

preso dai turchi! Allontanati dalle occasioni, che cosi


chi dal vizio:
l'effetto
'.
'

stac-

remota

la

causa

',

disse quello,

'

si

rimuove

Eccoti, dunque, questi cento ducati e va' alla fiera


('),

di
tre

Salerno

comprane

tante giovenche,

che,
i

a capo
li

o quattro anni, faranno tanti buoi; cresciuti


ci

buoi,

met-

teremo ad arare e a seminare; seminato,


grano;
e,

daremo a vendere
misureremo
gli

se

ci

capita
al

una buona
un

carestia,
ti

scudi a tomoli, e,

pari di

altro,

compri un

titolo sulla

terra di qualche amico, e


altri
(2).

sarai tu pure titolato,

come

tanti

Perci attendi,

figlio

mio, che ogni cosa ha capo, e


.

chi

non comincia, non continua


Lascia fare a

me

rispose
il

Nardiello,

che

ora far

il

conto mio e tutto deve andare a regola e misura.


Cosi
ti

voglio , replic

padre; e

gli

sbors

tornesi.

Nardiello s'avvi alla volta della fiera;


arrivato alle acque del Sarno
(3),

ma non
di

era ancora

quando, in un bel boschetto

d'olmi, a pie di

un sasso che, per rimedio

un

flusso per-

petuo d'acqua fresca, s'era attorniato di fronde d'ellera, vide

una

fata,

che giocherellava con uno scarafaggio,

il

quale suo-

(i)

La

fiera di

Salerno era

delle pi solenni d'Italia, che

durava

otto

giorni,

cominciando dalla

vigilia dell'apostolo

san Matteo

: la

gente vi

concorreva
qual
si

da luoghi ancor lontanissimi


robba
; si

; vi si

esponevano
il

animali e

sia sorte di

teneva nel luogo dov'era


,

castello

grande
che

(Pacichelli,
(2)

Il

regno di Napoli in prospelliva Napoli,

1703,

I, 174-5).

L'ambasciatore veneto Lipporaano notava, nel 1575,

la facilit

era data ai mercatanti nel regno di Napoli di comprare da un giorno


all'altro feudi, censi e case

per centinaia di migliaia di scudi: v. Croce,

Storia del regno di Napoli, p. 120.


(3)
si

Qui

nella ediz. del 1674, curata dal Sarnelli, e in tutte le seguenti,


le

aggiungono

parole, che, tradotte, suonano:

quel bel fiume, che ha

dato

nome

alia famiglia antica dei Sarnelli :

interpolazione vanitosa o

scherzosa dell'editore.

V.

LO SCARAFAGGIO,

IL

TOPO E

IL

GRILLO

55

nava

di tal

maniera una chitarretta che, se l'avesse udita uno


(').

spagnuolo, l'avrebbe detta cosa superbiosa e grandiosa


Si

ferm incantato Nardiello ad ascoltare, dicendo che avrebbe

pagato una pupilla degli occhi suoi per possedere un animaletto cosi virtuoso;

e la fata gli rispose che, se avesse pagato

cento ducati, glie l'avrebbe dato.

Non

potevi chiedermeli in
li

momento

pi opportuno
le gitt in

replic Nardiello, che


i

ho pronti

e lesti; e
scarafaggio
Stretta

grembo

cento ducati, prendendosi lo

in

una

scatoletta

(2).

questa

sotto

il

braccio, corse al padre, pieno di

una grande

allegria

che

gli saliva

su dai malIeoH, gridando:

Ora
alla

vedrai, messere mio, se io sono


il

uomo d'ingegno,

e se

so fare

fatto

mio; perch, senza straccarmi ad andare fino


la . la scatoletta,

fiera,

ho trovato a mezza strada

fortuna mia, e per

cento ducati ho avuto questo gioiello!


Il

padre,

udendo questo parlare e vedendo


il

tenne per certo che


di diamanti;
la

figlio
la

avesse acquistato qualche monile


cassettina e visto lo scarafaggio,

ma, aperta

vergogna

del dispetto e

il

dolore dell' interesse furono due

mantici che lo fecero gonfiare


leva narrare le virt

come un

rospo. Nardiello vo-

dello scarafaggio;

ma non
non
e,

gli

fu

pos-

sibile pronunziare una parola, interrotto dal padre, che diceva:

Sta' zitto, tura, chiudi questa bocca, tappa;


di

fiatare, razza

mulo,

giudizio
lo

di

cavallo,

testa

d'asino,

sull'istante

stesso, riporta
altri

scarafaggio a chi te l'ha venduto. Eccoti

cento ducati: comprane tante giovenche, e torna subito

(i)

giare,

che

Soberbiosa y grandiosa : accenno al modo iperbolico di fraseg5?r italiani solevano notare negli spagnuoli..

(2)

Testo:

drinto a no marzapaniello , che sarebbe un panierino;

ma, pi

oltre, in

una scatoletta.

56
qui; e
le

GIORNATA TERZA
bada che non
coi denti .
i

ti

accechi

il

diavolo, che

ti

fo

mangiare

mani

Nardiello, presi
e,

denari,

si

avvi verso
di

la torre di

Sarno

('),

giunto

al

medesimo luogo
il

prima, trov un'altra


le

fata,

che scherzava con un topo,


tanze
di

quale faceva

pi belle

mu-

ballo

che mai

si

potessero vedere. Stette per un


i

pezzo a bocca aperta a contemplare


menti,
le capriole,

dainetti^^^ gli atteggia-

le

puntate e le corse di quest'animale, ed


e,

ebbe a strasecolare;
vendeva, che
la
le

infine,

domand

alla

fata

se glielo

avrebbe dato cento ducati. La


i

fata
il

accett

proposta,

e, presi

pezzi d'argento, gli consegn

topo in

una
al

scatola; e Nardiello, tornato a casa,

mostr

la bella

compra

disgraziato Miccone, che

fece cose d' inferno, sbattendosi

come un polpo
e,

colpito, sbuffando

come un
si

cavallo capriccioso;

se

non era per un compare che

trov presente allo

scontro, gli avrebbe preso bene la misura della gobba. In ul-

timo,

il

padre, che era arrabbiato sul serio,


gli

gli

consegn

altri

cento ducati e

disse:

Avverti a

non

farne pi delle tue,

che

la

terza volta
le

non

te la cavi.

Va', dunque, a Salerno, e

compra

giovenche, che, per l'anima dei morti miei, se tu

la sbagli,

povera

la

mamma
solito,
il

che

ti

ha messo

al

mondo!

Nardiello, con la testa bassa, s'avvi alla volta di Salerno,


e,

pervenuto

al

luogo
grillo,

trov una terza

fata,

che

si

di-

vertiva con

un

quale cantava cosi


gente. All'ascoltare

dolcemente che
la

faceva addormentare

la

nuova sorta
e,

d'usignuolo, egli ebbe subito voglia di stringere mercato,


accordatisi per cento ducati, se lo mise in

una gabbietta

for-

(i)

La
Il

torre o castello di Scafati, ch'era sulla

sponda

sinistra del

Sarno.
(2)

daino

era un passo di ballo.

V.

LO SCARAFAGGIO,

IL

TOPO E

IL

GRILLO

57

mata

di

una zucca lunga vuotata e coperta


al

di fuscelli, e se

ne torn

padre.

Il

quale,

quando vide questo terzo

cattivo

servizio, usci dai

gangheri

affatto, die di

mano

a un randello

Io

conci meglio di

come avrebbe

fatto

Rodomonte.

Quando pot

sguizzargli dalle branche, Nardiello prese le

tre bestiole e sfratt dal paese, trottando alla volta di

Lom-

bardia.
figlia

Era col un gran

re,

chiamato Cenzone, che aveva una


la

unica, chiamata Milla,

quale, per una certa infermit,

era caduta in tanta malinconia, che per lo spazio di sette anni


continui

non

si

era pi veduta ridere. Disperato


il

il

padre, dopo

avere provato mille rimedi e speso


gittare

cotto e

il

crudo, fece

un bando che l'avrebbe data per moglie a chi avesse


riso.

saputo moverla a

Nardiello, che ud questo bando,


la

ebbe capriccio

di

tentare

sua sorte,

e,

andato innanzi a
gli disse:
ti

Cenzone, s'offerse di farla ridere. Quel signore


in cervello, camerata, che, se poi la cosa

Sta'
ci

non

riesce,

andr di mezzo

la

forma del tuo cappuccio


Nardiello,

(').

Vada
ci

la

forma e

la

scarpa

replic
la

che
.

io

mi

voglio

provare, accada quel che voglia accadere


Il

re fece

chiamare

figlia

e,

sedutisi entrambi sotto


i

un
che

baldacchino, Nardiello cav dalla scatola

tre animaletti,

suonarono, ballarono e cantarono con tanta grazia e con


vezzi che la principessa scoppi a ridere.
tro
il

tanti

Ma

pianse
si

il

re den-

suo cuore, perch,


a dare
il

in virt del

bando,

vedeva co-

stretto

gioiello delle

femmine a

colui ch'era la feccia

degli uomini. Tuttavia,

non potendo
ti

tirarsi indietro dalla


figlia

pro-

messa, disse a Nardiello: Io


dote,

do mia

e lo stato per

ma

col patto, che se tu, fra tre giorni,


io
ti

non consumi

il

matrimonio,

fo

divorare

dai leoni.

Non ho

paura

(i) Cio, la testa.

58

GIORNATA TERZA
Nardiello,

disse
mare
il

che

in

tre

giorni son

uomo da
prova
si

consu-

matrimonio, tua

figlia

e tutta la casa tua. Adagio,


(':

che andremo, come disse Carcariello

alla

cono-

scono

cocomeri

(2).

Celebrata
portato

la festa nuziale e
la

venuta

la sera,

quando

il

Sole

come mariuolo con

cappa
letto.

sul

capo
il

alle carceri del-

l'occidente, gli sposi

andarono a

Ma

re maliziosamente

fece dar l'oppio a Nardiello, sicch egli russ tutta la notte.

Cosi
In

fu gittato nel serraglio dei leoni.

quel

luogo Nardiello, vedendosi

agli estremi, apri la

scatola degli
trascinato con

animali, dicendo: Poich la sorte

mia mi ha

un

triste

carro a questo doloroso passo,


belli

non

potendo non

lasciarvi,

animali miei, io vi io franchi,


vi pare e piace .

affinch possiate andare

dove

Gli animali, appena liberati, cominciarono a eseguire tante


bagattelle e giocherelli, che
i

leoni rimasero

come
il

statue.

Nardiello, che era gi


cosi:

con

lo spirito ai denti,

topo parl
abbi data

Allegramente, padrone, che, sebbene tu


ti

ci

la libert, noi
ci

vogliamo essere pi schiavi che mai, perch

hai cibati con tanto

amore

e conservati

con tanta

affezione,

e in ultimo ci hai dato segno di tanta tenerezza con l'affrancarci.

Non

dubitare:

chi

bene

fa,

bene aspetta;
fatati;

fa'

bene e

scordatene.
fino a qual

Ma

sappi che noi

siamo

e,

per mostrarti

grado possiamo e valiamo, vienici


.

dietro,

che

esci

da questo pericolo

E, avviandosi Nardiello dietro

di

lui,

il

topo fece subito


il

un pertugio, grande che potesse passarvi un uomo, per

(i) (2)

Locuzione che
I

si

trova anche nel Cortese e in

altri

scrittori.

cocomeri

si

vendono

con

la

prova

cio con

un

taglio sulla

buccia, per accertare che siano ben rossi e saporosi.

V.

LO SCARAFAGGIO,

IL

TOPO E

IL

GRILLO

59

quale, con una salita a scalini, lo condussero sopra in salvo.

Di

lo

menarono a un
tutto quello

pagliaio,

dove

gli

dissero che

co-

mandasse loro

che desiderava, perch non avrebIl

bero lasciato cosa alcuna per dargli gusto. rebbe

mio gusto

sa-

rispose
il

Nardiello

il

che, se

il

re

ha dato un
di

altro

marito a Milla, mi faceste

gran piacere

non

far

consu-

mare

matrimonio, perch sarebbe come consumare questa


vita .

mia sventurata
gli

Questo e niente tutt'uno


aspettaci in

risposero
questa ca-

animali;

sta'

di

buon animo e
il

panna, che ora trarremo fuori

fracido ,
e l

Andarono, dunque,
aveva maritato
la figlia
si

alla

corte,

trovarono

che
"),

il

re

a un gran signore tedesco


la

e che

quella sera stessa

manometteva

botte. Gli animali pene-

trarono destramente nella camera degli sposi e attesero che,


terminato
il

banchetto,
(2),

quando

la

Luna esce a pascere

di ru-

giada

le gallinelle

essi venissero a coricarsi.


la

poich lo
(3),

sposo aveva caricato

balestra e preso carta soverchia

appena

si

ficc sotto le lenzuola, si

addorment
il

e parve che

giacesse scannato.

Lo

scarafaggio, che senti

russare dello

sposo, se ne

sali

pian piano pel lembo del padiglione e s'in-

trodusse lesto nell'ano dello sposo, servendogli da supposta

(i)

curioso notare che l'edizione napoletana del

Muzio, stamri-

pata nel 1714, cangia qui tedesco in inglese; certamente per

guardo verso

molti tedeschi che erano in Napoli, venuta allora in dog' inglesi,

minio degli Absburgo di Austria, e non senza una punta contro


che erano allora mal
politico
visti nei

paesi di casa d'Austria per

il

voltafaccia

da

essi

eseguito negli ultimi anni della guerra combattuta in cola

mune,

e che

aveva condotto, con

pace di Utrecht,

al

riconoscimento

della dinastia borbonica in Ispagna.


(2)

Le

Pleiadi.

(3)

Una

delle

tante immagini per significare

ubbriacarsi

!>:

come

lo

sposo non aveva mancato di fare, da buon tedesco.

6o

GIORNATA TERZA
maniera
il

in tal forma, e sturandogli in tal

corpo, che pot

dire col Petrarca:

d'amor trasse

indi

un liquido

sottile

(').

La sposa, che

intese lo strepito di tale dissenteria,


refrigerio e l'ombra

l'aura, l'odore,

il

(2),

svegli

il

marito, che, visto con

quale profumo aveva dato

incenso all'idolo suo, ebbe a morir di vergogna e a scoppiare


di collera.

E, levatosi dal
a chiamare

letto
i

e fatto

un bucato a

tutta la
la

persona,

mand

medici, che attribuirono

causa

di tale disgrazia al disordine

commesso

nel banchetto.

La
tutti

sera dopo,

si

consigli coi suoi camerieri, che furono

di parere che,

per rimediare a qualche nuovo inconve-

niente, s'imbragasse di buoni panni; e, ci eseguito, s'and

a coricare e di

nuovo s'addorment
il

subito.

Lo

scarafaggio,

che

si

rimise al lavoro per fargli


i

secondo dispetto, questa

volta trov serrati

passi; onde, malcontento, ritorn ai

com-

pagni, informandoli che lo sposo s'era fatto riparo di bende,

argine di

falde

e trincee di

stracci.

Il

topo, ci udito,

gli
farti

disse: Vieni
la

con me, e vedrai se sono buon guastatore a

spianata. E, giunto sulla faccia del luogo, cominci a roi

sicchiare

panni e a lavorare un buco a


gli

livello dell'altro,

per dove, entrando lo scarafaggio,

somministr un'altra

cura medicinale, di maniera che colui fece un mare di liquido


topazio
(3)

gli

arabici fumi infettarono


e, visto al

il

palazzo. Si svegli

l'ammorbata sposa,

lume

della

lampada

il

diluvio

(i)

Son. CLII

(I,

133).

Nel Petrarca: tragge.


(II,

(2)
(3)

Son.

CCLXXXIII

55).

Traslato perfettamente nel gusto dei poeti dei tempo.

V.

LO SCARAFAGGIO,
le

IL

TOPO E

IL

GRILLO

6l

cedrino, che aveva cangiato

lenzuola di Olanda in tabi di


il

Venezia giallo ondato


delle donzelle.

('),

turandosi

naso, fuggi alla camera


i

il

misero sposo, chiamando

camerieri, recit

una lunga lamentazione

della disgrazia sua, che

con cosi

lu-

brico fondamento aveva cominciato a costruire le grandezze


della sua casa.
I

familiari lo confortarono, consigliandogli di


la terza

stare

bene attento

notte, e gli narrarono l'aneddoto

del malato sparacoreggie e del medico mordace, che, lascian-

dosi

il

malato sfuggire uno sparo,


Saniiaiibus; e,

gli

disse, favellando
altro,

da

letterato:

seguendone un

replic:

Vento-

silalibus;

ma, continuando con un terzo sparo, quegli spala

lanc grande
lavoro
al

bocca, e disse: Asinitatibus! Perci, se


fatto nel
il

il

primo

di

musaico,

letto nuziale, era stato attribuito

disordine del mangiare,


pel quale gli
si

secondo

al
il

cattivo stato dello sto-

maco,

era

sommosso
ed

corpo,

il

terzo sarebbe

stato imputato a natura cacaiola,

egli

sarebbe scacciato a
lo

puzzo e a vergogna. Non dubitate

disse

sposo,

che
al

questa notte, dovessi crepare, voglio star sempre vigile, non

lasciandomi vincere dal sonno;

e,

oltre di ci,
il

penseremo

rimedio che
affinch

si

pu usare per otturare


si

condotto maestro,

non mi

dica:

Tre volte cadde ed

alla terza

giacque

(2).

Con
giati

tale

appuntamento, quando
e letto, lo sposo

si
i

fu alla terza notte,

can-

camera

chiam

camerieri,

domandando
non
gli
fa-

loro consiglio circa l'otturamento del corpo, che

(i) (2)
il

Sul tabi di Venezia, v. Garzoni, op.

cit.,

p. 909.

del Caro, nella traduzione dell'Eneide, IV, 1061, e parafrasa

ter revoluta toro est di Virgilio.

62
cesse la
lo

GIORNATA TERZA
terza burla:

perch, quanto allo stare sveglio,


tutti
i

non

avrebbero addormeniato
tra quei servitori
e,

papaveri che sono


si

al

mondo.

Era

un giovane che

dilettava dell'arte del


del

bombardiere;

poich ognuno

tratta

mestiere proprio,

consigli allo sposo di mettersi un tappo di legno

come

si

usa

ai

mortaretti.
lo

Fu

foggiato l'oggetto e adattato saldo


si

come

andava; e

sposo

coric,

non osando toccar

la

sposa, per

timore, in quello sforzo, di guastare l'invenzione, e

non chiuse

occhio per tenersi pronto a ogni movimento dello stomaco.

Lo

scarafaggio, che

non vedeva addormentarsi


la

lo

sposo,

disse ai compagni:

Oim, questa

volta

che resteremo

scornati, e l'arte nostra

non
di
ti

ci

varr a nulla: lo sposo

non

dorme

e
il

non mi d modo
grillo,

continuare l'impresa , * Aspetta

disse

che

ora

servo

E, prendendo a cantare

dolcemente, fece addormentare


rafaggio per praticare
la

lo sposo.

Corse allora

lo

scala

solita siringa;

ma, trovata chiusa

porta e sbarrata la strada, torn disperato e confuso ai pagni, riferendo quel che
gli

comnon

era incontrato.

Il

topo, che

aveva altro

fine

che

di favorire e

contentare Xardiello, imme-

diatamente and

alla dispensa, e,

odorando

di

vaso in vaso,

s'imbattette in un alberello di mostarda di senapa: vi stropicci


la

coda

e,

tornato

di corsa, questi
il

ne unse

le

narici dello

sciagurato
forte fu

tedesco. Subito

prese a starnutire, e cosi


e,

uno starnuto che

tappo scatt via con violenza,


schiena rivolta
alla

trovandosi lo sposo con


in

la

sposa, la colpi

mezzo

al

petto cosi furiosamente che l'ebbe ad


il

ammazzare.

Alle strida della figliuola accorse

re,

domandando che
un

cosa fosse successo: ed essa disse che


petardo
al

le

era stato sparato

petto.

Si

marax-igli

il

re di questa sciocchezza

marchiana, che con un petardo nel petto essa potesse parlare;


e,

alzate le coperte e le lenzuola, trov

il

getto di crusca e

V.

LO SCARAFAGGIO,

IL

TOPO E
fatto

IL

GRILLO

63
alla

il

tappo del mortaretto, che aveva


si

un buon livido
le

sposa: sebbene non

possa dire che cosa


il

recasse maggior

danno, se
Il

il

puzzo della polvere o


il

colpo della palla.


la

re,

veduto

sudiciume e appreso che era

terza

li-

quidazione di strumento, da colui a quel


scacci dal territorio del suo regno;
e,

modo

eseguita, lo

considerando che tutto

questo

gli

era accaduto per la crudelt usata al povero Nar-

diello, se

ne dava pugni

al petto.

Ma, mentre pentito del male


il

che aveva commesso, spargeva


innanzi lo scarafaggio e
Nardiello vivo,
e,

suo lamento,

gli

si

fece

gli disse:
le

Non

vi disperate,

perch

per

sue buone qualit, merita di essere

genero
io

di vostra magnificenza; e, se vi contentate

che venga,

manderemo a chiamare.
buona novella che mi

Oh

sii

il

benvenuto per quemio!

sta

porti,

bello animale

Tu mi
quel

hai dato la vita; tu

mi hai levato da un mare


al

di affanni, perfatto a

ch mi sentivo un rimorso

cuore pel torto

povero giovane. Fammelo venire, che voglio abbracciarlo come


figlio

e dargli mia fgUa per moglie .


il

Udito questo,

grillo

saltellon

saltellone

and

alla

ca-

panna ove

si

tratteneva Nardiello, e, raccontatogli tutto l'acal

caduto, lo condusse

palazzo reale, dove fu

incontrato e

baciato dal re, ed ebbe Milla per moglie. Nel

tempo

stesso,

per

la fatagione
e,

che

gli

dettero quegli animali, divent un bel


il

giovane;

mandato
felici

a chiamare

padre dal Vomero, rima-

sero insieme

e contenti, provando,

dopo

mille stenti e

mille affanni, che

accade pi

in

un'ora che

in

cent'anni.

TRATTENIMENTO SESTO

BELLUCCIA

(')

Belluccia, figlia di Anibruoso della Barra, per essere stata obbediente


al

padre con l'accontentarlo, e per

essersi
si

comportata accortamente

in ci che le era stato

comandato,

marita riccamente con Nar-

duccio, primogenito di

Biasillo Guallecchia,

ed cagione che

le

altre sorelle poverelle siano dal

medesimo dotate e date per mogli


'

agli altri figli suoi.

Non

tanto lo sciagurato sposo ebbe a imbrattarsi con


tutti gli

mansi
il

dar fuori quel diluvio dal ventre, quanto

ascoltatori

scompisciarono dalle
topo; e
il
il

risa all'udire la burla


alla

che a colui us

riso

sarebbe durato fino

mattina appresso, se
si

principe

non l'avesse

fatto cessare

perch

desse orecchio

a donna Antonella, la quale, gi pronta a chiacchierare, co-

minci con questo ragionamento:


L'ubbidienza una mercanzia sicura, che
fa

guadagno

senza rischio, ed possesso tale che in ogni stagione pro-

duce

frutto.

E
la

questo

vi

prover

la

figlia di

un povero con-

tadino, la quale, per essersi dimostrata obbediente al padre,

non
delle

solo apri
altre

strada alla
che,

buona sorte sua


suo,

stessa,

ma

a quella

sorelle,

per merito

furono

riccamente

maritate.

(i)

Nel

testo,

stranamente:

La

serva d'aglie, cio la selvetta di

agli,

che mentovata a principio e non ha alcuna parte nel racconto.

VI.

BELLUCCIA
f')

65

C'era una volta

al

casale della Barra

un

uomo

rustico

chiamato Ambruoso, ch'era padre


tutto ci

di sette figlie

femmine, e

che possedeva per mantenerle all'onore del

mondo

consisteva in una selvetta di agli.

Aveva quest'uomo dabbene

grande amicizia con un riccone


padre di
cio
si
(^),

di Resina, Biasillo Guallecchia,


il

sette figli
il

maschi, dei quali


diritto,

primogenito, Narduc-

che era

suo occhio

gli

casc malato, e non


la

trovava rimedio a quel male, sebbene

borsa stesse sem-

pre aperta.

Un
dire

giorno che
quanti

Ambruoso venne
figli

a visitarlo,

Biasillo

gli

domand
spose:
*

avesse;
innesto

e
di

quello,

vergognandosi di

che aveva

faito

tante

femminucce

gli

ri-

Ho

quattro

maschi e

tre

femmine. Se
di
cotesti
farai
figli

cos,

replic
grande
.

Biasillo,

mandami

uno

tuoi

tener conversazione con mio

figlio,

che mi

un piacere

Ambruoso, che
cosa rispondere e
del capo.

si
si

vide preso in
restrinse

parola,

non seppe che

ad acconsentire con un cenno


entr in una malinconia da

Ma, tornato

alla Barra,

morire, non scorgendo

modo

di

adempiere all'impegno preso


le

con l'amico. In ultimo, chiamando una per una

figliuole,

a cominciare dalla pi grande scendendo alla pi piccola, do-

mand
vestirsi

quale di loro

si

sarebbe contentata

di tagliarsi

capelli,

da uomo e

fingersi

maschio per tenere conversazione

col figlio di Biasillo,

che stava ammalato.

(i)

Allora casale regio


vi

di

Napoli,

insigne per

il

palazzo

la

villa

che

aveva costruito

il

negoziante fiammingo Gaspare Roomer,

dove questi accolse


il

nel 1630 la regina Maria di Ungheria. Lo descrive Memorie dei viaggi per l'Europa cristiana (Napoli, 1685), parte IV, tomo I, pp. 241-5(2) Testo: RenzuUo, che poi divenuto sempre Narduccio.

Pacichkli-I,

G. B. Basu.k, Pentamerone

- il,

66
Subito
forse
la
figlia
il

GIORNATA TERZA
pi grande, Annuccia, rispose:

che

m' morto
Nora,
la

padre, che debbo tagliarmi

le

trecce?.

E
gi

seconda:

Ancora non mi sono maritata, e

mi vuoi vedere vedova rasa?^').

la terza,

Sapatina:

Ho

sempre udito

dire che le

donne

non debbono portar brache.

Rosa,

la

quarta

Marragnao
gli speziali

non mi

ci

peschi

Tu

vai in cerca di quel

che

non hanno

in bottega per

trattenimento di un malato .

La

quinta, Gianna: Di' a cotesto malato che


si

si

metta una

supposta e
cento
fili

salassi,

che

io

non darei un capello

dei mici per

delia vita di

un uomo.

La
e
di

sesta, Leila:

Io sono nata femmina, vivo da femmina,

non

voglio, col travestirmi in

uomo

falso,

perdere

il

nome

buona femmina.

Ma
il

l'ultima covacenere

(^),

che era Belluccia, vedendo che

padre a ogni risposta delle sorelle gettava un dolente sodisse:

spiro, gli
io

Se

per renderti servigio non basta che


in animale,

mi mascheri da uomo, mi cambier anche


le

voglio farmi tra


piacere ,

tue dita

come un

pizzico,

pur

di

darti

Oh,

sii

benedetta!
del
si

disse

Ambruoso:

tu

mi rendi

la

vita in

cambio
al

sangue che t'ho dato. Ors, non perdiamo


foggiano
le trottole.

tempo:
capelli,

tornio

Cosi,
sbirri
la

tagliati

quei

che erano funicelle dorale degli

di

amore, e
a Re-

procacciatole un abituccio strappato da


sina,
letto,

uomo,
figlio,

men

dove
con

fu ricevuta
le

da Biasillo e dal

che giaceva a

maggiori carezze del mondo.

(i)

Garosa:

v.

I,

235, n. 2.

(2)

Teslo:

cacanitola .

VI.

BELLUCCIA
servire
il

67
malato,
il

Partito

Ambruoso, Belluccia rimase a

quale, vedendo tralucere da quegli stracci una bellezza da far


girare la testa, e mirandola e rimirandola e squadrandola tutta,
disse tra se stesso:

Se

io

non ho
la

le

traveggole agli occhi,


del

questa conviene che sia donna:


accusa,
il il

delicatezza
di

volto la
l'attesta,

parlare lo conferma,
lo dice,

il

modo
lo

camminare

cuore

me

Amore me

rivela.

donna, senz'al-

tro;

e sar venuta con questo stratagemma dell'abito maschile


al

a tendere un'imboscata

mio cuore.
siffatto
la

Profondandosi

tutto
gli

in

pensiero,
i

la

malinconia
ritro-

crebbe tanto che

aggrav

febbre e
la

medici lo

varono

in

tristi

condizioni.

Onde

madre,

che

ardeva

d'amore per
questi occhi,

lui,

prese a dirgli: Figlio mio, lanterna di


(')

gruccia e molle

della

vecchiezza mia,

che

vuol dir questo che, invece


salute?

di

riprendere forza, scpiti in


la

possibile

che voglia tenere sconsolata


la

povera

mamma

tua,

senza dirle

causa del tuo male perch possa

apportarvi rimedio? Dunque, gioiello mio, parla, apriti, sfoga,

svapora, dimmi netto che cosa


sideri; e lascia fare a Cola,
i

ti

bisogna, quello che tu dedi darti tutti

che non mancher

gusti del

mondo

.
si

Narduccio, incoraggiato da queste buone parole,

lasci

andare a effondere

la

passione dell'animo suo, dicendo


figlio

come

teneva per certo che quel


e che, se non troncare
il

d'Ambruoso

fosse

una donna,

gli

era data in moglie, era proprio risoluto a


vita.

corso della sua

Piano!
vello,

disse

la

mamma che,

per dar pace

al

tuo cer-

vogliamo

fare qualche

prova per iscoprire se

femmina

(i)

Testo:

molletta.

Le molle per

attizzare

il

fuoco e meglio

ri-

scaldarsi.

68

GIORNATA TERZA
(i).

o maschio, se campagna rasa o arbustata


dere
col,
alla stalla e
il

Facciamolo scen-

cavalcare qualche poliedro di quelli che sono


le

pi selvaggio, perch, se sar femmina,

femmine
e subito

sono

di

poco
fatto

spirito e la

vedremo

filare

sottile ^^\

avremo

scandaglio di cotesti pesi .


il

Piacque
stalla,

al figlio

pensiero e fece andar gi Belluccia alla


di poliedro.

dove

le

consegnarono una mala bestia

Ma

essa, insellatolo e saltatavi sopra,

con un coraggio da leone,

cominci a fare passeggi da stupire, bisce da stordire, ruote

da maravigliare,

salti

da mandare

in estasi, corvette dell'altro

mondo,

carriere da uscir dai panni.

la

madre

disse a Nar-

duccio: Togliti, figlio mio, cotesta frenesia dal capo! Prova:

vedi questo giovane pi saldo a cavallo che

non

il

pi vec-

chio consuma-selle

(3)

di

Porta Reale
si

(*).

Non

per questo Narduccio

tolse quel pensiero,

ma

perglie-

sist a dire

che quella, a ogni modo, era donna, e non

l'avrebbe levato di testa neppure Scannarebecco^s). La madre,

per calmare l'agitazione in cui

lo

vedeva,

gii disse:

Adagio a*

mali passila'). Passeremo alla seconda prova per chiarirti.

E,

fatto

venire

uno schioppo, chiamarono

Belluccia, e le dis-

sero di caricarlo e spararlo. Quella, togliendo in

mano

l'arma,

(i)

Alberata. Serbo la parola nella forma che d'uso nella termino-

logia

agronomica meridionale.

(2) (3)

Aver paura.
Testo: cacaselle, esperto cavalcatore.

(4)

L'antica Porta Reale era stata trasferita dal vicer Pietro di


la chiesa dello Spirito
il

Toledo a capo della via Toledo {presso


al

Santo),

luogo dove

si

vede ora una lapide che ricorda


III,

suo abbattimento

nel 1775
(5) (6)

(Celano, Notizie,
Skanderbeg:
Testo:

3941). Era posto di corrieri e di vetturini.


I,

v. sopra,

21, n.

i.

Adaso, mrola: detto che continua:

ca la via pe-

trosa

VI.

BELLUCCIA

69

mise
la

la

polvere di archibugio nella canna dello schioppo, e


(')

polvere di zanni
il

nel corpo di Narduccio; mise la miccia


al

alla serpentina e
il

fuoco

cuore dell'infermo;

e,

scaricando

colpo, caric

il

petto dello sventurato di desideri amorosi.


la grazia, la

La madre, che vide

destrezza, l'attillatura

con

cui quel giovane aveva sparato, disse a Narduccio:

Levati
far

da quest'angoscia, e considera che una donna non pu


tanto.

Ma

Narduccio, litigando sempre, non


la vita

si

poteva dar

pace e avrebbe messo pegno

che quella bella rosa era

priva di bottone, e diceva alla

mamma: Credimi, mamma


le fiche al

mia, che, se quel bell'albero della grazia d'amore dar solo un


fico a

questo malato,
di venire,

il

malato far

medico. Perci,
altrimenti,
la

vediamo
io

con ogni mezzo,


e,

alla certezza;

me

ne andr a distruzione,

per non trovare

strada di

una

fossa,

me

ne scender

in

un fosso

La misera madre, che


tare
i

lo vide pi

che mai ostinato punlingua, gli disse:

piedi e seguitare a battere

con

la

Te
si

ne vuoi chiarire meglio? Menalo con


vedr se Arco Felice
(-')

te

a nuotare; e qui
(3),

o intruglio

di Baia

se Piazza
.

Larga o Forcella
< Bravo!

(4),

se Circo

massimo o Colonna Traiana

rispose

Narduccio:

non

c' che dire; hai clto

(i)

Qualche polvere che


),

si

vendeva da cerretani

sulle piazze

(onde

di

zanni
(2)

e che

aveva virt eccitante o riscaldante.


at-

Quel grande arco sulla strada da Pozzuoli a Cuma, aperto


il

traverso

monte

Grillo.
.

(3) Testo:

ntruglio de Vaia
i

Con questa

parola quei di Baia

chiamano complessivamente

cosiddetti tempi di Venere, di Mercurio,

di Diana, grandi edifiz rotondi che servivano a uso di terme.

da

so-

spettare che la parola sia corrotta da quella di

trullo

(dal greco bi-

zantino) in uso in alcune parti dell'Italia meridionale per designare ruderi di edifz a cupola.
(4)

Per questi luoghi di Napoli,

v. sopra,

I,

85, n. 9, 86, n. 4.

70
nella punta.

GIORNATA TERZA
Oggi
si

vedr se spiedo o padella, matterello


(').

crivello,

fsolo o bossolo

Belluccia, che

odor

la

faccenda, and a chiamar subito

un garzone

del padre, che era assai furbo e astuto, al quale

die l'istruzione che,


di svestirsi,

come
le

la

vedesse

alla

marina
che
il

sul

punto

accorrendo

portasse

la notizia,

padre suo
la

stava gravemente ammalato e voleva rivederla prima che


trottola

della vita gli

si

arrestasse. Ci fu eseguito puntualalla spiag-

mente; ed erano appena Narduccio e Belluccia giunti


gia e

davano mano

a svestirsi,

quando

il

garzone sopravvenne

e fece l'imbasciata, servendola del primo taglio.

Belluccia,
si

udito quell'annunzio, chiese licenza a Narduccio e

avvi

verso Barra
Il

(2).

malato torn
il

alla

madre con
le

la

testa

bassa, gli

occhi

stravolti,
la

colore gialliccio e

labbra smorte, e
e,

le disse

che

cosa era andata contr'acqua,


si

per

la

disgrazia accaduta,
disperarti

non
la

era potuta fare l'ultima prova.

Non

rispose
(3),

mamma,
figlio,

che

bisogna prendere
corte alla casa

la lepre col

carro
e,

An-

drai,
il

dunque, per

le

d'Ambruoso,

chiamando
ti

secondo che scender presto o tarder,

avvedrai

dell'insidia e scoprirai l'intrigo,

queste parole,

le

guance

di

Narduccio, che s'erano im-

biancate, tornarono a colorirsi di rosso; e la mattina seguente,

quando
stelle,

il

Sole mette

mano

ai

raggi e scaccia con alterigia


e,

le

and

difilato alla

casa d'Ambruoso,

chiamato costui,

(i)

Testo: vosseta, coppa di legno, nel cui mezzo gira la coda


di ferro

di

una bacchettina
Nel
testo:

con coperchio di legno, a uso d'incannare

la seta.
(2)

a la vota de Resina.
al

(3)

Cio, condurre le cose con ponderazione e flemma. Risponde

latino:

bove leporem venati,

si

dice anche in italiano.

VI.

BELLUCCI A

71
al figlio.

gli disse

che
si

gli

bisognava parlare di cose importanti

Ambruoso
tasse

vide a mal partito; tuttavia, rispose che aspetfatto

un momento, che l'avrebbe

scendere subito.
col
delitto
il

E
ge-

intanto Belluccia, per

non essere trovata


si

in

nere

('),

si

spogli gonnella e corpetto,


precipit per le scale;
gli

mise

vestito

da

uomo,

si

ma

fu tanta la fretta,

che

dimentic di levarsi

anelletti dalle orecchie.

Narduccio corse subito con


e,

lo

sguardo a quegli
conosce
il

anelletti,

come

dalle orecchie dell'asino si

cattivo

tempo,

cosi egli dalle orecchie di Belluccia ebbe indizio della serenit

che tanto desiderava. Onde


e
le

l'afferr forte,

come cane

corso,

disse:

Veglio che

tu

mi

sii

moglie, a dispetto dell'in-

vidia, a dispetto della fortuna, a dispetto

anche

della morte! .

Ambruoso, che

udi questo

buon

volere, rispose:

Pur che

tuo padre sia contento, esso con una

mano

ed io con cento! .

cosi tutti d'accordo

andarono
il

alla

casa di Biaslllo, dove

madre

e padre, a vedere

figlio

sano e contento, accolsero

con piacere fuor dell'ordinario

la

nuora. E, volendo sapere da

Ambruoso
di

per quale ragione avesse fatto coteste gherminelle


vestita

mandarla

da uomo, e appreso che era stato per


al

rite-

gno

di confessare
(2)

che aveva messo


disse:

mondo

sette figlie fem-

mine, Biasillo
figlie

Poich

il

Cielo ha dato a te tante


aff,

femmine

e a

me

altrettanti

maschi,

vogliamo

fare

un

viaggio e sette servizi. Va', conducile tutte in questa casa, e


io le voglio dotare,

che,

grazie al Cielo,

ho agresta

(3)

che

basta per tanta fragaglia M,

(i)

Ora

si

direbbe,

in

linguaggio forense,

con

la

generica del

delitto .
(2)

Testo:

Antuono,
il

e cosi pi oltre.

(3) (4)

Salsa per condire

pesce.

Mescolanza

di

minuti pesciolini di vario genere.

72

GIORNATA TERZA
Ambruoso, a queste
parole, si mise
l'ali

per andar a prensi

dere

le altre figlie

e menarle a casa di Biasillo, dove

fece

una

festa

con

sette sposalizi, e le

musiche e
tutti

suoni andarono
si

fino al settimo cielo; e,

restando

allegramente,

vide

chiaro che

non tardarono mai grazie divine.

TRATTENIMENTO SETTIMO

CORVETTO

Corvetto, invidiato

per

le

sue virtuose qualit dai cortigiani del

re,

mandato a

diversi pericoli, ne esce

con grande onore a maggior

dispetto dei suoi nemici, e gli data, infine, l'infanta per moglie.

Avevano

gli

uditori

preso tanto interessamento alla per-

sona di Belluccia che,


cosi
lieti

quando

la

videro maritata, ne furono

e festanti

come

se quella giovinetta fosse uscita dalle

reni loro.

Ma

il

desiderio di ascoltare CiuUa pose tregua al-

l'applauso e
di costei,

gli

orecchi rimasero sospesi

al

moto

delle labbra

che cosi parlarono:

Udii narrare una volta che Giunone, per trovare la Bugia,

and a Candia

(').

Ma

se

uno mi domandasse dove veramente

possa trovarsi l'infingimento e l'impostura, io non saprei insegnargli altro luogo che
la

corte,
fa

dove sempre
da Trastullo,

si

giuoca

alle

maschere, e

la
il

mormorazione

la

maldicenza

da Graziano,

tradimento da Zanni e

la furfanteria
si

da Polunge,
si

licinella^^^ dove, a

uno stesso tempo,

punge e

si

Invenzione tessuta sul detto di Epimenide, serbatoci da san Paolo, Episl. ad Tilum, I, 12: Dixit quidam ex illis, proprius ipsorum pro(i)

pheta: Cretenses

semper mendaces, malae besliae.ventres

pigri.

Il

Basile,

come

si

detto, dimor per alcun

(2)

Note maschere della

tempo commedia

in

Candia,

ai servigi di

Venezia.

dell'arte.

74
spezza e s'incolla

GIORNATA TERZA
Di ci
vi

mostrer solo un

ritaglio col

racconto che sto per farvi sentire.

C'era una volta

al

servigio dei re di Fiumelargo un gio-

vane molto dabbene, chiamato Corvetto, che, pei suoi buoni


comportamenti tenuto
causa odiato e
in

cuore dal padrone, era per


tutti
i

la stessa

mal digerito da

cortigiani.
il

Pipistrelli

d'ignoranza, essi non potevano mirare


Corvetto,
il

lustro della virt di


si

quale a danaro contante di buone azioni

com-

perava
il

la

grazia del signore.

Le aure

dei favori, che gli largiva

re,

erano scirocco all'ernia


altro,

di quegli schiattanti d'invidia;


tutti
i

talch non facevano


tutte le ore,

per

cantoni del palazzo e a

che mormorare, susurrare, bisbigliare, brontolare,

borbottare e sforbiciare addosso a questo pover'uomo, dicendo:

Quale fattucchieria ha gettata sul re quest'animalone, da


cosi

farsi

ben volere? Quale fortuna la sua, che

non passa giorno

che non abbia qualche aggiunta di favori?

noi sempre anfune,

diamo

indietro,

come coloro che

tirano la

e sempre
cani; ep-

scapitiamo di

condizione!

Eppure serviamo come

pure sudiamo come zappatori e corriamo come daini per

imbroccare a perfezione

il

gusto del

re.

Veramente bisogna
s

nascere fortunati a questo mondo, e chi non ha ventura


gitti

a mare: in ultimo,
altre parole

gli

tocca vedere e crepare .

Queste e

uscivano dall'arco della bocca loro,


al

ed erano frecce avvelenate, che andavano


rovina di Corvetto.
della
corte,
uffici

bersaglio della

Oh

misero chi condannato all'inferno


si

dove
si

le

lusinghe

vendono a
i

quadretti
si

(')

mali

misurano a tomoli e

tradimenti

pesano a

(i)

Nella forma in cui a Napoli


v.

si

esponevano
(ras. cit.,

in
ff.

vendita
8-9),

le frutta.

Sul

quadretto napoletano,

Del Tufo

che

lo de-

scrive e ne canta

le lodi e gli

dedica anche un sonetto.

VII.

CORVETTO

75

cantari!

Ma

chi

pu

dire la quantit di bucce di


i

cocomero,
(').

che

gli

posero sotto
il

piedi

per farlo sdrucciolare?


falsit,
il

Chi

pu descrivere

sapone

delle

che spanderono sulla

scala delle orecchie del re, affinch

povero giovane capi-

tombolasse e

si

rompesse

la

nuca del collo? Chi pu naril

rare le fosse d'inganni, scavate dentro

cervello del padrone,

coperte dalle frasche di buon zelo, perch quegli vi precipitasse al fondo?

Ma

Corvetto era

fatato,

vedeva

tranelli e scopriva

trabocchetti, e conosceva le matasse, e s'accorgeva degl'imbrogli, delle insidie, delle trappole, delle tagliuole, delle

trame
orecsa-

e delle furfanterie degli avversari; e stava chi tesi e con gli occhi aparti per

sempre con
il

gli

non smarrire

filo,

pendo che

la

fortuna dei cortigiani di vetro. Pure, quanto

pi continuava questo giovane a salire, tanto maggiore era la


discesa di

malumore

(^'

negli altri, che,


piedi,

non sapendo
le

in ultimo
in-

con qual mezzo levarselo dai


torno a
la
lui

dacch

maldicenze

non acquistavano fede, pensarono di condurlo per


lodi

strada

delle

a un precipizio e spingervelo gi (arte


(3)

inventata a casa calda

e perfezionata nella corte); e questo

tentarono nel

modo che

ora dir.

Scava a dieci miglia dalla Scozia,


sto re,

che era

la

sede di que-

un orco,

il

pi bestiale e selvatico che fosse mai nelre,

l'orcheria.

Perseguitato dal

costui

si

era fortificato in un
vi

bosco avviluppato sopra una montagna, che non

volavano
rice-

nemmeno

gli uccelli,

e tanto intricalo che

non poteva mai

(i)
(2)

Come
Testo:

accadeva, e accade, per


t lo

le vie di

Napoli durante
t

l'estate.

descenzo e

la

scesa , propriamente
.

convulsione e

flussione , bisticcio con


(3)

discesa

L'inferno.

76
vere
la visita del Sole.

GIORNATA TERZA

Aveva quest'orco un bellissimo

cavallo,

che pareva

fatto col pennello, e al quale, tra le altre bellezze,


la parola,

non mancava neppure


lava

perch, per fatagione, par-

come
i

noi

altri.

Ora

cortigiani,

che sapevano quanto malvagio fosse quelil

l'orco, quant'aspro
difficile

bosco e quanto
si

alto

il

monte, e quanto
al

prendere

il

cavallo,
le

misero attorno

re,

contan-

dogli

minutamente
re,

perfezioni di quest'animale, e che era

cosa degna di

e perci doveva procacciare per ogni via

e maniera di toglierlo dalle branche dell'orco; e che da questa

impresa Corvetto sarebbe stato capace di cavar

le
Il

mani,
re,
il

come

giovane esperto e atto a

tirarsi fuori

dal fuoco.

che non

sapeva che sotto

fiori di

queste parole giaceva

serpente,

fece venire subito a s Corvetto e gli disse:

Se mi vuoi bene,

vedi d'avere per ogni

modo

il

cavallo dell'orco,

mio nemico;

che

ti

chiamerai contento e consolato d'avermi reso questo

servigio .

Corvetto, quantunque conoscesse che questo tamburo era

suonato da chi
s'avvi verso
la

gli

voleva male, pure, per obbedire


e,

al

re,

montagna,
sell
il

penetrando quatto quatto nella


montatovi coi piedi
Il

stalla dell'orco,

cavallo, e,

forti

nella staffa, prese la via dell'uscio.

cavallo, vedendosi spro-

nare fuori del palazzo, grid: All'erta, che Corvetto mi porta


via! *. Al grido, scese l'orco

con

tutti

gli

animali che lo serdi l

vivano, e

di

qui vedevi un gatto

mammone,

un orso

del principe

('),

da questa parte un leone, da quella un lupo, un lupo mannaro, per ridurlo a brani.

da

quell'altra

Ma

il

giovane, a forza di buone tirate di briglia, s'allontan dalla

montagna,

e,

galoppando verso

la citt,

giunse

alla corte.

Qui,

(i)

V. sopra,

I,

273, n. 4.

VII.

CORVETTO
il

77
il

al

presentare ch'egli

fece

cavallo,

re Io abbracci

con

maggiore tenerezza che se

gli

fosse stato figlio, e, posta la

mano
sta

a una borsa,

gli

empi
di

le

palme

di patacconi.

Fu quedei

una buona giunta

rabbia al
si

vestito dell'invidia
la
i

cortigiani; e,

dove prima
soffiate di

gonfiavano con

cannella, ora
picconi,
di

crepavano a
quali
si

mantici,

vedendo che
la

coi

pensavano

di

sfabbricare

buona sorte
il

Cor-

vetto, servivano invece a spianargli la strada per


utile suo.

maggior

Tuttavolta, sapendo
bellica
si

che non

al

primo urto
la
il

di

macchina
for-

rompe
al

la

muraglia, vollero tentar


re:

seconda

tuna, e dissero

Sia

con

la

buon'ora

bel cavallo,

che veramente sar l'onore della


il

stalla reale!

Cosi aveste voi


si

paramento

dell'orco, che

una cosa che non


le
il

pu

dire:

la

fama vostra potrebbe andare per


di

fiere

nessun altro

pu accrescere

questa ricchezza

tesoro vostro, se

non

Corvetto, che ha una


servigi ,
Il

mano

fatta

apposta per questa sorta di

re,

che ballava a ogni suono, e


inzuccherati,

di cotesti frutti,
la

amari

bens

ma

mangiava solo
fargli

corteccia,

chiam

Corvetto e lo preg di

avere

il

paramento dell'orco.
fu alla

Corvetto non replic parola,

ma

in quattro salti

mon-

tagna dell'orco, ed entrato senz'esser visto nella camera in


cui quello dormiva,
si

nascose sotto

il

letto

ed aspett acco-

vacciato

fin all'ora in cui la


f')

Notte, per dar da ridere le stelle, fa

un

libro di carnevale

in faccia al Cielo.

E, dopo che l'orco

(i)

Allude probabilmente

al

po|)olar!ssimo Contrasto di Carnevale

e Quaresima, che, con altre composizioni della stessa sorte, pu vedersi


raccolto da L.

Manzoni

nella dispensa i8i della Scella del

Romagnoli,
1881).

intitolata: // libro di

Carnevale dei secoli

XV e

^^'Z (Bologna,

78
e la mop^lic
si

(CORNATA
furono coricati,

IKR/.A

egli stacc zitto zitto

il

para-

mento

della camera; e, volendo portarsi via


tirarla

anche

la coltre,

cominci a
disse
alla

dal

Iclto

pian piano. Si

svegli l'orco e

moglie che non tirasse tanto perch lo scopriva

tutto e gli
tu scopri

avrebbe

fatto venire

qualche mal

di ventre.

Anzi

me,

rispose

l'orca,

che non
la

mi rimasto niente

addosso.
l'orco, e,

Dove

diamine andata
la

coperta?

replic
la

cercando con
Il

mano
il

verso terra, tocc

faccia

di Corvetto. *

monachetto,

monachetto!

si mise

allora

a gridare:
la

genti,
si

candele, accorrete! .

queste voci, tutta


i

casa fu sossopra.

Ma

Corvetto, che aveva gettato

drappi
farle
i

dalla finestra,

lasci cadere sopr'essi, e, fattone

un bel

dello, trott alla volta della citt.

E non
fianchi.

si

possono dire

carezze che
cortigiani,
i

gli

us

il

re,

il

tlispctlo

che ne provarono

(piali

scoppiavano dai

Con
con
la

tutto ci, fecero pensiero di dare

addosso a Corvetto
la
i

retroguardia delle

loro

bricconerie.

il

re

tutto

gioioso pel piacere di possedere quei paramenti,

quali, oltre

ad essere

tli

scia

ricamali d'oro, portavano istoriate pi di


(');

millanla imprese di vali capricci e pensieri

e, tra gli altri,

se mal

non

ricordo,

un gallo
in

in atto di cantare

per l'Alba
ti

che sorgeva, con un motto

toscano: Sol ch'io

miri

'*);

e cosi anche un fiore elitropio afllosciato, con un motto pa-

(i)

Erano

aticora in ((ucl Ifiiiix) in grandissima

voga

le
i

imprese
quali
il

roii
ji

motti e ne trattavano di

proposito moltissimi

libri, tra

ampio
(2)

forse tpiello del FiciNici.M,

Mondo
il

simbolico (Venezia, 1678).


di

K un
a cui

omajigio

al

duca d'Alba, don Antonio Alvarez

Toledo,

ch'era vicer di Napoli (1622-29),


libro, e
egli

quando

Basile

componeva questo
sulla letteratura

dedic nel 1627

la raccolta

completa delle sue Odi, e

indirizz versi in lingua spagnuola: v.

Ckock, Saggi

italiana del seicento^, pp. 21-22, 109-14.

VII.

CORVETTO
(');

79
e tanti e tanti
altri,

rimente toscano: Al cader del sole

che

ci

vorrebbe assai pi memoria e assai pi tempo a contutti.

tarveli

Avendo, dunque,

cortigiani trovato

il

re lieto

e giubilante, gli dissero: Corvetto ha fatto tante e cosi belle

imprese in vostro servigio, che non sarebbe un granch se,


per farvi

un piacere segnalato,

vi

facesse avere

il

palazzo

stesso dell'orco, che degna stanza d'un imperatore, e, anzi,

ha un numero cosi immenso

di

camere dentro e
riuscireste a
le

fuori,

che

pu

starvi

un intero
i

esercito, e
i

non

immaginare
i

quanti sono

cortili,

supportici,

loggette,

gaifil^),

le

latrine a carac(^) e le ciminiere costruite in tufo,

con tanta

architettura,

che

l'arte vi si picca,

la

natura cede vinta e lo

stupore vi sguazza.
Il

re,

che aveva cervello prolifico che subito s'ingravidava,


il

manifest a Corvetto

desiderio che

gli

era nato

ilei

palazzo

dell'orco, e che ai tanti gusti che gli

aveva

dati facesse

que-

st'aggiunta, che l'avrebbe scritta col carbone dell'obbligo nell'osteria della

memoria

(4).

Corvetto, ch'era uno zolfanello

e faceva cento miglia l'ora,


e pervenne
al

si

mise subito

le

gan.be addosso

palazzo dell'orco.
fatto

L'orca aveva allora partorito e aveva

un bell'orchi-

(i)

In questa seconda iini)resa, allude forse a se stesso alla sua poca


ilella

fortuna e al declinare
(2) (3)

sua
I,

vita.

Pei Raifi , V. sopra,

74, n.

i.

Con
le

scale a chiocciola: spagn.

caracol
g''

(4)

Trasl dalle iscrizioni a carbone onde

avventori oziosi sogliono


napoli-

ricoprire

pareli delle osterie. Nella terza egloga delle Mustr


vi
si

pu passare il tempo a vedere tante storie, Pente co lo cravone ad ogni muro. Cc se vede no ntruglio co la vela, Lia n'autro mpiso co no mutto a bascio. Ma chi porrla contare Quanta ditte e sentenze?.. . Si veda anche
il

lane, descrivendosi la taverna del Cerriglio, detto che

CoKTKSic, Ciullo e Pc-rna, a princ. del

1.

vn.

8o
cello;

GIORNATA TERZA
e
il

marito era uscito a convitare


letto,

parenti,

mentre

la

puerpera, levatasi di
il

tutta si

affaccendava a preparare

pranzo. Corvetto, entrato con una faccia da martello, disse:

Ben

trovata,

magna femmina

Bella

massara mia, e perch

rovinare cosi
tanto, e

la

tua salute? Ieri hai partorito, e ora t'affatichi

non

hai

compassione delle carni tue

Che vuoi

ch'io

faccia,

Sono
.

morsi
offerto

rispose l'orca se non ho chi mi aiuta?. qua io replic Corvetto per aiutarti a calci e a Sii benvenuto disse l'orca; giacch sei
il

e,

ti

con tanta amorevolezza, aiutami a spaccare quattro


di

pezzi se

legna

Di grazia,

replic

ancora Corvetto,

non bastano

quattro, siano cinque . E, nel dir cosi, prese


e,

un'accetta affilata di recente


sulla

invece di dare sul legno, dette

nuca dell'orca e

la fece

cadere a terra

come una

pera.

Corse poi presto


fondo e

all'entrata della porta,

scav un fosso pro-

lo ricopri di frasche e di terra, e si

mise a spiare die-

tro la porta.

E, quando vide venire l'orco coi parenti, grid dal cortile:

Testimonianza vostra! Alto

l,

e viva

il

re di

Fiume-

largo! 'i). L'orco, che senti questa bravata,

si

lanci

come

una folgore verso Corvetto per farne una


a furia pel supportico,
lui

salsa;

ma, entrando
insieme dei

parenti dettero

tutt'

piedi nella fossa e rotolarono al fondo,


di pietra,

dove Corvetto, a colpi


la

ne fece una schiacciata. Chiuse poi


chiave
al

porta e ne

port
Il

la

re.
il

quale, visto

valore e l'ingegno di questo giovane, a


dispetto dell'invidia, a crepacuore dei

sfida della fortuna, a

cortigiani, gli die la figlia per moglie; sicch a lui le traverse

(i)

Testo:
I,

testimonia vostra, strunzo

mmiezo

per questa formula

V. sopra,

244, n. 3.

VII.

CORVETTO
la

8l

oppostegli dall'invidia furono falanche<') per varare


della vita sua al
fusi

barca

mare

delle grandezze, e

suoi nemici, conal

schiattati,

furono costretti

ad andare

cesso senza

candela:

che

la

debita pena del mal fare

tarda talvolta,

ma non pu mancare!

(i) Pezzi di

legno incavati nel mezzo e spalmati di sego nell'incavo,


di piccole navi e di barche.

che

si

adoperano pel varo

G. B. Basilk, Pentainerofie

- ii.

TRATTENIMENTO OTTAVO
L'

IGNORANTE

Moscione mandato dal padre a mercatare al Cairo per allontanarlo dalla casa dove si comportava da arciasino. Per la strada, incontra persone virtuose e le conduce con s e, con l'aiuto che gli danno,
torna stracarico d'argento e d'oro.

Non mancarono

intorno

al

principe

Taddeo

cortigiani che

sarebbero scattati per la stizza al vedersi toccati sul vivo, se


proprio l'arte loro non fosse stata quella di dissimulare.
essi avrebbero saputo dire se pi desse loro nel naso
il

N
rin-

faccio

che

si

faceva della loro falsit o l'invidia che portavano

all'udire

della

buona fortuna toccata a Corvetto.


tir

Ma

Paola,

cominciando a parlare,

fuori

dal

pozzo della passione

l'anima loro merc l'uncino di queste parole:

Fu sempre
tica
la

assai pi

lodato un

ignorante se tiene

pra-

con uomini

virtuosi che

non un uomo sapiente che se

faccia con gente dappoco; perch quanto, per opera dei


si

primi,

pu guadagnare
altri,
si

di

agi

grandezze, altrettanto,
di

per colpa degli


prosciutto
rete,
si

pu scapitare

roba e d'onore.

Il

conosce

alla

prova dello stecco; e voi riconoscequello

dal

caso che vi narrer, se vero

che

vi

ho

proposto.

C'era una volta un padre ricco quanto


poich non
si

il

mare,

il

quale,

pu

in

questo

mondo godere
e

felicit intera,

aveva un

figlio cosi

sciagurato

dappoco che non sapeva

vili,

l'ignorante

83
il

distinguere le carrube dai cetrioli.

Non sostenendo
gli

padre

pi oltre quella sua tanta scempiatezza,


zolo di scudi e lo
egli

die un

buon gruz-

mand

a mercatare verso Levante, perch

sapeva che veder vari paesi e praticar genti diverse sveaguzza


il

glia l'ingegno,

giudizio e fa l'uomo accorto.

Moscione (che
prese la via

cosi si

chiamava

il

figlio),

montato a cavallo,
maraviglie
del

verso

Venezia,

arsenale

delle

mondo ('',
pel Cairo
tale

per imbarcarsi su qualche vascello che facesse vela


(2).

Dopo una buona


di

giornata di cammino, trov un

che stava fermo a pie


ti

un pioppo, e
sei,

gli

domand:

Come
la

chiami, giovane mio? Di dove

e quale arte

tua?. Quegli rispose: Mi chiamo Folgore, sono di Saetta

e so correre

come un lampo. Vorrei vederne

la

prova,

replic Moscione; e Folgore:

Aspetta un momento, e vedrai


x>.

se si tratta di polvere o di farina

E, dopo essere

stati

per

un po'

sospesi, ecco per la

campagna una

cerva; e Folgore,

lasciandola passare avanti per un pezzo per darle pi vantaggio,


si

mise a correre

in

modo

cosi straordinario e

con tanta

leg-

gerezza di piede che sarebbe andato sopra una via cosparsa


di farina senza lasciarvi la
salti,

forma della scarpa;


gli

e,

in quattro

la

raggiunse. Moscione, meravigliato,


lui,

domand

se

voleva star con


e Folgore ne
fu

che l'avrebbe pagato profumatamente;

contento, e s'avviarono in compagnia.


altre quattro miglia

Non avevano camminato


rono un
tuo nome, camerata? quale

quando trova

altro giovane, al quale


il

Moscione

disse:

Qual

il

tuo paese? e quale


di

l'arte tua? .

quegli

rispose:
e,

Mi chiamo Orecchio

lepre,

sono

di

Vallecuriosa,

mettendo l'orecchio a

terra,

senza muovermi

(1)
(2)

Pi enfaticamente loda Venezia nella Giornata IV,


Intendi qui,

9.

come

in IV, 9, per Alessandria, e di l al Cairo.

84
di posto, sento
le

GIORNATA TERZA
quanto
si

fa

pel

mondo:

ascolto gli accordi e


il

combriccole che
i

gli artigiani stringono per alterare

prezzo

delle cose,
fiani, gli
i

mali

uffici

dei cortigiani,

tristi
i

consigli dei ruf-

appuntamenti degl'innamorati,
i

concerti dei mariuoli,


i

lamenti dei servitori,

riportamenti degli spioni,

borbotti
altret-

dei vecchi, le

bestemmie dei marinai, che non vedevano


(')

tanto

il

gallo di Luciano

e la lucerna del

Franco

(*J

quanto

sentono queste orecchie mie. Se vero questo,

rispose
E
quegli,
la

Moscione

dimmi:

che

si

dice nella casa mia?.

posto un orecchio a terra, disse:

Un

vecchio parla con

moglie e dice:

Sia

lodato

il

Sol leone, che mi sono levato


(3),

dagli occhi quel Moscione, quella faccia di giornea all'antica

quel chiodo del mio cuore! Almeno, viaggiando pel


si

mondo,

far

uomo

non vorr essere

cosi asino, bestiale, scioccone e


dici
il

perdigiorno

Non

pi

interruppe Moscione, che


il

vero e

ti

credo. Perci, vieni con me, che hai trovato la ven-

tura tua .

Vengo

disse

giovane; e

si

avviarono insieme.

Dopo
al

altre dieci miglia,

incontrarono ancora un giovane,

quale Moscione

disse:

Come

ti

fai

chiamare,
fare al

uomo

dab-

bene mio? dove

sei

nato? e che cosa sai

mondo?.

quegli rispose:

Mi chiamo

Accecadiritto, sono di Castel


balestra

Tiragiusto e so cogliere cosi a segno con una


colpisco in

che

mezzo un melofioccolo

(4).

Vorrei vederne la

(i)

Nel noto dialogo //

g-allo o il sogno.

(2)

Tra

le Pistole

volgari di Niccol
,

Franco

(Venezia, 1538) ve
:

n'ha una

Alla

lucerna

con una lunga

Risposta de la lucerna

satira delle varie condizioni e professioni

umane,

delle quali la lucerna

conosce

segreti (nella ristampa delle lettere del Franco, Venezia, 1604,


si

epistola e risposta
(3)
(4)

leggono a

ff.

183-200).

Testo: quella faccia de giarnea a l'antica.

Vedi sopra,

I,

64, n.

i.

vili,

l'ignorante

85

prova
di

replic Moscione; e quegli, caricata la balestra, tolse


una
pietra.

mira e fece saltare un ceca posto su

Per

la

qualcosa Moscione se lo prese con

gli altri in

sua compagnia.

Camminarono

un'altra

mezza giornata,
la

e trovarono taluni

che fabbricavano un bel molo sotto

sferza del sole, che

potevano dire con ragione: Parrella^'^ metti acqua nel vino,

che m'arde

il

cuore

(2)_

Moscione prov tanta compassione

di quei lavoratori,

che

disse:

come, maestri miei, avete

voi la forza di stare in questa fornace,

dove

si

cocerebbe una

placenta di bufala? .

Uno

di essi rispose:

Noi stiamo freschi


ci

come una
soffia
alle
.

rosa,

perch abbiamo con noi un giovane che

spalle in

modo che

pare che spirino venti di po-

nente
vi
gli

Lasciatemelo vedere,

replic
al

Moscione,

e Dio

guardi .

muratori fecero cenno

giovane, e Moscione
la vita di

domand:

Come

ti

fai

chiamare, per

tuo padre?
ri-

di quale terra sei? e quale professione la

tua?. Quegli

spose: *
fare

Mi chiamo
la

Soffiarello,
i

sono

di

Terraventosa, e so

con

bocca

tutti

venti.
^3),

Se vuoi

Zefiro, te
le

ne

fo

andare

in estasi; se vuoi raffiche


lo

faccio cadere

case. *

Non

credo se non

lo

vedo

disse
il

Moscione; e

Soffiarello

soffi

prima soave che pareva


e,

vento che spira da Posilipo

verso sera,
beri,

subito dopo, voltatosi verso un

gruppo

di al-

mand

fuori tanta furia di vento

che sradic un

filare di

querce.

Vedendo

questo. Moscione
altro tanto,

se lo

prese per compagno.

Camminarono un
vane,
al

e incontrarono
ti

un
ti

altro giosia detto

quale egli disse:

Come

chiami? non

(i) (2)

Manovale

di

muratore.

Debbono
Testo:

essere parole di qualche canto popolare.


i

(3)

refole, che

lessicografi napoletani

spiegano nel senso

di

rifolo

o buffa di vento.

86
per comando. Di dove
tua,

GIORNATA TERZA
sei,

se

si

pu sapere?

quale l'arte

se la

domanda

lecita? . Quegli rispose:


tal

Mi chiamo

Forteschiena, sono di Valentino, e ho

virt

che mi carico
.

una montagna
fosse questo,

sulle spalle e

mi sembra una piuma

Se
il

disse
(')

Moscione

tu
.

meriteresti
al

di essere
di
si

re della

dogana

e saresti insignito del palio


la

primo

mag-

gio
di

(2);

ma

ne vorrei vedere

prova

Forteschiena

caric
pesi,

scheggioni di rupe, di tronchi d'albero, e di tanti


carrette;

altri

che non l'avrebbero portato mille grandi

onde Mo-

scione strinse accordo perch venisse in sua compagnia.

Finalmente, giunsero nel paese di Belfiore, dov'era un re

che aveva una

figlia, la

quale correva

come
le

il

vento e sarebbe
Il

passata sui broccoli

fioriti

senza piegarne

cime.

re

aveva

pubblicato un bando che a chi l'avesse arrivata nella corsa

l'avrebbe data per moglie,

ma

a chi fosse rimasto indietro


si

avrebbe
si

fatto tagliare

il

collo.
la

Moscione
figlia,

present
i

al

re

e
di

offerse

di
le

correre con

fermarono
zucca.

patti
la

battere

con

calcagna o di lasciarvi
dire al re

la

Ma

mattina

dopo mand a

che

gli

era venuto un malore im-

provviso e che, non potendo correre in persona, avrebbe posto


al

suo luogo un

altro giovane.

Venga

chi vuole

rispose

Ciannetella, che era la figlia


fico,

del re:

non

me

ne importa un

e qui ce n' per

tutti ,

(i) Il re dei facchini della (2)

dogana.

Anche a Napoli, al primo di maggio, e nella via che prese il nome di Maio di Porto, si faceva una festa, apparandosi tutta di fiori di ginestra, che fino ai nostri tempi si chiamano fiori di maio; e
vi
si

piantava un lungo arbore di nave, e nella cima

vi si

attaccavano
vi

diversi

premi ed erano

di coloro

che a forza di braccia e destrezza

salivano; e questo giuoco

anche

ai nostri

tempi ritiene

il

nome

di

Maio

(Celano, Notizie

cit.,

IV, 292).

vili,

l'ignorante
di

P7
alla corsa,
le

Cosi, essendo

la

piazza

fitta

gente per assistere

e gli uomini facevano

come formiche

e le finestre e

ter-

razze erano piene


si

come un uovo, comparve Folgore, che


le mos.se.

mise a capo della piazza, aspettando

Ed ecco
a

venire Ciannetella,

con

la

gonna rimboccata

fino

mezza

gamba

e con una scarpetta a una suola bella e attillata che


dieci punti; e, postisi spalla

non passava
il

con

spalla, e sentito

tarata e
i

il

tu-t

della tromba, presero a correre in


le spalle.

modo
con

che

talloni

toccavano

Fa' conto che parevano lepri


dalla
stalla,

inseguite da levrieri, cavalli


le

scapolati

cani

vesciche alla coda, asini col pungolo dietro.


tale era di
e,

Ma

Folgore,

che

nome
il

e di fatto, se la lasci indietro pi di

un palmo;
il

toccato

termine, qui
i

si

senti

il

grido, la baia,

convocio,

gli strilli,

fischi,

il

batter di

mano

e di piede

della gente, che gridava-

Viva,

viva

il

forestiere! .

Ciannetella fece la faccia simile al deretano di uno scolaro

che ha ricevuto

la

spogliazza('), sentendo la

vergogna e

l'af-

fronto di essere stata vinta.


varsi

Ma, poich

la

corsa doveva proe, rientrata

due

volte,

pens

di vendicarsi dello

smacco,

in casa, fece

un incanto a un
si

anello, pel quale a chi lo por-

tasse al dito

piegavano

le

gambe, e non solo non poteva


in

correre,

ma nemmeno

camminare. Quest'anello mand


al

suo

nome
amor

a donare a Folgore, dicendogli di metterlo

dito per

suo. Orecchio-di- lepre, che aveva sentito tutto questo


il

concerto passato tra

padre e

la

figlia,

stette

zitto,

aspet-

tando

l'esito del

negozio.

(i)

LiPiM,

Malmantile, V, 51, traduceiido questo luogo: Or pi

rossa del cui d'uno scolaro.

Dopo

ch'egli

ha toccato una spogliazza


il

e nelle relative note del Minucci spiegata la differenza Ira

castigo

scolaresco della spogliazza e l'altro del cavallo.

88

GIORNATA TERZA
Quando,
al

trombettare degli uccelli,

il

Sole frust
al

la
e,

Notte
fatto

sull'asino delle
il

ombre

('),

due tornarono

campo,

solito segno,

cominciarono a giocar

di talloni.

Ma non

tanto

Ciannetella parve un'altra Atalanta, quanto Folgore era fatto

un asino

spallato

e un

cavallo

sfiancato,
il

che non poteva


pericolo e aveva

muover

passo.

Ora Acceca diritto, che vide

inteso da Orecchio-di-lepre l'intrigo, imbracci la balestra e


tir

una

verretta,

che colpi giusto

al

dito di Folgore

e fece

saltar via dall'anello la pietra, in cui era la virt dell'incanto.

Subito
salti
Il

si

sciolsero a quello le

gambe

irrigidite, e, in
il

quattro

da capriolo, oltrepass Ciannetella e vinse


re,

palio.
di

vedendo
i!

la

vittoria di

un bietolone,

la

palma

un

gaglioffo,

trionfo di

un bestione, rimase

assai perplesso se
i

dovesse dargli o no

la figlia; e,

chiamati a consiglio

sapienti

della sua corte, gli fu risposto

che Ciannetella non era bocdi

cone pei denti

di

uno scalzacane e

un uccellaccio perdidi parola,

giorno, e che, senza macchia di

mancamento

poteva

commutare
bero

la

promessa

in

un donativo

di scudi,

che sareb-

stati di

maggior soddisfazione a quel brutto pezzentone

che non

tutte le

donne
il

del

mondo.
fece

Al re piacque

parere, e

domandare a Moscione
gli

quale premio volesse in cambio della moglie che

era stata
rispose:
sulle

promessa.

Moscione

si

consigli

coi

compagni e
ne

Voglio tant'oro e
spalle

argento quanto
.

pu

portare

uno

dei miei

compagni

il

re fu contento. Si avanz,

dunque, Forteschiena e cominciarono a mettergli sul dorso


banchi di ducatoni, sacchi
di patacche,

borsoni di scudi, barili

(i)

Come

era allora consueto spettacolo di ladruncoli o meretrici

altri

delinquenti, portati per la citt sopra

un asino e

frustati dal

ma-

nigoldo.

vili,

l'ignorante
di catenine e anelli.

89

di

monete

di

rame, scrigni

Ma, per quanto

caricassero, esso stava saldo

come una
i

torre, tantoch,
i

non

bastando

la tesoreria,

le

banche,

bancherotti,

mercanti di
in prestito

cambio
a
tutti

della citt,
i

convenne mandare a chiedere


bacili,
pitali

cavalieri

boccali, sottocoppe,

piatti,

vassoi,

canestri,

perfino
il

d'argento; e neanche bastarono per


ultimo,

formare

giusto
si

peso. In

non stanchi ma

sazi

infastiditi,
I

partirono.

consiglieri,

che videro

la

sterminata ricchezza che


al

si

por-

tavano con loro quattro scalzacani, dissero

re

che era una

grande asineria
e

lasciar

andar fuori

tutto

il

nerbo del suo regno;


di

che perci sarebbe bene mandar gente ad alleggerire

tanto carico quell'Atlante, che sosteneva sulle spalle un cielo


di tesori.
di genti
Il

re accolse

il

consiglio e spedi subito una


li

mano

armate a piede e a cavallo, che


il

raggiungesse.
i

Ma

Orecchio-di-lepre, che senti


e,

consiglio, ne avvis
al

compngni;

mentre

la

polvere

si

levava

cielo per lo sbattere di calla

cagni di coloro che venivano a scaricare


(arello

ricca

soma, Soitutte le

cominci a

soffiare
di

in

modo che non


a
terra,
i

.solo

genti

nemiche dettero

faccia

ma

furono gettate

pi di un miglio lontano,

come fanno

venti settentrionali

a chi va per quei campi.


Co.si,

senz'altro impedimento.

Moscione arriv
soci,

alla

casa
si

del padre, suol dire:

dove del guadagno

fece parte ai

perch

chi
; e

ti

fa

guadagnare

la ciambella e tu dagliene

una scheggia

li

mand

consolati e contenti.
si

Ed

esso rest

col padre, ricco sfondolato, e

vide un asino carico d'oro,

che non

re.se

bugiardo

il

detto:

manda

il

Cielo

biscotti ai senza denti.

TRATTENIMENTO NONO

ROSELLA

Il

gran Turco, volendo fare un bagno nel sangue di un signore,


a catturare in mare e fugge con lui; la
gliate le

manda

un principe; la figlia s'innamora del prigioniero madre la raggiunge e dal principe le sono taprincipe

mani.

II

gran Turco muora di crepacuore; ma, bestemmiata


il

la figlia dalla

madre,

si

dimentica di

lei,

e,

solo

dopo
rl-

varie astuzie che ella adopera, torna alla

memoria

del marito, e

manjiono lietamente insieme.

