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Linee di Ricerca

Marco Santambrogio

SEMANTICA E SCIENZE DELLA MENTE

Versione 1.0

Linee di Ricerca

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Rivista elettronica di filosofia - Registrazione n. ISSN 1126-4780

Linee di Ricerca SWIF Coordinamento Editoriale: Gian Maria Greco Supervisione Tecnica: Fabrizio Martina Supervisione: Luciano Floridi Redazione: Eva Franchino, Federica Scali.

AUTORE Marco Santambrogio [marcosan@unipr.it] professore ordinario di Filosofia del Linguaggio presso lUniversit di Parma. E tra i soci fondatori della European Society for Analytic Philosophy, della Societ Italiana di Filosofia Analitica, del Collegio di Milano. Nella filosofia del linguaggio si soprattutto occupato della semantica degli atteggiamenti proposizionali e dei problemi della credenza, delle teorie del riferimento diretto e delle teorie del significato. Tra gli altri suoi interessi, la filosofia morale e i problemi delluguaglianza. Ha pubblicato il volume Parola e oggetto (1994) e saggi su Nous, Synthese, Journal of Philosophy, Dialectica. La revisione editoriale di questo capitolo a cura di Gian Maria Greco.

LdR un e-book, inteso come numero speciale della rivista SWIF. edito da Luciano Floridi con il coordinamento editoriale di Gian Maria Greco e la supervisione tecnica di Fabrizio Martina. LdR - Linee di Ricerca il servizio di Bibliotec@SWIF finalizzato allaggiornamento filosofico. LdR un e-book in progress, in cui ciascun testo un capitolo autonomo. In esso l'autore o l'autrice, presupponendo solo un minimo di conoscenze di base, fornisce una visione panoramica e critica dei temi principali, dei problemi pi importanti, delle teorie pi significative e degli autori pi influenti, nell'ambito di una specifica area di ricerca della filosofia contemporanea attualmente in discussione e di notevole importanza. Il fine quello di fornire al pubblico italiano un'idea generale su quali sono gli argomenti di ricerca di maggior interesse nei vari settori della filosofia contemporanea oggi, con uno stile non-storico, accessibile ad un pubblico di filosofi non esperti nello specifico settore ma interessati ad essere aggiornati. Tutti i testi di Linee di Ricerca sono di propriet dei rispettivi autori. consentita la copia per uso esclusivamente personale. Sono consentite, inoltre, le citazioni a titolo di cronaca, studio, critica o recensione, purch accompagnate dall'idoneo riferimento bibliografico. Per ogni ulteriore uso del materiale presente nel sito, fatto divieto l'utilizzo senza il permesso del/degli autore/i. Per quanto non incluso nel testo qui sopra, si rimanda alle pi estese norme sui diritti dautore presenti sul sito Bibliotec@SIWF, www.swif.it/biblioteca/info_copy.php. Per citare un testo di Linee di Ricerca si consiglia di utilizzare la seguente notazione: AUTORE, Titolo, in L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2006, ISSN 1126-4780, p. X, www.swif.it/biblioteca/lr.

SWIF LINEE DI RICERCA SEMANTICA E SCIENZA DELLA MENTE MARCO SANTAMBROGIO Versione 1.0

Su molti aspetti della realt abbiamo ottime teorie scientifiche. Sappiamo anche molte cose interessanti sulla mente degli esseri umani. Ma ancora non abbiamo una vera e propria scienza della mente. Da questa scienza ci aspetteremmo che sapesse dirci con sicurezza di che natura sono le cose che ci passano per la mente opinioni, desideri, conoscenze, sensazioni, passioni pi o meno come il fisico sa dirci che cosa sono il moto, la luce e il calore, e in che cosa differiscono tra loro lacqua e il ghiaccio. Invece non sappiamo ancora esattamente che cosa siano unopinione e un desiderio, n in che cosa entrambi differiscano da una conoscenza. Unaltra cosa che vorremmo sapere, ma ancora non sappiamo, in quale rapporto stiano le cose che accadono in una mente, e che non possono essere osservate se non dalla persona a cui quella mente appartiene, con le azioni che quella persona compie e che anche gli altri possono vedere. Credere o avere unopinione, conoscere e sapere, sperare e temere, supporre e considerare e cos via sono stati o eventi mentali qualcosa che la mente fa o condizioni in cui si trova. Poich in questo articolo non ci preoccuperemo di distinguere gli stati dagli eventi, parleremo genericamente di atteggiamenti mentali. Quelli che abbiamo elencato sono solo un tipo di atteggiamenti mentali. Ma ne esistono altri: anche provare dolore o piacere, essere irrequieti, vigili, tranquilli,

M. Santambrogio, Semantica e scienza della mente, in L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2006, pp. 824-847. Sito Web Italiano per la Filosofia ISSN 1126-4780 www.swif.it/biblioteca/lr

