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EQUAZIONI DIFFERENZIALI
y ' = f ( x)
da cui si ottiene
y (x )= f (x )dx+c
(1.1)
Di solito ad una equazione differenziale di primo ordine si associa una cosiddetta condizione iniziale, la quale consiste in nell'assegnare y (x 0 )= y 0 e associarlo all'equazione differenziale. Ci permette di trovare una soluzione particolare dell'equazione determinando la costante d'integrazione di per se generica. Tale ricerca di una soluzione particolare detta problema di Cauchy. Ovviamente possibile avere una equazione differenziale di ordine superiore rispetto al primo:
e ad esse possibile imporre delle condizioni iniziali. Un esempio della meccanica classica la seconda legge di Newton, F =ma , che pu essere vista come l'equazione
3 differenziale m x =F (t , x , x ) con x(t) funzione incognita. Fissando le condizioni iniziali per x (t 0 )=x 0 e x (t 0 )=v 0 con t 0=0 si ottiene nell'esempio del corpo in caduta libera:
{
Otteniamo e separando le variabili otteniamo
x =g da cui
x =g t+c 1
1 x= g t 2 +c 1 t+c 2 2
1 x= g t 2 +v 0 t+x 0 2
x =( )x
nella quale x rappresenta la popolazione in un dato tempo t, x il tasso d'accrescimento, mentre e rappresentano rispettivamente i nati e i morti in un certo periodo di tempo. Prendiamo ora una condizione iniziale x (t 0 )=x 0 e associamola al modello di Malthus. Una soluzione sempre definita in un intorno di t 0 , ossia vicino a tale valore. Notiamo che se x 0=0 allora la soluzione x =0 e
4 quindi il tasso d'accrescimento nullo e si ha una situazione stabile. Tale soluzione per via della sua immediatezza detta banale. Consideriamo quindi il caso non banale, ovvero generale: sia quindi x 00 . Dividiamo tutto per x e si ha:
x =() ossia x
x =r x d x lnx= . dt x
La precedente il risultato di una nota derivazione della forma Separando le variabili si ha:
d lnx=()dt ossia
che risolto da cui si ricava
d lnx= r dt
x=ke
rt
lnx=rt+c x=e e
c rt
ovvero
con k costante arbitraria. Tale scrittura esprime la soluzione generale. Nel caso di una soluzione particolare, ovvero assegnata la condizione iniziale x (t 0 )=x 0 si procede come segue:
t t0 t t0
d lnx= r dt
ovvero
ln
da cui
( )
x =r (tt 0 )+c x0 x= x 0e
r (tt0 )
Si noti la scomparsa del valore assoluto dovuto al fatto che x e x 0 hanno lo stesso segno. Il precedente esempio servito per introdurre le equazioni differenziali ordinarie a variabili separabili. Pi in generale esse sono del tipo:
y ' = f (x ) ( y ) g
5 ove f(x) una funzione dipendente dall'incognita x mentre g(y) dipende dalla particolare funzione incognita y(x). In particolare f C ( I ) e g C ( J ) con rispettivamente x 0 I e y 0 J e tali funzioni sono continue in C1 . Bisogna ricordare che se f sempre derivabile certamente continua, tuttavia non sempre f ' continua a sua volta. Quindi dire che f e g sono continue in C1 significa semplicemente che f e g sono derivabili con continuit, ossia anche la loro derivata prima sempre continua nel dato intervallo scelto. Consideriamo il problema di Cauchy per equazioni differenziali di questo tipo:
y ' = f (x )g ( y ) y ( x 0 )= y 0
Una soluzione banale si ricava dal fatto che se g ( y 0 )=0 , significa che stato posto y ( x )= y 0 . Se ci vero allora la derivata y' sicuramente nulla, verificando l'uguaglianza.
Una interpretazione geometrica della ricerca di una soluzione dell'equazione differenziale rappresen-tata dal grafico qui a fianco: ossia corrisponde a trovare una curva tale che in ogni punta della curva la tangente coincide con la retta assegnata. In pratica nel grafico abbiamo a,b e c,d che possono essere visti come gli estremi d'integrazione del primo e del secondo membro, ovvero lungo x e lungo y. Nel rettangolo cos ottenuto quindi abbiamo l'intervallo generico per il quale la soluzione particolare del problema di Cauchy cercata valida. Le rette di coefficiente angolare
6 1/g(y) e f(x) rappresentano quindi il punto in cui tale soluzione vale. Scegliendo ora una soluzione non banale, ovvero g ( y 0 )0 , procediamo come segue:
y' = f ( x) g ( y (x ))
Moltiplicando ambo i membri per dx otteniamo
dy = f ( x) dx g ( y (x ))
ovvero
g ( y ( x))= f ( x) dx
dy
(1.2)
che rappresenta la soluzione. In questo caso si tratta quindi di conoscere la funzione primitiva G(y) di g(y) ed esplicitare da essa la y. Ossia:
y
G( y )=
y0
dy g ( y ( x))
G( y )=F ( x )+c
Per trovare l'inversa della funzione G(y) deve risultare che G( y )0 e questo accade poich se essa non si annulla significa che strettamente crescente o decrescente in quanto si era scelto g ( y 0 )0 che per noti teoremi di analisi verifica quanto detto. Di conseguenza si ha:
y=G1F ( x)+c
Riprendendo il caso della funzione particolare si ha che essa data dagli integrali
7 definiti:
g y 'y ) = f ( x) ossia ( x
0
Da notare ovviamente la variabile muta. Per il cambiamento di variabile si pone dy= y ' ( s)ds e quindi
gdyy ) = f ()d ( x x
0 0
y0
d = f ( ) d g ( ) x
0
(1.3)
Come detto in precedenza la soluzione definita in un certo intervallo I e tale intervallo detto intervallo massimale d'esistenza, ed esso contiene il punto t0 in cui assegnata la condizione iniziale, e tale funzione deve essere derivabile in tutto questo intervallo e soddisfare quindi l'equazione. Esempio 1:
{
stazionaria. Integriamo:
(23y)2=cos (6x)+c
ossia
y=
1 2 + ccos( 6 x) 3
y=
Esempio 2: Trovare la soluzione generale di
1 2 + 1cos (6 x) 3
y ' = y 26y7
Si ottiene
dy = dx y 6y7
2
( y+1)( y7) = dx
ovvero
dy
determinati a questo punto A e B, che valgono rispettivamente -1/8 e +1/8 si procede con l'integrazione dei logaritmi:
da cui
ln
Ponendo
y7=e c e 8 x ( y+1)
k =e
y ( x )=
7+ke 8 x 1ke 8 x
A questo punto molto interessante vedere come varia la nostra funzione y con certi valori di k:
9 1) 2) 3) 4) per x si ha che y ( x ) 1 per x o k nullo si ha che y (x ) 7 per k<0 la soluzione globale per k>0 allora si ha un punto in cui il denominatore inevitabilmente si annulla
y ' =sin y
Le soluzioni banali sono per y=k con k . Le soluzioni generali sono date da:
sin y =x+c
Per risolvere questo caso bisogna applicare la trasformazione razionalizzata:
dy
sin y=
ovvero
2t 1 y dt da cui si ricava dy=(2arctan t) ' dt= 2 con t =tan 2 2 1+t 1+t 1 1+t 1+t 2 = x+c 2t tan
2
da cui
ln (tan
y )=x+c 2
x
ossia
y x =ke da cui 2
y=2arctan( ke )
con k =ec . Ovviamente sono presenti anche casi di equazioni riconducibili semplicemente a equazioni differenziali ordinarie a variabili separabili.
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a 1 (x ) y ' +a 0 ( x) y=b( x)
e viene definita equazione differenziale di primo ordine. Il grado di una equazione differenziale dato dal grado della derivata che vi compare all'interno. Dividendo per il coefficiente di y' e supponendo che tale coefficiente non si annulli mai, riscriviamo la precedente come:
y ' +a (x ) y= f ( x)
In questo modo l'equazione differenziale definita in forma normale. definita equazione differenziale omogenea la precedente posto f(x) nullo:
y ' +a ( x ) y=0
In generale per tutte le equazioni differenziali possibile esprimere la loro struttura con una applicazione lineare L associata ad y, ossia:
Ly= f ovvero
L [ y ( x)]= f ( x)
ove richiesto che f C 0 (I ) e lo stesso per Ly. di notevole importanza considerare che dato un insieme di funzioni F a cui si applica una trasformazione lineare, l'insieme di funzioni F risulta essere uno spazio vettoriale particolare detto spazio di funzioni. Di conseguenza l'operatore lineare di derivazione altro non che una trasformazione lineare tra gli spazi vettoriali C n+1 ( I ) e C n ( I ) . Di conseguenza la struttura della nostra equazione differenziale pu essere vista nel modo che segue:
L :C ( I ) C (I )
L : y Ly
una trasformazione lineare attuata dall'operatore lineare L che, applicata allo spazio vettoriale C 1 ( I ) , lo trasforma nello spazio vettoriale C 0 (I ) . L'operatore lineare fin qui considerato pu essere scritto come:
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L n ( y)
(1.4)
ove n il grado dell'equazione differenziale e i coefficienti a considerati possono essere o meno dipendenti dalla variabile x. Nel caso di una equazione differenziale del primo ordine l'operatore definito semplicemente come:
L n ( y)=
dy +a1 y dx
Tornando alla nostra precedente equazione differenziale del primo ordine poniamo f(x) = 0. In questo caso si ha che:
da cui
Il primo membro la derivata del logaritmo della funzione y, il secondo membro resta incognito:
ln y= a (x )dx+c
Chiamando
(1.5) con k =e . Consideriamo ora una equazione differenziale di primo ordine non omogenea, ossia nella forma pi generale
c
y ' +a (x ) y= f ( x)
A( x)
y '+a ( x)e
A(x)
y= f ( x) e
A(x)
(e
A( x)
y) ' = f ( x)e
A (x)
12 da cui
(1.6)
Nel caso della soluzione particolare y (x 0 )= y 0 del problema di Cauchy, l'integrale precedente riscritto come:
x
(1.7)
possibile notare a questo punto un fatto fondamentale nella risoluzione di una equazione differenziale lineare del primo grado: la soluzione generale data dalla somma tra la soluzione omogenea e la soluzione particolare. Infatti si vede che nella 1.6 tale fatto sussiste. Esempio 3: Trovare la soluzione di:
13 ovvero
y=e
che la soluzione particolare.