Fu

ascoltato con grande soddisfazione


tutti

il

racconto di Paola,

e dissero
il

che aveva ragione

il

padre nel voler virtuoso


il

figliuolo,

ma

che per costui cant

cuculo

('),

e,
i

se quelli

intrisero e battettero la pasta, egli aggranfi e


roni.

god

macche-

Toccava ora a Ciommetella

di dire

il

suo, ed essa parl

a questo

modo:
chi vve male, e, se qualcuno fa ec-

Non pu morir bene


loglio

cezione a questa sentenza, corvo bianco; perch chi semina

non pu ottenere grano, e


fiorili.

chi pianta titimalo

non pu
il

raccogliere broccoli

N mi

far trovare bugiarda

rac-

conto,

al

quale ora vengo: pagatemi, vi prego, con spalanle

camenti di orecchi,

mie aperture

di

bocca, perch io mi

sforzer di darvi piacere.

(i) Il

canto del cuculo era tenuto di buon augurio, almeno nei modi
;

di dire degli scrittori dialettali napoletani


lari,

bench, nelle credenze poi)0-

valga, in generale, per l'opposto: cfr. Pitr, Bibl.,

XVI,

392.

IX.

ROSELLA
affetto di lebbra,
i

91

C'era una volta un Gran Turco, che,


trovava
al

non

male alcun rimedio; tanto che

medici, non sapendo


le

a quale espediente ricorrere, per togliersi dattorno


stenze dell'ammalato, pensarono
di

insi-

proporre
gli

una cosa che

tenevano impossibile, e

gli

dissero che

era necessario fare un


Il

bagno
appena
m'era

nel
si

sangue

di

un principe grande.

Gran Turco, non


bramoso co-

senti prescrivere questa fiera ricetta,

di risanare, spedi subito


di scorrere per

una grossa armata per mare


e,

con l'ordine

ogni banda

per mezzo di spie

e di grosse promesse, procurare d'aver tra le

mani qualche

principe.

L'armata, costeggiando dalla parte di Fontechiaro, scontr

una barca, nella quale andava per

diletto Paoluccio, figlio

del re di quel paese, che subito agguantarono, e portarono di

peso a Costantinopoli. Col

medici,

non

tanto per

compas-

sione di quel povero principe quanto per interesse loro, che,

non producendo
pagato essi
in
la

il

bagno alcun giovamento, ne avrebbero

penitenza, vollero dar

tempo

al

tempo

e tirare
il

lungo

la

cosa;

onde persuasero
la

il

Gran Turco che

pri-

gioniero stava assai collerico per e che


il

libert giocata al tressette,


lui

sangue intorpidito avrebbe recato a

maggior danno
il

che beneficio, e perci era necessario sospendere


finch al principe fosse passato

rimedio
in-

l'umore maHnconico, e

tanto tenerlo allegro e dargli cibo sostanzioso, che gli facesse

buon sangue.
Il

Gran Turco, per procurargli


che
la

vita allegra, lo chiuse

in

un

bel giardino,
le

Primavera aveva preso a censo pergli uccelli

petuo, dove

fontane gareggiavano con

e coi fre-

schi venti a chi sapesse

meglio gorgheggiare e mormorare;


figlia,

e mise

con

lui

in

quel luogo sua

Rosella, facendogli
Rosella, tosto che

credere che volesse dargliela per moglie.

Ma

92
vide
le

GIORNATA TKRZA
bellezze del principe, fu
e,

annodata con una gomena

d'amore,

formando una

bella miscela delle voglie sue

con
del

quelle di Paoluccio, s'incastrarono entrambi a

un anello

medesimo
Venuto

desiderio.
il

tempo che

gatti

vanno

in caldo e
<'),

che

il

Sole

piglia gusto a cozzare col

montone

celeste
di

Rosella scopri
il

che

medici avevano risoluto, poich

primavera

sangue
il

meglio temperato, di scannare Paoluccio e preparare

ba-

gno
la

al

Gran Turco. Vero

che

il

padre

le

aveva nascosta
fatagione,

cosa;
il

ma
prese

essa,

che aveva dalla madre


si

la

co-

nobbe
z'altro,

tradimento che
la

tesseva

al

suo innamorato. E, sen-

sua risoluzione,

e,

consegnando

al

principe
se

una

bella

spada, gli disse:

Bocchino

mio

diletto,

vuoi

salvare la libert che tanto cara e

la vita

che tanto dolce,

non perder tempo: abbi


rina,

piedi della lepre, e fuggi alla

ma-

dove troverai una barca;

saltaci dentro, e aspettami, che,

per virt della spada incantata, sarai ricevuto da quei marinai

con l'onore che

meriti,
si

come

se tu fossi l'imperatore.

Paoluccio, che

vide aprire cosi buona strada alla salva-

zione, tolta la spada, s'avvi alla marina,


e fu accolto

dove trov
che
la

la

barca

con grande riverenza da

quelli

guidavano.
carta, la
la

Rosella, intanto, fatto


ficc,

un certo incantamento a una

senz'esser vista n sentita, nella tasca della madre,

quale subito cadde in un sonno profondo, che niente sarebbe


valso a scuotere;

ed essa poi, preso un involto


il

di gioielli,

scese in fretta alla barca, dov'era

principe, e insieme spie-

garono

le

vele.

In questo

mezzo

il

Gran Turco, and


n
il

nel giardino, e,
il

non

trovandovi n

la figlia

principe, mise

mondo

a rumore

(i)

La

costellazione dell'ariete, nella quale

il

sole

si

trova nel marzo.

IX.

ROSELLA

93
gli

e corse tutt'affannato alla moglie;


stare la dormiente,

ma non
le

riusci

di

de-

n con gridi n con

tirate di

naso; tanto
il

che pens che qualche colpo improvviso


timento, e, chiamate
toglierle
si

avesse tolto

sen-

le

damigelle, die ordine di svestirla. Nel


la

che queste fecero

gonna, cess

l'

incanto, ed essa
di tua figlia ce
la

svegli, gridando:

Oim, quella traditora

l'ha fatta: se n' fuggita col principe!

Ma

stia tranquilla:

concer

io per le feste e le taglier

il

passo

Cosi dicendo, scese in furia alla marina, gett


glia
la

una

fo-

d'albero a mare e fece nascere una feluca


i

sottile,

con

quale prese a inseguire


la

giovani fuggitivi. Rosella, che,


tuttavia

sebbene
dell'arte

madre venisse
la

invisibile,

con

gli

occhi

magica vide

rovina che loro cascava addosso,

disse a
mettiti a
cini

Paoluccio: Presto,

cuor mio,
senti
tira

cava fuori

la

lama,
di un-

poppa,

e,

appena
la

rumore

di catene e di

per aggraffare
e

barca,

a occhi
se no,

porco,

a chi
ci

cgli cgli,

zara a chi tocca;

siamo perduti e

impedita la fuga>^.
Il

principe, che vide a repentaglio la pelle sua, stette sul-

l'avviso; e subito

che
raffi,

la

barca della Gran Turchessa, acco-

standosi, gett

tir
le

un gran rovescio che, per buona mani


della Soldana.
alla

ventura, tagli di colpo

La

quale, getla

tando strida da anima dannata, scagli


zione: che
il

figlia

maledisi

principe, al
lei.

primo por piede

alla terra sua,

fosse scordato di

torn indietro, in Turcheria, coi moncherini goccianti


si

sangue, e

present

al

marito, mostrandogli questo dolente

spettacolo, e gli disse:


della fortuna ci
vita .

Ecco, marito
io e tu,

mio, che alla tavola


tu la salute, e io
il

siamo giuocati
le

la

Con
il

queste parole

usci lo spirito e

fiato,

and
in-

a pagare

salario delle lezioni al maestro

che

le

aveva

94
segnato
l'arte
(').

GIORNATA TERZA
Il

Gran Turco, gettandosi

dietro a
le

lei,

come

caprone, nel

mare

della disperazione, segui

pedate della

moglie
calda
(2).

e,

freddo

come

neve,

se

n'and anch'esso a casa

Paoluccio, intanto, giunto a Fontechiaro, disse a Rosella,

che avesse aspettato nella barca, perch

egli

andava a pren-

dere genti e carrozze per portarla in trionfo a casa sua.

Ma

non

cosi presto ebbe posto piede a terra che Rosella gli usci

di mente; e,
finite

andato

al

palazzo reale, vi

fu

ricevuto con infeste e luminarie

carezze dal padre e dalla madre, tra


tre giorni, e aspettando
si

da stordire. Passati
di Paoluccio,
si

invano

il

ritorno

Rosella

ricord della bestemmia lanciatale, e

morse

le

labbra per non avere pensato in tempo a porvi

riparo.

Perci,

come femmina

disperata,

smontata a

terra,

prese una casa di fronte a quella del re, per cercare qualche

modo

di ricondurre alla

memoria

del principe l'obbligo

che

egli le aveva.
1

signori della corte, che vogliono mettere

il

naso dapper-

tutto,

adocchiato

il

nuovo

uccello

venuto in quella casa, e


tra(3\

contemplando una bellezza che usciva da ogni misura,


scorreva
oltre
i

termini, dava nel i^ove delle maraviglie


si
il

faceva eccesso di stupore e

chiamava

fuori dello strasecola-

mento, cominciarono a

farle

moscerino attorno, e spassegalla

giavano e corvettavano dinanzi

sua casa.
le

sonetti anda-

vano a

furia, le
i

imbasciate a torrenti,

musiche a stordimento
e,

di testa,

baciamani fino all'estremo

fastidio;

uno non

sa-

(i)
(2)

Al diavolo.
.\11'

inferno.
altri

(3)

Sui significati mistici del nove e degli


libro del

numeri

si

leggeva

allora

il

Bongo, NiimeroTum mysteria (Bergamo,

1599).

IX.

ROSELLA

95
tutti

pendo

dell'altro,

tutti

tiravano a uno stesso bersaglio, e

cercavano, ebbri d'amore, di spillare la bella botte.


Rosella, che sapeva

come

si

dovessero legare coleste bara


tutti

che, a
tutti

tutti

faceva

buon

viso,

dava intrattenimento,
i

manteneva

in isperanza; e,

volendo infine stringere


di alto

sac-

chi, si

accord secretamente con un cavaliere

grado,

che

le

desse mille ducati e un vestito di tutto punto, e venisse


il

quella notte, che ella gli avrebbe rilasciato


affetto.
Il

deposito del suo

misero vagheggiatore

di finestre

('',

che aveva
i

agli

occhi

le

bende

della passione,

tolse subito a interesse

tor-

nesi, e a credito si fece dare


di

da un mercante un ricco
il

taglio

broccato riccio sopra riccio; e non vide l'ora che

Sole

facesse

cambio e

scarr.bio

con

la

Luna, per cogliere

il

frutto dei
alla casa

desideri suoi. E, venuta la notte,


di Rosella,

and segretamente
bel letto,
;

che trov coricata

in

un

che pareva una

Venere
disse di

in

mezzo a un prato
coricarsi senza

di fiori

la

quale, tutta tenera, gli


la porta.
Il

non

prima serrare

cavaliere,
bella,

a cui parve

far

poco con questo per servire una gioia cosi


la

and per chiudere


che
si

porta;
la

ma

quella

non

tante volte era chiusa


s'a|)riva, di

spalancava: egli

spingeva e quella

maniera
tira e

che

stette
(2),

a fare questo sega va e sega viene, e questo

molla

tutta la notte.

E quando

il

Sole semin di luce d'oro

(i)

Testo:

mprenafeneste

ingravida-finestre:

colui

che

fa all'a-

more p.isseggiando
e cenni.
(2)

sotto le finestre,
lei

guardando se

si

affaccia la

donna

desiderata e cofrispondendo con

dalla strada alla finestra per occhiate

Testo: sto secamolleca e sto tiranimolla


l'inizio di

La prima

parte

anche

una

filastrocca infantile

(Seca moller
i

le

donne

di
ti-

Gaeta, ecc.), che


randoli

le balie

cantano tenendo
poi

bambini sulle ginocchia e


Vedila in

per

le

manine

scostandoli.

Molinaro dkl

Chiaro, Canti del popolo napoletano (Napoli,

1916), p. 43.

96
i

GIORNATA TERZA
arati, egli

campi che l'Aurora aveva

aveva combattuto una

notte intera, quanto grande e lunga, con una maledetta porta,

senza potere adoperare

la

chiave; e, per di pi di questa

com-

missione, ebbe da Rosella una lunga ramanzina e fu chiamato


inetto,

che non era stato da tanto

di serrare

una porta, e pure

aveva preteso
il

di aprire lo scrigno dei gusti di

Amore.

In ultimo,

meschino, indispettito, confuso e scornato, se ne and, caldo


freddo di coda, ad attendere
alle

di testa e

sue faccende.
altro ba-

La seconda sera prese un appuntamento con un


rone e
gli

gli

chiese mille

altri
i

ducati e un altro vestito.

E
il

que(')

and a impegnare

tutti

suoi ori ed argenti agli ebrei


al diletto

per soddisfare un desiderio che porta in cima

penti-

mento; e tosto che


col

la

Notte,

come povera vergognosa,


la

si

copri
(->,

manto

la faccia

per chiedere

elemosina del silenzio

si

present alla casa di Rosella. Ella, che s'era coricata,


di

gli disse

spegnere

la

candela e che poi entrasse nel

letto;

il

ca-

valiere, toltasi la

cappa e

la

spada, cominci a soffiar

la le

can-

dela.

Ma

quanto pi buffava, pi l'accendeva, perch


sua bocca facevano
l'effetto del

ven-

tosit della

mantice
il

al

fuoco
e,

del fabbro; e in questo soffiamento spese tutto

tempo,

per spegnere una candela,


la Notte,

si

consum come
diverse
follie

candela.

E quando
si

per non vedere

le

degli uomini,

na-

(I)

Napoli, per altro,

come

si

ciati nel

154 1 dal vicer Toledo, e,

detto, non c'erano pi ebrei, cacquando furono cacciati, un cronista


ai

deplor che fosse venuta


fatto di prestiti

meno una grande comodit

poveri, e che, in
i

su pegni,

cristiani

cominciassero a far peggio che


ediz. Gravier, p. 66).

giudei non facevano


(2;

(Castaldo, Hisloria,
,

L' abito dei poveri vergognosi

del quale con debita licenza,


in necessit,

si

vestivano cittadini per avversa fortuna caduti


dal

descritto

Vecelmo,
la loro

Habili antichi e moderni,

p.

176,

che

lo dice

sacco o

vesta di tela nera, tutta rappezzata e vecchia, con la quale rappresen-

tano

povert, e un cappuccio,

il

quale

si

mettono

in testa.

IX.

ROSELLA
(')

97
d'in-

scende,
giurie,

il

misero beffato, con un altro dolce sorbetto


via

and

come
si

il

primo.
innanzi
il

Alla terza notte


mille
altri

fece

terzo innamorato con

ducati presi a usura e con un vestito ottenuto per

iscrocco; e, salito quatto quatto all'appartamento di Rosella^

questa

gli disse:
i

Io

non mi voglio coricare


Lascia che
sedere con
(2)

se

prima non
il

mi ravvio
cavaliere;

capelli.
la

ti

pettini

io, rispose

fece

la

testa

nel

suo seno,

e,

credendo
care
i

di arrobbiare

panno

francese, cominci a distri-

capelli col pettine d'avorio.

Ma

quanto pi

si

sforzava
il

di disgroppare quella testa arruffata, pi

rendeva intricato

paese; tanto che indugi


diritto,
e,

tutta la

notte

senza far cosa per


la testa sua,

per ordinare una testa, disordin


al

che

stette
tire la

per batterla

muro. E, come

il

Sole fu uscito a sen-

lezione recitata dagli uccelli e con la sferza dei raggi


i

ebbe percosso

grilli

che avevano ammorbato

la

scuola dei

campi, colui, con un'altra magnifica strapazzatura, se ne usci

da quella casa, freddo e gelato.


In quei giorni, questo cavaliere
si

trov alla conversazione


e cuce,
i

nell'anticamera del re,

dove

si

taglia
si

dove

trista

la

madre che
lazione, si

ci

ha

la

figlia,

dove

agitano
si

mantici dell'adui

trama

la tela

degl'inganni,
i

toccano
la

tasti della

mormorazione, s'intaccano
ranza
gli
(3).

cocomeri per
il

prova dell'igno-

E,

fra gli altri discorsi,


il

cavaliere raccont quanto


stato

era accaduto e
il

tiro

che

gli

era

giocato; e a

lui

rispose

secondo, dicendo: Sta'

zitto:

s' Africa

pianse, Italia

(i) Testo:
(2)

sceroppata
arrobbare
,

,
,

Testo:

che

da sciroppo. qui non avrebbe senso. Suppongo


i

che intenda arrobbiare

cio dipanare

fili

con

la

robbia (francese:

garancer
(3)

).

V. sopra,

p. 5, n.

2.

G. B. Basile, Pentavteione

n.

98

GIORNATA TERZA
rise<'):

non ne

io

pure sono passato per questa cruna d'ago,


.

e perci danno comune, mezzo gaudio


il

questo aggiunse

terzo:

Vedi che
la

tutti

siamo macchiati d'una pece, e pos-

siamo toccarci

mano
ci

senza invidia da parte di nessuno, per-

ch questa traditora

ha lavorati

tutti

a rovescio

del

pelo.

Ma non
sacco.
gazzi .
gli

bene inghiottire questa pillola senza qualche risen-

timento: non siamo noi uomini da essere burlati e posti in un

Perci facciamola pentire

questa barbiera(2),
tutti

truflfara-

cosi

andarono insieme
il

e tre davanti al re e

raccontarono
Il

caso.

re

mand

subito a chiamare Rosella e le disse:


i

Dove
credi

hai appreso coleste arti di truffare


forse che
ti

cortigiani miei.-*

Non

far scrivere alla gabella, baldracca, sgualdrina,

scrofetta? .

Rosella, senza punto cangiar di colore, rispose:


fatto,

Quel ch'ho

stato per vendicarmi di un torto recafar

tomi da uno della vostra corte: sebbene non potrei


cosa
Il

mai

al

mondo che

fosse bastevole a sconto di quell'ingiuria.

re le

comand che

dicesse quale offesa le era stata recata;

ed essa raccont

in terza

persona quanto aveva operato in


l'aveva cavato dalia schiavit, libeai

servigio del principe,

come

rato dalla morte, sottratto

pericoli

d'una maga e portato

sano e salvo

al

suo paese, per esserne poi ringraziata con

una

voltata di schiena e

con un caciocavallo: ch'era ingiuria

allo stato suo, per essere

donna

di alto

grado e

figlia di

chi

aveva sotto

di s molti regni.
il

Quando

re

ebbe udito questo racconto,


la

la

fece sedere
il

con grande onore e

preg

di rivelare chi fosse

disamo-

rato e l'ingrato che l'aveva cosi beffata.

Ed

essa, toltosi

un

(i)

(2)

Pelatrice.

Pktraroa, Trionfo d'amore, II, 83. La parola, in tal significato,

anche nel Boccaccio.

IX.

ROSELLA

99

anello dal dito, disse: Colui al quale andr quest'anello, quegli

sar

il

traditore e l'infedele, che


infilarsi

mi ha piantata!

gett
li

l'anello,

che and a

al

dito del

principe, ch'era

presente, immobile

come uno

stipite; e subito la virt del-

l'anello risali a lui alla testa, e gli torn la


gli
si

memoria perduta,
gli
spiriti
si

aprirono

gli

occhi,

il

sangue

si

risenti,

svegliarono, ed egli corse ad abbracciare Rosella.


sazi di stringere la catena dell'anima sua,

E non

si

non

si

stanc di
del dolore

baciare

il

vaso delle gioie sue; e

le chiese

perdono

che

le

aveva arrecato.
occorre domandare perdono

rori
la

Non

essa rispose di er-

che non
ti

sono prodotti dalla volont. Io so la causa per


scordato di Rosella tua, perch non mi uscita
di

quale

eri

di

mente

la

bestemmia che mi gett quell'anima perduta


ti

mia madre. Ti scuso, dunque, e


mille altre parole affettuose.
Il

compatisco; e aggiunse

re,

conosciuta

la

stirpe di

Rosella e l'obbligo che

le

doveva

pel beneficio usato al figlio,

ebbe caro che


dette

si

congiunprincipe
altri

gessero, e, fatta fare cristiana

Rosella, la

al

per moglie; ed essi rimasero pi soddisfatti di quanti


portassero
il

mai

giogo del matrimonio, e videro

alia fine che:

la

nespola, se

clta acerba e dura,


la

col

tempo

con

paglia

si

matura.

TRATTENIMENTO DECIMO

LE TRE FATE

Cicella, maltrattata dalla matrigna, riceve doni

da

tre fate; e quella, in-

vidiosa, fa andare

alle

fate

la

figlia

sua, che ne riporta, invece,

scorno.

Manda
gli

allora Cicella a

guardare porci, e un grpn signore

s'innamora della giovane e vuole sposarla; ma, per malizia della


matrigna,
in
il

data in
farla

cambio

la figlia brutta, e la figliastra


Il

messa

una botte per

cuocere con l'acqua bollente.


l'altra;

signore scopre
la

tradimento e mette nella botte

sopravviene

madre, che

la spolpa versandole sopra


si

l'acqua calda, e poi, scoperto l'errore,

ammazza.

II

racconto di Ciommetella fu stimato dei pi

beili

che
tutti

s'erano sin allora narrati, tanto che

lacova, vedendo

muti per lo stupore, disse:

Se non fosse

il

comando

del principe e della principessa,

che un argano che mi


punto
zione

tira

un carro che

trascina,

farei

finale alle chiacchiere mie,

parendomi troppa presun-

porre

il

colascione

sfondato della mia bocca accanto

all'arciviola

^')

delle parole di

Ciommetella. Pure, poich cosi

vuole questo signore, mi sforzer di farvi una piccola ricercata


intorno
al

castigo di una

femmina
la

invidiosa, la quale,

volendo

mettere

al

fondo

la figliastra,

port invece alle


<2)

stelle.

C'era una volta nel casale di Marcianise

una vedova,
strumenti

(i)

Specie di grossa viola, che


di

il

Basile ricorda tra gli


delle

moderni
(2)

musica

nella

nona egloga

Muse

napolilane.

Comune

della provincia e circondario di Caserta, e allora casale

di

Capua.

X.

LE TRE FATE
la

lOI
dell'invidia,

chiamata Caradonia, che era

mamma

non
le

poteva mai veder capitar bene a qualche vicina che


si

non

facesse

un nodo

alia gola;

non udiva mai

la

buona sorte
la

di

qualche persona di sua conoscenza, che non

prendesse

di traverso;

n mirava mai femmina o

uomo

contento, che

non

le

venisse l'angina.
figliuola
il

Aveva essa una

chiamata Grannizia, che era

la

quintessenza dei cancheri,


il

primo con

taglio delle orche marine,


la testa

fior fiore delle

botti crepate,

pidocchiosa,

cagli

pelli

scarmigliati, le tempie
il

pelate, la fronte di
i

mazzuolo,

occhi gonfi,
di cernia,
il

naso a bernoccoli,
di

denti incalcinati, la bocca


le

mento a forma
le
^'^;

zoccolo, la gola di pica,


le

poppe a bisacce,

spalle a vlta,
e,

braccia ad aspo e le

gambe
degna

uncino

insomma, da capo a piede era una


e,

versiera,

una squisita peste, un vero accidente,

so-

prattutto, nanerottola, anitroccola, mostricciattolo; e,


ci,

con

tutto

scarafaggino a

mamma

sua pareva bellino.


si

Ora accadde che questa buona vedova

rimarit con un

certo Micco Antuono, ricco massaro di Panicocoli ^^^ che era


stato

due volte baglivo e sindaco


i

di quel casale, stimato assai

da

tutti

panicocolesi, che ne facevano gran conto.


figlia,

Aveva

Micco Antuono dal suo canto una

chiamata Cicella, che


al

non

si

poteva vedere cosa pi bella e mirabile

mondo.

(i) Il testo

aggiunge:

li

taliune a cavola , che

non s'intende;
Villaricca

l'ed.

Sarnelli e le seguenti variano:

a provola
Panicocoli

. ,

(2)

Anticamente Cuculum, poi

ora

co

mune della provincia di Napoli, circondario di Casoria. Essendo diventato nome Panicocoli oggetto di celie tra gli abitanti dei luoghi vicini,
il

non molti anni sono


per isfuggire

fu cangiato in quello di

Villaricca :

bra che, in et remota, fosse stato cangiato quello primitivo di


ai bisticci dei

come gi sem Cuculum

napoletani dell'undecimo o duodecimo secolo.

I02

GIORNATA TERZA
ti

Possedeva un occhio amoroso che


baciarella

affatturava,

una boccuccia
che
sa-

da mandare in
la

estasi,

una gola

di fior di latte

faceva sdilinquire

gente; ed era,

insomma, cosi succosa,

porita, giocherella e leccherella, e aveva tanti vezzi, carezze,

moine e tenerezze, che svelleva

cuori dai petti.


fatta col

Ma

a che

tante parole? basta dire che pareva

pennello, che, a

esaminarla,

non

vi trovavi

una pecca.
al

Caradonia, vedendo che Cicella,


si

paragone della
quaranta
di
(')

figlia,

mostrava come un cuscino

di velluto in

accanto

uno

strofinacciolo di cucina,

uno specchio

Venezia ac-

canto a un culo d pentola unta, una fata Morgana di fronte


a un'Arpia, cominci a guardarla con cipiglio e a tenerla in
gola.

la

cosa

fini

qui, perch

rompendosi

fuori la

postema

formatasi

nel

cuore, e

non potendo essa

stare pi sospesa
la

alla corda, prese

a tormentare a carta scoperta


figlia

mal capisaia frapi

tata giovane.

Alla
di

faceva vestire gonna


(2),

di

pata

corpetto

seta

alla

misera

figliastra

peggiori

cenci e stracci della casa; alla figlia dava pane bianco di se-

molino, alla
faceva stare

figliastra croste di

pane duro e muffito;


(3),

la figlia

come

l'ampolla del Salvatore


U) a

la

figliastra fai

ceva andare su e gi
piatti,
al

scopare
i

la casa,

a stropicciare
il

a rifare

letti,

a lavare

panni sudici, a dare


il

cibo
fac-

porco, a governare l'asino e a gettare

buon pr

vi

(i)

V. sopra,
Testo:

I,

130, n.

i.

(2)

de

sciergliiglie

(3) Si pensato, in questo luogo, al calice dell'ultima cena che

si

serbava a Gerusalemme e poi a Valenza in Ispagna, o all'ampolla,


sante

la

ampoule

, di

Reims:

si

veda

in proposito

il

Rocco

nel

Giambal-

tisla Basile, IV, 86, e,

diversamente, nel Voc. nap., ad v. Ma, pi pro-

babilmente, vorr dire: il Santissimo Sacramento.


(4)

Testo:

comme na

vettola .

X.

LE TRE FATE

I03
di-

eia.

a tutte queste cose la buona giovane, sollecita e

ligente, accudiva

con gran premura, non risparmiando


alla

fatica

per dar nell'umore


Volle
la

malvagia matrigna.

buona

sorte che,

andando

la

poveretta un giorno

a gettare l'immondizia fuori di casa a un luogo dov'era un

gran dirupo,

le

cadde gi

il

corbello; e, mentre essa ricer-

cava con l'occhio come potesse azzeccarlo da quel fondo, che


,

che non ? vide un coso scontraffatto, che non sapeva se

era l'originale di

Esopo o
i

la

copia del brutto pezzente

(').

Era

un orco che aveva


che
gli

capelli
ai

come

setole di porco, neri neri,

ricadevano fino

malleoli; la fronte grinzosa, in cui


fatto dal

ogni piega pareva un solco

vomere;
(2)

le

sopracciglia artal

ruffate e pelose, gli occhi infossati

e pieni di quella

cosa
(3)

che parevano botteghe sudice sotto due grandi sporgenti


palpebre;
la

di

bocca stona e bavosa, dalla quale spuntavano


di

due zanne come


bosco
di

cignale;

il

petto tutto bernoccoli in


e,

un
so-

pelame da poterne riempire un materasso;


gobba, grande
di pancia, sottile di

prattutto, alto di

gamba,

storto di piede; sicch vi faceva scontorcere la bocca per lo

spavento,
Cicella, tuttoch vedesse

una mala ombra da

spiritare, fa-

cendo buon animo,


quel cestello che

gli disse:

Uomo
ti

dabbene mio, porgimi


possa veder prendere

m'

caduto: ch'io

una moglie

ricca ricca!. L'orco rispose: Vien qua, gio-

vane mia, e prenditelo.


alle radici,

E
ai

la

buona ragazza, afferrandosi


s'industri che di-

aggrappandosi

sassi, tanto

(i)

Il

diavolo.
testo aggiunge:

(2)

Il

gaize

(ediz. Sarnelli:

gazze), che non

intende.
(3)

Pennate

tettoie.

I04

GIORNATA TERZA
Tre
fate:

scese. E, in fondo al precipizio, che cosa mai trov?

una pi

bella dell'altra.

Avevano
gli

capelli d'oro filato, le facce


le

di luna in

quintadecima,

occhi che parlavano,

bocche

che facevano

citazioni, a tenore di contratto,

per essere sod-

disfatte di baci inzuccherati.

Che

pi? una gola delicata, uu


tale

petto morbido,

una mano pastosa, un piede tenerino, e

una grazia, insomma, che era onorata cornice a tante


lezze.

bel-

Le
si

fate fecero

a Cicella tante carezze e gentilezze che non


e,

potrebbero immaginare;

presala per mano, la condussero

a casa

loro, in quella grotta

dove avrebbe potuto abitare un

re di corona, e la fecero sedere su tappeti turcheschi e cuscini


di

velluto

piano con fiocchi di canapa

(').

Posero poi

l'una

dopo

l'altra le loro teste in

grembo a
un

Cicella e vollero

che

le

ravviasse; e mentre essa, con


le

pettine di corno di
Bella

bufalo lucente, faceva l'opera sua,

domandarono:

giovane mia, che trovi


bel garbo,

in questa testolina? .

Ed

essa,

con un

rispondeva:

Vi

trovo lendinelli(*) e pidocchini,

perle e granatini .

Piacque

alle

fate

la

buona creanza
i

di

Cicella, e queste
disciolte, la

magne femmine,

intrecciatesi

capelli

che s'erano

condussero in giro con


tutte le meraviglie

loro,

mostrandole a

mano

mano
scrigni

che erano

in quel palazzo fatato:

con

bellissimi intarsi di castagno e di carpino,

col coperchio

di pelle di cavallo e le piastre di stagno; tavole di noce, lu-

(i)

li

testo aggiunge:

de

filato

e cocullo

che non ben s'intende magnificenza appare

cosa

sia;

ma, qui come pi

sotto, l'esaltazione della

scherzosa, commista

com'

di cose ricche e di cose povere, di delicate

e di dozzinali,
(2)

Uova

di pidocchi.

X.

LE TRE FATE
riposti

IO5
di

cide

da speccharvisi
ti

con

castelletti

scodelle

('J,

che

abbagliavano; tende di panno verde infiorato; sedie di


le spalliere;

cuoio con
al vederli,

e tanti e tanti

altri sfog'gi

che ogni

altro,

sarebbe rimasto incantato.

Ma

Cicella,

come non

fosse

il

fatto suo,
al

mirava

le

grandezze di quella casa senza

gridare
In

miracolo, e senza ah! e uh! da villano.


la

ultimo,

fecero entrare in

una guardaroba, piena zeppa


di teletta dello

di vestiti lussuosi, e le fecero

vedere gamurre

spagnuolo, robe con maniche a prosciutto di velluto a fondo


d'oro, coperte
di

cataluffo guarnite
in tralice,

con puntini

di

smalto,
e

moncili

^2)

di

taffett

frontali di fioretti naturali,

gingilli a foglie di quercia,

a conchiglia, a mezzaluna, a
''3)

lin-

gua

di

serpente, grandiglie

con puntali

di vetri turchini e

bianchi, spighe di grano, gigli e pennacchiere da portare sul

capo, granatene di smalto con incastri d'argento, e mille


tre figurette e cianciafruscole
le

al-

da portare appese

alla

gola; e

dissero di scegliere a voglia sua e prendere a piene mani

di quelle cose.

Ma
di

Cicella,

che era umile com'olio, lasciando stare


tolse
fate,

le

cose

maggior valore,
calli.

una gonnella
a veder ci,

sfilacciata,
le

che non va-

leva tre

le

domandarono: Per

quale porta vuoi uscire, grazietta cara?.

Ed

essa abbassan-

dosi a terra e quasi stropicciandovisi tutta, disse:


uscire

Mi basta

per

la

stalla .

Allora

le

fate,

abbracciandola e mille

volte baciandola, le misero

un

vestito magnifico, tutto ricamato


alla

d'oro;

le

acconciarono
nastri

la testa

scozzese, a canestretta e
di fiori,
il

con

tanti

fettucce,

che vedevi un prato

(i)

Testo:

castellere

de privito

che rimane alquanto oscuro.

(2)
(3)

Sorta di sopravveste ampia e lunga: spagn. monjil.


Gorgiera: spagn.

gargantilla

I06
tuppo(i) a perichitto
denti; e
siccio

GIORNATA TERZA
(2)

con l'imbottitura e

le

treccette

pen-

l'accompagnarono
la

fino alla porta, ch'era d'oro

mas-

con

cornice incrostata di carbonchi. Qui


ti

le dissero:

Va', Cicella cara, che

possiamo vedere ben maritata;

e,

quando
vi

sei sotto quella porta, alza gli occhi, e vedi che cosa

sopra
giovinetta, fatta

La

una bella riverenza,

si

parti;

e,

come
stella

fu sotto l'arco della

porta, lev la testa e le

cadde una

d'oro sulla fronte, ch'era una cosa bellissima. Stellata, dunque,

come un

cavallo

<3),

e linda e pinta,

and innanzi
le

alla

matrigna, raccontandole da cima a fondo quanto


caduto.

era ac-

Ma
mina

il

racconto

fu

una botta

alla

testa

per quella fempresto,

invidiosa, la quale
il

non ebbe requie, e presto


fate,

fattosi indicare

luogo delle

vi

avvi quella cernia di

sua

figlia.

La

quale, giunta

al

palazzo incantato e trovate


le

quelle tre gioie di fate, e le

quando

dettero a ravviare

capelli

domandarono che cosa vi trovasse, rispose: Pidocchi,


Ebbero

che ognuno quanto un cece, e lendini, che ognuno grosso quanto una cucchiara
. le fate

stizza e

dispetto pel

modo
la

zotico della brutta villana, e,

conoscendo dal mattino


la

mala giornata, pure dissimularono e

condussero nella
il

stanza delle cose di lusso, dicendole di scegliere

meglio.

Grannizia, vedendosi offrire


afferr la pi bella

il

dito, si

prese tutta
in quegli

la

mano, e

guarnacca che fosse

armadi. Le

fate, a queste villanie l'una sull'altra, restarono interdette;

ma

(i)

Nodo

di
al

capelli

sul

cocuzzolo,
.

senza pettine: corrisponde, in

certo

modo,

frane:

chignon
,

(2)
(3)

Spagn.:

periquito

che era una specie di pappagallo.

Come un

cavallo stellato.

X.

LE TRE FATE

IO7

tuttavia vollero vedere fino a qual


le fecero la

segno sapesse giungere, e


di uscire,

domanda: Per quale porta hai piacere

bella ragazza? per la porta d'oro

o per quella dell'orto? ;


la

ed essa, con una faccia da punteruolo, rispose: Per


gliore

mi-

che c'.

Le

fate,

vista

la

prosunzione della dondi


sale,

nicciuola,

non

le

dettero

rimandarono con
della
stalla,

l'istruzione:
la

nemmeno un pizzico Quando sarai


cielo e vedi

e la

sotto la porta
ti

leva
il

faccia al
e,

che

viene .

E
la

quella usci tra

letame,

alzata la testa

passando sotto
che
si

porta, le cadde sulla fronte

un

testicolo d'asino,

ap-

prese alla pelle e pareva una voglia venuta alla madre quando
era incinta di
lei.

Con questo
donia,
la

bel
al

guadagno, mogia mogia, torn a Carail

quale,

vederla e all'udire

racconto, gett schiuma


partorito, fece
la

dalla bocca, e, rabbiosa

come una cagna che ha


in

subito

spogliare Cicella, l'avvolse


i

un sozzo panno e
gli

mand a guardare
lei

porci,

mentre con

abbigliamenti di

infronzoli la figliuola. Cicella,

con flemma grande e con


la

una pazienza da Orlando, sopport


stata assegnata.

trista
le

vita a

cui era

crudelt da

muovere

pietre della strada,

che quella bocca, degna


sforzata a suonare

di proferire concetti

d'amore, fosse

un corno e a gridare:

Cicco- cicco, enze-

enze!; che quella bellezza, degna

di stare tra proci,

fosse

posta tra porci; che quella mano, degna di tirare per la ca-

vezza cento anime,


scrofe:

si

cacciasse avanti con una bacchetta cento


vizi di chi la

malannaggia

ai

comand
Paura e

a questi boschi,
il

dove, sotto

la tettoia delle

ombre,

la

Silenzio sta-

vano a

ripararsi dal Sole!


il

Ma
fece

Cielo, che calpesta

presuntuosi e solleva
di alto grado,

gli umili,

che capitasse col un signore


il

chiamato
i

Cuosemo;

quale, a

vedere

tra

il

fango un gioiello, tra

I08

GIORNATA TERZA
le

porci una fenice, e tra

nuvole rotte

di

quei cenci

il

Sole

splendente, ne rimase preso cosi forte che

mand

doman-

dare chi essa fosse e dove abitasse. E, appena avute queste notizie,
glie,
si

present alla matrigna e gliela richiese per modi controdotarla di millanta ducati.

promettendo

Caradonia mise subito l'occhio

sul

partito

che

si

offriva,

pensando a sua
nasse sul
renti.
far

figlia;

e perci

rispose a

Cuosemo che
i

tor-

della notte, perch, intanto, voleva invitare


gli

pa-

Quegli and via tutto giubilante, e


il

parve ogni ora

mille anni che

Sole

si

coricasse al letto d'argento, prepa-

ratogli dal fiume dell* India, per coricarsi a sua volta

con quel
ficc

Sole che
Cicella in

gli

ardeva

il

cuore.
la

l'altra,

in quel

mezzo,

una botte e ve

chiuse con disegno di darle una


i

bollitura; e,

giacch essa aveva abbandonato

porci,

con

l'ac-

qua calda
L'aria

lessarla

come

si

fa del
il

porco.
era

era
lupo,

imbrunita e

cielo

diventato
il

simile

bocca

di

quando Cuosemo, che aveva

parosismo e

moriva dalla brama, per dare con una


lezze

stretta alle

amate

bel-

un po'

di

largo all'appassionato cuore, avviandosi con


la

grande esultanza verso

casa di

lei,

diceva: Questa l'ora

appunto

di

andare a incidere l'albero, che


per farne sgorgare

Amore ha

piantato

in questo petto,

manna
il

di dolcezze

amo-

rose! Questa l'ora appunto di scavare

tesoro, che !a For-

tuna mi ha promesso! Perci, non perder tempo, o Cuosemo:

quando
o

ti

offerto

il

porcello, corri

con

la

cordicella

notte,

felice notte,

o amica degli amanti, o anima e corpo, o pen('),

tola

mestolo d'Amore

corri

corri a

precipizio,

perch

sotto la tenda delle

ombre

tue io possa ripararmi dal calore

che mi consuma

(i)

Testo:

Amore

ma

par da correggere

come

si

fatto.

X.

LE TRE FATE
alla

I09
e, in

Giunse, con questi pensieri,

casa di Caradonia,

luogo
di

di Cicella,

trov Grannizia, un barbagianni in cambio


"^^J

un

cardellino, un'erba porcacchia


si

in luogo di
le vesti di

una rosa
Cicella,

sbocciata: la quale, sebbene

fosse

messa

e sebbene
tutto ci
gli

si

dica:

Vesti

Ceppone, che pare barone


in

con

pareva uno scarafaggio


gli

una

tela d'oro;
fattile

conci,

empiastri e

stiramenti e lisciamenti,
toglierle
la

dalla

ma-

dre,

avevano potuto

fosfora dalla testa, le cispe


il

dagli occhi, le lentiggini dalla faccia,


i

calcinaccio dai denti,


la

porri dalla gola,

le

pustole dal petto e


si

sozzura dai

talloni;

e l'afa putida della sentina

sentiva lontano un miglio.

Lo
cosa

sposo, vedendo
gli

questa
e,

sembianza, non

sapeva

che

fosse

accaduto;

dato indietro
s:

come

all'apparir

del diavolo, disse fra

s e

Sono
io

svegliato o

mi sono
io?

calzato gli occhi alla rovescia?

Son
ti

non son

Che

cosa vedo? Sciagurato Cuosemo,

stata rovinata la barca!


(2)

Questa non
la

la

faccia

che stamattina

mi ha

afferrato per

gola; questa

non l'immagine che mi rimasta dipinta


dir ci,

nel cuore.
lezza,

Che vuol

o Fortuna? Dove, dov'


l'argano

la

bella

l'uncino

che mi aggranfi,

che mi

tir,

freccia

che mi trapass? Sapevo bene che n femmina n


di candela;

tela

a lume
sole.

ma

questa io

me

l'accaparrai
si

lume

di

Oim, che
il

l'oro di stamattina
.

mi

stasera,

mutato

in

rame e

diamante in vetro!
altre parole

Queste e

mormorava

e borbottava tra

denti;

pure, alla fine, costretto dalla necessit, die un bacio a Grannizia,

ma come

se baciasse un vaso antico, che


le

avvicin e

scost pi di tre volte

labbra prima di toccare

il

muso

della

(i) Testo:
(2)

n'erva noale.
hiercuntiua
.

Testo:

no

GIORNATA TERZA
gli

sposa; alla quale accostatosi,


di Ghiaia, la sera,

parve

di trovarsi alla

marina
tri-

quando

quelle

magne femmine portano

buto
tanto
alla

al
il

mare
Cielo,

d'altro che di odori d'Arabia (). E, poich in-

per

parer giovane,
la

si

era fatta la tinta nera

barba bianca, e

terra di questo signore era

molto

di-

stante,

egli fu costretto a portarsi la

sposa a una casa poco

lontana dai confini di Panicocoli, dove, acconciato un saccone

sopra due casse,

si

coric con

lei.

Ma

chi

pu

dire la

mala notte che passarono l'uno e


di estate e

l'al-

tra? che,

quantunque fosse

non giungesse a

otto

ore, pure parve loro pi lunga della pi lunga notte dell'in-

verno. Dalla sua parte,

la

sposa, irrequieta, tossiva,


e,

si

spur-

gava, tirava qualche calcio, sospirava

con parole mute, chiefaceva finta di

deva

il

censo della casa


si

affittata;

ma Cuosemo
letto

russare e tanto

ritir sulla
il

sponda del

per non toccare

Grannizia, che, mancatogli

saccone, cadde sopra un ori-

nale, e la cosa riusci a puzzo e vergogna.


lo

Oh

quante volte

sposo bestemmi

morti

(2)

del Sole, che indugiava tanto

(i)

La

nostra sconcissima architettura e cattiva distribuzione de-

gli

appartamenti
cui
si

scrive

il

Galiam

{Voc. nap.,
capitale,

I,

280-2)

e la strettezza

con
le

abita in

una popolatissima

rendono

sensibile in tutte

case questo necessario servizio. Nel borgo di Chiaia non solo sen-

sibile

ma

importuno, giacch, essendo quelle case edificate tutte a

livello

del mare, e, per

non

esservi caduta bastante,

non essendosi potuto

nelle

case costruir le chiaviche e condotti sotterranei, conviene che lo schifoso

votamento
e

si

faccia alla marina, attraversando la nobilissima strada del


.

pubblico passeggio

Le ore dHla sera

si

dicevano perci
il

ore iettatone
di

ore fetorie; e la prima ora di notte prese anche


,

nome

ma-

l'ora di Chiaia

e a questo

modo

designata perfino in atti legislativi


,

{Collez. delle
(2)

prammatiche,
rivolge

ediz. cit

tit.

CLXXI,
alla

n. CVII).

Secondo l'uso del volgo napoletano, e


si

forse di altri

volghi,
si

l'imprecazione
vuol offendere,

non direttamente

persona di colui che

ma

ai

suoi

prossimi (madre, sorella, ecc.), e ai suoi

morti

come

quelli dei quali colui riverisce la

memoria.

X.

LE TRE FATE

III

per tenerlo pi lungo tempo sotto quel pressoio! Quanto preg

che

la

Notte corresse a precipizio, rompendosi


sprofondassero, per togliersi
!

il

collo, e le
la

stelle

da canto, con

venuta

del giorno, quel brutto giorno

Ma non
svegliare
i

cosi presto l'Alba usci a cacciare le gallinelle


galli,

(')

e
le

egli salt

dal letto, a stento

si

appunt

brache e and
la figlia e

di corsa alla casa di

Caradonia per rinunziarle


di scopa.

pagamele l'assaggio con un manico


al

Non

la

trov nell'entrare, che era andata

bosco per un fascio

di legna

con l'intento
la

di

mettere

al

fuoco l'acqua per bollire


la

la figliastra;

quale stava tappata dentro

tomba

di Bacco,

laddove meritava di essere esposta nella culla d'Amore.

Cuosemo, cercando invano Caradonia per


dendo che era
sparita,

la

casa, e ve.

cominci a gridare: Ol, dove state?


la

Ed

ecco che un gatto soriano, che covava

cenere, all'im-

provviso
la botte,

mand una

voce:

Gnao gnao!
!

tua moglie dentro


.

chiusa e inchiodata: gnao-gnao

Cuosemo

si

ac-

cost alla botte e senti un certo lamentio cupo e fioco; onde,

presa subito un'accetta che era appesa presso


sci la botte, e
tela di
il
il

il

focolare, sfail

cader gi delle doghe parve


t^),

cader della

una scena

sulla quale

una Dea

si

avanzi a recitare

prologo.

Non

saprei

dir

come, a tanto splendore, Cuosemo non

cascasse morto di colpo;

ma

stette

per un certo tempo

come

coi

(i) Le Pleiadi mitologicamente, le colombe, a cui d la caccia Orione due cani Sirio e Procione: v. sopra, p. 59, n. 2. (2) Per solito, allora la tela delle scene non si levava, ma cadeva.
:

Nel gi ricordato Monte


Basile,
si

Parnaso (Napoli,
al

1630),

che del

nostro

legge:

Si

vede primieramente,

cader d'un'ampia
teatro,

tela,

nella

maggior sala del Real Palaggio un spazioso


.

che boscareccia

scena rappresentava...

112
chi ha visto

GIORNATA TERZA
il

monachetto, e poi, tornato

in s, corse

ad ab-

bracciare Cicella, interrogandola affannosamente: Chi

ti

aveva

posto in

questo

triste

luogo, o gioiello del

mio cuore? Chi

mi

ti

aveva nascosta, o speranza della mia vita? Che cosa

questa? La leggiadra colombella in una gabbia di cerchi? e


venire, invece di
lei,

al

fianco mio, l'uccello grifone?

Come

va questo

fatto? Parla,

boccuccia mia bella; consola questo


.

spirito, lascia sfogare questo petto!

Cicella
iota,
la

gli

raccont

lutto

l'accaduto, senza lasciarne

un

quanto aveva

in passato sofferto in casa dal


al

giorno che
che,

matrigna vi mise piede, via via fino


la

momento

per toglierle
ci,

vita('),

l'aveva sotterrata in una botte. Udito


porta; e, rimessa
la ficc

Cuosemo
la

la

fece rimpiattare dietro la

insieme

botte,

and a chiamare Grannizia e ve

dentro, dicendole: Sta' qui un po', tanto ch'io faccia eseguire

un incantamento,

affinch

mali occhi non

ti

possano nuol

cere . Poi, abbracciata Cicella, la lev su un cavallo e se

port a Pascarola

(-),

che era

la terra

sua.

Tornata Caradonia con una gran fascina, accese un gran


fuoco e vi pose sopra una grande caldaia d'acqua;
l'acqua cominci a bollire, la vers attraverso
botte e
il

e,

quando

buco nella

spolp tutta

la

figlia,

che digrign
le si

denti

come

se

avesse mangiato l'erba sardonica, e


al

stacc la pelle

come

serpente, allorch getta la scoglia. E,


steso
i

quando giudic che


botte.

Cicella avesse

piedi,

ruppe

la
la

Ma, trovando
figlia cotta

invece (ahi, vista! ahi, conoscenza!)

propria

da

una cruda madre,

si strapp le ciocche, si graffi

la

faccia,

(i)

Testo:

per levarele

la

cannella.

Bacco Thaveva sotterrata a

na volte
(2)

che certo lezione corrotta.


I,

V. sopra,

22,

n.

i.

X.

LE TRE FATE
mani, cozz con
la testa

II3
contro

si
i

picchi

il

petto, batt le
i

muri, pest
vi

piedi a terra, e fece tanto lutto


il

piagnisteo

che

accorse tutto

casale.

E, poi ch'ebbe fatto e detto

cose dell'altro mondo, che non bastarono conforti a consolarla

n consigli a mitigarla, and

di corsa a
il

un pozzo, e col

ziffete,

con

la testa in gi, si

ruppe

collo,

mostrando quanto

sa vera quella sentenza:

Chi sputa in cielo,

gli

ritorna

in faccia.

G. B. Basilb, Pentamerone

il.

Era

finito

appena questo racconto, che, conforme all'ordine


si

dato dal principe,

videro comparire Giallaise e Colaiacovo,


i

l'uno cuoco e l'altro cantiniere della corte,

quali, vestiti

da

vecchi napoletani, recitarono l'egloga che segue:

LA STUFA
Egloga

Giallaise e Colaiacovo.

GiAL.

Oh, Cola, ben trovato!

Col.

Ed

a te benvenuto, Giallaise!
vieni?

Dimmi, donde ne
GiAL.

Dalla stufa

(0.

(i)

Stufe

si

chiamavano bagni
i

caldi.

Il

Dkl Tufo
Ne
le

(ms.

cit.,

f.

79)

loda l'arte degli

stufaioli napolitani:

Cosi

tant'altre ninfe

Sen van
mestiere
i

spesso a stufire In cosi ralde e profumate

linfe,
i

cui
fatto

stufe rare
il

Da Da

slufaiol predelti Si

tengon

ivi

preparati

letti:

Dove,

quei miei siufaiol tanto cortesi, La

dama
:

il

cavaliero Sovra

letti

di-

stesi

Corre snello e leggiero

riposarsi
di

intanto.

La serva o

il

paggio vien
in

con qualche cosa Di cannella,


giarra d'acqua

zuccaro o di ova;

E parimente

una

La donna, mezzo stracqua. La dolcissima bocca

ella si

LA STUFA
Col.
GlAL.
tanto meglio.

115

Con

tal

caldo, alla stufa?

Pi fa caldo,

Col.
GlAL. Col.
GiAL,

E non

crepi?

Creperei, fratel mio, se

non v'andassi.

Ma

qual gusto
di

vi trovi?

Gusto

temperare

l'affanno che ci affligge in questo

mondo,
IO

dove rabbia

ci

gonfia nel vedere

tutte le cose fuori di sentiere.

Col.

Ma

perch tu mi burli?

Credi ch'io sia una zucca,


e che

non peschi

al fondo... la stufa col

Che ha da vedere
GlAL.
Pensi tu ch'io
di quella stufa
in

mondo?

15

Pi stimi di pescare e
ti

meno

peschi!

parli
sei
vi

dove

menato

una cameretta e
ci

stai saldo,

e vi

affochi e vi

muori

di caldo?

No, no: parlo d'un'altra,


che, a pensarci soltanto,
si

dimezza

il

dolore

della vita angosciosa,

si

sgonfia

il

gonfior di quella cosa!

25

sciacqua. Qui, vestita di poi, postosi


vestito ancora,

il

manto, La donna o

il

|2;entil'huom

Senza
al

starci a pensare. Cosi polito l'un, l'altro

ben scarca,

Manda

il

marito

Mol per una barca; E con


.

chi sa cantare
il

Se ne vanno
che non

a Posilipo a cenare

A lungo

tratta degli stufaroli

Garzoni {Piazza
essi

universale, pp. 825-6), che altres dice che

son pochi tra

sian ruffiani e che non ten^an camere a nolo, nieschiando la munditia


esteriore con

l'immunditia interna

in

quelle stufe, che son ricetto di


carnali
.

mille vergognose e disoneste

libidini

In

quest'egloga, per

altro, e stufa in significato morale, nel

senso di stufare, ristuccare,

venire a noia.

Il6 Col.

GIORNATA TERZA
Mi mi
dici
fai

cose nuove,

strasecolare!
sei

Forse asino non

quanto a
il

me

pare.

GiAL.

Sappi, dunque, che

mondo
30

una

stufa, alla

quale

e male e bene vengono a colare.

Abbi

gusti e piaceri a carrettate,

abbi grandezze a breccia ed a cataste,

ogni cosa

ti

stufa e infastidisce;
gli

e che sia vero, apri


e intanto
ti

orecchi e ascolta,

35

consola,

che viene a questo passo


ogni contento

umano ed
ti

ogni spasso.
vo' fare!

Col.

Di' pure:

un

bel regalo

Ti sto a bocca aperta ad ascoltare.

40

GiAL.

Verbigrazia, tu vedi
bella

una

giovinetta,

e cominci a pensarla,
e le

mandi
il

il

sensale,

e tratti

matrimonio.
si

45
il

Siete d'accordo,

chiama

notaio,

che distende
sali,

capitoli;

baci la sposa,

che tutta sfoggi e ninnoli;


tu pure,

come

principe,

50

con bell'abito nuovo;

vengono
si

suonatori,
si

banchetta,

danza,

e s'aspetta

la notte:

con maggior brama, indocile, che vento


lo scrivano
il il

l'aspetti,

55

marinaio,

rumore,
il

ladro folla e litigio


la notte,

dottore.

Ecco, viene

LA STUFA
notte di mal augurio,

117
60

che

la

gramaglia a buon
la libert le

diritto porta,

perch

piange, che morta!


braccia se lo stringe,

La moglie con
n
ei

sa che son catene da galera.


tre giorni

Ma
le le

durano

65

moine e carezze,
smorfie e tenerezze.
affatto:

Al quarto giorno, gi stufato

bestemmia quando mai ne


maledice colui,

fu parola;

70

che fu causa del nodo.

Se
la

la

meschina

parla,

prende per traverso;


il

se fa

grugno,

la

mira con

cipiglio;
teste;

a letto,

come

l'aquila a
la faccia

due

75

se lo bacia, ei

torce dall'altro lato:

da quella casa
Col,
Ortolano

il

bene se n' andato!


s'ammoglia!

infelice chi

Solo una notte semina contenti,


e miete mille giorni di tormenti.

80

GiAL.

Ora un padre

si

vede

nascere un bambinello:

oh

giubilo!

oh

delizia!

Subito lo ricinge
di fasce e di

^5

bambagia;

a mo' d'una bilancia


lo carica, e gli

appende

tante cose alle spalle:


denti di lupo, fichi e mezze lune,
e coralli e figure
di tassi e porcellini,

che par n pi n

meno

Il8
chi va in giro

GIORNATA TERZA
vendendo spoglie vecchie
(').

Gli trova una nutrice,

95

non vede per


gli

altri

occhi,

parla vezzosetto:
zzai, bel ninnillo?

Come
zi'

Ti vollo tanto bene,


tu

cole di tata,

loo
.

zaporetto di
E, mentre
si

mamma!

sta attonito

a udire cacca e pappa,


raccoglie in seno quanto a quello scappa.

Cresce
e
si

il

bambino come

la

mal'erba

105

fa

come broccolo

fiorito.

Ed

allora ei lo

manda
spende
le pupille;

alla scuola, e vi

e quando ha fatto conto


di vederlo dottore,

no

ecco

gli

esce di

mano

batte la trista via,


se la fa con sgualdrine,
tratta

con malandrini,
con furbi e toglie e spande,
115

va

in brigata

contrasta con barbieri e con scrivani.

Di

ci, stufato,

il

padre

lo scaccia
o,

'1

maledice;

per mettere a sesto


120
castello
(^).

quello strambo cervello,


lo

Col.

manda carcerato Vana correzione

in

un

(i)

Testo: chi accatta zaffarana. Si chiamavano

<

zaffaranari >

girovaghi che facevano mercato d'indumenti usati.


(2)

Sulla

domanda

dei genitori,

si

mettevano

fanciulli

corrigendi

nelle carceri dei castelli.

LA STUFA
metterlo in prigione: un
figlio tristo,

119

un

figlio

c'ha le lune,

s'alleva

o per

il

remo o per
il

la fune!

125

GiAL.

Vuoi

altro?

Anche

mangiare,

che cosa necessaria,


viene, infine, a fastidio.

Stiva bene lo stomaco,

mordi, trangugia, ingozza, spiana, pettina,


grufola, scuffia,

130

mena

le

mascelle,

metti sotto del naso, empi la bocca


di cose dolci
il

ed agre, e magre e grasse,

portante d' pure alle ganasce,


;

va' per masticatori e per mercati

135

che all'ultimo dell'ultimo,


col

peso che t'opprime,

spari tuoni, fai rutti, e a

poco a poco

cadi in inappetenza;

e a tal segno

ti

stufi

140

che
il

la

carne t' in odio,


ti

pesce
dolce

ripugna,

il

ti

diventa assenzio e
il

fiele,

nemico
e
ti

senti

vino,

mantiene appena un sorsellino.

145

Col.

Cosi non fosse vero

che

il

mangiar senza regola e misura

la preziosa sanit c'invola,

e c'ogni male c'entra per la gola!

GiAL.

Se giochi a

carte, a dadi,
birilli,

150

a trucchi ed a

a cedrangoli, a scacchi ed a formelle,


se vi spendi
il

tuo tempo,

se v'arrisichi l'anima,

se

vi

metti l'onore in compromesso,


il

155

tu vi lasci

danaro,

I20
vi

GIORNATA TERZA
perdi l'amicizia,
di

non dormi non mangi


sempre
al vizio

buon sonno,

in santa pace,
il

fisso

cervello

i6o

maledetto,
truffarti

dove due son d'accordo per


e spartirsi
il

guadagno.
ti

Che
che

se alfine
ci sei

accorgi 165

capitato, e n'hai dispetto,

stufato per le perdite,

quando vedi alcun giuoco,


il

canchero tu vedi e vedi


lo fugge!

il

fuoco.

Col.

Beato chi

Lontano
vi

sia
i

da me, guarda,

sta' attento:

170

perdi
i

giorni, se

non perdi argento!

GiAL.

Anche

trattenimenti
risico e pi gusto,

che son di minor


alfine
ti

dan

noia.

Le
la

farse, le

commedie,

saltimbanchi,

175

femmina che
con

balla sulla corda,

quell'altra

la

barba,

e quella che cucire sa coi piedi,


i

mattaccini con

le bagatelle,

la

capra che passeggia sui rocchetti;

180

tutti,

insomma,

ti

stufano

sollazzi,

e buffoni e faceti e sciocchi e pazzi (0.

(1)

Di questi sollazzi

campo

era in Napoli la piazza o Largo del

Castello (la presente piazza Municipio), della quale giova riferire


scrizione, fatta sulla fine del settecento,

una de-

quando non

era cangiata, o di bau


largo, oltre al vedersi

poco, da quella che era

ai

tempi del Basile:

Questo

dal nascere del sole fino al morire sempre pieno di palchi e teatrini,

con sopra giovinastri e donnicciuole a lascivamente cantare, sonare e


ballare
e di

anche

sulla corda, era


al

sempre pieno

di

uomini e donne oziose

partito,

che invitavano

male ed accompagnavano e servivano.

L\ STUFA
Col.

121
''):

Ben soleva cantare

il

compar Biondo

Non
GiAL.

v'ha gusto durabile nel


dolcezza che
ti

mondo.
185

La musica
per tutta

scende

la

persona,
di garbi e

con tanta variet


trilli,

modi,

fughe, volate e gargarismi.

falsi

e retropunti e passagagli,

con voce or malinconica ora allegra,


o grave o a
saltarello,
la

190

per aria o con

parte

di basso o di falsetto o di tenore,

con istrumenti da tasto o da


e con corde di nervo o

fiato,

di metallo.

195

Pure, ogni cosa stufa;

e se non

sei

d'umore,
ti

e suonano e

gonfiano

polmoni,

romperesti tiorbe e colascioni.

Col.

Quando
si

vi

manca l'animo

disposto,

200

suoni e canti pure a meraviglia,

canti lo Stella, canti

Giammatteo:

azzardandosi

fin

con

gli ecclesiastici

e religiosi

In pubblico
si

si

giocava

a qualunque gioco, anche d'azzardo.

La

roba, che vi

vendeva, era

sicurissimo tutta roba rubata; onde alle volte vedendosi, per grazia di

esempio, un bel fazzoletto


subito
si

in

mano

di
al

uno e sentendone

il

tenue prezzo,

dicea:

roba
fieri

compiala
e
lesti

Largo del Castello.


i

Era

il

bel

passeggio dei ladri pi


dalle lasche e
gli

a prendersi

fazzoletti e le tabacchiere

oriuoli

dai

calzoni; anzi, perch di continuo vi era

tanta folla di gente che sembrava


fibbie dalle scarpe,
di allungare

un mercato, giungevano a

togliere le

onde

tutti

fuggivano di passarvi, contenti piuttosto


vi

cammino. Spesso
il

succedevano delle sanguinose


il

ris^e,

per cui era costretto


succed^vano dei
fatti

Castello a sparare

barbari ed atroci (P.

cannone a mitraglia, e vi dkgli O.nofri, Elogi sic


v. sopra,
11, n. i.

rici di alcuni servi di Dio, NajKli,


(i)

1803, pp. 49-50).


I,

Sul compare Biondo o

comp lunno,

122 peggio

GIORNATA TERZA
la sinfonia di

un piagnisteo

(').

GiAL.

E non
Vedi

ti

dico niente del ballare!


rotondi e trabocchetti,

salti

205

e daini e capriole, e corse e atteggiamenti.

Per un po'

ti

piace,
il

ma

a quel gusto

segue presto

disgusto:

quattro mutanze stufano,

210
in

non vedi
il

l'ora

che

si

metta

campo
(2),

ballo della torcia o del ventaglio


finita la festa,

per dileguare,

stanco di piede, vacuo di testa.

Col.

Senz'altro,

tempo

perso;

215

ed a

fare scambietti,

niente guadagni e qualcosa rimetti.

GiAL.

Conversazioni, pratiche,
e spassi, e comunelle con e andar per le taverne a bere ed a sguazzare, a sbordellare
ai vicoli dei
gli

amici,

220

Gelsi

(3),

e mettere la piazza sottosopra

con spadacce e coperchi di latrina

(4),

non aver requie mai,


la testa
il

225

ad arcolaio,

cuore a mulinello,
il

son cose che, passato

fior degli anni,

quando

il

sangue bollente,
230

stufano pi d'ogni altra;

(i) Il testo dice:

Canta puro

lo Stella e lo

Giammacco

(forse

due

nomi

di cantanti),

si

peo na sinfonia che

lo

sciabbacca.

(2) (3) (4)

Coi quali

chiudevano
86, nn. 7-8.

festini.

V. sopra

I,

Intendi: scudi.

LA STUFA
ed abbassando
tu
il

123

capo,

appendi

la

carruba (0 ad affumarsi

e pensi ai casi tuoi,


stufato di quegli anni

che dan

falsi

piaceri e veri affanni.


diletto,

235

Col.

Quanto all'uomo

come fuoco
GiAL.

di paglia,
si

passa, sparisce,

sprofonda, squaglia!
i

Ha ma

ogni senso dell'uomo

suoi capricci;

ben presto

si

stufa

240

l'occhio di rimirare

cose leggiadre e belle,


sfoggi, avvenenze, quadri,
spettacoli, giardini, statue e fabbriche;
il

naso, d'odorare

245

garofani, viole, rose e gigli,

ambra, musco,

zibetto,
arrosti;

brodo conciato e
la

mano,

di toccare

cose tenere e molli;


la

250

bocca, di gustare

bocconi ghiotti e cibi prelibati;


gli orecchi,

di sentire

nuove fresche e
Breve, se
il

gazzette.

conto esegui sulle dita,

255

quanto
tutto
ti

fai,

quanto vedi e quanto senti

viene in uggia, e spassi e stenti.


la terra
il

Col.

Sarebbe unito troppo con

l'uomo, che fatto solo per


se avesse in questo

Cielo,

mondo

260

contentezza compiuta!

Convien, dunque, accettare

(i)

La spada:

dispregiativo.

124
folti

GIORNATA TERZA
gli

affanni e le dolcezza rare


ti

GiAL.

Solo una cosa non


e

stufa mai,

sempre
sempre

ti

rallegra,
fa stare

265

ti

contento e consolato:
il

sapere congiunto col ducato

(0.

I
270

Perci un poeta greco


dicea, rivolto a Giove,

con caldi prieghi, che

gli

uscian dal cuore:

Virt
Col.
Parli

e danaro donami. Signore!

da vero savio,
l'altro
il

che l'una e
Chi ha

non

ti

sazia mai.

la salsa e
il

sale,

grande

fa l'oro,

la virt

immortale!

'^).

Fu

tanto gustosa

l'egloga, che

gli

ascoltatori, incatenati
il

dal piacere, a gran


fare tutto
il

pena
il

si

avvidero che

Sole, stanco di
del Cielo,

giorno
al

bailo del Canario pei


'3)

campi

avendo spinto

ballo della Torcia


intanto,

le

stelle, s'era ritirato

per

mutar camicia. L'aria,


solito

s'era

fatta

fosca; e cosi, col


tutti
si

appuntamento
alle loro case.

di

tornar pel giorno dopo,

ritira-

rono

FINE

LEI,LA

GIORNATA TERZA.

(i)
(2)

Ducato, moneta.

La conclusione

meno

volgare di quanto parrebbe, perch viene


il

a dire che nella

vita ci di

che importa ia virt e


di

potere (l'coro
gi stalo
piaceri).

come potenza o mezzo


(3) Il

dominio: come mezzo

godimento
tutti
si
i

escluso dalla critica precedente intorno al fastidio di


ballo del Canario era

uno

dei pi

usati e

trova descritto
v. sopra,

nei trattati di
p.

danza

di quel

tempo: per quello della Torcia,

122, n.

2.

GIORNATA QUARTA

Poco innanzi era


ai

uscita l'Alba a
il

domandare

il

beveraggio

braccianti perch
i

Sole non poteva tardare a spuntare,


si

quando

principi bianchi e neri (0


si

recarono

al

luogo del-

l'appuntamento. Col gi
le quali,

trovavano raccolte

le dieci

donne,
(2),

avendo

fatto

una scorpacciata

di gelse rosse

mo-

stravano un

muso

simile alla

mano

del tintore. Tutti insieme

andarono a sedersi presso una fontana, che serviva da specchio a certe piante di cedrangolo nell'atto che esse intreccia-

vano

le

loro

chiome per rendere cieco

il

Sole. E, fatto disegno


fino all'ora di

di passare in qualche

modo

il

tempo

menar

le

ganasce, per dar gusto a Taddeo e a Luca corr.inciarono a


discutere se dovessero giocare a

segamattone,
norchie,
al

croce, a cucco o vento, a mazza e pinzo,


a pari e dispari, alla

alla
ai

capo o morra,
castelalla

campana,

alle

lucci, ad accostapalla, a coppia e soloj

tocco,

palla o

ai birilli O).

(i) (2)

Cio

il

principe

Taddeo con

la

moglie schiava moresca.

More.

(3)
f.

segamattone (a seca niautone):

il

Del Tufo
.

(ms.

cit.,

loi) ricorda questo giuoco, che

chiama
i

spaccamattone

si

A capo
caput

o croce:
aut navim
I,

assai noto e gi solito presso


:

romani come quello

di

vedilo descritto nel

Dk Bourcard,

Usi e costumi di Napoli,


presenta

297-8.

cucco o vento (cio qualcosa o nulla?):

128

GIORNATA QUARTA
il

Ma

principe, che era ristucco di


si

tanti

giuochi, ordin
e

che venisse qualche strumento e


frotta di servitori,

cantasse;

subito

una

che

si

dilettavano di suonare, uscirono pronti


cetre, arpe, chiuchieri, buttafuochi,
e,

con colascioni, tamburelli,


cr-cr,
fonia
'),

cacapensieri e zuche zuche,


e suonato
il

fatta

una

bella

sin-

tenore dell'Abbate, Zeffiro, Cuc-

ii

pugno
fa

chiuso,

dando

a indovinare all'avversario.
il

A mazza

e piuzo ,

si

con due bastoncini;


ai

secondo

piuzo

) pi piccolo e

terminante

in
I>

punta
55> 6

due estremi
al

descritto nella rivista

Giambatlista Basile,

corrisponde

toscano:

alla lippa .

Alia

morra

il

giuoco

della mora, notissimo dapjjertutto (< digitis micare

dei romani); e cosi


v.

anche

il

seguente a pari o dispari (a paro o sparo):


cit.,
I,

De Bourgesso

CAUD, op.

67-70, 298.

Alla

campana:

si fa in terra col

un semicerchio, seguito da un quadrato colle sue diagonali e da tre rettangoli, in modo da formare a un dipresso una campana divisa in otto scompartimenti; poi si getta una chiave, una piastrella o altro in ciascuno degli scompartimenti l'un dopo l'altro, e, saltando sopra un pie
solo,

bisogna andarla a cacciar fuori. Se

la

cosa gettata o

il

piede tocca

le linee, si
il

perde (Rocco, nel Voc.


di

D'Ambra, sarebbe un giuoco

Alle norchie: che,secoiido cio muccarte. A castellucci


tiap.).
:

chietti di noci,

castagne e simili, che bisogna cercar

di ccjpire e

scomporre
cit., I,

col lancio di un'altra

noce o castagna. Vedi

De

Bourc.ard, op.
: si

299; e

PiTK,
palla, e

n. 66:
i

Ali casteddu

Ad
alla

accostapalla

getta

una

prima
farle

giuocatori gettano a volta a volta le altre, procurando di

andare quanto pi vicino possono


302

prima: vedi

De Bourcard,
mora
il

op.

cit., I,

coppia o solo (a chioppa o separa): variet di

quello a pari e caffo.

Al tocco

variet del giuoco della

si

fa

per vedere a chi tocchi in sorte alcuna cosa (e particolarmente


si

vino che
quelli

ha innanzi, e perci d'uso


birilli

tra

bevitori nelle cantine).

Per

della palla e dei


(i)
Il

non occorrono spiegazioni. colascione ben noto; il chiucliiero era uno strumento
(sbriglie),
fiato;

il

rusticano a
libro;
il

buttafuoco

si

trova pi volte ricordato in questo

cro-cr

(detto

anche

zerre-zerre ) consiste in

un bastoncello
una linguetta
zuche-

con una ruota dentata che, nell'agitarlo e aggirarlo, urta


e
si

in

produce un suono;

il

cacapensieri

detto anche
op.
cit.,

scacciapensieri ,
30S;
il

pu vedere

descritto nel

De Bourcakd,
Erano
tutti

I,

zuche

una

sorta di violino.

strumenti popolari e antichi,

INTRODUZIONE

I29

cara Gianmartino e un certo numero


di

il

ballo di Fiorenza''), cantarono


('\

canzoni di quelle del tempo buono

che

il

Basile, nell'egloga

nona

delle

Muse

napolitane contrapponeva
,

ai

moderni, esaltandoli e imprecando contro


lo Calascione, re

il

primo che ebbe a guastare:

de

li

stromiente,
e se p dire; da chello ch'era I.

co tante corde e tante,


e'

ha perduto

lo

nomme
oirn,
lo

guanto mutato,
Valea chi

consierto

de lo tiempo passato,
lo petteiie e la carta,

l'osso

lo cro-cr

miezo a le deta, che parlava,

lo bello zuco-zuco,
la

cocchiara sbattuta

co io tagliere e co lo pignatiello,
lo volta fuoco co lo siscariello,

che

te

ne ive

'n siecolo.

(1)

Arie di musica, allora molto popolari.

(2)

Quali fossero queste canzoni del tempo buono dice

il

Basile nella

citata egloga delle

Muse

jiapolilane

nella quale a

un

tale,

che voleva

cantare una canzone moderna, un altro risponde:


pe
proprio
sse
te dire

comma

la sento,

canzune de musece de notte,

de poete moderne,

non toccano a lo bivo. O bello tiempo antico, o canzune massicce,


o conciette a doi sie, o museca de iruono
!

mo tu non siente mai E dove so' sporchiate


chelle che

cosa de buono.

componeva

Giallonardo dell'Arpa,

che ne ncacava Arfeo? dove se conservava, doce comme a lo mle, la mammoria de Napole

ientilel

Dov'
lo

iuto

nomme

vuosto, dove la famma,

villanelle

meie napoletane?

G. B. Basilh, Pentamerone -\\.

130

GIORNATA QUARTA
S

che

pu pi facilmente rimpiangere che


furono dette:
Fruste cc, Margaritella,
ca
si'

ritrovare; e, fra le

altre,

troppo scannalosa,

che ped ogne poco cosa


tu vuoi 'nanze la gonnella.

Fruste cc, Margaritella!

(i);

ca

mo

cantate tutte

'n

toscanese,

coll'airo a scherechesse,

contrarie della bella aiitichetate,

che Sempre cose nove hanno mmentate...

Le

villanelle , infatti,

tramontarono nei primi decenni del seicento, per-

durando ancora per qualche tempo il madrigale. Si pu vedere in proposito, oltre il Capasso, Sulla poesia popolare a Napoli (in Arch. stor. nap., Vili, 316-331), la recente e ampia trattazione di G. M. Monti, Le villanelle alla napoletana e l'antica lirica dialettale a Napoli (Citt
di Castello,
Il

Solco, 1925).