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curiosi, appagati, sensibili, insensibili sono modi in cui una mente pu atteggiarsi atteggiamenti mentali. C una differenza per tra i primi e i secondi. Come esempio di un atteggiamento del primo tipo prendiamo quello di credere qualcosa; come esempio del secondo, provare dolore. Quando crediamo qualcosa ad esempio, che Marte rosso il nostro atteggiamento ha un contenuto. C qualcosa che la mente crede. Possiamo credere allo stesso modo (fermamente, con esitazione, giustificatamene, irrazionalmente, e cos via) molte cose diverse: ad esempio che la Luna fredda, o che il Sole caldo. La modalit della credenza pu essere la stessa ma il contenuto diverso. Invece un piacere o un dolore non hanno un vero e proprio contenuto. Hanno unintensit variabile, una o pi cause, forse una tonalit o un carattere distintivo che ce li fa riconoscere se ci capita di provarli pi volte a distanza di tempo, somiglianze con altri piaceri e altri dolori ma non un contenuto. Ma che cos esattamente un contenuto? Non facile a dirsi. Potremmo cercare di caratterizzare il contenuto dicendo che due o pi persone (o la stessa persona in due momenti diversi) possono credere la stessa cosa, nel senso che il contenuto di ci che credono lo stesso, anche se sono diversi gli eventi che hanno luogo nelle loro menti o nel loro cervello (e sono diversi anche solo per il fatto che hanno luogo in persone diverse). Un contenuto pu dunque essere condiviso. Invece, quando diciamo che due persone provano lo stesso dolore, intendiamo dire che provano due dolori simili, ma non c niente che esse abbiano veramente in comune. Ma si potrebbe obiettare se entrambe avessero un dolore della stessa intensit e con una stessa causa esattamente nello stesso punto del mignolo sinistro, non sarebbe questo un contenuto condiviso? E se non lo , perch non lo ?

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Bisogna ammettere che tutto quanto abbiamo detto fin qui molto vago e non possiamo veramente sperare di edificare su osservazioni di questo tipo una scienza della mente che sia paragonabile alle scienze della natura che conosciamo. Certo, un dolore sicuramente diverso da una credenza e la nozione di contenuto ha qualcosa a che fare con la loro differenza. Ma dovremmo riuscire ad essere pi precisi. Per trasformare le osservazioni intuitive e vaghe in qualcosa di pi preciso (forse anche di pi scientifico) possiamo ricorrere a unidea che sembra aver avuto successo in altri casi: ricorriamo al linguaggio, con la speranza che esso ci guidi con sicurezza nellesplorazione della mente. Invece di ispezionare mentalmente i nostri stessi stati ed eventi mentali per scoprire le loro caratteristiche, possiamo passare ad esaminare come ne parliamo. Parlando, noi manifestiamo quello che accade nella nostra mente e quello che crediamo di vedere nella mente degli altri. Il pensiero si manifesta nel linguaggio. Studiandolo nelle sue manifestazioni possiamo pensare di riuscire a cogliere qualcosa del pensiero che ci sfuggirebbe se cercassimo di affrontarlo direttamente, senza badare agli strumenti che servono a manifestarlo. Ad esempio, non pu essere soltanto un caso o una particolarit dellitaliano o di altre lingue, senza un significato che riguarda oltre al linguaggio le cose di cui parliamo, che mentre si pu sensatamente dire Eva sa che Marte rosso e anche Eva e Isa sanno la stessa cosa e cio che Marte rosso, non possiamo invece dire *Eva ha il dolore che il suo dito si scottato. Non solo una cosa del genere non vera, ma non ha proprio senso ed anche grammaticalmente inaccettabile1. Possiamo invece dire Eva ha un dolore perch il suo dito si scottato (esprimiamo
I linguisti sono soliti far precedere un asterisco agli enunciati sgrammaticati (o meglio agrammaticali), che non appartengono neppure alla lingua di cui si parla. Abbiamo seguito qui questo loro uso.
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cos la causa del dolore) e Eva ha un dolore al dito (la localizzazione). Se diciamo Isa ha lo stesso dolore di Eva, possiamo chiarire questa nostra affermazione aggiungendo Anche Isa ha un dolore al dito o Anche Isa ha un forte dolore o Anche Isa ha un dolore perch si scottata il dito. Ma la localizzazione, lintensit e la causa non sono la stessa cosa del contenuto. Possiamo dire tutto ci pi brevemente. I verbi come credere, conoscere, sapere, sperare e cos via ammettono la costruzione che + enunciato ad esempio, che Marte rosso o che Marte sia rosso oltre ad altre costruzioni che qui non interessano. Invece i predicati come provare dolore non ammettono questa costruzione. A questo punto facile dire che cosa sia un contenuto e perch non esista un contenuto che sia attribuibile agli stati in cui ci troviamo quando proviamo dolore o siamo irrequieti o vigili o tranquilli e cos via: un contenuto semplicemente ci che espresso da una clausola della forma + enunciato che segue i verbi che ammettono questa costruzione. Questa non una definizione, perch per il momento non sappiamo che cosa voglia dire esattamente esprimere ma di qualunque cosa si tratti (e qualche idea in proposito labbiamo) conveniamo di chiamare proposizione ci che espresso da una clausola del tipo che + enunciato. Ora possiamo riassumere tutto quello che abbiamo detto fin qui ancor pi brevemente: i verbi come credere, conoscere, sperare, temere ecc. esprimono atteggiamenti mentali proprio come provare dolore, ma a differenza di questultimo esprimono atteggiamenti proposizionali. Possiamo dire di aver fatto qualche passo avanti, prendendo cos il linguaggio come nostra guida? In un certo senso, s. Ad esempio, ora ci rendiamo conto che la differenza tra credere e sapere da un lato e provare dolore