2x
1 sin 3 x 3
Se si considera il problema di Cauchy associato ad una equazione differenziale del secondo ordine, esso ha la forma:
e tale problema ha una sola soluzione y C 2 (I ) . Nella trattazione delle equazioni differenziali del secondo ordine consideriamo prima l'omogenea, ovvero (1.8) az ' '+bz '+cz =0 Si dimostra che una equazione differenziale del secondo ordine ha due soluzioni z1 e z2, ed esse sono linearmente indipendenti, facendo si che l'insieme delle soluzioni dell'equazione omogenea sia dato da una combinazione lineare di queste ultime, ossia z =c 1 z 1+c 2 z 2 . Ricordando che la trattazione seguita tratta le equazioni differenziali ordinarie dal punto di vista degli spazi di funzioni (ovvero l'insieme F di funzioni definite in I ed associate ad un operatore lineare sono trattate come uno spazio vettoriale), l'indipendenza lineare delle due soluzioni dell'equazione differenziale del secondo ordine pu essere vista come segue: z1 e z2 in quanto indipendenti sono una base di uno spazio vettoriale di dimensione 2. Quindi lo spazio vettoriale delle soluzioni di una EDO del second'ordine ha dimensione 2. La dimostrazione di tale indipendenza lineare avviene attraverso il calcolo del determinante della matrice Wronskiana, detto semplicemente Wronskiano. Dato un sistema formato dalla combinazione lineare delle due soluzioni della EDO di
{
il Wronskiano dato da
z1 z2 z '1 z '2
Se tale determinante non nullo le due soluzioni sono ovviamente indipendenti, in caso contrario le due soluzioni sono dipendenti ed una di esse pu essere espressa come proporzionale all'altra. L'integrale generale della EDO di secondo grado dato dalla somma tra la soluzione dell'omogenea e la soluzione particolare, ossia
y= +c1 z 1+c2 z 2 y
1.5 Criterio per la risoluzione delle EDO di secondo ordine omogenee a coefficienti costanti
Data l'EDO omogenea 1.8 poniamo z =e x come soluzione generica e sostituiamo le sue derivate all'interno della omogenea 1.8. Otteniamo eliminando l'esponenziale la seguente equazione di secondo grado in :
a 2+b +c=0
e tale equazione detta polinomio caratteristico associato all'equazione differenziale. Ovviamente, pi elevato il grado dell'equazione differenziale, tanto pi sar maggiore il grado del polinomio caratteristico. Si distinguono dunque tre casi a seconda del determinante di tale equazione: 1) > 0 : in questo caso specifico abbiamo due radici reali e distinte 1 e 2 . La soluzione pi generale data da una combinazione lineare degli esponenziali e x e e x , ossia:
1 2
z ( x)=c1 e x +c2 e
1
(1.9)
15 2) = 0 : per il discriminante nullo l'unica soluzione una radice doppia data da 12=b/2 . Per trovare la soluzione generale si usa in questo caso il metodo della variazione delle costanti:
z =e x k ( x )
Le derivate della precedente sono:
z ' =e x [ k ( x)+k ' ( x)] z ' ' =e [ k (x )+2 k ' (x)+k ' ' ( x)]
Le tre precedenti si sostituiscono nella 1.6 ottenendo
x 2
z =e x (c 1 x+c 2 )
(1.10)
3) < 0 : in questo caso il polinomio caratteristico ha radici complesse e coniugate della forma 12=i . In questo caso quindi soluzioni della precedente sono:
z 1=e
(+i ) x
=e
i x
e z 2 =e(i )x =e x ei x
Ricordando che ogni combinazione delle soluzioni dell'equazione omogenea ancora soluzione della stessa equazione, si scelgono le combinazioni
1 1 (z + z ) e ( z z ) da cui si ottengono 2 1 2 2i 1 2
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x z a =e cos x e
z b =e sin x
(1.11)
+6 7=0
Gli zeri di questo polinomio sono 1 e -7, quindi si rientra nel caso > 0, perci:
z ( x)=c1 e7 x +c 2 e x
La derivata di tale soluzione :
z ' ( x )=7c1 e
7 x
+c2 e
z ( x)=e
7 x
+e
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1.6 Criterio per la risoluzione delle EDO di secondo ordine non omogenee
Per risolvere una EDO di secondo ordine del tipo
=+i
Tale numero riveste enorme importanza come vedremo fra poco. A questo punto possiamo determinare la struttura della soluzione ossia:
(1.12)
Il numero d definito molteplicit, e ad esso vengono assegnati dei valori numerici: consideriamo le due radici del polinomio caratteristico a 2+b +c=0 , ovvero 1 e 2.
18 Se: 1) d = 0 allora significa che =+i non nessuna delle due radici del polinomio caratteristico 2) d = 1 allora significa che =+i coincide con una delle due radici del polinomio caratteristico 3) d = 2 allora significa che =+i coincide con entrambe le radici del polinomio caratteristico Come si pu vedere questa struttura molto generale comprende tutti e tre i casi di discriminante. Nel caso di =0 non si considera la A moltiplicante il coseno. Trovata la struttura di y si procede con il calcolo delle derivate prime e seconde e la loro sostituzione all'interno della EDO di secondo grado non omogenea. In questo modo possibile determinare le varie costanti. La soluzione generale quindi:
y= y 1+ y 2+ z
con z soluzione dell'omogenea associata. Esempio 5: Trovare le soluzioni della EDO di secondo grado:
24 5=0
che sono -1 e +5. Perci la soluzione omogenea ha forma:
z =c 1 e +c 2 e
5x
A questo punto dobbiamo trovare due soluzioni particolari della precedente in quanto siamo nella forma f = f 1+ f 2 . Quindi si ha:
L y 1=1 e
L y 2= x e
La prima molto semplice: y 1=x d Q 0 ( x) e 0=cx d . Poich = 0 come facile vedere, la molteplicit d 0, quindi la prima soluzione : y 1=c le cui derivate
19 sono tutte nulle. Sostituendo tale risultato nella EDO, si ottiene: 5 c=1 ossia
c=
Perci:
1 5 1 5
y 1=
Per la seconda soluzione dobbiamo procedere come segue: in quanto compare il termine x2 dobbiamo trovare un generico polinomio di secondo grado e per l'esponenziale dobbiamo porre =1 come in f 2 ( x ) .
y 2= x Q 2 (x )e = x (ax +bx+c)e
In quanto = 1, essa non coincide con nessuna radice del polinomio e quindi la molteplicit 0. Di conseguenza si ha:
y 2=(ax +bx+c) e
Le cui derivate sono
y ' 2=[ax 2 +x (2 a+b)+b+c ]e x 2 x y ' ' 2=[ax + x(4 a+b)+2 a+2 b+c ]e
Sostituendole nella EDO (e stando attenti a moltiplicare per i coefficienti) si ha
[8 a x +(4 a8 b) x+2 a2 b8 c ]e =x e
ovvero
[8 a x 2+(4 a8 b) x+2 a2 b8 c ]= x 2
A questo punto si pone un sistema di tre equazioni in tre incognite dove deve risultare:
1 1 3 y 2= ( x 2 x+ )e x 8 2 8
La soluzione generale della EDO quindi
1 1 3 y=c 1 ex +c 2 e 5 x x 2 e x + x e x e x +1 8 16 64
y =c 1 (x ) z 1 ( x)+c 2 ( x )z 2 (x )
una soluzione particolare dell'equazione omogenea, ove z1 e z2 sono conosciute. Questa soluzione verr quindi sostituita nella EDO di secondo ordine, perci bisogna calcolare le sue derivate:
Imponiamo
tale
che
y ' '=c1 ' z 1 ' +c 2 ' z 2 '+c 1 z 1 ' '+c 2 z 2 ' '
A questo punto possibile sostituire in Ly= y ' ' +ay ' +by= f e otteniamo
c 1 ' z 1 ' +c 2 ' z 2 ' +c 1 z 1 ' ' +c 2 z 2 ' ' +a( c 1 z 1 ' +c 2 z 2 ')+b( c1 z 1+c 2 z 2 )= f
che pu essere riscritta come
c 1 (z ' ' 1+a z 1 '+b z 1)+c2 ( z ' ' 2+a z 2 ' +b z 2 )+( c1 ' z 1 ' +c 2 ' z 2 ')= f
I primi due termini sono nulli perch sono soluzioni dell'equazione omogenea che
c '1=
z1 z2 z '1 z '2
z1 z '1 0 f
0 f z2 z '2 z1 z'1 z2 z' 2
x
A questo punto baster integrare c'1 e c'2 per trovare le costanti e quindi la soluzione generale :
x z 2 f z1 f y =z 1 z ' z z z ' ds+ z 2 z ' z z z ' ds 0 2 1 2 1 0 2 1 2 1
(1.13)
22
2
FUNZIONI VETTORIALI
2.0 Funzioni in R n ed R m
Fino ad ora abbiamo sempre considerato delle funzioni ad una sola variabile reale. Arrivati a questo punto il caso di estendere il nostro concetto di funzione, ovvero una legge che ad un solo elemento a A associa uno ed un solo elemento bB , in simboli f : A B , a degli enti dipendenti da pi variabili. I tipi di funzioni a pi variabili qui presentati sono:
1) Funzioni che a pi entrate reali associano una ed una sola uscita reale, ovvero f : R R , ove R n l spazio n-dimensionale a cui appartengono le nostre n variabili (naturalmente lo studio limitato al caso n3 . Un esempio : f (x )= y , con x = (x 1 , x 2 , , x n ) , ovvero n variabili reali. In modo pi
spiccio tali funzioni sono chiamate scalari a pi variabili. 2) Funzioni che ad una sola entrata reale associano molteplici uscite (tipo una funzione che, determinato l'istante t, da in uscita la posizione x,y,z della particella per quell'istante selezionato), ossia : R R m , dette funzioni f
vettoriali o funzioni a valori vettoriali. A livello di esempio si ha: t= ( x ) f (x )=( f 1 ( x) , f 2 ( x) , , f n (x )) . Come si pu vedere tale con f funzione pu essere analizzata componente per componente.
Verr in seguito mostrato il metodo per passare dalla prima alla seconda specie (mediante matrice jacobiana), ma per il momento verranno solamente trattate le funzioni vettoriali, che sono molto pi semplici da studiare delle prime.
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Si noti una cosa molto importante: la curva rappresentata in figura l'immagine o sostegno della funzione vettoriale e non il suo grafico (quindi rappresentiamo solo i valori in uscita in R 3 e non contempora-neamente sia quelli in entrata che in uscita), il quale richiederebbe uno spazio R 4 (x, y, z, t) per potere essere rappresentato. Diremo che una funzione vettoriale (t) continua in un intervallo I R se lo sono r
tutte le sue componenti contemporaneamente in R m . La curva definita nell'intervallo I definita arco di curva. Una curva definita in un intervallo I = [a, b] si dir: 1) chiusa, se (a )= (b) , ossia se il punto di partenza e il punto d'arrivo r r coincidono (detta ciclo); 2) aperta, se (a ) (b) ; r r r r 3) semplice, se t 1t 2 implica che (t 1) (t 2 ) , ovvero non si attraversa la stessa posizione due volte; r r 4) non semplice, se t 1t 2 accade che (t 1)= (t 2 ) , ovvero il sostegno della curva si intreccia; 5) piana, se il sostegno della curva contenuto interamente in un piano.