Il

Basile, nella citata egloga,

accenna a pa-

recchie delle pi popolari villanelle, e reca intera questa, che tipica


del genere e che piacer leggere qui:

Oh
Ma
E
tu

Dio, che fosse ciola e che volasse


iia

a ssa feneslra a dirle

parola!
gainla.

non che meltisse a na

da dinto subeio chiamasse: Viene, marotta mia deh. viene, Colai Ma non che me roettisse a na gaiola. Et io venesse et ommo retornasse, com'era primmo, e te trovasse sola! Ma non che me raetiisse a na gaiola. E p tornasse a lo buon sinno gatta,
che tae ne scesse pe la cataratta, pur che na cosa roe venesse fatta

<

Ciola

>,

gazza;
cit.,

gaiola, gabbia; scesse, uscissi. Per


pp. 134-9.

le varianti,

Monti, op
(i)

Traduz.:
Via che
di qua.
sei

Margaritella,

troppo scandalosa,
poca cosa

e per ogni
tu vuoi

prima la gonnella Via di qua, Margaritella!

INTRODUZIONE
e quell'altra:
Vorria, crudel, tornare chianelletto,

I3I

e po' stare sotto a sso pede!

Ma,

si

tu lo sapisse,
d).

pe straziarme sempre corrarisse

Seguitarono poi:
lesce, iesce, Sole

scaghenta, mparatore!
Scanniello d'argento,

che vale quattociento;


cientocinquaiita
tutta la notte canta.

Canta, Viola,
lo

mastro de scola.
mastro, mastro,
prlesto,

mannancenne

ca seenne mastro Tiesto

co lanze, co spate,
co l'aucielle accompagnato.

Sona, sona, zampognella,


ca t'accatto
la gonnella
si

la

gonnella,
scarlato;
te

de

non suone,

rompo

la

capo

(2).

(i)

Il

testo

metricamente esatto doveva dividersi


e po' stare

cosi: Vurria, crudel,


;

tornare

Chianelletto,

Sotto a sso piede

ma

si lo

sapisse,

Pe
il

straziarme sempre corrarisse: vedi


italianizzata.
I

Monti,

op.

cit.,

pp. 1289,

che ne reca una versione


altre villanelle,

pianellelti

entravano anche
nel Fuggilozio

come

in quella ricordata dal

Costo

(Venezia, 1600, in
citata:

fin della

Giornata

II, p. 136), e

dal Basile nell'egloga

Songo donna

tanti leggiadri e tanto vaghi,

gentile, sti tuoi cbanelletti

..

(2)

E anche per questa, cfr. Monti, una filastrocca fanciullesca, di

op.
cui

cit.,
si

pp. 182-3.
so-

sono gi ricordati di

132

GIORNATA QUARTA
quell'altra:

non lasciarono
Non

chiovere,
ire

non chiovere,

ca voglio

a movere,

a movere lo grano

de mastro Giuliano.
Mastro Giuliano, prestame
ca voglio
ire 'n

la lanza,

Pranza,

da Pranza a Lommardia, dove


sta

raadamraa Lucia

U).

Ora, mentre erano nel meglio del cantare, furono ponate


le pietanze in tavola, e,
f'

avendo mangiato a crepapelle, Taddeo


la

cenno a Zeza che desse principio, iniziando


il

giornata col
del principe,

suo racconto; e quella, per eseguire


cosi parl.

comando

pra

(I,

123, n.

i)

primi versi. Se ne vedano molte varianti in Moli-

NARO DEL Chiaro,

Cauli popolari raccolli in Napoli


note del Nicolini
cit.,

(2.

ediz.,

Na-

poli, 1916), pp. 88-91, e nelle gi citate

al

Galiani, Dt^I

dialetto napoletano, pp. 142-3: cfr.


(1)
Il

Monti, op

pp, 101-105.
op.
cit.,

Lunga
II

variante in

Molinako dkl Chiaro,


ai

pp. 79-80.

Galiani, come, fantasticando, attribuiva la precedente ai tempi di Fe-

derico

imperatore, cosi questa

tempi angioini, trovandovi allusione

a quei

re;

ma non

si

pu negare che quest'ultima abbia qua

sentore storico quattrocentesco o trecentesco. Vedi, del resto.


op.
cit.,

un Monti,
e l

pp. 109-111.

TRATTENIMENTO PRIMO

LA PIETRA DEL GALLO

Mineco

Aniello, per virt di

una

pietra trovata nella testa di


la pietra

un

gallo,

diventa giovane e ricco; ma, truffatagli

da due necromanti,
bene peraiutato da

torna vecchio e pezzente.

Andando

pel

mondo
e

in cerca del
e,

duto, al regno dei topi ha notizia dell'anello


lo ricupera, ritorna

due

topi,

a giovent e ricchezza,

si

vendica dei due

mariuoli.

Non sempre
si tesse

ride la moglie del ladrone; chi trama frode,

rovine;

non c' inganno che non


le

si

scopra, n traspioni
terra,

dimento che non venga a luce:


furfanti,
qfiale,

mura sono
crepano
udire,
la

dei
la

ladrocinio
fine,

puttanesimo

in

accusa ('):

come

vi

far

se terrete le

orecchie a casa.

C'era una volta nella

citt di

Grottanera un certo Mineco


il

Aniello, cosi in disdetta di fortuna che tutto


bile e mobile,

suo bene,
si

sta-

consisteva in un gallo nano(^), che egli


'3),

era

allevato a mollicheite

Ma, trovandosi una mattina


il

spasirisolse

mante

dalla fame, la quale caccia

lupo dal bosco,

si

(i)

Cosi mi par da interpretare:


e di

v
il

crepa

la teri

a e dicelo

del testo.
dolce,

(2) Piccolo

gambe

corte:

Casalicchio, L'utile col

{ed. di Venezia, 1741, p. 6):

una

gallinella

che noi chiamiamo pata-

nella
nana
>

Cfr.

Berni, Orlando,

II, vi, 12:

che par con esso una gallina

(3)

Con ogni

delicatezza.

134
a cavarne
spiccioli,

GIORNATA QUARTA
e
lo

port

al

mercato.

Col venne a

patto con due barbagianni necromanti, e, rilasciatolo per

mezza

patacca,

due

gli

dissero di portarglielo fino a casa, che gli


i

avrebbero contato
Cosi, avviatisi
sti
i

quattrini.
(')

due maghi e Mineco Aniello

dietro,

que-

senti

che parlavano

in lingua furbesca tra loro, e l'uno di-

ceva: Chi ce l'avesse detto che


incontro, o lennarone! Questo

avremmo avuto questo buon

gallo senz'altro sar la ventura

nostra, per quella pietra che tu sai che ha dentro la testa: noi
la

faremo legare subito

in

un anello per avere

tutto

quanto

sapremo domandare.

lennarone rispondeva: Zitto, laco-

vuccio, che mi trovo ricco e

non ancora

lo credo; e

non vedo

l'ora di scapezzare questo gallo per dare

un

calcio alla pez-

zenteria e stirarmi la calza

(2);

perch, in questo
i

mondo,

le virt

senza tornesi sono tenute pezze per


sei considerato .

piedi; e

come

vesti, cosi

Mineco Aniello, che aveva viaggiato paesi e mangiato pane


di molti forni, inteso
il

gergo, quando fu a un vicoletto stretto,


(s),

volt carena e trucc per la polverosa

diritto a

casa sua.

Dove, torto

il

collo al gallo e apertagli la testa, trov la pie-

tra, che subito fece legare in

un anello

di ottone.

E, per fare

esperienza della sua virt, disse: Vorrei diventare un giovinotto di diciott'anni ;


il

e,

appena pronunziate queste parole,


i

sangue
la

gli

torn pi vivo,

nervi pi

forti,

le

gambe
i

pi

ferme,

carne pi fresca,
si

gli
la

occhi pi spiritosi,
bocca, che
era

capelli

di argento

fecero d'oro;

un

villaggio

(i)

Anche

in

questa fiaba
,

il

nome

scritto in diverso

modo:

laco-

v'Aniello,
(2)

Masaniello

e via.

Mettersi in sussiego.

(3)

Parole di gergo: volt strada e prese

il

largo.

I.

LA PIETRA DEL GALLO


di denti; la barba,

I35

saccheggiato,

popol
si

che era luogo di


e,

caccia riservata,

cangi in terreno seminatorio;

insomma,

divenne un bellissimo giovane. Allora pass a dire: Desidererei

un palazzo magnifico e stringere parentado


un palazzo
di

col re ; ed

eccoti sorgere

bellezza incredibile, con statue

meravigliose, colonnati da stordire, pitture da strasecolare; l'ar-

gento riluceva dappertutto, l'oro


gioie a profusione,
i

si

calpestava per terra,

le

servitori brulicavano, cavalli e carrozze

a bizzeffe. Tanto

fu, in
il

breve, lo splendore di ricchezze, che


re vi rivolse gli occhi ed
la

mise

in

mostra, che

ebbe caro
chiamata

di dare in

moglie a Mineco Aniello

propria

figlia,

Natalizia.
I

necromanti, che videro questa fortuna grande e ne col'origine,

noscevano

fecero disegno di levarla di

mano

a Mi-

neco Aniello. Formarono perci una bella bambola, che suo-

nava e ballava a forza


canti,

di

contrappesi

f'),

e, travestiti

da mer-

andarono da

Pentella, figlia di lui, sotto specie di vofanciulla,


la

lergliela

vendere. La

vista

questa bella cosa, do-

mand:

quale prezzo

date? ; ed essi rispo.sero che non

c'era prezzo che potesse pagarla,

ma

che ne sarebbe
solo,

stata padi lasciar

drona, se avesse

fatto loro

un piacere

che era

vedere la fattura dell'anello posseduto dal padre,

per pren-

derne

il

modello e farne un

altro simile,

e le avrebbero do-

nato la bambola senza alcun pagamento. Pentella, che non

conosceva
subito
la

il

proverbio:

A buon

mercato, pensaci
la

, accett

proposta, e disse che fossero tornati

mattina dopo,

jrerch se lo sarebbe fatto prestare dal padre.

(i)

In una
si

legno che

vanno per

commedia del Porta: Mi pareva una di quelle donne di muovono con contrappesi, che portano bagattellieri che lo mondo {La turca, l, i).
i
i

136
Ritiratisi

GIORNATA QUARTA
i

maghi e tornato
disse e tante

il

padre a casa, essa tante


gli

cose dolci

gli

carezze

fece

che
si

lo

tir a

consentire di prestarle l'anello, col pretesto che

sentiva opil

pressa da malinconia e cercava di allargarsi un po'

cuore,
(')

il

giorno seguente, nell'ora in cui


fa
si

il

pagliaminuta

del

Sole
cielo,
le

spazzare

le

immondizie
i

delle

ombre per

le piazze del

presentarono
l'anello,

maghi, che, non appena ebbero tra

mani

squagliarono
il

come

quello che svanisce

(*),

che non se ne vide

fumo; e

la disgraziata

Pentella prov

una
I

stretta al cuore,

che stava per morirne.


i

maghi

si

cacciarono in un bosco dove


l'

rami degli

al-

beri parte ballavano

imperticata
in quel

(3)

e parte giocavano a pane


all'anello
Il

caldo

(^);

e,

soffermatisi

luogo, dissero

di

disfare tutta l'invenzione del vecchio ringiovanito.

quale,

proprio in quel punto,

si

trovava innanzi

al re,

e,

tutt'a

un

(i)

Pagliaminuta

si

chiamava

colui che

aveva

in

Napoli
di

il

carico

dello spazzameiito, in ricordo di

un Cola Pagliaminuta

Amalfi, al

quale, nel 1487, re Ferrante


fu dalla citt dato in

d'Aragona concesse
sei seggi

quell'uffizio,
si

che poi

pegno e pi

tardi riscattato, e allora

esercitava

a volta a volta da ciascuno dei


viso tra sei incaricati,

o piazze. Nel 1560 era stato di-

gliaminuti

uno per ogni seggio, che presero nome di PaVedi R. Gv\sc\kd, Saggio di storia civile del Municipio
p. 93.

napoletano (Napoli, 1862),


(2) Il (3)

diavolo.
si

Ballo che

faceva tenendo in

mano

pertiche ossia bastoni insi

ghirlandati di
Il

fiori, in

sostituzione delle spade che prima vi


le

usavano.

popolo, nel carnevale, lo ballava in maschera sotto

finestre delle

belle o dei signori,


(4)

che gittavano denaro


si

ai ballerini.

Quattro fanciulli

mettono intorno a un gran fuoco


i

e altri quat-

tro

vanno a nascondersi:
<
i

primi gittano un sasso per uno nel fuoco,


i

gridando:
il

Pane caldo!
fornai

e allora

rimpiattati
farsi

sbucano accorrendo verso


chi clto,

forno, e

scappano per non


il

cogliere:

deve
il

portare a cavalluccio fino al forno giuoco, per la Sicilia,


il

suo prenditore. Cosi descrive


n.
189:

Pitr, op.

cit.,

pani cudu.

I.

LA PIETRA DEL GALLO


i

137

tratto, lo si

vide arruffare e imbiancare

capelli, increspare la

fronte, insetolire le sopracciglia, scerpellare gli occhi, aggrinzire la faccia, sdentare la bocca,
la

imboschire

la

barba, alzare
gii abiti

gobba, tremare

le

gambe,

e, soprattutto,

cangiare

fiammanti in cenci e stracci.


Il

re,

che vide questo brutto pezzente seduto


lui,

in

conversa-

zione con
role;

lo fece subito scacciare

con bastoni e male pa-

e quello, vedendosi a terra di piombo,

and piangendo

dalla figlia

e le richiese l'anello per rimediare al disastro.


la

Ma

qui apprese

burla fattagli dai mercanti e poco

manc che

non

si

precipitasse dalla finestra,


figlia

bestemmiando

mille volte la
fatto

ignoranza della

che per una stupida bambola l'aveva


fatta di

restare come un povero diavolo, per una cosa


lo

pezza
riso-

aveva ridotto a

far

cose da pazzi.

Che

egli era
il

ben

luto di

andare tanto errando e vagando, come

mal danaro,

pel

mondo,

finch avesse notizia di quei mercanti.

Cosi, postosi un
allacciati
(2)

zamberlucco(') addosso, grossi scarponi

ai

piedi,

una bisaccia
la

di

traverso

alle

spalle

e
si

una mazza

in

mano, lasciando

figlia

fredda e gelata,

mise per disperato a camminare.


giunse
ai

E
(3),

tanto

men

piedi,

che

regno

di

Pertugiofondo

abitato dai topi; dove,


gatti

appena giunto,

fu

scambiato per uno spione inviato dai


il

e portato subito innanzi a Rosicone,

re,

il

quale

gli

do-

mand

chi fosse,

donde venisse

e a qual fine fosse venuto

a quei paesi.

Mineco Aniello,
in

offerto anzitutto al re

un pezzo

di lardo

segno

di tributo, gii raccont a

una a una

tutte le

sue

di-

(i)

Testo: capopurpo.
Testo:

(2)
(3)

calantrielle.

Testo:

Pertusocupo

ma

pi oltre

Pertusofuto

138
Sgrazie;

GIORNATA QUARTA
e concluse che
fin

voleva tanto consumare


di quelle

il

suo mi-

sero corpo
lo

che avesse notizia


(')

anime dannate, che


cara, togliendogli
il

avevano derubato
insieme
il

di

una gioia

cosi

tutt'

fiore della giovent, la fonte della ricchezza,

sostegno dell'onore.

A
e,

questo racconto Rosicone


di

si

senti rosicchiare dalla piet,


al

desideroso
i

dare

qualche consolazione

pover'uomo,

chiam

topi pi vecchi a consiglio,

richiedendoli di parere

intorno alla disgrazia di Mineco Aniello e


di far diligenza per avere

comandando
falsi

loro

qualche notizia dei


tra
i

mercanti.
Salta-

Si ritrovavano per ventura


rello, topi pratici

consiglieri

Rudolo e

delle cose del

mondo, che erano


i

stati circa

sei anni a un'osteria di

passo

(2);

quali dissero: Sta' di

buon

cuore, camerata, che

le

cose andranno meglio di


in

come

tu credi.

Ora sappi che, trovandoci un giorno


del Corno,

una stanza

dell'ostera
gli

dove alloggiano e sguazzano allegramente

uomini

pi onorati del

mondo, passarono

di l

due
il

di Castel

Ram-

pino, che,

dopo mangiato, avendo


fatta

visto

fondo dell'orcio,

discorrevano della burla

a un certo vecchio di Grotta-

nera, a cui avevano truffato una pietra di grande virt, che

quegli (disse uno di loro che

si

chiamava lennarone) non

si

sarebbe mai
figlia

tolta dal

dito per timore di perderla,

e che la

gliel'aveva persa .

Nell'udire questo,
se
si

Mineco Aniello
al

disse ai

due topi che,


quei mariuoli e

sentivano di accompagnarlo

paese

di

di fargli

ricuperare l'anello, avrebbe donato loro una

soma

(i)

Testo: fatto priore: che tra le parole e frasi sinonimiche di


in

rubare nell'egloga
(2)

fondo a questa giornata.

La

volpara,

Osteria posta a

una

delle stazioni della strada percorsa dai viag-

giatori e dai procaccio.

I.

LA PIKTRA DEL GALLO


la

I39

di

formaggio e

di

carne salata, affinch se


I

godessero insieme
le

col loro re e signore.

due, trattandosi di ungere

mani,

s'olTersero di fare mari e monti, e,

domandata

licenza alla to-

pesca corona, partirono con


Giunti,

lui.

dopo lungo viaggio,


Aniello
sotto

Castel
alberi
il

Rampino,
alla

fecero
di

fermare Mineco
fiume,
ratori

certi

riva

un

che,

come sanguisuga, sorbiva


al

sangue dei lavola

e lo gettava

mare.

due

topi ritrovarono
si

casa

dei maghi, e videro che lennarone

non

toglieva mai l'anello


la

dal dito,

onde

si

proposero

di

guadagnare

vittoria

per

stratagemma.

quando

la

notte ebbe tinto d'inchiostro la faccia del cielo

ch'era cotta di sole('), e lennarone giaceva disteso a dormire,

Rudolo

gli

cominci a rodere
dolere,
letto.
si

il

dito nel quale portava l'anello;

e colui, sentendosi

tolse l'anello e lo

pos sopra
lo

una tavola a capo del

Ci veduto, Saltarello se

mise

in bocca, e in quattro salti

andarono a trovare Mineco Aniello,

che, con maggiore allegrezza di quanta ne prova chi sta per


essere impiccato al giungere della grazia, fece subito diventare
i

necromanti due

asini, e

sopra uno dei due, steso

il

fer-

raiuolo, cavalc

come un

bel conte, e l'altro caric di lardo

e cacio.
il

Spron
al

cosi alla volta di Pertugiofondo, dove, offerto


li

dono

re e ai consiglieri,

ringrazi di tutto
il

il

bene che

per opera loro aveva ricevuto, pregando

Cielo che mai trap-

pola facesse loro impedimento, mai gatto loro arrecasse danno,

mai arsenico fosse loro causa


Partito

di dispiacere.

da quel paese e giunto a Grottanera, e diventato


fu accolto dal

pi bello di prima,

re e dalla principessa

con

(1)

Tra

rimedi

popolari

era

l'applicazione dell'inchiostro sulle

scottature.

140
le migliori

GIORNATA QUARTA
carezze del

mondo;

e,

dopo aver

fatto

dirupare
la

due
e

asini
si

da una montagna, rimase a godere con


tolse

moglie,

non

mai pi

l'anello dal dito per

non

tirarsi

addosso

qualche altra calamit, perch

il cane, che prov la scottatura, anche dell'acqua fredda si spaura.

TRATTENIMENTO SECONDO
I

DUE FRATELLI

Marcuccio e Parmiero
vero,
ricco,

fratelli,

l'uno ricco e vizioso, l'altro virtuoso e posi

dopo varie fortune


divenuto barone, e
il

vedono, quello povero e rinnegato dal


caduto
in miseria e

ricco,

condotto presso

alla forca;

ma, riconosciuto innocente,

dal fratello

messo a parte

delle sue ricchezze.

Die molta soddisfazione


Aniello;

al

principe

il

caso
topi,

di

Mineco

ed
il

essi

benedissero mille volte

che furono

causa che

pover'uomo ricuperasse
il

la pietra

che

maghi

pagassero con una rottura di collo

cerchio di un dito. Ma,


tutti

avendo Cecca alzato


rono con
la

il

capo per chiacchierare,


la

barrica-

porta del silenzio

stanza delle parole, ed essa

prese a dire nel

modo
la

seguente:
gli

Non

c' pi sicuro parapetto contro


la

assalti della for-

tuna che

virt,

quale contravveleno delle disgrazie,


ti

puntello delle rovine, porto dei travagli, e


ti

trae dal fango,


sciagfure,
ti

salva dalle tempeste,


nei
dolori,
ti

ti

guarda dalle male

ti

con-

forta

soccorre nelle necessit,

difende nella

morte:

come

vedrete nel

racconto che ho sulla punta della

lingua per recitarvi.

C'era una volta un padre, che aveva due

figli,
i

Marcuccio

e Parmiero; e, quando fu sul punto di saldare

conti con la
se
li

natura e di

stracciare

il

quaderno della

vita,

chiam

accanto

al

letto e disse loro: Figli

miei benedetti, gi poco

142

GIORNATA QUARTA
gli sbirri del

possono tardare
gli

tempo a sfondare
le costituzioni

la

porta de-

anni miei per

fare,

contro

del

Regno

(>,

un'esecuzione sui beni dotali di questa vita per quello che

devo

alla

terra; e perci,

amandovi quanto

le

mie

pupille,
af-

non

partir da voi senza lasciarvi qualche

buon ricordo,

finch possiate correre con la tramontana del

buon consiglio

per questo golfo di travagli e arrivare a sicuro porto. Aprite,

dunque,

gli

orecchi, che, se ben sembri nulla quel che vi do,

sappiate che una ricchezza tale che

non

vi sar
i

rubata da

malandrini, una casa che non

la
i

rovineranno
bruchi.

terremoti,

un

campo che non


Ora,
i?i

lo

divoreranno

primo
l

et ante omfiia, siate

timorosi del Cielo: ogni


fritto

cosa viene di
il

sopra; chi esce da questa strada, ha

fegato

(^).

Non

vi fate sopraffare dalla poltroneria,


il

standovene come
si

porci nel porcile. Chi striglia

suo cavallo, non


calci

pu chia-

mare mozzo

di stalla:

bisogna aiutarsi a
s.

e a denti; e

chi per altri lavora,

mangia per

Risparmiate quel che possedete: chi sparagna, guadagna; a callo a callo


si

forma

il

tornese; chi conserva, trova; chi


'3);

ha donde, buona minestra condisce

serba, che pappi, e


i

non
la

fare

che

sfaccia;

buoni sono

gli

amici e

parenti, trista

casa dove non c' niente; chi ha danari, fabbrica, e chi

ha vento, naviga: e chi non ha danaro un tanghero e un


asino, che
in

ogni

tempo

lo

afferra

lo

spasimo; e perci,

(i)

Piuttosto che le Consliluiiones

Regni Neapolitani, che non


il

trat-

tano di questa materia, qui da intendere


1.

diritto giustinianeo

(Codex,

V,
(2) (3)

tit.

XII), vigente nel Regno.


lui,

Per

finita.

Testo:

chi ha

de dnne, bona

foglia

conne.

II.

DUE FRATELLI

143

amico mio cortese, come hai

l'entrata, cosi fa le spese; derefiuti (');

tano quanto ne copri, terra quanta ne


cosi

come
lingua

ti

senti,

mena

denti; cucina piccola fa casa grande.


la

Non

essere troppo chiacchierone, che


il

non ha

l'osso e

rompe

dosso; odi, vedi e

taci,

se vuoi vivere in pace;

quello che tu vedi, vedi, quello che tu senti, senti; poco

man-

giare e poco parlare; caldo di panni mai fece danno; chi troppo
parla, spesso falla.

Contentatevi del poco: meglio

le

fave che durano, che


di

non

confetti

che finiscono; meglio goder

poco che
il

tri-

bolar d'assai; chi


altro

non pu aver
si

la

carne, beva

brodo; chi

non pu avere,
acconciati

corchi con sua moglie; quot quot aupuoi: chi

tem('^'>,

come

non pu avere

la

polpa,

s'attacchi all'osso.

Praticate

sempre

coi migliori di voi e fate loro le spese;


ti

dimmi con
zoppo,
in

chi vai e

dir quel che

fai;

chi pratica con lo


si

capo all'anno zoppica; chi dorme col cane, non

leva senza pulci; al tristo dagli la roba tua, e lascialo andar

lontano, perch la mala compagnia porta l'uomo alla forca.


Pensate e poi fate, che sciocca cosa chiudere la stalla

quando
tura;

buoi ne sono

usciti;

quando

la

bocca piena, tura,

quando vuota, non


la

hai da turare; mastica


i

prima e poi

trangugia;

gatta per la fretta fece

figli

ciechi; chi

cammina

adagio, fa buon viaggio.


Fuggite
le

contese e

le

brighe,

non mettete
pali,

il

piede su
gli

ogni pietra; che a chi va saltando troppi


si

qualcuno

ficca dietro; cavallo,

che d

calci,

pi ne ha che

non ne

(i) Cio, fa solo

quanto puoi

fare.

(2)

Quotquot autem
I,

receperuiit

eum

dell'Evangelo di san Gio-

vanni,

12.

144

GIORNATA QUARTA

d; chi di graffio ferisce, di coltellaccio perisce; tanto va la

secchia

al

pozzo, che vi lascia

il

manico;

la forca

fatta per

lo sventurato.

altro

Non

vi fate salire alla testa

fumi della superbia;

ci

vuol

che tovaglie bianche a mensa; abbassati e accomodati;


fu

mai non

buona casa che d fumo;


la

il

buon alchimista passa

lo stillato

per

cenere affinch non prenda di fumo, e l'uomo


la

dabbene deve passare per


nere,
i

memoria, che

li

fa

diventar ce-

suoi pensieri superbi, per

non

restare affumicato dalla

prosunzione.

Non

vi

prendete

pensieri del

Rosso

('>;

chi s'impiccia,

resta impacciato; cosa da gentuccia andar mettendo l'assisa


ai cetriuoli
(')

il

sale alle pignatte signori,


in

^3).

Non
rare
la

v'impacciate con

e andate piuttosto a

ti-

sciabica
la

che servire
sera
altro
i

corte.

Amore

di signore

vino di fiasco,

buono

e la mattina guasto; da essi

non puoi avere


corte
ti

che buone parole e mele putride; in


i

riescono

servigi sterili,

disegni fracidi,

le

spe-

ranze spezzate; sudi senza compassione, corri senza riposo,

dormi senza

quiete,

fai le

tue necessit senza candela, e

mangi

senza sapore.
Guardatevi da ricco impoverito e da villano risalito, da

pezzente disperato e

da servitore ammaliziato, da principe

ignorante, da giudice interessato, da femmina gelosa, da


di

uomo
e da

domani

(4),

da malviventi, da

uomo

senza barba

's)

(i)

V. sopra,
Cio
il

I,

i86, n.

i.

(2)

calmiere a cosa che non merita questo provvedimento.


ommo de craie , che rimanda sempre le cose al domani. ommo sbano. Nel citato Ragionamento sopra del asino
f.

(3) Intendi: altrui. (4)


(5)

Testo: Testo:

del Pino (1530),

27:

da quali nacque questa sorta

di

gente chia-

11.

DUE FRATELLI
quieti,

145

femmina barbuta, da fiumi

da camini fumosi, da cattivo

vicino, da fanciullo piagnoloso e

da uomo invidioso.

Sforzatevi, in ultimo, di mettervi in mente che chi ha arte

ha

parte, e

quegH campa
il

in

mezzo a un bosco che ha


le

sale in

zucca e ha posto
chie; e che a

dente del senno e mutate


sella.

prime orec-

buon cavallo non manca

Mille altre cose dovrei dirvi,

ma

comincia a venirmi

l'af-

fanno della morte e mi manca


Cosi dicendo, ebbe appena

il

fiato .

la

forza di levare la

mano

per

benedirli, che, calate le vele della vita, entr nel porto di tutti
i

guai di questo

mondo.
le

Marcuccio scolpi
die

parole del padre in

mezzo
le

al

cuore,

si

a studiare alla scuola, ad andare


('),

per

accademie, a

disputare con gli studenti

a discorrere di cose virtuose;


il

tanto che, in quattro e quattro, divent

primo

letterato di

quel paese.

Ma

poich

la

pezzenteria la zecca attaccaticcia

della virt, e dall'uomo unto dell'olio di

Minerva scivola via


sbri-

l'acqua della buona fortuna, stava


cio,

il

pover'uomo sempre

sempre
trovava

asciutto,
le

sempre
volte

di netto cuore e cruda voglia, di

e
di

si

pi

sazio

voltare testi
^^)

bramoso

leccare tegami,

stanco di

studiare consigli

e stremato

mata sbani
fiore

li

maschi non mai han pelo nel volto, e

le

femmine non han


l'Eccellenza
volta al

in seno, e per loro alterezza


I,

non

si

degnano

visitar

del Signor Marchese ^cfr. sopra,


Il

243, n. 3)

almen una

mese.

famoso Masaniello del tumulto del 1647 detto in una relazione contemporanea: giovane d'et venticinque anni, sbano, di statura ordinaria, ecc. (in
(i)

Arch.

sior. nap.,

XV,

360).
l

Testo:

fare accipe cappiello co


il

studiente. Nelle dispute


vincitore riportava
il

scolastiche

scrive

Rocco, nel Voc.

il

una

co-

rona o laurea, mentre colui che perdeva prendeva


via, e gli
(2)
si

capieilo e

andava

diceva: Accipe pilcum

pr coronai).

Consulle forensi.

G. B.

Basili-:,

Pentaincone

\i.

10

146
d'aiuti,

GIORNATA QUARTA
lavorando sempre
sull'

Indigesto

(')

e trovandosi

sem-

pre digiuno. Parmiero, invece,


si

dette a vivere alla carlona e all'av-

ventura, da una parte giocando, dall'altra andando per le ta-

verne, e crescendo lungo lungo senza alcuna virt al

mondo.

Con tutto mod bene.

ci, di ruffa in raffa,

fece assai danari e si acco-

Vedendo
guire
i

questo, Marcuccio
del

si

chiam pentito che, per

seil

consigli
(-)

padre, fosse uscito di strada; perch


il

Donato

niente gli aveva donato,


si

Cornucopia
gli

(3)

lo

aveva

posto in
nulla
gli

grande necessit, e Bartolo non


bisacce (4V

aveva messo

nelle
(5),

laddove

Parmiero, divertendosi
e,

con

ossi

faceva buona carne


il

dando spasso

alle

mani,

s'era

ben riempito

gorguzzule.
star saldo allo stimolo del bi-

Alla fine,

non sapendo pi
il

sogno, and a trovare

fratello e lo

preg, poich la fortuna


(^),

lo faceva figlio della gallina

bianca

che

si

ricordasse che

esso era del sangue suo e che erano usciti entrambi da uno
stesso ventre. Parmiero, che, nell'alterigia della ricchezza, era

diventato

stitico,

gli rispose:

Tu che

hai voluto seguire gli

studi per consiglio di tuo padre, e


le

m'hai sempre rinfacciato


libri

compagnie e

giuochi, va' a rodere

e lasciami stare a darti

coi malanni miei; che io

non son disposto

nemmeno

(i) (2) (3)

Scherzosamente:

il

Digesto.

La grammatica di Elio Donato, che era ancora in uso nelle scuole. La Coinucopia sive linguae latinae commenlaria di Nicola Parla cui

rotti

da Sassoferrato,
Ai dadi.

prima stampa del 1489.

bisticcio con Bartolo. (4) Testo: brtole, bisacce: in


(5) (6)

detto popolare,

ma

anche

latino: gallinae filius

albae (luVEN.,

Sai., XIII, 141)-

II.

DUE FRATELLI

I47

il

sale,

perch assai ho stentato a guadagnarli, questi pochi

spiccioli

che mi trovo
vivere,

di

avere.

Tu

hai et e giudizio: chi


tutti.

non sa

suo danno: ogni uomo per s e Dio per


tu
gitta

Se non hai danari, e

coppe*''.

Hai fame? D' un

morso

alle

gambe. Hai sete? Succhiati

le dita! .

con que-

ste e altrettali parole gli volt le spalle.

Marcuccio, che

si

vide usare questa grande crudelt dal


ri-

proprio fratello carnale, venne in tanta disperazione che,

soluto di separare l'oro dell'anima dalla terra del corpo con

l'acqua forte della disperazione


alta alta, che,
si

(^),

s'avvi verso una

montagna
che cosa
di tutti
i

come spiona
nell'aria,

della terra, voleva vedere


anzi,

faceva

su

come Gran Turco


si

monti, con un turbante di nuvole


ficcarsi
la

alzava

al

cielo per con-

Luna

in

fronte. Salito col,

e arrampicatosi,
fra

come

meglio pot, per una stradicciuola angustissima


dimenti e dirupi,

scoscen-

come

fu

arrivato alla cima,

donde vedeva
(3)

un gran

precipizio, gir la chiave alla fontana degli occhi

ed, eseguita

una lunga lamentazione, stava per

buttarsi col

capo

all'

ingi.

Quando, d'un

tratto,

una

bella

donna, verded'oro
filato. Io

vestita,

con una ghirlanda d'alloro


e gli dis.se:

sui capelli
fai,

afferr pel braccio,


ti

Che
sei

pover'uomo? Dove

lasci trascinare dalla follia?

Tu

quell'uomo virtuoso, che

ha consumato tanto olio e perduto tanto sonno per studiare?

Tu
ti

sei quello,

che, per far correre la fama tua

come

galea

spalmata, sei stato tanto tempo sotto


smarrisci nel meglio, e

la spalmata?''*'.

ora

non

ti

vali di quelle
la

armi che hai


la

temprate

alla fucina degli studi

contro

miseria e

fortuna?

(i)

Traslato del giuoco delle carte.

(2)
(3)

Traslato del depurare l'oro.

Vers lacrime.
Ferula.

(4)

148

GIORNATA QUARTA
sai tu

Non

che

la virt
f')

un orvietano contro
il

il

veleno della
ri-

povert? un tabacco

contro

catarro dell'invidia? una


sai

cetta contro le infermit del

tempo? Non

che

la virt

bussola per regolarsi tra

venti delle disgrazie? che torcia

a vento per camminare nella foschia dei dolori, e un gagliardo

arco

di

vlta

da resistere

ai

terremoti dei travagii? Torna,


le spalle a chi
ti

misero, torna in te stesso e non volgere

pu

dar aiuto nei pericoli, forza nei guai, calma nella disperazione; e sappi che
il

Cielo t'ha avviato a questa montagna,

cosi difficile a salire,

dove abita

la

stessa Virt
ti

(2),

affinch

essa medesima, da te a torto accusata,

tolga dai piedi la


al

mala

intenzione

che,

accecandoti,

ti

spinge

precipizio.

Perci, svegliati, confortati, cangia pensiero; e, perch tu

veda

che
tieni,

la

virt

sempre

buona, sempre vale, sempre giova,


al

prendi questa cartellina di polvere, e va'


la
al
figlia del

regno di

Campolargo. L troverai
viini

re,

che

sta al confile-

e non trova rimedio

suo male; e tu

falle

bere

il

con-

tenuto di questa cartellina in un uovo fresco, che subito darai

una patente

di

oisailoggio
(4),

(3)

all'infermit,
la vita.

la

quale,

come

soldato a discrezione

le

succhia

Ne

riporterai tal

premio che

ti

toglier la pezzenteria di dosso, e starai da tuo

pari senza aver bisogno di quello d'altri .

Marcuccio, che
ai piedi e le chiese

la

riconobbe

alla

punta del naso,

le si

gett

perdonanza dell'errore che stava per corn-

ei)

V. sopra, p. 39, n.
...

3.
il

(2)

in

cima

all'erto e faticoso colle Della Virt riposto

nostro
l

bene: Chi non gela e non suda e non s'estolle Dalle vie del piacer,

non perviene (Tasso, Gerusalemme


(3)

liberala,

XVII,

61).

Cio, di liberazione dall'obbligo dell'alloggio di soldati, del quale


si

prima
(4)

era ricevuta la notificazione.


traslato.

Continua nello stesso

II.

DUE FRATELLI

I49
la

mettere.

Ora

le

disse

io
fa

mi tolgo

benda dagli occhi


da
tutti

e conosco

all'aria del volto


la virt,
i

che tu

sei la virt,

lodata,

da

pochi seguita;
le

che

aguzzare gl'ingegni, svegliare


le

menti, affinare
l'ali

giudizi,

abbracciare

onorate fatiche e

metter

per volare alle sfere

celesti.

Ti

conosco e mi

chiamo

pentito di essermi servito male delle armi, che tu


ti

mi

hai date; e

prometto, da oggi in poi, di premunirmi cosi


ci

bene col contravveleno tuo, che non


di

potr neanche

il

tuono
si

marzo

^').

voleva baciarle

piedi,

ma

quella gli

di-

legu dalla
infermo, dice
(^)

vista, lasciandolo tutto

consolato

come un povero

al

quale, passato che sia l'accidente, data la rafresca.


si

con l'acqua

Scivolato gi da quella montagna, Marcuccio

avvi a

Campolargo,
al

e,

arrivato al palazzo reale,

mand

subito a dire

re che voleva apportare rimedio alla infermit della figlia.


col

Fu condotto

palio

(3)

nella

camera

della

principessa,
(4),

trov quella sventurata giovane sopra un letto bucato

cosi

consunta e color violaceo, che non aveva se non


pelle. Gli occhi
ci

le

ossa e la
le

erano cosi rincavati, che, per vedere


(5); il

pupille

voleva

il

cannocchiale di Galileo
l'uffizio del

naso, cosi affilato


(^);

che poteva usurpare

suppositorio in forma
la

le
(7);

guance, cosi disseccate che parevano

Morte

di

Sorrento

(i) (2)

Vedi,

al solito.

Giornata V,
radici

2.
si

Qualcuna

delle

che

adoperavano

in

medicina,

come

quelle aperienti, confortative, e simili.


(3;
(4)

Con ogni
Testo:
e
1

onore.
ietto

perciato, per infermi paralitici o altrimenti inca-

paci di levarsi.
(5) Il telescopio, (6) (7)

invenzione allora fresca, di un paio di decenni.

Di una candeletta o cristere.


Nella rappresentazione di Carnevale e Quaresima, che
si

faceva

a Sorrento, come altrove, l'ultima notte

di carnevale, interveniva

un

I50
il

GIORNATA QUARTA
il

labbro inferiore cadeva sul mento;


braccia erano

petto pareva di pica;

le

come

stinchi di agnello spolpati;

insomma,

era cosi trasformata che, col bicchiere della piet, portava brindisi alla

compassione.
stato,

Marcuccio, nel contemplarla in quello

spuntarono

le lacrime agli occhi, considerando la fiacchezza della natura

nostra, soggetta alle ferite del tempo, alle vicende della

com-

plessione e

ai

mali della vita.

Ma

chiese un uovo

fresco di

gallina primaiuola('), lo tenne

appena un po'

sul fuoco, vi

mise

dentro

la

polvere; e

poi lo fece sorbire a forza alla princi-

pessa, che ricopri con quattro coperte.

E non
la

aveva ancora

la

Notte occupato
l'inferma

la
le

piazza

piantato

sua tenda, quando


il

chiam

donzelle, affinch le mutassero


e,

letto,

che
altri

era intriso di sudore;

asciugata che

fu,

e rivestita di

panni, chiese da mangiare: richiesta che in sette anni di


lattia

ma-

non mai
le

le

era uscita di bocca. Di ci presa

buona
forza

speranza,

dettero un brodo; e,

guadagnando ogni ora

e ogni giorno appetito,


bili

non pass una settimana che


lev di
letto.
Il

si rista-

completamente, e
re
della

si

re

onor Marcuccio

come

medicina, e lo cre non solo barone di una


consigliere della sua corte, ammoglian-

grossa terra,

ma primo

dolo con

la

pi ricca signora di quel paese.

In questo

mezzo Parmiero

rest spogliato di quanto posse-

gigantesco scheletro di legno e cartone, armato di falce, rappresentante


la Morte,

che mieteva

la vita di

Carnevale. Questo scheletro, per quel

che s'afferma, fino a poco pi di un secolo addietro, si serbava col in una scuderia dell'antico palazzo Mastrogiudice; e sarebbe stato esso ap-

punto
rivista

la

proverbiale

Morte

di

Sorrento. Vedi G. Ganzano, nella


cfr.

Giambatlisla Basile, 1,68, e

G. Amalfi, Tradizioni ed usi

nella penisola sorrentina (Palermo, 1890), pp. 41-2.


(i)

Che

fa

per

la

prima volta

le

uova.

II.

DUE FRATELLI

I5I
cosi se ne vanno,

deva, perch danari di giuoco


e
la

come vengono

fortuna del giocatore quanto sale altrettanto cala; e, ritrosi

vandosi pezzente e disgraziato,

risolse a

camminare tanto
il

che

o,

cangiando luogo, cangiasse ventura, o cancellasse


<i)

suo posto dal ruolo


capit in

della

vita.

Dopo

sei

mesi

di viaggi,

Campolargo

cosi scodato e stracco che

non

si

reg-

geva

in piedi. E,
la

vedendo che non trovava dove


fame
gli

buttarsi per
i

morto, e che
gli

cresceva in proporzione, e
in tanta disperazione

vestiti

cascavano a brandelli, venne

che entolse le
e,

tr in

una casa vecchia

fuori le

mura

della citt,

si

legacce delle calze che erano di canapa e bambagia


datele,

anno-

ne form un

bel cappio, del quale attaccato

un capo

a una trave e

salito su

un mucchio
il

di pietre

che esso stesso

aveva radunate, spicc

salto.

Ma
alla

volle la sorte che la trave,


le

che era

tarlata

fracida,

scossa che egli

dette

si

rompesse per mezzo; e l'im-

piccato vivente batt col fianco sulle pietre, che se ne risenti

poi per un paio di giorni. E, spezzandosi quella trave, piov-

vero a terra catene, collane e


posti
l

anelli d'oro,

ch'erano

stati

ri-

dentro nei cavi


di

fatti

dai tarli, e, tra le altre cose,

una borsa

cordovano, piena di scudi.


sal-

Parmiero, che vide di aver con un salto d'impiccato


tato
il

fosso della miseria, se prima era impeso per la dispe-

razione, ora era sospeso dall'allegrezza, che

non toccava piede

a terra. E, raccolto quel dono della fortuna, se ne and di


corsa all'osteria per ravvivare lo spirito che quasi
gli

era venuto

meno. Ora quelle robe erano


proprio all'oste presso
e quelli
le
il

state

da

certi mariuoli rapinate

quale Parmiero and a mangiare;


nella trave

avevano riposte

da loro conosciuta, per

(i)

Traslato dagli arrolamenti militati.

152

GIORNATA QUARTA

andarsele a prendere e spenderle un po' per volta.

Quando

dunque Parmiero, dopo aver ben riempito


la

lo
e,

stomaco, cav
subito chiamati

borsa per pagare, l'oste

la

riconobbe,

certi sbirri,

clienti dell'osteria,

lo fece acciuffare.
al

Condotto con bel cerimoniale davanti


e ritrovatagli addosso
col derubato,
fu
la

giudice, e frugato
il

prova del
la

delitto, e fatto

confronto

non tard

sentenza
al

come

di reo convinto, e
gli

condannato a giuocare

tre, nel

qual giuoco
sciagurato,
di

sarebbe
si

toccato far mulinelli coi

piedi.
lui

Lo

che

vide

a queste

strette,

che per

alla vigilia
al

una legacela do(')

veva seguire
fracida
il

la festa di alla

una fune, e

saggio

di

una trave

torneo

sbarra di una forca nuova, cominci a


si

dimenarsi e a gridare che era innocente, e che

appellava

da questa sentenza. E, mentre andava


per
la strada,

strillando e urlando
i

che non c'era


i

giustizia,

che

poverelli
(3),

non erano
e che, per
allo scri-

ascoltati,

che

decreti
la

(2)

si

facevano a casaccio
giudice, dato
il

non aver unto


vano,
la

mano
al

al

boccone

mancia

mastrodatti, la giunta al procuratore, era


in aria alla maestra

mandato a lavorare punti


contr per caso col
Questi,

vedova

(4),

s'in-

fratello.
(5^

essendo consigliere e caporuota

fece

fermare

(i)

Testo:

a lo nzaio

spagn.

ensayo

come

si

dicevano

le

prove

generali delle
(2)
(3)

commedie, dei

tornei e di altri spettacoli.

Le sentenze.
Testo:

a spaccastrommola

dal giocare alla trottola, tirandola

con tanta violenza e mal garbo da quasi spezzarla.

quei tempi, un

comico

dell'arte napoletano, Aniello Soldano, faceva la parte del

dottor

Spaccastrummolo
(4)

(Croce, Teatri di Napoli^,


I,

p. ^^).

La
la

forca: v. sopra,

84, n. 5; e in bisticcio coi lavori di

ago che

insegna

maestra

di cucito.

(5) Il

tribunale della Vicaria di Napoli era diviso in quattro ruote,


e

due

civili

due

criminali, e a ciascuna di esse era preposto

un

consi-

gliere caporuota .

II.

DUE FRATELLI
le

I53

il

corteo della giustizia per udire

ragioni del condannato;


disse: Sta* zitto,

e,

quando

costui
la

le

ebbe esposte,

gli

che

non conosci

tua fortuna, perch, senza dubbio, tu che, nella


di

prima prova, hai trovato una catena d'oro

tre

palmi, in

questa seconda ne troverai un'altra di tre passi. Va' pure


allegramente, che
gli altri vi
le

forche
la vita,

ti

sono

sorelle carnali, e,

dove

vuotano
si

tu vi riempi la borsa .

Parraiero, che

senti dar la beffa, gli rispose: Io

vengo

per giustizia e non per essere dileggiato; e sappi che di questo fatto,

che mi hanno apposto,

io

ho

le

mani

nette,

perch

son

uomo

onorato, quantunque tu mi veda cosi stracciato e


l'abito

cencioso, che

non

fa

il

monaco. Ma, per non aver


fra-

dato ascolto a Marchionne mio padre, e a Marcuccio mio


tello,

passo per questa


i

trafila

e sto sul punto di cantare un

madrigale a tre sotto

piedi del boia.


il

Marcuccio, che udi mentovare


si

nome
fiso

del padre e

il

suo,

senti svegliare

il

sangue,

e,

mirando

Parmiero,

gli
si

parve
trov

di conoscerlo; e infine,

ravvisatolo pel suo fratello,

combattuto dalla vergogna e dall'affezione della carne e dall'onore, dalla


giustizia

e dalla piet. Si vergognava di sco-

prirsi fratello a

una

faccia d'impiccato,
la

fremeva a vedere a
lo tirava

quello stremo

il

sangue suo; e

carne

com'uncino

a dar riparo a quel fatto, l'onore lo traeva indietro per

non

svergognarsi col
nalione uticini^^^;

re, rivelandosi fratello di


la

un inquisito de mesi

giustizia

voleva che

desse soddisfa-

zione alla parte offesa; la piet ricercava ch'egli procurasse


la salute del

proprio

fratello.

Mentre stava cosi


la

in bilancia col cervello e

a partito con

testa,

ecco un

usciere del giudice, che correva

con un

(i)

Latino maccaronico: di aver gettato l'uncino.

154

GIORNATA QUARTA
di

palmo
stizia!

lingua

fuori

gridava:

Ferma, ferma

la

giuil

Sta', sta', adagio, aspetta! .

Che cos'?,

disse

consigliere.

quegli:

accaduta una cosa grande, per buona

fortuna
riuoli a

di

questo giovane: perch, essendo andati due macerti danari,

prendere cert'oro e

che avevano nascosto


ritrovati,

nella trave di

una casa vecchia, e non avendoveli


il

pensando ciascuno dei due che


sono venuti
il

compagno
feriti

gliel'avesse fatta,

alle

mani e

si

sono

a morte. Sopraggiunto

giudice, gli

hanno confessato
l'innocenza di

la

cosa; e cosi, essendo stata

riconosciuta

questo

pover'uomo, sono stato

mandato

di

corsa a impedire l'esecuzione della sentenza e a

liberare costui, che senza colpa .

Udito

ci,

Parmiero crebbe

di

un palmo, laddove aveva

avuto paura di allungarsi di un braccio.


vide restaurato l'onore del fratello,
si

Marcuccio, che

tolse la

maschera e

si

dette a conoscere col dire all'altro: Fratello mio, se hai ve-

duto ormai che

vizi e

il

giuoco sono
sola

stati le
il

tue rovine, vedi


il

parimente che

la

virt

pu

darti

piacere e

bene.

Vieni pure liberamente a casa mia, dove godrai insieme con

me

frutti

della virt, che tanto avesti in uggia, e io,

dimen-

tico dei dispregi

che mi

usasti,

ti

terr in queste pupille .

Cosi, dopo averlo abbracciato, lo condusse a casa sua, lo


rivesti

da capo a piede e

gli fece

conoscere a tutta prova che

ogni altra cosa vento e che

la

virt sola fa beato l'uomo.

TRATTENIMENTO TERZO
I

TRE RE ANIMALI

Tittone, figlio del re VerdecoUe, va alla ricerca di tre sue sorelle carnali,

maritate con un falcone, con un cervo e con


ghi viaggi, le trova. Al ritorno, veduta

un

delfino, e,

dopo lunha

una

figlia di re

che stava in
fa,

potere di un dragone entro una torre, con un segnale che


pronti in aiuto
i

tre cognati; e,

con

essi,

uccide

il

dragone, libera con


le sorelle

la principessa, se la

prende

in moglie, e coi cognati e

torna

al

suo regno.

Molti ascoltatori provarono grande interessamento alla piet

mostrata da Marcuccio a Parmiero, e


la virt

tutti

confermarono che

una ricchezza

sicura,

che n tempo consuma, n temgli altri

pesta porta via, n tarlo rode, laddove


vita

beni di questa
il

vengono

e vanno, e del

malamente acquistato non gode

terzo erede. Alla fine, Meneca, per condimento del caso rac-

contato, port alla

mensa

delle

filastrocche

il

racconto che

segue.

C'era una volta un re di VerdecoUe, che aveva

tre figlie
i

femmine, che erano

tre gioie;

e per esse ardevano d'amore


tutti

tre figli del re di Belprato.

Ma, poich,

e tre, dalla

ma-

ledizione di una fata erano stati ridotti in forma di animali,


il

re di

VerdecoUe
il

li

rifiut

per mariti alle figliuole.


tutti gli
ri-

Allora
uccelli a

primo, che era un bel falcone, convoc


al

parlamento,

quale vennero fringuelli,

reatini,

gogoli, lucherini, cinciallegre, strigi, upupe, allodole, cuculi,

156

GIORNATA QUARTA

gracchie e aHa genera pennaiorum.


rovinare
fiori
Il

Ed

esso

li

mand

tutti

gli alberi

di

Verdecolle,

che non

vi

lasciarono n

foglie.
tutti
i

secondo, ch'era un cervo, chiamando


le lepri,
il
i

capri,

co-

nigli,

porcospini e
ai

gli

altri

animali di quel paese,


vi rest

fece dare
filo

guasto

seminati, che

non

neanche un

d'erba.
Il

terzo, ch'era

un

delfino, concertatosi

con cento mostri


marina che non

del mare,
vi rest

fece venire tante tempegte a quella

barca sana.
il

Per questo motivo

re,

vedendo che

le

cose andavano
ai

al
gli

peggio e che egli non poteva porre riparo


infliggevano
i

danni che

tre
si

innamorati selvatici,

si risolse di

uscire da

questi impacci e

content di dar loro per mogli


feste

le figliuole.

quelli,

senza volere n

n musiche, se

le

portarono

fuori del regno.

Ma,

al

dipartirsi

delle tre spose, la regina,


alle figliuole,

Grazolla, die tre anelli simili,

uno per ciascuna,


di

dicendo che, occorrendo dividersi e ritrovarsi

nuovo dopo

qualche tempo, o vedere alcun altro del sangue loro, per mezzo
degli anelli
Il

si

sarebbero riconosciuti.
si

falcone

port Fabiella, che era

la

prima, su una moni

tagna cosi smisuratamente alta che, passati

confini delle nul,

vole, giungeva col capo asciutto dove mai non piove; e


in

un bellissimo palagio,
la

la

teneva

come

regina.

Il

cervo

men
le

Vasta, che era

seconda, in un bosco cosi intricato che

ombre, chiamate dalla Notte, non sapevano per qual via uscire
a corteggiarla; dove
la

faceva stare da pari sua in una casa


bellezza.
Il

da

stupire, in

un giardino d'insuperabile

delfino
al

nuot recando

sulle spalle Rita, ch'era la terza, in


le

mezzo

mare, e sopra un bello scoglio

fece trovare apparecchiata

una casa

in cui

sarebbero potuti stare tre re di corona.

III.

TRE RE ANIMALI
un
figlio

I57

Intanto, la regina Grazolla die a luce

maschio, a cui

mise nome Tittone

('), il

quale, giunto ai quindici anni, sentendo


tre figliuole maritate a tre
il

sempre

la

madre
non

far

lamento delle

animali, che

se ne sapeva pi
pel

nuova alcuna, form

pro-

posito di

camminare tanto

mondo

finch ne avesse qualil

che sentore. E, dopo lunghe insistenze presso

padre e
tutti

la
i

madre, ottenne

la

licenza

desiderata, e fu fornito di

mezzi, e della compagnia che era di necessit e di decoro a un


principe

come

lui; e la

regina

gli

dette

un

altro anello, simile

a quelli che aveva dati

alle figlie.
Italia

Tittone non lasci buco in

n nascondiglio
e,

in Francia

n parte alcuna

di

Spagna che non cercasse;

passata l'In-

ghilterra e scorsa la Fiandra e visitata la Polonia e,

insomma,

camminato
tutti
i

il

Levante e

il

Ponente, in ultimo avendo lasciato

servitori parte nelle taverne e parte negli ospedali,


si

ed

essendo rimasto senza un tornese,


abitata dal falcone e

ritrov sulla

montagna

da Fabiella. E, mentre stava ammirato

a contemplare
di porfido, le

la

bellezza di quel palazzo, che aveva gli angoli

mura
visto

d'alabastro, le finestre d'oro e gli embrici


dalla sorella,

d'argento, fu

che

lo fece venir su e gli

domand
dre e

chi era, di

dove veniva e quale fortuna l'aveva con-

dotto a quei paesi. E,


la

quando ud da Tittone
lo

il

paese,

il

pa-

madre
di ci

il

nome, Fabiella

conobbe suo

fratello, ri-

trovando
portava

conferma nel confronto


le

tra l'anello
la

che esso

al dito

con quello che

aveva dato
e,

madre. Lo ab-

bracci, dunque,
il

con giubilo grande,

poich dubitava che

marito potesse sentir dispiacere della sua venuta, lo fece

nascondere.

(1)

Nel sommario della fiaba era detto, invece, Giancola.

158

GIORNATA QUARTA
il

Quando
che
le

falcone

(')

torn a casa, Fabiella cominci a dire


;

era nato un gran desio dei parenti

e quegli rispose:

Lasciatelo passare, moglie mia, che questo


fintanto che
biella

non pu essere

non ne abbia

io

l'umore.

Almeno

disse

Fa-

mandiamo
.

a chiamare qualcuno dei miei parenti per chi

consolarmi
derti

replic
E
se

il

falcone

cosi lontano. .
''

qualcuno
.

ci

vuol venire a vevenisse riprese

Fabiella,

ne proveresti dispiacere?

perch dovrei

averne dispiacere?

riprese
me
lo

il

falcone.

Basta
gli

che

sia del

tuo sangue perch io

metta dentro

occhi .
fuori
il

Ci udito, Fabiella prese animo e fece venir


e lo present
al

fratello

falcone.
il

Il

quale disse:
(2;

Cinque e cinque
gli
stivali.

dieci; l'amore passa

guanto

e l'acqua

Sii

il

benvenuto; tu
tu stesso .
la

sei

il

padrone

di

questa casa:

comanda

fa'

dette ordine che fosse onorato e servito

come

persona sua stessa.

Dopo che

Tiitone

fu

stato

quella

montagna quindici
sorelle,
e,

giorni, volle andare alla ricerca delle altre

preso

commiato da Fabiella e
delle sue,

dal cognato, questi gli die

una penna

dicendogli:

Prtati questa penna, Tittone mio,


ti

ed abbila cara, perch


stimerai

puoi trovare in
e,

tal

bisogno che
ti

la

un tesoro. Conservala bene;


gettala
in

se

occorre cosa

necessaria,
loderai .

terra

e di':

'Vieni,

vieni',

che mi

Tittone, avvolta la
sellino,

penna

in

una carta e ripostala nel bor-

dopo molte cerimonie,


non
dire;

si parti.

E cammin

cammin
il

tanto da

finch giunse a quel bosco

dove

cervo

(i) (2)

Testo: lo sproviero, e cosi in tutto


Si sente anche attraverso
il

il

brano per errore.


di

guanto

la stretta

mano

di chi

innamorato.

III.

TRE RE ANIMALI

IS9
dalla fame, entrava
visto dalla sorella e

dimorava con Vasta; e mentre, stimolato


nel giardino per cogliere quattro
frutti, fu

riconosciuto allo stesso

modo che

dalla prima.

Essa

lo fece

conoscere

al

marito, che

lo accolse a festa e lo tratt veraaltri


il

mente da principe; e quando, dopo


partire per cercare
la

quindici giorni, volle


gli

terza sorella,

cervo

dette
il

un pelo

dei suoi con le stesse parole che aveva usate


la

falcone per

penna.
Ripreso
il

viaggio con un gruzzolo di scudi che


altrettanti avuti dal cervo, tanto

gli

aveva

dato

il

falcone e con

cammin

che giunse

agli estremi della terra.

Qui, non potendo proce-

dere oltre a causa del mare, prese una nave con disegno di
correre per tutte
e,
le isole,

se potesse aver notizia della sorella;

date
il

le

vele al vento, tanto gir che capit all'isola

dove
fu

stava

delfino con Rita.

Qui, appena

smontato a

terra,

veduto dalla

sorella, e riconosciuto e ricevuto allo stesso

modo
padre
degli

come
e
la

dalle altre; e,

quando

volle partire per rivedere


le

il

madre, ebbe dal delfino, con

stesse istruzioni

altri,

una

scaglia.
si

Ritornato a terra, e salito su un cavallo,

era appena dilun-

gato un mezzo miglio dalla marina, quando entr in un bosco

che era scala franca della paura e delle ombre, dove


ceva una continua
fiera di oscurit e di

si

fa-

spavento. In quel bosco

Tittone trov una grande torre, collocata in mezzo a un lago,

che baciava

piedi degli alberi affinch nascondesse al sole le

proprie bruttezze; e a una finestra della torre c'era una bellissima giovane ai piedi di un orrendo dragone, che dormiva.

Subito colei, veduto Tittone, con voce sommessa e con tono


pietoso
gli disse:

bel

giovane mio, mandato forse dal Cielo


si

a conforto delle mie miserie in questo luogo dove non

vede

mai

faccia di cristiano, toglimi dal potere di questo serpente

l6o
tiranno, che

GIORNATA QUARTA

m'ha

rapita al re di

Chiaravalle

mio padre, e

mi ha confinata

in questa torre deserta,

dove mi sono quasi


!

ammuffita e ho preso di rancido .

Oim

rispose Tittone

che posso

fare per servirti,

bella
salire

giovane mia? Chi pu varsu cotesta torre? Chi pu


ti

care questo lago?

Chi pu

accostarsi al brutto dragone, che

atterrisce

con

la

vista,

che semina paura e

fa

nascere tremarella?
di

Ma

piano, aspetta

un
un

po', che
altro;

vedremo

cacciare

il

serpente col manico di

a passo a passo, diceva Gradasso; or ora


(').

vedremo

se cucco o vento!

E
gli

gett al

tempo stesso
i

la

penna,

il

pelo e la scaglia che

avevano

dati

cognati, dicendo: Vieni, vieni! .


stille

E
il

subito,
fa

come
scere
il

se quegli oggetti fossero


le

d'acqua estiva, che


il

na-

ranocchie,
i

si

videro comparire

falcone,

cervo e

delfino,

quali tutti a
.
li

una voce gridarono: Eccoci! Che

cosa comandi?

Tittone, a vederli

presenti,

con grande gioia

disse: Altro

non vorrei che togliere quella povera giovane dalle branche


di quel

dragone, e cavarla dalla torre, demolire ogni cosa, e


. Zitto
!

portarmi una bella moglie a casa mia


falcone,

rispose

il

che,

dove meno

credi, cresce la fava: ora te lo fa(^)

remo

voltare sopra

un carlino

e vogliamo che abbia carestia

di terreno .

Non perdiamo tempo


si

replic

il

cervo:

guai

e maccheroni

mangiano
il

caldi .

Cosi dicendo,
grifoni,

falcone fece venire

una schiera

di uccelli

che, volando alle finestre della torre, rapirono la giola

vane e

portarono fuori del lago presso Tittone e

cognati.

(i)

Giuoco, pel quale

v. sopra, p.
si

127, n. 3.
il

(2) Si

dice dei cavalli che

voltano in piccolo spazio:

carlino,

come

si

gi avvertito, era

una piccola moneta d'argento.

III.

TRE RE ANIMALI

l6l

E, se da lontano essa era parsa a Tittone una luna, da vicino


la

stim un sole, tanto era bella. Ma, mentre egli l'abbracciava


le

diceva dolci parole,

il

drago

si

svegli, e, lanciatosi dalla


il

finestra,

correva per divorare Tittone; quando


di leoni, tigri, pantere,

cervo fece ap-

parire

una squadra

orsi e gatti

mama

moni, che
brandelli.

gli dettero

addosso e con

le

unghie

lo ridussero

Dopo

di ci, Tittone

voleva partire;

ma

il

delfino gli disse:

Anch'io voglio fare qualcosa per servirti . E, affinch


restasse

non

memoria
il

di

un luogo cosi

tristo

e maledetto, fece

crescere

mare, che, uscito dai suoi termini, venne a cozla

zare con tanta furia contro la torre, che

spiant dalle fon-

damenta.
Ringrazi Tittone, quanto seppe e pot,
alla
i

cognati, dicendo
uscita

sposa

di fare

il

medesimo, perch per opera loro era

a salvamento da cosi gran pericolo.

Ma

gli

animali risposero:

Anzi noi dobbiamo ringraziare questa bella signora, perch

essa causa di farci tornare all'esser nostro.


dispiacere dato

Noi,

per un

da

nostra

madre

a una

fata,

avemmo una
stati

maledizione da quando nascemmo, che fossimo


in

sempre
la

forma di animali,
di

fintanto

che non avessimo liberato


il

figlia

un

re

da un gran travaglio. Ecco giunto


ecco

tempo

da

noi

desiderato;

maturata

la

sorba
in
tre

(');

gi sen-

tiamo in questo petto nuovo

spirito,

queste vene nuovo


bellissimi

sangue.
i

sull'istante
l'altro
la

diventarono

giovani,
il

quali

uno dopo

abbracciarono strettamente
alla

cotutta

gnato, e toccarono
rapita dalla gioia.

mano

nuova parente, che era

(i)

Testo: ecco maturato sto spegnile de sorva.

G. 3. Basile, Pentamerone

- ii.

102

GIORNATA QUARTA
tale spettacolo,

Tittone trasse un gran sospiro:


la

si-

gnore Iddio, e perch non hanno parte a questo gusto


marella e
se

si
il

mambelli .

tata

mio?

quali se ne andrebbero in brodetto,

vedessero davanti tre generi cosi graziosi e cosi

Ancora non notte

risposero

cognati:
ridotti

la

vergogna

di vederci cosi trasformati ci

aveva

a fuggire la vista
Cielo,

degli uomini;

ma

ora che,

per grazia

del

possiamo

comparire
le

fra le genti,

vogliamo ritrovarci

tutti

a un tetto con

mogliettine nostre e campare allegramente. Perci


il

cammi-

niamo svelti, che, innanzi che

Sole domattina sballi la mer-

canzia dei raggi alla dogana dell'Oriente, saranno insieme con


noi le nostre mogli .

perch non andassero a piedi, che non

ci

era altro col

che una giumenta scorticata sulla quale aveva viaggiato Tittone, essi fecero comparire
leoni,

una bellissima carrozza,


tutti

tirata

da

sei

nella quale

si

posero
si

e cinque.
la

Dopo

un'intera

giornata di viaggio,

trovarono

sera a un'osteria, dove,


il

mentre

si

apparecchiava da mangiare, passarono

tempo
si

leg-

gendo

tanti testimoni dell'ignoranza degli

uomini, che
letto,
i

erano

firmati sulle mura(').

Venuta

l'ora di

andare a

tre gio-

vani, fingendo di coricarsi,

si

affaccendarono tutta

la notte, di

guisa che
zitelle,

al

mattino,

quando

le stelle,

vergognose come

fanciulle

non vogliono esser


le

viste dal Sole, si ritrovarono alla

medesima osteria con

loro mogli. Grandi furono gli abbracciatutti

menti tra loro e indicibile la gioia che


rimisero in otto nella stessa carrozza,

provarono, e poi

si

e,

dopo lungo cammino,

giunsero a VerdecoUe, dove dal re e dalla regina ebbero carezze incredibili,

avendo

essi

guadagnato

il

capitale di quattro

(i)

Ancoia

sulle iscrizioni delle osterie, per le quali v. sopra, p. 79, n. 4.

III.

TRE RE ANIMALI
di tre generi e

163

figli,

che tenevano perduti, e l'usura

una nuora,

che erano quattro colonne del Tempio


Belprato e di Chiaravalle
dei casi occorsi ai loro
si

della bellezza. Ai re di

mandarono ambasciatori

a informarli

figli;

e quei due venn.TO alle feste che

fecero con l'aggiungere grasso di allegria alla pignatta e

magli

ritata delle loro contentezze,

compensare a pieno

tutti

affanni passati

che un'ora
fa

di

contento

scordare mill'anni di tormento.

TRATTENIMENTO QUARTO

LE SETTE COTENNUZZE

Una

tenne di lardo,

covecchia pezzente bastona la figlia golosa, che ha mangiato sette puniva e, dando a intendere a un mercante, che la
fusi, colui se la

perch aveva lavorato troppo a riempire sette

prende

per per moglie. Ma costei, che lavorare non vuole, pu tuttavia, il quale torna da un viaggio, marito, al mostrare fata, una beneficio di induce il marito a non la tela tessuta; e, infine, con nuovo inganno,
farla

mai pi lavorare per timore che caschi malata.

Benedissero

tutti

la

bocca di Meneca, che aveva raccontato


gli

con tanto gusto da mettere sotto


accadute cosi lontano.
scere
il

occhi degli uditori cose


le

questo ingelosi Tolla e

fece na-

desiderio di>orpassare a pie pari Meneca; onde, spurla

gata prima

voce, parl nel

modo
sia

seguente:
tutto, e perci chi

Non
disse:

si

dice motto che

non

mezzo o

faccia storta e ventura diritta conosceva le cose del


forse aveva letto le storie di A.ntuono(0 e di Pal-

mondo, e

miero(2): abbi ventura, Antuono, e

non aver palpebre, che

senza vischio prendi

beccafichi O); vedendosi per esperienza


ritratto netto e perfetto della

che questo mondo un


gna, dove chi
pili

cucca-

fatica

meno guadagna; dove

colui

ha

il

(i)

Vedi Giornata

I,

i.

(2) (3)

Vedi Giornata IV, 2. Testo: Ventura, Antuono,

no havere parpetole, ca senza visco

pigile le focetole .

IV,

LE SETTE COTENNUZZE
il

165

meglio

il

quale prende

tempo come

viene, ed
si

un mac-

cherone mettimelo in gola; che veramente

tocca con

mano
le

che

le

prede e

le

spoglie della fortuna


(')

si

guadagnano con

barcacce sdrucite
sentire.

e non con

le

galee spalmate,

come

vi far

C'era una volta una vecchia pezzente che, con una conocchia in mano, sputacchiando
porta in porta a cercar
la

la

gente per via, andava di

limosina.
(^),

poich con arte e con

inganno
certe

si

vive mezzo l'anno

un giorno die a intendere a


facili

donnicciuole, tenere di

polmone e

di

credenza,
figliuola

che voleva fare non so quale brodo grasso per una sua

magra; e cosi

guadagn

sette

cotennuzze di lardo. Portatele


di

a casa insieme con un buon involto di pezzi


era andata raccattando per terra,
le

legno che
Saporita,

die alla

figlia.

dicendole di porle sul fuoco, mentre essa tornava a limosinare

qualche torsolo a
Saporita prese

certi ortolani
le

per fare una minestretta.


raschiatine
i

cotenne

e,

peli, le

mise in

un pignattino e cominci a
bollivano dentro
la

farle

cuocere.

Ma

non tanto quelle


lei

pentola quanto bollivano a

in

gola,

perch l'odore che tramandavano era una disfida mortale nel

campo

dell'appetito e

una

citatio

ad informandum'^i)

alla

banca

della gola; tanto che, resisti e resisti, alla fine, provocata dall'alito della pignatta, tirata dalla

naturale golosit e presa alle


si

fauci dalla

fame che

la

rodeva,

lasci

andare a saggiarne

un

pezzetto.

Le seppe
faccia

cosi

buono che
!

disse tra s stessa:

Chi

ha paura,

si

sbirro

Ora,

ci

sono

Mangiamo

e av-

(i)

Testo:

cpermonare:

v.

I,

128, n. 3.

(2) Il

proverbio,
.

com'

noto, continua:

con inganno e con

arte

si

vive l'altra parte


(3)

Termine procedurale.

j66

giornata quarta
(').

venga quel che vuole


tenna?

Si tratta forse d'altro

che

di

una co-

Che
.

potr mai accadere?

Ho

pelle

da pagare coteste

cotenne!

Cosi, divor la prima; e, sentendosi solleticare pi forte lo

stomaco, die

di

mano

alla

seconda; poi, pizzic


l'altra,
si

la terza; e, di

mano

in

mano, l'una dopo

se le sbrig tutte e sette.

Fatto questo cattivo servizio,

mise a pensare all'errore


le

commesso
in gola,

e,

immaginando che
la

le

cotenne

dovessero restare

pens d'ingannare

madre; onde, presa una scarpa


le

vecchia, ne tagli la suola in sette fette e


gnatta.

cal nella pifascetto di

Sopravvenne

in questo

la
i

madre con un
torsi

broccoli, e, minuzzatili
ciolo,

con

tutti

per non perderne bridall'orlo


al

appena vide che l'acqua


dentro
i

bolliva

fondo,

vi gett

broccoli, e vi aggiunse

un po'
al

di

sugna, che

aveva avuta per elemosina da un cocchiere,


zata dall'unzione
figliuola

quale era avandalla

di

una carrozza. Fece stendere poi


cassette
tozzi di
di

un canovaccio su due
da una bisaccia due

pioppo vecchio,
stantio, e, tolto
il

cav

fuori

pane

da una
vi

rastrelliera
i

un tondo

di legno,

vi sbriciol

pane e

vers sopra

broccoli coi pezzi di suola.

E
i

cominci a mettere in bocca;

ma

s'accorse subito che

denti suoi

non erano da

calzolaio e che le cotenne di porco,

con nuova metamorfosi ovidiana, erano diventate ventresche


di bufalo.

Furiosa,

si

volse alla

figlia:

Me

l'hai fatta, scrofa

maledetta! Quale sporcizia hai messa in questa minestra?

che forse

la

pancia mia scarpone vecchio, che l'hai provvela

duto di tacchi? Presto, confessa subito com' andata


se

cosa;

no,

meglio

che

non

fossi

nata,

non

ti

voglio

lasciar

pezzo d'osso sano!.

(i)

Testo:

e venga de creta e chiova.

IV.

LE SETTE COTENNUZZE

167

Saporita prese a negare; ma, incalzando la furia della vecchia, die colpa al

fumo

della pignatta,

che l'aveva accecata

e indotta a commettere questo brutto sbaglio. La vecchia, che


si

vide avvelenato
tal

il

mangiare, afferr un manico di scopa e


di tornio,

cominci di

maniera a lavorare

che pi

di sette

volte la lasci e la riprese, picchiando

dove coglieva coglieva.


si

Alle grida della figliuola entr un mercante che

trov

a passare
strapp di

li

dinanzi, e, veduta
la

la

ferocia

della
ti

vecchia, le
fatto

mano

mazza
la

e le disse:

Che

ha

questa
di

povera giovane, che

vuoi uccidere?

E
ti

questo un

modo

castigare o di togliere la vita? L'hai

trovata forse a correre

lance

(')

o a rompere salvadanai?

Non

vergogni di trattare

a questa maniera una povera fanciulla? .

Tu non

sai

che cosa mi ha

fatto!

rispose la vecchia.
se ne briga, e

La svergognata mi vede pezzente


rovinare coi medici e
gli speziali
;

non

mi vuol

giacch, avendole ordinato,

ora che
lata,

fa

caldo, di

non lavorare troppo per non cascare macurarla, la prosuntuosa, a dispetto


fusi,

che

io

non ho come

mio, ha voluto stamattina riempire sette


le

a rischio che

venga qualche infiammazione


letto .
tal

'''>

al

cuore, e che mi stia due

mesi a
Il

mercante, che udi

cosa, pens che la massarizia di

questa giovane potesse essere la fata della casa sua; e disse


alla vecchia:

Lascia la collera

da banda, che

io

ti

voglio
figlia

levare questo pericolo dalla casa,

prendendomi questa tua


la

per moglie, e

me

la

porter a casa mia, dove

far stare

(i)

Sta nel senso di quel luogo del Machiavelli nella Clizia

(I,

2):

Ma

io

non sono ancora

si

vecchio, eh io non rompessi una lancia con

Clizia.
(2)

Testo: erosola, che propriamente infiammazione alle dita o ai

piedi, gelone o pedignone.

l68

GIORNATA QUARTA
io

da principessa, perch, per grazia del Cielo,


galline,

mi allevo

le

mi cresco
la

il

porco, ho

piccioni, e

non posso
il

gi-

rarmi per

casa, tanto piena.


ci

Mi benedica
ho
botti
di

Cielo

marocchi non
di farina,

possano:

ma

io

grano, casse

orciuoli d'olio, pignatte e

vesciche di sugna, ap-

pese
di

(')

di lardo,

rastrelliere di vasi, cataste di legna,


letto

mucchi
e,

carbone, un cassone di biancheria, un

da sposo,

soprattutto, di pigioni e di censi posso

campare da signore;

oltrech traffico per alcune decine di ducati nei mercati, e,

se la cosa mi riesce a segno, divento ricco .