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dallaltro differenza che abbiamo localizzato nella presenza o assenza di un contenuto non ha niente a che vedere con la distinzione tra intelletto (o ragione o cognizione) e sensazione corporea. Infatti anche il verbo sentire che tra le molte accezioni ha certamente anche quella di percepire con i sensi ammette la costruzione proposizionale. Anche se in alcuni casi il nostro sentire comporta una buona dose di cognizione (come quando diciamo ad esempio Isa sente che la scottatura al dito non ancora guarita) non sempre cos: diciamo con tutta naturalezza Isa sente che il dito le fa male e questo equivale a tutti gli effetti a Isa sente (o prova, o ha) male al dito. Abbiamo visto che questultimo enunciato non esprime un contenuto della sensazione di dolore, ma solo la sua localizzazione. Dallequivalenza tra i due enunciati segue che il contenuto del primo si riduce a ben poco in sostanza alla capacit di localizzare il dolore. Se c una distinzione da tracciare tra cognizione e sensazione, probabilmente tale distinzione attraversa anche i contenuti. Dunque prendere il linguaggio come guida potrebbe farci procedere pi rapidamente e con maggior sicurezza. Forse studiando le nostre attribuzioni di credenza, di conoscenza e cos via, potremo arrivare a capire anche, ad esempio, che cosa intendiamo dire quando affermiamo che due persone hanno le stesse credenze o conoscenze o come diremo dora in poi con maggiore generalit gli stessi pensieri. Prima di farlo per dobbiamo soffermarci a considerare una perplessit che qualche osservatore potrebbe avere sulla nostra strategia. Se qualcuno suggerisse agli astronomi di oggi (o anche a quelli del tempo di Galileo) di analizzare il linguaggio con cui descriviamo le nostre osservazioni astronomiche per venire a sapere qualcosa di pi sui moti celesti, probabilmente lo

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prenderemmo per matto, perch lunico modo di esplorare il cielo sembra essere quello di guardarlo. Non serve starsene in poltrona a riflettere sul linguaggio e risolvere problemi pi simili ai rebus e alle parole crociate che a quelli sulle traiettorie dei pianeti. Ma allora, perch il mondo mentale dovrebbe essere tanto diverso da quello celeste e perch il linguaggio dovrebbe dirci qualcosa sulla mente? stato sostenuto che lo studio del linguaggio non solo utile alla filosofia, ma costituisce addirittura la via daccesso privilegiata ai suoi problemi principali. Consiste in questo la cosiddetta svolta linguistica. Ora, quali sono le ragioni della svolta linguistica? Quello che abbiamo detto qui sopra troppo generico per costituire una risposta soddisfacente. Dire che tra i problemi centrali della filosofia c quello di stabilire che cosa sia il pensiero, che pensare , proprio come credere e sapere, un verbo di atteggiamento proposizionale, e che i modi in cui esprimiamo nel linguaggio il nostro pensiero o lo attribuiamo ad altri di sicuro rivelano qualcosa sul pensiero stesso tutto questo francamente insufficiente. Una risposta pi plausibile forse questa. Abbiamo identificato i pensieri con quegli atteggiamenti mentali che hanno un contenuto. Sugli eventi che hanno luogo nella mente quando pensiamo, lo studio filosofico del linguaggio non ha niente da dire direttamente, ma sui loro contenuti, che possono essere comuni a molti eventi, che possono aver luogo in persone diverse e possono essere espressi in parole e comunicati da una persona a unaltra su questo lo studio del linguaggio ha evidentemente parecchio da dire. Se non altro ci pu dire che cosa pu essere espresso in parole, perch pu dirci quali sono gli enunciati possibili e quindi quali sono i pensieri possibili. E poich due eventi psicologici non possono contare come due casi in cui si ha lo stesso pensiero a meno che il contenuto non sia lo stesso nei