24
ovverosia se ciascuna componente della funzione vettoriale (t) tende alla r corrispondente componente del vettore per t t0. Quindi l r (t)=[r 1 (t) , r 2 (t) , , r n (t)] tende a =(l 1 , l 2, , l n) se e solo se: l r 1( t) l 1 , r 2 (t) l 2 , , r n ( t) l n per t t0 In parole povere la norma del vettore differenza (t) deve risultare r l identica al vettore nullo, componente per componente (ossia tutte le componenti devono risultate nulle). CONTINUIT: diremo che una funzione vettoriale continua per t t0 se vale
lim ( t )= (t 0) r r
t t0
(2.1)
e questo deve valere per ciascuna componente di (t) , altrimenti la r funzione vettoriale si dir non continua in t0.
25
' (t 0 )=lim r
ovvero deve esistere ' ( t 0 )=lim r
h 0
r r (t 0+h) (t 0) h
h 0
r 1 (t 0+h)r 1 (t 0 ) r (t +h)r n (t 0) , , n 0 h h
(2.2)
rispetto a ciascuna delle componenti. Se (t) derivabile in tutto l'intervallo considerato e la sua derivata prima r continua in tale intervallo, allora si dice che (t)C 1 ( I ) ove C1 rappresenta la r classe di funzioni con derivata prima continua. Definiamo arco di curva regolare un arco di curva : I Rm tale che C 1 ( I ) e r r r ' per ogni t I . 0 In parole povere il vettore ' (t ) esiste in ogni punto, varia sempre e non si annulla r mai. Ovviamente una componente di tale vettore pu sempre annullarsi in un dato punto, necessario soltanto che le componenti non siano tutte nulle contemporaneamente per quel dato punto altrimenti si otterrebbe il vettore nullo e l'arco di curva non sarebbe regolare. L'arco di curva si dice regolare a tratti se di (t) possibile prendere un numero r finito di sottointervalli inclusi sempre in I per i quali (t) risulta un arco di curva r regolare. Possiamo creare delle funzioni vettoriali composite in questo modo: prese due curve di R m , tali 1 e 2 di equazione rispettivamente r 1(t ) definita in [a, b] e r 2 (t) definita in [b ,c] per le quali sussiste la condizione di raccordo r 1(b)=r 2 (b) , allora definita unione di 1 e 2 ( 1 2 ) la funzione definita come:
r (t)=
r 1 (t ) t [a , b] r 2 ( t) t[b , c ]
Se risulta inoltre che la condizione di raccordo vale per le derivate prime, ossia
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r 1 ' (b)= r 2 ' (b) , allora la curva regolare e non a tratti. Per quanto riguarda le operazioni di derivazione, esse sono molto simili a quelle per le funzioni ad una variabile. Date , : I R m e derivabili, allora: u v 1) somma: ( u + )'= '+ ' ; v u v 2) linearit: (c )' =c ' ; u u 3) se f : I R , allora ( f )' = f ' + f ' ; u u u 4) se (t ): R R , allora [u((t))]' =u ' [(t )] ' (t) ; 5) ( u ) '= ' + u ' u v v v 6) ( )'= ' + ' u v u v u v
r (t ) dt = r 1 (t ) dt , , r m (t )dt
a a
(2.3)
ovvero (t) integrabile se ogni sua componente integrabile secondo Riemann. r Per le funzioni vettoriale vale sempre il teorema fondamentale del calcolo integrale:
b
r (t ) dt=0
a
(2.4)
b a b a
r r (t)dt ( t)dt
ove i valori assoluti indicano la norma (e non un vettore!). Tale disuguaglianza si dimostra attraverso le somme di Riemann e la disuguaglianza triangolare, ove il primo termine la somma quadratica dei moduli di ciascuna componente
=t {xy= f (t)
che regolare poich x '=1 e y ' = f ' (t ) e quindi non si annulla mai il modulo della derivata. Tale curva : a) continua se f continua; b) regolare; c) regolare a tratti solo se f a tratti derivabile e quindi non appartiene alla classe C1; d) aperta; e) sempre semplice. 2) Curve polari Esse sono espresse da equazioni del tipo = f () . Applicando la trasformazione x= cos e y=sin otteniamo:
e quindi
(t)= f () r
e quindi
28 a) continua se f () continua; b) regolare se f () e f ' () non si annullano contemporaneamente; c) chiusa in [1 , 2] se f (1 )= f ( 2) oppure 2 1=2k per k intero. 3) Coniche Una conica espressa per definizione dal rapporto costante dato da
distanza di P da O = distanza di P da d
con O origine degli assi e d retta direttrice della conica. In forma polare abbiamo che PO= e d ( P)= cos + p e sostituendo otteniamo:
= cos + p
da cui
p 1cos
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={a=t 0 , t 1 , t n1 , t n=b}
non necessariamente con punti equispaziati (ne vedremo appunto l'importanza). Consideriamo quindi la norma della differenza delle funzioni vettoriali (t j+1) (t j) che rappresenta per l'appunto un segmento associato ad un pezzo r r di [ j , j+1] . La somma di tutti questi segmenti quindi una poligonale che approssima per difetto, ovvero:
l ()= (t j+1) (t j ) r r
j =0
n 1
Quindi la precedente approssima per difetto la lunghezza della curva. Per l'appunto facendo variare in tutti i modi possibili la partizione considerata si ottiene un valore per cui perfettamente approssimata, ovvero rettificabile e tale valore l'estremo superiore di l () , ossia:
Arrivati a questo punto ritornando alla precedente, dividendo e moltiplicando il secondo membro per (t j+1t j ) si ha:
l ()=
da cui
n1
(t j +1 ) (t j ) r r j+1t j ) (t (t j+1t j ) j =0
n1 j =0
l ( )= ' (t)dt r
a
(2.5)
30 che rappresenta la lunghezza reale dell'arco di curva . In altri termini la lunghezza dell'arco di curva, considerando la definizione di norma, e quindi considerando la previa parametrizzazione della funzione vettoriale in esame, data da: l ( )= [r 1 ' ( t )]2++[r n ' ( t )]2 dt
a b
(2.6)
Nel caso delle curve piane (funzioni ad una variabile ad esempio), abbiamo che
=t {xy= f (t)
dell'arco di curva :
A questo punto, se possibile esprimere t in funzione del parametro s, detto parametro arco, possiamo definire una certa funzione ( s) la cui derivata ' (s ) ha r r modula unitario, ovverosia possibile considerarla il versore tangente. Tale notevole propriet si dimostra in questo modo:
d d dt d 1 d 1 r r r r = = = ds dt ds dt ds dt v (t ) dt
A questo punto dobbiamo considerare solo i moduli, quindi
d r =v (t) di dt
che dimostra l'ipotesi.
d d 1 r r 1 = =v( t) =1 ds dt v (t ) v(t )
S= f (s )ds
s1
Noi vogliamo applicare questo ad una parametrizzazione qualsiasi, quindi considerando che il parametro arco in realt una funzione di una variabile t (in quanto se si riesce a esplicitare t e metterlo in funzione di s significa che pu essere fatto anche il contrario), si procede alla sostituzione:
In generale: sia :[a , b] R m un arco di curva regolare di sostegno e f una r funzione reale definita in un sottoinsieme di R m contenente il sostegno . Si dice integrale di linea di f lungo il sostegno l'area:
b
(2.7)
Facciamo un esempio in R 3 : se sviluppiamo la nostra superficie S su un piano xy, si stira e rappresenta l'asse delle x e quindi l'area considerata il primo integrale, con
32 s parametro arco attraverso il quale si percorre il sostegno . Grazie alla sostituzione che si effettua noi consideriamo l'area lungo una curva nello spazio (una specie di ascissa curvilinea) secondo l'istante t a cui associata la posizione mediante la funzione s= (t ) e quindi la superficie S non sta su un piano, ma si sviluppa nello r spazio seguendo la funzione vettoriale e tale concetto espresso dal secondo integrale di estremi a e b. Se l'integrale di linea calcolato lungo un percorso chiuso chiamato anche integrale curvilineo o ciclo.
33
3
FUNZIONI SCALARI DI PI VARIABILI
x con A dominio di f e =(x 1, x 2, , x n) . Il grafico che andiamo a considerare quindi formato dalla coppia ( , f ( )) e sta in R n+1 . Di conseguenza per una x x funzione a due variabili reali x e y, il grafico sta in R 3 . La creazione del grafico pu essere attuata mediante linee di livello, ossia si sceglie una costante k e si trovano i valori di x e y tali per cui:
f (x , y )=k
Di conseguenza il problema si riduce a esplicitare y in funzione di x e si costruiscono le linee di livello. Poi si fa variare k a piacere e si tracciano altre linee di livello sul piano xy. Tale metodo laborioso, quindi un'alternativa ad esso pu essere quella di descrivere il grafico mediante le tracce sui piani xz e yz. Per farlo basta porre una delle due variabili uguali a 0 o comunque costante, (in xz basta porre y mentre in yz la x) e si tracciano i grafici. In seguito essi si combinano e si ottiene il grafico tridimensionale. Un'idea a questo punto sarebbe quella di far scorrere il grafico di un piano usando il grafico dell'altro piano come base d'appoggio.