La vecchia, che

si

vide

piovere

questa

fortuna

quando

meno
tua,

si

pensava, prese Saporita per


(^),

mano

e gliela concesse

a uso e costumanza di Napoli

dicendo: Eccotela, sia la


belli

da qua a

belli

anni,
le

con salute e

eredi .

il

mercante, cintala con

braccia, se la port a casa e


le

non

vide l'ora che fosse giorno di mercato per fare

spese op-

portune.
Il

lunedi

si

lev di buon mattino,


la loro

e, recatosi

dove

le

cam(3)

pagnole stavano con


lino e le

merce, compr venti decine

di

consegn a Saporita, dicendole:

Ora puoi

filare

voglia tua, che

non

hai paura di trovare pi un'altra pazza rabti

biosa

come

tua madre, che

rompeva
fusi,
ti

le

ossa perch empivi

le fusa. Io,

per ogni decina di

voglio dare una decina

(i)

Appesa

si

dicono nel napoletano

le

cose attaccate in

fila

una

pertica, o
(2)

ad uncini e chiodi.
della sposa porgeva e sorreggeva
il

La madre

dito della figliuola

pu vedere la descrizione di un matrimonio secondo il rito napoletano in una lettera del Capilupi del 15 15, intorno al matrimonio del conte di Colisano con la figliuola di Antonia Gonzaga (che era una Del Balzo, napoletana), celebrato in Mantova. La riprodusse G. Gatti nella rivista G. B, Basile, V, 45-46.
a
infilare l'anello nuziale. Si
(3)

Ogni decina, come

si

detto, corrispondeva a quattro rotoli.

IV.

LE SETTE COTENNUZZE
('^

169
farai,
ti

(U baci e,

per ogni lucignolo d lino

che mi
e,

dar

questo cuore. Lavora, dunque, di buon animo;


dalla fiera,

quando torno

che sar

tra

venti

giorni,
ti

fammi trovare queste


paio di

venti decine di lino

filate,

che

vorr fare un bel

maniche rosse,

fasciate di velluto
!

verde

Va' che stai fresco

borbott
quando
puoi
fin
ti

tra s e s Saporita.
infili! (2).

Ora

hai pieno

il

fuso! Si,

corri e

Se

aspetti
di carta
(3)

camicia dalle mani mie,


straccia.
filare in

da ora provvedere
io latte di

L'hai trovata!

che? son

capra nera

da

venti giorni venti decine di lino? Maledetta la barca

che mi condusse a questo paese! Va', che hai bel tempo, e


troverai filato
la
il

lino

quando

il

fegato avr

peli e la bertuccia

coda

.
il

Partito

marito, essa, che era altrettanto ghiotta quanto


attese

poltrona,

non

ad

altro

che a prendere sacchi


fritte;

di farina

e orciuoli d'olio, e a fare zeppole e pizze

e da mattina

a sera rosicchiava

come topo

e diluviava

come

maiale. Ma,

avvicinandosi

il

termine del ritorno, cominci a inquietarsi e

ad aver

la

tremarella,

pensando
il

al

rumore e

al

fracasso che
intatto

sarebbe scoppiato, quando


il

mercante avesse trovato


anfore.

lino,

e vuote le casse e

le

Che cosa
una grossa

fece allora? Prese

una pertica lunga lunga,


la

vi av-

volse una decina di lino con tutta

stoppa e

le lische, ficc a

forcina una zucca d'India, e leg la pertica a un

l)arapetto del terrazzo.

Dopo

di che,

prese a calar gi questo


di

padre abate dei

fusi,

tenendo accanto una grande caldaia

(i)
(2)
(3j

Testo:

cerinola, che fa bisticcio con

core.

Traslato dal giuoco dell'anello. Cosi anche nella fiaba seguente,


e

Capra nera

sta per diavolo,

Strega, o simile

lyo

GIORNATA QUARTA
di
fili

brodo
faceva
di dito

maccheroni come scodellino d'acqua


sottili

(');

e,

mentre

quante

le sartie

delle navi, a

ogni bagnata

giocava a carnevale con quelli che passavano.


li

Passarono per caso

dinanzi certe

fate,

che presero tanto

gusto a questo strano spettacolo, che stettero per schiattare


dalle risa.

le

dettero allora la
si

fatagione

che, quanto
filato,

lino
tes-

avesse in casa, tutto

fosse trovato

non solo
fu

ma

suto in tela e biancheggiato.


l'istante; tanto

La qual cosa

eseguita sul-

che Saporita nuotava nel grasso dell'allegrezza,

vedendosi piovuta dal Cielo questa buona ventura.


Tuttavia, perch

non

le

dovesse pi accadere di ricevere


fece trovare a letto,

si-

mile molestia dal marito,


sotto le lenzuola

si

avendo messo
il

una misura

di nocciuole. Arrivato

marito,

essa cominci a
dall'altra,
si

gemere

e,

voltandosi ora da una parte ora


le

faceva scricchiolare
le ossa. Il

nocciuole, che pareva che le


le

scatenassero

marito

domand come
afflitta:

si

sentiva,

ed essa rispose con una vocina


star

afflitta

Non posso

peggio
ti

di

come

sto,

che non mi restato osso sano.


la

che

pare poca erba per

pecora

filare venti

decine di

lino in venti giorni, e ridurlo altres a tela? Va', marito mio,

che non hai speso per

la

levatrice, e la
io

discrezione

se

mangiata

l'asino.

Quando
non

sar

morta, non slare a dire:


ci cogli

Uh,
fatiche
il

mamma
da cane:

mia!
io

Perci,

non mi

pi a queste

voglio, per rimpinzarti fusi, vuotare

fuso della vita mia .


Il

marito, facendole tenere carezze, le disse:


telaio

Stammi sana,
amoroso che

moglie mia, che mi pi caro questo bel


tutte le tele del

mondo;

e ora conosco che aveva ragione tua

madre

di castigarti

perch lavoravi eccessivamente, giacch

(i)

Per bagnare

le dita.

IV.

LE SETTE COTENNUZZE

171
io voglio

vedo che

ci

perdi la salute.

Ma

sta' di

buon animo,

spenderci un occhio

per risanarli, e aspetta, che vado

pel

medico

di corsa

and a chiamar messer Catruopolo.


si

Frattanto, Saporita
finestra
i

mangi
fu

le

nocciuole e
il

gett

dalla
tocil

gusci;

e,

quando

venuto

medico ed ebbe

cato

il

polso, osservata la faccia, veduta l'orina e odorato


il

vaso, concluse con Ippocrate e Galeno che


di

male suo era


al

troppo sangue e di poca

fatica. Il

mercante,

quale parve

di udire

un grosso sproposito,

gli

mise un carlino nelle mani

e lo rimand caldo e puzzolente; e voleva andare a cercare

un

altro cerusico.

Ma

Saporita

gli

disse che

non ce n'era

bi-

sogno e che gi l'averlo riveduto l'aveva sanata.


Cosi
il

marito, abbracciandola,

la

ammoni che da
affaticarsi,

allora

in poi si fosse regolata in


si

modo da non

perch non
('),

pu avere insieme vin greco e cavolo cappuccio

piena

la

botte

e la

schiava ubbriaca.

(i)

Perch, nei luoghi dove


il

si

coltivano

cavoli cappucci,

non pu

allignare
cit.,

generoso vin greco: Galiani, Del dialetto napoletano, ed.

p. 286.

TRATTENIMENTO QUINTO
IL

DRAGONE

Miuccio mandato, per opera di una regina, a diversi

pericoli, e

da

tutti,

per l'aiuto di un uccello fatato, esce con onore. Alla

fine, la

regina

muore, ed

esso, scoperto

figlio

del re, fa liberare la propria

ma-

dre, che diventa moglie di quella corona.

Il

racconto delle sette cotennuzze mise tanto grasso nella

minestra del gusto del principe che se ne spargeva di fuori,


all'udire quella ignorante malizia e maliziosa ignoranza di Saporita, scodellata,

con tanto sapore, da Tolla.

Ma

Popa, non

volendo cedere

di

un punto a

Tolla, s'imbarc pel

mare

delle

chiacchiere, col racconto che segue:

Chi cerca

il

male
il

altrui,
il

trova

il

danno proprio, e

chi va

ad acchiappare

terzo e

quarto coi tradimenti e con gl'in-

ganni, spesso incappa allo stesso vischio che aveva preparato;

come

udrete di una regina, che

si

costrui

con

le

sue mani

stesse la tagliuola, in cui rimase presa pel piede.

C'era

una volta

un

re

d'Altamarina,
fu,

al

quale,
la

per

le

crudelt e tirannie che usava,

mentre con

moglie era
citt,

andato
pato
il

per diletto a

un

castellotto

lontano dalla

occu-

seggio reale da una maga. Egli fece allora pregare


di

una statua

legno,

che dava oracoli per enimmi,


lo stato

ne

ebbe per risposta che allora ricupererebbe


la

quando
era cirfiuto
la

maga

perdesse
di

la vista.

Ma
si

la

maga non

solo

si

condata

buona guardia,

anche conosceva

al

V. IL

DRAGONE
insidiarla, e

I73

gente che quegli

le

mandava contro per

ne ese-

guiva subito giustizia spietata.

Ci vedendo,
di quella citt

il

re entr in disperazione, e
le

quante femmine
per dispetto

poteva avere tra

mani, a

tutte,

della

maga, toglieva l'onore, e con l'onore


la loro

la vita.

E, tra

le

cento e cento, che

cattiva sorte port a

rimanere stu-

rate di riputazione e sfasciate dei giorni loro, capit

una

giosi

vane chiamata

Porziella,

che era

la

pi gentile cosa che


I

potesse vedere sopra tutta

la terra. la

suoi capelli erano vere

manette degli
scritta
la

sbirri
alla

di

amore;

fronte,

tavola dove stava

tariffa

bottega delle grazie dei gusti amorosi;

gli occhi,

due
la

fanali
al

che assicuravano

vascelli
la

dei desideri

a voltare

prora

porto dei contenti;

bocca, un'arnia

di miele tra

due

siepi di rose.
questi,
la volle

Caduta

in potere del re,

dopo che l'ebbe passata


ammazzare; ma,
nell'atto

in rivista ()

come
il

le altre,

che alzava

pugnale, un uccello
radice, e gliene

gli

fece cascare sul braccio

non so quale
gli

venne

tale

un tremito che l'arma


fata,

scorse di mano. Era l'uccello una

che, pochi giorni


la

innanzi,

dormendo

in

un bosco, dove sotto


alla galera dello

tenda delle om-

bre

si

giocava l'ardore

spavento, stava per

subire l'onta da un satiro,

quando

fu svegliata
i

da Porziella;

e per questo beneficio seguiva sempre

suoi passi, pronta a

rendergliene ricambio.

Il

re,

all'inatteso

impedimento, pens
il

che

la bellezza di

quella faccia avesse


(^)

messo

sequestro

al

braccio e ingiunto un mandato

al

pugnale, vietandogli di

(i)
(2)

Testo: Cosi
si

fattola passare a lo rollo.

diziaria
la

chiamava l'ammonizione rivolta a taluno dall'autorit giuo politica a non commettere una certa azione (per esempio:
di

vendetta di un'offesa), sotto minaccia

pene

in

aggiunta a quelle che

sarebbero toccate per legge.

174
trafiggerla

GIORNATA QUARTA

come

di tante altre

aveva

fatto.

Consider dunque

che bastava un pazzo per casa e che non conveniva tingere


di

sangue l'ordigno della morte come ne aveva


della vita; e dispose che Porziella fosse

tinto Io struin

mento

murata

una

soffitta del

suo palazzo, e lasciata col,

l'afflitta

e dolorosa gio-

vane, senza aver n da mangiare n da bere, affinch perisse


d'inedia.
L'uccello, che la vide a questi cattivi termini, la confort

con parole umane, che


gratitudine di

stesse di
lei

buon animo perch

esso, per

un favore da

ricevuto, l'avrebbe aiutata col

proprio sangue.
ziella

Non

volle,

jjeraltro,

quantunque assai Porfosse; e soltanto le ripet

ne

lo pregasse, svelarle

mai chi

che

le

si

sentiva obbligato, e torn ad assicurarla che


servirla.

non

avrebbe tralasciato cosa per

poich

la

povera gio-

vane languiva per

la

fame, vol fuori e torn con un coltello

appuntito, che tolse dal riposto del re, e le disse di aprire a

poco a poco un buco

in

un angolo

del solaio,

che sarebbe

andato a rispondere nella cucina, dalla quale avrebbe preso

sempre qualcosa per sostentarle


ticatasi

la vita.

Porziella ubbid, e, affa-

per un buon pezzo, tanto scav che apri l'entrata alil

l'uccello;

quale, profittando del

momento che
alla

il

cuoco era

andato ad attingere una secchia d'acqua


pel

fontana, discese

buco e

si

port via un pollastro, che stava in caldo, e

lo dette a Porziella.

Non sapendo

poi

come

rimediare

alla sete,

vol

alla dispensa,

dove era appesa molta uva, e gliene porse


pi giorni.

un grappolo. Cosi continu per

Pi tardi, Porziella, che era rimasta incinta, die alla luce

un

bel figlio

maschio, che essa


E,

allatt e
il

crebbe con
figliuolo

la

continua

assistenza

dell'uccello.

diventato

grandicello,

l'uccello consigli alla

madre

di allargare l'apertura del solaio,

levandone

altrettante

assicelle, in

modo che

potesse entrarvi

V. IL

DRAGONE
essa aveva dato
al

I75
figliuolo) e di
le

Miuccio

(tale

era

il

nome che

calarlo, per

mezzo

di certe cordicelle
i

che esso stesso

aveva

procurate, rimettendo a loro posto

panconcelli in guisa che

non

si

vedesse per dove era disceso. Cosi fece Porziella, e


al figlio di

comand

non

dir

mai donde fosse venuto, n

di chi

fosse figlio.

Quando
in

il

cuoco, che era uscito per faccende, torn e vide cucina quel bel garzoncello,
gli

mezzo

alla

domand

chi era,

come

era entrato e che cosa era venuto a fare in quel luogo;

e Miuccio, ricordando l'istruzione della madre, rispose


si

che

era sperduto e che andava cercando padrone. Tra questo

dialogo sopravvenne lo scalco, che, veduto


tanto spirito, pens che sarebbe stato adatto
re,

un

fanciullo di

per paggio del

e lo condusse nelle camere regali. Piacque subito al re,


lo vide cosi bello e grazioso, e lo
al

che

tenne

al

servigio per

paggio,
cizi

cuore per

figlio,

gli

fece insegnare tutti gli eseril

che convengono a un cavaliere; tanto che divent

pi

virtuoso della corte.


Il

re gli voleva bene pi che al figliastro;


in

onde

la

regina

cominci a prenderlo
odio. L'invidia e
la

uggia e a guardarlo con occhio di

malevolenza guadagnavano tanto maggior


la

terreno quanto pi spianavano loro

strada
si

favori e le grazie
di

che

il

re faceva a Miuccio.

E
al

la

regina

propose

mettere

tanto sapone alla scala della fortuna di quel giovane che alfine

sdrucciolasse dall'alto gi

fondo.
in

Una

sera che,

dopo aver accordato

pieno

loro struloro,
la

menti musicali, facevano una musica


regina disse
al

di discorsi

tra

re che Miuccio
Il

si

era vantato di poter fare tre


sia

castelli nell'aria.

re, sia
al

perch era curioso,


la la

per dar gusto

alla

moglie, quando

mattino
per

Luna, maestra delle Ombre,


festa del Sole,

concede

feria alle discepole

chiam a s

176

GIORNATA QUARTA
gli

Miuccio e

ordin che, per ogni conto, avesse

fatto

tre

castelli in aria,

come

se n'era vantato; altrimenti, avrebbe fatto

fare a lui tre salti in aria.

Miuccio, a tale richiesta, se ne and nella sua camera e

cominci un amaro lamento sulla grazia dei principi,


gile

frae,

come

vetro,

e sulla

poca durata dei loro


l'uccello,

favori;

mentre piangeva a calde lacrime, ecco


Fa' cuore,

che

gli disse:

o Miuccio, e non dubitare, perch hai con


io,

te

persona
gli

come son

capace

di

cavarti

dal
e,

fuoco

ordin di prendere molto cartone e colla,

lavorati a

quel

modo

tre

grandi

castelli,

fece venire tre grossi grifoni,


castello, e quelli

e a ciascuno leg ai piedi


l'aria.

un
re,

volarono per
tutta la corte

Miuccio chiam

il

che accorse con

questo spettacolo, e che, ammirando l'ingegno del giogli

vane,

pose maggiore

affetto

gli

fece feste

carezze

dell'altro

mondo.
aggiunta di neve all'invidia e di fuoco allo sdegno

Ci

fu

della regina, che,

vedendo che

il

colpo non

le

era riuscito,

non vegliava
la

il

giorno che non cercasse modo, e non dormiva


di levarsi

notte che

non pensasse maniera,


;

dinanzi quealtri

sto stecco degli occhi suoi

sicch,

dopo pochi

giorni,

disse al re: Marito mio, ora

tempo

di tornare alle
('),

gran-

dezze passate e
si

ai piaceri degli

anni lontani

perch Miuccio
di occhi, farti

offerto di accecare la fata e,


il

con una spesa

ricomprare
II

regno perduto
si

re,

che

senti toccare sul


gli parl:

punto doloroso, immediata*


Resto assai meravigliato,

mente chiam Miuccio e

o Miuccio, che, volendoti tanto bene e potendomi tu rimet-

(i)

Testo:

de

mo

fa

l'anno

di

un anno

fa,

che ancora una

negligenza nella cronologia della fiaba.

V. IL

DRAGONE
te

I77

tere nel seggio dal quale

sono capitombolato,

ne

stai cosi

spensierato e non procuri di togliermi dalla miseria in cui mi


trovo, ridotto
citt

come sono da un regno

a un

bosco,

da una

a un povero castell uccio e dal comandare a tanti ad esser


(0,

appena servito da pochi domestici affamati

che affettano
in
di-

pane e scodellano broda. Perci, se non vuoi cadere


sgrazia presso di me, corri subito ad accecare
la
le

maga che

in possesso della roba mia; e


quegli occhi, aprirai
il

tu,

serrando

botteghe di

fondaco delle grandezze mie; spegnendo

quelle lucerne, accenderai le

lampade dell'onor mio, che stanno

ora smorzate e fumose

.
il

questa proposta, Miuccio stava per rispondere che

re

era mal informato e l'aveva tolto in iscambio, che egli era corvo

non

che cavasse
il

gli

occhi,

latrinaio
!

che sturasse
Cosi voglio,
cervello
fai

buchi; quando

re concluse:

Non

pi parole

cosi sia fatto. Fa' conto che alla zecca del

mio

ho

messo

in bilico la bilancia: di di l
il

qua

il

premio, se

quello
ti

che devi;

castigo, se lasci di fare quello

che

co-

mando
fare

Miuccio, che non poteva cozzare con un sasso e aveva da

con un uomo che guai a chi


in

ci

capitava, se ne

and a ge

mere

un angolo.

Ma
ti

sopraggiunse l'uccello e
perdi

gli disse:

possibile, Miuccio, che

sempre

in

un bicchier

di

acqua?

E, se io

fossi stato ucciso, potresti fare

un lamento

pari a questo?

Non

sai

che

io

ho pi cura

della tua vita

che della mia stessa? che vedrai che cosa

Perci,

non

ismarrirti e vienimi dietro,

(i)

Testo:
di

da

quatto pane a parte, che par che sia in relazione


servitori (v. sopra,
il

col

nome

settepanelle , dato ai
le

I,
i

15,

n.

i);

e vorrebbe dire che, per


tori

angustie a cui

re era ridotto,

suoi servi-

ricevevano ciascuno quattro, e non sette pani, per settimana.


G. B. Basile, Penlamerone

u.

12

178
sa fare Meniello
('),

GIORNATA QUARTA
E, preso a volare, con Miuccio che lo
l si

seguiva,

si

ferm in un bosco; e

mise a cinguettare, e

subito fu attorniato da una schiera di uccelli.

Come

se

li

vide intorno, esso

domand

chi tra loro

si

con-

fidasse di spegnere la vista alla

maga; che

gli

avrebbe dato una

salvaguardia contro

gli

artigli

degli sparvieri e degli astori, e

una carta franca contro


e
i

gli

schioppi, gli archetti, le balestre

vischi dei cacciatori.

Tra quegli

uccelli. c'era

una rondine, che, avendo

fatto

il

suo
la

nido a una trave della casa reale, aveva preso ad aborrire

maga, la quale, per eseguire


volte l'aveva cacciata dalla

suoi maledetti incantamenti, pi


coi suffumigi.

camera sua

quella,
1'

in parte per vendetta, in parte allettata dal


cello prometteva, si offerse

premio che
cosa.

uc-

ad eseguire

la

Vol, dunque,

la

rondine,

come una

folgore, alla citt, entr

nel palazzo reale, e qui vide la

maga, che se ne stava distesa

sopra un lettuccio, facendosi fare fresco col ventaglio da due


damigelle. Subito
la

rondine

le si

mise a perpendicolo sugli


il

occhi, e, lasciandovi cascare dentro


vista.

suo sterco,
la

le tolse

la

La maga, che vide

a mezzogiorno
di

notte, e
la

ben

sa-

peva che con quella serrata

dogana terminava

mercanzia
allo

del suo regno, gett strida da


scettro,
la testa

anima dannata e rinunzi

correndo a rintanarsi in certe grotte, dove tanto batt


nella roccia,
la

che
i

fini

suoi giorni.

Andata via
re,

maga,

consiglieri inviarono ambasciatori al

che venisse a godere


quella
gli

la

casa propria, perch l'accecamento


la

di

aveva dato

luce del

buon giorno;

e,

nello

(i) Testo:

Moniello; nelle edizioni posteriori,

Meniello: doveva

essere locuzione popolare per dire: che cosa sappia fare una persona
abile

come me.

V.

IL

DRAGONE

I79

Stesso punto

che

gli

ambasciatori arrivarono, giunse anche

Miuccio, che, istruito dall'uccello, cosi disse:


di

T'ho
reso,

servito

buona moneta:

la

maga

accecata,
il

il

regno tuo; ma, se


ti

io merito

ricompensa per

servigio che

ho

non ne

voglio altra se

non che

tu

mi

lasci stare coi


Il

miei malanni

senza mettermi un'altra volta a pericoli.

re,

dopo averlo
(')

abbracciato con grande amorevolezza, lo fece coprire

e sedere
il

accanto a

s; e se la

regina ne crep di rabbia, ve lo dica


si

Cielo, tanto che nell'arcobaleno di diversi colori, che


sul suo volto,
si

mostr

conobbe
il

il

vento delle rovine, che macchinava

nel cuore contro

povero Miuccio.

Poco lungi
que

dal castello, era

un dragone ferocissimo, che nace


gli astrologi,

allo stesso parto

con

la regina,
fatto,

chiamati dal

padre a strologare questo


rebbe campata
la figlia

sentenziarono che tanto sail

sua quanto campava

dragone, e che,
l'altra;

morendo

l'uno, sarebbe

morta necessariamente anche

solo una cosa avrebbe potuto risuscitarla, cio se le avessero

unto

le

tempie, lo sterno,

le

nari e

polsi col

sangue dello
e la furia

stesso dragone.
di

Ora

la regina,

che conosceva

la forza

quest'animale, pens di mandargli Miuccio nelle granfie,

sicura che se ne sarebbe fatto un sol boccone, e gli sarebbe


stato

come
al

la

fragola in
Aff,

bocca all'orso. Cominci, dunque,


il

a dire

re:

che Miuccio

tesoro della casa

tua,

e saresti ingrato se non

l'amassi; tanto pi che ha lasciato inil

tendere di voler ammazzare

dragone,

il

quale, quantunque

mi
di

sia fratello,

ti

cosi nemico, che io voglio piuttosto un pelo


fratelli.
il

mio marito che cento


Il

re,

che odiava mortalmente

dragone e non sapeva

come

liberarsene, subito

chiam

di

nuovo Miuccio: So

gli

(1)

Come un grande

del regno.

l8o
disse

GIORNATA QUARTA

che

tu

metti

il

manico dovunque vuoi

e perci,

avendo

fatto tanto e tanto

per me, bisogna che mi faccia un

altro piacere,

e poi disponi di

me

a tua voglia. Va' in que-

sto punto stesso e

ammazza

il

dragone, che mi renderai un

servigio segnalato e io te ne dar

buon merito
s,
e,

Miuccio stava per uscire fuori di

appena pot

spic-

cicare parola, rispose: Cotesta, ora, doglia di testa; ora, mi

avete preso a vessare; forse,

la

mia

vita, latte di

capra nera,

che

si

pu
si

farne strapazzo?

Non

si tratta di

una pera sbucciata,

che mi che con

metta dinanzi

alla bocca: si tratta di


la

un dragone,
con
la

le

branche sbrana, con

testa sfonda,

coda

fracassa, coi denti stritola,


cide. Ora,

con

gli

occhi infetta, col fiato ucla

perch volete

mandarmi a morte? E questa

prov-

visione

(')

che mi data per avervi dato un regno? Chi quel-

l'anima dannata che ha gettato sulla tavola questo dado? Chi


stato
il

figlio dell'inferno,

che

vi

ha spinto a questi

salti

gonfiato di queste parole? .


Il

re,

che era leggiero come pallone a

farsi balzare,

ma

duro

pi d'una pietra a sostenere quello che aveva detto una

volta,
al

punt
meglio.

piedi e disse:

Hai

fatto e fatto,

e ora

ti

perdi

Ma non
ti

pi parole! Va', togli questa peste dal regno


la

mio; se no,

tolgo

vita.
si

Miuccio sventurato, che

sentiva fare ora un favore ora


alla

una minaccia, ora una carezza

faccia

ora un calcio

al

deretano, ora una calda e ora una fredda, consider quanto

mutevoli fossero

le

fortune delle corti, e avrebbe voluto esser

pi che digiuno della conoscenza del re. Ma, sapendo che replicare agli uomini grandi cosa

da

bestia,

ed come se

si

volesse pelare

la

barba

al

leone,

si ritir

in disparte, maledi-

(i)

Testo:

chiazza morta

vedi

I,

93-4, n. 3.

V. IL

DRAGONE

idi

cendo
le

la sorte

sua che l'aveva ridotto alla corte per fare corte

ore della propria vita. E, mentre, seduto sul gradino di una

porta,

con

la faccia in
i

mezzo

alle ginocchia,
('^

lavava

le

scarpe

col pianto e scaldava

contrappesi
gli

coi sospiri, ecco l'uccello

con

in

becco un'erba, che

gett in

grembo, dicendogli:
scarica l'asino
^^K

Alzati, Miuccio, e assicurati che


dei giorni tuoi,

non giocherai a
del

ma a sbaraglino della vita


tal

dragone

Prendi

quest'erba

e,

arrivato alla grotta di quel brutto animale, getta-

vela dentro, che subito gli verr

sonno

sbardellato, che

si

piegher a dormire; e

tu,

con un bel

coltellaccio sotto le anti

che, fagli subito la festa, e vieni via, che le cose

riusciranno

meglio che non pensi. Basta,

io so

bene quel che dico, e ab-

biamo pi tempo che danaro, e chi ha tempo ha vita.


Miuccio
si

alz e, postosi tra


si

panni un grosso coltello e


la

presa l'erba,

avvi alla grotta,

quale
i

si

apriva sotto una

montagna
scala
ai

di cosi

buona

statura che

tre

monti, che fecero


alla
il

giganti,

non

le

sarebbero

arrivati

cintura.
al

E,

quando

fu all'entrata, gett l'erba e, appiccato

sonno

dra-

gone, cominci a tagliare.

Nel tempo stesso che batteva col coltellaccio


l'animale, la regina
si

le

carni dela

sentiva intaccare

il

cuore;

e, vistasi

mal termine,

si

accorse del suo errore, per essersi comprata


la

a danari contanti

morte.

Chiam

allora

il

marito e

gli

disse

quello che avevano prognosticato


del

gli astrologi,

e che dalla vita

dragone pendeva
il

la vita

sua, e

come

sospettava che Miucsi

cio avesse ucciso

dragone, giacch essa

sentiva mancare

a poco

a poco.

Se sapevi

le

disse

il

re

che

la vita del

dragone era

(i) Testicoli.

(2)

Noti giuochi di dadi.

l82

GIORNATA QUARTA mi
facesti
il

puntello della tua e radice dei tuoi giorni, perch

mandare Miuccio? Chi ne ha


e tu lo piangi; tu hai rotto
il

la

colpa?

Tu

ti

sei fatto

male

gotto e tu lo paghi! .
la

Non credevo mai

rispose

regina

che un mingherin

lino avesse tant'arte e tanta forza

da gettare a terra un animale

che faceva poca stima d'un esercito; e avevo


vi

mente che
il

avrebbe lasciato
la

gli

stracci.

Ma, poich ho

fatto

conto

senza l'oste e

barca dei miei disegni andata a picco,

fammi un

piacere, se

mi vuoi bene. Appena sar morta, prendi


sangue del dragone, e ungimi
.
il

una spugna,
le

intrisa nel

tutte

estremit della persona prima di seppellirmi


Questa poca cosa all'amore che
ti

porto
vi

disse
il

re;

e, se

non baster

il

sangue del dragone,

metter

mio per

darti soddisfazione .

La regina voleva

ringraziarlo,

ma

gli

usci lo spirito

con

le

parole, perch, in quel

momento

stesso, Miuccio

aveva termi-

nato

il

macello del dragone.


egli

Quando

giunse innanzi
il

al re

per dargli l'annunzio delfosse

l'opera eseguita,
cogliere
la
il

re gli

comand che
e,

tornato a rac-

sangue del dragone;

curioso di vedere da vicino


le

prova che quello aveva compiuta con

mani,

gli
si

tenne
fece

dietro

non

visto.

All'uscita
gli

dal

palazzo,

l'uccello

incontro a Miuccio e

domand: Dove vai?. Vado dove


fa

mi manda
e

il

re,

che mi

andar

su e gi

come
.

spola,

non mi
il

lascia riposare un'ora .


.

A
te

che fare?

pren-

dere

sangue del dragone


di

Oh

sciagurato te per cotesto

sangue
ti

dragone,

il

quale sar per

sangue

di toro('),

che

creper dentro!

Con

quel sangue rinascer la mala semenza

(i)

Sull'efficacia tossica del


41.

sangue

di toro, Plin., Hist. nal.,

XI,

90,

XXVIII,

V.

IL

DRAGONE
ti

I83

di tutti
pericoli

tuoi travagli; che colei

ha posto sempre a nuovi


e
il

affinch

tu vi

lasci

la

vita;
ti

re,

che

si

fa

met-

tere la barda
tello
('),

da una

brutta strega,
la

manda, come un trova-

ad arrischiare

persona, che pure sangue suo,

che pure broccolo


ti

di quella pianta.
il

Lo

scuso, perch

non

conosce;

ma

pure
i

moto
che

del

cuore dovrebbe essere spia


il

della parentela, e

servigi

gli hai resi, e

guadagno che

ora egli farebbe di un bello erede, dovrebbero costringerlo a

prendere

in grazia quella sventurata di Porziella, tua

madre,

che da quattordici anni oramai sta murata in una

soffitta,

dove

sembra un tempio
Il

di bellezza,

fabbricato in
si
il

un camerino.

re,

che aveva ascoltato ogni cosa,


pi particolarit

trasse subito infatto era andato;

nanzi per udire con


e,

come

appreso che Miuccio era

figlio di Porziella,

rimasta incinta
soffitta,

di lui,

e che Porziella era ancora viva nella

subito

ordin che fosse smurata


E, quando
la

e condottagli davanti.

vide

pi bella che mai per la

buona cura

che ne aveva avuta


e non
si

l'uccello,

l'abbracci con a.nore grande

saziava di stringere ora la

madre ora

il

figlio,

chie-

dendo perdono a quella

del crudele trattamento che le

aveva

usato, e a questo dei pericoli a cui lo aveva posto.

fece

subito rivestire Porziella con le pi ricche vesti della regina

morta, e

la

prese per moglie.

Offerse poi lo stato e tutto se stesso all'uccello, che aveva

mantenuto

in vita la

povera giovane procurandole


il

il

cibo, e

che aveva col consiglio aiutato


coli.

figliuolo a uscire dai perialtro

Ma

l'uccello disse
si

che non voleva

premio che Miuc-

cio per marito, e

trasform, nel dir cosi, in una bellissima

giovane.

(i)

Testo:

conime a

iettariello : gettatello.

l84

GIORNATA QUARTA
richiesta fu accolta
e,

La
ziella,

con grande gioia dal

re e

da Porla

mentre

la

regina morta fu gettata in un tumulo,


colse
piaceri

coppia degli sposi


in

a tomoli

e,

per celebrare

modo
loro

pi solenne

le feste, si

avviarono

al

loro regno,

dove

erano aspettati con gran desiderio.


la

sempre riconobbero che

buona fortuna era venuta

dalla fata pel beneficio refini:

sole da Porziella, perch alla fine delle

Mai non

si

perde

il

bene che s'

fattoCO.

(i)

Una

particolare attenzione

scrive
che

Iacopo

Grimm
il

merita

la

somiglianza che questa fiaba del Basile ha con la saga di Siegfried.


nascita secreta di

La

M luccio e
il

il

suo umile

ufficio presso

cuoco ricordano
ricorda quegli

la fanciullezza dell'eroe; l'uccello,

lo assiste di aiuto,
il

uccelli, dei quali

nordico Sigurd intende

linguaggio e da cui riceve

e accetta consigli.

La regina nemica
alla

si

confronta con Brunhild, ed

insieme Reigen, che eccita


qui
il

lotta col

dragone.

Il

dragone anche
Essa vuole
es-

fratello della regina, la cui vita legata alla sua.


lui,

sere appunto spalmata col sangue di

aspira al sangue del cuore di


3 ediz.,

Dafner

modo stesso che Reigen {Kinder und Hausntdrchen,


al

Gttingen, 1856,

III,

292-3).

TRATTENIMENTO SESTO

LE TRE CORONE

Marchetta rapita dal vento e portata

alla casa di un'orca, dalla quale,

dopo

vari accidenti,

avendo ricevuto uno

schiaffo, si

parte vestita
lei la

da uomo. Capita
di aver tentato di

in casa di

un

re,

dove, innamoratasi di

re-

gina, e sdegnata di

non trovare corrispondenza, l'accusa al marito sedurla, e Marchetta condannata alla forca. Ma,
e, fatta

per virt di un anello datole dall'orca, viene liberata;


(a calunniatrice,

morire

diventa essa regina.

Piacque estremamente

il

racconto di Popa e non


la

ci fu al-

cuno che non provasse piacere per

buona

sorte di Porziella;

ma

neppure ci fu alcuno che le invidiasse questa fortuna,

com-

prata con tanti travagli, perch essa pervenne allo stato reale

che quasi aveva


tonella

lasciato lo stato personale.

Ma, vedendo An-

che

gli affari di Porziella

avevano offuscato l'animo dei

principi, volle sollevare gli spiriti, cosi parlando:

La

verit, signori,

sempre viene a pu
star

galla

come

l'olio,

e la

bugia un fuoco che non

nascosto, anzi

uno

schioppo
ragione

alla

moderna che uccide

chi lo sparai'; e

non senza

si

chiama

bugiardo chi non fedele nelle parole,


tutte le virtii e
i

perch brucia ed arde non solo

beni

(i)

Allusione
il

al

modo

cattivo di fabbricare allora gli archibugi:

si

ricordi che

Basile era stato soldato.

l86

GIORNATA QUARTA

che porta nel petto,

ma

la

bugia stessa, come


state

vi far confes-

sare, narrandovi la storia

che

per udire.

C'era una volta un re di Vallatescosse, che, non riuscendo

ad aver

figli,

a tutte le ore e

dovunque

si

trovava, diceva:

Cielo,

mandami un erede

dello stato per


si

non

lasciar de-

solata la casa mia! .

una volta che

trovava in un giar-

dino e ripet ad alta voce questa lamentosa invocazione, udi

una voce uscire

di

mezzo

alle frasche:

O
o

re,

che preferisci
figlia

Vuoi

che
ti

ti

fugga,

figlio

che

strugga?

Confuso a queste parole,


pens

il

re

non

si

seppe risolvere e

di consigliarsi coi sapienti della corte. Rientrato,

dun-

que, nella sua

camera, chiam

consiglieri,
si

e ordin loro
far

di discutere del caso.

chi rispose che


vita;
altri,

doveva
si

maggior

conto dell'onore che della


pi la vita

che

doveva stimare

come bene

intrinseco, laddove l'onore cosa estrin-

seca, e perci da tenere in

minor pregio; uno diceva che,


di perderla,

essendo

la vita
le

acqua che passa, poco importava

e del pari

ricchezze, che sono colonne della vita poste so-

pra

la

ruota di vetro della fortuna,

ma

che l'onore, essendo


si

cosa durevole, che lascia orme di fama e segni di gloria,

deve custodire gelosamente ed esserne tenerissimi; un altro

argomentava che
e la roba, per
si

la vita,

per

la

quale
la

si

conserva

la

stirpe,

la

quale

si

mantiene

grandezza della casa,

debbono tener

pi care dell'onore, per esser l'onore opinione


figlia

su ragione di virt, e che perdere una


tuna, e

per colpa di

for-

non per proprio

difetto,

non pregiudicava

la virt del

padre, e non imbrattava l'onore della casa. Ma, soprattutto,

VI.

LE TRE CORONE

187

ci

furono taluni

altri

che conclusero che l'onore non consi-

steva nelle gonnelle di una

femmina

(');

oltrech

il

re,

come

prindpe giusto, doveva mirare piuttosto


che all'interesse particolare, e che una

al beneficio

comune

figlia

fuggitiva faceva

un po'

di

vergogna solo

alla
alla

casa paterna,
casa propria,
e
gli

metteva fuoco, non solo


e dunque, poich

ma un figlio tristo ma a tutto regno;


il

bramava
la

figli

erano proposti questi

due

partiti,

chiedesse

femmina, che non metteva a pericolo

la vita e lo stato.

Questo parere piacque


dato di nuovo

al

re,

che torn
la

al giardino, e, gri-

come

soleva e udita
.

stessa
il

voce, rispose:

Femmina, femmina!

alla sera,

quando
ai
e, a

Sole invita

le

ore del

giorno a dare uno sguardo


(^>,

mostricciattoli degli

Antipodi

si

coric con

la

moglie;

capo

di

nove mesi,

ne ebbe una bella


Il

figliuola.

re

la fece

subito chiudere

in

un palazzo

fortificato,

con buone guardie, per non

lasciar dal canto

suo

tutte !e di-

ligenze possibili che valessero a rimediare al tristo influsso a


cui la figlia

andava soggetta; e

la

educ a

tutte le virt

che

(i)

Cosi anche

il

Cortese {Viaggio

di Partiaso,

II, 42-3):

io pe me tanto so de fantasia . che no stenga de l'uorarnene notate la vregogna a le pettole accorciale.


. .

Pare che argiento vivo sia lo nore,


e stia co la gonnella comtnogliato,
e,

se a quarche guaguiiia vene omore, de se l'auzare, sia spara Tonnato. Che corpa ha l'ommo se l'oro o l'amore cbella fa ascire da lo

semmenato?

...

(2)

Probabilmente allude a popolazioni di pigmei, che


America.
il

si

suppone-

vano

in

Un

volgare poema, V Artemidoro di

Mario

Tell'cci.ni

sopranominato
Antipodi;

Bernia (Venezia, 1556), tratta delle

grandezze degli

ma non ha

nulla che vedere con l'accenno del Basile.

l88

GIORNATA QUARTA
et,

Stanno bene a regia prole. Giunta in


il

tratt

concluse

matrimonio

di lei col re di

Perdisenno, e allora
uscita,

la tolse

da
al

quella casa, dalla quale

non era mai

per mandarla

marito.

Ma,

nel

momento che

essa usciva, venne tal colpo di

vento, che la lev di peso e


Il

non

la si

vide pi.
e poi
la
il

vento

la

port lungo tratto

per

l'aria,

lasci

dinanzi alla casa di un'orca, in

mezzo a un bosco,

quale
l'

aveva sbandito
fetto
(')

il

Sole

come

appestato per avere ucciso

in-

Pitone. Col trov una vecchierella, che l'orca aveva

lasciata

a custodia delle robe sue,


la vita tua,

la
il

quale

le

disse:
te,

Oh
che

amara

dove hai posto


di

piede? Misera

se rientra ora l'orca, padrona


tre tornesi la

questa casa, non stimerei


si

pelle tua, perch essa non


in tanto la

pasce d'altro che

di carne

umana; e

mia

vita sicura, in

quanto

la

necessit del

mio

servizio la
di

trattiene, e questo vecchio corpo,


di
fiati

pieno di sincopi,
dalle sue zanne.

anticori,
sai

e di renelle, schifato
le

Ma

che devi fare? Eccoti

chiavi della

casa: entra, rassetta le stanze e ripulisci ogni cosa, e,

quando

verr l'orca, nasconditi che non

ti

veda, e io non
il

ti

far
il

man-

care da sostentarti. Frattanto, chi sa?

Cielo aiuta,

tempo

pu portare grandi

cose. Basta: abbi giudizio e pazienza, che

varcherai ogni golfo e supererai ogni tempesta .

Marchetta (che cosi


necessit virt,
dell'orca, per
si

si

chiamava

la

giovane), facendo
entrata
nella

di

prese

la

chiave, ed

camera

primo die

di piglio a

una scopa e
i

fece la casa

cosi netta che potevi mangiare sul pavimento


poi,

maccheroni;
i

con una cotenna

di

lardo, sfreg

di

maniera

cassoni

(i)

Testo: nfierto, che errore di stampa per nfietto.


il

Il

Sole,

cio Apollo:
il

mito ha relazione con


la terra d'

la

Primavera, che vince l'inverno,

quale riempie

inondazioni ed esalazioni malsane.

VI.

LE TRE CORONE
che
ti

189
il

di

noce e

li

fece cosi lustri,

ci

specchiavi; e, rifatto

letto,

quando

senti venire l'orca, si


il

mise dentro una botte, in

cui

prima era

grano.

L'orca, che trov questa pulizia insolita, ne senti un gran


gusto,
sto
e,

chiamata

la

vecchia,

le

disse:

Chi ha

fatto

que-

bel rassettamento?.
replic:

ti

alla
ti

risposta della vecchia,


fa

che

era stata essa,

Chi

quel che far

non

suole,
ficcare

o t'ha gabbato o gabbare

vuole.

Veramente puoi
una cosa
e

uno stecco

nel

buco

('),

avendo

fatto

insolita,

meriti porzione grossa di minestra.


di

E mangi

and

fuori

nuovo.
Al ritorno, trov
tolte tutte le

fuliggini

dalle

travi,

stro-

picciati e lucidi tutti gli

utensili di

rame

e appesi con bell'ortutti


i

dine

alle pareti, e

messi nell'acqua calda

panni sudici;
volte
la

e ne prov un piacere indicibile e benedisse


vecchia.
Il

mille

Cielo

ti

prosperi sempre,

madama

Pentarosa mia:
rallegri

che tu possa sempre goder bene e meglio, perch mi


il

cuore con questi bei rassettamenti, facendomi trovare una

casa da bambola e un letto da sposa .

La

vecchia, con questa

buona opinione guadagnata,

se la

godeva e dava sempre buoni bocconi a Marchetta, rimpinzandola

come cappone da
fuori,

ingrasso. E, poich
Sta'
zitta,

l'orca

and

ancora

essa

le

disse:
la

che voglio arrivare


di bello

questo zoppo e tentare

tua fortuna. Fa' qualcosa

con
per
per

le

mani
i

tue,

che vada a genio


(^),

all'orca; e, se essa giurasse

tutti
le

sette cieli

tu

non

le

credere; ma, se per caso giura


la

sue tre corone e tu lasciati vedere, che


il

cosa

ti

riesce a

segno, e vedrai che

mio

stato consiglio di

mamma.

(i) (2)

Forse per ricordo, come di cosa memorabile.


Testo:
t le

sette celeste .

190

GIORNATA QUARTA

Marchetta sgozz una bella papera, e delle estremit fece

uno spezzatino,
infil allo

e,

imbottitala

bene con origano e

aglio, la
(''

spiedo; impast poi quattro strangolapreti


tutta

sopra

un canestro rovesciato, e prepar una tavola


di rose e

infiorata

fronde di cedrangoli. L'orca,

al

trovare questo de-

licato apparecchio, stette per uscir dai panni, e,

chiamata

la

vecchia,

le disse:

Chi ha fatto quel bel servigio? .

Mangia
che hai

chi

le
ti

rispose la vecchia,

non cercare

altro: basta

serva e

ti

soddisfaccia ,
la

E,

mangiando e sentendendosi scendere

dolcezza di

quei buoni bocconi fino ai malleoli, l'orca cominci a mor-

morare: Io giuro per


pessi chi stato
il

le

tre parole di
gli

Napoli

(2)

che, se sa-

cuoco,

vorrei dare le mie pupille .


le tre frecce,

poi seguit: Io giuro pei tre archi e


lo

che. se
le tre

conosco, voglio tenerlo dentro

il

cuore. Io giuro per


si

candele che s'accendono quando


notte; pei tre testimoni,

roga uno strumento di


alla

che mandano che danno


la

forca

un uomo;

pei

tre
le

palmi
tre

di

fune,

volta

all'impiccato;

per
e

cose che scacciano l'uomo di casa, fetore, fumo


per
le

femmina malvagia;
zeppole,

tre

cose

che consumano
;

la

casa,

pane caldo e

maccheroni

per

le le

tre tre

fem-

mine e una papera che fanno un mercato; per


pesce,
fritto,

F. del

freddo e fondo;

pei tre cantatori

principali di

Napoli, Giovanni della Carriola,

compar Biondo

il

Re

della

(i) Pezzetti di pasta incavati

con

le dita,

che

si

cuociono e condi-

scono come
(2)
*

maccheroni.
si

Forse tre epiteti che


,

solevano dare a Napoli, come


il

tre di
il

Gentile, Sirena e Sacra

nei quali riiiartisce

panegirico di essa

frate

Manuel Ponzk dr Soto, Memorial

de las Ires Partenopes (Na-

poli, 1683).

forse allusione al proverbio:

Tre cose abbesognano a chi

stace

Napole: vruoccole, zuoccole, trapole


1

(v. nelle

note dell' Im-

briani alla Fosilecheala del Sarnelli, p.

16).

VI.

LE TRE CORONE

I9I

musica

();

per

le

tre

6".

che bisognano a un innamorato,

solo, sollecito e secreto; per le tre cose

che bisognano a un
le tre

mercante, credito, animo e ventura; per

sorti

di per-

sona che ama

la cortigiana, smargiassi, bei giovani e spre-

catori; per le tre cose importanti al ladro,

occhi per adoc-

chiare,

mani

per acchiappare, piedi per alleppare; per le tre


la

cose che rovinano

giovent, giuoco,

femmine e taverne;

per le tre virt principali dello sbirro, adocchia, insegui e affeira; per le tre

cose

utili

al cortigiano,

fingimento, flemma e
al

fortuna; per le tre

cose che fan d'uopo

ruffiano,

gran cotre

raggio, assai chiacchiere e poca vergogna;

per
il

le

cose

che

il

medico osserva,

il

polso, la faccia e

pitale... .
la

Ma

poteva dire da oggi a domani, che Marchetta,

quale
ul-

aveva avuto l'istruzione, non bucicava. Solo quando, in


timo, le ud dire: per
le

tre
le

corone

mie, che, se io
belle

so chi
carezze

stata

la

buona massaia,

voglio fare tante

e tenerezze da non potersele immaginare,


fuori e disse:

solo allora

venne

Eccomi!

L'orca,

al

vederla, esclam:
fatta

Ah! Ne
ti

hai saputo pi di

me 1(2).
(i) I

L'hai

da maestro e

sei

risparmiata una bella

due
si

ultimi sono stati gi ricordati di sopra,

I,

ii, n.

i.

Del

primo, che

chiamava
le

della Carriola , forse a cagione del carrettino nel quale


si

che spingeva con


ralitico, stata

mani o

trascinava perch storpio o paparte l'opera in tre libercoli

dal Novali
stati

identificata in

popolari che sono

ristampati ininterrottamente fino al secolo decimo-

nono: un Dialogo del povero e del ricco, un contrasto Sdegno d'amanti,


e una Istoria di
e la stampa,
a.

Marzia

Basile. Vedi F.

Novati,

nella rivista 7/ //ro

tastorie

Vili, 6, novembre-dicembre 1914, e F. Russo, Un cannapoletano (Napoli, 1917). Il poemetto su Marzia Basile (una

storicaviricidd, che fu giustiziata in Napoli nel 1603) stato illustrato

mente da
(2)

B.

Croce, Nuove

curiosit storiche (Napoli, 1922), pp. 93-106.

Testo:

me no

hai

me no

cauce

che non s'intende e dev'esser

corrotto.

192

GIORNATA QUARTA
Ma, poich
hai
si

infornata in questo corpo.

ben lavorato e
figlia.

m'hai dato gusto,

ti

voglio tenere pi di e siine

una

Eccoti

le chiavi della casa;

domine
aprire

e dominanzio.

Una

cosa

sola

mi

riservo:
alla

non devi

per niun conto

l'ultima

stanza,
faresti

quale appartiene questa chiave;


la

altrimenti,

mi

montare
ti

senapa

al

naso. Attendi a servire, e te beata!

che

io

prometto per
le

le tre

corone

di maritarti ricca ricca >

Marchetta

baci

la

mano con molta

grazia e promise di

servirla pi di

una schiava.
si

Pure, quando l'orca and fuori,

senti

solleticare gran-

demente

dalla curiosit di vedere

che cosa c'era nella ca-

mera

proibita.

non seppe

trattenersi dall 'aprirla, e vi trov

tre giovani,

vestile tutte d'oro,

sedute a tre seggi imperiali,


tre
figlie

che pareva che dormissero.

Erano queste

della

maga('\ incantate

dalla

madre, perch sapeva che avrebbero

dovuto incontrare un gran pericolo, se non veniva a svegliarle

una

figlia di

re;

e perci le aveva chiuse


stelle.

li

dentro, per scam-

parle dalle minacce delle

Al rumore che Marchetta, entrando, fece coi piedi, quelle


si risentirono,

come

se

si

destassero, e le chiesero da
tre

mancuole

giare;

ed essa prese subito

uova per ciascuna,


loro.

le fece

cere sotto la cenere e le porse

E, subito ripigliate

forze, le tre giovinette vollero uscire a respirare l'aria libera.

Ma,
da

in questo punto, giunse l'orca, che, contrariata e sdegnata

tale vista,

allung a Marchetta un gran ceffone


cosi

<').

Senti

essa

vivamente

l'affronto

che, nel

medesimo

istante, chiese licenza all'orca di partire

per andare vagando


sua. L'orca cerc

sola pel

mondo,

alla

ricerca della

sorte

(.1)

Testo: Testo:

de

la fata*;

ma
:

deve stare per orca o maga.


spagn.

(2)

no boSettone

bofeton

VI.

LE TRE CORONE

I93

di rabbonirla

con

belle parole, e le disse

che aveva scherzato


scherzo;

e
le

non
fu

avrebbe

mai

pi

ripetuto

quello

ma non
lasci

possibile rimuoverla dal proposito. Alla fine, la


le

andare e

don un

anello, avvertendola di portarlo

con
se

la

pietra rivolta verso la

mano

e di

non guardarlo mai,


il

non
re-

quando, trovandosi
plicato dall'eco.

in

gran pericolo, sentisse

nome suo

le

die anche

un

bel vestito
si

da uomo, che
mise in

Marchetta

le

aveva chiesto, col quale

travesti e si

cammino.
Giunta che fu a un bosco, dove
si

recava a

far

legna

la

Notte per riscaldarsi della gelata sofferta, incontr un re che


si dilettava

alla

caccia; e
gli

quello, visto

il

bel

giovane (che

tale

sembrava),

domand donde veniva


figlio di

e che andava fa-

cendo. Marchetta rispose di esser


per
gli strazi inflittigli dalla

un mercante, e che,

matrigna, se n'era fuggito di casa.


il

il

re,

piacendogli

la

prontezza e
lo

garbo del giovane, se


palazzo.

lo prese per

paggio e

condusse

al

Appena

lo vide la regina, si senti

da quella graziosa pertutte le voglie; e,

sona sconvolgere l'anima e accendere


tunque cercasse per alcuni giorni,
per superbia,
la la

quan-

in parte per natura, in parte

compagna sempre

della bellezza, di dissimulare

fiamma

e di reprimere le punture

che amore

le

faceva sotto
di calcagni,

coda del desiderio, finalmente, essendo corta


potette

non

stare salda in arcione contro l'assalto di

quelle

sfrenate brame.

E un
al

giorno, chiamata in disparte Marchetta,


le

cominci a scoprirle
d'affanni aveva

pene sue, e a
le

dirle

quale soprosso
le bel-

cuore da quando

erano apparse
il

lezze sue; che, se essa

non

si

risolveva a innaffiare

territorio

dei suoi desideri, sarebbe seccata senz'altro


la

con

le

speranze

vita.

lod

le

vaghe

fattezze

del

suo volto, facendole

avvertire che sarebbe da cattivo scolaro nella scuola di

amore
13

G. B. Basile, PetUantfrone

- 11.

194
introdurre uno
grazie, e

GIORNATA QUARTA
strafalcione
di

crudelt in un libro
di

di

tante

che ne avrebbe avuto un buon cavallo


preghiere,

pentimento;
sette

e alle lodi agg^iunse le


cieli

scongiurandola pei

che non volesse veder dentro una fornace


di

di sospiri e

in

mezzo a un pantano
alla
le

lacrime

una donna che aveva


la bella

per insegna

bottega dei pensieri


offerte,

immagine sua.

Seguirono poi

promettendole

di

pagare ogni dito


il

di piacere a palmi di beneficio e di tenere aperto

fondaco

della gratitudine a ogni richiesta di

cosi bel cliente.

Le

ri-

cord, infine, che essa era regina;

e,

poich gi ormai s'era

imbarcata, non doveva lasciarla in mezzo a questo golfo senza

qualche soccorso, perch

si

sarebbe rotta a uno scoglio con

danno suo.
Marchetta, a queste carezze e punture, a queste promesse e

minacce, a queste lavate

di faccia e levate di
la

cappa, avrebbe

voluto dirle che, per aprire

porta delle sue soddisfazioni

amorose,
per darle
portasse

le
la
il

mancava

la chiave;

avrebbe voluto palesarle che,

pace che essa desiderava, non era Mercurio, che

caduceo.

Ma non

volle smascherarsi e le rispose


le

invece che non poteva credere che essa volesse far


torte a

fusa

un

re di tanto

merito, qual

era suo
la

marito; e che,

quand'anche essa avesse messa da parte

riputazione della

casa sua, da sua parte non poteva n voleva recare offesa

a un padrone che tanto l'amava.

La

regina, udita questa prima replica all'intimazione delle


le

sue voglie,

rispose:

Ors,

pensaci

bene e ara
e,

diritto,

che

le pari

mie,

quando pregano, comandano,


allora

quando

s'in-

ginocchiano, proprio

premono

le

gole coi piedi. Fa'

bene

conti tuoi, e vedi


sufficit;

come pu
ti

riuscirti

questa mercanzia.

Basta e

che

io

dir

ancora solo una cosa, e poi


della

andr

via.

Quando una donna

mia

qualit

resta

scor-

VI.

LE TRE CORONE
sangue

I9S
(')

nata, procura di lavare col


alla faccia

di chi la offese la macriata


le

sua

E, con minaccioso cipiglio,


la

volt le spalle,

lasciando confusa e gelata

povera Marchetta.
regina a dar assalti
fine

Per pi giorni continu


bella fortezza, e,

la

questa

vedendo
gettando

alla
le

che faticava, stentava e


al

sudava
vuoto,
di

in perdita,

parole

vento e
in

sospiri nel
la

mut
la

registro,

convertendo l'amore

odio e

voglia

godere

cosa amata in brama di vendetta. Fingendo le


al

lacrime alla coda degli occhi, and, dunque,


parl cosi:

marito e

gli

Chi ce

l'avesse detto, marito mio, che riscaldasi

vamo una
dire?
il

serpe nella nostra manica? Chi

sarebbe imma-

ginato mai che un meschinello sciaguratello avesse tanto ar-

La colpa

delle

tante
il

carezze

che
la

tu

gli

hai

fatte:

villano, se gli si
gli dai
il

dito, si piglia

mano. Ma, se
alla

tu

non

castigo che merita,


ti

me
il

ne torner
il

casa di

mio padre, e non


Che cosa
ti

vorr pi vedere, n sentire

tuo

nome

ha

fatto? ,
il

disse
te,

re.

la

regina:

Cosa

da

nulla!

Voleva

furfantello essere esattore del debito


e,

ma-

trimoniale che io

ho con

senza rispetto, senza timore,

senza vergogna, ha avuto faccia di venirmi innanzi e lingua

da chiedermi passo libero pel


nato dell'onore
II

territorio,

dove

tu hai

il

semi-

re,

a quest'accusa,
alla

senza cercare
e
all'autorit

altri

testimoni, per

non pregiudicare

fede

della

moglie, fece

subito acciuffare Marchetta dagli sbirri, e, caldo caldo, senza


darle termine di difesa,
la

condann a vedere quanto peso


al

so-

steneva la stadera del boia. Trasportata senz'altro


supplizio. Marchetta, che

luogo del
acca-

non sapeva che cosa

le fosse

duta, n conosceva di aver

commesso alcun

male, cominci a

(i)

Per

la

macriata,

v.

sopra, p. 32,

11.

i.

196
gridare:

GIORNATA QUARTA

Oh

Cielo! e che

ho

fatto io

per meritare

il

funerale

di questo misero collo prima dell'esequie di questo sciagurato

corpo? Chi

me

l'avrebbe detto che, senza arruolarmi sotto la

bandiera dei mariuoli e dei rapinatori, sarei entrata di guardia


a questo palazzo della Morte con tre passi di canapa alle canne
della gola?

Oim!

chi mi consola a questo estremo passo? Chi

m'aiuta in tanto pericolo? Chi mi libera da questa forca?.

Orca!,
role

rispose l'eco

(');

e Marchetta, al sentire questa

risposta, si ricord dell'anello

che portava
la

al dito

e delle pa-

che
gli

le

disse l'orca
alla

quando essa

lasci.

Volse

al-

lora

occhi
si

pietra

che non aveva ancora guardato;

ed ecco

senti tre volte


:

una voce per

l'aria:

Lasciatela

andare, che femmina!

una

voce cosi terribile che


al

non

rimasero n
stizia
Il
(2).

sbirri

n spogliamorti attorno

cuoco della giu-

re, al

tuono

di queste parole,

che fecero tremare

il

pa-

lazzo reale dalle fondamenta, ordin che Marchetta venisse


alla

sua presenza;

e,

quando l'ebbe

dinanzi, la

ammoni

di

dire la verit, e chi essa fosse e

come

capitata in quei paesi.

(i)

L'eco

era

uno

degli

espedienti

prediletti

nella poesia del


il

tempo, e specialmente nella drammatica pastorale. Oltre

capitolo del

Quadrio

{Storia e ragione di ogni poesia

(I,

228-9) sugli

echi

si

veda V. Imbriani, L'eco responsiva nelle pastorali italiane del seicento (nel Giornale di filosofia e lettere, N. S., a. V, 1884, voi. IX). Anche
la favola

marittima del nostro, Le avventurose disavventure (3 ediz.,


1613),

Mantova,
rillo dice:

ha

la

scena dell'Eco (atto IV,

se.

2),

nella

quale Do-

Vieni tu dunque, o Morte, e


altrui cruda, a

la tua

mano

me

pia,
il

tronchi lo stame e

mio dolore

atterri.

Eco: Erri

cosi via, per quindici battute.


(2) Il boia.

VI.

LE TRE CORONE
raccont
tutti
i

I97
casi della

Sforzata dalla necessit, essa


vita,

sua
fu

come nacque, come come

fu

chiusa in una fortezza,

come
come

involata dal vento,

capit alla casa dell'orca,


le

se

ne volle
tra
lei

partire, quello

che

disse e le die, quello che pass

e la regina, e, come,

non sapendo

in

che cosa mai

avesse

commesso

errore, s'era vista a pericolo di vogare coi

piedi nella galera fatta di tre legni.


Il

re, udita la storia e

confrontatala con quanto aveva gi


di Vallate-

avuto occasione di apprendere discorrendo col re


scosse, che gli

era amico, riconobbe Marchetta nel vero esser


le

suo; e conobbe insieme la malvagit della moglie, che


rivolto l'infame accusa.

aveva

Comand
al

di

conseguenza che costei


gettata a mare;
si

fosse subito,

con una mzzera


il

collo,

ed

esso, invitati

re e la regina di Vallatescosse,
la

prese per

moglie Marchetta,

quale die chiara prova che

Iddio guida
la

buon porto

barca disperata.

TRATTENIMENTO SETTIMO

LE DUE PIZZELLE(i)

Marziella, essendosi mostrata cortese con

una vecchia,

riceve la fata-

gione;

ma

la zia,

che invidia
la tiene

la

sua buona fortuna,

la getta

a mare,
il

dove una sirena


fratello,

per gran tempo incatenata: la libera poi


la

diventa regina e la zia paga

pena del suo

delitto.

Avrebbero
di Antonella
rati,

principi detto sicuramente che questo racconto


(2)

passava battaglia

di quanti

n'erano

stati

nar-

se

non avessero temuto

di toglier

animo a

Giulia, che,
(3)

avendo posta
del gusto di

in resta la lancia della lingua, colpi l'anello

Taddeo

e della moglie nel

modo che
e dtti

segue:
la

Ho

sempre udito dire che chi


di

fa piacere,

ne riceve:
('),

campana

Manfredonia dice

dammi

e chi

non

mette l'esca della cortesia all'amo dell'affezione non pesca mai

pesce di beneficio;

e,

se

di

ci

volete vedere

il

costrutto,

udite questo racconto, e poi direte se

sempre non perde pi

l'avaro che

il

liberale.

(i)

Due

piccole schiacciate o schiacciatine;


il

ma

sembrato convesi

niente serbare

nome

napoletano, tanto pi che ora

va diffondendo
napoletana

in altri paesi d' Italia


(2)
(3)

con

le pizzerie e le pizze alla

Anche

in italiano questa frase vuol dire


al solito

superava, vinceva.

Metafora presa
Ti do

dal giuoco dell'anello.


si

(4)

Sulle parole, che


tra gli altri,

crede poter desumere dal suono


e,

delle

campane, vedi

Pitr, Bibl., XIV, 408-12

per

la

Toscana, Nerucci, in Arch. per lo studio delle tradizioni popolari, si parla III, 295; per la Francia, i comenti al Pantagruel, III, 27, dove
del detto delle

campane

di

Varenals.

VII.

LE DUE PIZZELLE

I99

C'erano una volta due sorelle carnali, Lucida e Troccola,


che avevano ciascuna una
figlia

femmina, Marziella e Puccia.

Marziella era cosi bella di faccia


trario,
il

come

di cuore; e, per

conre-

cuore e

la

faccia di Puccia

formavano con unica

gola faccia di canchero e cuore di pestilenza, e in ci somigliava ai parenti,


di fuori.

perch Troccola era un'arpa

di

dentro e

Accadde un giorno che, dovendo Lucida


pastinache per friggerle con
la salsa

lessare quattro
figlia:

verde, disse alla

Marziella mia, bene mio, va' alla fontana e prendimi un'anfora


la

d'acqua.

Di buona
se

voglia,

mamma

mia,

rispose
che

figlia;

ma,

mi vuoi bene, dammi una

pizzella,

me

la

voglio mangiare con quell'acqua fresca . Volentieri ,


la

disse

madre; e da un paniere che pendeva a un uncino


bella
pizzella
la

prese

una

(che

il

giorno prima aveva

fatto

forno di pane) e
fora sul
la quale, alla

dette a Marziella.
('),

questa, messasi l'analla fontana,

capo sopra un cercine


simile a
di

se

ne and

un ciarlatano, sopra un banco

di

marmi,

musica

un'acqua cadente, vendeva segreti per scac-

ciare la sete.

Mentre riempiva
palco di

l'anfora,

giunse

una vecchia, che,


la

sul

una grossa gobba, rappresentava


e quella,

tragedia del

Tempo;
in

vedendo

la

bella pizza

che Marziella teneva


le

mano
Bella

e che proprio allora stava per addentare,


il

disse:

giovane mia, se

Cielo

ti

mandi buona ventura,

dammi un
regina,
le

po' di cotet.ta pizza.

Marziella, che odorava di


tutta,

rispose

subito:

Eccotela

magna femmina

mia. e mi dispiace che non sia di mandorle e zucchero, che

anche

te

la

darei con lutto

il

cuore.

(i)

Testo: sopra no treceniello

200

GIORNATA QUARTA
di Marziella,
le

La vecchia, sperimentata l'amorevolezza


disse:

Va', che

il

Cielo

ti

possa sempre prosperare per que-

sto

buon amore che mi

hai mostrato; e prego tutte le stelle


felice

che tu possa esser sempre


spiri,
tini,
ti

e contenta; che, quando reti

escano rose e gelsomini dalla bocca; quando


perle e granatini dal tuo capo; e,
.

pet-

caschino sempre
il

quando

metti

piede sulla terra, ne spuntino gigli e viole


la

La giovane

ringrazi e torn a casa, dove, poich


al

la

madre ebbe cucinato, soddisfecero


verso
il

debito naturale che

si

ha

corpo. La mattina dopo, quando nel mercato dei


il

campi

celesti

Sole mise in mostra

le

mercanzie di luce pori

tate dall'oriente,

Marziella, nel ravviarsi

capelli, si vide ca-

dere in grembo una pioggia di perle e granatini.


giubilo

Con grande

chiam

la

madre

li

raccolsero in un canestro; e Lu-

cida

si

rec poi da un orefice amico suo per ismaltirne una


parte.
far visita alla sorella, e, trovata

buona

Capit intanto Troccola a

Marziella tutta affaccendata per quelle perle,

domand come,

quando e dove

le

avesse avute.

Ma

la

giovane, che non sa-

peva intorbidar l'acqua e forse non aveva appreso quel proverbio:

Non

fare

quanto puoi, non mangiare quanto vuoi,


hai,

non spendere quanto


il

n dire quanto

sai , spiattell tutto

negozio alla

zia.
finito

Non aveva
sorella,

di dire,

che

la zia,

senza pi aspettare

la

parendole mille anni, corse a casa sua, consegn una


la

pizzella alla figlia e


la

spedi alla fontana. Puccia vi ritrov

stessa

vecchia; ma,

quando essa

le

domand un
che a dar
la

po' di

pizza,
te!

rispose:

Non pensavo ad

altro

pizza a
le

Mi

hai

forse
i

impregnato l'asina per chiedermi

cose

mie? Va', che

denti sono pi vicini dei parenti. Cosi dila

cendo, trangugi

pizza

in quattro bocconi,

facendo gola

VII.

LE DUE PIZZELLE

20I

alla vecchia, la quale,


lita

quando vide

sparire l'ultimo e seppel-

con essa

la

sua speranza, tutta rabbiosa disse: Va', che,


();

quando quando
docchi;

respiri
ti

possa cacciar schiuma come mula di medico

pettini,

possano cadrti dalla


metti
il

testa a

mucchi

pi-

e,

dovunque

piede, possano nascere

felci

titimali .

La madre, quando
indugio a pettinarla,

la

vide tornare con l'acqua,

non mise

e,

messosi un bello asciugatoio steso sul


della figlia; e,

grembo,

vi

pieg

la testa

cominciando a scordi animaletti al'^K

rerla col pettine, ecco cascarne

un torrente

chimisti, di quelli che

fermano l'argento vivo

Non
dal

a dire

come
il

restasse la madre, che alla neve dell'invidia aggiunse

fuoco dello sdegno, e gett fiamme e

fumo

naso e

dalla bocca.

Passato qualche tempo, ritrovandosi


Marziella, alla corte del re di

Ciommo,

fratello

di

Chiunzo

'3),

e discorrendosi della

bellezza di varie donne, esso, senza esser chiamato, s'intro-

mise dicendo: che tutte quelle belle sarebbero potute andare


a giltare le ossa
al

ponte

(4),

se fosse col

comparsa sua

so-

rella, la quale, oltre alla

bellezza delle
di

membra che
bella

facevano

contrappunto sul canto fermo

una

anima, aveva nei

(i) I

medici solevano

allora,

com'

noto, andare sulla mula, cir-

condati dai loro


(2)
Il

pratici
si

o famuli, a piedi.
i

mercurio

adoprava contro

pidocchi, che, copiosi


e,

come erano

in

quel caso, contrastavano alla sua azione,

con un'operazione alchi-

mistica, la arrestavano.
(.3)

Sinneco de Chiunzo

dice

il

Basile nell'egloga

delle
si

Muse
chia-

napolilane un tale che crede di essere una gran cosa. Chiunzo

mava una montagna


proverbiali: v.

presso Tramonti, e quel

nome dava luogo a

motti

Amalfi, Tradizioni ed usi nella penisola sorrentina

(Palermo, 1880), p. 128.


(4)

Al ponte Ricciardo o della Maddalena: v. sopra, p. 41, n.

i.

202
capelli, nella
fata. Il

GIORNATA QUARTA
bocca e nei piedi
le

virt

che
a

le

aveva date

la

re,

uditi questi vanti,

comand

Ciommo che

la fa-

cesse venire, perch, se l'avesse trovata quale egli la esaltava,


se la sarebbe presa per moglie.

Non parve
invi

questa,

Ciommo, occasione da

perdere, e

un apposito

corriere alla madre, informandola del fatto

e pregandola di venir subito con la figlia

per non lasciarle

fuggire

questa fortuna.

Lucida, che
la

stava
al

male

in

salute,

senza saper di raccomandare


rella

pecora
fino

lupo, preg la socorte di Chiunzo


la

di
la

accompagnare Marziella

alla

per

tale e tale faccenda.

Troccola, che vide che


di

cosa

andava a seconda del suo desiderio, promise


e salva presso
Sali,
il

condurla sana

fratello.

dunque, su una nave, avendo con s Marziella e

Puccia; ma, quando fu giunta in


il

mezzo

al

mare, cogliendo

momento che

marinai dormivano, spinse Marziella nell'acbellis-

qua.

gi la
la

misera stava per affogare, quando una

sima sirena

raccolse tra le braccia e se la port via.

Giunta Troccola a Chiunzo, e ricevuta Puccia da

Ciommo
in-

come

se fosse stata Marziella, giacch per la lunga separale

zione non ne ricordava

sembianze,

la

condusse subito
i

nanzi

al

re;

il

quale, facendole

ravviare

capelli,

ne vide

piovere quegli animali

cosi mortali
('),

nemici della verit che

sempre offendono

testimoni

e,

consideratala in volto, os-

serv che, alenando forte per


fatto

la fatica del

cammino, aveva

una saponata
e,

alla
gli

bocca, che pareva una gualchiera di

panni;

abbassando

occhi a terra, scorse un prato d'erbe

(i) Il

Liebrecht, nelle sue note

(II,

258), dichiara

ingenuamente

di

non intendere perch quegli animali


dessero
dal
i

fossero nemici del vero e ne offen-

testimoni;
stesso e
si

ma

che cosa questi siano, s'indovina agevolmente


il

nome

spiega

bisticcio qui escogitato dall'autore.

VII.

LE DUE PIZZELLE

205

fetide,

che

gli

misero stomaco a mirarle. Sdegnato, scacci

senz'altro Puccia

con
le

la

madre, e castig Ciommo, mandan-

dolo a guardare

oche della corte.


per questo affare, e non sapendo dar-

Disperato

Ciommo

sene ragione, conduceva le oche pei campi, e lasciandole errare a lor voglia lungo la marina,
si

ritirava in
di stendersi

un

pagliaio,

dove, fino a sera,

quando era tempo

a dormire,

piangeva
si

la sorte sua.

Ma

alle

oche che scorrevano pel lido


le

aflfacciava Marziella dalle


le

acque, e

cibava di pasta reale

abbeverava

di

acqua rosa, tanto che esse erano divencastrato, cosi grasse

tate

ognuna quanto un

che quasi non


fin

potevano aprire

gli occhi.

la

sera

si

spingevano

sotto

un

orticello,

che rispondeva sotto una

finestra del re,

e co-

minciavano a cantare:
Pire, pire, pire!
Il

sole bello

ed bella

la luna;

assai pi bella chi

governa

noi.

Il

re,

sentendo ogni sera questa musica ochesca,


e volle

mand
man-

per
le

Ciommo,

sapere dove e come e


rispose:

di

che pascesse

sue oche; e

Ciommo

Non do

loro altro a
re,

giare che l'erba fresca dei

campi.

Ma

il

che non rimase

persuaso della risposta,

gli

mand

dietro

segretamente un
le

servo fidato perch osservasse dove esso


servo, seguendo
sciare le
le

menava

oche.

Il

sue orme, lo vide entrare nel pagliaio e

la-

oche
lido,

sole; le quali,

volgendosi verso

la

marina, giun-

sero

al

dove

usci

dal

mare
la

Marziella, che

non credo

cosi bella sorgesse dalle

onde

madre

<')

di quel cieco, che, di pianto.

come

disse

il

poeta, altra limosina

non chiede che

(i)

Venere.

204
Il

GIORNATA QUARTA
servitore
del
re,

tutto

meravigliato e incantato, corse


il

dal

padrone, raccontandogli

bello spettacolo a cui aveva

assistito sulla
citata,

scena della marina,


recarsi
gallo,
di

la curiosit del

re,

ecla

lo

mosse a

persona a contemplarlo; e
uccelli
li

mattina,
tutti

quando
i

il

capopopolo degli
('),

solleva

ad armare
le

viventi contro la Notte

essendo andato

Ciommo con
mai
le

oche

al

luogo

solito,

il

re,

non perdendolo

di

vista, gli
si

tenne dietro.
alla

Ciommo

rimase nel pagliaio e


il

oche

avviarono

marina; e

re

vide venir fuori


di paste dolci

Marziella, che, data a

mangiare una spasetta


di

da bere una caldaietta

acqua rosa
i

alle

oche,

si

assise

sopra una pietra a pettinarsi

capelli,

dai quali cadevano a

manate

le

perle e
fiori

granatini, e intanto dalla bocca le usciva


i

un

nugolo di

e sotto

piedi

si

mirava un tappeto soriano

di gigli e viole.
Il

re

chiam Ciommo e

gli

domand

se conosceva quella

bella giovane; e

Ciommo

la

riconobbe e corse ad abbracciarla,


il

e in presenza del re udi tutto


cola, e

tradimento

fattole

da Troc-

come
pu

l'invidia

di

quella

brutta peste aveva ridotto

questo bel fuoco d'amore ad abitare nell'acqua del mare.