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due casi, ecco che indirettamente lo studio filosofico del linguaggio ha rilievo anche per lo studio degli eventi psicologici. A un livello molto generale ci sono molte cose da chiarire sui contenuti e perci sugli episodi di pensiero. La filosofia, e specificamente la filosofia del linguaggio, si muove a questo livello molto generale e ha quindi un compito insostituibile di chiarimento delle nozioni fondamentali di una scienza della mente. Daltra parte, siamo proprio sicuri che la riflessione in poltrona su quello che intendiamo dire usando termini come forza, massa e cos via, non abbia proprio il minimo interesse per il fisico? Luso degli esperimenti mentali da parte dei fisici, da Galileo ad Einstein, sembra dire il contrario. Pu darsi che questa risposta sia sufficiente, anche se personalmente non ne sono proprio sicuro. (Si osservi comunque che la domanda da cui eravamo partiti non era Che cosa pu fare la filosofia, intesa come una riflessione a livello molto generale e astratto, per la scienza della mente? bens Che cosa pu fare per la scienza della mente lo studio del linguaggio?) Per il momento, comunque, lasciamo la cosa in sospeso. Ritorniamo agli interrogativi da cui eravamo partiti, che riguardavano la natura dei pensieri (credenze, conoscenze, eccetera). Ora cerchiamo di prendere sul serio lidea che il linguaggio sia la nostra guida e vediamo dove ci porta. Una domanda a cui certamente dovremmo saper rispondere, per poter dire di sapere che cosa un pensiero, questa: quando possiamo dire di avere due pensieri e quando invece ne abbiamo uno solo? I pensieri sono cose che si contano o no? Abbiamo gi distinto levento del pensare, che ha luogo in una particolare persona in uno o pi istanti di tempo, dal contenuto che pu essere comune a pi eventi e a pi persone. Immaginiamo ora una persona in un dato istante pensi che

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Marte rosso e in un istante successivo pensi ancora che Marte rosso, ma cominci anche a visualizzarsi Marte cos come le apparso recentemente attraverso un telescopio. Abbiamo qui due eventi di pensiero distinti o un unico evento? Molto dipende dal contenuto: se i contenuti sono diversi sar meglio dire che abbiamo due eventi distinti, altrimenti un unico evento. Ma nel rispondere a queste domande dobbiamo tener presenti una quantit di considerazioni. Non possiamo ignorare, ad esempio, il modo in cui normalmente si descriverebbe una cosa del genere (non stiamo supponendo che esista un unico modo di descriverla, o anche un modo fortemente preferito dalla maggioranza dei parlanti. Sicuramente esistono infiniti modi diversi e tutti legittimi e accurati di descrivere una stessa cosa). Se lo ignorassimo, la nozione di pensiero che ne risulterebbe avrebbe poca somiglianza con quello che normalmente chiamiamo pensiero. In s, non c niente di male a introdurre nozioni diverse da quelle usate correntemente: accaduto molte volte in passato che una nozione intuitiva venisse sostituita da una nozione sostanzialmente diversa ai fini e allinterno di una teoria scientifica. Cos i giudizi intuitivi di caldo e di freddo sono stati sostituiti da quelli sulla temperatura dei corpi. Bisogna considerare per che noi ci serviamo delle credenze e in generale dei pensieri delle persone per spiegare i loro comportamenti. Diciamo ad esempio Il Tal dei Tali partito alle sei perch pensava che a quellora ci sarebbe stato meno traffico. Se decidessimo di usare il termine pensiero in modo completamente diverso da quello abituale, queste spiegazioni sarebbero ancora adottabili? Se ne pu discutere, ma anche chiaro che c ampio spazio qui per prendere delle decisioni, poich i dati del problema non ci impongono ununica soluzione. Si osservi che anche se fossimo riusciti a osservare, con tutta la precisione desiderabile, che cosa avviene nel