34
lim f ( )= L x
lim f ( x k )=L
k
Analogamente alla prima definizione, ne abbiamo una espressamente topologica, che fa ampio uso del concetto di intorni. Tale definizione era gi stata vista per le funzioni scalari ad una variabile. Ecco quindi la seguente:
lim f ( )= L x
se per ogni > 0 esiste > 0, tale che se x k x 0< ci implica f ( )L< . x In maniera analoga definiremo:
x x0
lim f ( )=+ x
se per ogni M > 0 esiste > 0, tale che se x k x 0< ci implica f ( )>M . La definizione analoga per . x La differenza tra funzioni vettoriali e funzioni scalari evidente: una si pu scomporre attraverso componenti, l'altra invece no e quindi la sua trattazione decisamente pi complessa. Per le funzioni di pi variabili vale la definizione di funzione continua, ossia diremo che f : Rn R continua in x 0 R n se
x x0
lim f ( )= f ( x 0) x
x x0
lim f ( )= L x
Se L > 0, allora risulter f ( )>0 in un intorno di x 0 , cio deve x x risultare un > 0, tale che valga f ( )>0 solo se x 0< . x Inoltre se f ( )0 in U r ( x 0) , allora L0 . x Se f ( ) continua in x 0 e f ( x 0 )>0 , allora esiste un U r ( x 0) x x tale che f ( )>0 , solo se vale x 0< . x Ora ci chiediamo il comportamento di una funzione a pi variabili nei suoi punti all'infinito. Il fatto non semplice in quanto tale comportamento deve essere analizzato in tutte le infinite direzioni di questa funzione (si pensi ad esempio ad una
36 f (x,y) che una superficie in R 3 e la sua estensione in tutte le direzioni dello spazio). Il problema perci si semplifica considerando + , ovverosia immaginando x che la funzione assuma un comportamento uniforme per tali valori (intendiamo quindi che l'uscita z abbia un certo valore finito L) indipendentemente dalla direzione considerata. Perci vale
x
lim f ( )=L x
se per ogni > 0 esiste R > 0, tale che se >R allora f ( )L< . x x Nel caso in cui
x
lim f ( )=+ x
se per ogni K > 0 esiste R > 0, tale che se >R allora f ( )> K . x x
g ( t)= f ( (t)) r
Tale scrittura significa che abbiamo ristretto la funzione di n variabili f alla curva parametrizzata (t) . Questo significa che baster scegliere questa (t) in maniera r r opportuna e le restanti variabili della funzione verranno espresse in funzione di essa. Ad esempio:
(x , y) (0,0)
lim
xy =? x + y2
2
questo perci il limite? No! Infatti basta prendere una seconda parametrizzazione come segue:
{xy(t)=t (t)=t
e si ha come limite
37 funzione non continua in (0,0) e il limite non esiste. 2) metodo delle funzioni radiali Questo metodo pi raffinato consente di passare da coordinate cartesiane a coordinate polari, ovvero:
{
tale che
x= x 0+cos y= y 0+ sin
(x , y) (x 0, y 0)
= ( xx 0 ) +( y y 0)
2
lim
f ( x , y)=lim f ( , )
0
Fatto ci si maggiora la funzione con una funzione g () che considera solo il parametro e non i seni e i coseni di angoli variabili ovvero:
f ( , )L<g ()
3) metodo del confronto Dati f : AR n R e LR , sia g () 0 per 0 tale che:
f ( )Lg ( x 0) x x
0
38 Un insieme ERn si dice: aperto, se ogni suo punto interno a E chiuso, se il suo complementare aperto Definiamo intorno di un punto x 0 un qualsiasi insieme aperto contenente x 0 Sia f : Rn R una funzione definita e continua in R n . Si ha che gli insiemi:
Dato un insieme ER n definiremo come: a) interno di E, E, l'insieme dei punti interni di E b) frontiera di E, E, l'insieme dei punti di frontiera di E c) chiusura di E, E , l'insieme costituito dall'interno di E e dalla sua frontiera, ossia E E= E Dato qualsiasi insieme a tal proposito vale sempre la catena di inclusioni
E E E
Inoltre sono sempre validi i seguenti assiomi: Gli insiemi aperti coincidono con il loro interno; Gli insiemi chiusi coincidono con la loro frontiera; Gli insiemi aperti non contengono punti di frontiera; Gli insiemi chiusi contengono tutti i punti di frontiera. Un insieme E limitato se esiste un k tale che x<k qualunque E , ossia se x esiste una sfera di raggio k che contiene tale insieme.
39 un vettore ad n componenti, il che non ha senso). Una soluzione elegante al problema tenere fissa volta per volte tutte le variabili tranne una e far variare quella. Per una funzione di due variabili definiamo come le derivate parziali di f rispetto a x e a y rispettivamente:
f x ( x 0 , y 0)= f y ( x 0 , y 0 )=
f x ( x 0)=
i
f ( x 0+h e i) f ( x 0) f ( x 0)=lim xi h h0
con e i la i-esima riga di una matrice identit con l'elemento della colonna i-esima
1 i n
f ( x 1 , , x i +h , , x n) f ( x 1 , , x n ) f 0 ( x 1 , , x 0)=lim n xi h h0
Definiamo inoltre come gradiente di f il vettore le cui componenti sono le derivate parziali di f rispetto a ciascuna variabile: grad f ( )= f ( )= x x
f f ( ) , , x ( ) x x1 xn
(3.1)
con i = 1, , n. xi Tale operatore per funzioni radiali h ( )=g () si esprime in questa maniera: x x
ove un operatore di componenti
x==
2 i
allora
1 2 x i x i x = = da cui xi 2
x x = 1 , , n
40 Per una funzione di una variabile avevamo definito la retta tangente al grafico in un dato punto. Per una funzione a due variabili abbiamo un piano tangente. Infatti basta considerare le proiezioni del grafico su xz e yz per ottenere due rette ciascuna delle quali tangenti al grafico nel punto assegnato. Le intersezioni di queste due rette che altro non sono che tracce, individuano un piano. Il piano quindi il prodotto scalare tra le derivate parziali rispetto a ciascuna variabile e il vettore generico passante per quel punto. In formule:
z z 0= f (x 0 , y0 ) PP 0)= (
f f ( x y )( x x 0)+ ( x y ) y y 0) ( x 0, 0 y 0, 0
La precedente si pu scrivere solo quando la funzione di due variabili effettivamente derivabile in quel punto altrimenti tale piano potrebbe non esserci. Quindi la derivabilit non implica n la continuit, n l'esistenza del piano tangente.
f ( x 0+h , y 0 +k ) f ( x )=
f ( + ) f ( )= x h x a h+o() h
per 0 h
ove l'accrescimento della variabile indipendente e un vettore. Per la definizione h a di o piccolo deve risultate dalla precedente che:
41
lim
0 h
f ( x0 + ) f ( x 0) h ah =0 h
si pu esprimere anche come h =h e i , con e i=(0, , 0, 1i , 0, , 0) . Ponendo h a =(a 1 , a i , , a n ) per una generica componente vale:
lim
h0
da cui
f ( x0 +h e i ) f ( x 0 )a ih =0 h
lim
h0
f ( x0 +h e i ) f ( x 0 ) f =a i ossia a i= x ( x 0) h i
Abbiamo scoperto cos che le componenti del vettore a non sono altro che le derivate parziali di f rispetto ad ogni variabile. Ma il vettore che ha tali componenti altri non che il gradiente di f , quindi a = f ( x 0 ) , e allora riscriveremo la formula della differenziabilit di f come:
f ( + ) f ( x )= f ( x 0 ) +o() x h h h
(3.2)
per 0 . A questo punto possiamo definire come differenziale di f una funzione h lineare df ( x 0 ): R n R definita come:
df ( x 0 )= f ( x 0 ) h
Ad esempio per una funzione a due variabili il differenziale df si scrive semplicemente come:
df =
f f (x y )h+ (x y )k x 0, 0 y 0, 0
f ( x 0)=df ( x 0)+o() h
la quale esprime la linearizzazione di f in un intorno di x 0 , ossia l'approssimazione della funzione in quel punto mediante il suo piano tangente. Abbiamo cos visto che avere una funzione di pi variabili derivabili in un punto non
42 garantisce la continuit della funzione in quel punto. La differenziabilit invece implica la derivabilit, ma anche la continuit e l'esistenza del piano tangente in quel preciso punto e quindi una condizione pi potente della derivabilit. Purtroppo dimostrare tale propriet per una funzione difficile in quanto per dimostrare che effettivamente un o piccolo di f ( x 0)df ( x 0) significa risolvere un limite h in pi variabili, tante quanta la dimensionalit in cui si lavora. Si procede perci dando una condizione sufficiente di differenziabilit: CONDIZIONE SUFFICIENTE DI DIFFERENZIABILIT: sia f : AR n R con A aperto e sia x 0 A . Supponiamo che in un intorno di x 0 le derivate parziali di f esistano e siano continue in x 0 . Allora la funzione f differenziabile in x 0 e ci implica che 1 f C ( A) . Questo fatto si dimostra attraverso uno stratagemma: incrementiamo le variabili una alla volta e infine si applica il teorema di Lagrange. Consideriamo quindi una funzione di due variabili: incrementiamo prima la x di un certo h. Tale incremento espresso dal teorema di Lagrange come:
con t x un valore compreso tra x 0 e x 0+h . Ricordandoci la definizione di segmento possiamo esprimere t x come t x = x 0+t 1 h con t 1(0,1) parametro di percorrenza del segmento. Adesso calcoliamo l'incremento di f da ( x 0+h , y 0 ) a (x 0+h , y 0 +k ) . Sempre per il teorema di Lagrange lungo un incremento di y si ha:
f (x 0+h , y 0 +k ) f ( x 0+h , y 0 )=
f ( x +h ,t y )k y 0
con t y = y 0+t 2 k . Sommando membro a membro le precedenti due otteniamo l'incremento totale, ossia:
43
f ( x 0+h , y 0 +k ) f ( x 0 , y 0 )=
f f (t , y )h+ ( x +h , t y )k x x 0 y 0
f ( x 0)= f ( x 0, y 0) +1 (h)h+2 (h , k ) k a
()
f ( x 0+t ) f ( x 0) v t
(3.3)
Una derivata parziale generica in realt una forma particolare di derivata direzionale riferita ai versori canonici e i degli assi dello spazio n-dimensionale. Nel caso di una funzione di due variabili il versore ha componenti (cos , sin ) e quindi per v calcolare la derivata direzionale di f in qualsiasi punto (x0 , y0 ) baster attuare la
44 sostituzione:
(3.4)
Le derivate direzionali risultano quindi combinazione lineare delle derivate parziali in x 0 , a patto che esse esistano e che non siano tutte nulle in presenza di derivate direzionali non nulle). Nel caso bidimensionale la derivata direzionale espressa cos:
D v f (x 0, y 0 )= f ( x 0, y 0) = f x ( x 0, y 0) cos + f y (x 0, y 0) sin v
DIMOSTRAZIONE: Ricordando che la differenziabilit data dalla (3.2) e considerando ora =t si ha: h v
f ( x 0+t v ) f ( x 0 )= f ( x 0 )t +o(t) v v
ma un versore, perci il suo modulo 1, e quindi la precedente diventa v
f ( x 0+t ) f ( x 0 )= f ( x 0 )t +o(t ) v v
Dividendo tutto per il parametro t otteniamo:
45
lim
t 0
f ( x0 +t ) f ( x 0) v =D v f ( x 0 )= f ( x 0 ) v t
che dimostra proprio il fatto che la derivata direzionale si pu esprimere con la formula del gradiente, q.e.d. Riepiloghiamo: data f C 1 ( A) se 1) f differenziabile in A allora ci implica che f continua in A, derivabile in A, ha le derivate direzionali e vale la formula del gradiente; 2) f continua e derivabile ed ha le derivate direzionali, ma ci non implica che f sia differenziabile; 3) f derivabile e dotata di derivate direzionali non implica che sia continua.
2.
3.