Non

si

dire

il

piacere che prese

il

re per l'acquisto
lei,

di cosi bella gioia; e,

voltosi al fratello di

gli disse

che
terzi

aveva gran ragione

di lodarla tanto, e

che trovava due

e pi di quello che aveva descritto, e perci la stimava pi

che degna

di essergli

moglie, quando

si

contentasse di accet-

tare lo scettro del

regno suo.

(i) C.'ipipopolo , sollevanti la plebe,


liari ai

erano allora personaggi famiil

napoletani, che ricordavano, tra l'altro, quel Fucillo, che

vicer

Pietro di
(v.

Toledo fece strozzare ed esporre


slor. nap.,

alla vista dei tumultuanti


si

Arch.

XV,

593 s^.), e

pi recenti che

agitarono

al

tempo

del vicer Ossuna, e precorsero Masaniello.

VII.

LE DUE PIZZELLE

20$

Oh

lo

volesse

il

Sole leone

rispose Marzella, e podella tua

tessi venire

a servirti

come schiava

corona
il

Ma non
la

vedi tu

questa catena d'oro, che mi lega

piede e con

quale
aria

la

maga mi

tiene prigione, e,
alla

quando prendo troppa


tira

troppo mi trattengo

marina, mi

dentro alla

ricca servit, incatenata d'oro?

Quale rimedio
di cotesta

ci

sarebbe

disse

il

re

levarti dalle

branche

Il

sirena?

rimedio sarebbe

rispose

Marziella

di

segare con

una lima sorda questa catena,


Aspettami

e svignarmela.
il

domattina

replic
ti

re,

che

lo

me

ne

verr con l'ordigno pronto e mi


il

porter a casa, dove sarai

mio occhio

diritto,

la

pupilla del

mio cuore

e le viscere di

quest'anima.

E, datasi una caparra dell'amor loro col toccarsi


essa se ne and in
e a
tutto

le

mani,
fuoco,

mezzo all'acqua ed
gli

egli in

mezzo

al

un fuoco
il

tale

che non

die

un momento

di

riposo

giorno. E, quando quella nera schiava della Notte

.usci a fare

tubba-catubba
le

(')

con

le

stelle,

non chiuse occhio


le

e and ruminando con


di Marziella,

mascelle della memoria


alle

bellezze

discorrendo col pensiero intorno

meraviglie

dei capelli,
e,

ai

miracoli della bocca e agli stupori del piede;


alla

toccando l'oro delle grazie sue

pietra

del

paragone

del giudizio, le trovava di ventiquattro carati.


la

malediceva

Notte che tanto tardasse


stelle,

riposarsi
il

dei

ricami che va

facendo di
presto
col

bestemmiava
luce
affin

Sole che non arrivasse


la

carico

della

ad arricchire
di

casa sua del

bene tanto desiderato,

portare alla camera sua una

(i)

ancora allusione

al ballo della <

Sfessania

x.

2o6

GIORNATA QUARTA

miniera d'oro che gettava perle, una conchiglia di perle che


gettava
fiori.

Ma, intanto che


colei

egli

se

n'andava per mare pensando a


i

che stava nel mare, ecco


il

guastatori

(J)

del Sole spial'esercito


si

nare
dei

cammino
il

pel quale
re
si

doveva esso passare con


e,

raggi; e

vesti,

in

compagnia

di

Ciommo,

avvi alla marina.

qui, uscita Marziella

dalle onde, egli

con

la

lima che aveva portata, seg di

mano

propria la ca-

tena dal piede della persona amata, sebbene in quell'atto stesso

ne fabbricasse un'altra pi
in

forte al proprio cuore.


il

si

tolse

groppa

al

cavallo colei che gli cavalcava

cuore, e trott

alla volta del palazzo reale,

dove Marziella trov, per ordine

del re, tutte le belle

donne

del paese, che la ricevettero e l'ono-

rarono come padrona loro.

Quando

il

re la spos, nella gran festa che segui, tra le


si

tante botti che


ticella

accesero per luminaria, fu inclusa

come

bot-

anche

la

persona

di Troccola, affinch scontasse l'in-

ganno che aveva

fatto a Marziella.

Lucida fu mandata a chia-

mare

e visse,

insieme con Ciommo, da signora;

ma
e,

Puccia,

scacciata da quel regno,

and sempre pezzendo,


di pizza,

per non

aver voluto seminare un pochetto


restia di pane, perch:

ebbe sempre ca-

chi

non sente piet, piet non trova.

(i) I guastatori

facevano parte degli

eserciti: v.

Garzoni, Piazza

universale, p. 635.

TRATTENIMENTO OTTAVO
I

SETTE COLOMBI

Sette
e,

fratelli

partono di casa, perch

la

madre non d
ed
essi

loro

una
essi

sorella;

quando
con

alfine la sorella viene alla luce,

aspettano la no-

tizia

certi segni, la

madre
si

sbaglia nel farli;


fa

onde
li

vanno

errando pel mondo. La sorella

grande,

li

cerca,

trova, e,

dopo

vari accidenti, tornano tutti ricchi alla casa loro.

Il

racconto della pizzella


tutti

fu

veramente pizza ripiena, che

piacque a

e ancora se ne leccano le dita.


il

Ma, essendosi
fu

Paola disposta a narrare

suo,

il

comando
parola
(');

del principe

sguardo

di lupo,

che tolse a

tutti la

sicch essa co-

minci a dire:

Chi

fa piacere,

ne riceve sempre;

il

beneficio uncino del-

l'amicizia e arpione dell'amore; chi


glie,

non semina non racco-

e di ci vi ha dato un antipasto di esempio Ciulla, e

io vi

dar un pospasto, perch Catone disse: Parla poco


(2).

nel convito

Perci siatemi cortesi di un po' di orecchi.


gli

Cosi

il

Cielo vi accresca sempre

orecchi per ascoltare cose

di soddisfazione e di gusto.

C'era una volta nella terra di Arzano

(3)

una buona donna,

(i)
(2)

V. sopra,
Cio
il

I,

82, n. 2.

cosiddetto Dionisio Catone, nei Disticha (III, 20):

Inter

convivas fac
haberi.
(3)

sis

sermone modestus; Ne dicare loquax,

dum

vis

urbanus
Ca-

Casale, e ora

comune,

in provincia di Napoli, circondario di

loria.

208

GIORNATA QUARTA
figlio

che ogni anno scaricava un

maschio; cosicch vedevi


dell'al-

una siringa del dio Pane a


tra.
I

sette

canne una pi grande


le

sette figli,

avendo mutato

prime orecchie

<'),

dissero

alla

madre

lannetella,

che era un'altra volta

incinta: Sappi,
fai

mamma

cara, che se tu,

dopo

tanti figli

maschi, non

una

femmina, noi siamo proprio


casa e ad andare pel

risoluti

ad abbandonare questa

mondo

sperti,

come

figli
il

delle

merle.

la

madre, all'udire
i

tale proposito,

preg

Cielo che avesse


i!

spogliato

figli

di questo desiderio e tolto

ad essa

pericolo

di perdere sette gioielli.

Avvicinatosi
ci ritiriamo

il

tempo

del parto,

figli le

dichiararono: Noi
se
alla

a quella ripa che di fronte:

partorisci
finestra;

mae,

schio,

metti

un calamaio e una penna

se

femmina, metti un mestolo e una conocchia.

A
il

questo secondo
resto della nodi maschio,

segnale ce ne verremo alla casa a spendere


stra vita sotto le tue ali
;

ma, se vediamo segnale

scordati di noi: ci puoi metter

nome penna.
segno

Volle

il

Cielo che lannetella desse alla luce una bella baniil

binotta, e subito essa ordin alla levatrice che facesse

convenuto
che
si

ai
il

figliuoli;

ma
la

questa fu cosi stordita e distratta

vi

mise
la

calamaio e
via tra le

penna.

sette fratelli, senz'altro,

misero

gambe, allontanandosi dal paese.


si

Dopo
in

tre

anni di continuo viaggio, un giorno


gli

trovarono
fa-

un bosco, dove

alberi al
pietre,

suono

di

una fiumana che


l'

ceva contrappunto sulle

danzavano

imperticata

W; e

in quel bosco era la casa di

un orco, a

cui

mentre dormiva

erano

stati

cavati gli occhi

da una femmina, e perci colui

(i)

Detto scherzoso, gi incontrato di sopra: quasi

le

orecchie

si

mu-

tassero nei fanciulli


(2)

come

denti.

V. sopra,

p.

136, n. 3.

vili.

SETTE COLOMBI

209
gli

era tanto fiero contro questo sesso che quante femmine

venivano
orJo
1--

tra le
=nti

granfie, tante ne divorava. Stanchi dal viagi

per fame,

giovani

gli

chiesero se
di

per com-

passione voleva dar loro qualche boccone


rispose che
tersi al

pane; e l'orco

avrebbe loro dato da vivere, se volevano metfar altro di pi

suo servizio, nel quale non c'era da

faticoso che,

un giorno per ciascuno, guidarlo come un ca-

gnolino.

Ai giovani parve

di aver trovato la

mamma

il

padre, e,
il

conchiuso l'accordo, restarono


imparati
tiello,
i

al servizio dell'orco,

quale,

loro nomi, ora

chiamava Giangrazio, ora CecchePezillo e ora


fratelli.

ora Pascale, ora Nuccio, ora Pone, ora

Carcavecchia,

come

si

denominavano

sette

Abita-

vano

essi in

una stanza terrena della casa, e avevano dall'orco

tanto da poter vivere.


Intanto, cresciuta la sorella e appreso che sette
fratelli

suoi,

per una distrazione in cui era incorsa

la levatrice,

s'erano dati
le

a errare pel mondo, e non se ne aveva pi notizia,


pensiero di andarli cercando.

venne

tanto fece e tanto disse alla

madre, che questa, rintronata da tante preghiere e insistenze,


la vesti la

da pellegrina e

le die licenza.

Cammin
di

cammin

giovane Gianna, domandando sempre

terra in terra chi

avesse visto sette fratelli; e tanto paese percorse che a una


taverna, finalmente, ne raccolse notizie. Si fece
allora
il

inse-

gnare

la

via per quel bosco; e

una mattina, quando


scerpelloni

Sole
carte

col temperino dei raggi rade

gli
si

che

sulle

del cielo ha scritto la Notte,

ritrov in quel luogo, e


i

con

grande gioia

fu riconosciuta dai fratelli,

quali maledissero quel


falsario,

calamaio e quella penna che, con

modo da

avevano

prescritto loro tanti travagli. Per altro,

dopo averle

fatto mille

carezze, la

ammonirono

tii

starsene ritirata nella camera loro,

G. B. Basile, Ptntamerone

il.

14

2 IO

GIORNATA QUARTA
la sentisse,
le

che l'orco non

e,

oltre a ci,
le

che

di

qualunque
la

cosa da mangiare

venisse tra

mani, ne desse

parte

a un gatto, che stava in quella camera: altrimenti, quella bestia


le

avrebbe

fatto

qualche male.

Gianna scrisse questi consigli nel quaderno del cuore; e


di

ogni cosa che aveva, faceva col gatto da buon compagno,


te,

dicendo: Questo a me, questo a


re , e dividendo fino a
fratelli,

questo alla

figlia

del
i

un finocchio.

Ma un
li

giorno che
le

per servizio dell'orco, erano andati

a caccia,

la-

sciarono un panierino di ceci


nel neitarli, vi
la

perch

cuocesse;

ed essa,

trov in mezzo, per caso, una nocciuola('>,


pietra dello scandalo della sua pace, perch,
la

quale fu

la

messala in bocca senza darne

met

al

gatto,

questo, per

dispetto, salt sul focolare, pisci sul fuoco e lo spense.

Gianna, non sapendo come rimediare,

usci di quella
gli

ca-

mera, ed, entrata nell'appartamento dell'orco,

chiese

un

po' di fuoco. Sentita una voce di femmina, l'orco disse: Ben

venga

il

mastro!

'2).

Aspetta un po', che hai trovato quello


d'olio,

che vai cercando!. E, presa una cote e untala


minci ad
affilare le
il

co-

zanne.
carro era male avviato,
e,
la

Vide Gianna che


tizzone,
si

afferrato

un

rifugi nella

camera sua e puntell

porta,

non

lasciando di
cassettine,

gettarvi dietro stanghe, sedie, sgabelli di letto,

pietre,
filo

e quant'altro era nella stanza. L'orco, dato


denti, corse alla

ch'ebbe
serrata,

il

ai

camera

di gi, e, trovatala

cominci a batterla a

furia di calci per sfasciarla.


i

Tra quel
il

fracasso, arrivarono

sette fratelli, e,

al

sentire
tradi-

rumore, e l'orco che strepitava rimbrottandoli come

(i)

Testo: n'antrita, che propriamente la nocciuola tostata.

(2)

Parole di un giuoco, pel quale v. sopra,

I,

177, n. 3.

vili.

SETTE COLOMBI
loro

2 II dei suoi ne-

tori

per aver

fatto

della
il

camera

l'asilo

(')

mici, Giangrazio, che era

maggiore e aveva maggior senno e

avvertiva che

la

cosa andava male, disse all'orco:


di

Noi non
che

sappiamo niente
cotesta

questa faccenda, e potrebbe darsi

maledetta femmina sia entrata nella nostra camera


si

per disgrazia, mentre eravamo alla caccia; ma, poich


fortificata di dentro,

vieni

con me, che

ti

conduco

in

luogo
.

dal quale le

daremo addosso senza che possa difendersi


mano,
lo

Cosi, preso l'orco per la

men dov'era un

fosso

profondo, e

fratelli gli

dettero una

spinta, lo precipitarono

nel trabocco e

con una

pala,

che

si

trovarono a mano, lo co-

persero di terra.
la

Poi, fecero aprire la stanza dalla sorella e


fallo

rimproverarono assai del

che aveva commesso e del

rischio, al quale s'era posta. Per l'avvenire


sta* pi

le

dissero

attenta, e,
al

soprattutto, guardati dal raccogliere

erba

intorno

luogo nel quale sepolto l'orco, perch, se questo

tu facessi,

diventeremmo,

tutti

e sette, colombi .
vi apporti
e,

Il

Cielo mi

guardi

rispose

Cianna

ch'io

questo danno!.

Cosi

si

posero nella roba dell'orco

padroni della casa, stavano


e,

allegramente, aspettando che passasse l'invernata,

quando

il

Sole avrebbe dato per strenna

alla

Terra della possessione

presa nella casa del Tauro una gonnella verde ricamata di


fiori, si

sarebbero messi in viaggio per tornare


i

alla

casa loro.
far le-

Accadde che, trovandosi

fratelli

alla

montagna a

gna da ardere per ripararsi dal freddo che diventava di giorno


in

giorno pi rigido, pass per quel bosco un povero pelleil

grino,

quale,

avendo dato

la

baia a

un gatto mammone,

ar-

rampicato sopra un

pino, era stato da quello colpito alla testa

da un

frutto

di

quest'albero e ne

aveva riportato un cosi

(i)

Testo: lo Beneviento;

v.

sopra,

I,

67, n. 3.

212

GIORNATA QUARTA
lo sciagurato urlava

enorme bernoccolo, che

come anima dan-

nata. Gianna, venuta fuori alle strida, impietosita, colse subito

una cima
dell'orco

di
e,

rosmarino da un cespo che era nato

sulla fossa
gli fece

cuocendola con

pane masticato e sale, da colazione,


lo
i

un empiastro
miat e
si

sulla ferita, e poi, datogli

accomfratelli.

mise ad apparecchiare la tavola, aspettando

Ed

si

ecco arrivare invece sette colombelli, che

le dissero:
ti

Oh

tu,

che

sei

causa di tutto

il

male nostro, meglio che

fossero fatte cionche le mani, prima di cogliere quel


ci fa

mache?

ledetto rosmarino, che ora

andare per

la

marina!
ti

hai mangiato cervello di gatto

('),

sorella,

che

sei lasciato
te,

scappare dalla memoria

l'avvertimento nostro? Per

siamo

diventati uccelli, soggetti agli artigli dei nibbi, degli sparvieri

e degli astori: per te siamo

fatti

compagni

di

meropi, di ca-

pinere, di cardellini, di strigi, di gufi, di piche, di gazze, di

colbianchi, di fanelli, di tarabusi, di vede, di allodole, di sciabiche, di beccacce, di lucherini


cinciallegre,
di capirossi,
(2),

di fringuelli, di regoli,
(3),

di

di collitorti

di

strisciaioli

^4),

di

balie, di tuffetti,

di forasiepi, di ranocchiaie, di ballerine, di

marzaiole(5),

di

bubbole. Hai
al

fatto

la

bella prova!

Ora

si,

che siamo tornati

paese nostro per vederci tese

reti e

prepa-

rato vischio! Per sanare la testa di


sata a sette fratelli!

un pellegrino,
al

l'hai fracastu

rimedio non c'

male nostro, se
la via

non

trovi la

mamma
.

del Tempo, che t'insegni

a cavarci

da quest'affanno

(i)
(2)

V. sopra,

I,

250, n, 4.

Testo aggiunge:

golani

che non

si

sa con quale specie di uc-

celli sia

da

identificare.
e

(3) (4)

Testo aggiunge:

terragnole

Testo aggiunge: paposce. Testo aggiunge: morette, paperchie.

(5)

vili.

SETTE COLOMBI

213

Gianna, come quaglia pelata per l'errore che aveva com-

messo, chiese perdono

ai fratelli
la

e s'offerse di tanto girare pel


e,

mondo

finch trovasse

casa della vecchia;

pregandoli di

starsene sempre in casa

per evitare qualche sciagura, s'instancarsi mai, che,


di

cammin.

and and senza


piedi,
il

quantunque
le ser-

camminasse a

desiderio
la

aiutare

fratelli

viva da mula di procaccio, con


l'ora.

quale faceva tre miglia

al-

Giunta a un lido dove


batteva gli scogli che

il

mare, con

la al

ferula delle onde,

non rispondevano

compito

di latino
le disse:

da esso loro assegnato, vide una grossa balena, che


Bella giovane mia, perch vai in giro?.

Gianna:

Vado
devi

cercando
fare?

la casa della

mamma

del

Tempo. Sai che


diritto

le

rispose
al

la

balena.

Va' sempre

per questa

marina, e
trerai chi
ti

primo fiume che


il

trovi,

volgi in su, che incon-

mostrer

cammino.

Ma

fammi un

piacere:

quando

sarai

da quella buona vecchia, domandale per grazia da mia

parte che

mi dia qualche rimedio che

io

possa camminare

sicura senza urtarmi tante volte agli scogli e dar tante volte

nell'arena. Lascia fare a


ziatala per le indicazioni

me,
le

disse

Gianna;

e, ringra-

che

aveva

fornite, riprese

trot-

tare per la spiaggia.

Dopo lungo
mare,

viaggio, giunta a quel fiume che,

come com-

missario di fiscale, sborsava monete d'argento alla banca del


si

volse a risalirlo, e in una bella campagna, dove

il

prato faceva la scimmia


il

al cielo col mostrare stellato di fiori le

suo manto verde, trov un topo, che

disse:
la

Dove

vai

cosi sola, bella

donna?. Ed

essa:

Gerco

mamma
il

del

Tempo . Troppo hai da camminare soggiunge topo; ma non perderti d'animo: ogni cosa ha capo. Gammina pure
verso quelle montagne, che,

come

libere

signore di

questi

214
campi,
si

GIORNATA QUARTA
fanno dare
il

titolo d'altezza, e

sempre avrai migliore


piacere:

notizia intorno a quel che chiedi.

Ma fammi un
fatti

quando

sarai giunta alla casa che desideri,

dire

da quella buona
liberarci dalla

vecchierella qual rimedio


tirannia dei gatti; e poi

potremmo trovare per

comandami, che m'avrai comprato

per schiavo .

Gianna
quali,

glielo

promise e

si

avvi verso quelle montagne, le


vicine,

quantunque paressero
pur
vi

non
si

si

arrivavano mai.

Alla fine
pietra,

giunse,

e,

stracca,

sedette

sopra una

dove vide un

esercito di formiche
di

che trasportavano
esse, volgendosi a

una gran provvista


Gianna,
le disse:
tutti,

grano, e

una

di

Ghi sei?
rispose:

Dove vai?. E Gianna, ch'era


sono una giovane sfortunata,
la

cortese con

Io

che, per cosa che m'importa, cerco

mamma

del

Tempo.

Vai pi oltre

disse la formica, che, allo sboccare di quelle


una grande largura,
te

montagne,

in

ne sar data

notizia;

ma

rendimi un gran piacere. Vedi d' intendere da quella vecchia

che cosa potremmo

fare noi altre

formiche per campare qualter-

che tempo; che mi sembra una grande pazzia delle cose


rene di dover mettere insieme tanto

cumulo e provvista di
la quale,
si

cose da mangiare per una vita cosi breve,

come canspegne.

dela per incanti, alla migliore offerta degli anni,

Sta' tranquilla
cortesia che

disse

Gianna,

che

ti

voglio rendere la

mi hai

fatta .
si

Passate quelle montagne,


quale,
cia,

vide in una bella pianura, nella

dopo aver camminato a lungo, trov una grande querdi quella

testimone dell'antichit, confetti

sposa che stava


il

contenta e boccone di dolcezze perdute, che non d pi


a questo secolo

Tempo

amaro; e quell'albero, formando labbra della

scorza e lingua del midollo, disse a Gianna: Dove, dove vai


cosi affannata, giovane mia? Vieni all'ombra

mia e

riposati .

vili.

SETTE COLOMBI
si

2I5
fretta

Essa, dicendole gran merc,


a trovare
rispose:
gl'ornata
la

scus perch andava in

mamma
ne
sei

del

Tempo. La

quercia, udito questo, le

Tu

poco lontana, e non camminerai un'altra


tro-

che vedrai sopra una montagna una casa, dove

verai quello che cerchi.


lezza,

Ma, se hai tanta

cortesia quanta bel-

procura

di

sapere che cosa potrei fare per ricuperare

l'onore perduto; perch da pasto di uomini grandi sono fatta

cibo di porci
spose,

Lasciane

il

pensiero a Gianna

essa

ri-

che

vedr

di servirti.
e,

Cosi detto, parti

camminando senza

riposar mai, giunse

a piede di una montagna guastafeste, che andava col capo a dar fastidio
alle

nuvole. Qui trov un vecchietto, che, per


al

stanchezza del cammino, s'era coricato in mezzo

fieno;

il

quale, allo scorgere Gianna, la riconobbe per quella che gli

aveva medicato

il

bernoccolo.
le

E, quando ud quel che


ch'esso

la

giovane andava cercando,


al

disse

portava

il

censo

Tempo dell'affitto della terra che aveva seminata, e che il Tempo era un tiranno, quale s'era usurpate tutte le cose del mondo e voleva tributo da tutti, e particolarmente da uomini dell'et sua; e, poich aveva ricevuto beneficio dalla mano
il

di

Gianna, glielo voleva rendere a cento doppi col darle qualla

che buon avvertimento circa


gna, sulla quale
gli

venula sua a questa monta-

spiaceva di non poterla accompagnare,

perch
lire,

l'et sua,

condannata piuttosto a scendere che a sai

lo

costringeva a restare alle falde di essa per saldare


i

suoi conti con gli scrivani del tempo, che sono


disgusti e le infermit della vita, e pagare
tura.
il

travagli,

debito alla nafiglia

perci

le

disse:

Ora

ascolta bene, beila

mia
tro-

senza peccato. Sappi che sulla cima di quella montagna


verai

una rovina
le

di casa,

che non c' memoria

di

quando

fu fabbricata:

mura sono

screpolate, le fondamenta fracide,

2l6
le

GIORNATA QUARTA
i

porte tarlate,

mobili muffiti,

e,

insomma, ogni cosa conrotte,

sumata e
spezzate,
la la

distrutta; e di

qua vedi colonne


altro di

di l statue

non essendoci

sano fuorch un'arma sopra

porta inquartata, dove vedrai

un serpente che

si

morde

coda, un cervo e una fenice

(').

Come
falci

sarai entrata col,

vedrai per terra lime sorde, seghe,


e cento caldaiette di cenere coi
speziali,

e potatoi, e

cento

nomi

scritti

come

alberelli di

dove

si

leggono Corinto, Sagunto, Cartagine,

Troia,

e mille altre citt andate a perdimento, le quali esso

conserva per memoria delle sue imprese. Ora, quando sarai


vicina a quella casa,
tirati

da parte e

sta'

nascosta fintanto che

esce

il

Tempo,

e allora ficcati l dentro e vi troverai una vecla terra

chiona, che col mento tocca


cielo;
i

e con la gobba giunge al

capelli,

come coda
sembra un

di cavallo leardo, le
(^),

coprono
con
le

tal-

loni;

la

faccia

collare a lattughe

crespe

rigide per l'amido degli anni; e se ne sta seduta sopra

un oro-

logio conficcato nel muro, e,

poich

le
ti

palpebre sono cosi


potr vedere. Tu,

grosse che

le

coprono

gli

occhi,
i

non

appena

entrata, togli senz'altro

contrappesi all'orologio, e
quel che

poi chiama la vecchia e pregala di soddisfarti di


desideri.
giarti;

Essa dar subito una voce


all'orologio,

al figlio, la

che venga a mansotto di s,

ma, poich
i

che

madre ha

mancano

contrappesi, quello

non potr muovere passo,

cosi sar costretta a concederti quello che vuoi.

Ma non credere
le ali del

a nessun giuramento che


figlio:

ti

faccia, se

non giura per


ti

allora, dlie fede e fa' quello


.

che

dice, perch sarai

contentata

Nel dir

ci, quel

poveretto rest disfatto

come corpo morto

(i)
(2)

Simboli del ritorno, della velocit e del risorgere.


Testo:

lattochiglia : spagn.

cuello de lechuguillas.

vili.

SETTE COLOMBI

217
alla luce dell'aria.

giacente in un ipogeo

('),

quando messo
e,

Gianna prese quella cenere

mischiatovi un misurino di

lacrime, scav

una

fossa e ve la seppell, pregandole dal Cielo

quiete e riposo.

Ascesa poi

la

montagna,
il

la

quale

le die

l'affanno, aspett

che uscisse di casa

Tempo, che

era un vecchio con una

barba lunga lunga: portava un mantello vecchio vecchio, che


era tutto pieno di cartellini
quello, e aveva
lo perse
l'ali

cuciti

coi

nomi

di

questo e di

grandi e correva cosi veloce, che essa


vista.

subito

di

E, quando entr nella casa della

mamma, Gianna ebbe


e,

a sbigottire a mirare quel tristo sfasciume;


via
i

afferrati e portati

contrappesi,

rivolse alla

vecchia
il

le

sue domande. Essa gitt un grido, chiamando

figlio;

ma

Gianna

le disse:
figlio,

Puoi

cozzare

la

testa

nel
i

muro,

ma

non vedrai tuo

perch ho

io in

mano
i

contrappesi.

allora la vecchia, vedendosi tagliati

passi, prese a lusinla


al

garla: Lasciali andare,


figlio,

bene mio, non impedire


ancora

corsa a mio

cosa che non ha


andare, che Dio

fatto
ti

uomo
ti

vivente

mondo. La-

sciali

guardi, e io

prometto per l'acqua


ti

forte di

mio

figlio,

con

la

quale rode ogni cosa, che non

far

male

Perdi

tempo
li

rispose
ti

Gianna:

devi

dir

meglio,

se vuoi che io

lascio .

Ti giuro per quei denti, che rofar conoscere quanto desi-

dono

tutte le

cose mortali, che


fai

deri .

Non ne
.

nulla replic Gianna, perch so che

tu
ali

mi gabbi

la

vecchia: Ors, io
ti

ti

giuro

per quelle
piai

che volano dappertutto, che che immagini


la

voglio fare

maggior

cere di quello

Gianna,

lasciati

andare

contrappesi, baci
e di tanfo.

mano

alla vecchia, che sentiva di muffa

(i)

Testo:

de lisoncuerpo

che errore di stampa per

iuson-

cuerpo, succorpo, ipogeo, cripta.

2l8

GIORNATA QUARTA
la

La vecchia, vedendo

buona creanza

della giovane, le disse:


il

Nasconditi dietro questa porta, che, quando

Tempo

sar

venuto, mi far dire quel che vuoi sapere.

E quando

esso torna

a uscire, poich non sta mai fermo in un posto, tu puoi svignartela;

ma non

ti

far sentire,
ai figli e,

perch cosi mangione, che

non perdona neanche

quando

tutt'altro
.

manca,

si

mangia se stesso e poi torna a rigerminare


Gianna fece quanto
le

disse la vecchia, e intanto soprav-

venne

il

Tempo,

che, presto presto, svelto e leggiero, rosic-

chiato tutto ci che gli venne tra


delle mura, mentre stava per

mano, perfino

il

calcinaccio

ripartire, la

madre

lo interrog inlatte

torno a tutte

le

cose chiestele da Gianna, pregandolo, pel

che gli aveva dato, di darle le risposte.


il

Dopo

mille preghiere,

figlio le rispose:

All'albero

si

pu

dire che

non

sar

mai

caro alle genti, finch tiene sotto le sue radici sepolti tesori.

Al topo, che non mai sar libero dal


campanello
alle

gatto, se

non

gli

attacca

un

gambe per

sentire

quando

viene. Alla formica,

che camper cento anni, se pu astenersi dal volare, che,

quando vuol morire,


faccia

la

formica mette
il

le ali.

Alla balena, che


('), il

buona cra e

si

tenga per amico

topo marino

quale
e ai
ric-

le servir

da guida, e cosi non andr mai

di traverso;

colombelli, che,

quando faranno

il

nido sulla colonna della

chezza, torneranno all'essere di prima . Gi detto, riprese a correre


la

solita posta.
al

Gianna, licenziatasi dalla vecchia, discese

basso della

montagna, nel tempo stesso che

vi

erano giunti, seguendo

(i)

Plin., Nat. Hist., IX, 88, discorrendo delle inimicizie e amicizie

degli animali, tra gli araicitiae

exempla> annovera: balenaci musculus,

quando, praegravi superciliorum pondere obrutis eius oculis, infestantia raagnitudinem vada praenatans demonstrat, oculorumque vice fungitur .

vili.

SETTE COLOMBI
i

219
quali,

le

orme

della sorella,

sette colombelli,
tutti

stanchi dal

tanto volare, andarono

a posarsi sulle corna di un bue


si

morto

(');

non appena

vi

erano fermati che diventadi


ci,

rono bei giovani come prima. Meravigliati


la risposta del

sentirono

Tempo
(2),

compresero che

il

corno,

come sim-

bolo della copia


dal

era la colonna della ricchezza, accennata

Tempo,

Dopo
si

aver fatto una grande festa con


la via gi

la sorella, tutti

insieme
presso
l'al-

avviarono per

percorsa da Gianna,
il

e, giunti

l'albero di quercia e riferitogli

pensiero del
il

Tempo,

bero

li

preg di levargli

di sotto

tesoro,

che era causa


I

che

la

ghianda fosse scapitata

di riputazione.

sette fratelli,

presa una zappa, ch'era in un orto, tanto scavarono finch

scoprirono

un grosso vaso pieno

di

monete d'oro,

le

quali

divisero, in otto parli, tra essi e la sorella, per poterle portare pi


Il

comodamente.
il

viaggio e
si

peso furono cagione che

il

sonno

li

vincesse,

onde

stesero a dormire presso una siepe.

Ma

una banda

di malandrini,

che capit
testa

in

quel luogo,

vistili

immersi nel
li

sonno, con

la

appoggiata agl'involti

di tornesi,
si

legai

rono con

le
li

mani e

coi piedi agli alberi vicini,

presero

quattrini, e

lasciarono a far lamento,

non

solo del bene che,

appena

afferrato, era loro

scappato di mano,

ma
o

anche della

vita loro, giacch, privi

di

ogni speranza di aiuto, stavano


di placare la
si

a rischio o di morire consumati dalla fame

fame

di

qualche animale selvaggio. E, mentre


il

dolevano

della loro atroce sorte, giunse

topo, che, udita la risposta

(i)

Uno
i

dei tanti accenni e figurazioni satiriche del Basile circa le

corna e

lucri

che recano a chi


siramolo de
la

le

sopporta.

(2) Testo:

capra, che evidente errore.

2 20

GIORNATA QUARTA

del

Tempo, per

rimeritare
legati e
li

il

servigio, rosicchi le cordicelle

con cui stavano

rimise in libert.

Camminarono un
trarono
la

altro

buon

tratto e per la strada inconil

formica, la quale, udito

consiglio del

Tempo, do-

mand
e

a Gianna che cosa avesse che se ne stava cos abbat-

tuta e gialliccia di colore;


il

ed essa

le

narr la disgrazia sofferta

tiro

giocato loro dai ladri. Zitto!

le

rispose
il

la

for-

mica,

che

mi

si

presenta

il

modo
visto

di ricambiarvi

favore

che ho ricevuto da
terra

voi. Sappiate che,

mentre trasportavo sotto


luogo ove cotesti cani

un carico

di grano,
i

ho

il

assassini

nascondono

furti

loro,

certe grotticelle sotto


le

una

vecchia fabbrica, nelle quali stivano


essi

cose rubate;

e,

ora che

sono

in giro per qualche altra rapina, vi ci voglio


il

accomil

pagnare e insegnarvi
vostro .
fratelli

posto, tanto che possiate ricuperare

s'avvi verso certe case in rovina e indic ai sette

l'apertura di

un sotterraneo, nel quale


altri,

calatosi Giani

grazio,

come
stati

pi

animoso degli
tolti,

trov

tutti

danari che

erano

loro

e se

li

ripresero.
la

Andarono, dopo
balena
sigli; e,
il

di ci,

verso
dal

marina, dove dissero

alla

buon avviso datole

Tempo, che

padre di con-

mentre stavano discorrendo del viaggio che avevano


videro spuntare quei bricconi, arsulla pista delle loro pe-

fatto e dei casi incontrati,

mati fino
date. ster

ai denti,

che erano venuti

Oim!

gridarono: questa
ci

la volta che

non

rei

nulla di noi sventurati, perch gi ci

sono addosso

ladroni armata mano, e


bitate

toglieranno
io

la

vita!.

Non

du-

disse la balena,
il

che

son buona a cavarvi dal

fuoco per rendervi

ricambio del buon amore che mi avete

mostrato. Ors, montate sul mio dorso, che subito vi trasporter in luogo sicuro .
I

meschini, che

si

vedevano

nemici

alle spalle e

l'acqua

vili.

SETTE COLOMBI

221

davanti, salirono sulla balena, la quale, allontanandosi dagli


scogli,
li

port alla volta di Napoli, dove, non confidando di

sbarcarli per esservi

poco fondo, disse

loro:

In qual punto

volete che vi lasci della costa di Amalfi?.

Giangrazio rispose: Vedi se possiamo farne di meno, bel

pesce mio, perch in nessuno


tento.
i

di cotesti luoghi

approdo con-

Massa

si

dice salute e

passa;

a Sorrento, stringi

denti; a Vico, porta pane con teco; a Castellamare, n


(').

amico n compare
La
lo scoglio del Sale di pescatori
f^),

balena, per far loro

gradimento, volt carena verso


li

dove

lasci, e di l, dalla
si

prima barca

che

si

trov a passare,
al
il

fecero mettere a terra.

Cosi tornarono
larono
la

loro paese sani, belli e ricchi, e conso-

madre

e
la

padre, e godettero per

la

bont

di

Gianna

una

vita felice,

quale aggiunse una fede autentica all'antico

motto:

Sempre che puoi,

fa'

bene

e te

ne scorda.

(i)

Proverbi scherzosi, che corrono ancora intorno a queste varie

terre della penisola sorrentina.


(2)

Dinanzi

alla

punta di Posilipo segnata nella Mappa secondo


che probabilmente quello
quale

lo stalo del

17^0 di N. Petrini, e in altre carte del settecento, uno scodi Pietra salata,
il

glio col
il

nome

al

Basile pensava:

Basile,

che sembra fosse nato appunto a Posilipo,


la cui

perch nelle Avventurose disavventure,

scena posta a Posilipo,

narrando

la

propria vita, dice

(III,

io): ...

in

prima

gii

occhi apersi

In questa propria riva al chiaro giorno; e che certamente aveva assai


familiari quei luoghi.

TRATTENIMENTO NONO
IL

CORVO

Gennaiiello, per dare soddisfazione a Milluccio, re di Frattombrosa e


fratello

suo, intraprende

un lungo viaggio
la

e reca a lui quello che

desiderava. Ma, per liberarlo poi dalla morte imminente condannato a morte,
e,

per dimostrare

sua innocenza, diventa statua di marmo.


ritorna vivo e

Infine, per

uno strano successo,

gode contento.

Se

io avessi cento
('),

canne

di gola,

un petto

di

bronzo e mille
il

lingue d'acciaio

non

potrei manifestare quanto piacque

racconto di Paola, a vedere


di cui si

come nessuna

delle

buone opere
bi-

narrava restasse senza remunerazione: tantoch


la

sogn caricar
dicesse
il

dose delle preghiere a Ciommetella perch


il

suo, essendosi sfiduciata di tirare

carro del co-

mando

del principe a paro


il

con

le

altre. Pure,

non potendo,

per non guastare


disse cosi
:

gioco,

mancare all'obbedienza dovuta,

diamo

un gran proverbio, veramente, quello che suona: Vestorto e giudichiamo diritto;

ma

cosi difficile ser-

virsene che pochi giudizi degli uomini battono sul chiodo; e,


anzi, nel

mare

delle cose

umane,

pi sono pescatori d'acqua


si

dolce, che

prendono granchi; e chi


quanto ha
in

crede di prender pi
la

giusta la misura di

mente, pi facilmente

(i)

Non
:

mihi

si

linguae centum
625-7.

sint,

oraque centum, Ferrea

vox, etc.

Vero., Aen., VI,

IX.

IL

CORVO
tutti

223
fati-

sbaglia.

Da

ci proviene

che
al

corrono a rompicollo,

cano

alla cieca,

pensano
e,
il

rovescio, operano a casaccio, giu-

dicano a vanvera;

pi delle volte, rotolando tristamente


si

da una risoluzione a uno sproposito,

comprano un

penti-

mento a buon senno: come


quale udirete
il

fece

il

re di

Frattombrosa, del

caso, se

mi chiamerete

nella ruota della

mo-

destia col campanello della cortesia, e


di ascolto.

mi accorderete un po'

C'era una volta un re di Frattombrosa, chiamato Milluccio,


cosi perduto per la caccia che

mandava a monte

le

cose pi
le

necessarie dello stato e della casa sua per andar dietro


di

tracce

una lepre o

il

volo di un tordo; e tanto continu per questa


la

strada, che
fatto

un giorno

fortuna lo port a

un bosco, che aveva

uno squadrone

fitto

e serrato di alberi e di terra per


Ivi,

non

essere rotto dai cavalli del Sole.


di

sopra una bellissima pietra

marmo, trov un corvo, che era


la

stato ucciso di fresco.


il

A quel
una

vivo sangue, schizzato sopra

bianchissima pietra,
Cielo! e

re gett

un gran sospiro e

disse:

Oh

non

potrei avere

moglie cosi bianca e rossa come questa pietra, e che avesse


i

capelli e le sopracciglia cosi nere


.

come

le

piume

di

questo

corvo!
In

tal
il

pensiero Milluccio

si

sprofond tanto, che per un

tratto

form

paio con quella pietra, e parve una statua di


altro

marmo
vi-

che facesse all'amore con un

marmo. E,

ficcatosi quel

doloroso capriccio nel cervello, e andandone in cerca col


schio
('>

del desiderio, quello


pertica,

si

fece in

poco tempo da

stec-

chino

(')

da melofioccolo zucca d'India, da caldaietta

di barbiere fornace di vetraio e

da nanerottolo gigante:

di

guisa

(i)
(2)

Testo:

pappolla
palcco
*:

Testo:

spagn.

palico

*.

2 24

GIORNATA QUARTA
in-

che Milluccio non pensava ad altro che a quell'immagine


castrata nel

suo cuore come pietra con pietra O. Dovunque


occhi sempre vedeva quella forma, che portava nel

volgeva

gli

petto; e, scordatosi di

ogni altra faccenda, altro non aveva che


si

quel

marmo

nel capo; e

era assottigliato in

modo
si

su questa
pietra,

pietra

che se ne andava in consunzione. Gli era, quella


gli

mulino che
i

macinava
giorni

la vita; porfido,

dove

stemperavano

colori

'2)

dei

suoi;

focile,

che metteva fuoco allo


lo tirava;
gli

zolfanello

dell'anima; calamita, che

e,

finalmente,

pietra radicata nella vescica, che

non

dava requie.
giallo e

lennariello, suo fratello,


gli disse:

vedendolo cosi
ti

smorto,
il

Fratello mio, che cosa


la

accaduto che porti

dolore alloggiato negli occhi e

disperazione arrolata sotto


frale le
il

l'insegna pallida di questa faccia? Parla, sfgad con tuo


tello!
Il

puzzo del carbone


la polvere,

in

una camera chiusa appesta


in

persone;

compressa

una montagna,

fa

volare

schegge
sangue;

in aria; la rogna, rinserrata nelle


la ventosit, ritenuta

vene, infracida
flati

nel corpo, genera

e coliche

violente. Perci apri la bocca e

dimmi quel che

senti. In ul-

timo, puoi assicurarti che, in quel che posso, metter millanta


vite per giovarti .

Milluccio, masticando parole e sospiri, lo ringrazi del

buon
che

amore, dicendogli che non dubitava del suo


il

affetto,

ma

male che sentiva non aveva rimedio, perch nasceva da una

pietra,

dove aveva seminato desideri senza speranza


pietra, dalla quale

di frutti;

da una

non aspettava neanche un fungo

di

piacere; da

una pietra

di Sisifo, che, portata sul

monte dei

disegni, toccando la cima, rotolava gi al piede. Pure, in ul-

(i)

In un'opera a intarsio.

(2)

La

pietra usata dai pittori per macinare

colori.

IX.

IL

CORVO

225

timo,

dopo

mille preghiere, gli disse tutto quel che era del

suo strano innamoramento.


Udito
gli fece
il

caso, lennariello lo consol


si

come meglio pot

animo, che non

lasciasse trascinare dall'umore

ma-

linconico; perch esso, per dargli qualche soddisfazione, era

deliberato di viaggiare

tutto

il

mondo,

finch trovasse

una

donna che

fosse l'originale di quella pietra.

Cosi fece armare subito una grossa nave piena di mercanzie


e, vestitosi

da mercante,
di

tir alla volta di

Venezia, specchio
delle meraviglie

d'Italia,

ricetto

virtuosi, libro
('),

maggiore

dell'arte e della natura

dove,

fattosi

dare un salvocondotto

per passare in Levante, fece vela pel Cairo. Entrando in questa citt,
si

scontr con uno che portava

un bellissimo

fal-

cone, e subito se lo
cacciatore; e,

compr per
oltre,

portarlo al fratello, che era


altro

poco pi

s'imbatt in un
si

con un
ta-

cavallo stupendo, che pure compr; e poi

ferm a una

verna, per ristorarsi dei travagli passati in mare.

La mattina seguente, quando

l'esercito delle stelle, pel cole

mando

del

generale della luce, leva

tende dallo steccato

del cielo e

abbandona

il

posto, lennariello cominci a girare

(i)

Anclie nella Giornata

III, 8,

loda Venezia,

arsenale delle mera-

viglie della natura : motivo, del resto, usuale nella letteratura del

tempo.

Vivi, potentissima Repubblica,

Republica di Lesbo (1634, nella


d'heroi,

diceva, fra tanti, l'abate Sgualdi, dedicatoria), figliuola di Giove, madre


i

Reina del Mare, Sale della Terra, Sole del Ciel


aristocratia,

Politico; vivi,

famosa

augusta adunanza di tanti principi, nobilissima corona

di tante corone; vivi, lucidissimo raggio di quella

gran luce della libert

Romana, che
Il

tra

'1

fosco de' crepuscoli della

altro Sole alle sorgenti stelle delle

moderna servit sembri un franche citt d'Alemagna , ecc. ecc.

Basile,

come

si

detto nell' introduzione, era stato venturiero

ai

servigi

della Serenissima, e in Venezia e nei possedimenti veneziani aveva tra-

scorso molti anni della sua giovinezza.

G. B. Basile, Pentameroru

- 11.

'5

2 20

GIORjSIATA

QUARTA
cerviero, gli

per

la

citt,

mettendo,

come lupo

occhi dap-

pertutto,

squadrando questa femmina e quella, per vedere se


di

potesse trovare in un volto di carne la somiglianza


pietra.

una
guar-

E, mentre andava sbalestrato di qua e di

l,

dando sempre attorno come ladro che ha paura

degli sbirri,

incontr un pezzente, che portava addosso uno spedale di empiastri e

una giudecca
gli disse:

di cenci.
ti

Costui

Galantuomo mio, che cos'hai, che

vedo

cosi sbigottito? .
nariello.

Debbo
fin

dire a te

fatti

miei?
il

rispose len-

Aspetta

che finisca di fare

pane, e poi con-

ter

fatti
il

miei agli sbirri. Piano!


la

bel

garzone mio
si

di

replic

pezzente, che

carne dell'uomo non


i

vende a

peso. Se Dario
stalla
('),

non raccontava

casi

suoi a

un mozzo

non diventava
i

re di Persia. Perci
tuoi a

non sarebbe cosa

strana che tu dicessi

fatti

un povero pezzente, perch

non c'
tare
i

fuscello cosi sottile

che non possa servire per net-

denti .
il

lennariello, che senti

parlare aggiustato e assennato di


il

Vjuesto poveretto,

gli

espose

motivo che l'aveva portato a

quel paese, e che cosa andasse con tanta diligenza cercando.


Il

pezzente,

dopo aver
far

ascoltato, gli rispose:

Or

vedi, figlio

mio,

come bisogna

conto di ognuno; perch, sebbene io

sia spazzatura,

pure sar buono a ingrassare l'orto delle spela

ranze tue. Ascolta! Io, col pretesto di cercare


picchier alla porta di una bella giovane,

limosina,

figlia di

un necro-

mante. Apri bene

gli

occhi, vedila, contemplala, squadrala,

considerala, misurala, che troverai la figura di quello che tuo


fratello

desidera .

(i)

Oibare, custode dei cavalli, del quale narra

Erodoto,

III, 85-87.

IX.

IL

CORVO
giovane, che
si

227

picchi alla porta, e

la

chiamava Lu-

ciella, si affacci

per gettargli un tozzo di pane; e lennariello,

tosto che la vide, riconobbe che la fabbrica rispondeva pro-

prio al modello descrittogli da Milluccio. Data perci una

buona
da

limosina

al

pezzente, se ne and alla taverna e


('),

si

travesti

venditore di lacci e spille


il

mettendo
alla

in

due cassette

tutto

bene del mondo; e torn dinanzi


la

casa di Luciella, pas-

sando e ripassando e dando

voce della merce che vendeva,

finch la giovane lo chiam.


Luciella

pass in rassegna quelle belle


pizzi,

reticelle,

veli pel
spille,

capo, nastri, filondenti, trine,

pannolini,

fibbie,

scodelline di rossetto e tocchi di regina, che portava; e,

dopo

aver visto e
altra

rivisto, in

ultimo chiese che

le

mostrasse qualche

cosa di bello. lennariello rispose: Signora mia, dentro

questa cassetta io porto merci grossolane e di poca spesa; ma,


se vi degnaste di venire alla nave mia, vi farei vedere roba
dell'altro

mondo, perch ho

tesori di cose belle e

degne

di

gran signore . Quella, che, per non pregiudicare alla natura


delle

donne, era piena


fosse

di

curiosit,

gli

disse:

Aff,

che
.

se mio padre non

via,

vorrei

darvi

una guardata
l'altro,

Tanto meglio

potreste

venire

replic

il

perch
io vi

forse vostro padre

non

vi

concederebbe questo piacere, e

prometto di

farvi

vedere sfoggi da mandare in aria


(2)

cervello.

Quali collane e orecchini! Quali cinture


vori di merletto!

e busti! Quali la-

Insomma,

vi vo' fare

strasecolare.

Non

resist Luciella alla descrizione di questo


e,

grande ap-

parato di cose belle;

presa per compagnia una sua comare,

(i)

Di piccoli oggetti che servono airabbigliamento e ornamento don-

nesco.
(2)

Testo:

prattiglie , spagn.

piallila.

2 28

GIORNATA QUARTA

s'avvi alla nave.


strandole tante

l,

mentre

egli la

teneva incantata, molevar l'ancora e


gli

ricchezze, fece destramente


sicch,
si

tendere

le vele;

prima che Luciella alzasse

occhi

dalle mercanzie e

vedesse allontanare dalla

terra, gi

aveva

percorso pi miglia.

Quando

tardi s'avvide dell'inganno,


('),

cominci a fare l'Olim-

pia all'inverso

perch, se quella
si

si

lament lasciata codi lasciare gli scogli.

m'era su uno scoglio, essa

lament

Ma

lennariello le disse chi era,


le

dove

la

portava e

la fortuna
il

che l'aspettava, e
lore, la virt,

dipinse la bellezza di Milluccio,

va-

e finalmente l'amore col quale l'avrebbe rices'acquet, e anzi

vuta;

e tanto fece e tanto disse che essa


il

cominci a pregare
veder colorito
il

vento che l'avesse portata subito a


le

disegno che lennariello

aveva delineato.

Cosi navigando allegramente, a un tratto sentirono sotto


la

nave mormorare l'onda, che, sebbene parlasse sottovoce,

fu intesa dal
all'erta,

padrone

della nave,

il

quale grid: Ogni


la

uomo
mandi

che ora viene un temporale, che Dio ce


.

buona!

queste parole
il

si

aggiunse

la

testimonianza di un
il

fischiar di vento; e

cielo si coverse di nuvole e

mare

di

cavalloni. E, poich le

onde curiose

di

conoscere

fatti altrui,

senz'essere invitate a nozze, salivano sulla nave, chi raccoglieva l'acqua con le conche e la versava in una tinozza, chi
le

dava

lo sfratto
si

con una tromba;

e,

mentre ogni marinaio,


timone,

poich

trattava di causa propria, attendeva chi al

chi alla vela, chi alla scotta, lennariello sali sulla gaggia per

mirare con un occhiale di lunga vista se poteva scoprire terra,


alla

quale dar fondo.

(i)

Allusione

ai

lamenti di Olimpia abbandonata nel decimo del

Furioso.

IX.

IL

CORVO

229

Ed

ecco, mentre superava cento miglia di distanza con due

palmi di cannello, vide passare un colombo e una colomba,


che, fermatisi
sull'antenna,
disse
il

maschio: Rucche-ruchai,

che! ; e

la

femmina

rispose:

Che

marito mio, che

ti

lamenti?.

il

colombo: Questo sventurato principe ha


fratello,
gli

comprato un falcone pel

che, subito

che andr in
glielo porter

mano
o chi

a colui,

gli

caver

occhi; e chi

non

l'avviser, pietra di

marmo

diventer .
;

Ci detto, torn a gridare: Rucche-rucche!


lomba, di nuovo,
di
gli disse:

e la co-

ancora

ti

lamenti? C' altro

nuovo?.

il

colombo:
il

C'
la

dell'altro.

Ha

comprato
lo caval-

anche un cavallo, e
cher,
il

fratello,

prima volta che

collo si romper; e chi

non

glielo

porter o glie-

l'awiser, pietra di

marmo
campo?
.

diventer.

rucche-rucche!.
la

Oim!
che
altra

altri

rucche-rucche?
e' in

riprese
E
il

a dire

colomba:

cosa

colombo: Costui conduce


prima notte che
l'altro
si

una

bella

moglie

al fratello;

ma,

la

coriche-

ranno insieme, saranno mangiati l'una e


dragone;

da un brutto
di
fini

ma

chi

non
.

gliela

condurr o l'avviser, pietra

marmo
la

diventer

E, col finire di questa conversazione,


la collera al
si

burrasca e pass

mare e

la

rabbia

al

vento.

Pi forte tempesta, per altro,

agit nel petto di lennariello

per quel che aveva udito; e pi di quattro volte volle gettare


tutte le
fratello.

cose a mare, per non portare

la

causa della rovina


la

al

Ma,

dall'altra parte,

pensava a se stesso, e
e,

prima

causa cominciava da se medesimo,

dubitando se non portava

quelle cose al fratello, o se l'avvertiva, di diventar


si

marmo,

risolse di mirare piuttosto


la

al

proprio che all'appellativo,

perch

camicia lo stringeva pi forte del giubbone.


al

Arrivato

porto di Frattombrosa, trov

il

fratello

sulla

marina, che, avendo visto l'appressarsi della nave, aspettava

230

GIORNATA QUARTA

con gioia grande. E, quando seppe che conduceva quella che


egli

aveva nel cuore,


la

e,

confrontata l'una e l'altra faccia, non vi


il

ebbe trovato
fu pieno,

pi piccola divergenza, tanto fu

giubilo

onde

che l'eccessivo carico


il

di contentezza stava
il

per schiac-

ciarlo sotto

peso. E, nell 'abbracciare

fratello

con gran
porti in

piacere, gli

domand:

Che

falcone questo, che

pugno?. Rispose

lennariello:
si

L'ho comprato
avessi portato
di

per dartelo,
di

Milluccio:

Ben

vede che mi vuoi bene, perch cerchi


se

andarmi a genio;
avresti potuto

e, certo,

mi

un tesoro, non
.

darmi maggior gusto che


le

questo falcone

stava per prenderlo con

mani, quando lennariello,


il

cavato rapidamente un pugnale, fece saltare


cone. Al quale atto,
il

collo al
fratello,

fal-

re

tenne per pazzo

il

che

aveva commesso questa stravaganza; ma, per non intorbidare


l'allegrezza del ritorno,

non disse

parola.
di chi fosse, e, udito ch'era

Vide poi

il

cavallo e

domand

suo, ebbe subito desiderio di cavalcarlo;

ma, mentre

si

faceva

tenere la staffa, lennariello subito con un coltellaccio tagli


le al

gambe

al cavallo.
il

Questo secondo
fratello glielo

atto die nel

naso

al re,

quale parve che


di

facesse per dispetto, e co-

minci a bollire

sdegno nel suo interno;

ma non
la

giudic

che fosse tempo

di risentirsene

per non affliggere

sposa

al

primo arrivo nel regno.


Egli

non

si

saziava

di

mirare e stringere con


i

la

mano

Luciella; e, salito al palazzo reale, convit tutti


citt

signori della

a un bel festino, onde

si

vide nella sala una vera scuola


di polledre

di esercitazione
in

con corvette e bassi e un'accolta


il

forma di donne. Finito

ballo, e dato

fondo a un grosso
camera.

banchetto,

gli sposi si Ritirarono nella loro

lennariello, che

non aveva
si

altro pensiero in
il

capo che
letto

di

salvare

la

vita al fratello,

nascose dietro

nuziale,

IX.

IL

CORVO

231

vigile

alla

venuta del dragone;

quand'ecco, a mezzanotte,

entrare quell'orribile mostro, che gettava fiamme dagli occhi

e fumo dalla bocca,


far

il

quale sarebbe stato buon sensale a


speziali pel terrore

vendere

tutta la

semenzina degli

che

portava nella vista. lennariello, con una lama damaschina che

aveva presa con


e a rovescio;
e,

s,

cominci a

tirar colpi di sbaraglio a diritto

tra gli altri,

uno

cosi smisurato che tagli

per mezzo una colonna del


si

letto

del re,

il

quale

al

rumore

svegli e
Il

il

dragone

si

dilegu.
la

re,

vedendo lennariello con


tagliata,
si

coltella

in

mano, e

la

colonna

mise a gridare: Ol, quattro dei miei!


!

Ol, gente, aiuto aiuto

che

il

traditore di

mio
gli

fratello

ve-

nuto a uccidermi!. Alle voci, accorsero

aiutanti,

che

dormivano nell'anticamera, e

il

re

fece

legare lennariello e

chiuderlo senz'altro in carcere.

E
e,

alla mattina, tosto

che

il

Sole apri banco per liberare


giorno, radun
il

il

deposito della luce


narrato
fratello
il

ai creditori del

Consiglio;

fatto,

che s'accordava col mal animo mostrato


per fargli dispetto,
il

dal

uccidere,
fu

falcone

il

cavallo, la

sentenza

che lennariello dovesse morire. Le


il

lacrime di Luciella non furono possenti ad ammollire


del re,

cuore

che diceva:
il

Tu non mi

vuoi bene, moglie mia, giacmia.

ch stimi pi

cognato che

la vita

Tu
con

l'hai visto coi


la coltella

tuoi occhi stessi, questo cane assassino,


affilata

cosi

che tagliava un pelo nell'aria, venuto a

triturarmi:

che, se
della

non mi riparava quella colonna


vita!),

del letto (oh. colonna

mia

a quest'ora saresti vedova.


il

die ordine

che

la giustizia seguisse

suo corso.
intimare

lennariello, che

s'intese

questo decreto,

e,

per

aver

fatto

bene,

si

vide

condotto a tanto male, non sapeva

come

risolversi;

perch, se

non

parlava,

male,

e,

se

par-

232
lava, peggio; trista la

GIORNATA QUARTA
rogna e peggio
la tigna; e,

qualunque
al

cosa avesse

fatto,

sarebbe caduto dall'albero in bocca


il

lupo.

Se stava
finiva
i

zitto,

perdeva

collo

sotto

un

ferro;

se parlava,

giorni in

una

pietra. In ultimo,

dopo

varie burrasche
il

d'interiori consulte,
tello; e,

si

determin a scoprire

negozio

al fra-

poich ad ogni conto doveva morire, stimava meglio


il

chiarire

fratello

del vero e

finire

giorni suoi con titolo

d'innocente, che tenere chiusa in s


ciato dal

la verit

ed essere scac-

mondo

col

marchio

di traditore.

Fece, dunque, intendere

al re

che voleva parlargli


alla

di cosa
lui,

importante allo Stato,

e,

condotto

presenza

di

gli

espose anzitutto, in

un gran preambolo, l'amore che

gli

aveva

sempre dimostrato;
suti a Luciella per

poi, entr a discorrere degli inganni tes-

procurare soddisfazione

al desiderio di lui

e del segreto che ud dai colombi intorno al falcone, e

come,

per non diventare pietra di


stesso, senza rivelare
fratello senz'occhi.
il

marmo,

glielo port,

ma
le

al

tempo
il

segreto, lo uccise, per

non vedere

E, mentre cosi diceva, senti

gambe
il

in-

durirglisi e farglisi di

marmo. E, continuando
vista,

a dire

simile

del cavallo,
tura:

si fece,

miseramente pietra fino

alla cin-

cosa che in altro tempo avrebbe pagata a danaro con(i),

tante

e ora gliene piangeva

il

cuore. Alla fine, venendo

al fatto del

dragone, rimase tutto di pietra,


sala.

come una

statua,

in

mezzo a quella
Il

re, sbalordito,

udendo

il

discorso e assistendo a quella


il

improvvisa metamorfosi, apprese


il

proprio grande errore e

temerario giudizio che aveva fatto di

un

fratello cosi

amo-

(i)

Per intendere

la

lubrica allusione leggere, per esempio, la canzone


(vedila nella Lira, ed. di Venezia, 1664,
sei ,

del

Marino, Amori notturni


II,

parte

p. 269), al luogo: 1

Certo di sasso

e via.

IX.

IL

CORVO
un anno,
e,

233
ogni volta che
di lacrime.

revole; e ne fece lutto per pi di

ripensava all'accaduto, gli scorreva


In questo

un fiume

tempo
belli

Luciella die alla luce due

figli

maschi, che
e,

erano

pi
la

che

si

potessero vedere

al

mondo;

un

giorno che
il

regina era andata per diletto alla campagna, e


gli

padre stava coi due bambini contemplando con

occhi

lacrimosi quella statua,

memoria dell'insensatezza
fiore degli

sua, che gli

aveva

fatto

perdere

il

uomini, entr a un tratto


la

nella sala

un gran vecchione, a cui


barba copriva
il

zazzera nascondeva

le

spalle

e la

petto. Costui s'inchin al re e


la

gli disse:

Quanto pagherebbe

Corona
.

vostra, se questo bel


il

fratello
il

ridiventasse com'era prima?


.

re rispose: Tutto

mio regno

Non
di

cosa questa

riprese
si
.

il

vecchio

che voglia pree la vita


si

mio

ricchezza, perch

tratta di vita,

deve

pagare con
Rispose

altrettanta vita
il

re, tratto in

parte dall'amore che portava a lengli

nariello e in parte dal

rimorso del male che

aveva

fatto:

Credimi, messere mio, che io metterei la vita mia per la vita


sua; e, purch egli uscisse fuori da questa pietra,
terei d'esserci

mi conten-

messo dentro
la
si

io .

Senza mettere
il

vita

vostra a questo

cimento

disse
il

vecchio,
il

perch
sangue

stenta tanto a tirar su

un uomo, ba-

sterebbe

dei

bambini

vostri,

che, bagnandone

marmo,
Il

lo farebbe subito tornare

vivo .
si

re disse

a sua volta: I

figli

fanno: c' la stampa

di questi bambolotti;
fratello,

ne faremo degli

altri;

ma mi

si

ridia

un

del quale

non potr mai avere

altro pari .

E, senz'altro, fece dinanzi a quell'idolo misero di pietra sacrificare

due

agnelletti innocenti

e,

non appena ebbe


il

del loro

sangue

tinta la statua, questa divent vivente, e

re Milluc-

234
ci

GIORNATA QUARTA
riabbracci
dire.

lennariello, e fecero

tra

loro

un giubilo da

non
I

due corpicini furono messi


si

in

una cassa per


la

seppellirli

con l'onore che


pagna.
Il

doveva; quando torn


il

regina dalla cam-

re

nascose

fratello,

e disse alla moglie:


fratello tornasse

Che

cosa pagheresti, cuor mio, se mio

vivo? .

Lo pagherei

rispose
il

Luciella
figli

con
non

tutto questo

regno
re.

gli

daresti

sangue dei
la

tuoi? ,

domand

il

Coda

testo

no

replic
le

regina,

che

sarei cosi crudele

cavarmi con

mie mani
il

stesse le pupille degli occhi miei .

Oim

continu
i

re

che,

per veder vivo


il

il

fratello,

ho scannato

figli.

Ed

ecco appunto

prezzo della vita di

lennariello! .

le

mostr
si

figli

nella cassa; e Luciella, all'orrendo spet-

tacolo,

die

a gridare

come

pazza:

figli,

figli

miei,

puntelli di questa vita, o pupille di questo cuore, o fontane

del

sangue mio

Chi ha

fatto

questa macriata
di

(i)

alle finestre
la

del Sole?

Chi ha salassato, senza licenza

medico,

vena
di-

principale della vita

mia? Oim,

figli

miei, speranza

mia

strutta, luce intorbidata,

dolcezza avvelenata, gruccia perduta!


io trafitta dal dolore; voi, affo-

Voi

siete pertugiati di ferro,

gati nel

sangue,

io,

annegata nelle lacrime! Oim, che, per


avete ucciso una

dar vita a uno

zio,

mamma;

perch

io

non

posso tessere pi

la tela dei giorni

miei senza di voi, con-

trappesi belli del telaio di questa misera vita: conviene che


sfiati tici!

l'organo delle voci mie, ora che

gli si

sono

tolti

man-

figli,

figli!

Perch non
il

rispondete alla

mammarella

vostra, che

gi v'infuse

suo sangue nel corpo, e ora ve


la

lo versa dagli occhi!

Ma, poich

sventura mia mi

fa

ve-

dere seccata

la

fonte dei miei

diletti,

non voglio pi

restare

(i)

V. sopra,

p. 32, n.

i.

IX.

IL

CORVO

235

perpetua afflizione a questo mondo. Ora

me

ne vengo, sulle

orme

vostre,

figlietti

miei, a ritrovarvi!.

corse alla finestra per precipitarsi; ma, in quel


entr
il

momento

stesso, per quella finestra,

padre suo

in

una nuvola

e le disse: Fermati, Luciella! Io, con un viaggio e tre servigi,

mi sono vendicato
la figlia di casa, e

di

lennariello,

che venne a

trafu-

garmi

l'ho fatto stare per tanti mesi,


pietra;

come

dattilo di mare(i), in

una

ho punito

te del tuo cattivo

comportamento
vedere due
figli,

di esserti lasciata sviare su

una nave,

col farti

anzi due gioie, scannati dal loro padre stesso;


il

ed ho mortificato

re del

suo capriccio

di

donna gravida,

che prima l'aveva reso giudice


poi boia dei
figli.

criminale del fratel suo, e

Ma, poich

vi

ho voluto bens radere


il

ma

non gi scorticare, voglio che tutto


vi

veleno che vi ho dato


riprenderti
i

diventi pasta reale; e perci va' a


li

tuoi figli

e miei nipoti, che


cio, abbracciami,

troverai pi belli di prima; e tu, Millucti

che

accetto
offese,

per genero e per

figlio,

perdono a

lennariello

le

avendo

egli

fatto quel

che

ha

fatto

per servire un fratello tanto meritevole.

Ci

detto,

vennero

bambini, che

il

nonno non

si

sazi

di abbracciare e baciare; e in quella allegrezza entr per terzo

lennariello, che, essendo passato per la trafila, ora se


in

n'andava

brodo

di

maccheroni, sebbene, con

tutti

premi che prov


i

poi nella sua vita,


passati,

non mai

gli

uscirono di mente

pericoli

pensando

all'errore del fratello e a

quanto convenga

all'uomo essere accorto per non cadere in un fosso, perch

ogni

umano

giudizio

falso e storto.

(i)

il

pholas dactilus.

TRATTENIMENTO DECIMO

LA SUPERBIA PUNITA

Il

re di Belpaese, disprezzato

da

Cinziella, figlia del re di

Solcolungo,

dopo aver preso


la fa

di

lei

gran vendetta riducendola a mali termini,

sua moglie.

Se Ciommetella non faceva presto comparire


gettar

il

mago

acqua sul fuoco,

gli spiriti

degli ascoltatori, assottigliati

per

la piet di Luciella,

stavano gi per venir meno.


si

Ma
e,

nella
cal-

consolazione della povera giovane mati


(i)

consolarono

tutti,

gli

animi, aspettarono che lacova entrasse nello steccato

con
al

la livrea del
(2)

suo racconto,

la

quale corse con la lancia

facchino

del loro desiderio:


la tira, la

Chi troppo

spezza, e chi cerca guai, gli


cigli delle

vengono

guai e malanni; quando uno va pei


casca, la colpa sua:
la quale,

montagne, se

come

udirete nel caso


gli scettri,

di

una donna,
alle stretil

sprezzando

le

corone e

venne

tezze di
infligge,

una

stalla;

quantunque
gli

le rotture di testa,

che

Cielo

portino sempre

empiastri, perch

esso non d
(3).

mai castigo senza carezze, n bastonature senza pane

C'era una volta un re di Solcolungo, che aveva una

figlia

chiamata Cinziella, bella come una Luna,


Testo: sossecate: spagn. sosegar. dal giuoco del facchino,

ma

nella quale ogni

(i)

(2) Trasl. (3)

Testo:

n mazze senza panelle


i

Allusione

al

proverbio:
i

Mazze
.

e panelle fanno

figli

belli; panelle

senza mazza fanno

figli

pazzi

X.

LA SUPERBIA PUNITA
da una libbra

237
di superbia.

dramma

di bellezza era contrappcsata

Cosicch, non facendo essa stima di persona alcuna, non era


possibile che
il

povero padre,

il

quale desiderava collocarla,


fosse,

trovasse marito, per

buono e grande che

che riuscisse

lei

di soddisfazione.
tanti principi,

Fra
ci fu
il

che erano concorsi a chiederla in moglie,


il

re di Belpaese,

quale non tralasci cosa alcuna per

cattivarsi

l'amore

di Cinziella.

Ma non
gli
le

tanto esso le faceva

buon peso

di servit,

quanto quella

ricambiava cattiva mi-

sura di premio; non tanto esso


affetti,

dava buon mercato dei suoi


di

quanto quella

gli

mostrava carestia

volont;

non

tanto le era liberale dell'anima, quanto quella gli era scarsa


di cuore.

non c"era giorno che


fra tanti

il

pover'uomo non

le di-

cesse:
al

Quando, o crudele,

cocomeri

di speranze, che,

coglierli,

mi sono

riusciti

zucche, ne trover uno rosso?


le

Quando, o cagna
delt, e io potr

spietata,

cesseranno

tempeste della tua crudirizzare


il

con vento prospero

timone dei
scalate di

disegni miei al tuo bel porto?

Quando, dopo tante

scongiuri e di preghiere, pianter lo stendardo dei

desideri

miei sulle

mura

di cotesta bella fortezza?.

Ma
i

erano

tutte

parole
le

gettate al
pietre,

vento, che essa aveva

bensi occhi da traforare lamenti di chi,


ferito,

ma non

orecchi da sentire

gemeva; e anzi

gli

mostrava cattiva

cra,

come

se le avesse tagliato la vigna. Talch, infine, quel


le

povero signore, sperimentate


lui

crudelt di Cinziella, che di


fa

faceva quel conto che

altri

di

un

qualsiasi furfante, si
di disdegno, disse:

ritir

con

le

sue entrate
fuori
(^)

(", e,

con impeto

Mi chiamo

del fuoco

d'amore! Ma, insieme, fece

(i)

Per questa

frase,

v.

sopra,

I,

270, n.

i,

(2)

Anche per questa

frase, v. sopra, I,

io, n.

238

GIORNATA QUARTA
di vendicarsi di quella

giuramento
che
si

mora

saracina, in

tal

maniera

dovesse chiamar pentita di averlo tanto tormentato.

Partito

da quel paese, e

fattosi

crescere la barba e datosi


vil-

una

tinta alla faccia,

a capo di alcuni mesi, travestito da


di

lano, torn a Solcolungo, dove, a forza


di entrare per giardiniere del re.

mance, procur
in quel giardino

Lavorando

come meglio
ziella

poteva, un giorno stese sotto la finestra di Cintutta

una roba all'imperiale,

puntali d'oro e diamanti.

Le damigelle, che
che mand a dire
rispose che

la videro, subito la
al giardiniere

additarono

alla

padrona,

se la volesse vendere; e colui


rivenditore di spoglie
lo

non era n mercante n

vecchie,

ma

che l'avrebbe donata a patto che

avessero

la-

sciato dormire

una notte

nella sala della principessa.


Cinziella:

Le damigelle dissero a

Che

ci

perdi, signora,

a dare questa soddisfazione

al giardiniere, .

beccarti

quella

roba, che cosa da regina?

Cinziella, fattasi
(')

uncinare
content,

dall'amo che pesca ben


e
si

altri

pesci

che questi,

si

prese

la

roba e

gli die

quel gusto.

La mattina dopo,
della

fu vista nello stesso

luogo stesa un gonna


la

medesima

fattura; e,

ripetendo Cinziella
la richiesta di

domanda, ne

ebbe uguale risposta, con

dormire nell'anticasi

mera

della principessa.

anche questa volta Cinziella


il

fece

tirare dalla gola e, per acquistare

vestito,

accord

al

giardi-

niere quel contento.

La
focile

terza mattina,
sull'esca dei

prima che
campi,
il

il

Sole venisse a battere

il

giardiniere mise in mostra nel

medesimo luogo un

bellissimo giubbone, che

andava

di

con-

certo col vestito; e Cinziella, mirandolo, disse:

Se non ho

(i)

Testo: bavose: che corrisponderebbe al blennias degli zoo-

logi.

X.

LA SUPERBIA PUNITA
.

239
il

quel giubbone,
diniere, e gli

non sar contenta


parl:

Chiam, dunque,

giar-

necessario,

brav'uomo mio, che

tu

mi venda quei giubbone che ho veduto ne! giardino, e prenditi


il

mio cuore

Il

giardiniere rispose: Io
il

non

lo

vendo; ma, se vi piace,

vi

do

giubbone, e anche una catena di diamanti, e voi

fatemi dormire una notte nella camera vostra .

Ora hai del villano

esclam Cinziella. Non

ti

basta

che hai dormito nella

sala,

e poi nell'anticamera: ora vuoi la

camera!
Il

poco a poco, vorrai dormire nel mio letto!.

giardiniere disse: Signora mia, io


la

mi tengo

il

giubbone

mio, e voi
fare,

camera vostra: se avete voglia


la strada. Io

di stringere l'af-

conoscete
si

mi contento

di
e,

dormire per

terra,

cosa che non

negherebbe a un turco;

se vedeste la ca-

tena che voglio darvi, forse mi dareste un peso pi giusto .


Cinziella, in

parte

tirata

dall'interesse, in parte sospinta


i

dalle damigelle,

che aiutavano

cani alla salita,

si lasci

an-

dare a contentarlo. E, venuta

la sera,

quando

la Notte,

come

corsaro, getta l'acqua di concia sulla pelle del Cielo, onde essa

diventa nera,

il

giardiniere, presi la catena e


e,

il

giubbone, and

all'appartamento della principessa,


fu introdotto nella camera.

consegnatele queste cose,

La principessa
sta' cost,

lo spinse in

un angolo e

gli

disse:

Ora

fermo, e non muoverti, per quanto stimi per terra una linea
col
e,

la grazia

mia

e, tirata

carbone, soggiunse:
fatto

Se questa passi, la vita ci lasci ;

attorniare

della

tenda

il

suo

letto,
il

si

coric.