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cervello di quella persona per tutto il tempo che vogliamo, ancora ci sarebbe spazio per decisioni, perch sicuramente interverranno molti cambiamenti da un istante allaltro nel cervello di qualunque persona e spetta a noi stabilire che cosa vogliamo considerare come una perturbazione trascurabile e che cosa invece come un cambiamento di rilievo. Per prima cosa per dobbiamo prendere decisioni sui contenuti. Il caso della persona che pensa e poi anche visualizza che Marte rosso molto difficile. Forse troppo, come inizio. Cominciamo allora da casi pi semplici. Supponiamo che sia vera la seguente descrizione di un evento di pensiero che riguarda Eva: Eva pensa che Marte sia rosso. Lo stesso per questaltra descrizione che riguarda Ada: Ada pensa che Marte sia rosso. Supponiamo per che ci siano molte differenze tra Eva e Ada riguardo a quello che passato loro per la testa. Eva un astronoma, sta scrivendo una tesi di dottorato su Marte e sa visualizzarlo con molta accuratezza, mentre Ada una classicista e di Marte sa solo che il pianeta del dio greco della guerra. Il modo in cui Eva e Ada si rappresentano Marte molto diverso: Eva associa al nome Marte unimmagine del pianeta, mentre Ada, per la quale i corpi celesti sono solo puntini luminosi tutti uguali, accompagna il suo pensiero con un ricordo di bronzee armature. Diremo che Eva e Ada pensano la stessa cosa, nel senso che hanno in mente lo stesso contenuto? Potremmo decidere di no e stabilire che una condizione necessaria per avere uno stesso (contenuto di) pensiero sia quella di rappresentarsi nello stesso modo loggetto a cui ci si riferisce. Prendere questa strada equivale a dire che i due enunciati Eva pensa che Marte sia rosso e Ada pensa che Marte sia rosso potrebbero essere entrambi veri e lenunciato Eva e Ada pensano la stessa cosa potrebbe essere falso. chiaro che in questo caso

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rinunceremmo allidea di prendere seriamente il linguaggio come nostra guida per identificare i contenuti dei pensieri. E invece noi abbiamo stabilito di prendere il linguaggio come nostra guida. Dunque le rappresentazioni che ci facciamo delle cose non contano per lidentit del contenuto di un pensiero, perch persone diverse possono rappresentarsi le cose in modo diverso e tuttavia avere gli stessi pensieri.

C qualche altra cosa che Eva e Ada devono avere in comune per avere un pensiero con lo stesso contenuto, ad esempio che Marte rosso? Sembra di no: non necessario che entrambe sappiano, ad esempio, che Marte era il dio della guerra, n che Marte il quarto dei pianeti maggiori del sistema solare, n che distante dalla Terra di tanto, n che appare in cielo in certe posizioni in certi periodi. Non devono sapere neppure che il pianeta si chiama Marte, n che si tratta di un pianeta. Lo stesso ragionamento che ci fa concludere che le rappresentazioni individuali sono irrilevanti per fissare il contenuto suggerisce anche che il contenuto delle credenze di Eva e Ada riguarda direttamente il corpo celeste, indipendentemente da tutte le sue propriet. Tutto ci che serve perch Eva e Ada abbiano pensieri con lo stesso contenuto che Marte sia rosso che di entrambe si possa dire con verit che pensano che Marte sia rosso. Consideriamo ora un caso leggermente diverso. Supponiamo che entrambi questi due enunciati siano veri: 1. Eva pensa che Espero brilli 2. Isa pensa che Fosforo brilli.

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Noi sappiamo, ma forse Eva e Isa non lo sanno, che Espero identico a Fosforo. Ci chiediamo: Eva e Isa hanno lo stesso pensiero? Equivalentemente, ci chiediamo se si possa inferire dalla verit di 3. Isa pensa che Fosforo brilli,

la verit di 4. Isa pensa che Espero brilli. chiaro che queste due formulazioni del problema sono equivalenti: se (4) si pu inferire da (3), allora Eva e Isa hanno lo stesso pensiero perch entrambe credono che Espero brilli e noi abbiamo deciso di prendere il linguaggio come nostra guida. Inversamente, se Eva e Isa hanno lo stesso pensiero, qualora siano veri (1) e (2), allora certamente Isa, quando pensa che Fosforo brilli, ha lo stesso pensiero di quando lei stessa pensa che Espero brilli. Dunque la verit di (3) ci assicura della verit di (4). Abbiamo appena visto che il problema di stabilire lidentit di certi pensieri (meglio, di certi contenuti) si riduce a quello di stabilire se valga una certa inferenza. Stabilire se valgano delle inferenze una questione che interessa la logica, oltre che la linguistica. La scelta dei criteri di identit dei pensieri cos sottoposta a un nuovo vincolo. Qualunque sia il modo in cui decidiamo di prendere la nozione di pensiero, questo modo deve andare daccordo con una teoria delle inferenze corrette per gli enunciati del linguaggio in cui sono formulate le attribuzioni di credenza. Ma questo specificamente il compito della teoria semantica. Ne concludiamo che la semantica ha qualcosa da dire sullidentit dei pensieri. E questa la formulazione