( ) ( ) (
Per le derivate di una funzione composta si procede in questo modo: 1) Caso non vettoriale sia f : ARn R e g : I R R e
sia
data
la
funzione
composta
46 Se f differenziabile in x 0 e g derivabile, allora h differenziabile in x 0 e vale la seguente formula: h( x 0)= g ' ( f ( x 0)) f ( x 0 ) (3.5) che una scrittura compatta della derivazione di una funzione composta (vedere il caso unidimensionale per rendersene conto). 2) Caso vettoriale Se invece la nostra funzione composta data da g = f = f ( (t )) con (t) r r r funzione vettoriale. Nel caso in cui (t) derivabile in un punto t 0 e f r r differenziabile in (t 0)= x 0 , allora la funzione composta g derivabile in t 0 e la sua derivata :
g ' (t 0)= f ( ( t 0 )) (t 0 ) r r
(3.6)
Per dimostrare tale asserto basta parametrizzare mediante una funzione vettoriale r specifica che verr posta per comodit come (t)=t x 1+(1t) x 0 con t[0,1] e consideriamo la funzione g ( t)= f ( (t)) con t[0,1] . r La funzione costituita in maniera tale che per t = 0, abbiamo g ( 0)= f ( x 0 ) e per t = 1 invece g (1)= f ( x1 ) . Se applichiamo il Teorema di Lagrange unidimensionale otteniamo che esso sar valida per un certo t 0(0,1) , quindi:
f ( x 1 ) f ( x 0 )=g ' (t 0)
47
f f e x y
x y
( ) ( )
f 2 f f 2 f , , = 2 = x x y x y x 2 2 f f f , f = 2 = y y x y x y
( ) ( )
i j j
La seconda e la terza derivata sono dette derivate parziali miste e per una funzioni di n variabili si indicano principalmente come f x x e f x x , nel caso di due variabili semplicemente come f xy e f yx . In realt tali derivate miste apparentemente differenti sono in realt identiche e ci dimostrato da un importante teorema.
i
48 TEOREMA DI SCHWARZ: sia f : AR n R e supponiamo che le derivate miste esistano in un intorno di x 0 e siano continue in tale punto: allora esse coincidono in x 0 . Se tali derivate miste esistono continue in tutto A allora esse coincidono in tutto A. Se le derivate seconde di f sono continue in tutto A allora f si dir di classe C 2 in A. Definiamo a questo punto come differenziale secondo per f ( x , y )C 2 (A) nel punto x 0 la funzione:
d 2 f ( x 0 ): Rn R
ovvero
(3.7)
2
d 2 f ( x 0 )=i j
f hh xi x j i j
2 f 2 f 2 f (x 0 , y 0 )h2+2 ( x 0 , y 0)hk + ( x0 , y 0) k 2 2 2 x y x y
Se notiamo attentamente questa altri non che una forma quadratica e pu quindi esse espressa mediante matrici. In particolare la matrice che ha per componenti le derivate seconde di f una matrice simmetrica nn detta Hessiana di f in x 0 e si scrive come:
fxx
1
fxx (x ) 0 fxx
1 n n n
Tale matrice verr moltiplicata a sinistra da una matrice riga del tipo T h =(h1 h2 hn ) e a destra da una matrice colonna h, trasposta della matrice riga. Il differenziale secondo quindi in definitiva espresso come:
d 2 f ( x 0 )=hT H f ( x 0) h
49
f 1 f f ( x 0+ )= f ( x 0 )+i ( x 0) hi + i j ( x + )hi h j h h xi 2 xi x j 0
DIMOSTRAZIONE: h Basta prendere una funzione della forma g ( t)= f ( x 0 +t ) tale che g ( 0)= f ( x 0 ) h h , g (1)= f ( x 0+ ) , g ' (0)= f ( x 0 ) e infine g ' ' ()=hT H f ( x 0 + ) h . h Sostituendo il tutto nella formula di Taylor del secondo ordine abbiamo:
lim
h0
2 o ( ) h =0 2 h
Tale formula decisamente pi comoda rispetto a quella col resto di Lagrange e permette una manipolazione maggiore.
50
FERMAT: sia f : AR n R con A insieme aperto e x 0 A un punto di massimo o di minimo locale. Se f derivabile in x 0 allora il gradiente di f in x 0 nullo, ossia f ( x 0 )=0 .
DIMOSTRAZIONE: x 0 per ipotesi un punto di minimo locale. Sia e 1 , , e n una base dello spazio R n e consideriamo di muoverci lungo l'asse xj del punto x 0 . Per farlo si definisce una funzione parametrica g (t)= f ( x 0 +t e j ) . Il punto di minimo si ha per t = 0 ovvero per g ( 0)= f ( x 0 ) . Nel caso unidimensionale per il teorema di Fermat deve risultare che g ' (0)=0 , ma
g ' (0)=
componente allora deve valere per tutte le altre componenti, dimostrando il teorema (q.e.d). I punti per cui f ( x 0 )=0 si definiscono punti critici o punti stazionari e quindi per trovare massimi e minimi di f bisogna determinarli tutti e vedere se essi sono punti di massimo, di minimo o nessuno dei due. Se x 0 un punto di massimo lungo
51 alcune direzioni e di minimo lungo altre direzioni, x 0 si dir punto di sella o colle. Trovare un punto critico di una funzione di due variabili significa risolvere il sistema:
f x ( x 0 , y 0)=0 f y ( x 0 , y 0 )=0
1 f =df + d 2 f +o(2) h 2
con df ( x 0 )= f ( x 0 ) e d 2 f ( x 0 )=hT H f ( x 0)h . h Avevamo comunque supposto che il nostro punto x 0 fosse critico e quindi per definizione il gradiente della funzione in quel punto si annulla, perci la precedente formula riscritta nella maniera seguente:
1 1 f = d 2 f +o(2) d 2 f h 2 2
L'analisi della forma quadratica a questo punto determiner se tale incremento f positivo, negativo o nullo. h In generale, data una forma quadratica q ( )=q( h1 , , hn )=i j a ij q i q j , con aij elementi di una matrice che noi definiremo sotto il nome di M. Nel caso in cui tutti gli elementi aij siano nulli allora q ( )=0 . Vale inoltre la seguente propriet: h 2 q (t )=t q( ) . h h In generale: - q ( ) definita positiva se per ogni 0 vale q ( )>0 h h h - q ( ) definita negativa se per ogni 0 vale q ( )<0 h h h - q ( ) semidefinita positiva se esiste un 0 tale che q ( )=0 e per gli altri valori h h h vale che q ( )>0 h
52 - q ( ) semidefinita negativa se esiste un 0 tale che q ( )=0 e per gli altri h h h valori vale che q ( )<0 h -indefinita se esistono h 1 e h 2 tali che q ( h 1)>0 e q ( h 2)<0 Presa 1) 2) 3) 4)
matrice M = a
( )
della
forma
quadratica
5)
det M > 0 e a > 0 la forma quadratica positiva q ( )>0 ; h det M > 0 e a < 0 la forma quadratica positiva q ( )<0 ; h det M < 0 la forma quadratica indefinita; det M = 0 e a > 0 la forma quadratica semidefinita positiva; det M = 0 e a < 0 la forma quadratica semidefinita negativa.
Tornando alla formula di Taylor, la forma quadratica data dalla matrice Hessiana al posto della matrice M, ossia:
1 f hT H f ( x 0 )h 2
Avremo che: 1) se h T H f ( x 0)h positiva, allora x 0 un punto di minimo; T 2) se h H f ( x 0)h negativa, allora x 0 un punto di massimo; Ci si evidenzia dal fatto che se vale appunto f ( x 0+ ) f ( x 0 )>0 ci implica h )> f ( x 0 ) per qualsiasi piccolo a piacere e quindi x 0 deve risultare il f ( x 0+ h h punto di minimo. Analogo discorso fatto per il massimo. Sia f C 2 (A) , con AR 2 e (x 0 , y 0 )A un punto critico, ovvero tale per cui il gradiente sia nullo. L'Hessiana di tale funzione in quel punto data da:
H f ( x 0 , y 0)=
f xx ( x 0 , y 0) f xy ( x 0 , y 0)
f yx (x 0 , y 0 ) f yy (x 0 , y 0 )
Se: a) det H f ( x 0 , y0 )>0 e f xx ( x 0 , y 0 )>0 allora (x 0 , y 0 ) minimo locale forte; b) det H f ( x 0 , y0 )>0 e f xx ( x 0 , y 0 )<0 allora (x 0 , y 0 ) massimo locale forte; c) det H f ( x 0 , y0 )<0 allora (x 0 , y 0 ) un punto di sella. d) det H f ( x 0 , y0 )=0 occorre un'analisi ulteriore.
53 Per l'analisi ulteriore si procede prendendo archi di curva restrittivi generici passanti per (x 0 , y 0 ) e si studia il comportamento della funzione. Trovare che lungo due archi di curva la funzione ha lo stesso comportamento non prova nulla. Se lungo due archi passanti per ( x 0 , y 0 ) che in un caso si ha un massimo e nell'altro un minimo allora (x 0 , y 0 ) un punto di sella.
f (x , g (x ))=0 da cui
da cui si ricava:
g ' (x )=
e per ( x 0 , y 0 ) si ha
g ' ( x 0 )=
per f y (x 0, g ( x 0))0 . L'esistenza e la derivabilit di g possono essere dimostrate mediante il Teorema di Dini della Funzione implicita.
54 TEOREMA DI DINI: Sia AR2 e f : A R , con f C 1 ( A) . Supponiamo che per (x 0 , y 0 ) sia f (x 0 , y 0 )=0 e che f y ( x 0, y 0)0 allora esiste un intorno I di x 0 ed una funzione g : I con g C 1 (I ) e y 0=g ( x 0) tale che f ( x , g (x ))=0 e
f x ( x 0 , g ( x 0 )) qualunque x I f y ( x 0 , g ( x0 )) Nel caso in cui f y (x 0, y 0)=0 si pu sempre affermare che esiste un intorno J di y 0 ed una funzione x=h( y ) tale che g ' ( x 0 )= f (h ( y) , y )=0 e h ' ( y 0 )= f y ( h( y 0 ) , y 0) f x ( h( y 0 ) , y 0)
qualunque x I . Se il gradiente di f in ( x 0 , y 0 ) nullo allora il teorema non applicabile. DIMOSTRAZIONE: In primo luogo escludiamo il caso in cui f y (x 0, y 0)=0 e procediamo considerando che in una regione del piano per cui f y (x 0, y 0)>0 . Per il teorema della permanenza del segno esiste una regione in cui il segno della derivata parziale permane. Tale regione un rettangolo definito come:
f (x 0 , y 0 b)<0 e f (x 0 , y 0 +b)>0
Sempre per il teorema di permanenza del segno deve esserci un intervallo I :(x 0 , x 0+) contenuto in [ x 0a , x0 +a ] tale che al variare di x risulti appunto valida:
55
Ora fissiamo nuovamente x chiamandolo x e si ha f ( x , y ) con y variabile. Per il teorema degli zeri deve esserci quindi un solo punto in cui f ( x , y )=0 e tale punto per determinato dalla scelta di x e quindi =g ( ) tale che risulti f ( x , y )=0 . y x Tale funzione g unica ed continua nell'intervallo considerato. Per dimostrare la derivabilit di g si applica il Teorema di Lagrange: prendiamo due punti (x , y) e (x 1 , y 1) i quali appartengono a R=[ x 0 , x 0+ ][ y 0b , y 0+b] , esister quindi un punto (x* , y*) compreso tra quelli due scelti per il quale vale:
f ( x 1 , y 1) f (x , y )= f (x , y )( x 1 ) x
ossia sviluppato :
f (x 1 , y 1) f (x , y )= f x ( x , y )( x 1x )+ f y (x , y )( y 1 y )
Scegliendo y 1=g ( x 1) e y=g ( x) allora abbiamo che f (x 1 , y 1)= f ( x , y ) in quanto valori che descrivono la stessa linea di livello si ottiene
f x ( x , y )( x 1x )+ f y (x , y )( g (x 1)g ( x))=0
g ( x 1 )g ( x) f (x , y ) = x x 1x f y( x , y )
f y (x , y )0 sempre perch vale che esso min f y ( x , y)>0 in quanto R
abbiamo scelto un intervallo in cui f necessariamente positiva e di conseguenza la sua derivata. Per (x1 , y1 ) (x , y) abbiamo che, in quanto (x , y) < (x* , y*) < (x1 , y1 ) allora anche (x* , y*) (x , y) e quindi:
f x (x , y ) f (x , y ) x f y ( x , y) f y (x , y )
g (x 1 )g ( x) g ' (x) x 1x
e quindi g derivabile. Poich tale funzione composta da funzioni continue, allora g' continua.