Tosto che
dogli
lato,
i

giardiniere-re la senti addormentata, sembrani

tempo
e,

di lavorare
la

campi dell'amore,
si

le

si

coric

prima che

padrona del luogo

svegliasse, colse
le

frutti

amorosi. Costei, destatasi e visto quel che

era ac-

40

GIORNATA QUARTA
e,

caduto, non volle, per rimediare a un male, farne due,

per

rovinare
e,

il

giardiniere,

mandare
si

in rovina lo stesso giardino;

traendo di necessit vizio,

content del disordine e senti


le

piacere dell'errore; ed essa, che aveva tenuto a disdegno


teste coronate,

non

si

trattenne dall' assoggettarsi a


il

un

villan-

zone, che tale pareva

re e per tale essa lo stimava.


e,

La pratica continu e Cinziella venne incinta;


di

vedendosi
al

giorno in giorno ingrossare


si

la

persona, disse
il

giardi-

niere che

conosceva rovinata, se
tra

padre s'accorgeva della


a

cosa, e perci pensassero

loro

rimediare

al

pericolo.
al

Quegli rispose che non sapeva trovare altro rimedio

male

che avevano

fatto

che di andarsene insieme, e l'avrebbe conla

dotta in casa di

una sua antica padrona,

quale

le

avrebbe

dato qualche comodit nel prossimo parto.


a mal partito, tirata dal peccato
gettava
di

Cinziella, ridotta
la

della

sua superbia, che

scoglio in scoglio,

si lasci

persuadere da quelle
si

parole, e,

abbandonando

la

propria casa,

commise

all'ar-

bitrio della fortuna.

Dopo lungo cammino,


perch voleva
cosi,

colui

la

condusse a casa sua,


la

e,

informata di ogni cosa sua madre,


farsi

preg che dissimulasse,


boria
di Cinziella.

pagare

la

passata

adattatala in

una

stalluccia del palazzo, la tenne in vita


il

miserabile,

mandandole

pane con

la balestra.

un giorno

che

le

serve di casa facevano forno, egli disse loro che chiaaiutarle, e nel

massero Cinziella ad

tempo

stesso insinu

Cinziella di trafugare qualche

ciambelletta

per rimedio

alla

loro fame.

La sventurata
fittando

Cinziella, nel cavare

il

pane dal forno, pro-

dell'istante, tra

occhi e occhi, sottrasse una ciam-

belletta e se la
re, vestito

nascose in tasca.

Ma

in

questo sopravvenne
Chi vi

il

da quel che era, e disse

alle ragazze:

ha

X.

LA SUPERBIA PUNITA

241

dato

il

permesso

di

far entrare cotesta

donnicciuola guitta in
le

casa?

Non

vedete

alla faccia,
il

che una ladra? Mettetele

mani
le

in tasca e troverete
il

delitto in

genere. E, frugatala,
il

trovarono

pane

nella tasca, e le lavarono


il

capo

di

buona

maniera, che tutto


11

giorno dur

la baia e la beffa.
la

re riprese

il

suo travestimento, and da Cinziella e


triste

trov scornata e

per l'affronto ricevuto.

Ma

egli le disse
la

che non

si

desse tanta pena per quel caso, giacch

neces-

sit tiranna degli

uomini,

e,

come

disse quel poeta toscano:

...

'1

poverel digiuno

viene ad atto talor che in miglior stato


avria in altrui biasmato
(i).

E, se

la

fame caccia

il

lupo dal bosco, essa doveva tenersi

scusata se faceva quello che

non starebbe bene ad

altri.

le

insinu di salire ora dove


e,

la

signora stava tagliando certe

tele,

offrendosi di aiutarla, vedesse di agguantarne qualche pezzo,


le

perch, essendo prossima a partorire,


Cinziella,

bisognava
il

tutto.

che non sapeva contrariare

marito (che per


e,

tale lo teneva), sali

all'appartamento della regina


lenzoletti,
lo

frammi-

schiatasi alle damigelle a tagliare

fasce, berrettini
le vesti.

e dande, trafug

un pannolino e se un
il

mise sotto

Ma,

tornato

il

re e fatto

altro

rimprovero come gi pel pane, ne ebbe un'altra sciroppata


.sotto

e trovatole addosso
giurie,
e,

furto,

d' in-

come

se

le

avessero scoperto

un intero bucato;

rossa di vergogna, se ne ridiscese alla staila.

Anche questa
afflitta

volta
la

il

re

ricomparve

travestito; e,
lasciarsi

vedendola

e disperata,

confort a non

vincere dalla

(i)

Petrarca,
ornai
.

parte

I,

cauz.

XVI:

Ben mi credea passar mio

tempo

G. B. BaSILK, Fentamerone

w.

i6

242
malinconia, che tutte

GIORNATA QUARTA
le

cose del

mondo sono

opinione, e perci

vedesse ancora se potesse guadagnarsi qualche cosetta, perch

ormai

il

parto era imminente.

In questo momento, c'


il

pio-

vuta una bella occasione. La padrona ha fidanzato

figlio

con una signora

forestiera,

alla

quale vuol mandare un dono

di vesti di broccato e di tela d'oro, belle e fatte, e la fidanzata

giusto della tua statura. Sar facile dunque, che


nelle
lo

ti

venga
che

mani qualche

bel ritaglio, e tu mettilo in corbona('),


la

vendiamo e campiamo
Cinziella,

vita .

eseguendo
di

il

comando

del marito, s'era chiuso in


il

petto un
fatto
il

buon palmo

broccato riccio, quando capit

re, e,

un gran

fracasso, ordin di frugare Cinziella; e, trovato

furto, la scacci

con vergogna grande.


di

Ma

poi, travestitosi

da giardiniere, scese

corsa a consolarla; che, se con una


l'altra,

mano

la

pungeva, con
di ungerla,

per l'amore che

le

portava,

si

compiaceva

per non spingerla alla disperazione.


pel cruccio
di quello

La sciagurata

Cinziella,

che

le

era

accaduto, e che teneva castigo del Cielo a causa dell'arroganza


e superbia gi mostrata, sicch essa, che trattava da stracci pei
piedi tanti principi e re, ora era trattata da vile donnicciuola, e

avendo avuto
il

il

cuore duro

ai

consigli del padre, ora faceva


la collera,

viso rosso alle baiate delle serve; per


della

dico,

che

prov

vergogna

inflittale,

si

senti venire
figliuolo,

le

doglie.
fece
salire

La regina, subito avvisatane


nel suo appartamento,
e,

dal

la

mostrando compassione dello

stato

suo,

la

mise in un

letto tutto

ricamato d'oro e di perle, in

una stanza tappezzata di tela d'oro: cosa che fece strasecolare


Cinziella,

vedendosi trasportata da una

stalla a

una camera

(i) Testo:

miettelo

ncorbona

cio propr. nella borsa in cui

si

raccolgono nei templi

le ofiferle.

X.

LA SUPERBIA PUNITA
letto tanto prezioso, e

243

reale, dal letame a

un

non sapeva renfu attorno

dersi conto di quel clie le era accaduto.

le

gente

premurosa, e
al

le

dettero brodi e biscottini per ingagliardirla


volle
il

partorire.

Ma, come
due

Cielo, senza troppo affanno,

die alla luce

bellissimi maschiotti,

che erano

la

pi vaga

cosa che

si

potesse vedere.
partorito,
il

Non appena ebbe

la

che entr

il

re,

il

quale disse:

dove se

n'

andato

vostro giudizio, che avete messo


letto cotesto

gualdrappa all'asino?

per una brutta don-

naccola? Presto, fatela saltare a colpi di randello da questo


luogo, e spandete suffumigi di rosmarino nella camera, per-

ch se ne tolga

il

puzzo

La regina
il

allora disse:

Non

pi,

figlio

mio; basta, basta


!

tormento che hai dato a questa povera giovane

Dovresti

ora esser sazio di averla ridotta, con tanti strazi, a berretto


di notte; e, se
ti

non ancora

sei soddisfatto del


il

disprezzo che

mostr

alla corte sua,

a pagarti
ti

debito

valgano queste
i

due

belle gioie,
la

che essa

dona. E

fece portare

bambini,

ch'erano
Il

pi bella cosa del

mondo.
si

re, al

vedere quei due pacioncelli,


si

senti tutto intene-

rire;

e,

abbracciata Cinziella,
le

die a conoscere per quel che


fatto

era, dicendole che quanto

aveva

era stato per sdegno

di veder trattato a quel

modo un

re pari suo,

ma
la

che da ora

in poi l'avrebbe tenuta in palma di mano.


l'altro canto,

E
e

regina, dalle

abbracciandola

come nuora

figlia,
figli

dette,

insieme coi
le

re, cosi

buona mancia per quei


di

maschi, che

parve assai pi dolce questo istante


i

consolazione che
in

tutti

passati affanni:
di tener

bench sempre, d'allora


le

poi,

ebbe

in

mente

basse

vele,

ricordando

come

figlia della

superbia

la

rovina.

Venuti a termine
nata,
il

racconti dati per estaglio a questa gior-

principe, per

isgombrare dagli animi alcun po'

di

malinconia prodotto dai travagli che Cinziella aveva

sofferti,

chiam Ciccantuono e Narduccio

affinch facessero la

parte

loro; ed essi, con berrettoni piatti e cosciali neri forniti di gi-

nocchiere, e con giubbe frappate di merletti, uscirono da

uno

dei compartimenti del giardino a recitare l'egloga che segue.

LA VOLPARA
Egloga.
Narduccio
e

(I)

Ciccantuono.

Nard.
Cicc.

Prestami una patacca, Ciccantuono,


e prendi questo pegno.

Aff, te la darei di

buona

voglia,

se non avessi appunto stamattina


fatto

una buona spesa.

Nard.

Sono, dunque, venuto

(i)

La

volpara
si

quell'uncino
le

a uno o a pi rebbi adunchi e

aguzzi, col quale

ripescano

secchie cadute nel pozzo.


il

Mi par conita-

veniente serbare
lianizzato.

in

quest'egloga

termine

dialettale,

leggermente

LA VOLPARA
in cattivo

45

momento:

ma, dimmi, che hai comprato?


Cicc.

Ebbi l'occasione d'acquistare

una volpara nuova,


che, se chiesto n'avessero millanta
scudi,
li

io

avrei sborsati.

Naro.

Sei corrivo a sborsare!

Una Non
Cicc.

volpara,
oltre

al pi,

che pu valere?
'5
te n'intendi!

due

carlini.

Proprio, Narduccio mio, non

Lascia andare, ben mio!

Non
Nard.
Cicc.

sai

che

le

volpare or costan caro?


ora
il

Gi tiravan

le secchie,
il

danaro.
capisco,

Come
Sei un

c'entra

danaro?

Non

20

asino, e perdonami!
al

Mi sembri uno che adesso venga

mondo.

Non

sai

che non c'

che non abbia tra

uomo mano una


e sguazza,

volpara?
25

Con questa campa


con questa

con questa sfoggia e ingrassa,


si

procura buona paglia,


la stalla di maiali;
al

con questa empie

con questa splende e stiva fino con questa, insomma, domina

fondo,

sul

mondo.

Nard.

Mi

fai

strabiliare e stupefare!

Scommetto che

tu vuoi

farmi vedere la luna nel pozzo,

dandomi ad ingoiar per cosa


Appunto, questa

rara,

lapis philosophorum, la volpara!

35

Cicc.

lapis,

uscito dal lambicco dell'ingegno.

Nard.

Fratello, di sapere ch'io

ho mangiato

pane
n di

di molti forni
tal

cosa ho udito mai parlare:

40

246

GIORNATA QUARTA
dunque, o son tondo, o tu mi vuoi burlare.

Cicc.

Apri
che

gli

orecchi e impara

sei

un semplicione.
la

Poche genti

chiamano volpara,
45

nome che a primo aspetto muove qualche sospetto.


I

begli ingegni le han

mutato

il

nome

perch, nell'et nostra,

non
Il

il

volto, la

maschera

si

mostra.
50

principe suol darle

titolo di
il

presente o donativo;

giudice le ha posto
di lieto

nome

gaggio e ammollimento,

d' ungimenti di
la dice lo

mano

o di boccone

scrivano
il

55

diritto, e lo sa

Cielo eh' pi storto

che non l'anca d'un cane;


il

mercante, guadagno,

l'artigiano,
il

faccenda,
60
o ingegno,

bottegaio, industria,

il

mariuol, colpo di

mano

(2),

lo sbirro,
il

toccatiglia (0,

bandito,

composta

il

soldato, riscatto

(3)

lo spione,
la puttana,
il

quel fatto,

65

regalo

ruffiano,

abbusco

o paraguanto

(4);

(i) (2)

Da qualche
I

vocabolo spagnuolo d'uso volgare: tocadilla.


si

banditi o briganti
le

componevano
(I,

talvolta, cio transige-

vano, con
(3)

autorit governative, ricevendo pensioni o uffici militari,


si

Come

spiegato di sopra
si

143, n. 5),

si

tratta dei ricatti

riscatti, che
(4)

facevano dei
,

biglietti

di alloggiamenti.
!'

Paraguantes

spagn.; e mezzo spagnuolo anche

abbusco,

guadagno, da buscar.

LA VOLPARA
il

247
;

sensale la chiama beveraggio


il

percaccio,
il

commissario;
di

corsaro

le

d nome

spoglie,

70

il

capitano di quieto vivere,

che, se non quiete, se invece esso fracasso ed rovina, se con la sua volpara

porta guerra assai pi che con la spada,


ci
il

75

vuol pazienza. Infine,


poeta, anche
lui,

che spoglia di concetti e di parole


quanti
libri

gli

vengono

alle

mani
('),

di Virgilio, d'Orazio e di
le

Nasone

80

ha messo nome d' imitazione !


t'intendo, e

(2).

Naro.

Or

mi

piaci.

Cicc.

Tu uomo malizioso, ingegno fino! Tu vuoi dire che tirano d'uncino? Ed uncino e volpara
sei davvero accorto,

85

sono una stessa cosa;

ed uomo non
che non
la

c' al

mondo
alla cintura,

porti

sempre

chi d'oro, chi d'argento e chi di rame, chi di ferro o di legno,

90

(i) Testo:

Aratro

(sic! Orazio),

e Avidio (Ovidio), e
).

Masaro

(?)

Nasone
(2)

(forse in luogo di

Marone

Sulla questione dell'imitazione e plagio letterario nel seicento


la lettera del

Ha leggere
V.
il

Marino

all'Achillini,

che precede

la

Satnpogna:

Ckoce, Saggi
al

sulla lelleralura Hai. del seicenlo"^, pp. 406-8.

Appunto

Marino diceva che aveva imparato a


suo proposito ci che ritrovava

leggere sempre col rampino,

tirando

al

suo proposito, notandolo nel


:
il

suo zimbaldone e servendosene a suo tempo


d'altra

che non toglie che,

parie, protestasse contro


i

certe

arpiette dalle

ugna uncinute,

che vanno rapinando

concetti altrui

{^Sampogna, Venezia, 1621).

248

GIORNATA QUARTA
variando qualit con
le

persone.

Per esempio, quel grande (0

che conquistava

il

mondo,
95

una d'oro n'avea


di brillanti e carbonchi costellata,

con cui pescava

regni;

e quell'altro che fece


salar tante verrinie
la
(2)

a Cicerone,

portava d'argento.
gli altri via via,

100

Cosi

conforme

al lor giudizio

ed

al potere,

come possono,

l'hanno.

Certo che ognuno pesca,

che a questo pescare


si

105

pone vario

il

nome:

arrappare, accaffare, affardellare,


alleggerire, alzare e sgraffignare,

sgombrare ed accimare,
soffiare, strappar via e razzolare,

110

giuntare, ripulire ed acchiappare,

rapineggiare, far colpi di mano,


far sacco

ed andar

via,

far netta la paletta,


al

cembalo suonare e
il

far priore,

115

scuotere
e menare

borsellino
il

rampino!

Naro.

Tutto questo puoi dire

con una frase

sola:

giocare a trionfetto,

120

rubare e assassinare.

(i)

Alessandro.
Verrinia

(2)
le

in

nap.

il

seno della scrofa; e qui in bisticcio con

Verrine

di Cicerone.

LA VOLPARA
Cicc.

249

Hai cattiva memoria!


che
il

Io t'ho gi detto

mondo
al

al

giorno d'oggi
titolo di

suol dare

male

bene;
125

n per

altro l'ingegno s'assottiglia


in

che per mettere

opra

la

volpara,

che

tira e

non

si

vede,
si

che attacca e non che


afferra e

sente,
tocca,

non

si

e sempre piglia e accaffa, e


tira

130

e forte aggraffa.

Nard.

Fratello, senza invidia,

perch ogni cosa poi trascina l'acqua,


e non avvien che mai

goda del malo acquisto

il

terzo erede.
in fondo;

135

La gente
si

ricca a
le

fondo cade

vedono

case rovinate,

le famiglie distrutte e impoverite,

errabonde, smarrite;
e disse bene quel mastro di scuola:

140
.

Tutto
oggi

lo
i

scabro porta via


collitorti (0

la

mola

Cicc.

Ed
son

colli

d'impiccati per la fame!

Chi non ruba, va privo d'ogni roba;


chi

non

piglia,

rimane senza paglia;

145

chi

non busca, ha l'ambascia;


non pesca mai, non
(^)

e chi

fa

mai Pasqua.

Nard.

Ma

poi ha tre cavalli

e talvolta una forca di tre cotte, e posto per sentenza

150

sopra un asino,

come un babbione;
di carta;

ha dalla corte una mitria

(i)

Cio

la

gente pia.

(2) Cavalli ,

moneta

e,

per bisticcio, battiture.

250
condotto al

GIORNATA QUARTA
Mercato
() e vi

marcato;

per non soffrire fame, resta infame; perso ha l'onore per sguazzare un'ora;
per un poco di rame
si
il

155

procurato

un remo;

sugo della salsa


fatto

si

acqua

di

mare;
160

per aggraffar con l'unghie,


si

procura

tre legni

(^);

le

penne

gli

diventano pennone

(3).

Che serve

tanto giallo e tanto argento,

luccicori, tintinni,

e tondini e frittelle,
se,

165

per prove ed esemp tanti e tanti,


chi pi

non contento mai


Cicc.

ha contanti?

Se tu provi una volta

la volpara,

non

te

ne stacchi

pi,

che come rogna,

che, quanto gratti pi, pi

prurito.

170

Volgi uno sguardo intorno


all'arti
tutti,

ed

agli uffici

di

questo mondo;

e vedrai che ciascuno quella adopra.

Cominciamo,
che ha, sotto

anzitutto,

da colui

175

s, vassalli.
affisa

Ecco: sbircia ed

un contadino,
(4);

che

s'

posto nel grasso

(i)

Vedi

I,

S7, n. 4.
si

Era come
le
si

la

piazza di Grve di Napoli,

il

luogo

in cui per solito

facevano

esecuzioni capitali. Nella pianta di Na-

poli del 1566 del Lafrry vi

vedono disegnati
l'ogna

il

palco e ia forca.

(2) Bisticcio, nell'originiile, tra (3)

il

legno.
i

Lo stendardo,
85, n. 3.

col

quale

si

accompagnavano
puorce
.

condannati a morte:

vedi

Ij

(4)

Testo: che s'ha nchiuso

li

LA VOLPARA
e or gli chiede in prestanza tanti scudi,

251

che poi restituir quel


passole or
gli

di

che piove

180

e fichi

secchi
l'orzo

(>);

domanda

con promesse

di renderlo al raccolto;

or

g'

ingiunge che l'asino od


il

buoi
185

gl'invii, per

servizio della corte;

e tanto durer questa molestia,

tanto continuer lo stretto assedio,

che quello, finalmente,


perduta
la

pazienza,
il

o colmer
o
gli

baglivo d'improperi,

190

dar di

mano. Sciagurato!

Meglio non fosse nato!

il

preso ed gettato in una fossa,


il

carco

piede di ceppi,

ferro

intomo
alle

al

collo,

I95

le

manette

mani,
posta sul cancello:
Ol, lontano!

con una

scritta

Bando

comandamento!

Chi a costui parla, pena

sei ducati .

Insomma, pu

gridare,

200

mandar memoriali, tentar vie;


non mai
se,

liberato,

dopo tanto aceto


205
(^);

di strazi e di tormenti
di

spese e di travagli,
fa

non
e,

qualche composta
poi d'un lupo

quando
la

ha

brama vorace

fatta sazia.

(1) (2)

V. sopra Giornata
Nei sensi e coi

I,

nov.

4,

p. 61.
I,

bisticci gi chiariti,

5,

11.

i;

II,

246, n.

2.

252
ha ricevuto,

GIORNATA QUARTA
dicesi, la grazia!
(').

Nard.

Maledetta volpara!

210
svergognata,

Mal abbia dove


ClCC.
fosti

la fucina

battuta e temperata!

poich dal bue grande


s'ari
il

apprende come
vedi che
il

vitelletto,

capitano e mastrodatti

215

indtta testimoni, imbroglia carte,

d a nolo
nasconde

le

sentenze,

le scritture,

carcera senza causa, e la volpara esercita per sette; e

220

quando

saria

degno

d'essere strascinato, prende

nome
giudizio.

d'uom
Nard.

pratico all'uffizio,

d'uomo che ben procaccia ed ha

questo pi che vero,

225

e se un

uomo dabbene
come

se ne torna

netto di borsa

netto di coscienza,

cosa che m' accaduto


forse dodici volte
(2),

ognuno
stia,

dice,

230

che meglio che che non

si

l'arte sua,
(3),

e che peccato a dargli le patenti


eh'

un gran buon uomo e non sa

far proventi!

(i) II Basile,

come

si

detto nella prefazione, era stato esso stesso

pi volte (qui dice: circa dodici ) governatore baronale nei feudi del

regno di Napoli, e sapeva per esperienza che


descrive qui e nel sguito, erano frequenti.
(2)

casi,

come

questi

che

Chiara allusione

al

suo personale comportamento

nell'uffizio

di

governatore feudale.
(3)

Le

i)atenti di

governatore e capitano.

LA VOLPARA
Cicc.
Il

253
235

medico, se
lunga
il

tristo,

tira alla

male,

e se l'intende con lo speziale.

S' buono, pure mostra

che

fra tante ricette

conosce quel segreto

240

quando

ti

stende

la

mano
e'

di drieto (O.

Nard.

Di

tal

volpara non

da dir male,

eh'

modesta e onorata;

e di premio fatale
il

nome

le

puoi dare:
ti

245
fa cacare!

paghi di dietro chi


Cicc.
Il

mercante non perde


il

nella folla
ti

berretto:

d roba
con

stantia,
la colla
il

teletta

250

per accrescere

peso;

giura, scongiura, afferma

quel che fracido, fresco,


quel eh' logoro, nuovo, e con belle parole e
t'ingarbuglia e
ti

tristi fatti

255

mostra

bianco per nero, sicch sempre trovi


in quella
e,

mercanzia qualche magagna;


ei la

quando

misura,

con un gesto elegante


ti

260
sia

stira

il

drappo perch

mancante.

Nard.

Perci
torce,

il

Ciel giusto spesso


la faccia,

sdegnato da costor

e per

un

fallo

prdono

la caccia.

(i)

Modo

dignitoso di prendere
il

la

mercede

della visita medica, senza

aver

l'aria di ricevere

pagamento

al pari di qualsiasi

venditore di merci

di lavoro.

254
Cicc.

GIORNATA QUARTA
Ti vende
il

macellaio

265

caprone duro, vecchio ed ammorbato

come

fine castrato,

bufalo per giovenca,


e lo cosparge tutto

d'oro brattino e

fiori,

270

perch
ti

ti

faccia gola;

l'osso per polpa, contro assisa,

e sempre,

pi che

il

rotolo, la giunta.
ti

Dal suo pesare poi, chi

difende?
275

Gioca

di dita e la bilancia scende.


si

Nard.
Cicc.

pensarvi,

gonfiano

polmoni!

Perci, alla festa,

sembrano baroni.
l'olio

Anche

chi

vende

ha questo

vizio,

e per mostrarti che tei e che raggiunge


il

versa a colmo,

segno,
il

280

calca in dentro, nel fondo,

misurino

e l'alza tanto che gli fa la gobba.

Mischia sempre

la

semmola con

l'olio,

ch'abbia corpo e colore;


e tu una schiuma d'oro
vedi, e riempi tutto

285
bell'orciuolo;

un

ma
anzi

poi trovi

una

feccia,
la

un miscuglio d'acqua con

morchia,

che, posto alla lucerna poverella,

geme, scoreggia,

strazia le budella!

290

Nard.

Non

e'

palmo

di netto,

ogni bene passato:

mondo
Cicc.
Il

corrotto, e

come

sei

mutato?

tavernaio ha

le caraffe scarse,

traffica tutta
e,

notte

295

se trova la botte
in acido

che

ed

in

muffa se n' andata,

le fa di

bianco d'uovo una stoppata.

LA VOLPARA

255

Ma, soprattutto,
il

taglia

vino buono col vino cattivo,


asprino
(0,

300

fa dell'aceto

anzi dell'acqua vino, e con le dita copre la cannella


della caraffa e illude la tua vista,
si

che non vedi


ci

la

misura

trista.

305

Naro.

Povero chi
che
10
ci

capita!

vuol con costoro


di ferro e
il

stomaco
sarto,

sacco d'oro!
(2),

Cicc.

11

come

suol, fa la bandiera

e ad ogni taglio vede se c' taglio;


il

310

filo
il

mette in luogo della seta;


conduci a comprare,
in petto
(3),

se

appunta l'ago
ti

fa far largo patto


al

e ritorna

mercante per
il

il

fatto .

3^5

Ma
e
ti

questo

minor male:
t*

che nel conto


fa

imbroglia,

maledire quell'istante
di vestir galante.
gli

che avesti voglia

Nard.

Oh

beati,

oh

felici

animali,

320

che possono andar nudi


a boschi, a piani, a
valli

ed a pendici,

n debbono
Cicc.

soffrir tali

nemici!

Vedi
Se
di
ti

rivenditori alla

Giudecca

viene capriccio

325

vendere qualcosa,

trovi l

una combriccola

(i)

L'asprino di Aversa ricordato in un noto luogo del Bacco in


del Redi (v.
dire,

Toscana
(2) (3)

ni

sgg., e note relative).


in italiano,

Che vuol

anche
al

rubare sul panno

.
il

Per far conoscere

venditore del panno che esso

sarto.

256

GIORNATA QUARTA
ben
Se
salda,
vi

che

t'afferra

per

la gola.

compri un

vestito,
si

lo indossi

appena e subito

straccia,

330

e dura da Natale a Santo Stefano; e con danno e con scorno


vai

da lindo

e pezzente in sol giorno.


tasti?

Ma

perch vo toccando questi


di carta ci

Una risma
l'arti

vorrebbe

335

a dire tutte quante

che fanno onore

alla volpara;

e quanti, ch'eran miseri e stentati, per


lei

son ricchi e grassi diventati.


340

Nard.

Ordigno maledetto,
veleno dell'onore,
nel qual

sempre

si

vede

scura la verit, nera la fede!


Cicc.
Di' quel che vuoi,

ma ognuno
il

se ne serve;

e per

me

son contento

345

d'aver oggi comprato

fornimento

(i).

Nard.

Meglio se

ti

venisse l'anticore!
in

Se adoperi l'uncino

questo mondo,

tu, dall'uncino, sei tirato al

fondo!

349

Non

si

potrebbe dire se della bella gelatina di questa gioril

nata piacesse pi

capo o

la

coda, perch, se l'uno fu sail

porito, l'altra scese nelle midolla dell'ossa; e tanto fu

gusto

che

il

principe ne prov, che, per mostrarsi cortese e liberale


il

veramente da signore, chiam


si

guardaroba e ordin che


cappello vecchio, che fu

desse

ai

recitanti

una fodera

di

(i)

Erroneamente nel

testo:

Io
:

mora strangolato co na funa,

Si

per tutto oie non


risulta

me

ne compro una

giacch dai primi versi dell'egloga

che l'aveva gi comprata.

LA VOLPARA
gi di SUO nonno.
fretta all'altro

257
stato

poich

il

Sole era
ai

chiamato in

polo per dar soccorso


tutti
si

suoi possedimenti oc-

cupati dalle

Ombre,

levarono da sedere e presero cia-

scuno
la

la strada del

proprio pagliaio, con l'intesa di tornare


al

mattina dopo col medesimo fine

medesimo luogo.

FINE DELLA GIORNATA QUARTA.

G. B. Basile, Penlamerone

11.

GIORNATA QUINTA

Gi

gli

uccelli riferivano all'ambasciatore del Sole tutti gli


le

imbrogli e
il

trappolerie che s'erano fatte nella notte, e la principessa Lucia


si

quando
di

principe
al

Taddeo
luogo

recarono
si

buon

mattino

solito,

dove

alla

chiamata

trovarono nove
il

soltanto, invece delle dieci

donne.

Domand

principe perdetto che

ch non vedesse

tra le

intervenute lacova, e
(alla

gli fu

aveva una flussione

di testa

sua salute!); onde egli cosupplirla.

mand che

si

cercasse un'altra

donna per

E, per
di

non andare troppo lontano, chiamarono Zoza, che abitava


fronte al palazzo reale, la quale fu ricevuta da

Taddeo con

grandi complimenti, cosi per l'obbligo che


l'inclinazione e l'affetto che per
lei

le

aveva,

come per

sentiva.

Essa, con

le altre,

s'intrattennero nel giardino, cogliendo chi

nepitella fiorita, chi spigo, chi ruta a cinque foglie, e chi

una

cosa e chi un'altra; e


se dovesse recitare

ci

fu chi si tess

una ghirlanda, come


('):

una

farsa, e chi si

compose un mazzolino

(i)

Testo:

no gramaglietto

spagn.

ramillete.

202

GIORNATA QUINTA
si

una

appunt una rosa aperta


tra le labbra.

sul petto; un'altra

si

mise un

garofano screziato

Ma, poich
vare
al

ci

volevano ancora forse quattr'ore per


in cui
il il

arri-

momento

giorno venisse spaccato giusto per


del mangiare,
il

mezzo e maturasse
che
e,

tempo

principe ordin

si

facesse qualche giuoco per trattenimento della moglie;

datone incarico a Cola lacovo, lo scalco,

uomo

di

grande

ingegno, questi,

come

se avesse la tasca piena d'invenzioni,

subito ne trasse fuori una, dicendo:

Fu

considerato sempre insipido, signori miei, quel gusto


di

che non ha qualche ramo


e
le

giovamento, e

trattenimenti

veglie

non furono

ritrovati

per un semplice e inutile

piacere,
tal

ma

anche per un guadagno gradevole; perch, con


diletto,

maniera di
si

non solo

si

viene a passare

il

tempo,

ma
il

svegliano e rendono pronti gl'ingegni a sapersi risolsi

vere e rispondere a quel che

domanda. Tale

appunto

caso del giuoco dei giuochi, che ho pensato di fare, e


di questa forma.

che sar

Io proporr a qualche

donna

di

queste una sorta di giuoco; ed essa, senza pensarci, mi deve


dir

subito che

non

le

piace, e

la

ragione per cui non

le

va a genio: chi tarder a rispondere, o chi risponder

fuori di

proposito, pagher la pena che sar la penitenza, e la imporr


la

signora principessa. E, per dar principio

al

giuoco, io vor-

rei

giuocarmi con
(I).

la

signora Zeza una mezza patacca a trion-

fetto

Zeza rispose subito:

Non

voglio

giocarvi, perch

non

sono ladra!

(i)

Questi e

seguenti sono giuochi di carte, dei quali sarebbe su-

perflua la descrizione particolare, tanto pi che qui non valgono se


pei bisticci a cui

non

dan luogo

loro nomi.

INTRODUZIONE

263
chi

Bravo!

disse

Taddeo,

che

ruba

assassina,

quello trionfa .

Se cosi

replic
ci

Cola lacovo,
la

ho

un quarto e mezzo

e vorrei giocarmelo con

signora Cecca a

banco

fallito.

Non mi

cogli

rispose

Cecca,

che non

sono mer-

cante .

Ha

ragione

disse Taddeo, che per loro


replic

fatto que-

sto giuoco .

Almeno, signora Meneca

Cola lacovo,

pas-

siamo un paio d'ore

al

malcontento

Perdonatemi, che questo giuoco da cortigiani , rispose

Meneca.

Ha

infisso

il

chiodo

disse Taddeo,
buona voglia
lacovo
.
la

che cotesta razza

di gente

non

fu

mai

di

Io so

riprese Cola
me
sei

che
ai

signora Tolla gio-

cher volentieri con

Il

pubbliche

quattro montoni.
Tolla,
>.

Cielo

me

ne

scampi esclam

che

cotesto

giuoco da mariti che

hanno

cattive

mogli

Non potevi risponder meglio disse Taddeo, che questo

giuoco

fatto

per loro,

quali

molto spesso cozzano

come montoni

Almanco, signora Popa

replic
vi

Cola lacovo,

gio-

chiamo a venti signori, che


Sia per

do

la

mano.

non
.

detto

rispose Popa, che questo giuoco osserv Taddeo, che proprio


.

da adulatori

Ha

parlato da Orlando

questo fanno venti e trenta signori, trasformandosi sempre che

vogliono mettere nel sacco un povero principe

E, ripigliando. Cola lacovo disse: Signora Antonella, per


la

vita vostra,

non perdiamo questo tempo: giochiamoci un

bel piatto di zeppole alla

gabella

204
L'hai trovato!
tratti

GIORNATA QUINTA

rispose Antonella. Meno male che mi


.

da femmina mercenaria

di

Non

dice male
si

comment Taddeo, che cotesta genia


.

femmine

sogliono spesso ingabellare


arrivala!

Diamine
cio

continu

Cola lacovo:
ci

io

comin-

a credere che
la

l'ora

passer senza che

prenderemo
misura

spasso, se
di lupini a

signora Giulia non giuoca con

me una

chiamare.
rispose Giulia.
detto davvero magnifica-

E che? sono uno sbirro io.? , E Taddeo subito aggiunse: Ha

mente, perch
alla corte .

ufficio dei baglivi

e degli sbirri di chiamare

Vieni qua, signora Paola


e giochiamoci tre decine a
L' hai sbagliata

torn

a dire Cola lacovo,


.

picchetto

rispose Paola, che io non


disse
il

sono mor-

moratore

di corte

Questa una dottoressa


si

principe,

che

non

c' luogo dove pi


nostre .

picca l'onore della gente che nelle case

Senz'altro
tella si

replic Cola lacovo,


me
a

la

signora

Giommemastro

contenter di giocare con

carrettuso.
giuoco
di

Mai pi

rispose

Ciommetella:
.

bel

di scuola

mi hai trovato!

Questa deve pagare

la

pena

disse Cola

lacovo,
.

peril

ch non ha che vedere

la
i

proposta con la risposta


danari dal

Va',
principe,

fatti

restituire

maestro!

giudic
i

che

la risposta incastra

a perfezione, perch

pe-

danti giocano cosi bravamente a carrettuso, che, quantunque

perdano cinque, vincono

la

partita

('>.

(i)

Probabilmente, uno dei tanti motti sui

vizi dei [jedanti.

INTRODUZIONE

265

Ma

Cola lacovo,

rivoltosi all'ultima, le disse:


la

Non posso
come
sbraa

darmi a credere che


le altre,

signora Zoza

(')

voglia ricusare,
(2)

l'invito di giocare

con

me

un cianfrone

care

Bada a
.

te

rispose

Zoza,

che
la

questo

giuoco da

bambini

Costei

si,

che deve pagare


tal

penitenza
i

concluse Tadvecchi
;

deo,

perch a
si

giuoco giuocano anche

e perci,

signora Lucia, tocca a voi d'imporre la

pena

^3).

Zoza
pessa, la poletana.

lev e and a inginocchiarsi innanzi alla princile

quale

ordin per penitenza una villanella alla na-

Ed

essa, chiesto

un tamburello, mentre
cant:

il

cocchiere

del principe

suonava

la chitarra,

(i)

Testo:

lacova, per

isvista. lacova,

com'

detto in principio,

quel giorno era assente, perch inferma.


(2)

Moneta d'argento, che


spagn.

valse

un ducato e
.

poi

fu

ragguagliata

alla patacca: dallo


(3) Il

clianflon

Liebrecht (nelle note alla sua traduzione del

Dunlop, Geschiil

chte

der Prosadichlungen,
alla

Berlin, 1851, pp. 517-8) indica questa intro-

duzione

Giornata quinta come prova evidente che


il

Basile avesse

letto e imitato

Rabelais, invitando a confrontare

il

cap. 9 del libro

IV
si

del Panlagruel, che quello che narra degli abitanti dell'isola Ennaisin e
delle loro

estranges alliances. Ma, col migliore

buon

volere,

non

riesce a percepire la somiglianza avvertita dal Liebrecht; tanto pi che

qui

il

Basile
il

non

fa se

non mettere
,

in azione

un giuoco
il

assai
<

comune,

quello che
spropositi

Lippi {Malniantile

II, 47)

menziona come

giuoco degli

Altri pi l vedevansi

confondere
spropositi
,

a quel giuoco chiamato

gli

che quei, ch'esce di tema nel rispondere, convien che '1 pegno subilo depositi

Intorno

al quale, si

vedano

le

note del Minucci alle ottave 46 e 47 del

detto poema.

66

GIORNATA QUINTA
Si te credisse

dreme

martiello,

e ch'aggia

filatiello,

ca

fai la

granne e ncriccame

lo naso,

va', figlia mia, ca

Marzo

te

n'ha raso!

Passai lo tiempo che Berta filava,

e che l'auciello arava, e

non sento d'Aramore o

frezza o

sciamma:

spilata Patria,

mo non

ng' chi

mamma.
li

Va' ch'hanno apierto l'uocchie


so' scetate
si
li

gattille,

grille;

faie niente

speranza a sse
scesa,

bellizze,

va' c'haie

na

quanto curre e 'npizze!


la

Raggio puosto
n chi

mola de

lo sinno,

me movo

a zinno,

e gi conosco dalla fica l'aglio:

non nge pensare

chi, ca

non ng'

taglio!

(i).

Fini a

tempo

la

canzone e

il

gusto

di tutti,

quando

si

appa-

retxhiarono

le tavole,

dove

ci fu

bene da mangiare e meglio


fu

da bere. Ma, come


tovaglie,
si

lo

stomaco

sigillato e

furono tolte
il

le

die

comando

a Zeza, che scoprisse


stesse
le

fior fiore dei

racconti; la

quale, sebbene

un po'

brilla,

che aveva

fatto la lingua
il

grossa grossa e

orecchie piccinine, pure compi

debito suo e disse

come

.segue.

(i)

Questa

villanella

un contesto
;

di

modi

proverbiali, quasi tutti

gi illustrati nelle note precedenti

e nel suo senso generale esprime


cui giogo ci
si

un
tre-

commiato disdegnoso da persona gi amata e dal


affrancati. Ci restringiamo a chiarire ancora: v. 2,

sente

che

io

ne abbia

more

interiore ; V. 3, arricci
,
infili; v. 14,

il

naso;
,

v. 7

sciamma, fiamma;
le altre frasi, v.

v. 12,

mpizzi

a zinno

a cenno. Per

pp. 13,

227, 272.

TRATTENIMENTO PRIMO

L'OCA

Lilla e Lolla

il

al

comprano al mercato un'oca, che evacua denari la quale domandata loro in prestito da una comare, che, sperimentando contrario, l'ammazza e la gitta da una finestra. Ma l'oca si attacca deretano di un principe, mentre costui soddisfaceva a un bisogno,
;

e nessuno ne
se la

la

pu

staccare, fino a che

non

vi riesce Lolla,

ed

egli

prende per moglie.

Gran sentenza

di

grand'uomo dabbene
il

quella

che
il

l'ar-

tigiano invidia l'artigiano,


il

votacessi
il

il

votacessi,
il

musico
(');

musico,

il

vicino

il

vicino, e

poveretto

pezzente

per-

ch non c' buco nella fabbrica del mondo dove non tessa
la

sua

tela

il

maledetto ragno dell'invidia,

il

quale non

si

pasce

d'altro

che delle rovine del prossimo, come particolarmente

udrete dal racconto che vi dir.

C'erano una volta due sorelle cosi ridotte


che, in tanto riuscivano a campare, in quanto
si

sulla

nuda

terra

sputacchiavano

dalla mattina alla sera le dita, lavorando qualche po' di filato

da vendere. Pure, nonostante questa misera


caso che
la la palla della necessit,
(2).

vita,

non c'era

truccando quella dell'onore,


il

spingesse fuori
il

per questo

Cielo, che cosi largo


il

nel rimunerare

bene com'

sottile nel castigare

male, mise

(i)

l'antico detto, che

si

ritrova gi in Esiodo {Op. et dids, vv. 25-6):


Il

il

vasaio al vasaio invidia porta.


l'un cantor con l'altro

mendico
giostra

al

mendico,
(trad.

il

fabbro

al

fabbro,

emulo

Pagnini).

(2) Trasl.

dal giuoco del bigliardo.

268
in

GIORNATA QUINTA
di

capo a queste povere giovani


filato e, di

andare

al

mercato a ven-

dere certe matasse di

quel poco che ne ricavavano,

comprarsi un'oca.
Portata l'oca a casa, esse le posero tanto amore, che la

governavano come se fosse loro


dormire nel loro stesso
la
letto.

sorella carnale, tenendola a


e fa
di

Ma spunta l'alba
('),

buon giorno:

buona oca cominci a

fare scudi ricci

modo
e

che, a

poco a poco, esse ne empirono un gran cassone; e


l'evacuazione che cominciarono ad alzar
rilucere
il

fu tale quelsi

la testa

vide loro

pelo.

Certe comari, che ci osservarono, trovandosi un giorno

insieme a

far

parlamento, dissero tra loro: Hai visto, co-

mare Vasta,

Lilla

con
si

Lolla,

che

l'altrieri

non avevano dove

cader morte e ora

sono

ripulite

cosi

bene che sfoggiano


di galline e

da signore

Le

loro finestre
ti

sono sempre parate


all'occhio.

tocchi di carne, che

danno

Che cosa pu

essere?

esse hanno posto


il

mano
ci

alla botte dell'onore

o hanno tro-

vato

resto come una mummia rispose Io tesoro vedo prima morivano di fame, ora laddove perch, Perna,
. le

nel grasso e risalite, e

mi pare un sogno

Queste e

altre

cose

dissero, e, infine, stimolate dall'invidia,

scavarono un pertugio, che dalla casa loro rispondeva in quella


delle

due giovani, per


alla

far la spia e

vedere se potessero dar


stettero a spiare,

qualche pasto

loro
il

curiosit;

e tanto
la

che una sera, quando


sulle

Sole batte con

ferula
feria

dei
alle

raggi

barche del mare d'India per accordare

Ore

del giorno, videro Lilla e Lolla che, steso per terra un len-

zuolo, vi misero sopra l'oca, e questa cominci a schizzare


flussi

di scudi.

(i)

Sugli scudi ricci, v. sopra,

I,

77,

n.

i.

I.

l'oca
al

269

Alle comari lo spettacolo inaspettato fece uscire


stesso
il

tempo

bulbo dagli occhi e


la

il

gozzo dalla gola; e


fa lo

alla mattina,

quando Apollo con

verga d'oro

scongiuro all'Ombra
far visita

perch vada indietro, una di esse, Pasca, and a


quelle giovani, e,

dopo
le

mille preamboli e rigiri, tira e molla,

venne

al

quatenus, e

preg

di prestarle per
alla

due ore sole

l'oca, per far

prendere amore

casa a certe ochette, che

aveva comprate.

tanto seppe dire e pregare, che le semplici

delle sorelle, le quali, per essere di natura bonaria,

non sapecomare,
presto.

vano

dir di no, e

anche per non mettere


col patto
le

in sospetto la

gliela prestarono,

che

la

riportasse al pi

La comare chiam
un lenzuolo per
di

altre,

e tutte insieme stesero subito

terra, e vi fecero entrare l'oca, la quale,

invece

mostrare nel suo fondamento una zecca che coniasse scudi


stur un condotto di latrina e lavor la

ricci,

biancheria

di

quelle
tutto
il

donne a scudi
quartieie,

di terra gialla, alla

che l'odore ne and per


delle

come

domenica quello

pignatte

maritate. Pensarono allora che, cibandola

bene, farebbe sole

stanza di lapis philosophorum per soddisfare


la

voglie loro; e

rimpinzarono tanto che rigurgitava dalla gola. Ma, quando

l'ebbero posta sopra un altro lenzuolo di bucato, se


l'oca
si

prima

mostr lubrica, ora addirittura

si

manifest presa dalla


la

dissenteria, nella quale la digestione

aveva

sua parte. Sde-

gnate
stra

le

comari,

le torsero

il

collo e la gettarono dalla finesi

in

un

vicoletto

cieco,

dove

ammucchiavano

le

im-

mondizie.
Volle
la sorte,

la quale,

quando meno

te

l'aspetti,
figlio

fa

na-

scere la fava, che passasse da quella parte un

del re,

che andava a caccia.

proprio

li

presso, essendoglisi
il

som-

mosso
vitore,

il

corpo, die a tenere la spada e


egli entr in quel vicdetto per

cavallo a un seril

ed

deporre

soverchio

270

GIORNATA QUINTA
non trovandosi
nella
di

del ventre; e, compiuta questa operazione,

tasca carta per nettarsi, e vedendo quell'oca


fresco, se

ammazzala

ne servi all'uopo

(').

Ma
alle
e,

l'oca,

che non era morta, s'afferr cosi forte col becco

polpe del povero principe, che egli cominci a gridare;


tutti
i

accorsi

servitori

volendo strapparla dalle carni,

non
di

fu possibile,

perch

vi si era attaccata

come una Salmace


non potendo

penne e un Ermafrodito

di pelo.

Il

principe,

resistere al dolore e
tori, si fece
i

vedendo
al

riuscir vani gli sforzi dei servi-

trasportare

palazzo reale.

furono chiamati

tutti

medici della citt, e. conferitisi sulla faccia del luogo, fecero

essi tutte le

prove loro per rimediare

allo strano

accidente,

usando unzioni, adoprando tenaglie, spargendo polveri.


quell'oca era una zecca che

Ma

non

si

staccava per argento vivo,


virt di aceto.

una sanguisuga che non veniva via per


Il

principe ordin allora di


togliergli
la

gettare
di

un bando che a chi


dietro, se

riuscisse a

quel

fastidio

era

uomo,

avrebbe dato

met

del regno, e, se femmina, se la sarebbe

presa per moglie.

qui vedesti

la

gente correre in

folla

mettere

il

naso in

quell'imbroglio; ma, quanto pi applicavano


si

rimedi, pi l'oca

stringeva e attanagliava
si

il

misero principe:

pareva veramente che

fossero data l'intesa tutte le ricette


i

di Galeno e gli aforismi di Ippocrate e

rimedi di Meso

(>

contro

Posteriori

(3)

di Aristotele, per tormento di quello

sventurato.

(i)

Questo particolare mosse


e. 14,

altres

il

Liebrecht
si

(1.

e.)

a pensare al

Rabelais, Garganlua,
si

dove, dopo che

dissertato in proposito,

conclude:

qu'
lui

il

n'y a

tei

torchacul que d'un oiseau bien duvet,

pourvu qu'on

tienne sa tte entre les jarabes.

Ma

riscontro an-

ch'esso poco o nulla fondato.


(2)

Per Meso, v. sopra,

I,

194, n.

i.

(3) Gli

Analytica posteriora.

I.

l'oca.

271

Tra

tanti e tanti,

che vennero a quella prova, giunse per


la

avventura anche Lolla,


quale,

pi giovane
la

delle

due

sorelle,

la

non appena vide

l'oca,

conobbe e grid:

Intrufo-

latina mia, intrufolatina! .

L'oca, che udi questa voce, subito

lasci la presa, e salt in

grembo a

Lolla, facendole carezze

prine dandole baci, passando senza esitare dal deretano di un

cipe alla bocca di una villana.


Il

principe, che

ammir questo strano

caso, volle sapere

donde

la cosa procedesse; e, avuta notizia dell' la fece frustare

inganno della

comare,
e
si

per

la

terra, e poi cacciare in esilio,

prese per moglie Lolla, che port

in

dote l'oca dalle

evacuazioni d'oro, e die un altro marito ricco ricco a Lilla.

Cosi rimasero

la pi

contenta gente del mondo, a dispetto

delle comari, le quali,


alla ricchezza,

andando per chiudere a Lolla una strada

apertale dal Cielo, gliene aprirono un'altra a

diventare regina, conoscendo alfine che:

impedimento

spesso giovamento.

TRATTENIMENTO SECONDO
I

MESI

Lise, per essere povero e


si

punto aiutato dal

fratello

danne,

eh' ricco,
l'altro,

parte e incontra tale fortuna che

si fa

straricco;

laddove

che, per invidia, tenta la

medesima

sorte, l'ha

cosi contraria,

che

non pu

liberarsi

da una grande disgrazia senza

l'aiuto del fratello.

La

risata,
al

che prese quell'uditorio

al

racconto dell'accidente

accaduto

principe, fu cosi convulsa che a

ognuno stava per

scendere l'ernia e se ne sarebbero andati contrappuntando risa


fino
alla

rosa del bellico, se Cecca

non avesse
;

fatto

segno

di essere in

ordine a effondere
alle

il

racconto suo

onde, posto

un sequestro

bocche

di tutti,

quella incominci a dire:

lingue

un motto da scrivere a

lettere di catafalco,

che mai

lo

star zitto fece

danno ad alcuno.
dir bene, e

Ma

certi

mormoratori,

le cui

non sanno mai

sempre tagliano e cuciono e


il

sforbiciano e pungono, sta' pur sicuro che avranno

fatto loro,

perch,

al
il

vuotar dei sacchi, sempre


dir

si

visto e
il

si

vede che, male gua-

laddove

bene acquista amore e

utile,

dir

dagna

inimicizia e rovina. Udite in qual

modo

mi darete un

quintale di ragione.

C'erano una volta due

fratelli

carnali,

Cianne, che stava

bene agiato come un conte, e Lise, che non aveva da provvedere


alla vita;

nemmeno
di forsi

ma, quanto l'uno era povero

tuna, tanto l'altro era

meschino d'animo, che non

sarebbe
il

levato dal vaso per dargli qualche sollievo. Disperato,

poe

vero Lise lasci

la

patria e

si

die a viaggiare

il

mondo;

II,

MKSI

273

tanto

cammin, che una sera giunse, con pessimo tempo, a una dove trov dodici giovani, seduti attorno
al

taverna,

fuoco.
inti-

Questi, veduto Lise, tutto aggranchiato, che quasi era


rizzito dal
boli, lo

freddo,

si

per

la

stagione forte e

si

pei vestiti de-

invitarono a sedere accanto al focolare; e Lise, accetsi

tato

l'invito,

pose a scaldarsi. Mentre


di quei giovani,

si

scaldava, gli fu
tutto corrucciato,

domandato da uno

che stava

con una brutta cra da

sbigottire:

Che

te

ne sembra, pae-

sano, di questo tempo? .

Che cosa me ne vuol sembrare?


tutti
i

rispose Lise. Mi
il

pare che

mesi dell'anno facciano

debito loro;

ma
la

noi,

che non sappiamo ci che domandiamo,


al

vorremmo dar
nostro,
utile

legge

Cielo, e, desiderando le cose a


in

modo

non peschiamo troppo


ci

fondo se poi

sia

bene o male,

o danno, quello che

viene in ghiribizzo; sicch nel


il

verno, quando piove,


le
le

vorremmo

solleone, nel

mese d'agosto,

scariche delle nuvole; e non pensiamo che, se cosi avvenisse,


stagioni correrebbero al rovescio, le semente
i

si

perdereb-

bero,

raccolti si dissiperebbero,

corpi

si

magagnerebbero
fare

e la natura andrebbe a
al

gambe
il

all'aria.

Lasciamo, dunque,

Cielo

il

corso suo,

quale, del resto, ha creato gli alberi


al

per dar rimedio di legna


caldo della state
Parli
>.

rigore del verno e di fronde al

da Sansone

disse quel giovane; ma non

mi puoi
troppo

negare che questo mese, in cui siamo, di Marzo non

sia

impertinente, con tante gelate e piogge e neve e grandine e


raffiche e nebbie e tempeste e altre

molestie* proprio,

ci

fa

venire in uggia

la

vita! .
di

Tu
Lise,

dici

male

questo povero mese

di

Marzo

replic

ma non

parli gi dell'utile

che

ci

apporta; perch esso

d principio,
delle rose; e,

col mettere avanti la primavera, alla

generazione
il

non

foss'altro, esso

causa che

Sole provi
iS

G. B. Basilu, Petilamerone

11.

74

GIORNATA QUINTA
tempo presente
col farlo entrare nella casa del

la felicit del

Montone

^^h
delle parole di Lise, perin persona,

Ebbe gran gusto questo giovane


ch appunto esso era
altri
il

mese

di

Marzo
in

che con

gli

undici

fratelli
la

era
di

capitato

quella

taverna.

E, per

rimunerare
di

bont

Lise, che non aveva saputo dir male

un mese

cosi tristo che

neanche

pastori lo vogliono

mento-

vare, gli porse una bella cassettina e gli


e,

disse: Prendi questa


te la troverai

sempre che

ti

bisogna qualche cosa, aprila e

davanti .
Lise,
e,

con parole

di

grande umilt, ringrazi quel giovane

postasi la cassettina sotto la testa,


il

come

cuscino,

si

mise

a dormire; e la mattina, quando

Sole col pennello dei raggi


della Notte, congedatosi
soli

venne a

ritoccar di chiaro le
il

ombre

da quei giovani, riprese

cammino. E, a

cinquanta passi

dalla taverna, apri la cassettina e disse:

Oh

bene mio! e non

potrei avere

una
in

lettiga

foderata

di

panno, con un po' di

fuoco dentro,
questa neve? .

modo da andar
di dire,

caldo caldo in mezzo a

Aveva appena terminato


coi lettighieri,
i

che comparve una

lettiga

quali lo levarono di peso e ve lo collocarono

dentro, ed egli ordin che camminassero verso casa sua. E,


all'ora di

menar

le

ganasce, apri di nuovo


;

la

cassettina e disse:
il

Venga roba da mangiare


il

e qui vedesti piovere


vi

bene dal

Cielo, e tale fu
re di corona.

banchetto che

potevano mangiare dieci

sera, giunto a

un bosco,

il

quale non dava pratica

(''

al

(i) (2)

Altro motto satirico sulle corna.

Traslato del dar pratica ai bastimenti in arrivo e dalle quaransi

tene che

facevano fare

alle

navi sospette.

II.

MESI
('),

275
apri la cassettina
fa

Sole perch veniva da paesi sospetti


disse: * In questo bel
sulla pietra per

luogo, dove
il

il

fiume

contrappunti

accompagnare

canto fermo dei venti freschi,


subito
si

vorrei riposare questa notte .

vide armare una tra-

bacca scarlatta, sotto una tenda di


di

tela incerata,

con materasse

piume, coperta

di

Spagna e lenzuola

finissime; e,

doman-

dando da cenare, degno


di

fu

presto in ordine un riposto di argenteria,


e apparecchiata, sotto un'altra tenda,

un principe,

una mensa carica


miglia distante.

di vivande,

che mandavano l'odore a cento

Dopo

aver mangiato e dormito, all'alba, quando


il

il

gallo,

che spione del Sole, avvis


fiaccate e
disfatte e

padrone che
il

le

Ombre erano
di

che quello era

momento

dar loro,
la

da soldato pratico, inseguimento e farne strage, Lise apri


cassetta e disse: Vorrei

un

bel vestito, perch oggi


fargli

mi deve
fatto,

vedere mio
gli fu

fratello e avrei

gusto di

gola

Detto

prto un abito da signore, di velluto in quaranta, nero,


fasce
di

con

ciambel lotto rosso, con un bel ricamo grande

sulla fodera di lanetta gialla,

che vedevi un campo

di fiori.

E,

cosi vestito,

si

mise nella

lettiga e arriv a casa.

Cianne,
tanti

al

vederlo cosi lussuosamente abbigliato e con


stata la sua;

comodi, volle sapere quale fortuna era


gli

ed

esso

raccont dei giovani che aveva trovati a quella ta-

verna, e del
il

dono che

gli

avevano

fatto;

ma

tenne nella lingua

discorso passato con quel giovane. L'altro

non vide

l'ora

di

congedarsi dal

fratello,

consigliandogli di andare a riposare


si
i

perch era stracco; e subito

mise per

le

poste e capit alla

medesima taverna

e vi trov

medesimi giovani, coi quali

prese a chiacchierare.

(i) Cio, dall'oriente.

276

GIORNATA QUINTA
alla

Ma

medesima interrogazione che quel giovane

gli fece,

cio che cosa gli paresse del mese, che correva, di Marzo,

cominci a

dire:

Oh

Dio, lo confonda questo mese maledetto,

nemico degli

infranciosati''), odioso ai pecorai,

intorbidamento
che, volendo

degli umori, distruzione dei corpi:

mese
si

tale,

annunziare qualche rovina a un uomo,


ti

ha

distrutto

dice: Va', che Marzo mese che, quando vuoi dare ad alcuno magil

gior titolo di presuntuoso, lo chiami: cura di

Marzo

mese,

insomma, che sarebbe fortuna del


ricchezza degli uomini, se
gli fosse

mondo, ventura

della terra,
(^^

cancellata la piazza

nella

squadra dei suoi


Il

fratelli! .
si

mese

di

Marzo, che

senti fare questa lavata di testa

da Cianne, dissimul fino


gli in

al

mattino

il

proposito di ricacciarfu

gola

il

bel discorso; e,

quando Cianne

per partire,
ti

gli

consegn una

bella scuriata, istruendolo:


tu
al

Sempre che

viene desiderio di qualcosa, e


cento!

di':

Scuriata,

dammene
di sprone,

vedrai perle infilate


il

giunco.

Cianne ringrazi

giovane e cominci a toccar

e non volle far prova della scuriata prima di giungere a casa


propria. Dove,

appena
i

arrivato, chiusosi in

una camera

.segreta

per conservare

danari che sperava avere dalla scuriata, disse

a questa: Scuriata,

dammene

cento!

la scuriata,

se

non

gliene die cento, di' che torni pel resto, facendogli contrap-

punti da compositore di musica


di

sulle

gambe

e sulla

faccia,

maniera che

ai

gridi accorse Lise, e,


si

vedendo che non era

possibile trattenere la scuriata che

sbizzarriva

come

cavallo

scapolato, apri la cassetta e la fece fermare.

(i)

Perch

malati di

sifilide,

nel marzo, risentono pi forti le loro

sofferenze.
(2)
Il

posto nella milizia.

II.

MESI
gli

277
fosse accaduto,
e,

Domand
tarsi d'altri

poi a Cianne che cosa


la

quando ebbe udito


che

storia, gli disse

che non doveva lamenil

di se stesso,

che

si

era procurato

proprio

male, comportandosi da arrogante, e che aveva fatto

come
le

il

camello che, desiderando avere


chie;

le

corna, aveva perso

orec-

ma

che imparasse un'altra volta a tenere


gli

in freno la lindi questa di-

gua, chiave che

aveva aperto

il

magazzino
bene
di

sgrazia; perch, se egli avesse detto

quel

giovane,

avrebbe avuto forse

la stessa fortuna sua: tanto pi

che

il

dir

bene una mercanzia che non costa niente e suol produrre

guadagno che non


di

si

pensa. In ultimo, lo confort, dicendogli


di

non cercare maggiore comodit


la cassetta

quella che

il

Cielo

gli

aveva data, perch

sua bastava a riempire a sovrab-

bondanza trenta case


di tutto
il

di avari, e

che esso sarebbe stato padrone


il

suo bene, perch all'uomo liberale

Cielo tesoriere;

e che, quantunque un altro fratello lo avrebbe avuto in dispetto

per

la

crudelt che

gli

aveva dimostrata

al

tempo

delle sue

miserie, tuttavia egli considerava che la meschinit sua era stato


il

prospero vento che l'aveva condotto a questo porto, e perci


si

gliene poteva render grazie, e

proponeva

di

riconoscere

questo giovamento.
Udite
tali

cose, Cianne

gli

chiese

perdono dei disgusti

passati, e, fatta

una lega

di botteghe, si

goderono insieme

!a

buona

fortuna;

e d'allora innanzi Cianne disse bene d'ogni

cosa, per trista che fosse, perch:

la

lingua non ha osso,


il

ma pu rompere

dosso

(O.

(i)

Sostituiamo questo proverbio a quello del testo, che, per


il

isvista,

ripete

motto con cui

si

chiude

il

trattenimento

della Giornata IV.

TRATTENIMENTO TERZO
*

FINTO SMALTO

Betta ricusa di rimaritarsi,


prie; e, poich
lo ricupera

ma

poi s'impasta
glielo ruba,

un marito con
a casa.

le

mani pro-

una regina

dopo

mille travagli lo ritrova,

con grand'arte e se

lo riporta

Compiuto che ebbe Cecca questo racconto, che piacque


estremamente a
sparare
parl:
il

tutti,

Meneca che stava


tutti

al

cavalletto

(')

per
cosi

suo, visto che

avevano

gli

orecchi

tesi,

Fu sempre

pi

difficile

all'uomo conservare l'acquistato che

acquistare di nuovo, perch nell'un caso concorre la fortuna,

spesse volte aiutatrice d'ingiustizie,

ma,

nell'altro,

ci

vuol

senno; onde
salire

si
il

vede per
bene,

lo pi

gente che non ha raziocinio

dov'

ma

poi, per carestia


vi

d'ingegno, rotolare
siete

gi:

come

dal racconto che

dir, se

persone che

comprendete, potrete chiaramente vedere.


C'era una volta un mercante, che aveva una
figlia

unica

e sola, la quale desiderava grandemente veder maritata; ma,

per quanto toccasse

le

corde di questo

liuto, le

trovava cento

miglia lontano dalle sue ricercate ^^\ Quella testa sventata,

come
ban-

bertuccia delle femmine, odiava

la

coda;
il

come

territorio

dito e caccia riservata, respingeva

commercio d'ogni uomo;

(i)
(2)

Forcella su cui

si

appoggiava l'archibugio o

altra

arma da

fuoco.

Nel significato musicale.

III.

FINTO SMALTO
tribunale suo,

279

e voleva sempre feria


scuole,

al

sempre vacanza
il

alle

sempre
pi

feste di corte al

banco; tanto che

padre ne

stava

il

afflitto

e disperato del

mondo.
fiera,

Una

volta che
si

si

recava a una
la
figlia)

domand

a Betta

(')

(che cosi

chiamava

che cosa desiderava che

gli

portasse

al

ritorno; e quella rispose:

Tata mio,

se

mi vuoi

bene, portami mezzo quintale di zucchero di Palermo e mezzo


di

mandorle ambrosine
di

(2),

con quattro o
di

sei fiaschi di

acqua

odorosa e un po'

muschio e
zaffiri,

ambra, e anche una quadi granatini

rantina di perle, due


rubini,

un mucchiettino
e,

con un po' d'oro

filato;
.

soprattutto,

una madia e

un raschiatoio d'argento
Il

padre

si

meravigli di questa richiesta stravagante; ma,


la figlia,

per non contrariare

and

alla fiera e,

al

ritorno,

le

port puntualmente quanto


queste cose,
si

gli

aveva domandato. Essa, avute

chiuse in una camera e cominci a lavorare


di

una grande quantit

pasta di mandorla e zucchero, mi-

schiata d'acqua rosa e profumi, e prese a plasmare

un
gli

bellis-

simo giovane,
di zaffiro,
i

al

quale fece

capelli di filo d'oro,

occhi

denti di perle, le

labbra di rubino, e

gli dette la

tanto garbo e grazia che

non

gli

mancava

altro

che

parola.

Ci

fatto,

avendo udito

dire che un'altra statua, alle pre(3),

ghiere di un certo re di Cipro

divent viva, tanto preg

la

Dea d'Amore, che


dopo
le
il

la

statua cominci ad aprire gli occhi, e,


le

fiato,

uscirono

parole, e, sciogliendo in ultimo tutte

membra,

si

mosse a camminare.

(i)

Anche

in

questa fiaba
.

la

protagonista ora porta

nome

di

Betta

ora di

lacovella

(2) Si
(3)

chiamava

cosi

una

variet di mandorle, riputiita tra le pi

fini.

Pigmalione.

28o
Betta,

GIORNATA QUINTA
con allegrezza maggiore che se avesse guadagnato
e,

un regno, l'abbracci e baci,


davanti
al

presolo per mano, lo

men
sem-

padre,

al

quale disse: Tata signore mio,

pre avete detto che eravate voglioso di vedermi


e io, per contentarvi,

maritata;
il

mi ho

scelto lo

sposo secondo

mio

cuore
Il

padre, che vide venir fuori dalla camera della

figlia

quel

bellissimo giovane che


nito;
e,

non aveva

visto entrare, rimase attosi

mirando

si

stupenda bellezza, che

sarebbe potuto
(>,

pagare un grano a testa per essere ammessi a contemplarla


si

content che

si

celebrasse

il

matrimonio.
i

Nella grande festa per queste nozze, fra

tanti

che interven-

nero, capit una grande regina incognita, la quale, ammirata la


bellezza di Finto Smalto (secondo
posto), se ne
il

nome che

Betta gli aveva

incapricci altro che per celia. Finto Smalto,


tre

che non erano


del

ore che aveva aperto

gli

occhi alle malizie


attefin
il

mondo, non

sapeva intorbidare l'acqua; e quando,


gli

nendosi a quel che


gi alla scala
i

aveva detto
che
si

la

sposa,

accompagn
nel
fare
lo

forestieri

accommiatavano,

medesimo con

quella signora, essa, presolo per


alla carrozza a sei

mano,

con-

dusse pian piano fino

cavalli,

che aveva
di

nel cortile, e ve lo tir dentro.

die voce al cocchiere

trottare alla volta delle terre sue,

dove

il

semplice di Finto

Smalto, non sapendo che cosa


marito.
Betta, attesolo per

gli

fosse accaduto, le divenne

un

tratto,

non vedendolo pi comparire,


si

mand

gi

al

cortile a

vedere se

trattenesse in conversa-

zione con qualcuno; fece salire sul battuto della casa, se per

(i)

Come

fenomeni o mostri

della natura

nelle

baracclie

delle fiere.

III.

FINTO SMALTO

zSl

caso vi fosse andato a prendere una boccata d'aria; s'affacci


al necessario, se

mai fosse andato a rendere

il

primo tributo

alle necessit della vita.

Ma, non trovandolo

in alcun luogo,

subito
bato.

immagin che, per essere tanto

bello, le era stato ru-

poich, gettati
si

soliti

bandi,

non comparve nessuno


tra-

a rivelarlo,

determin ad andarlo cercando pel mondo,

vestita da mendicante.

Messasi a questo
giunse
alla

modo

in

cammino, dopo alcuni mesi


la

casa
e,

di

una buona vecchia, che

ospit

con

grande amore;

udita la disgrazia di Betta, e

vedendo
le

inoltre

ch'era incinta, ne ebbe tanta compassione, che


parole.
la

insegn tre

La prima

fu:

Tricche-varlacche,

che

la

casa piove;
la terza:
(');

seconda: Anola trncia, pizza fontnola;

Ta-

faro e tamburo, pizze 'ngongole e

cemmino
le

e aggiunse

che, in

momento

di

gran bisogno,

recitasse e ne

cave-

rebbe gran beneficio.


Betta,

bench rimanesse meravigliata


ti

di

un

tal

regalo
ti

di

crusca, pur disse tra s: Chi

sputa in gola,

non

vuol

vedere morto, e chi prende non secca: ogni puntura giova.

Chi sa quale buona fortuna

si

chiude dentro queste parole!

ringrazi la vecchia, rimettendosi in

cammino.
bella
citt

Dopo lungo
amor
del Cielo

viaggio, giunse
difilato al

una

chiamata

Monterotondo e and
un po'

palazzo reale, chiedendo per


in

di ricovero

una

stalla

per essere

prossima a partorire. Le damigelle

di corte, impietosite, la rac-

(i)

Per

le

due ultime, che son parole

di giuochi
I,

bambineschi, vedi
4,

note all'introduzione della Giornata seconda,

178, n.
si

179,

n.

i.

Quanto

alla

prima, che forse ha simile riferimento,

avverta che

tric-

caballacco

un rozzo strumento musicale


vni,

di legno, di origine
( talabalacchi

moresca,
so-

ricordato anche nei poemi cavallereschi

e timpani

nando: Berni, Jnnaniorato,

III,

3).

2 82

GIORNATA QUINTA
cameretta in

colsero in una

mezzo

alle scale;

e,

stando in

quella, la sventurata vide passare Finto Smalto,


tale schianto di gioia,

ne prov

che

fu sul

punto

di

scivolar gi dal-

l'albero della vita.

Senti allora di trovarsi veramente in una grande necessit


e volle far prova della prima parola insegnatale dalla vecchia, e

pronunzi:
si

Tricche-varlacche,

che

la

casa piove!.

subito

vide comparire innanzi un bel carrettino d'oro, tutto

costellato di

gemme, che andava da

se stesso per la

camera

ed era stupore a considerare.

Le damigelle, che

lo videro,

ne parlarono

alla

regina, la

quale, senza perder tempo, corse alla cameretta di Betta e,

ammirato
che
le

il

magnifico gioiello,

le

disse se voleva venderglielo,

avrebbe dato quanto avrebbe saputo domandare.


il

quella rispose che, quantunque pezzente, stimava pi

gusto
il

proprio che tutto l'oro del mondo; e perci, se voleva


rettino,
la lasciasse

car-

dormire una notte col marito.


della pazzia di questa

La regina rimase meravigliata


verella tutta cenciosa, che, per

po-

un

capriccio,

dava via tanta

ricchezza; e fece proposito di aggranfiare questo


e, col

buon boccone,

dar l'oppio a Finto Smalto, render la poverella contenta


E, venuta
la

e mal pagata.

notte,

quando escono a

far

mo-

stra di s le stelle pel cielo e le lucciole sulla terra, la regina,

dato

il

soporifero a Finto Smalto, lo fece coricare, docile coil

m'era, accanto a Betta; e

giovane, non appena toccato

il

materasso,

si

mise a dormire come un ghiro.

Betta sventurata, che pensava quella notte di scontare tutti


i

passati affanni,

vedendo che per

lei

non

c'era ascolto, prese

a lamentarsi fuor di misura, rimproverandogli tutto quello che

per

lui

aveva

fatto;
gli

non chiuse mai bocca, l'addolorata, e


il

non

apri

mai

orecchi l'addormentato, finch non sorse

III.

FINTO SMALTO

283

Sole con l'acqua ragia

'^

a separare l'ombra dalla luce; e alsi

lora la regina scese gi e

prese per
.
il

mano
tempo

Finto

Smalto,

dicendo a Betta: Eccoti contentata

Tal contento possa avere tu tutto

della tua vita

rispose
cattiva che

tra s Betta,

perch

ho passato una notte


.

cosi

me

ne ricorder per molti giorni

E, non potendo pi resistere all'urgenza del bisogno, fece


la

prova delle seconde parole, pronunziando: Anola trncia,

pizza fontnola! .

vide comparire una gabbia d'oro con

un

bellissimo uccello, fatto di pietre preziose e d'oro, che can-

tava a mo' di rosignuolo.

Accadde come

la

prima volta:

le

damigelle videro quella

meraviglia, ne riferirono alla regina che and a sua volta a


vederla, e fece la stessa

domanda ed ebbe

la stessa richiesta;

poich aveva adocchiato e indovinato

la facilona e
si
il

sempliciona,
la

promise

di farla

dormire col marito e


la notte,

port via

gabbia

con

l'uccello.

E, venuta

dette

solito soporifero a

Finto Smalto e lo

mand
fatto

dormire con

Betta nella stessa

camera, dove aveva

armare un bel

letto.

la

poverina,

vedendolo dormire come uno scannato, riprese a


lamento, dicendo cose che avrebbero mosso
e,

fare lo stesso

a piet

una

selce,

gemendo

e piangendo e strappandosi
e,

capelli,

pass un'al-

tra notte
la

piena di tormenti;
il

allo spuntar del giorno, scese

regina a prendersi
si

marito, e lasci la misera Betta fredda


le

e gelata, che

mordeva

mani per

la

burla che per

la se-

conda volta

le

era stata

fatta.

Quella mattina. Finto Smalto usci a cogliere quattro


in

fichi

un giardino
ciabattino,

fuori le porte della citt; e a lui

si

avvicin
Betta

un

che dimorava accanto

alla

camera

di

(i)

Testo:

l'acqua da spartire

284

GIORNATA QUINTA
non aveva perduto una parola
riferi

che, attraverso la parete,

di

quanto essa aveva detto, e


steo,
il

di

punto in punto

il

piagni-

repetio e la
ci,
il

lamentazione della sfortunata pezzente.

Udendo

re,

che gi cominciava a mutar senno, imma-

gin come potesse passare questo negozio, e pens che, se


un'altra volta gli accadesse di esser
la poverella,

mandato a dormire con


la

non avrebbe tracannato


la

bevanda che

gli

fa-

ceva porgere

regina.

Betta fece la terza prova e disse: Tafaro e tamburo, pizze

'ngongole e cemmino!
di seta e
la

e le uscirono

una quantit
(')

di

panni

oro e di fasce ricamate con una culla

d'oro, che

regina stessa non avrebbe potuto mettere insieme cosi bella

galanteria.

Le videro

le

damigelle e ne avvisarono
le altre cose, e

la

padrona,
ri-

che

tratt di averle

come

alla

rinterzata

chiesta di Betta pens:


sta

Che cosa

ci

perdo a contentare que; e,

pacchiana per toglierle tante belle cose?


la

prese

le ric(2)

chezze offertele da Betta, quando


essere venuto a liquidazione
il

Notte comparve

per

rogito del debito contratto col

sonno e

col riposo, essa die

il

soporifero a Finto Smalto.

Ma
era

questi lo ritenne in bocca, e, fingendo di andare a scaricare


la al

vescica, lo rigett.
fianco,

E, postosi a
la

letto.

Betta,

che

gli

prese a ripetere
le

sua canzone,
di

dicendo come
di
la

l'aveva,

con

mani sue, impastato


fatto
i

mandorle e
gli

zucchero,

come

gli

aveva

capelli

d'oro e

occhi e

bocca

di

perle e di pietre preziose, e

come

le

era debitore
le

della vita

datagli dagli Dei per le preci sue, e

come

era stato rubato.

(i)

Testo: cncola, che sarebbe conchetta;

ma

sar errore di

stampa per cnnola, culla.


(2)

Testo aggiunge:

de sero

che deve essere anche errore di

stampa,

ma
.

che non par da correggere,

come

nelle edizioni posteriori:

de sera

III.

FINTO SMALTO

285

ed essa, grossa gravida, era andata cercandolo pel

mondo
e dato
lui

con

tanti stenti,

che

il

Ciel ne guardi ogni carne battezzata,


altre

e di pi

come aveva dormito

due

notti

con

lui

per prezzo due tesori,

e non aveva potuto ottenere da

una

parola soia; talch questa era l'ultima notte delle speranze sue
e l'ultimo termine della sua vita.