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pi chiara che possiamo dare alla tesi per cui prendiamo il linguaggio come guida nello studio del pensiero. Ma potrebbe non valere linferenza da (3) a (4)? In ogni altra regione del linguaggio, e cio per tutti gli enunciati che non contengono verbi di atteggiamenti preposizionali, vale la legge di Leibniz secondo cui i nomi propri che si riferiscono alla stessa cosa si possono sostituire gli uni agli altri salva veritate senza cio cambiare il valore di verit dellenunciato che li contiene. Negli ultimi decenni del Novecento si scoperto che il principio vale anche nei contesti modali e cio nel caso degli enunciati del tipo Sarebbe stato possibile che Platone non fosse allievo di Socrate, e quindi che Socrate non fosse il suo maestro e obbligatorio non dire mai bugie. Di per s questa non naturalmente una ragione sufficiente per concludere che la legge di Leibniz debba valere anche per gli atteggiamenti proposizionali che potrebbero costituire lunica vera eccezione a un principio altrimenti saldissimo e universale. Ma non nemmeno una considerazione irrilevante. Comunque stiano le cose, si osservi che la nostra decisione circa lidentit dei contenuti (e quindi anche dei pensieri) ora soggetta a un altro vincolo: la teoria semantica che rende conto delle inferenze valide dovrebbe risultare ragionevolmente semplice e uniforme. Le eccezioni dovrebbero ridursi al minimo e i principi di base dovrebbero essere pochi e semplici. Vediamo ora come si presenta complessivamente la questione del contenuto del pensiero dal punto di vista della teoria semantica, sottolineando che questa solo una delle molte considerazioni pertinenti al problema di stabilire che cosa siano un contenuto di pensiero. La nozione centrale di una teoria semantica la nozione di verit. Non indispensabile che la teoria arrivi a definire in che cosa consiste la

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verit di un qualunque enunciato: anzi possibile che una definizione generale vera e propria non sia possibile. Ma comunque stiano le cose su questo punto, la nozione di verit resta centrale, poich il compito della teoria quello di specificare, per ciascuna espressione del linguaggio, quale sia il suo contributo al valore di verit degli enunciati in cui compare. In questo contributo consiste infatti il significato dellespressione. Ad esempio, se riusciamo a stabilire che differenza passa tra il termine purosangue e il termine ronzino per quel che riguarda il rispettivo contributo alla verit di un qualunque enunciato, possiamo dire di aver stabilito la differenza di significato tra i due termini. Chiamiamo il contributo di unespressione alla verit di qualunque enunciato in cui compare il suo valore semantico. La teoria semantica deve in primo luogo assegnare a ciascuna espressione il suo valore semantico e poi deve spiegare come i valori semantici di tutte le espressioni che compongono un enunciato si combinino tra di loro e producano appunto il valore di verit di quellenunciato. Ad esempio, plausibile pensare che il valore semantico di un nome proprio come Marte sia loggetto che porta quel nome il pianeta perch il nome Marte quando occorre in un enunciato serve a far riferimento a quellindividuo (indipendentemente dalle propriet che ha o che qualcuno pensa che abbia). Analogamente, il valore semantico del predicato essere rosso pu essere preso come linsieme delle cose rosse (la sua estensione). Ora, plausibile pensare che la teoria stabilisca che un enunciato che composto da espressioni i cui valori semantici sono rispettivamente un oggetto e un insieme di oggetti sia vero se e solo se loggetto appartiene allinsieme. Cos Marte rosso vero se e solo se il pianeta Marte appartiene allinsieme delle cose rosse.

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Dal modo in cui abbiamo spiegato in che cosa consiste il valore semantico di una espressione cio il suo contributo al valore di verit degli enunciati in cui occorre si vede immediatamente che vale il seguente principio: due espressioni hanno lo stesso contenuto semantico se, e solo se, esse sono interscambiabili in qualunque enunciato in cui occorrono salva veritate. Infatti chiaro che se due espressioni hanno lo stesso valore semantico, allora esse danno lo stesso contributo e quindi non fa differenza, quanto alla verit di un enunciato, quale delle due vi occorra. Inversamente, se non fa differenza quale delle due occorra allora il loro contributo che il loro valore semantico deve essere lo stesso. Ora siamo in grado di vedere in che cosa consiste la difficolt principale rappresentata dagli enunciati che attribuiscono pensieri per la teoria semantica. Abbiamo visto che, come valore semantico di un nome proprio, la scelta pi naturale cade sulloggetto che portatore del nome. Riconsideriamo allora i due enunciati 3. Isa pensa che Fosforo brilli, 4. Isa pensa che Espero brilli. Il valore semantico di Fosforo dovrebbe essere lo stesso del nome Espero. Dunque i due nomi dovrebbero essere sostituibili salva veritate. Dunque (3) dovrebbe implicare (4) e i due enunciati dovrebbero attribuire a Isa lo stesso pensiero, o almeno lo stesso contenuto di pensiero. E il principio di Leibniz dovrebbe valere in questo caso. Eppure sembra possibilissimo che Isa pensi che Fosforo brilli senza pensare anche che Espero brilli, se non sa che Espero Fosforo. Questa la nostra difficolt principale. Come potremmo risolverla? Potrebbe essere una soluzione quella di abbandonare lidea che il contributo di Espero alla verit di (3) sia lo stesso di