57
4
FUNZIONI VETTORIALI DI PI VARIABILI
r (t)=
r 1 (t ) ossia : R Rm f r m (t)
(4.0)
x x0
lim ( )= se vale f x L
x x0
lim ( ) =0 f x L
e ciascuna componente deve convergere nella corrispondente componente di . L Inoltre continua in x 0 se lo sono tutte le sue componenti. f DIFFERENZIABILIT: si dice che differenziabile se vale per ciascuna componente la f differenziabilit di una funzione in pi variabili la seguente
f i ( x 0 + ) f i ( x 0)= f i ( x 0) +o () h h h
Ora rappresentiamo come vettori colonna , e x 0 f h
per 0 h
f1 f1 = ( x 0) e = ( x 0 ) f f fm fm fi fi ( ) , , x ( ) e quindi di x x1 xn conseguenza la precedente diventa una matrice mn detta Jacobiana J f nel punto x 0 e si scrive come:
ma per definizione si ha che f i ( )= x
()
( )
f1 x1 f2 J f ( x 0 )= x 1 fm x1
( )
f1 f1 x2 xn fm xn
( x0 )
A questo punto possibile riscrivere la differenziabilit totale della nostra funzione : Rn R m come: f
60
( x 0+ ) ( x 0 )= J ( x 0) +o() f h f h h f
(4.1)
d ( x 0 ): h J ( x 0 )h f f
CONDIZIONE SUFFICIENTE DI DIFFERENZIABILIT: Se tutti gli elementi della Jacobiana sono differenziabili allora la funzione differenziabile in un insieme A. f Grazie alla Jacobiana possiamo trattare il cosiddetto Teorema della differenziazione delle funzioni composte: TEOREMA
DELLA
siano : AR n R m e : BRn Rk e f g supponiamo che sia ben definita in un intorno di x 0 A la funzione : AR n R k . Se differenziabile in x 0 e composta f g g f
DIFFERENZIAZIONE:
J ( )( x0 )= J ( ( x 0))J ( x 0 ) g f g f f
(4.2)
x= x (u , v ) y= y (u , v) con (u , v ) A z =z (u , v)
61 Per determinare (in analogia con le curve) che tale funzione regolare, dobbiamo assumere prima di tutto che sia differenziabile. Usiamo perci uno stratagemma: bloccando una delle due variabili, ad esempio u, ossia assegnando un u=u 0 , otterremo una famiglia di curve facendo variare v a piacere. Cosa analoga si ottiene facendo il contrario. Tali linee sono dette linee coordinate. I vettori tangenti in un punto a due linee coordinate passanti per il punto (x 0 , y 0 ) sono:
r u (u 0 , v 0)=
v 0 0
( ux (u , v ) , uy (u , v ) , uz (u , v )) x y z r (u , v )=( (u , v ) , (u , v ), (u , v )) v v v
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
Per fare si che passi un piano tangente in quel punto, ed uno solo, necessario che i vettori r u e r v non siano paralleli, cio deve risultare assolutamente sin 0 con angolo tra i vettori. Tale condizione si esprime come il prodotto vettoriale in (u 0 , v 0 ) :
i r u r v =det x u xv
j yu yv
k z u 0 zv
(4.3)
Tale condizione si esplica anche dal fatto che almeno una componente del prodotto vettoriale sia diversa da 0, ossia la matrice sopra riportata deve essere almeno di grado 2 (caratteristica 2). Tale condizione la regolarit della superficie in quel punto. Se la superficie irregolare in quel punto allora il punto interessato detto punto singolare. Ovviamente il vettore r u r v = per le propriet del prodotto vettoriale, normale n alla superficie. Dalla geometria affine il piano tangente quindi espresso come il prodotto scalare tra il vettore normale ed un generico vettore del piano passante per il punto considerato: ( x 0) =0 ovvero ( x 0)( r u r v )=0 x n x che un prodotto misto. Tale prodotto rappresentato quindi da:
xx 0 det x u xv
y y 0 yu yv
zz 0 z u =0 zv
(4.4)
62 che il piano tangente. Ora molto interessante notare che il grafico di f (x , y ) si pu esprimere come:
{
e quindi il vettore normale
x=u y=v z = f (u , v ) k f u = f u i f v j +k fv
i j n =det 1 0 0 1
( )
DINI (CASO GENERALE): data : R n+ m R m imponiamo quindi che per f ( x 0 , y 0 ) la funzione sia nulla, ossia:
f ( x 0 , y 0 )=0
e che sia sempre det J y f ( x 0 , y 0 )0 . Esiste allora un intorno di x 0 n ed un'unica funzione R derivabile e tale che valga: g
f ( , ( ))=0 x g x
63 e che
J ( )=J y ( , ( )) J x ( , ( )) g x f x g x f x g x
1
(4.5)
La difficolt ovviamente risiede nel calcolare la Jacobiana inversa di fy e perci il procedimento pi laborioso.
INVERTIBILIT DI UNA FUNZIONE: una funzione : A B si dice invertibile in A se f ( x 1)= ( x 2 ) implica che x 1= x 2 . si dice iniettiva, ovvero se la condizione f f f ( ) . si dice biunivoca se iniettiva e suriettiva se per ogni tale che = f x y x y f suriettiva. Una funzione invertibile deve essere dunque biunivoca ma anche continua nell'insieme scelto, ossia differenziabile pi generalmente. Quindi la funzione invertibile se biunivoca e differenziabile. Vale dunque il seguente: TEOREMA DELLA FUNZIONE INVERSA: Sia : R n R n con A aperto tale che C 1 ( A) . f f Supponiamo che per un punto x 0 A valga det J f ( x 0)0 . Allora esistono un intorno U di x 0 ed un intorno V di f ( x 0 ) nei quali f 1 inversa di , si ha che biunivoca. Definita con la funzione f g f 1 g C (V ) e che:
1 J ( ( ))= J ( )=J ( f ( ))= J 1 ( ) g f x g y x f x
(4.6)
DIMOSTRAZIONE: Questo significa che la funzione composta g f =I ove I l'identit. Ci significa che g ' ( y)=
64
e quindi che l'insieme delle derivate delle funzioni vettoriali considerate, ossia le Jacobiane deve essere proprio:
1 ( J f ) J )= I ( f
Se questo vero per, noi sappiamo dall'algebra lineare che solo 1 A1A=I , di conseguenza la Jacobiana della funzione inversa f deve risultare proprio l'inversa della Jacobiana della funzione , tale f da avere una matrice identit.
r = Fd =F 1 ( x , y , z )dx+F 2 (x , y , z )dy+ F 3 (x , y , z) dz
(4.6)
Prendiamo ora una linea qualsiasi, una curva di estremi a e b . Se adesso scegliamo una certa parametrizzazione di tale curva mediante (t) , con t[a , b] , possiamo r esprimere l'integrale di tale forma differenziale, definito integrale di linea di seconda specie, come:
b
(4.7)
In generale applicheremo tale integrale alle cosiddette forme differenziali esatte, ossia in presenza di campi conservativi. Definiamo campo conservativo un campo vettoriale per il quale possibile definire una funzione detta potenziale tale che F = U . In Fisica si usa la convenzione F = U dovuta a notevoli motivi tra i quali il teorema della conservazione dell'energia. Se esprimiamo F = U , significa che stiamo ponendo:
65
F 1=
U x
F 2=
U y
F 3=
U z
Se adesso prendiamo una curva di estremi a e b tale che = ( a) e = (b) , p r q r allora l'integrale della forma differenziale esatta dato semplicemente da:
p =U (q )U ( )
DIMOSTRAZIONE: Definita (t)=(x ( t) , y (t) , z (t)) abbiamo che r
b a b a
=
a
e ci dimostra la precedente affermazione. Ci significa che preso qualunque percorso chiuso regolare, ovvero dove a = b, allora l'integrale sicuramente 0 e quindi il campo conservativo. Un modo differente per porre la questione delle forme differenziali esatte il seguente: se F conservativo, ossia espresso da una forma differenziale esatta, allora F irrotazionale. Tale affermazione derivata dall'operatore rotore rot F =F . Infatti se possiamo esprimere F = U allora il rotore si esprime immediatamente come U e di conseguenza esso nullo per via del fatto che compare due volte la nabla. Una forma differenziale esatta si dir chiusa. In particolare il fatto che il rotore di F sia identicamente nullo si dimostra osservando le componenti di tale prodotto vettoriale. Esse non saranno altro che le derivate seconde parziali di U:
2 U 2 U yz z y
2 U 2 U z x x z
2 U 2 U x y yx
Per il Teorema di Schwarz le derivate parziali sono identiche e di conseguenza le tre espressioni precedenti sono identicamente nulle.