Finto

Smalto, che stava sveglio, udito queste parole,


in

si

ricord

come

sogno

di quello

che era passato, e abbracci


la
si

e consol Betta
la

come meglio
il

seppe. E, poich
ballo delle Stelle,

Notte, con

maschera nera, dirigeva

lev pian

piano, e, pian piano

andato in camera della regina, ch'era


le

sprofondata nel sonno, ne tolse tutte


pate a Betta, e tutte
le

cose che aveva strap-

gioie e

tornesi che erano nello scrigno,


e,

per

rifarsi

dei

danni passati;

tornato

alla

moglie, se

ne

partirono in quel

momento

stesso, e tanto

camminarono che
si

uscirono dai confini di quel regno. Allora

riposarono in un

bell'alloggiamento, fintanto che Betta die alla luce


schio; e,

un

bel

ma-

quando essa pot

levarsi di letto, s'avviarono alla casa

del padre, che trovarono vivo e sano e che, per la gioia di

rivedere

la figlia,

divent

come un
il

giovinotto di quindici anni.


la

La regina, non trovando n


gioie, si strapp
i

marito n

mendicante n

le

capelli per la disperazione;

ma non manc

taluno che

le disse:

Chi gabba, non

si

dolga se

gabbato.

TRATTENIMENTO QUARTO
IL

CEPPO D'ORO

Parmetella,

figlia di

un povero

villano, incontra

per la sua troppa curiosit, se la


sofferto mille travagli, trova
il

fa fuggir di

una buona fortuna; ma mano, e, dopo aver


lui,

marito in casa della madre di


i

ch'era un'orca, e, superati pericoli grandi,


contenti.

due restano insieme

Ci fu

pi d'uno tra
della

gli

ascoltatori

che avrebbe pagato


virtii

un

dito

mano

se avesse potuto avere questa

di

farsi

un marito o una moglie a gusto proprio;


il

e particolar-

mente

principe,
di

il

quale volentieri

si

sarebbe veduto a fiandi veleno,

co una pasta
gli

zucchero invece della massa


il

che

era toccata. Ma, venendo

giuoco del tocco a Tolla, essa


il

non aspett

l'esecutorio per pagare

suo debito, e disse

cosi:

La

soverchia curiosit e la voglia di sapere di l dal lecito


alla polveriera della forfatti

sono una miccia pronta a dar fuoco


tuna; e spesso spesso chi ricerca
i

dagli

altri,

sbaglia le

cose proprie, e chi scava per trovare


nelle quali d
di

tesori, trova chiaviche,

faccia:

come accadde

alla figlia di

un

or-

tolano nel

modo che

vi racconter.
il

C'era una volta un ortolano,

quale, essendo poverello


si

poverello, che, per quanto faticasse, a stento

procurava
sue tre

il

pane per sostentarsi

('),

compr

tre scrofette alle

figlie

(i)

Testo:

non poteva

scire

da pane a vennere, che potrebbe

es-

sere anche un bisticcio (passar da Pane a Venere).

IV.

IL

CEPPO d'oro
si

287
parte

femmine,

affinch,

allevandole,

mettessero da

un

po' di doticciuola.

Pascuzza e Cice, che erano


scere
le

le

maggiori, portarono a pa-

loro

due

in

un

bel prato;

ma non
Ed
si

vollero che la pi

piccola, Parmetella, andasse

con

loro, e la scacciarono, dicen-

dole di andare in qualche altro posto.


animaletto a un bosco, dove
gli assalti del Sole; e,
le

essa

men

il

suo

ombre
un

fortificavano contro

quando

fu in

prato, in

mezzo

al

quale

correva una fontana che, ostessa d'acqua fresca, invitava con


lingua d'argento
il

passeggiero a bere una mezzetta, trov


le al

un

bell'albero
la

con

foglie d'oro.

Parmetella ne spicc una


allegrezza, la

fronda e

port

padre, che, con grande


i

vend per pi
qualche buco;

di venti ducati,
e,

quali gli valsero a otturare


alla figlia

avendo domandato

dove l'avesse

trovata, costei gli rispose: Prendi, messere mio, e

non

cer-

care altro, se non vuoi guastare


11

la

fortuna tua .
e fece la

giorno dopo, torn

al

medesimo luogo

mede-

sima cosa; e tanto continu a sfrondare l'albero che questo


rimase schiomato, come se avesse ricevuto
il

sacco dai venti

dopo l'autunno. Parmetella vide che ne restava un gran ceppo


d'oro, che

non

si

poteva strappare con


si

le

mani

e perci,

riil

tornata con un'accetta,

mise a scalzare intorno intorno

piede dell'albero,

e,

levato

come meglio
di

pot

il

ceppo,

le

ap-

parve nel foro una bella scala

porfido.
e,

Curiosa com'era fuor di misura, discese quei gradini,

dopo aver camminato per un gran sotterraneo profondo


profondo, usci a una bella pianura, nella quale sorgeva un
palazzo bellissimo, dove non calpestavi altro che oro e argento, n vedevi altro che perle e pietre preziose. E, mirando
Parmetella,

come

trasognata, questo magnifico sfoggio, e


fosse

non

vedendo alcuna persona che

mobile in quello

stabile,

288
entr
in

GIORNATA QUINTA
una
sala,

nella

quale

si

vedevano dipinte tante

belle cose, e in particolare

l'ignoranza di un

uomo
i

stimato

sapiente, l'ingiustizia di chi teneva le bilance, e


dicati dal Cielo,

torti

ven-

cose da stupire, tanto parevano vere e vive;

e in quella sala era una bella


Parmetella, che
si

mensa apparecchiata.
dalla fame,
e

sentiva

mancare
tavola,

non vedendo

alcuno,

si

sedette a quella

cominci a godersela
ecco entrare

come un

conte.

Ma,

nel meglio del macinare,

uno schiavo
tirti

di bell'aspetto,

che

le disse:

Ferma, non parfarti

di qui,

che
del

ti

voglio per moglie, e intendo


. alle

la

pi

felice

donna
di

mondo

Trem
animo e
fu subito

paura Parmetella; poi,

buone promesse, prese


le

si

content di quello che volle lo schiavo; onde


di

consegnata una carrozza

diamanti, tirata da quatla

tro cavalli d'oro

con

l'ali

di

smeraldo e rubini, che


si

porle

tavano volando per

l'aria

perch

prendesse spasso; e
frotta di

furono date per servigio della persona una


vestite
di
tela

scimmie
a

d'oro, che

subito,

abbigliandola da capo

piede, la misero nella forma di un ragno, che pareva proprio

una regina.

Venuta

la notte,

quando

il

Sole, desideroso di dormire alle


il

rive del fiume

dell'India senza zanzare, spegne

lume, Io

schiavo
in

le

disse:
letto;

Bene mio, se vuoi

fare la

nanna, coricati
le

questo
la

ma appena

ti

sarai

ficcata tra

lenzuola,
ti

spegni

candela, e sta' in cervello ad eseguire quanto io

dico, se

non vuoi imbrogliare


si

il

filato .

Parmetella cosi fece e


calate le palpebre che
il

mise a dormire;

ma
in

aveva appena

moro, convertitosi

un bellissimo

giovine,

le si

coric a lato; ed essa, risvegliatasi, e sentendosi


la

cardare senza pettine


visto

lana, fu per morire dal terrore,


civile, sti

ma,
alle

che

la

cosa

si

riduceva a guerra

ferma

IV.

IL

CEPPO d'oro

289

botte. E,

prima che l'Alba uscisse a cercare uova fresche per


il

confortare
letto e

vecchierello

amante suo,
la

lo

sposo salt gi dal

torn a riprendere

patina del moro, lasciando Par-

metella assai vogliosa di sapere quale ghiottone s'era soibito

l'uovo primaiuolo di cosi bella pollanca.

La seconda

notte,

coricatasi e spenta la candela


si

come
il

la

volta precedente, al solito le

venne a coricare a

lato

bel

giovine;

il

quale,

quando

fu stanco di giocherellare, si

pose

a dormire.

Ed

essa allora die di


e,

mano

a un focile che aveva


la

apparecchiato,

accesa la candela, sollev


il

coperta, e vide
il

l'ebano diventato avorio,


calce

caviale fior di latte,

carbone

vergine.

mentre,

bocca

aperta,

mirava queste

bellezze e contemplava la pi bella pennellata che la natura

avesse mai data sulla tela della meraviglia,

il

bel giovane

si

dest e prese a bestemmiare Parmetella, gridando:

Oim,

per colpa tua debbo stare

altri

sette anni in questa penitenza

maledetta
il

per

te,

che con tanta curiosit hai voluto mettere


corri,

naso nei segreti miei! Va',

rompiti

il

collo,

che tu

non mi possa pi comparire

innanzi, e torna ai tuoi stracci,


la

che non hai saputo conoscere


Cosi dicendo, dilegu
Parmetella, abbassando
il

fortuna tua.
vivo.

come argento

Fredda e
e,

gelata,

capo, usci da quella casa;

pervele

nuta che
disse:

fu

fuori della grotta, incontr

una

fata, la

quale

figlia

mia, quanto mi piange l'anima per

la disgrazia

tua!

Tu

vai al

macello, dove questa tua sciagurata persona pas(');

ser pel ponte del capello

e perci, per rimedio

al

tuo peri-

(i)

Ricordo del ponte al

sirat , gettato

proprio sul mezzo dell'insottile

ferno, e che era pi stretto di

un capello e pi
le

del

filo

di

una

spada, sul quale dovevano passare a prova

anime; secondo alcune

credenze maomettane.

G. B. liAblLK, PtiUxxmatiine

li.

290

GIORNATA QUINTA

colo, prendi queste sette fusa, questi sette fichi e quest'alberello


di miele, e queste sette

paia di scarpe di ferro, e

cammina
consume-

tanto, senza fermarti mai, finch le scarpe

non

si

ranno, e tu non vedrai

al

balcone di una casa sette femmine,


basso, col
filo

che staranno a ad ossa

filare dall'alto in
e,

ravvolto intorno

di morti;

allora, sai

che devi fare? Stattene ben


filo

acquattata, e, zitto zitto,

quando

il

vien gi e tu levane l'osso


il

e mettici

il

fuso avuto da me, e, al posto della cocca,


il

fico.

ti

il

dolce, diranno: A chi Quelle, tirandolo in alto e sentendo sua venturuzza; ha addolcito la mia boccuzza, sia addolcita e, dopo queste parole, l'una appresso dell'altra dir: O tu, che mi hai portato queste cose dolci, lasciati vedere; e tu risponderai: Non voglio, che mi mangi e quelle diranno: Non mangio, se Dio mi guardi mestolo; e tu piedi e sta dura; ed esse continueranno: Non punta mangio, se Dio mi guardi lo spiede; e tu salda, come se barba. Ed esse replicheranno: Io non facessi far mangio, se Dio mi guardi la granata; e tu non creder loro mangio, se Cielo mi guardi nulla. E se dicessero: Non bocca e non bisbigliare, perch pitale; e tu chiudi In ultimo diranno: Se Dio mi farebbero evacuar mangio; e allora va' su e guardi Tuoni-e-lampi, non
la
;

ti

il

ti

la

ti

ti

il

la

ti

la vita.

ti

sta'

pur sicura, che non

ti

faranno male.

Avuta questa
per
valli

istruzione, Parmetella cominci a

camminare,

e per monti, tanto che le scarpe di ferro in capo


si

a sette anni

consumarono. E, giunta a un gran casone,


le sette
le

dov'era una terrazzina sporgente, vide


filavano;
e,

femmine che
aveva consiin ultimo
sali.

adempiuto esattamente quanto

gUato

la fata,
il

dopo molli spiamenti e nascondimenti,


si

ottenne

giuramento di Tuoni-e-lanipi,
quelle sette

mostr e

Ma,

non appena

femmine l'ebbero davanti,

tutte

insieme

IV.

IL

CEPPO d'oro

291

gridarono;

Ah, cagna

traditora!

Tu

sei la

causa che nostro

fratello sia stato sette

anni in una grotta, lontano da noi, in

forma
parci

di
il

uno schiavo.
ci

Ma non
hai
il

dubitare, che, se con lo strapalla gola, alla

giuramento

messo un sequestro

prima occasione sconterai

nuovo ed

il

vecchio! Per ora, nala

sconditi dietro quella madia; e,


la
le

quando viene

madre

nostra,

quale senz'altro t'inghiottirebbe, tu

le va' dietro le spalle,

e afferrale

poppe, che porta come bisacce dietro


ti

e tira quanto

puoi e non lasciarle mai, finch non


di

giura per Tuoni-e-lampi

non

farti

male

Anche questo
e
colei,

fu

adempiuto punto per punto da Parmetella;


la

dopo aver giurato per


l'attaccapanni ('\

paletta del

fuoco,

per

la

pergoletta, per
liera,

per l'aspo,

per

la

rastrel-

finalmente giur per Tuonie-lampi; e allora essa lasci


le

andare

poppe e

si

fece vedere dall'orca.

La quale

le disse:

Me

l'hai fatta!
ti

Ma

solca diritto, traditora, che alla prima

pioggia

far portare via dalla lava!^^>.


fuscelli l'occasione di trangugfiarsela,

E, cercando coi

un
in-

giorno prese dodici sacchi

di

legumi confusi e mescolati


piselli,

sieme, che erano ceci, cicerchie,

lenticchie,

fagioli,

fave, riso e lupini, e le disse: Tieni, traditora, prendi questi

legumi e
dall'altra:

nettali

in

maniera che ogni qualit


la

stia

separata

che se per stasera

cosa non

fatta,

io

mi

t'in-

ghiotto

come una zeppola


mia

di tre calli! .

La povera Parmetella,

sedutasi a pie dei sacchi, piangeva:


si

Mamma

bella,

oh quanto mi
la

inceppato dentro

il

ceppo d'oro! Questa

volta che la mia causa sar spedita!

(i)

Testo:
i

paggesa

(da paggio), che quell'arnese a cui

si

ap-

piccano
(2)

panni per
I,

batterli e

che

toscani

chiamano servitore.

V. sopra,

107, n. 2.

2g2

GIORNATA QUINTA
af-

Per vedere una faccia nera diventata bianca, questo cuore


flitto

diventato strofinacciolo

Oim, sono
di

distrutta,

sono an-

data,

non c' pi rimedio! Mi pare

momento
mi

in

momento

di star gi nella golaccia di quell'orca fetida!


aiuti,

Non

c' chi mi

non

c' chi

mi

consigli,

non

c' chi

consoli! .

Mentre faceva questo piagnisteo, eccoti comparire Tuoni-elampi,


gli
il

quale aveva terminato


e,

l'esilio della

maledizione che

era caduta addosso,

bench stesse adirato con Parmeil

tella,

non poteva mutare


questo funerale,
le

sangue in acqua. E, vedendola


Traditora, che cos'hai che
il

fare

disse:

piangi? .
dre, e
sela.
il

Ed

essa

gli

raccont

malo trattamento
di sventrarla e
fa'

della

ma-

fine

che voleva conseguire


le

mangiar-

Tuoni-e-lampi

rispose: Levali,

animo, che non sar


tutti
i

quel che temi;

e, al

tempo

stesso,

spargendo

legumi
li

per terra, fece piovere un diluvio di formiche, che subito

cominciarono a scegliere e ad ammucchiare separatamente:


tanto che Parmetella, raccogliendo ogni qualit da parte,

ne

riempi

sacchi.
stata

Tornata l'orca e trovato che l'opera commessa era


eseguita,
sti

per disperarsi: Quel cane di Tuoni-e-lampi


bel servigio!

mi ha reso questo

Ma

tu

mi pagherai

lo scapito!

Prendi questi gusci di fustaggine, che servono per dodici


materassi,
altrimenti,

e
ti

fa'

che per questa sera siano pieni


.

di

piume;

scanner

La sciagurata prese quei


cominci
chi
il

gusci, e, sedutasi per terra,

ri-

lamento, martoriandosi tutta e facendo degli oc Traditi

due fontane; quando comparve Tuoni-e-lampi.

tora,

le
al

disse

non

piangere:

lascia

fare

me, che
i

conduco

porto. Sciogli le chiome,

stendi a terra

gusci

di materassi, e
il

comincia a lacrimare e a gridare, che morto

Re

degli uccelli; e vedrai che cosa accadr.

IV.

IL

CEPPO d'oro
d'uccelli,

293

Partnetella

fece
i

cosi;
quali,

ed ecco un nugolo
battendo
le
ali,

che

oscurava
ciuffo

l'aria,

facevano cadere a

a ciuffo"^
i

le

penne, tanto che, in minor termine di


il

un'ora,
fatto,

materassi furono pieni. E, venuta l'orca e visto


gonfi
di
tale

si

rabbia

che

crepava

pei

fianchi.

Tuoni-e-lampi

grid mi
di

ha preso a seccare!
la

Ma

ch'io

sia trascinata a

coda

scimmia se non
.

colgo a un passo,

dal quale non potr scappare!

E disse a
e
dille

Parmetella: Corri, precipitati a casa di mia sorella,


gli

che mi mandi

strumenti musicali, perch ho sposato

Tuoni-e-lampi, e vogliamo fare un festino da re. E,


un'altra via,

per
la

mand ad

avvertire la sorella che,

venendo

traditora a chiedere la musica, l'ammazzasse subito e la cuci-

nasse, perch sarebbe andata a mangiarla in sua compagnia.

Parmetella, che
rallegr
bonirsi.
tutta,

si

vide comandare servigi pi leggieri,


il

si

credendo che

tempo
i

fosse cominciato a rab-

Oh, come sono

storti

giudizi

umani! Ma, incontrato


filare

per istrada

Tuoni e-lampi,

questi,

vedendola
povera
te!

di

buon

passo, l'arrest:
vai al

Dove

sei avviata,
i

Non

vedi che
il

macello e

ti

fabbrichi da te

ceppi, aguzzi tu stessa


sei

coltello, tu stessa

stemperi

il

veleno? che

mandata

all'orca

sorella perch

ti

mangi.

Ma

ascoltami e non dubitare: prendi


di

questo pane, questo fascio


sarai arrivata a casa di
ti

fieno e questa pietra; e,


zia,

quando

mia

troverai

un cane corso, che

verr contro abbaiando


gli turi la
ti si

per morderti; e tu dagli questo pane,


il

che

gola;

dopo

cane, troverai un cavallo .'scapolato,

che

lancer contro per colpirti a calci e calpestarti, e tu getgli

tagli

questo fieno e

metterai

le

pastoie ai piedi; finalmente.

(i)

Testo:

editori:

a cuoffo a cuoffo , malamente a ccuofano a ccuofano .

corretto dai posteriori

294

GIORNATA QUINTA
sempre
sbatte,

troverai una porta che

tu

puntellala

con

questa pietra, che

le toglierai la furia.

Poi

sali e troverai l'orca


il

con una bambina


per
arrostirti;

in braccio,
ti

la

quale ha gi acceso

forno

ed essa
la

dir:

Tienimi questa creatura,


ma
sappi che, invece,

che
va

vado su a prendere
ad
la
affilarsi

musica;

le

zanne per sbranarti a pezzo a pezzo; e tu getta


piet,

bambina nel forno senza

che carne d'orca, e prendi


la

gl'istrumenti musicali, che stanno dietro

porta e svigna,

prima che ridiscenda


verti

l'orca;

altrimenti, sei perduta.

Ma

av-

che stanno in una scatola, che tu non devi aprire, se


e sopraguai .
tutto

non vuoi guai

Fece Parmetella
morato;

quanto
aperse

le la

aveva consigliato l'innascatola,

ma,

al

ritorno,

e subito vedesti

volare di qua un flauto, di l una cennamella, da una parte

una sampogna, dall'altro^un chiuchiaro(i), che facevano per


l'aria

ogni sorta di suoni; e Parmetella dietro a loro, graffian-

dosi la faccia. In questo, scese l'orca e,


facci alla finestra e grid
tora! ;
alla

non trovandola,
Schiaccia
la

s'af-

porta:

tradi-

ma

la

porta rispose:

Non

voglio far male alla svenal

turata,
la

che mi ha puntellata
; e
il

grid

cavallo: Calpesta

malandrina!

cavallo rispose:

Non

voglio calpestarla,

perch
il

m'ha

dato

il

fieno a rosicchiare.
il

E
.

chiam,

infine,

cane:

Mordi

la vigliacca! , e

cane rispose: Lasciala


pane!
gli

andare, poverella, che mi ha dato

il

Correva Parmetella, gridando dietro


scontr Tuoni-e-lampi, che
traditora!
le

strumenti,

quando

fece

un gran rimbrotto:

O
E

Non

hai ancora appreso a spese tue che, per coti

testa maledetta curiosit, sei nello stato in cui

trovi?.

chiam a

fischio gli strumenti

di

musica e torn a

serrarli

nella scatola, e le disse di portarli alla

mamma.

(i)

Istrumento rusticano da

fiato.

IV.

IL

CEPPO d'oro
esclam a gran voce:

295

Questa, quando
crudele!
luto

la vide,

Oh
la

sorte

Anche mia

sorella

mi

contraria, che

non ha vosposa

darmi questo contento!

. Intanto,

sopraggiunse

novella, che era una peste, un canchero, un'arpia, una mal'ombra,

camusa, musuta, cisposa, sgangherata,


fiori

tutta

impalata,

che con cento


aperta.

e
le

frasconi
die

pareva

una taverna nuova


e,

La suocera

un gran banchetto;

poich but-

tava

fiele,

fece apparecchiare la
figlie,

mensa presso un pozzo, e

intorno le sette

ciascuna con una torcia in mano, e Par-

metella con due torce, seduta sull'orlo, con disegno che, ve-

nendole sonno, farebbe

il

capitombolo in fondo all'acqua.


il

Ora mentre

piatti

andavano e venivano e

sangue comin-

ciava a scaldarsi. Tuoni e-lampi, che stava


tenta, disse a Parmetella:

come sposa malcon.

traditora,

mi vuoi bene?

Ed

essa rispose:

Fin su

al

comignolo!.

quegli
essa:

replic:

Se
la

mi vuoi bene,

dammi un bacio. Ed
con salute e
vede che
fai

Dio me
Dio
te
.

ne scansi, lontano

sia!

Bella roba che hai accanto!


figli

mantenga
la

di qui a cent'anni,
<-<

maschi!

sposa intervenne:

Ben

si

sei

una sciagurata,

se anche campassi cent'anni, che

la

schifiltosa a baciare
lasciai ba-

un giovane
ciare sulle

cosi bello; e io, per

due castagne, mi
<')

due guance a

pizzicotti

da un pecoraio!. Lo
e

sposo, che udi questa bella prova, s'irrit

gonfi

come

rospo e

il

mangiare

gli rest in gola: tuttavia fece della trippa

cuore, e inghiotti la pillola col pensiero


e saldare la partita.

di

far

poi

conti

Levate
la

le tavole,

mand

via la

mamma

e le sorelle, ed esso,

sposa e Parmetella restarono insieme per andarsi a cori-

(1)

Testo: vasare a pezzeciiille


*.

>,

che

in

Toscana

si

dice baciare

al!a

francese

296
care; e,

GIORNATA QUINTA
mentre
egli si faceva scalzare

da Parmetella, disse
ritrosa
la

alla

sposa: Moglie mia, hai visto

come questa

mi ha ne-

gato un bacio?.
rarsi

Ha

avuto torto

replic

sposa

a
io

ti-

indietro,

essendo tu cosi bel giovane, quando


feci

per

due castagne mi

baciare da un guardapecore

Non

pot pi oltre frenarsi Tuoni-e- lampi e con lampi di


di fatto, montatagli la

sdegno e tuoni

mostarda
e,

al

naso, mise

mano

un

coltello e

scann
poi,

la

sposa,

scavata una fossa nella


le

cantina, la sotterr; e

abbracciata Parmetella,
il

disse:

Tu

sei la gioia mia, tu sei

fiore delle

donne,

lo

specchio
!a

delle persone onorate; e perci volgimi gli occhi,

dammi

mano, appressami
esser tuo finch
il

la

bocca, stringiti
sar

al

mio cuore, che voglio

mondo

mondo.
il

Cosi

si
i

coricarono e stettero in godimento, fintanto che


cavalli
di

Sole lev
a

fuoco dalla stalla d'acqua e


dall'Aurora;

li

cacci

pascere pei campi seminati

quando, venuta

l'orca

con

le

uova fresche per

ristorare gli sposi e dire: Beato


,

chi

si

sposa e prende suocera!

trov Parmetella abbracciata

col figlio, e apprese

come

la

cosa era andata.


per concertare
il

Corse allora
levarsi

difilato alla sorella

modo
figlio

di
vi

quel

pruno dagli occhi suoi senza che

il

s'opponesse;

ma

trov che quella, pel dolore della


s'era infornata anch'essa,
tutto
il

figlia aril

rostita nel forno,

talch

puzzo

di bruciaticcio

ammorbava

vicinato.

La sua

dispera-

zione fu tale che da orca divent montone, e cozz nei muri


tante e tante volte che alfine vi schizz le cervella.

Tuoni-

e-lampi, messa pace e amicizia tra le cognate e Parmetella,


sa ne stette contento e lieto con la moglie, riconoscendo vero
il

motto che
chi la dura la vince.

TRATTENIMENTO QUINTO

SOLE, LUNA E TALIA

Talia,

morta per una


re,

lisca di lino, collocata in

un palazzo, dove con


essi tutti nelle

un

che

vi capita,

genera due

figli.

Vengono
i

mani da

della regina gelosa, che

comanda che

figli
il

sieno cotti e dati


i

mangiare

al

padre e Talia bruciata.

Ma

cuoco salva

figli

e Talia

liberata dal re, che fa gettare la moglie nel

fuoco apparecchiato

per quella.

Il

caso delle orche avrebbe potuto indurre qualche brivido

di compassione;

ma
le

fu

causa invece

di

compiacimento,

ral-

legrandosi
di

tutti

che

cose di

Parmetella fossero riuscite meglio

come

si

pensavano. Toccava ora a Popa di ragionare, ed


alla staffa,

essa,

che stava gi coi piedi

cosi disse:

cosa sperimentata che, per

lo pi, la crudelt serve

da

boia a colui stesso che l'esercita, n s' visto mai

che chi

sputa in Cielo non

gli

torni in faccia.

il

rovescio di questa

medaglia, l'innocenza, uno scudo di

fico, sul

quale

si

spezza
che,
si

lascia

la

punta ogni spada


si

di

malignit, per

modo

quando un pover'uomo
vede risuscitare

crede morto e seppellito, allora

in carne e ossa:

come

udirete

nel

racconto

che

dalla botte della

memoria,

col succhiello di questa lingua,

sto per spillare (>.

(i)

Questo capoverso manca

nella

stampa originale del

1636, pel Bel-

anche nella ristampa del 1644, pel Cavallo; ma, poich si trova nelle edizioni posteriori, o deriva da qualche stampa intermedia riveduta
trano, e

298

GIORNATA QUINTA
il

C'era una volta un gran signore,

quale, essendogli nata


tutti
i

una

figlia,

a cui die

nome

Talia, fece venire

sapienti

e gl'indovini del suo regno perch le dicessero

la

ventura.

Costoro, dopo vari consulti, conclusero che essa era esposta


a gran pericolo a causa di

una

lisca di lino.

il

re proib

che in casa sua entrasse mai

lino

o canapa o

altra

roba

si-

mile, per evitare ogni cattivo incontro.

Ora, essendo Talia grandicella e stando


passare una vecchia che
filava; e,

alla finestra,

vide

poich non aveva mai visto


il

n conocchia n fuso, piacendole assai quel danzare che

fuso faceva, fu presa da curiosit e la fece venir su, e, tolta


in

mano

la

rocca, cominci

stendere

il

filo.

Ma, per

di-

sgrazia,

una

lisca le entr nell'unghia e subito

cadde a terra

morta. La vecchia, a tanta disavventura, scapp che ancora


salta a precipizio

per

le scale;

e lo

sventurato padre, dopo

aver pagato con un barile di lacrime una secchia di asprinio,


colloc la morta Talia in quello stesso palazzo, che era
in

un bosco, seduta su una sedia


chino di broccato. Poi, serrate
la casa,
le

di velluto, sotto

un baldac-

porte,

abbandon per sempre

cagione di tanto suo male, per cancellare in tutto e


dalla

l)er tutto

memoria

la

sciagura sofferta.

Dopo qualche tempo,

a un re, che

andava a caccia per

quei luoghi, sfuggi un falcone e vol a una finestra di quella


casa; n tornando al richiamo,
il

re fece picchiare alla porta,

credendo che

la

casa fosse
il

abitata.

Ma, dopo aver bussato


scala

invano lunga pezza,

re,

domandala una
la

da vendem-

miatore, volle di persona scalare

casa e vedere che cosa

sul manoscritto dell'autore, o,


tori

com' pi

probabile, fu aggiunto dagli edi-

posteriori

per supplire alla evidente lacuna della considerazione

morale introduttiva.

V. SOLE,

LUNA E TALIA

299

ci

fosse dentro. Salito ed entrato, rimase stupito,

non trovando
alla

in

nessun luogo persona vivente;

e,

in

ultimo, giunse

camera, dove stava Talia come incantata.


Il

re,

credendo che dormisse,


in s, per

la

chiam. Ma, non

ritor-

nando quella

quanto facesse e gridasse,


la

e, intanto,

essendosi egli acceso di quelle bellezze,

port di peso
e,
si

sopra un

letto

e ne colse
al

frutti

d'amore,

lasciandola

coricata, se

ne torn

suo regno, dove non

ricord pi

per lungo tempo di quel caso.

Dopo nove
da due

mesi, Talia partor una coppia di bambini, un

maschio e una femmina, due monili splendenti, che, governati


fate,

apparse in quel palazzo, furono da esse


della

posti alle

mammelle

madre.

una volta che


il

bambini,
si

volendo succhiare, non riuscivano a trovare


misero
lo in

capezzolo,

bocca proprio quel dito che era stato punto, e tanto


la lisca.
e,

succhiarono che ne trassero fuori


si

Subito parve che

Talia

svegliasse da un gran sonno;


il

vedutesi quelle due


la vita.

gioie accanto, porse loro

petto e
di

le

tenne care quanto


le

Ma non

sapeva rendersi conto

quel che

era accaduto,
figli

trovandosi sola sola in quel palazzo e con due

allato, e

vedendosi portare quel che


scorgere persona alcuna.
Il

le

occorreva per mangiare senza

re,

un giorno,
e,

si

ricord

dell'avventura

con

la

bella

dormente,
luoghi,

presa occasione da

una nuova caccia


ritrovata

in quei

venne a vederla. E, avendola

desta e con

quei due prodigi di bellezza, ne ebbe un piacere da stordire.

Talia raccont allora chi egli era e

come

era andato

il

fatto;

e fecero tra loro amicizia e lega grande, ed egli rimase parecchi giorni in sua compagnia. Poi
si

accommiat con proal

messa

di venirla a

prendere e condurla

suo regno;

e, ini

tanto, tornato a casa sua, nominava a ogni ora Talia e

figli.

^OO

GIORNATA QUINTA
sulla

Se mangiava, aveva Talia


questi erano
i

bocca, e Sole e
si

Luna (che

nomi

dei bambini); se

coricava, chiamava

l'una e

gli

altri.

La moglie

del re, che gi dall' indugiare

il

marito a caccia

aveva avuto qualche lampo


di Talia,

di sospetto, a queste invocazioni


di

Luna

e Sole fu presa da altro calore che


il

sole;

e perci, chiamato

segretario,

gli

disse:

Ascolta, figlio
porta,

ti

mio: tu

stai tra Scilla

e Cariddi('), tra lo stipite e la

tra la grata e la sbarra.

Se

tu

mi

dici di chi
la

mio marito
verit,

innamorato,
fo

ti

fo ricco; e,

se

mi nascondi

non

pi trovare n morto n vivo .

colui,

da una parte

sconvolto dalla paura, dall'altra tirato dall'interesse, che

una

fascia agli occhi dell'onore,

una benda

della giustizia, e vino vino.


in

uno

sferracavallo della fede, le disse

pane pane

Allora

la

regina

mand

lo stesso

segretario

nome
i

del

re a Talia, facendole dire

che

egli

voleva rivedere

figli;

ed

essa,

con grande
li

gioia, glieli invi.

Ma
al

quel cuore di Medea,

tosto che

ebbe

tra le

mani, ordin

cuoco

di scannarli e

farne diversi manicaretti e salse per darli a mangiare al mi-

sero padre.
Il

cuoco, che era tenerino di polmone,

al

vedere quei due


alla

aurei

pomi
li

di bellezza,

ne senti piet,

e, affidatili

moglie

perch

nascondesse, apparecchi due capretti in cento varie

pietanze.
le

Quando
e,

fu

l'ora del desinare, la regina fece portare


il

vivande;

mentre

re

mangiava
la

di

gran gusto, escla-

mando: Com' buono questo, per

vita di

Lanfusa!, o
, essa

Com'
re,

saporito quest'altro, per l'anima di

mio nonno!
del

10 incoraggiava, dicendogli:
11

Mangia, che mangi

tuo
pn-

per due o tre volte,

non

fece attenzione a queste

(i)

Testo: fra Sciglia e Scariglia.

V. SOLE,

LUNA E TALI A

3OI

role;

ma

poi,

udendo

la

musica che continuava, rispose:


tu

So

bene che mangio del mio, perch


in questa
villa

non

hai portato niente

casa. E, levatosi con collera, se ne and a una

poco lontana per acquietarsi.


sazia la regina di quanto credeva di aver fatto,
il

Non ancora
mand
di

nuovo
il

segretario a chiamare la stessa Talia, col

pretesto che

re l'aspettava; ed essa
la

venne immediatamente,

desiderosa di trovare
il

sua luce e non sapendo che l'attendeva

fuoco. Condotta innanzi alla regina, costei, con


le disse:

un volto

da Nerone, tutta inciprignita,

Sii

la

benvenuta, ma-

dama Troccola! Tu
che
ti

sei quella

fine

stoffa, quella

buon'erba

godi mio marito?

Tu

sei

quella cagna malvagia, che

mi

fa stare

con tante giravolte


ti

di

capo? Va', che


il

sei

giunta

al

purgatorio, dove

far scontare

danno che mi hai

fatto! .

Talia cominci a scusarsi che


il

la

colpa non era sua e che


territori

marito aveva preso possessione dei suoi

mentre

essa era adoppiata.


e, fatto

Ma

la

regina

non

volle intendere scuse,

accendere in mezzo

allo stesso cortile del palazzo


la

un

gran fuoco,

comand che ve
si

gettassero dentro.

La misera, che
lei, la

vide perduta, inginocchiatasi dinanzi a

supplic che

le

desse almeno tanto tempo da spogliarsi

dei vestiti che aveva addosso.

la

regina,

non tanto per miquegli

sericordia verso la sventurata quanto per risparmiare


abiti ricamati

d'oro e

di perle,

le

disse: Spogliati, che mi

contento

Cominci Talia a
si

spogliarsi, e a ogni pezzo di vestito clie

toglieva dalla persona gettava


la

uno
e

strido; tanto
il

che, esfu

sendosi gi tolta
a togliersi
stesso
la
il

roba,

la

gonna

giubbone, quando

sottanino, gett l'ultimo strido, mentre al


la

tempo

trascinavano a fare
le

cenerata per l'acqua bollente


in

da lavare

brache a Caronte. Ma,

quel punto, accorse

il

302
re,

GIORNATA QUINTA
che, visto lo spettacolo, volle sapere tutto l'accaduto. E,
dei
figli,

avendo domandato
rinfacciava
il

udi dalla stessa moglie, che

gli
fatti

tradimento

usatole,

come

glieli

avesse

mangiare.
Il

re

si

die

in

preda

alla

disperazione.
delle
la

Dunque, sono
mie pecorelle?

stato io stesso

gridava lupomannaro
le

Oim, e perch
stesso sangue?

vene mie non conobbero

fontana del loro


ferocia stata

Ah, turca rinnegata, e quale


i

la tua? Va', che tu raccoglierai

torsoli,
la

e non mander copenitenza! .

testa faccia di tiranno al

Colosseo per
la

Cosi dicendo, ordin che

regina fosse gettata nello stesso


il

fuoco acceso per Talia, e insieme con essa


era stato maniglia di questo tristo giuoco

segretario, che
tessitore

della

malvagia trama; e voleva fare


credeva avesse
tritato

il

medesimo
i

del cuoco,
suoi.

che

con

la

coltella

figli

Ma

questi

gli si gett ai piedi

e gli disse: Veramente, signore,

non

ci

vorrebbe

altra piazza

morta pel servigio che


ci

ti

ho reso che una


di

calcara di bragia;

non
ci

vorrebbe altro aiuto

costa che
di

un palo

dietro;

non

vorrebbe altro trattenimento che


'^');

storcermi e rattrappirmi nel fuoco

non

ci

vorrebbe altro

onore che
di

di
!

veder mischiate

le

ceneri di un cuoco con quelle


il

una regina

Ma non
i

questo

ringraziamento che attendo


fiele di

per averti salvato

figli,

a dispetto di quel
al

cane, che

voleva

farli

uccidere per restituire

corpo tuo quello che era

parte dello stesso corpo .


Il

re,

che udi queste parole, rest

fuori di s e gli
le

pareva di

sognare, n poteva credere quello che

sue orecchie senti-

(i)

Piazza morta, aiuto di costa, trattenimento, sono

tutti

termini di origine spagnuola, gi di sopra spiegati, relativi a pensioni e


sussidi militari.

V. SOLE,

LUNA E TALIA

303

vano. Poi, rivolto


salvato
spiedi e
i

al

cuoco, disse: Se vero che


ti

mi hai
gli

figli,
ti

sta'

pur sicuro che

toglier

dal

girare

porr nella cucina di questo petto a girare, come


le

a te piacer,

voglie mie, dandoti premi

tali

che

ti

chia-

merai

felice al
il

mondo

Mentre
vide
il
il

re diceva queste parole, la

moglie del cuoco, che


al

bisogno del marito, port Luna e Sole dinanzi

padre,

quale, giocando a tre

con

la

moglie e
l'altro.

figli,

faceva muli-

nello di baci or
al

con l'uno or con


gentiluomo suo

E, data grossa mancia


si

cuoco e

fattolo

di

camera,

prese in moglie
i

Talia, la quale godette lunga vita col marito e

figli,

cono-

scendo a

tutta

prova che

quei ch'ha ventura, il bene anche dormendo, ottiene.

TRATTENIMENTO SESTO

LA SAPIA

Sapia,

figlia di

luccio, figlio del re, che

una grande baronessa, fa diventare uomo accorto Carnon voleva intendere lettere; il quale, per
prende
figli,

uno

schiafio che gli die Sapia, determinato a vendicarsi, se la


strazi,

per moglie; ma, dopo mille


si

avutine senza saper nulla tre

rappacia con

lei.

Molto gioirono

il

principe e
le

la

principessa,
la

quando videro
quale non cre-

giungere a buon termine

cose di Talia,

devano mai che,


e,

colpita

da tante burrasche, trovasse porto;


il

dato poi ordine a Giulia di sfoderare

suo racconto, que-

sta cosi vi

mise mano:

Di

tre specie

sono

al

mondo

gl'ignoranti, che meriterebil

bero l'uno pi dell'altro di esser posti in un forno:

primo,

che non

sa;

il

secondo, che non vuol sapere

(');

il

terzo,

che

pretende di sapere. L'ignorante, del quale debbo parlarvi,


della

seconda specie,
il

il

quale,

non volendo

farsi
e,

entrare nel

cervello

sapere, odia chi glielo insegna,


la

nuovo Nerone,

cerca di chiudergli

via del pane.


figlio

C'era una volta un re di Castelchiuso, che aveva un


cosi duro di testa che

non
e,

c'era rimedio che volesse tenere


si

a mente l'A B

D,

sempre che
di

parlasse di leggere e

d'imparare, faceva cose

fuoco; e

non giovavano sgridate


di

n bastonate n minacce a correggerlo,

modo che

il

po-

(i) Testo:

non p sapere

ma

dev'essere una svista per

non vo

VI.

LA SAPIA

305

vero padre stava gonfio come rospo e non sapeva qual partito

prendere per svegliare l'ingegno

di
ai

questo

figlio

sciagu('),

rato e

non

lasciare

il

regno
la

in

mano

Mammalucchi
il

codi

noscendo impossibile

lega tra l'ignoranza e

dominio

un reame.
In

quello

stesso
il

tempo,

c'era
al

la

figlia

della

baronessa
tre-

Cenza, che, per


dici anni,

molto sapere
il

quale era pervenuta a


di

s'era acquistata

nome

Sapia.

Il

re,

a cui
affi-

furono dare
il

riferite le

virtuose qualit di
alla

lei, si

determin ad

figlio

suo

baronessa, affinch lo facesse istruire


la

dalla figlia,

pensando che con

compagnia
infatti,

e la gara della

giovinetta avrebbe profittato.

Sapia,

appena
la

fu

per-

venuto

in

quella

casa,

cominci

insegnargli

Santa

Croce

(2^;

ma, vedendo che


spalle,

tutte le belle parole quegli se le


gli

gettava

alle

le

buone ragioni
uscivano,
le

entravano per un
la

orecchio e dall'altro

gli

scapp

pazienza e

gli

appicc una

ceffata.

Fu
(come

tanta
si

l'impressione che
il

di

questo

prov Carluccio
fatto
e,

chiamava

principe) che ci che

non aveva

per
in

persuasione e carezze, fece per vergogna e dispetto;

breve tempo, non solo seppe leggere,

ma and

tant'oltre nella

grammatica, che ne apprese

tutte le regole;

sicch
altri

il

padre

lo lev da quella casa e gli fece compiere gli


alti,

studi pi

in

modo che divenne


quello
schiaffo,

il

pi istruito
gli

uomo

del regno.
egli,

Ma

che Sapia

aveva dato,
occhi;

ve-

gliando, lo teneva

sempre innanzi

agli

dormendo, se

(i)

Qui nel senso

storico; di guerrieri

che usurpano

il

regno; e

non

gi in quello che la i>arola, pel suo suono, aveva preso in italiano

familiare, di sciocconi.
(2)

L'abecedario.

G. B. Basilk, Fenlamrrone

il.

ao

3o6
lo

GIORNATA QUINTA
di

sognava: tanto che fece pensiero o

morire o

di vendiil

carsi.

Venne

Sapia, in questo

tempo, a et da marito; e

principe che
dette,

aspettava, attento, l'occasione di far le sue venal

disse

padre: Signor

mio, io confesso d'avere

ri-

cevuto l'essere da voi, e perci vi porto obbligo altissimo;

ma

a Sapia, che

m'ha

dato l'essere bene, mi conosco

altret-

tanto o'obligato; e perci,

non trovando maniera bastevole a


la vorrei
(')

pagarle tanto debito, se a voi non spiace,

per mo-

glie, assicurandovi che mettereste una quota

sulla

persona

mia

.
re,

Il

udendo questa risoluzione

del

figlio,

gli

rispose:

Figlio mio, quantunque Sapia non

sia di quel casato


la

che

dovrebbe avere una moglie per


in bilancia col

te,

pure

virt sua,

posta

sangue nostro,

lo fa tanto calare,

che questo

partito

si

pu stringere. Dunque, tu contento e io pagato .


la

E
e

cosi,
si

chiamata
il

baronessa,

si

scrissero subito

capitoli

celebr

matrimonio con

festa

conveniente a un signore

grande.
Carluccio chiese in grazia
al
il

re
re,

un appartamento separato
per contentarlo,
gli fece

per abitar con


fare

la

moglie; e

un palazzo

bellissimo. Egli vi condusse Sapia e ve la

restrinse in

una camera, dandole male da mangiare e peggio


quod peius, non pagandole
il

da bere,
si

e,

debito.

La misera
la

vide

la

pi disperata

donna

del

mondo: non sapeva


infliggeva,

causa

di

questo cattivo trattamento che

le si

quando appena

era entrata nella casa del marito.

Finalmente,

il

principe

si

rec a vedere Sapia nella ca-

mera che
titi

le

era prigione, e le
sullo

domand come
Sapia,

stava. Met-

la

mano

stomaco rispose

vedrai

come

(i)

Un'ipoteca

o, forse,

un'imposta.

VI.

LA SAPIA
fatto

307
la

posso

Stare.

Eppure non t'ho

cosa alcuna per

quale

tu abbi ragione di

trattarmi a questo

modo, come un cane.

qua! fine chiedermi in moglie, se volevi tenermi


il

come una
fa l'of-

schiava? . Rispose
fesa la

principe:

Non
chi
la

sai tu

che chi
la

scrive nella polvere, e

riceve,
facesti

incide nel

marmo?

Ricordati bene quel che

mi

quando m'inseio
ti

gnavi a leggere; e sappi che non per altro


per moglie, che per dar
dell'ingiuria ricevuta .
la

ho voluta

salsa alla vita tua e vendicarmi

Dunque

replic Sapia, raccolgo


io
farti
ti

male per aver seminato bene? Se


fu perch tu eri

detti quello

schiaffo,

un asino, e per
ti

diventar savio.
ti

Tu
ti

sai
fa

che chi
ridere .
Il

ti

vuol bene

fa

piangere e chi

vuol male

principe, se prima stava corrucciato per


in
furia,

il

ceffone, ora

mont

vedendosi rinfacciata l'ignoranza sua; tanto


si

pi che,

quando pensava che Sapia

sarebbe chiamata in

colpa, vide che, ardita


a pari. Perci
le

come un
le

gallo, gli rispondeva

da pari

volse

spalle e se n'and, lasciandola peg-

gio

di

come
la

l'aveva trovata.

alcuni giorni dopo, tornato

a vederla,

ritrov nella stessa disposizione d'animo, e se ne

parti pi irrigidito di

prima, risoluto di farla cuocere nell'ace di castigarla

qua sua come polpo


Intanto,
il

con

la

mazza

di

bambagia.

re

fece

cessione

dei

beni della vita sulle co-

lonne di
nanzio
di

un

letto funereo, e Cari uccio,


gli
stati,

rimasto domino domipigliarne

tutti

volle

andare a

possesso

di persona, e, poste in

ordine cavalcate di gente d'armi e di

cavalieri

degne

della sua corona,

con esse
la

si

mise

in viaggio.

La baronessa madre, che, saputa

vita stentata della figlia,


fatto

per riparare con previdenza allo sconcio aveva

scavare

un corridoio
reva
e

sotto al palazzo del principe, pel quale soccorla

ristorava

povera Sapia,

alla

notizia

che

si

era

308
sparsa
della

GIORNATA QUINTA
prossima partenza del nuovo
re,
la

apparecchi
figliuola di

cocchi e livree di grande sfoggio. Poi abbigli


tutto

punto e con una compagnia di


la

dame

per una via scorsi

ciatoia

fece

precedere
al

il

marito; sicch essa


il

trov un

giorno prima

luogo dove

re

doveva fermarsi e prese


lui destinato.

stanza in una casa di fronte


tutta

al

palazzo a
il

Stava

adorna

alla finestra,

quando

giovane

re,

veduto quel

fior fiore

della

pignatta delle Grazie, senza riconoscerla per

Sapia, se ne incapricci, e tante industrie adopr che infine

l'ebbe tra

le

braccia, e nel partire le lasci per


il

memoria
si

del

suo amore un bel monile. Sapia, quando

re

fu

allon-

tanato, per girare le altre parti del regno, se la svign a casa

sua, dove, a capo di

nove mesi,
il

partor

un

bel figlio maschio.

Al ritorno nella capitale,

re

and a vedere Sapia,

cre-

dendo

di trovarla

morta;

ma

la

vide pi fresca che mai e pi

che mai ostinata a


in
faccia,
fu

dirgli che, se essa lo

segn

di

cinque dita

per

farlo

savio

da asino che era.


la lasci
il

Onde

il

re

arse nuovamente di sdegno e

stare.

Ma, poich dov riprendere

viaggio per altre visite a

luoghi del suo regno, Sapia, aiutata dal consiglio della madre, ripet l'inganno e, godutosi
gioiello pel
alla luce.
il

marito, ne ebbe un ricco


che, a suo tempo, port

capo e un
lo ripet

altro figlio,

ancora una terza volta, e ne ebbe una


figlia

grossa catena d'oro e di pietre preziose, e una

femmina.

Quando, finalmente,
era morta, che,

il

re fece ritorno, apprese che Sapia

infatti, la

baronessa

le

aveva dato un sonni-

fero e fattala seppellire

come morta

e poi destramente ritoltala

dal sepolcro e nascosta nella casa sua. Egli tratt allora nozze

con una persona


al

di

grande casata, e condusse

la

nuova sposa
si

palazzo reale. Ma, nel meglio della strepitosa festa che

celebrava per quell'avvenimento, comparve

Sapia nella sala,

VI.

LA SAPIA

309

coi tre figlioletti ch'erano tre gioielli, e, gittatasi ai piedi del


re,
gli

chiese giustizia che

non privasse

della

corona quei

giovinetti,
Il

che erano sangue suo.

re stette per

un pezzo come uomo che sogna. Ma,


il

in-

fine,

scorgendo che

sapere di Sapia arrivava

alle stelle,

veduto presentarglisi, quando


gni
della

meno

se l'aspettava, tre sosteil

sua vecchiezza,

gli

s'intener

cuore. Quella

si-

gnora, che aveva

fatta venire, la die in

moglie a suo

fratello

con un grosso

stato,

ed esso

si

prese Sapia, facendo cono-

scere cosi alle genti del

mondo, che

il

saggio piega

a s

anche

le stelle.

TRATTENIMENTO SETTIMO
I

CINQUE FIGLI

Pacione

manda cinque
un
al
re,

figli

maschi pel mondo a imparare qualche

arte,

e tutti gli tornano con qualche virt, e insieme


figlia di

vanno a
colei

liberare la
casi,
il

rapita

da un orco. Ma, contrastando, dopo vari


da meritare
tutti

chi avesse fatto la migliore prova


re la

per moglie,

padre,

come

al

tronco di

quei rami.

Finito

il

racconto di Lucia e toccando a CiuUa di parlare,


e,

essa

si

acconci ben bene sulla sedia,


attorno, disse cosi:

dato con bella grazia

uno sguardo

gran cervello

di gatto chi si sta a

covar

la

cenere: chi

non cammina, non vede;

chi
fa

non vede, non


il

sa; chi

va girando,

diventa esperto; la pratica


gliericcio fa

medico e
vi

l'uscire dal
al

suo pa-

l'uomo sveglio: come

mostrer

cimento reale

del racconto che segue:

C'era una volta un gran dabbene uomo, chiamato Pacione,

che aveva cinque


nulla.
Il

figli

cosi

dappoco che non erano buoni a

povero padre, non potendo pi mantenerli a sue


risolse

spese,

si

un giorno

a levarseli dattorno, e disse loro:

Figli miei.
usciti dalie

Dio sa se

io vi
io

voglio

bene, che, infine, siete


la-

mie reni!

Ma

sono vecchio e poco posso


io vi

vorare; voi, giovani, che mangiate troppo, n


nutrire

posso pi

come

facevo prima. Perci andate a cercarvi padrone

e ad apprendere

qualche esercizio;
e,

ma

avvertite a

non im-

pegnarvi per oltre un anno,

passato

questo termine, vi

aspetto a casa, arricchiti di qualche virt.

VII.

CINQUE FIGLI

31I

figli,

udita questa risoluzione, presero commiato, e, por-

tati

quattro stracci da mutarsi, ciascuno

and per

la

sua strada,

cercando ventura. In capo all'anno, secondo l'appuntamento,


si

ritrovarono

tutti

alla

casa paterna, dove furono ricevuti con


il

grandi carezze,
li

e,

poich erano stracchi e svigoriti,

padre

fece sedere a mangiare.

Nel meglio del mangiare,


figlio
e,

si

ud cantare

un uccello, e

il

pi piccolo
fu

si

lev di tavola e and fuori ad ascoltare;

quando

tornato e venne levata la tovaglia, Pacione coi

minci a interrogare

figli:

Orbene, consolate un po'


virt

il

mio

cuore, e sentiamo quale bella

avete

in

questo

tempo

imparata

.
il

Luccio, ch'era diventato

principe dei ladri, rispose:

Ho

imparato
dei furbi,

l'arte di sgraffignare, e
il

son ormai
il

il

protoquanquero

capomastro dei rubatori,


il

quarto dell'arte dei

marranchini, e non trovo

pari di

me, che con destrezza

so accimare e tirare ferraiuoli, avvolgere e portar via bucati,


frugare e alleggerire saccocce, rassettare e nettare botteghe,

scuotere e strappare borsellini, scoperchiare e vuotare casse,


che, dovunque arrivo,
fo

vedere miracoli a menare

il

ram-

pino

Bravo, per
in carte di

mia

rispose
far

il

padre:

tu

hai appreso

mercante a

cambio

di

contrappunti di vita con

ricevute di spalle, voltate di chiavi con gettate di remi, scalate


di finestre

con calate

di funi.
filatoio

Misero me, che meglio t'avessi


il

insegnato a girare un

che non avrei

filatoio in alla corte

corpo,

parendomi d'ora

in ora di

vederti in

mezzo

con un

coppetto di carta'') o, scoperto rame, messo a un remo, o,


se scappi a questo, vederti, infine, dar la volta con una corda .

(i)

Frustato dagli aguzzini con

la

mitra di carta sul capo.

312

GIORNATA QUINTA
detto,
si

Ci

rivolse a Tittillo, ch'era

il

secondo
.

figlio,

gli disse:

tu,

quale bella arte hai imparata?


,

fare

barche

rispose
il

il

figlio.

rata,

Meno male
di tanto

disse

padre,

perch questa arte onotu,

e puoi camparvi la vita.

Renzone, che

sai fare

capo

tempo?.
il

So

disse

figlio

tirare
il

cosi

bene

di balestra

che cavo

l'occhio a un gallo .

pure qualcosa
la

disse

padre,
il

perch
pane.

puoi vivacrivoltosi al

chiare con

caccia e procacciarti
la

quarto, gli fece

stessa

domanda.

So
morti
.

conoscere .disse lacuoco

un'erba che risuscita

Bravo, per la vita di Lanfusa!


sta la volta
la

esclam Pacione. Quela

che

ci

toglieremo

miseria e faremo campare


(').

gente pi del Verlascio di Capua


E, domandato all'ultimo
figlio,

Menicuccio, che cosa sa-

pesse

fare,

questi disse:
il

Io so intendere

linguaggio degli uccelli


il

Non senza che


ti

osserv
il

padre,

mentre

stavamo a
passero.

tavola,

levasti per sentire


ti

cinguettare di

quel

Ma, poich
di' su,

vanti di

comprendere quello che

essi dicono,

che cosa diceva quell'uccello che stava sull'albero?.

Raccontava

rispose

Menicuccio

che

un orco ha

ru-

(i) L'anfiteatro di

Capua, che

si

chiamava a quel modo (vedi l'opera


Be-

del

Mazzocchi, In mutilum Aniphilhealri Campani tilulum Comtnen-

tarius, Neap., 1727, pp. 135-9), ^^1


roiais, presso Erchemperto), che

nome certamente longobardico


si

dava

nel

medioevo a quegli

edifici

{bero-laz, Brengelass),
V.

anche

in altre parti d'Italia ( parlascio , ecc.):


z.

Davidsohn, Forschungen

lLeren Geschichte von Florenz (Berlin,

1896), pp. 15- 17.

si

diceva proverbialmente per cosa antichissima o

vecchissima.

VII.

CINQUE FIGLI

313

bato la
e non
gittare

figlia del re
si

d'Altogolfo e se l'ha portata a uno scoglio,


notizia alcuna di
la
lei,

pu aver

il

padre ha

fatto

un bando, che chi


.

trova e gliela riconduce, l'avr

per moglie

Se questo, siamo

ricchi

intervenne Luccio, perch


il

mi basta l'animo
Se
ti

di toglierla dalle granfie dell'orco .

confidi di farlo
re, e,

soggiunse
pur che
ci

vecchio,

andiamo

immediatamente dal
la

dia la parola di attenere


la

promessa, offriamogli di ritrovargli

figlia.

Con

questo accordo

fra tutti,

Tittillo

fabbric

subito una
la

bella barca; nella quale salirono e fecero vela per

Sarde-

gna, dove, ottenuta udienza dal re e offertogli di ricuperare


la figlia

Gianna, ebbero nuova conferma della promessa del

bando. Passarono allora


fortuna
l'orco
allo

scoglio, e
al

vi

trovarono per buona

che

dormiva
la

sole,
re.

avendo
Essa,

in

grembo,
vide aple

appoggiata con

la testa,

figlia del

come

pressarsi la barca, volle alzarsi per la gioia;


f'

ma

Pacione

cenno

di star zitta,

e,

posto un gran pietrone in


nella

grembo

all'orco,

fecero levare Gianna, la trassero

barca e co-

minciarono a dar dei remi nell'acqua.

Non
l'orco
gli
si

s'erano ancora troppo


svegli, e,
alla
si

discostati

dal

lido,

quando

non trovandosi vicino Gianna, abbass


la

occhi

marina e scorse
trasform
la

barca

che

la

portava
per

via.

Subito

in

una nuvola

nera, correndo
le

l'aria
arti,

per raggiungere

barca; e Gianna, che sapeva

sue
la
i

conobbe che veniva ravvolto nella nuvola, e fu tanta


la scosse,

paura che
figli

che appena

pot avvisare Pacione e

mori

di batticuore.

Renzone,

all'avvicinarsi della nugli

vola, afferrata la balestra, accec diritto

occhi dell'orco,

che per

lo

spasimo cadde

di tonfo nel

mare; ma, dopo essere

314
Stato tutto intento,

GIORNATA QUINTA
con
!e

pupille volte alla nuvola, nel ripor-

tare lo sguardo nella barca per vedere che cosa era accaduto
di Gianna, la trov coi piedi stesi, uscita fuori dal trucco della
vita.

Si strapp la barba Pacione,

esclamando: Ecco perduto


le

l'onore e

il

sonno; ecco gettate

fatiche al vento e le spefarci


farci

ranze

al

mare; perch questa andata a pascere per

morir di fame; questa ha detto:


avere
il

Buona
il

notte!

per
!

cattivo giorno; questa


il

ha rotto
delle

filo vitale

per fare

rompere a noi

flaccione
di

(>)

speranze nostre
riesce;

Ben

si

vede che disegno

pover'uomo non

ben

si

prova

che chi nasce sventurato, muore disperato! Eccoti liberatala


figlia del re; eccoti

tornato in Sardegna, eccoti la moglie prole

messa

in

premio; ecco

feste bandite; eccoti lo scettro, ec-

coti battuto col deretano sulla

nuda terra!.

lacuoco

stette
la

ad ascoltare questo piagnisteo, e in ultimo,


sul liuto

vedendo che

canzone durava troppo e che andava

del dolore contrappuntando fino alla rosa, gli disse: Piano,

messere, che noi vogliamo andare in Sardegna e star pi


e consolati di quel che tu credi .
Tale consolazione possa avere
il

felici

Gran Turco

rispose
al la

Pacione,

che,

quando noi porteremo questo cadavere

padre, ben ce ne far sborsare,

ma non

di danari, e

dove

gente muore col riso sardonico, moriremo noi col pianto sar-

donico

Zitto!
il

replic
Non

lacuoco:
ti

e dove hai mandato a pascol'arte

lare

cervello?

ricordi

che ho imparata io?


in

Sbarchiamo, e lasciami cercar l'erba che ho


altro

mente, e vedrai

che cianciafruscole

(i) Filo

da pesca.

VII.

CINQUE FIGLI
fiato,

315
l'abbracci,
al

Il

padre, a queste parole, riprendendo

e,

strappato com'era dal desiderio, dava strappate

remo,

tanto che in poco


Ivi

tempo arrivarono

alla

marina

di
e,

Sardegna.
tornato di

lacuoco discese e trov quel che cercava;


il

corsa alla barca, spremette

succo dell'erba in bocca a Gianna,


stata nella Grotta

che subito come ranocchia eh '

del

cane

e poi gettata nel lago d'Agnano^^), ridivent viva.


Cosi, allegramente,
salvata, e
il

si

presentarono
di

al

re

con

la

figliuola

re

non

sazi

abbracciarla e baciarla e di

ringraziare quella brava gente che gliel'aveva ricuperata. E,

facendo quelli istanza pel soddisfacimento della promessa,


disse
sto
il

re:

Si,

ma

a quale di voi debbo dare Gianna? Quesi

non

migliaccio, che

possa tagliare a
la

fette.

Perci
e gli
altri

giuocoforza che a uno tocchi


si

fava

della

torta,

spassino con lo stecchino

Rispose

il

primo dei

fratelli,

che era sagace: Signore,

il

premio deve darsi secondo


di noi pi merita

la fatica

compiuta. Vedete voi chi


fate la giustizia

questo bel boccone, e poi

che

vi

conviene
parli

Tu

da Orlando!
fatto

rispose

il

re.

Dunque,

raccon-

tate quello

che avete

acciocch io non vegga storto per

giudicare diritto .

Contate che ebbero ciascuno


a Pacione e
gli

le

prove sue,
che hai

il

re

si

volse

domand:

tu,

fatto in

questa fac-

cenda?

Mi pare

di avervi fatto assai


figli

replic

Pacione,

perch
ho
fatto

ho

fatto

uomini questi

miei, e, a forza di sproni,

(i)

La famosa Grotta

del cane, presso Nai>oli, nella quale

si

usa per

esperimento

far tramortire gli animali

nell'anidride carbonica, di cui

piena, tuffandoli poi nell'acqua del prossimo lago

d'Agnano per

ravvivarli.

3l6

GIORNATA QUINTA
sanno; altrimenti, sarebbero
frutti

loro apprendere le arti che ora


tanti cestoni,
Il

laddove paiono ora

cosi belli! .

re,

udita l'una parte e l'altra, masticate e ruminate le

ragioni di questo e di quello, e visto e considerato quel che

andava giusto, sentenzi che Gianna fosse data a Pacione,

come

origine prima della salvezza della figliuola.


cosi disse e cosi fu fatto, e, avuti
li
i

figli

un mucchio
la
si

di

tornesi che

mettessero a guadagno,

il

padre, per

grande
adatt

gioia, ridivent

come

giovinetto di quindici anni, e gli

a pelo

il

proverbio, che

tra

due

litiganti

il

terzo gode.

TRATTENIMENTO OTTAVO

NINNILLO E NENNELLA

lannuccio ha due

figli

dalla

prima moglie

quali, essendosi esso riam-

mogliato, sono odiati dalla matrigna, ed costretto a lasciarli in

un da

bosco. Sperduti e separati l'uno dall'altro, Ninnillo diventa caro


cortigiano di

un

principe; e Nennella, naufragando, ingoiata

un pesce

fatato;

ma, gettata poi sopra uno scoglio e riconosciuta

dal fratello, dal principe riccamente maritata.

Fermata
Paola, e,
pulitosi
il

la carriera

Giulia,

si

accinse

a correre

il

palio

dopo avere spurgato

la

voce con un bel raschio e


di lino,

naso con un moccichino nuovo

cosi die

principio

('^:

Misero quell'uomo che, avendo

figli,

spera di dar loro go-

verno col
casa
la

regalarli di

una matrigna, perch questa porta in

macchina

delle rovine loro,


di

non essendosi mai avuta


la

matrigna che mirasse

buon occhio

razza d'altri
si

e se pure
lo

se n' trovata qualcuna per disgrazia,


nel

pu mettere

stecco

buco e

dire che

sia stata

corvo bianco.

Io, fra tante


si

che

avete udito mentovare, vi parler

duna, che

pu mettere

(i)

Questo periodo un acconcime dei posteriori


cade qui
*

editori,

perch
tri-

l'ediz. originale

in

una
la

delle solite sviste, e anzi in

una

plice svista, leggendo:

Fermata

carrera Paula, se

mese npunto de

cor-

rere sto palio Carmosina,


tra,

dopo ch'appe laudato

assaie lo cunto dell'an-

ch'aveva depinto

cosi a lo naturale lo iudicio

de Sapia,

cossi disse.

3l8

GIORNATA QUINTA

nel catalogo delle matrigne senza coscienza; e voi la stimerete

degna

della pena,

che

si

compr a danari

contanti.

C'era una volta un padre chiamato lannuccio, che aveva

due
alle

figli,

Ninnino e Nennella,
la

ai

quali

voleva bene quanto


la

sue pupille. Ma, avendo


le

morte con

lima sorda spezsi

zato

inferriate del carcere dell'anima della moglie, egli


(');

prese una brutta strega, che era un pescecane maledetto


quale, tosto che ebbe

la

messo piede
di

nella casa del marito, costalla


(^)

minci ad essere cavallo

una
i

e a dire:
!

Sono

venuta, dunque, a spidocchiare

figli

di un'altra

Questo mi

mancava che mi prendessi


due rompimenti
collo
di stinchi!

tale

impiccio e mi vedessi attorno


fossi rotto l'osso del

Oh, che mi

prima

di venire

a quest' inferno
di

per mangiar male e


!

dormir peggio col


da
soffrire!

fastidio

queste zecche

(3).

Non

vita

Sono venuta per moglie e non per


il

serva. Bisogna

che prenda

mio

partito e trovi recapito a queste pittime,


stessa.

trovi recapito per

me

meglio arrossire una volta che

impallidire cento volte.


risoluta
tutto .
Il

Ora c'imparentiamo per sempre! Sono


costrutto o di

di

vederne

il

rompere

in tutto e

per

povero marito, che aveva posto un po'


le disse:

d'affetto a questa
lo zucti

femmina,

Senza

collera,

moglie mia, che


il

chero costa caro! Domattina, prima che canti


questo fastidio dattorno, per tenerti contenta

gallo,

lever

.
la

Cosi
perta di

la

mattina dopo, innanzi che l'Alba spandesse


le

co-

Spagna rossa per scuotere

pulci alla finestra d'oriente,

esso, presi per

mano

due

figli,

infilzato al

braccio un buon

(i)
(2)

Testo:

iia

canesca mardelta,

Forse: che vuole stare solo alla stalla.

(3)

Testo: cracace.

vili.

NINNILLO E NENNELLA
li

3I9

paniere

di

cose da mangiare,

condusse

in

un bosco, dove un

esercito di pioppi e di faggi stringevano d'assedio le

Ombre.

Col giunto, lannuccio

disse:

Bambini
e,

miei, statevene qui;

mangiate e bevete allegramente


vedete questa
sar
il

se qualcosa vi mancher,

striscia di

cenere che vado seminando? Questa

filo

che, cavandovi dal labirinto, vi porter passo passo


all'altro,

a casa vostra. E, dato un bacio all'una e


torn piangendo a casa.

se

ne

Ma

nell'ora in cui tutti gli animali, citati dagli sbirri della


il

Notte, pagano alla natura


fanciulli,

censo del necessario riposo,

due
le

per

la

paura

di stare in quel

luogo deserto, dove


le

acque

di

un fiume, percotendo, per


avrebbero
fatto sbigottire

castigarle,

pietre im-

pertinenti,

un Rodomonte, s'avviadi cenere,

rono pian piano per quella slraduccia

ed era gi

mezzanotte quando adagino adagino giunsero a casa.

Al vederli, Pascozza,

la

matrigna, fece cose non da femmina


le

ma

da

furia

infernale,

levando

strida

al

cielo,

battendo

mani e

piedi,

sbuffando
bella

come

cavallo

che s' adombrato,


rispuntati
ci

dicendo:
questi

Che

cosa questa?

Donde sono
che non

mocciosi

fastidiosi?

possibile

sia

ar-

gento vivo che valga a scrostarli da questa casa?

possibile
al

che

tu

me

li

voglia tenere

dattorno

proprio

per

rovello

mio cuore? Va', levameli

sul

momento

dagli occhi, che

non

voglio aspettare musica di galli e lamenti di galline. Se no,


ti

puoi stuzzicare

denti ch'io
a casa dei

dorma mai
parenti

pi con

te;

e do-

mattina
meriti!

me
Non

la
ti

filo

miei: che tu

non mi

ho portato

in casa tanti bei mobili

per vederli

scacazzati dal puzzo dei deretani altrui;

ti

ho dato cosi
.

buona dote per vedermi schiava

di figli,
la

che non sono miei

Lo sventurato
e
la

lannuccio, che vide


si

barca male avviata


i

cosa andar troppo nel caldo,

prese sull'istante

barn-

320
bini, e, tornato nel

GIORNATA QUINTA
bosco,
e,

dato loro un altro panierino di


figli

cosette da mangiare, disse: Voi vedete,

miei, quanto vi
alla

ha

in

uggia quella cagna di mia moglie, venuta

casa mia

per la rovina vostra e per chiodo di questo cuore. Perci restaievene in questo bosco, dove gli alberi, pi pietosi di
vi faranno tetto contro
vi
il

lei,

sole;

dove

il

fiume, pi caritatevole,
pi cortese, vi of-

dar da bere senza veleno; e

la terra,

frir

sacconi d'erba senza pericoli. E, quando vi mancher da


la

mangiare, vedete
ritta,

viuzza di crusca che io vi

fo,

diritta di-

e voi potrete venire a


il

domandare soccorso
non
farsi

Cosi detto,

torse

viso dall'altra parte per

vedere a piangere

e toglier

animo

ai

poveri piccini.
il

Quando ebbero consumato


mala ventura, s'era leccata

contenuto del panierino,

due bambini vollero tornare a casa;


la

ma un

asino, figlio della

crusca sparsa

per terra, ed

essi sbagliarono strada, tanto che andarono per un paio di

giorni

errando per entro

il

bosco, pascendosi di ghiande e


il

castagne che raccattavano da terra. Ma, poich

Cielo stende

sempre

la

sua

mano

sugl'innocenti, capit a caccia, in quel

bosco, un principe; e Ninnillo, sentendo l'abbaiar dei cani,

ebbe tanta paura che


nella prese tale

si

gett nel cavo di


si

un albero, e Nen-

fuga che

trov a una marina. Qui erano


il

sbarcati certi corsari per far legna, e

capo loro se

la

port
figlia,

a casa, dove
la

la

moglie, alla quale era test morta una

tenne in luogo di questa.


Ninnillo intanto, rannicchiato in quella corteccia d'albero,

fu attorniato dai cani,

che facevano abbaiate da stordire;


vedere che cosa fosse,
dire
e,

sic-

ch

il

principe volle

trovato
il

quel
pa-

bel bambino, che

non seppe

come
lo

si

chiamavano

dre

e la

madre tanto era


e lo port

piccolo,

aggiust sul cavallo di


alle-

un cacciatore

con

s.

con grande cura fece

vili.

NINNILLO E NENNELLA
le

32!
e,

vario nel suo palazzo e insegnargli


l'arte dello scalco,

virt,
tre

tra le altre,

che non passarono

o quattro anni, ed

egli vi

divenne cosi bravo, che spartiva a capello.


il

In questo tempo, essendosi scoperto che


cui
si

corsaro, presso

trovava Nennella, era ladrone di mare, vollero metterlo in

prigione;

ma

esso, che
la

aveva amici
tutti
i

gli scrivani d) e

li

teneva

a stipendio, se

svign con

suoi.
i

forse fu giustizia del

Cielo che, avendo egli

commesso
mare

suoi imbrogli sul mare, sul

mare ne pagasse
sottile
(^),

la

pena; sicch, imbarcatosi sopra una barca


del
gli
si

nel

mezzo
il

venne

tale raffica di vento


tutti

furia di

onde che

legnetto

capovolse e
la

affogarono.
i

Solo Nennella, che non aveva, come


corsaro, colpa in quei ladrocini,

moglie e

figli

del

scamp

dal pericolo; e, nel


si

momento che

gli

altri

cadevano nell'acqua,
il

trov presso

la

barca un pesce
se la inghiotti.

fatato,

quale, aprendo

un abisso

di gola,

E, quando

la giovinetta credette di

aver terminato

giorni

suoi, proprio allora

ammir cose da

trasecolare nel ventre di


giardini

quel pesce. C'erano col


gnifici, e

campagne belHssime,
tutti

ma-

una casa da signore con


da principessa.
la

gli

agi,

dove Nennella

fu trattata

Ora accadde che quel pesce


glio,

portasse di peso a

uno sco-

dove, essendo
fornace,
si
il

la

maggiore

afa dell'estate e la pi aril

dente

principe era venuto a prendere

fresco.

E, mentre

preparava

un gran banchetto,

Ninnillo

s'era

posto a un verone del palazzo, che sorgeva su quello scoglio,

ad

affilare
farsi

certi

coltelli,

assai

dilettandosi

dell'ufficio

suo per

onore.

(i)

Del tribunale.
Testo: fattole, che di certo errore di stampa.

(2)

G. B. Basilu, Penlamerone

li.

322

GIORNATA QUINTA
lo vide e lo

Nennella

conobbe

dal fondo delle fauci aperte


di

del pesce, e subito

mosse una voce


mio

lamento:

Fratello,

fratello!
il

Affilato gi

coltello,

gi la

mensa

preparata,

e gran gioia a tutti data: solo a

me
te,

la vita incresce,

senza

qui in gola

al

pesce

Sulle prime, Ninnili

non
a

fece attenzione a queste parole;

ma

il

principe, che stava

un

altro balcone,

vide

il

pesce

e ud un'altra volta
Invi, dunque,

le stesse

parole, e fu preso da meraviglia.

una mano

di servitori per
il

vedere se in qual-

che

modo

potessero gabbare
si

pesce e tirarlo a terra;

ma
mio

poich, intanto, sempre


fratello! ,

udiva replicare quel Fratello,


tutte le genti se

domand uno per uno a


la

qualcuno

avesse perduto

sorella.

Rispose Ninnillo, che in quel moin

mento

si si

andava ricordando della cosa come

sogno: che,

quando

trovava nel bosco, aveva con s una sorella, della


nulla.

quale non aveva saputo pi


Il

principe gli disse di accostarsi al


fosse,

pesce e vedere che


lui.

cosa

perch
il

tale ventura, forse,

toccava a

E,

al

suo

appressarsi,
sei

pesce pos

la testa sullo scoglio, e,

spalancando

canne

di fauci, lasci uscire Nennella,

che parve appunto

lo spettacolo di

un intermezzo,

nel quale

una Ninfa, per

in-

canto di un mago, esce da un animale.