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quello di Fosforo. Questo per andrebbe contro il principio di Leibniz, il quale non solo vale per tutti gli enunciati che non attribuiscono pensieri, ma soprattutto sorretto da una salda intuizione. Una rosa, dice Shakespeare, comunque la si chiami avrebbe lo stesso profumo. Se parliamo di una cosa per attribuirle una propriet, e non di un suo nome, che differenza pu fare che si usi uno o un altro dei suoi nomi? la cosa che ha la propriet, non il suo nome. E non dovrebbe fare nessuna differenza che la propriet sia quella di essere profumata o invece di essere pensata come profumata da Isa o da qualcun altro. Di fatto, se Isa affermasse di vostra cugina Evelina, Eva per gli amici, Evelina simpatica, nessuno avrebbe niente da obiettare se voi riferiste in giro Isa pensa che Eva sia simpatica, anche se Isa non al corrente che Evelina a volte, dagli amici, chiamata anche Eva. Lo stesso per Espero e Fosforo. Questa soluzione sembra difficile da percorrere. Unaltra soluzione si potrebbe forse trovare nellammettere che i due nomi Espero e Fosforo abbiano un valore quando occorrono negli enunciati che non attribuiscono pensieri e un valore diverso quando occorrono negli enunciati come (3) e (4) che attribuiscono pensieri. Questo per costituirebbe una anomalia o almeno una complicazione notevole nella teoria semantica, che vorremmo fosse il pi semplice e uniforme possibile. C qualche altra soluzione? Forse s, ma in ogni caso non nostro compito presentarla qui. Il compito che ci eravamo proposti era molto pi limitato. Volevamo mostrare in primo luogo che non unidea troppo implausibile quella di prendere come nostra guida il linguaggio, quando si tratta di chiarire la natura del pensiero. Inoltre volevamo dire che chiarire la natura del pensiero da un lato compito della filosofia, che spesso si fatta guidare dal linguaggio quando si trattato di chiarire

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la natura di concetti e nozioni molto generali, e dallaltro un passo preliminare e inevitabile quando si tratta di gettare le fondamenta di una scienza della mente. Si possono fare ricerche di tutti i tipi su quello che la gente crede o sa ad esempio, che cosa sanno gli italiani del proprio passato e della cultura classica? Come giudicano i propri politici? Che cosa sa della propria lingua madre un bambino di due anni e di quanto tempo ha bisogno per imparare a parlarla fluentemente? In che cosa differiscono le conoscenze matematiche di un bambino normale da quelle di un genio della matematica? I bambini credono in Dio? E cos via per infinite altre questioni ma difficilmente si potr sostenere che i risultati delle ricerche su tutti questi argomenti costituiscono un corpo di conoscenza scientifica, invece che un ammasso di vaghe curiosit, a meno che non si usino i termini credenza e conoscenza in maniera rigorosa o non vaga. Ed una tesi molto ragionevole quella per cui compito della filosofia chiarire come dobbiamo intendere questi termini e come eventualmente dobbiamo modificarne luso quotidiano e informale che ne facciamo nel parlare corrente per ottenere nozioni abbastanza rigorose da poter essere usate nella ricerca scientifica. C un senso in cui si pu dire che anche i primi passi che mosse Galileo in direzione della teoria fisica moderna appartenevano tanto alla fisica quanto alla filosofia, poich consistevano in un chiarimento delle nozioni fondamentali da usare per descrivere ragionamenti ed esperimenti. Fa parte di questo chiarimento anche la tesi, tipicamente galileiana, secondo cui il gran libro della natura scritto in caratteri matematici. In questo senso la filosofia pu servire a gettare le fondamenta di una scienza e non c ragione di pensare che la scienza della mente debba essere diversa in questo dalla fisica.