66
5
INTEGRALI MULTIPLI
f ( x) dx=lim s n=lim
n
ba f (t k ) n n k=1
Per una funzione di due variabili si pone il problema del dominio d'integrazione. In primo luogo prenderemo un caso semplice, cio un dominio rettangolare dove definiamo f, cio f : [a , b][c , d ] R . Come naturale estensione nel caso a due dimensioni, non dovremo considerare pi dei rettangolini di base (ba)/n e altezza f (t k ) , ma dei veri e proprio parallelepipedi di base rettangolare infinitesima e altezza determinata da un punto interno a tale rettangolo, funzione delle coordinate scelte. In formule si ha:
(ba)(d c ) n2
s n= I hk f ( phk )
h=1 k =1
67 e considerando sempre il rettangolo come dominio d'integrazione scriveremo che l'integrale doppio su R di f(x,y) :
f ( x , y)dx dy=lim I hk f ( p hk )
n h=1 k=1
necessario che la nostra funzione all'interno del rettangolo sia continua per essere integrabile. Nel caso in cui f :[a , b][c , d ] R possiamo scrivere l'integrale come:
b d d c b a
a c
f ( x , y )dy dx= f (x , y ) dx dy
Come si vede l'ordine d'integrazione irrilevante. Ad esempio un caso ancora pi semplice rappresentato da una funzione a variabili separabili. Per essa si pu semplicemente scrivere l'integrale doppio come la somma degli integrali:
b [a ,b ][ c ,d ] d
f ( x) g ( y )dx dy= f ( x ) dx g ( y ) dy
a c
(5.0)
Il problema sorge nel caso di un dominio generico . Questo si pu ricondurre ad un rettangolo in questo modo: la funzione ha valori f (x,y) in mentre per i punti esterni ad esso vale semplicemente 0:
( x , y ) ( x , y )= f ( x , y) f 0 (x , y ) R
Perci fare l'integrale si riduce semplicemente a:
Tale definizione pu comportare problemi in quanto presente un salto al bordo del dominio . I casi che studieremo riguardano solo gli insiemi semplici e regolari, ovvero descritto da funzioni pi o meno semplici.
f ( x , y)dx dy
con
: {( x , y )R2 :a xb , g 1 ( x)g g 2 (x ) }
da cui
b g2
f (x , y )dy dx
a g1
(5.1)
f ( x , y) dx dy
con
: {(x , y )R2 :c yd , h 1( y) gh 2 ( y) }
da cui
d h2
f (x , y )dx dy
c h1
(5.2)
Per casi un poco pi complicati sufficiente trovare i punti d'intersezione tra le due funzioni e valutare se esse sono x-semplici o y-semplici. Un insieme limitato detto misurabile secondo Peano-Jordan se la funzione costante 1 integrabile in . In tal caso si chiama misura o area di , e si indica col simbolo ||, l'equazione:
= 1 dx dy
L'integrale doppio risponde a tutte le regole della linearit valide per gli integrali normali. Nel caso in cui si abbia = 1 + 2 , allora abbiamo che l'integrale diventa:
Naturalmente per =0 , esso implica che l'integrale doppio sia nullo. Nel caso in cui il nostro insieme sia connesso, vale il Teorema della Media integrale:
1 f ( x , y)dx dy= f ( x 0, y 0)
(5.3)
69
x= g (u , v) da cui y=h(u , v )
f (x , y )= f [ g ( u , v) , h( u , v)]
dx dy= det
( )
g u hu du dv=det Jdu dv g v hv
(5.4)
ove J la matrice Jacobiana operante la trasformazione di coordinate. In particolare sul dominio agisce una funzione che lo trasforma in un nuovo dominio ' parametrizzato nella nuova maniera. Tale trasformazione, se invertibile, prende il nome di diffeomorfismo. L'integrale diventa perci:
= 1 dx dy dz
f ( x , y , z ) dz dy dx
D g1
(5.5)
Il caso particolare dell'integrazione tripla quello rappresentato dai solidi di rotazione. Data una funzione del tipo y = f (z) , delimitata da z=a e z=b come estremi d'integrazione, possibile, integrando per strati, cio prendendo un dominio (z) circolare e variabile in dimensioni rispetto a z, esso esprime l'intero volume di tale
solido di rotazione. In parole povere definiamo strati di dominio governati da: x 2+ y 2 f 2 (z ) , assimilabile all'equazione di una circonferenza, ove f(z) rappresenta il raggio di tali circonferenze (e tale raggio sempre variabile). Il dominio espresso come: ={( x , y , z )R 2 : a zb ,( x , y)( z) }
V ()= dx dy dz= dx dy dz
a
ovvero:
b
V ()= f 2 (z )dz
a
(5.6)
ove dato dal fatto che sono aree di cerchi di raggio f(z) il quale variabile. Per il cambiamento delle variabili si ricorre sempre alla matrice Jacobiana, in questo caso una 33 . Ad esempio per il caso polare, prendendo la classica parametrizzazione in coordinate sferiche, otteniamo:
x y z + + 1 a2 b2 c2
La sua parametrizzazione data da:
x=a sin cos y=b sin sin da cui si ottiene det J=a b c 2 sin z =c cos
72
x= x (u , v ) y= y (u , v) con (u , v )T R 2 z =z (u , v)
ovvero sfruttiamo la parametrizzazione: =x (u , v) y (u , v ) z (u , v) k . Un r i+ j+ elemento di area dS pu essere espresso dal modulo del prodotto vettoriale moltiplicato per l'elemento dudv dell'area parametrizzata:
dS =r u r vdudv
I vettori r u e r v altro non sono che le derivate di r rispetto ai parametri u e v:
r u=
x det ( r u r v )= u yu
xv y + u yv zu
yv x + u zv zu xv zv
Si richiede la differenziabilit della superficie (ovvero la continuit e lesistenza del piano tangente) in ogni punto del dominio di definizione. A questo scopo si considera lelemento di superficie individuato dai due vettori tangenti alla superficie in un dato punto. Questo elemento di superficie chiaramente complanare al piano tangente, e ne espleta le funzioni. Se accade che r u r v0 per qualsiasi u e v, allora la superficie detta regolare. Nel caso in cui il modulo si annulli, allora la superficie detta regolare a tratti. Lunicit del piano tangente strettamente legata alla reciproca posizione dei due vettori tangenti: se essi sono nulli il piano tangente non ha senso di essere, mentre se sono paralleli il piano non univoco e di conseguenza non soddisfa la condizione di tangenza. Intuitivamente, la misura della superficie pu essere approssimato dalla somma delle mattonelle costituite dalle aree infinitesime dei piani tangenti ciascuno
73 rispettivamente ad ogni punto della superfici. La misura di questo elemento di superficie dato, ricordando quanto detto sopra e le propriet del prodotto vettoriale, dal modulo del prodotto vettoriale tra i due. Definiamo integrale di Superficie:
dS =ru rvdudv
T
(5.7)
Per una superficie cartesiana, che il grafico di una funzione di due variabili dato da z =g ( x , y ) , la parametrizzazione classica data da:
=x y g (x , y ) k r i+ j+
da cui otteniamo che il modulo del prodotto vettoriale ottenuto da:
da cui :
r u r v=1+g 2 +g 2 = 1+ 2 g x y
()= 1+ 2 gdxdy
T
Per una superficie di rotazione vale invece una parametrizzazione del tutto particolare e molto comoda:
{
perci:
u r v= f (u) 1+ f ' ( u) r
b a
74
F =P ( x , y ) +Q ( x , y ) i j
In particolare definiremo come: Q x = compariranno nelle formule successive.
insieme
y-
P y dx dy=
D
P dx
+ D
ove il segno negativo dovuto al fatto che partiamo dal basso verso l'alto e quindi l'area risulterebbe negativa.
insieme
x-
Q x dx dy= Q dy
D + D
DIMOSTRAZIONE: Le dimostrazioni delle precedenti sono analoghe, perci dimostreremo soltanto la prima. Per il teorema di riduzione degli integrali doppi accade che:
b D a 2 b a
Tuttavia, poich dx=0 lungo i tratti rettilinei del bordo, in quanto non sottende
che dimostra la formula. Adesso immaginiamo che il nostro dominio sia semplice rispetto ad entrambi gli assi, allora la precedente espressione F =P (x , y ) +Q ( x , y ) pu essere espressa i j mediante una formula molto comoda, detta di Gauss-Green:
Sommando le precedenti otteniamo due volte l'area di D, perci, dividendo per 2, otteniamo l'espressione dell'area mediante Gauss-Green:
area ( D)=
1 x dy y dx 2 + D
(5.8)
norma: n =
divergenza iniziamo a definire una forma differenziale espressa sempre dal classico F =F 1 i+F 2 F 3 k , esprimiamo la sua divergenza come: j+
F =x F 1+ y F 2+ z F 3
76 Ora, definiremo come Teorema della Divergenza il seguente risultato di notevole importanza nelle applicazioni di calcolo:
n F dx dy dz = F dS
(5.9)
Adesso consideriamo un altro teorema fondamentale concernente il rotore di un campo vettoriale generato da F. Tale teorema detto Teorema di Stokes: data una superficie dotata di bordo orientato in maniera positiva (antioriaria) che sia una curva regolare. Se T il versore tangente al bordo di tale superficie, allora vale formula:
T ds F
(5.10)
Nella figura a fianco vi una rappresentazione geometrica del Teorema di Stokes, disegno che racchiude anche la sua dimostrazione pi intuitiva.
77
6
SERIE DI FUNZIONI E SERIE DI POTENZE
f n : I R tale che
f n ( x)
n=1
La serie pu convergere in un certo punto x 0 I e in tal caso si parla di convergenza puntuale. Il problema che la convergenza puntuale della serie in un intervallo non una condizione sufficientemente forte da poter vincolare le serie a delle determinate propriet di grande importanza: ci si chiede, ad esempio, se una serie di funzioni continue convergente puntualmente in un intervallo converga effettivamente ad una funzione continua, o se la somma di una serie di funzioni derivabili o integrabili sia derivabile o integrabile (e se sia possibile far passare il segno di derivata e integrale dentro la sommatoria ottenendo come somma la derivata o lintegrale della funzione limite). Un esempio di come il primo di questi quesiti non sia risolvibile con la sola convergenza puntuale il seguente:
f n= x n1x n
Tuttavia possibile che la nostra serie di funzioni considerata converga in tutto l'intervallo, ossia qualsiasi x I fa si che la serie converga in una funzione. Diremo
78 che la serie di funzioni converge totalmente in un intervallo I se possibile maggiorare il valore assoluto del termine generale della serie con una successione numerica convergente in ogni punto di I, ossia se esiste una successione { an } di numeri reali positivi che soddisfa le seguenti condizioni: 1) 2)
a n convergente
n=1
Queste due condizioni sono equivalenti ad affermare che lestremo superiore della distanza tra il termine generico e la funzione somma, per un determinato punto x dellintervallo di convergenza uniforme, un infinitesimo. Chiaramente, la convergenza totale in un intervallo implica la convergenza puntuale. Dimostriamo ora tre teoremi fondamentali per le serie di funzioni che potranno essere applicati anche alle serie di potenze agevolmente. TEOREMA 1 (CONTINUIT DELLA SOMMA):
serie converge totalmente nell'intervallo I. Se ci accade allora la funzione f (x) continua in tutto l'intervallo. DIMOSTRAZIONE: Sia x 0 I , e proviamo che per f ( x ) f ( x 0 ) per x x 0 , cio proviamo la sua continuit. La precedente affermazione si traduce nel dire che:
f (x ) f ( x 0)= f n ( x ) f n ( x 0) = f n ( x) f n ( x 0 )
n=1 n =1 n =1
n=1
f n ( x) f n (x 0 )= f n ( x) f n (x 0 )+
n=1
n= N +1
f n ( x ) f n ( x 0 )
79 da cui
f n ( x) f n ( x 0 )+
n=1
n= N +1
f n ( x ) f n ( x 0) AN ( x)+B N ( x)
B N (x )
n=N +1
f n ( x) f n ( x 0 )
n= N +1
f n ( x)+ f n ( x 0 )2
n=N +1
an
con { an } successione tale che la sua serie converga. Ci significa che possiamo fissare una propriet definitivamente, ossia tale che valga da un N 0 in poi, cio:
n= N 0+1
AN ( x ) f n ( x ) f n ( x 0)
0
N0
n =1
ma ciascuna delle funzioni della serie continua nel punto x 0 I e di conseguenza A N (x ) 0 . per x x 0 , allora In particolare se vale
0
AN ( x ) f n ( x ) f n ( x 0) allora vale:
0
N0
n =1
80 TEOREMA 2 (DERIVABILIT TERMINE A TERMINE): Sia dato I R e sia f n : I R una serie di funzioni derivabili in I, e supponiamo che la serie converga totalmente in I, cio
f n ( x)= f ( x) ,
n=1 n=1
converga anch'essa, cio f n ' ( x )=g ( x) . Allora si dimostra che vale semplicemente g ( x)= f ' (x ) . DIMOSTRAZIONE: Per la dimostrazione facciamo affidamento alla definizione stessa di derivata come prodotto incrementale:
f ( x+h) f n ( x) f ( x+h) f (x ) f ' n ( x)= n f n' (x) h h n=1 n=1
] ]
n=1
e la precedente coincide con le serie AN (x )+B N (x ) , con N che verr fissato in seguito. Consideriamo BN ed applichiamo il Teorema di Lagrange ad ogni addendo della serie. In un certo intervallo (0,1) esister un certo numero n tale che:
BN=
da cui:
n =N +1
[ f ' n ( x+ n h) f ' n (x )]
B N
n=N +1
n= N +1
an
possiamo fissare una propriet definitivamente, ossia tale che valga da un N 0 in poi, cio:
n=1
N0
si dimostra che per N0 molto grande i termini ultimi della sommatoria sono infinitesimi e quindi la serie converge in AN < . In definitiva si ha che:
0
e ci dimostra la tesi.