Al principe, che

la

interrogava, Nennella accenn qualche

parte dei travagli suoi e dell'odio della matrigna;

ma

n essa
il

il

fratello

sapevano ricordarsi

il

nome

del padre n

luogo

dov'era

la loro casa. in

Onde

fu gettato

un bando che chi avesse

perduto
al

un bosco due

figli,

Ninnillo e Nennella, andasse

palazzo reale e ne avrebbe avuta buona nuova.

vili.

NIXNILLO E NENNELLA
e

323

lannuccio, che

stava sempre triste

sconsolato, perch

credeva che
bilando
rito
i

figli

fossero stati divorati dai lupi, corse giu-

al

principe a dirgli

che esso proprio aveva smarla

fanciulli.

E, avendo raccontato
il

storia di

come

fosse

stato sforzato a portarli nel bosco,

principe gli somministr

una grande intemerata, chiamandolo scioccone bestione, che


s'era fatto mettere
i

piedi sul collo

da una femmina, riducengioielli,


il

dosi a mandare all'avventura due


figli.

com'erano

suoi

Ma, dopo che

gli

ebbe rotto

capo con queste parole,


i

vi

mise l'empiastro della consolazione, mostrandogli

figli

che

gli

non

si

sazi di abbracciare e baciare per pi di mezz'ora;


il

il

principe, fattogli levare di dosso

rozzo gabbano,

lo fece

rivestire

da gentiluomo. Chiam poi

la

moglie

di

lannuccio

le

addit quelle due foglie d'oro, domandandole:


li

Che co^a
di

meriterebbe chi loro facesse male e

mettesse a rischio

morte?

Colei rispose: Per me, lo metterei chiuso in una

botte e lo rotolerei dall'alto di una

montagna

<r

Ecco che

hai quello che chiedi: la capra ha rivolto le corna contro se


stessa.

Ors, poich tu hai scritto

la

sentenza, e tu

la

paga;

tu che hai portato tant'odio a cotesti belli tuoi figliastri .

die ordine che

si

eseguisse la sentenza ch'essa

medesima aveva

pronunziata.

Nel tempo stesso trov un ricco gentiluomo suo vassallo,

lo die

per sposo a Nennella, e la


die

figlia

di

un

altro sigaore

pari a questo, e la
all'altra entrate

per moglie al

fratello;
il

all'uno

bastevoli per vivere essi e


al

padre, senz'aver

bisogno

di

alcuno

mondo. La matrigna,
propria
vita,

intanto, fasciata

da

una botte, sfasci

la

gridando sempre pel buco

finch le rest fiato:

Tarda il castigo, ma non ti fidare! Viene una volta e tutte fa pagare!

TRATTENIMENTO NONO
I

TRE CEDRI

CenzuUo non vuol prender moglie; ma poi, tagliatosi un dito sopra una ricotta, ne desidera una di colorito bianco e rosso come quello del sangue sul latte. Per cercarla, va pellegrino pel mondo, e all'isola delle tre fate gli sono dati tre cedri, e dal taglio di uno di essi acquista una bella fata, conforme al suo cuore; la quale essendo stata uccisa da una schiava, egli prende in moglie la nera invece della
bianca.

Ma

si

scopre

il

tradimento, la schiava fatta morire, e la

fata rivive e diventa regina.

Non

si

pu dire quanto gusto desse a

tutto l'uditorio

il

racconto di Paola; ma, dovendo continuare Ciomnietella e

avutone cenno, parl

cosi:

Bene veramente sentenzi quell'uomo


quanto
sai,

sapiente:

Non

dire

n fare quanto puoi

perch l'una e

l'altra
si

cosa

porta pericolo che

non

si

conosce, e rovina che non

aspetta;

come
della

udirete

di

una certa schiava (parlando con riverenza


la

signora principessa nostra),


possibile a
farsi

quale, per fare tutto


tal

il

danno

una povera giovane, ne trasse


essa

profitta
si

che venne a

medesima giudice

del fallo suo e

die da se stessa la sentenza della

pena che meritava.


figlio

Aveva

il

re di Torrelunga
diritto,

un

maschio, che era

il

suo occhio

nel quale aveva posto le

fondamenta di

ogni speranza, n vedeva l'ora di trovargli qualche buon partito

e sentirsi chiamare col


tali

nome

di

nonno.

Ma

questo prin-

cipe era cosi fuori di

pensieri e cosi selvatico che,

quando

IX.

TRE CEDRI
la

325
e lo sentivi lonlo

gli

si

parlava di mogHe,

scoteva
il

testa

tano cento miglia; cosicch


ritroso

povero padre, che

vedeva

e ostinato, e in pericolo perci la discendenza sua,

stava pi dispettoso e amareggiato di una cortigiana che ha

perso

il

cliente,

di

un mercante a

cui fallito

il

corrispon-

dente, di un contadino a cui morto l'asino.


il

Non movevano
le

figlio le

lacrime del padre,

non

lo

ammollivano
i

preghiere

dei vassalli,

non

lo

inducevano a cedere
gli

consigli degli uo-

mini dabbene, che

mettevano avanti
il

agli

occhi

il

desi-

derio di chi lo aveva generato,


resse di se

bisogno dei popoli, l'intefinale alla linea del


('\

medesimo, che faceva punto


Egli,

sangue regio.
stinazione di

con un perfidiare incrollabile

con un'o-

mula vecchia, con una


aveva puntato
si
i

pelle grossa quattro dita

nelle parti sottili,

piedi, tappato gli orecchi

e saldato

il

cuore; e invano

sarebbe suonato all'armi, che

non rispondeva.
Ma, poich suole accadere pi
e
in

un'ora che in cento anni


,

non puoi mai

dire:
tutti

Per questa via non passer


insieme
si

accadde

che un giorno, che


il

trovavano a tavola, volendo


ricotta,
si

principe tagliare per


le
al

mezzo una

mentre stava a guar-

dare
lacco

gracchie che volavano,


dito,

fece per disgrazia

un

in-

in

modo

che, cadendo

due

stille

di

sangue

sulla ricotta,

ne venne una mischianza

di colore cosi bella e


al

graziosa che, o fosse castigo d'Amore, che l'attendeva

varco,

(i)

Testo:

e proffidia di

Cardia, che

il

Rocco crede storpiatura


il

di

Cariddi, cosa poco probabile, tanto pi che

Basile altrove ha
i).

tra

Sciglia e Scariglia, tra Scilla e Cariddi (v. sopra, p. 300, n.


frase,

Quella
co na
:

che

si

trova anche presso


s'

altri scrittori dialettali (e

ma

isso,

proffidia

ha voluto dare mai arreto de sta mpresa > G. C. Sorrentino, L'astula corlegiana cit., II, 3), deve alludere a
de Carella, non

qualche storia o aneddoto popolare.

326
o
volont del

GIORNATA QUINTA
Cielo per consolare quell'uomo dabbene del
dalla polledra domestica
gli

padre, che

non era tanto molestato

quanto era tormentato da questo poliedro selvatico,


capriccio di possedere una

venne

femmina

cosi bianca ^ rossa

come

quella ricotta tinta del sangue suo.

Onde

disse al

padre: Mes-

sere mio, se

non ho una sposa

di

questo colore, sono distrutto!


si-

Non mai femmina mi and


mile
al

a sangue e ora ne desidero una


risolviti

sangue mio. Perci, se mi vuoi vivo e sano,


di

darmi agio
si

andare pel
pelo

mondo

in cerca di

una bellezza che


finir
il

raffronti

con questa
tra le

ricotta.
.

Altrimenti,

corso e

me

ne andr

ombre

Al
la

re, nel sentire

questa bestiale risoluzione, casc addosso

casa; e, restando interdetto, e passando dal rosso al pal-

lido

da questo

quello,

rispose:

Figlio

mio,

viscere

di quest'anima, pupilla di

questo cuore, stampella della mia


ti

vecchiezza, quale capogiro

ha preso? Sei uscito

di

senno?

Hai perduto

il

cervello?

asso o sei!

Non

volevi moglie per

togliermi l'erede,

e ora te

n' venuta voglia per cacciarmi

da questo mondo. Dove, dove vuoi andare vagabondo e senza


iiiuti,

consumando

la vita, e

come

vuoi lasciale

la

casa tua,

fiato

tuo, focolaretto tuo, scoreggina tua?

Non

sai a quanti

travagli e a quanti pericoli si mette chi viaggia? Lascia pas-

sare la bizza, figlio mio, e torna in


sta
vita

te.

Non

voler vedere que-

subissata, questa casa

minata, questo stato in per-

dizione! .

Senonch queste e
travano e da un altro

altrettali

parole da un orecchio gli en-

gli

uscivano; ed erano tutte gettate al


re,

mare. Tanto che

l'afflitto

vedendo che

il

figlio

era una

cornacchia di campanile,

gli dette

un gruzzolo

di

scudi e due

tre

servitori,

e gli accord

licenza di andare.

Ma

si

senti

strappare l'anima dal petto,

e, affacciatosi

a un verone, pian-

IX.

TRE CEDRI
gli

327
fintanto che

gendo a

dirotto,

lo segui

con

occhi

non

lo

perse di vista.
Il

principe

prese a trottare per


valli,

campagne

e per boschi,

per
vari

monti e per

per

pianure e per pendii, vedendo


diverse, e
il

paesi, trattando

genti

sempre con

gli

occhi

aperti a cercare se

mai trovasse

bersaglio del desiderio suo.


di Francia,

capo

di quattro
i

mesi arriv a una marina

dove,

lasciati
s'

servitori a

uno spedale con un'emicrania


liuto
(')

ai piedi,

imbarc solo su un
Gibilterra,

genovese,

e,

veleggiando verso
e

lo stretto di

col prese un vascello pi grosso


di

pass

alle Indie,

cercando sempre

regno

in regno, di pro-

vincia in provincia, di terra in terra, di strada in strada, di casa


in casa, di tugurio in tugurio, se gli

avvenisse d'incontrare
dipinta

l'originale spiccicato della bella

immagine che portava

nel cuore.

Dopo gran

viaggiare, arriv all'isola delle orche,

dove,

gettata l'ancora e

smontato a

terra, trov

una femmina vec-

chia vecchia, secca secca e con la faccia brutta brutta, alla

quale raccont

la

cagione che l'aveva trascinato a quei paesi.

La vecchia

stup al bel capriccio e alla ghiribizzosa

chimera

del principe, e ai travagli e rischi passati per soddisfarla, e


gli
figli

disse:

Figlio

mio, sgombra, che se


il

ti

scorgono

(')

tre
ti

miei,

che sono
calli,

macello delle

carni

umane, non
arrosto,
ti

stimo tre
cataletto

giacch, mezzo vivo e mezzo

sar

una padella e sepoltura un ventre.

Ma

usa

il

passo
la

della lepre,

che non andrai troppo innanzi e troverai

tua

fortuna

(1)
(2)

Sorta di bastimento costiero.


Testo:

abbentano

che sembra errore di stampa per

abbi-

stano

328 Ci udito,
sbigottito, si
il

GIORNATA QUINTA
principe, sconvolto, agghiacciato, spaventato e
la
si

mise

via tra le gambe, e senza


die

nemmeno
finch

dire:

Fo
un

riverenza ,
altro

ad alzare

tacchi,

giunse

paese, dove trov

un'altra vecchia,

pi brutta
il

della prima, alla quale, raccontato

da cima

in

fondo

caso

suo, anche quella gli disse: Squaglia presto di qua, se

non

vuoi servir di merenda

alle orchette,

mie

figliuole;
la

ma

corri,

che
Il

ti

si fa

notte

Un

po' pi innanzi troverai

fortuna tua .
le

principe die di

calcagna,

come

se

avesse

vesciche
vecchia,
braccio,

alla

coda;

tanto

cammin che

trov

un'altra
infilato al

seduta sopra una ruota con un paniere

pieno

di

ciambelline

confetti,
si

che

dava

mangiare a

una
di

frotta di asini,

che poi

mettevano a saltare sulla riva

un fiume, sparando
fatti

calci a certi poveri cigni.

costei

il

principe,

mille complimenti e lusinghe, raccont la storia

del suo pellegrinaggio; e la vecchia, confortandolo di


parole, gli die
si

buone

una colezione da leccarsene


gli

le dita, e,

quando

fu levato

da tavola,

consegn
e,

tre cedri,

che parevano

clti allora allora dall'albero,

insieme, un bel coltello. Nel

tempo
pieno

stesso, gli disse: Puoi tornartene in Italia,


il

perch hai

tuo fuso, e hai trovato quella che andavi cercando.


e,

Va' dunque

quando

sarai

poco lontano dal tuo regno,

alla

prima fontana che

trovi, taglia

uno

di questi cedri e
!

ne uscir

una

fata,

che

ti

dir:

Dammi da

bere

, e tu, lesto

con

l'acsei
gli

qua, altrimenti dileguer

come argento

vivo.

E, se

non
bene

destro n con la prima n con la seconda

fata, apri

occhi e

sii

sollecito

con

la terza

e dalle subito da bere, che


il

non
Il

ti

scappi, e avrai una moglie secondo

tuo cuore .

principe, tutto contento, baci cento volte quella

mano

pelosa, che
parti

pareva groppa di porco spino;


alla

e,

tolta licenza,
alla volta

da quei paesi. E, sceso

marina, navig

IX.

TRE CEDRI
nostri,

329

delle colonne d'Ercole,

ed entrato nei mari

dopo

mille
re-

burrasche e pericoli, prese porto una giornata lontano dal

gno

suo. Qui entr in

un bellissimo boschetto, dove


ai

le

Om-

bre facevano palazzo


Sole, e,

prati

perch non fossero veduti dal


la

smont da cavallo presso una fontana,


chiamava
la

quale col

fischio della lingua di cristallo


la

gente a rinfrescarsi

bocca. E, sedutosi sopra un tappeto soriano intessuto dalle


fiori,

erbe e dai
gliare
il

cav

il

coltello dalla

guaina e cominci a

ta-

primo cedro. Ed ecco uscirne una bellissima giovane,


fior di latte e

bianca

come

rossa
.
Il

come una

ciocca di fragole,

dicendo:
gliato e a
fata,

Dammi

da bere!

principe rimase cosi meravila

bocca aperta, cosi interdetto per


fu destro a darle l'acqua;

bellezza della

che non

tantoch apparire e

sparire fu tutt'uno.

Se questo

fu

un colpo

di randello alle

tempie del principe,

consideri colui che, desiderando una gran cosa e gi tenen-

dola tra
gli

le

mani,
il

la

perde! Ma, tagliando


fu
la

il

secondo cedro,

accadde

medesimo, e

seconda mazzata; tanto che,

facendo due ruscelli degli occhi, gettava lacrime a paro a


paro, a fronte a fronte, a faccia a faccia e a tu per tu con la
fontana,

la

non cedendole

di

una
sia

stilla.
il

intanto
!

si

lamentava:
volte

Come
son

sono sciagurato,
fatta

buon anno
avessi
il

Due

me

scappare,
la

come

se

torpore alle mani,

che mi venga
scoglio,

paralisia!

mi muovo proprio come uno


levriere!
Aff,

quando dovrei correre come un


buona!
viene
il

che

l'ho

fatta

Svegliati,
re:

pover'uomo: un'altra ce n', e


la fata

alla terza
al

o questo coltello mi dar

o ceder

fato! .

tagli

il

terzo cedro ed usci

una
il

fata,

dicendo come
le

le

altre due:

Dammi

da bere!

principe, ratto,

porse

l'acqua, ed ecco

gli

rest in

mano una

giovinetta tenera e

GIORNATA OUINTA
bianca

come

giuncata, con certe strisce di rosso che pareva


di Nola:

un prosciutto d'Abruzzo o una soppressala


vista

cosa non

mai
fu

al

mondo,

bellezza fuor di misura, bianco di cui


della

non

mai maggior bianco, grazia che era sopragrazia

grazia: nei capelli suoi aveva piovuto l'oro Giove, e

Amore

ne foggiava
aveva
fatta

le

saette per trafggere


('^

cuori

a quella faccia

una macriata

Amore perch
luminaria

fosse impiccata qual-

che anima innocente

alla

forca del desiderio; a quegli occhi


il

aveva acceso due globi


chi la vedeva
si

di

sole,

perch nel petto di


si tiras-

mettesse fuoco alle botti di polvere e


;

sero razzi e tric-trac di sospiri

a quelle labbra c'era passata Vealla

nere col tempo


le le

(2)

suo,

dando colore

rosa per pungere con

spine mille anime innamorale:

a quel

seno aveva spremuto

sue

mammelle Giunone per

allattare le voglie

umane;
si

in-

somma,

era cosi bella dal capo al piede che

non

poteva

vedere cosa pi vaga.


II

principe guardava

come ismemorato questo


femmina germinata

bel parto di
al taglio

un cedro, questo bel un


Ti

taglio di

di

frutto, e diceva tra s:


si

Dormi o

sei sveglio,

Cenzullo?

incantata la vista o hai calzato gli occhi al rovescio?

Quale cosa bianca

mai

uscita

da una corteccia gialla? Quale


bel piantone da
si

pasta dolce dall'agro di

un cedro! Che
si

un

granello!. Ma, in ultimo,

accorse che non

trattava di

sogno

che

si

giocava sul serio, e abbracci


e,

la fata,

dandole

cento e cento baci a pizzicotti;


sul pi e sul

dopo mille parole amorose

meno che

si

dissero tra loro

parole che,

come

canto

fermo,

erano contrappuntate dei baci

zuccherini,

il

(i)
(2)

Per la macriata, vedi sopra,

p. 32, n.

i.

Ed. originale:

tempio

ma

dev'esser

tempo

cio col colore

del sangue dei suoi catamenia.

IX,

TRE CEDRI
anima mia,

33I
portarti al paese di

principe disse:

Non

voglio,

mio padre senza pompa degna


compagnia da regina, come

di cotesta bella

persona e senza

meriti. Perci sali su questo cerro,


la

dove pare che pel bisogno nostro


cavit in

natura abbia fatto una


fino al ritorno,

forma

di

cameretta; ed
le
ali,

aspettami
si

che, senz'altro, metto

prima che

dissecchi questo

sputo

e sput
al

verr per condurti, ben vestita e bene ac.

compagnata,
nie,
parti.

regno mio

cosi,

con

le

debite cerimo-

In questo

mezzo una schiava nera

fu

mandata

dalla pala

drona con un'anfora a prender acqua a quella fontana;


quale,

vedendo a caso nell'onda l'immagine


la

della

fata,

credendo che fosse


dire:

propria, tutta meravigliata cominci a


ti

Quale vedere. Lucia sfortunata,

cosi

bella

stare,

e patruna

mandare acqua a
.

pigliare;

mi

sta cosa tollerare,

o Lucia sfortunata!
a casa.

Cosi dicendo, spezz l'anfora e torn

Domandata
sto,

dalla

padrona perch avesse

fatto

questo guapietra cozle

rispose: Alla fontanella andata, anfora

con

zata .

la

padrona, trangugiata questa ciambella stantia,

die

un

bel barile

perch andasse a empirlo d'acqua;

la

quale,

tornata col e vista di


lezza, esclam,

nuovo

trasparire nell'acqua quella bel

con un grosso sospiro:

Mi non

stare schiava

musuta, mi non stare pernaguall, mi non stare culo gnamme-

gnamme; mi

stare tanto gentile, e portare a fontana barile! .


e,

E, cosi dicendo, gi un'altra volta,

sfasciando

il

barile,

ne fece millanta schegge; e poi torn a casa dalla padrona,


brontolando:

Asino passato, barile cozzato,

in terra

cascalo

e tutto sfracellato .

La padrona, a queste
e, afferrato

parole,

non pot pi
la

stare in

flemma,
in

un manico

di scopa,

and lavorando

guisa

T)Z2

GIORNATA QUINTA
risenti

che se ne

per molti giorni;


il

e,

preso poi un otre,

le disse:

Corri, rompiti
corri,

collo,

schiava pezzente,
fermarti per via,

gamba
non
ti

d grillo;

non indugiare, non

far la Lucia,

e riportami questo, pieno d'acqua: se no,

schiaccio

come

polpo e

ti

aggiusto tale un carico di randellate, che mi nomi-

nerai. Corri,

con

le

gambe

sulle spalle!.
il

La schiava, che aveva provato

lampo e aveva paura


la bella

del

tuono, mentre empiva l'otre, torn a contemplare

im-

magine, e

disse; Stare

crepata, se acqua pigliare: volermi

cercare sorte e maritare:

non

stare bellezza questa

da

far

morte

arrabbiata e servire padrona scorrucciata. Cosi, tiratosi


spillone dal capo, cominci a pertugiare l'otre, che parve

uno

uno

spiazzo di giardino con l'acqua a tradimento ('\ perch fece

cento fontanelle.

questa vista

la fata

prese a ridere fragorosamente; e


si

la

schiava, alzando gli occhi,

avvide del nascondello,

e,

par-

lando tra se stessa, disse: Ti stare causa che padrona mi


bastonare!

zandosi alla
quella,

Ma non ti curare! fata: Che fare

poi,

ad

alta voce, indiriz-

loco suso,
le

bella

figliola?.

E
era

che era madre della cortesia,

aperse tutto quello

che aveva in petto, senza lasciare un

iota di

quanto

le

accaduto col principe, ch'essa aspettava d'ora in ora e di

momento
dare
al

in

momento

coi vestiti e

con

la

compagnia per annozze.

regno del re padre e celebrare

le

La

schiava, ringalluzzita, pens, a questo racconto, di guail

dagnare essa
fata:

premio con un colpo

di

mano, e replic

alla

Poich aspettare marito,


.

lasciare venir sopra, e pettila fata disse: Sii la

nare testa e fare pi bella

benvenuta

(i)

Scherzi e sorprese d'acqua.

IX.

TRE CEDRI
e,

333
la schiava,
nell'affer-

come

il

primo

di

maggio

(');

arrampicandosi

ed essa porgendole quella mano bianca bianca che,


rare
i

neri stecchi, pareva

uno specchio

di cristallo

in coril

nice d'ebano, quella sali sull'albero e, mostrando di ravviarle

capo,

le

conficc uno spillone nella memoria.


la fata,

Subito

sentendosi trapassare, grid: Colomba, co-

lomba!

; e, diventata

una colombella, lev


si

il

volo e

si

mise
dei

a fuggire.

la

schiava

spogli nuda,
li

e, fatto

un fagotto

cenci e sbrendoli che portava addosso,


tano; ed
l'albero,

scagli un miglio lon-

essa,

restata

come

la

partor sua madre, su quel(^^

pareva una statua di giavazzo

in

una

casa

di

smeraldo.

Tornato

il

principe con una gran cavalcata

e,

trovata una
di latte,
ri-

botte di caviale

dove aveva

lasciato

una tinozza

mase per un pezzo fuor


ha
fatto

di sentimento. Alla fine disse:

Chi

questo sgorbio d'inchiostro alla carta reale, dove peni

savo scrivere

giorni miei pi felici? Chi

ha parato a

lutto

quella casa biancheggiata di fresco, dove credevo di prendere


tutti
i

diletti

miei? Chi mi

fa

trovare questa pietra di para-

gone, dove avevo lasciato una miniera d'argento per farmi


ricco e beato? .

La schiava
ceva
il

trottata,

vedendo

gli atti di

meraviglia che

fa-

principe, disse:
^3)

Non maravegliare, principe mio, che

stare uccia

fatata:

un anno
del

faccia

bianca, un anno culo


il

nero

il

pover'uomo
fatte le

principe, poich

male non

aveva rimedio,

corna come bue e rassegnatosi, s'in-

(i)
(2)

Vedi sopra,

I,

5,

n. 2.
Il

Bitume nero
.

cristallizzato.

testo

dice:

na statua d'accia-

vaccio
(3)

Parola per indicare

mori.

334
goi
!a

GIORNATA QUINTA
pillola;
e,

detto alla

mora

di

scendere,

la

vesti

da

capo

a piede di abiti nuovi e l'adorn tutta. Cosi, indispettito,

gonfio di bile e col

muso

lungo, prese

la

via del paese,

dove

dal re e dalla regina, che erano usciti fuori a sei miglia dalla
terra,

furono ricevuti con quel piacere che prova


gli

il

carcerato
i>

quando

s'intima
essi

la

sentenza che suspendatur


la bella

^^K

quantunque

vedessero
il

prova

fatta dal

pazzo

figlio,

che aveva tanto cercato

mondo

per trovare una bianca cotuttavia,

lomba e ne aveva portato una negra schiava,


tendo farne di meno, rinunziata
il

non pomisero

la

corona

agli sposi,

treppi d'oro su quella carne di carbone.

Ora, mentre
stordire, e
i

si

preparavano

feste mirabili

e banchetti

da

cuochi spiumavano oche, scannavano

maialetti,

scorticavano capretti, lardellavano arrosti, schiumavano pentole,

battevano polpette, imbottivano capponi e facevano mille


ghiotti,

bocconi

venne a una

finestretta della

cucina una bella

colomba, a cantare:

Cuoco, cuoco della cucina,


che
fa
il

re

con

la

saracina?

Il

cuoco

vi fece

poca attenzione; ma, poich


il

la

colomba torn

la

seconda e

la terza volta a ripetere

verso, corse a riferirlo

ai banchettanti

come cosa
ordine

meravigliosa.
di
il

La

signora, all'udire
la

quelle

parole, die

prendere subito

colomba e

di farne

un

ingrattinato.

cuoco, obbediente, tanto s'adopr


il

che l'acchiapp, ed eseguito


e scaldatala nell'acqua

comando

della

cuccurognamma
quell'acqua
e

per spiumarla,

gett

quelle penne su

un albero

fuori al balcone.

(i)

Era

la

formola per

la

condanna

alla forca.

IX.

TRE CEDRI
e sorse col

335

Non passarono
cedro,
il il

tre giorni,

un

bell'albero di

quale, cresciuto in quattro e quattr'otto, accadde che

re,

affacciandosi a

una

finestra

che rispondeva da quella


e,

parte, lo vide,
gli

che non l'aveva visto mai,


e

chiamato

il

cuoco,

domand quando

da chi era stato piantato. E, poich


ebbe narrato
il

mastro Cucchiaione
di

gli

fatto,

venne

in sospetto

un mistero; e cosi ordin che, sotto pena

della vita, quell'al-

bero non fosse toccato,

ma
a

anzi governato con ogni diligenza. quell'albero spuntarono tre

capo

di

pochi

giorni, su
quelli

bellissimi
l'orca; e,

cedri,

simili

che
il

egli

aveva avuti dalli

quando divennero maturi,

re

fece cogliere, e,

chiusosi in una camera con una grande tazza di acqua, e col


coltello della vecchia,

che poitava sempre appeso

al

lato,

co-

minci a
la

tagliare.
la

accadde
fata

il

medesimo

dell'altra volta,

che

prima e

seconda
il

dileguarono

in

un lampo; ma,

mentre tagliava
era uscita e
gli

terzo cedro, die a bere alla giovane che ne


la fata stessa

rimase davanti
quale
gli

che aveva lasciata

sull'albero, la

narr tutto l'inganno della schiava.


del giubilo che senti
il

Or

chi

pu

dire la

minor parte

re

di questa

buona ventura? Chi pu


il

dire l'esultanza, la gioconil

dit, la letizia,

sopragaudio,

il

riso e

pianto ch'egli fece?


nella pelle, se

Fa' conto che nuotava nel dolce,

non capiva
La

ne andava

in solluchero e in estasi.

strinse tra le braccia,

la fece vestire di tutto punto, e subito la

condusse per mano

nel

mezzo

della

sala,

dov'erano

tutti

cortigiani e le genti

del paese per onorare la festa delle nozze.


Il

re

li

chiam a uno a uno e domand: Chi facesse male

a questa bella signora, quale pena meriterebbe? .

chi

ri-

spose che sarebbe meritevole


di

di

una
di

collana di

canapa, chi

un conferimento

di selci, chi

un contrappunto con un

maglio

sulla pelle dello

stomaco, chi di una bevanda di sca-

336

GIORNATA QUINTA
chi di

monca,

un monile composto
di un'altra.

di

una mazzera, e chi

di

una cosa e chi

Chiam,
stessa

in

ultimo, la

sciagurata regina,

e,

facendole

la

domanda, quella
gettare.
la

rispose: Meritare abbruciare e cenere

da

castello

il

re le disse:
ti

Tu

ti

sei scritto

il

malanno con
foggiato
i

penna

tua;
il

sei data l'accetta al piede; hai

ceppi, affilato
fatta

coltello,

stemperato

il

veleno, per-

ch nessuno l'ha
questa
la bella

peggio

di te,

cagna mora! Sai tu che

giovinetta che tu trapassasti con lo spillone?

Sai che questa la vaga colomba, che tu facesti scannare e

cuocere nella padella? Che

ti

pare. Cecca, di questo ronzino?

Scuoti via, che discesa! Hai fatto una bella sporcizia: chi
fa

male, male aspetta, e chi cucina frasche, scodella fumo.

Cosi

la fece

prendere di peso e mettere viva viva sopra


di legna,
e,

una gran catasta

fattone

cenere, la sperse dalil

l'alto del castello al vento,

avverando

detto:

Non vada

scalzo chi semina spine.

FINE
DELLA FIABA DELLE FIABE. CONCLUSIONE ALLA INTRODUZIONE DEI TRATTENIMENTI, CHE RISPONDE AL TRATTENIMENTO DECIMO DELLA GIORNATA QUINTA.

Narra Zoza
i

la storia delle

sue sventure, e

la schiava,
il

che

si

sente toccare
il

tasti, fa

quanto pu per interrompere

racconto.
il

Ma

principe,
colei,

a suo dispetto, vuole ascoltarlo; e, scoperto


la fa morire, tuttoch incinta, e

tradimento di

prende

in moglie Zoza.

Tutti stettero con gli orecchi tesi ad ascoltare


di Ciommetella; e alcuni
citato, altri

il

racconto

lodarono

il

sapere con cui l'aveva redi

mormorarono, accusandola
alla

poco giudizio, che

non doveva,
manifestare
i

presenza di una principessa schiava mora,

vituperi di un'altra della stessa razza, e che perci


il

s'era posta a gran rischio di guastare

gioco.

Ma
si

Lucia fece
narrava
il

veramente da Lucia

('),

dimenandosi

tutta,

mentre

racconto; sicch dall'irrequietezza del corpo era dato congetturare la burrasca che le soffiava nel cuore,
storia
di

avendo

visto nella

un'altra schiava

il

racconto preciso

degli inganni

suoi.

Ed

avrebbe

fatto cessare la far di la

conversazione; ma, in parte


dei racconti, tanto fuoco le
al

perch non poteva

meno

aveva messo

in

seno

bambola,

modo

stesso che colui,


<'),

che morso dalla tarantola, non pu astenersi dai suoni

(i)

Cio, esegui

il

ballo della Lucia, con le contorsioni relative.


la

(2)

Sul morso della tarantola e


u.

cura degli

attarantati

merc

la

G. B. Basile, Penlamerone

338
e in parte per

GIORNATA QUINTA
non dar materia
di

sospetti a

Taddeo,

s' in-

ghiotti questo torlo

d'uovo con disegno

di farne a
al

tempo e

luogo buon risentimento. Ora, Taddeo,

quale

il

passatempo

dei racconti era entrato in grazia, accenn a Zoza che dicesse


il

suo; ed essa,

dopo

soliti

complimenti, incominci:

La

verit,

signor principe, fu sempre madre dell'odio; e


ai

perci

non vorrei che l'obbedire


di quelli

comandi

vostri offendesse

alcuno

che sono qui presenti; perch,

non essendo

usa a fingere invenzioni e a tessere favole, sono costretta, per


natura e per accidente, a dire
verbio dica: Piscia chiaro e
fatti

veri.

E, quantunque

il

pro-

fa le fiche al

medico

, tuttavia,

sapendo che
cipi, io

la verit

non ricevuta
cosa che

alla

presenza dei prin-

tremo

di dire

vi faccia forse

montare

fumi

della collera .
Di' quello

che vuoi

rispose

Taddeo,

che

da questa
e

bella

bocca non pu uscire niente che non

sia inzuccherato

dolce

Queste parole furono pugnalate

al

cuore della schiava, e


nere
fossero,

ne avrebbe mostrato segno, se


le

le

facce

come

bianche, libro dell'anima, e avrebbe pagato un dito della


a esser digiuna di quei
racconti,

mano
musica

perch

il

cuore

le

si

ha una non piccola letteratura

oltre la
(in

monografia del Bergse,

Della tarantola italiana e del tarantismo


si

danese: Kopenagen, 1865),

veda sull'argomento una

serie di scritti nella


172, 283, 297.
II,

Rassegna settimanale
il

di

Roma, Vili

(1881), pp.

Giova ricordare

luogo del

Berni, Orlando iinamorato,

xvii, 6-7:

Come

in Puglia si fa contra al veleno

che mordon coloro che fanno poi pazzie da spiritati, e chiamansi in vulgar tarantolati;
di quelle bestie,

e bisogna trovar un che sonando

un pezzo,
colui

trovi

un suon ch'ai morso piaccia,


sudando,

sul qual ballando, e nel ballar

da s

la fiera peste caccia...

FINE DELLA FL\BA DELLE FIABE


si

339
il

era fatto pi nero della faccia, e, dubitando che

racconto

passato non fosse stato prima annunzio e poi malanno, dal

mattino previde

il

cattivo giorno.

Ma Zoza,
con
tutti

in questo

mezzo, cominci a incantare

circostanti

la

dolcezza delle parole, raccontando dal principio alla fine


a cominciare dal punto della naturale

gli affanni suoi,

ma-

linconia sua, infelice augurio di quello che

doveva accaderle,
di

perch essa aveva portato sin dalla culla l'amara radice


tutte le crudeli sciagure, le quali,

servendosi della chiave del


poi

suo

riso sforzato, la sforzarono a tante lacrime. Seguit


la

con

bestemmia

della vecchia, col pellegrinaggio

suo accomil

pagnato da tanta angoscia, con l'arrivo


gere dirotto, e
il

alla fontana, e fu la

pian-

sonno

traditore,

che

sua rovina.
tira,

La

schiava, sentendola prendere largo e


la barca, grid:

vedendo

male avviata

Stare

zitta,

turare; se no, pu-

gni a ventre dare e Giorgetiello acciaccare! .

Ma

Taddeo, che

aveva scoperto paese, non ebbe pi flemma,


schera e gittando
la

e, toltasi la

ma-

barda in

terra, disse: Lasciala raccon-

tare fino in fondo e

non

fare pi coteste rapine di

cappa con

Giorgetiello e Giorgione, perch, infine,

non mi hai trovato


ti

solo(0,
ciata

e,

se

mi monta

la

senapa, meglio che

avesse schiac-

una ruota

di carro .

E comand

a Zoza che seguitasse a


altro

dispetto della moglie; ed essa, che

non voleva

che

il

cenno, -seguit narrando come

avesse trovato rotta l'anfora e


e, cosi

l'inganno usato dalla schiava nel levargliela di mano;


dicendo, scoppi a piangere di maniera, che non
dei presenti che stesse saldo allo schianto.
fu

nessuno

Taddeo,

dalle lacrime di

Zoza e dal silenzio della schiava,


la

che era ammutolita, comprese e pesc

verit del fatto; e,

(i)

Sottintendi: perch io ho

le

inani.

340

GIORNATA QUINTA
strigliata di

somministrata a Lucia tale

capo che non


la

si

fa-

rebbe a un asino, e costrettala a confessare con

propria sua

bocca

il

tradimento, die subito ordine che fosse sepolta viva,


sola
testa
allo

con

la

scoperto

affinch la morte sua fosse

stentata.

E, abbracciando Zoza,
cipessa e moglie sua, e

le fece

rendere onore
avviso
al

come a

prin-

mand

re di Vallepelosa

che venisse

alla festa.

Con
il

queste nuove

nozze, termin la
;

grandezza della schiava e


pr e sanit
vi faccia,

trattenimento dei racconti


io

buon

che

me

ne venni

via,

passo passo,

con un cucchiaietto

di miele.

Fine.

INDICE ALFABETICO

DELLE NOTE

Abecedari antichi, 238.


<

Ampolla per
.

le partorienti, 47.
,

Abboflfa-cornacchia, 129.
88.

Anca Nicola
199.

giuoco, 175;
dell'), 273;

11, 2,7.

Abbondanti A.,

Anello (giuoco

11,

169,

Accettullo, arma, 89.

Acciavaccia, giavazzo,

11, 11,

333.
128.

Anola trnola
II,

giuoco, 178.

Accostapalla (ad), giuoco,


Achillini

Antipodi,

1S7.
11,

C,

II,

247.

Antrita, mandorla,

210.

Ademollo

A., 92, 243.

Antuono,

20, 216, 287.


di),
II,

Affidarsi: v. Fida.

Apollo (mito

188.

Agibilebo
v.

Agnano:
Agosto

munno, 288. Lago di Agnaiio.


cura, 269.
11,

Appesa

II,

168.
,

Approvecciare

278.

(di)

Aprano, casale,
71.
11,

56.
al

Agresta, salsa, 104;

Aprite le porte

povero

fal-

Aiuto di costa, sussidio, 143;

302.
78.

cone, giuoco,
Aquila a due teste

180.
(far
il,
1'),

Alba (duca

di),

vicer, Sy,

11,

98.

Alberge, frutto, 216.

Aquino
11,

(d')

T. A.,

20.
11,

Alessandro Magno, 47;

248.

Arbustata (campagna),
Archibugi,
il,

68.

Alfonso d'Aragona, duca di Calabria,


II,

185.
11,

36.

Arciviola, strum. musicale,

loo.

Alloggiamenti di soldati, 143, 273;


li,

Arco Felice,
Argo, 90.

11,

69.

148, 246.

Argentata, belletto, 232.

Alza la corte, 244.

Amalfi G., n, 150, 201, 250.

Ariosto L., 229;


Aristotele,
14;
11,

II,

228.

Ambra

(d') R., 89;

11,

128.
11,

271.

Ampolla

del Salvatore,

102.

Arenacela, luogo di Napoli, 83.

342
Armi

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE


(porto d'armi nell'entrare in
ii8.
ii,

Basile, famiglia, 145.

citt),

Basile Marzia,
207.

11,

191.

Arzano, comune,
Asprino, vino,
11,

Basso, abitazione terrena, 122, 198.

255.

Bavosa, pesce,

ii,

239.

Assenzio (pasto delle pecore del


Ponto), 123.
Astrico,
II.

Beata

te

con

la

catena, 133.
di),

Belvedere (castello
227;

60.

battuto delle case,


13-

Beneficiata, giuoco, 49.

Benevento, 67;
Beni dotali,
11,

11,

211.

Astrologia, 167-8.

142.

Astroni, presso Napoli, 209, 239.

Beni (iusta

li),

locuzione, no.

Aversa,

11,

255.

Bernaguall, mora, 11.

Avvisi, giornali, 14.

Derni F.,

11,

133, 281, 338.


11,

Brtola

85;

146.

Bacile di barbiere (netto come), 207.

Bertolotti A., 168.

Bacio a pizzicotto,

11,

295.

Ben vengali mastro, giuoco, 177.


Bergsoe K.,
11,

Bagliva, tribunale, 272.


Bagattelle, giuochi e rappresentazioni, 9.

338.

Bertuccia, 26.

Biancomangiare, dolciume, 134.


Bianchi della giustizia (confrater:
nita de'), 44.
11,

Baia,

II,

69.

Baldo, giureconsulto, 85.


Balli e danze del seicento,
4.

Biondo M. A.,

189.
io; 11,

Bambole coi contrappesi, Banco fallito (a), giuoco,


Bandiera
(far la),
11, 11,

11,

135.

Biondo (compare), cantante,


X2I, 191.

35,

130.

255.

Bisignano (Sanseverino
razze di cavalli, 45.

di),

loro

Banditi, 92;

246.
di),
11,

Banditi (congiunti

24.

Blasiis (de) G., 60.

Bando e comandamento, giuoco,


177, 229;
II,

Blois (di) G., 34.

37.

Boccaccio G., 40, 87;

11,

98.

Barbareschi, 108.

Boccali tedeschi per vino, 252-3.


11,

cBarbiera, donna avida,


Baroni napoletani,
Barra,
27; 65.
11,

98,

Boccalini T., 84.


Boffettone,
IT,

46, 270.

192.

comune,

11,

Bombarda
Boia, 84-5.

D., 145.

Bartolo, giureconsulto, 85.

Baschet A., 184.


Basile Adriana, 145, 242;
11,

Bongo
32.

P.,

II,

94-

Borzelli A.,

168.

Basile G. B.,
175, 178,

4, 8,

io, 71, 87, 163,

Botracone: v. Voiracone.

179.
II,

213, 252, 267,

Botteghe (lega
16.

di),

locuzione,

11,

273,

278;

45, 78, 79,

IH,
221,

129, 130, 131,

196,

201,

Bouchard

J. J.,

I44,

MS. M^.
11,

225, 252.

Bourcard (de) F.,

186;

127, 128.

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE


Braca V., 250.
Bracone, scimia,
4.

343
168. 15011,

Cantone O.,

160,
11,

Canzano G.,
129-32.

Bracone tedesco,
Broccoli, 35, 88.

192.

Canzoni (antiche napoletane),


Capaccio G.
271.

Broccoli (signif. di carezze;, 41.

C,

34,

166, 192, 208,

Broccoli strascinati, 44-

Bruno G.,
Brunhild,

29, 134. 278.


11,

Capasso

B., 38;
II, II,

11,

130.

184.

Capilupi L.,

68.

Bucca F., Buonocore

206, 213; n, 39-

Capipopolo,

204.

E., n, i7-

Capisciola, lana, 277.

Buttafuoco, strum. musicale, 232;


II,

Capo o

croce, giuoco,

11,

127.
I53-

3, 128.

Caporuota, magistrato,

11,

Cappello (nelle dispute universiCacapensieri, strum. musicale,


128.
.

11,

tarie), II,

145-

Capra nera,
,
11,
11,

11,

1^9

Cacaselle

68.

Capra

(sterco di), 106.


11,

Caciocavalli,

37.

Capriata, intruglio,

18.
11,

Caciocavallucci, 148, 159.

Cacio cotto,

li,

18.

Capua (di) anfiteatro, Capuana (porta), 85.


Carac (scala
Caratarlo, n, 42-

312.

Caglio di cane, 44.

a), 11, 79-

Caionze, 87.
Cairo,
II,

83.

Carella (perfidia
46.

di), detto, 11, 325.

Calamaio di corno, Calchi, vagabondi,


272.

Carlino, moneta, 12.

282.

Carlino (voltarsi su di un),

11,

160.

Callo, moneta, 12, 239; n, 249.

Carlo V,

II,

36.
11,

Callot

Carnevale, 51, 220;

I49-

I.,

4i

Calomare, termine marin., 156.

Caro A.,

4;

n, 61.

Camera di mezzo, ano, Campane (suono delle),

109.
11,
11,

Garosa, vedova, 234; n, 66.

198.
128.

Garoso F.,

4.

Campana

(alla),

giuoco,

Carriola (della) G., u, 191-

Campanello per

le quaglie, 38.

Carruba, spada, 89.

Campanile
Candia,

F., 146.
11,

Casa a due
124.

porte, detto, 150.

Canario (del) ballo,


11,

Casale, villaggio, 88.

7347.

Casalicchio

C,

u, i33-

Cane di Alessandro, Cane che salta, 108.


Canesca, pesce cane,

Casatiello, dolciume, 80, 251.

Cascano, casale, 88.


11,

318.
a),

Cassia tratta (dare), 225.

Canestretta (pettinatura

106.

Castaldo A.,
Castellamare

11,

96su),

Canna

e suoi

effetti,

132.
11,

(proverbio

n,

Cnneta,

nome

proprio,

6.

221.

344

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE


ii,

Castello (largo del),

120-1.
11,

Cianflone, moneta,

11,

265.

Castellucce

(a),

giuoco,

128.

Ciappa (signore
Cicerone,
11,

di),

249.

Castroni di Foggia, 106.


Catafalchi, 220.

248,

Cieco da Potenza, cantante, io.


5,

Catalana (lanciata),

227.

Cinquina, moneta, 138, 282.


Cipolla e sue propriet, 195.

Cataluffo, stoffa, 142.

Catone (Dionisio),

11,

207.
11,

Citatio
165.

ad informandum

t.,

n,

Cavallo, castigo scolaresco, 84;


249.

Cocco pinto, uovo dipinto,


Coccopinto, Cupido, 33.
11,

33.

Cavallo: v. Callo.
Cavalli del Regno,
21.

Cocomeri con
Codavattolo

la

prova,
di),
11,

11,

58.

Cavalle di Spagna, 202.

Cocomeri (bucce
11,

75.

Cavallesse fenestrere,

45.

106. 128.
36.

Cecchi G. M., 186.


e

Colascione,
272.

11,

Cedo bonis
II,

no,

Colombo

A.,

II,

Cedrangole
45-

(del),

vico di Napoli,

Colonnetta della Vicaria, 272.

Color di spagnuolo malato, 40.


5,

Celano

C,

11,

68, 79, 83, 85,

Colore crepato, 230.

86, 87, 107, 134, 168, 189, 208,

Compagno mio,
giuoco, 176.

ferito

sono

271; ", 43, 52.

Cenci Beatrice,

168.

Complimenti, 243, 247.

Centofigliuole, 87.

Composta, cose
pazzi),
11,

in aceto, 5.
11,

Cento uova (cura dei


16-17.

Composta, transazione,

246.

Con

arte e con inganno, ecc. ,


11,

Cera

nelle esequie, 222, 274.


la),
11,

proverbio,

165.

Cera (raccogliere

5.

Congedo
sima,

U., 231.

Cercare miglior pane che di gra-

Contrasto di Carnevale e QuareII,

no,

II,

6.

77.

Cernia, pesce, 41.


Cerretani, 250.
Cerriglio (taverna del), 250.

Copeta, dolciume, 49.

Coppia o solo
Corbona,

(a),

giuoco,

11,

128.

Corazzini F., 177.


11,

Ceuza:

v.

Gelsi.

242.
sulle), 46, 240;
11,

Chiaia, 87.

Corna (motti
di),
11,

9,

Chiaia (mal'ora Chiaia (marina

no.
11,

25, 219, 274.

di), 209;

no.

Cornazzano A.,

i68.
11,

Chiappino, orso, 236.


Chiocciole, 241.

Cornucopia, libro di gramm..


146.
11,

Chiuchiaro,
128, 294.

strum. musicale,

Correzione (carceri
Cortese G.

di),

11,

118.

C,

4, 5, 10,

11, 47, 80,

Chiunzo, luogo,

11,

201.

83.

175,

176,

iSo,

195,

202,

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE


233, 243, 244, 280;
58, 79,
II,

345

32, 38,

Egeria (ninfa),

7.

187.
ir,

Ecciacorvessa

126.

Cosciale, tasca di coscia, Costituzioni del Regno,

23.

Elio Donato, 251; n, 146.

11,

142.

Ensayo

11, 11,

152.
73.

Costo T.,

II,

131.

Epinienide,

Cavalra, giuoco, 176, 289.

Erodoto,
or

II,

226.
61, 280.

Crisomelo, albicocco, 217.


Cro-cro, strum, musicale,
11,

Esca di corte,
II,

128.

Esiodo,

267.
245.

Croce

B., 86, 87,

181;

11,

54, 78,

Estaglio

152, 191, 247.

Estremado

220.

Crocette sulla bocca, 208.


Cruscata, 196.

Estri (dei cavalli), 236.

Cucco o vento, giuoco,


160.

11,

127,

Palanche, term. marin.,

li,

81.

Falcone (giuoco
v. Panicocoli.

del), 123. 21.

Cuculum:
Cuculo,
II,

Falsa pedata, schermitore,


Falsari di monete, 137, 138.

90.
di), 78.

Cucuzza (acqua

Farinaccio P., 168.


iii.

Ciifece, sorta di grillo,

Farinata degli liberti, 42.

Cunto d'oro, milione,


Dafner,
184.
11,

105.

Fasano G.,
Fata,

80.
fatillo ,

fato ,

54.

11,

Daino, ballo,

56.
11,

Dattilo di mare,

235.

Fava (della focaccia), 49. Fave (campo di), 19. Fave secche, vita di galera,
Ferraiuoli (furto di), 127.

67.

Davidsohn R.,
Decina di
Descenzo
Desquitte
II,

li,

312.
168.

lino,

11,

Ferrante

d'Aragona,

11,

136.

Delrio M., 32.

Ferrivecchi (via dei), 130.


75. 50.

,
,

11, li,

Feuillet de Conches, 185.

Fichi iedetelle, 53, 125.

Digesto,

146.

Fida, 67, 106, 1S4.


Filo brescianello, 200.
66.

Dogana (re della), 11, 86. Domine Agostino, sciroppo, Donne (caratteri delle donne
varie nazioni), 230.

Fioravanti L., 50.


Fiorella: v.

delle

Marco
3.

e Fiorella.

Firenzuola A.,

Donzelli G.,

11,

34.

Florimo F.,
Foggia,
11,

168.

Donato:

v.

Elio Donalo.
36,

citt,

106, 240.

Duchesca, via di Napoli,


45-

Foglia, ortaglie, 80, 87.

Folengo T.,

146.

Forca, 84, 85.


Ebrei, 279;
11,

96.
11,

Forcella (via di Napoli), 86, 284;


196.
II,

Eco

(in poesia),

69.

346

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE


ii,

Forcella dell'archibugio,

279.

Giammacco, cantante,
Ginocchio (uscir

11,

122.

Forze d'Ercole,
Fragaglia, pesci,

4.
11,

dal), 44, 216.


11,

71.

Giovanni (evangelo di san),


14311,

Franco, N.,

11,

84.
27.

Franfellicchi, dolciumi, 134;

Giovenale,

11,

146.

Frianoro R., 281.


Frusta (castigo

Giudecca,
11,

143.

della),

88.
, 130.

Giuochi

infantili,

175-80.
io,

Fruste cc, Margaritella...


11,

Giuochi di carte,
262.

i68;

11,

s^,

Fucillo, capopopolo,

204.

Fuorusciti (giuoco dei), 179.

Giuochi (termini

di),
11,

11,

26.

Gaifo, balcone, 64;

11,

79.

Gonzaga Antonia, Grande (in sign. di


Grano

168.

pezzente), 207.
11,

Galee fiorentine,
Galere, 84.

128.

(fosse del),
,

43.

Greco o aceto
F., 66.

giuoco, 180.
11,

Galiani F.,
171.

80,

176,

181;

11,

132,

Greco Greco

(vino), 131;

171.

Galilei G.,

11,

149.
(figlio

Grillo (mastro), 4.
della),
11,

Gallina bianca
146.

Grimra

I.,

11,

184,

Grotta del cane (presso Napoli),


11,

Gallina patanella,

133.
11,

", 31559.

Gallinelle (Pleiadi), 178;

Guanto (amore passa


II,

il),

detto,

Garbino, vento,
Gargantiglia,
ir,

11,

23.

158.
la

105.

Guarda Guarda

moglie

,
,

giuoco, 176.
detto, 117.

Garzoni T.,
160, 176,

35,

40,

50,

84,

106,

la

gamba
6.
11,

194, 282;

II,

26, 61,

Guarini G. B.,
Guastatori,

115-

206.

Gatta cieca, giuoco, 178.

Guerra
11,

S.,

108, 272.

Gatto (cervello Gatto


(il

di),

250;

212.

Guidoni, vagabondi, 282.


Guiscardi R.,
11,

g.

d ordine

alla

sua

136.

coda), locuzione, 262.

Gusunipaur
Heine

F., 44.

Gazzette, 14.
Gelsi (regione dei), 86, 144;
11,

45.

E., 32.

Genealogie

(scrittori di),

146.

Genova
Gergo,

(loggia di), 87.

lesce,

iesce,

sole...,
11,

cantilena

Genovesi (donne), 204.


li,

popolare, 123;
Iesce,

131.

134.

iesce, corna... , cantilena

Gesualdo C, principe
168.

di

Venosa,

popolare, 241.
lettarielle , gettoni,

143. 185,

Gettoni, 143.
Giacinto, pietra,
11,

Imbiondimento dei
34.

capelli,

230-1;

II,

14.

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE


Imbriani V., 34, 80, 177, 241;
190, 196.
11, 11,

347

Lemos

(conte di), vicer, 186.


11,

Letto bucato,
247.

149.
11,

Imitazione poetica,

Letto di riposo,
Letto (fare
il),

40.

Impanata

all'inglese, 250.
11,

28.

Imperticata, ballo,

136, 208.
11,

Liberanza, 154.

Imprecazioni
Imprese,
11,

ai morti,

no.

Liebrecht F., 32, 33, 34, 189, 202,


241; "1 33. 202, 265, 270.

28.

Incamiciata, 129.
Incanti (candela degli), 227.
Inchiostro,
11,

Linda (da)
Lippi L.,

L., 231.
23,

8,

112, 114, 243;

II,

139.
li,

6, 87, 265.

Incurabili (ospedale degli), 62;


17-

Lippomano,

11,

54.
II,

Liuto, sorta di bastimento,

327.

Incursioni di turchi e barbareschi,


108.

Lombardi M.,

213.

Lopa o lupa
11,

vecchia, spada, 99,

Inglesi a Napoli,

59.

244.

Ingratinato, term. culin., 88.


Ingravida-finestre,
Intrugli di Baia,
li,

Lucernetta, misura,

11,

26.

95.

Lucertola a due code, 103.

11,

69.

Lucertola verniinara, 40.


60.
84.

loio (o Gioi),
losefifo

comune,

Lucherino, 194.
Lucia: v. Sfessania.

da Ravenna, boia,
cecato: v.

Ipperico, 194.

Luciano,

11,

84.
11,

lunno

Biondo {compare).
11,

Lupo

(apparizione del), 82;

207.

lusancuerpo

217.

Maccheroni,
Lacci e
spille,
11,

29, 80.
11,

227.

Machiavelli N., Macriata,


253.

11,

167.

Lago d'Agnano, 11, 315. Lambardo I., compositore,

32,
199.

195, 234, 330.

Madama ,
201.

Lampa

(alla),

giuoco, 178.

Maddalena (ponte

della),

11,

41,

Lampada, misura, 192. Lana barbaresca, 32. Lance (correre), 11, 167.
Lancieri (via dei), 86.

Maggio (primo
Maio

di), 5;

n, 86.

Maglia, moneta, 207.


di Porto (vico del), 214.
11,

86.

Land

O., 80, 87, 159, 166.


cieca, 40, 131.

Mal castrone,
Malocchio o

Lanterna a volta o

iettatura, 134.
11,

Lanza (mastro),

19.

Mammalucchi,

11,

305.

Latte di formica, 104.

Mammara
179.

nocella, giuoco,

Lattuga inconocchiata,

48.

Lattughe (collare Lavinaro

a), 11, 216.

Lava, torrente, 107-8, 274.


(via del), 87, 130.

Mandato, term. giudiziario, 11, Mandorle ambrosine, 11, 279.


Mandracchio,
128, 207.

173.

348

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE


di), ii, 198.

Manfredonia (campane

Maschere per donne, 204.

Mangiaguerra, vino, 131.

Massa (proverbio
Mattaccini,
4,

su),

II,

221

Mangone
Mannaia,

B., brigante, 92-3.

67, 84.
,
11,

Manteare

21,

Mazze e panelle, proverbio, 11, Mazza e pinzo , giuoco,


II,

236.
270;

Manso G.

B.,
,

145, 146.
'jt.

128.
S.,
il,

Manzoni L.
Marchese
243,

11,

Mazzocchi A.
258.

312.
11,

Maometto (corpo
145.

di),

Medici di piaga, chirurgi, 236;


39-

(in signif. di mestruo),

II,

Medici di urina,
11,

11,

39.
11,

Marcianise, comune,

100.

Medico, (mercede

del),
11,

253.

Marchi di cavallo,

11,

21.

Medico (mula
34,

del),

201. 207.
II,

Marco e
244.

Fiorella (storia di),

Melito (cinque vie

di),

Melofioccolo, 64, 143;


115.

84.

Marco

Sfila (fare),

Melofioccolo (vico del), 63.

Mare

trace,

li,

53.

Melo pero,

40.

Maria d'Austria, regina d'Ungheria,

Meniello (quel che sa fare), detto,


II,

253;

II,

65.

178.

Maria

di Brienna, 231.

Menzini

B., 147.
del),

Maria per Ravenna(cercare),prov.,


231.

Mercato (piazza

87;

11,

250.
11,

Mercanti compratori di feudi,


di), 274.

Mariaccio (brache

54-

Marigliano, comune, 19.

Mercotellis A., 176.

Marino G.

B., 82;

11,

232, 247.

Mercurio, rimedio,

11,

201.
11,

Marranchino, ladro, 278.

Meretrici, 78, 86, 232;

24, 53.

M'arraquaquiglio

formola di

Meretrici (gabella delle),

6.

complimento, 247.
Martino, montone, cornuto, 258,
284.

Mesesca, carne salata,


247.

153,

232,

Messere, 84, 216.


165.

Martino (giorno di san),

Meso, 194;

II,

270.

Marzapaniello

11,

55.

Miano,

villaggio, 31.

Marzo (cura

di),

13.

Mi chiamo
co, 10.

fuori

term. di giuo-

Marzo (mese di), 11, 276. Marzo (tuono di), 11, 149.
Masaniello,

11,

Minestra di erbaggi,

11,

43.

145, 204.

Minucci

P., 112;

II,

87, 265,
11,

Masute

279.

Misce

et fac

potum,
11,

16.

Mascherate, 253.

Mitria di carta, 92;


dell'ar-

311.

Maschere della commedia


te,
II,

Modestino

C,
95,

168.
177, 180,

73.
ferraresi,

Molinaro del Chiaro L.,


160.

Maschere

241;

II,

132.

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE


Monachetto
59(o

549
11,

monaciello

), 32,

Onore
Ore

(degli uomini),

1S7.
ir,

fetorie o iettatone ,

Moncile, veste,

11,

105.

110.

Monosini A.,

11,

21.

Orecchie (mutar

le),

n, 20S.

Montaigne, 253.

Orinale e suo uso, 259.


130, 131.
11,

Monti G. M.,

II,

Orso del principe, 273;

11,

76,

Morra
Mori,

(alla),
II,

giuoco,

128.

Orvietano, antidoto, 105.


Orzaiuolo, 183.

330.
149.

Morte di Sorrento, n,

Osterie,

11,

53.
delle),
11,

Mozzo

di

camera, 32.
11,

Osterie
95.
162.

(iscrizioni

79,

Mprena-feneste,

Osti napoletani, 34.

Napoletani, mangiafogUe, 80, 87.


Napoli, 85-88.

Osso maestro,

11,

31.

Ossuna (duca
a),

d'),

vicer, 86;

11,

Napoli (dare di naso


272.

detto,

204.

Ovidio, 113.
parole
di),
11,

Napoli

(le tre

di),

a,

190.

Napoli (strade

75.

Negri

C, II, 4. Nenna o nennella,


ZZ,

G. B., 11, 54, 65. cPaduli, luogo di caccia presso


Pacichelli

fanciulla,

Napoli, 209.

158. 134.
198.

Paggese, arnese da battere


II,

panni,

Nole, paste,
11,

291.

Nerucci G.,

Pagliaminuta

C,

il,

136.

Neve (giuoco

della), 20. 123.

Pagliaminuta, ufficio municipale,


II,

Nferta, strenna,
Nicolini F., 67.

136.

Palla di vetro per le rughe, 98.

Nifo A., 166.

PaHcco,

II,

223.
11,

Non
II,

chiovere,
132.
(alle),

non

chiovere...

Pallone (giuoco del),

i711,

Pane caldo
giuoco,
II, 11,

(a),
11,

giuoco,

136.

Norchie

128.

Panicocoh,

loi.
73-

Novati F., 181;

191.
dei),
11,

Paolo (san),
94.

11,

Numeri (simbolica
Cibare,
226.

Paparelle (delle) vico, 190.

Paparo Caterina, 190.


11,

Paparo, famiglia, 190.


fosse
130.

Oh

Dio, che
11,

ciola...,

Paraguanto,
Parasacco,
6.

11,

246.

villanella,

Oliva F., 180.


<

Parrino D. A., 186, 193,

Olla podrida

36.

Partenio Tosco, 150, 186.

Olmo

(piazza dell'), 86.


(degli) P., n,
121.

Parzonaro

portionarius), 31.
11,

Onofrio

Pascarola, villaggio, 22;

112.

350
Passano G.
Passera

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE


B., 189.
Pietri (da') F.,

146,

147.

muta

fa),

giuoco, 33, 185.

Pigmalione,

11,

279.

Pastidella

dolciume, 134.

Pignatta grassa, 36.

Pastiera, dolciume, 80.

Pignatta maritata, 88.


Pillola aggregativa, 31,

Pastinache

, 87.

X02.

Pataccone, moneta, 104.


Patria (lago di), 228. Patria (spilata ), detto, 228.

Pillola aurea, 119, 218.

Pino G. B.,

33;

II,

144.

Pisciatoio (taverna del), 94.

Pazzi e loro cura,


Pedanti,
11,

11,

17.

Pisciatoio (vico del),

11,

45.

264.
li,

Pitie G., 32, 68, 80, 176-9, 241,


104.

Pennata, 117, 138;

272;
di no

II,

90,
II,

128,

136, 198.

Penna verde, personaggio


vella,

Pizzella ,

198.
II,

189.

Plinio, 47, 75, 202;

182, 218.

Pendino, regione di Napoli, 85.

Plutarco, 40.

Pennone, stendardo.
Perdonanza, 131.
Penilo M. A., 176.

Ss; n, 250.

Polmonara, nave, 128;

11,

53, 165.

Polmone
lo.

pei gatti, 213.


11,

Polvere di zanni,
il,

69.

Perichitto (a), pettinatura,


Perrotti N.,
11,

Pomigliano d'Arco, comune, 268. Ponte al sirt, ponte delle ani-

140.

Perruccio A., 166.

me,

II,

289.
11,

Pertuso o Pertugio, luogo di


Napoli, 87.

Ponze de Soto M.,


Porta (della) G.

190.
5,

B.,

71,

235;

Pesce

marino,

dagli

sopra

II,

13511,

giuoco, 178.

Porta reale,
11,

68.

Petrarca F., 280;

60, 98, 241.

Porto (strada
Posilipo,
'/8,

di), 86.

Petreiata, sassaiuola, 83.


Pezzillo, cantante, io.

179.

Posto

lasciato

posto

perduto

Pianellari (vico dei), 79.

(a),

giuoco, 52.
11,

Pianelle, 79, 230.

Poveri vergognosi (abito dei),


96.

Piazza larga, luogo di Napoli, 85;


II,

69.

Pozzuoli (grotta

di),

248.

Piazza morta, pensione, 93-4, 145;


II,

Prattiglia ,

11,

227.
,

180, 302.

Prendere carta soverchia detto,


ii>

Picadiglio, pietanza, 88, 247.

59la
II,

Picca (passo della), 44.


PicinelU F.,
11,

Prendere
detto,

lepre
70.

col

carro,

78.

Pietra del pesce, 209. Pietra


in

Preteianti , sassaiuoli, 83.


11,

seno

(a),

giuoco, 23i

Procaccio, 215;
Profizio, 80.

138.

178.

Pietra (per colori),

il,

224.

Protomedico di Napoli,

33.

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE


Pubblica, moneta, 31.
Pulci L.,
3.

351

Rosa S., 144, 164, 165. Rosmarino e sue virt,

63.

Rosola

II,

167.
del), detto,

Quadretti di

frutta,
S.,
11,
11,

11,

74-

Rosso (impicci

1S6.

Quadrio F.
Quaresima,

19^-

Rotolo, peso, 103.

149.
57.

Ruggiero (mastro),

4.

Quartarulo, misura,
dell'arte, 22,
di),
11,

Ruin

190.

Quattro

152.
11,

Rum

e bus/, 238.
calci,
II,

Quinta (sbalzo

62;

16.

Ruota dei
Russo
F,,

giuoco,

3,

176.

Quota, imposta,

306.
11,

191.

Quot quot autem,

143.

Salerno
Rabelais, n, 198, 265, 270.

(fiera di),

11,

54.

Salipendola, giuoco, 179.

Radici medicinali,

11,

i49-

Saltapalmo, giuoco, 177.

Ramaglietto,

li,

261.
11,

Sacco L., 66.


46.
Salta,

Ramarro (pancia

di),

Maruzza, ecc.

, villanella,

Re

degli uccelli (o della musica),

126.

cantante, io;

11,

191.

Salvini A. M., 28.

Redi F.,

II,

255.
85.

Sancio Panza,

11,

21.

Refola,

II,

Sangradale

Saint Graal), 274.

Rehfues P.
Reigen,
li,

J.,

180,

Sanguisughe, 197.

184.
di),
11,

Sannazaro
102.

I.,

135.
di), 207.

Reims (ampolla

Santa Chiara (chiesa


Sariis (de) A.,
159.

Re

mazziere, giuoco, 178.


75.

Remora,

Sarnelli P.,

11,

54)

iQO-

Requie, scarpe e zoccoli, 116.


11,

Sarno, fiume, e propriet delle sue


acque, 132,
11,

Resina, comune, 268;

60.

54.

Reti da pescare (nomi di), 113.


Ricatti degli alloggiamenti, 143.

Sasina, feritoia, 269.

Sbano,

11,

144-5-

Ricci
<

C,

168.

Sbaraglino

(a),

giuoco,
11,

11,

181.

Ripeto, 39.

Scafati (torre di),


94.

56.
21;

Rizzi

Zannoni G.,
E.,
64,
II,

Scannarebecco (Skanderbeg),
176,
II,

Rocco

66,

no, in,
128,
il

63.

178, 205;

102,

145.
pitale ,

Scapece, manicaretto, 247.


Scarafaggi, 115.

Rompere

il

cantaro o

locuzione, 53, 251.

Scarica l'asino Scarica barili

(a), (a),

giuoco,

11,

181.

Rondine, mia rondine, giuoco,


177-

giuoco, 179.
(a),

Scarica la botte
(sterco di),
132.

giuoco, 177.

Rondine

Scarriglia mastrodatti, giuoco, 179.

Roomer

G.,

11,

65.

Scazzellacane, 256.

352

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE

Scellavattolo

uccello, 44.

Sorrentino G.

C,

60;

11,

235.
11,
11,

Scherillo M., 17.

Sorrento (proverbio su),

221.
237.

Schiavi, IO, II, 258.

Sossegare, spagnolo,

Schiavo vostro incatenato

for11,

Sottostato, pietanza, 80.

mula
29.

di

complimento, 243;

Spaccastrommola

11,

152.

Spagnuoli

(soldati), 86.
(detti

Sciarra Marco, 115.

Spagnuolo

spagnuolo), 286.

Scimmie,

3.
11,

Spalmata, castigo scolaresco, 84.


221.

Scoglio del sale,

Sparviere (sterco

di), 285.

Scoppa G.,

39.
le), 11,

Spogliamorti (spogliampisi), 49.


139.

Scottature (rimedi per

Spogliazza, castigo scolaresco,


87.

11,

Scudo

riccio,
11,

'JT,

11,

268.

Scrivani,

38.

Spropositi (giuoco degli),

11,

265.

Seggi o sedili di Napoli, 130.

Sputo

nelle

mani, loi.
151.

Seca molleca
tile,
II,

canzonetta infan-

Sputo per segnale,


Starza, 215.

95.
(a),

Starace G. V., 226-7.


giuoco,
11,

Segamattone
Semenzina,
Serio L., 177.

127.

204.

Stecchi
II,
11,

conficcati
189.

per

memoria,

Settepanelle, servitori, 14;

177.

Stella, cantante,

122.

Sfessania

(ballo

della),

4,

205,

Stendi

mia

cortina,

giuoco,

232, 337; ". 4-5-

178, 204.

Sfrattapanelle: v. Settepanelle.

Stefano, ventre,
Stiva, 28.

180.

Sgualdi V.,

II,

225.
4, io, 80, 146, 177,

Sgruttendio F.,
180;
II,

Stoppata, 35, 194.


Storie popolari, 159.

4-

Shakespeare, 181.
Siegfried,
Sifilide,
11,

Strangolapreti,

11,

190.

184.
II,

Strambotto,

11,

35.

159;

276.

Strenne, 123.
Strffoli,

Signora, cortigiana, 166.

dolciume,
11,

11,

27.

Sigurd,
Simili

II,

184.

Studenti, 136;
8.

22,

23, 24.

(i),

commedia,

Stufe, 114-5martiel266.

Si

te

credissi

dareme
11,

Supposta, 53;

II,

149-

lo..., villanella,

Siringa, dea,

11,

6.

Tabacco,

11,

39.
11,

Siviglia (cose eccellenti di), 34.

Tabi
11,

di Venezia,

61.

Soberbiosa
55-

grandiosa

Tafaro e tamburo

giuoco, 178.

Tacito, 47.
11,

Soldano A.,

157.

Talete, 167.

Sopratavola, 136.

Tansillo L., 131, 136.

INDICE ALFABETICO DEt.LE NOTE


Taranto e sue
delizie, n, 20.

353

Trionfetto, giuoco, 35, 130.

Tarantello, sai urne, 87.

Trionfo di coppe, giuoco, 39.

Tarantola, panno, 136.

Trucco, giuoco, 131, 251;


It,

11,

267.

Tarantola (morso della),

337-8.

Trullo, cupola,

11,

69.
24, 80, 86,

Tasso T.,

109;
45,

II,

148.

Tufo

(del)

G.

B., 4,

Tassoni A.,

99, 208.
93, 252-3.
11,

158,

165,

175,
II,

176,

178,

179,

Tedeschi e vino,

221, 273;

4,

114-5.
11,

Tedeschi a Napoli,
Telescopio,
11,

59.

Tuppo,

pettinatura,

106.

149.
11,

Turchi, 108.
iii.

Telone (del

teatro),
11,

Tulomaglio

, titimalo,

11,

39.

Teluccini M.,

187.
11,

Tempo Tempo
II,

(simboli del),

216.

Uccelli (nomi di), 209;

11,

212.
fer-

(in signif. di catamenia),

Uccello, uccello,

manica di

330

ro , giuoco, 180.

Testimonianza vostra, formula,


244;
II,

Uniantur acta, formula,

il,

17.

80.

Tifone, 40.
Toccaiiglia,
11,

Uova dipinte: v. Cocco pinlo. Uova di lupo e pettini da quin246.


11,

dici , detto, 71. 128.


11,

Tocco
Toledo

(al),

giuoco,

Usi nuziali napoletani,


32,

11,

168.

(di)

P., vicer, 93;

36, 204.

Topo marino,
Toppi N.,
Torce
,

11,

218.

Uva corniceila, 11, 11. Uva (variet di), 11, 11. Uova (cento): v. Pazzi.

6,

272.
11,

di Venezia,

27.

Va

e resta, termini di giuoco,


53-

Torcia (ballo

della),
del),

11, 11,

124.

Toro (sangue

182.
v.

Valenza

(calice di),

11,

102.

Torrenti d'acqua piovana:


Traslati poetici,
11,

Lava.

Varnhagen H.,

231.
(il) ,

60.

Vecchio non venuto


co,
179.

giuo-

Trastullo, maschera comica, 272.

Trattenimento, pensione,

li,

302.

Vecellio
96.

C,

185,

192, 231;

11,

14,

Trave lunga Trevo

(a),

giuoco, 178.

Trcchina, villaggio, 142.


(o triego), term. marin.,
11,

Velardiniello,
165, 179-

cantore

popolare,

22.

Velluto in quaranta, 130.


tribolo

Tribolo,

battuto,

piagni-

Venezia,

11,

83, 225.
effetti

steo, 39.

Vento e suoi
strum.

prodigiosi,

Triccaballacco,
281.
e

mus.,

11,

202.

Verde Prato:
,

v.

Penna verde.
312.

Trincole e mingole

180.

Vergini (lava dei), 107.


Verlascio di Capua,
11,

Trinculo, iSo.

G. B. Basile, Penlamerone

11.

23

354
Verrinia,
ii,

INDICE ALFABETICO DELLE NOTE


248.

Vosseta

11,

70.

Vicaria (colonnetta della), 272. Vicaria (tribunale della),


11,

Votracone, 242.

152.

Vicaria (trombetta della), 27.

Zaflaranaro,

11,

ri8.

Vico (prov.

su),

II,

221.
125,

Zannette, monete tosate, 193.


Zannettar, 193.

Vieni, oh vieni, giuoco,


179.

Zazzera F., 86, 146.


alla

Villanella
II,

napoletana,

126;

Zecca (tribunale
Zeppola,

della), 272.

129-31, 265-66.

frittella, 87,

89.
11,

Villaricca: v. Paiicocoli.

Zerre-zerre, strum. mus.,

128.

Villaln (de) Chr., 215.


Virgilio, 12, 47, 65;
II,

Zingari, 158-9;
61, 222.
13.

11,

31.

Zita, fanciulla nubile, 205.


Zito B., 176, 179.

Voglie di donne incinte,


Volpara, uncino,
11,

244.
52.
11,

Zucchi F.,

II,

39.

Vomero,

villaggio,

11,

Zuche-zuche,
128.

strum.

music,

11,

Vorria,
131.

crudel,

tornare...,

INDICE
DEL VOLUME SECONDO

Giornata terza
I.

Introduzione
mani mozze

p
6
i6

Cannetella

II.

La
Il

bella dalle

Ili,

bianco viso

30
44

IV.

Sapia Liccarda

V.
VI.
VII.

Lo

scarafaggio,

il

topo e

il

grillo

....

52

Belluccia

64 73
82

Corvetto

Vili, L'ignorante
IX.

Rosella

90
100
114
125 133
141

X.

Le

tre fate

Egloga

III.

Giornata quarta
I.

La stufa Introduzione
fratelli

La
I I

pietra del gallo

IL
Ili,

due

tre re animali

155

IV.

Le
Il

sette cotennurze

164
172
185

V.
VI.
VII.
VIII.

dragone
tre

Le

corone
pizzelle

Le due
I

198

sette colombi

207

356
IX.
Il

INDICE DEL
corvo

VOLUME

II

)).

222

X.

La superbia punita


.
.

236

Egloga IV.

La

volpara

244
259
267
272

Giornata quinta
I.

Introduzione

L'oca
I

IL
III.

mesi

Finto smalto
Il

278

IV.

ceppo d'oro

286
297

V.
VI.
VII.

Sole,

Luna

e Talia

La Sapia
I

figli

304

cinque

310
317

VIII. Ninnillo e Nennella


IX.
I

tre cedri

fiabe.

324

X.

Fine della Fiaba delle

Conclusione

alla

introduzione dei trattenimenti

....

337
341

Indice alfabetico delle note

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