TEOREMA 3 (INTEGRABILIT TERMINE A TERMINE): Se f n :[a ,b ] R una serie di funzioni integrabili in [a,b]. Se
f n ( x)= f ( x)
n=1 b a
f ( x ) dx= f n ( x) dx
n=1 a
f (x )dx
n=1
(
b a n
f n ( x) dx 0
per n tendente all'infinito. Poich l'integrale possiede le propriet della linearit, la precedente pu essere riscritta come:
b
f ( x) f n ( x ) dx
n=1
f (x )= f n ( x)= f n ( x )+
n=1 n=1
n= N +1
f n ( x ) ovvero
f (x ) f n ( x)=
n=1
n=N +1
f n ( x)
f ( x) f n ( x ) dx=
n=1 a
] [
b
k=1+ N
f k ( x) dx
k =N +1
f k ( x)
k =N +1
f k ( x)
k =N +1
ak
[
b a
k=1+N
f k ( x ) dx
a
k= N +1
f k ( x ) dx(ba)
k =N +1
ak
per N tendente all'infinito il primo termine cos come l'ultimo tendono a 0, di conseguenza:
n= N +1
f n ( x )= f ( x ) f n ( x) 0
n=1
83
a n (x x 0)n
n=0
ove an una successione di numeri reali. Tale serie di potenze in particolare si dir centrata in x0 . Per vedere la convergenza di tale serie bisogna calcolare il cosiddetto Raggio di convergenza. Per definire cosa il Raggio di Convergenza consideriamo una generica serie di potenze e supponiamo che esista il limite:
l =lim
n
a ( x x ) =lim a x x = Lxx
n n 0 n n 0 0
ove L il limite della radice n-sima. Si definisce a questo punto come Raggio di Convergenza l'inverso del numero L, cio:
1 L
(6.1)
{
{
1/ L + 0
se L0, se L=0 se L=
All'interno del raggio di convergenza la nostra serie converge sempre. In particolare si ha:
Nei punti chiave, cio ai bordi che si esprimono come i punti x= x 0+ e x= x 0 , bisogna verificare il comportamento della nostra serie di potenze, ossia se essa diverge o converge. Per farlo basta sostituire a x x 0 con . Per risolvere il limte L si pu anche usare il criterio del rapporto e della radice, cio:
84
lim
Inoltre valgono le seguenti propriet: 1) La somma delle serie di potenze in (x 0 , x0 +) una funzione continua; 2) La serie derivabile in (x 0 , x0 +) e vale:
d a n ( x x 0)n = n an ( xx 0 )n1 dx n=0 n=1
3)
(x 0 , x0 +) :
Vale anche il seguente Teorema di Abel: Dato il raggio di convergenza della serie di potenze
n n=0
a n (x )n e
n=0
lim lim
x R n=0
an x n = a n R n
n=0 n=0
x R + n=0
a n x n= a n (R)n
85
la somma di questa serie. Supponiamo che il raggio di convergenza sia . Supponiamo perci di derivare tale serie e di calcolarla nel punto x0 , si ha:
f ' ( x)= a k k ( x 0 x0 )k 1 =a kk
k=1
in quanto per k>1 tutti i termini sono nulli. Derivando k volte otteniamo:
(k )
( x )=a kk ! ossia
(k )
k =0
f (k) ( x 0) (x x 0)k k!
La serie precedente definita serie di Taylor. Per x 0 = 0 abbiamo la serie di MacLaurin. Se tale sviluppo vale anche agli estremi dell'insieme di convergenza, la funzione si dice allora analitica in tale intervallo. Per alcune funzioni vale che =+ e per qualunque x R la serie converge.
86
7
TEORIA DELLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI
y ' = f (x , y ) y ( x 0 )= y 0
Tale soluzione del problema di Cauchy esiste localmente, cio in un intorno del punto in cui assegnata la condizione iniziale. Sotto larghe ipotesi inoltre si pu assicurare che esista una sola soluzione per tale problema. Di conseguenza dobbiamo verificare due ipotesi: la prima che questa soluzione esista realmente, la seconda che questa soluzione (se esiste) sia unica. Consideriamo perci i seguenti teoremi che daranno una risposta al nostro quesito iniziale.
TEOREMA DI PEANO (ESISTENZA DELLA SOLUZIONE):
Sia DR 2 un aperto e sia f : D R continua, e sia ( x 0, y 0 ) D . Allora il problema di Cauchy ammette almeno una soluzione nell'intorno di x0 .
TEOREMA DI CAUCHY (ESISTENZA E UNICIT DELLA SOLUZIONE):
Sia DR 2 un aperto e sia f : D R continua, e f y continua anch'essa, e sia (x 0, y 0 ) D . Allora esiste un intorno I di x0 tale che il problema di Cauchy ammette una sola soluzione nell'intorno I.
87 La precedente condizione tuttavia pu essere attenuata chiedendo semplicemente che il rapporto incrementale di f rispetto a y sia limitato localmente, ossia si richiede per ogni chiuso K D che esista una costante LK tale che per il teorema di Lagrange valga (per qualsiasi punto interno a K):
f ( x , y 1 ) f (x , y 2 ) LK y 1 y 2
(7.0)
La precedente detta Condizione di Lipschitz. Se per f verificata la (7.0) si dir che essa localmente lipschitziana rispetto a y, uniformemente in x. Se vale inoltre la condizione precedente, vale il Teorema di Cauchy. DIMOSTRAZIONE: Per dimostrare la condizione basta osservare che se f continua in D, allora vale per il Teorema di Weierstrass che essa limitata in K D :
L K =max
f (x , y) y
Si osserva a questo punto che per il teorema di Lagrange per, y 1 ed y2 , esiste un opportuno yK tale che:
f (x , y1 ) f (x , y 2)=
f ( x , y K )( y1 y 2) L K y 1 y 2 y
ovvero, LK proprio la derivata nel punto yK, e quindi f risulta localmente lipschitziana rispetto a y. Tuttavia non sempre vero il contrario, cio che funzioni localmente lipschitziane siano continue in tutti i punti in quanto potrebbero essere presenti una certa variet di punti angolosi. Definiamo inoltre intervallo massimale come l'intervallo in cui verificata tale soluzione. In generale si considera un rettangolo centrato nel punto per il quale stata imposta la condizione iniziale, il quale contenuto nell'insieme D. Poich in tale intervallo f continua, allora esiste una massimo M di tale funzione in questo rettangolo. In generale l'equazione y ' = f (x , y ) ci dice la pendenza della funzione nel punto (x,y) cosicch M e -M siano la massima e la minima pendenza possibile all'interno del rettangolo. Tali rette, incrociandosi nel punto della soluzione prefissato, definiscono dei settori in cui contenuta la nostra funzione. Diciamo
88 perci che la nostra soluzione definita almeno in quell'intervallo. In generale si definisce un intervallo massimale t min <t max+ tale che contenga la soluzione del problema di Cauchy, ove tmin e tmax sono il massimo range sinistro e destro che pu assumere tale intervallo. Ultima nota: ricordiamo che il Teorema di Peano e il Teorema di Cauchy, cos come la condizione di Lipschitz, possono essere agevolmente estese a equazioni differenziali di ordine n.
y (t)=( y 1, y 2 y n )
e l'evoluzione temporale di tale vettore governato da un sistema di n equazioni del tipo:
Possiamo estendere il nostro ragionamento ad un sistema di equazioni di ordine n. Definiremo come equazione differenziale di ordine n in forma normale, l'equazione differenziale scritta come:
y (t 0)= y 0 y ' (t 0 )= y 1 y (n 1) (t 0 )= y n 1
89 ossia ad un grado n corrispondo n condizioni iniziale, una per ciascuna derivata di ordine inferiore a partire dalla primitiva. Prendiamo ora il caso pi semplice (escluso quello delle EDO di primo ordine), ovvero una EDO del secondo ordine. possibile dimostrare, data:
che le soluzioni del sistema omogeneo Ly = 0 costituiscono il nucleo (kernel) in riferimento all'operatore L, dello spazio vettoriale. Ricordiamo che per trovare il nucleo si intende l'applicazione lineare data da:
A x =0
ossia tutti i vettori x che soddisfano la precedente. Si dimostra che esistono due vettori soluzione, nel nostro caso due funzioni 1 e 2 dell'equazione differenziale omogenea di secondo ordine. Si dimostra che tali funzioni sono linearmente indipendenti e che qualsiasi altra soluzione particolare si pu esprimere come la loro combinazione lineare. Di conseguenza si dimostra anche che dim(Ker L) = 2. Tale ultimo punto si dimostra appunto cercando due soluzioni linearmente indipendenti. Ci pu essere fatto calcolando il Wronskiano del sistema delle due soluzioni.