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Inoltre, ci siamo proposti di mostrare come la filosofia debba affrontare i problemi che riguardano la natura dei pensieri, una volta che abbia deciso di prendere il linguaggio come propria guida. Abbiamo visto che, come minimo, deve riuscire a formulare una teoria semantica coerente e spiegare a quali condizioni sia vero (e a quali condizioni sia falso) un enunciato come Ada pensa che Fosforo brilli, che attribuisce un pensiero a un soggetto. Abbiamo visto infine che porsi questo problema equivale a porsi il problema di quali inferenze tra enunciati del tipo di Ada pensa che p e Ada pensa che q siano logicamente garantite. Ma una volta che siamo arrivati a questa formulazione del problema iniziale, di come gettare le basi di una scienza della mente, possiamo chiederci se tutta quanta la storia che siamo venuti svolgendo non possa essere raccontata in modo molto pi semplice un modo che mette immediatamente in chiaro quale siano i rapporti tra il pensiero e il linguaggio senza dover passare per la tesi filosoficamente incerta per cui il linguaggio costituisce una guida affidabile per la riflessione filosofica. Ecco la versione semplice della storia. Se per sapere, sia pure in modo estremamente generale, che cosa siano i pensieri e le loro diverse sottospecie (le credenze, le conoscenze, le assunzioni, le speranze, e cos via) dobbiamo alla fin fine chiederci a quali condizioni siano vere (e a quali condizioni siano false) le attribuzioni dei pensieri e cio gli enunciati come Ada sa che Fosforo brilla e Isa teme che Espero non brilli, allora forse tutta la sostanza del concetto di pensiero si trova in queste attribuzioni. Il concetto di pensiero costruito a partire da queste attribuzioni. In altre parole, forse pi chiaramente: noi non sappiamo prima che cosa siano i pensieri e poi a quali condizioni si possano legittimamente attribuire i pensieri, ma prima impariamo a quali condizioni possiamo affermare, ad esempio, che Ada pensa che

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Fosforo brilli, e Isa pensa la stessa cosa ed Eva pensa che Espero non brilli e cos via per infinite altre attribuzioni, e a quali condizioni ciascuna di queste attribuzioni ne implica altre, e poi su questa base ci facciamo unidea di che cosa siano i pensieri. La differenza non affatto trascurabile. Possiamo infatti immaginare di sapere a grandi linee in quali circostanze una attribuzione come Ada pensa che Fosforo brilli sia vera. Molto approssimativamente, sembra chiaro che vero che Ada ha il pensiero attribuitole se e solo se sarebbe disposta ad assentire allaffermazione che Fosforo brilla, in certe circostanze ad esempio, nel caso in cui capisca bene lenunciato Fosforo brilla e sia quindi una parlante competente dellitaliano, oppure capisca bene un enunciato di unaltra lingua che sia sinonimo, per quanto possibile, dellenunciato italiano; e inoltre abbia riflettuto abbastanza seriamente a quello che ha sentito, non intenda mentire, non intenda fare dellironia, non voglia prenderci in giro facendoci credere cose non vere e cos via. dunque il comportamento verbale di Ada non solo il suo comportamento verbale attuale, ma anche quello potenziale o disposizionale quello a cui dobbiamo guardare per sapere se sia vera o no lattribuzione ad Ada di un certo pensiero o di una certa credenza. E una volta che sappiamo a quali condizioni siano vere le attribuzioni dei pensieri, se i pensieri sono in un certo senso costruiti a partire da queste attribuzioni, allora possiamo dire anche di sapere che cosa sono i pensieri stessi. Non stiamo sostenendo una forma di comportamentismo, nel senso in cui il termine stato usato da una scuola psicologica che nata allinizio del Novecento e si pi o meno esaurita verso gli anni Cinquanta o Sessanta. In primo luogo il comportamento verbale non la stessa cosa del comportamento in senso lato, ma una sua forma molto speciale. In secondo luogo non c nessuna pretesa di eliminare

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i concetti intenzionali, come appunto quello di pensiero, a favore di concetti non intenzionali. Il comportamentismo pensava di poter fare a meno dei concetti intenzionali e di poter tradurre tutte le attribuzioni di pensieri in affermazioni che riguardano solo i comportamenti osservabili (del tipo Il tal soggetto si muove in questo o quel modo, mostra un aumento della pressione sanguigna, variazioni di potenziale elettrico sulla pelle, arrossamento, eccetera.). Noi abbiamo parlato di circostanze in cui il soggetto capisce una lingua e un particolare enunciato, riflessivo, attento, sincero e cos via tutti concetti intenzionali quantaltri mai. Inoltre, non intendiamo affatto ignorare, come se fosse in qualche modo poco rispettabile, losservazione in prima persona della propria mente lintrospezione. Le auto-attribuzioni di credenza sono importanti quanto quelle in terza persona. Dunque decisamente non stiamo riproponendo una teoria psicologica che si dimostrata fallimentare. Stiamo solo sostenendo che un particolare comportamento, quello verbale, ha unimportanza tutta speciale per capire che cosa intendiamo col concetto di mente e che cosa riteniamo che avvenga nella mente degli esseri umani. Ma si obietter assurdo pensare che solo gli esseri umani che sanno parlare abbiano una mente! Le persone che non riescono a comunicare, per una ragione o per laltra, non possono avere disposizioni ad assentire a una affermazione come Espero brilla, e sicuramente non hanno nessuna disposizione del genere gli animali non umani. Dunque mai nessuna attribuzione di un pensiero a uno di loro potrebbe essere vera. E se la mente costruita a partire dalle attribuzioni di pensieri, dobbiamo concludere che non hanno n pensieri n una mente. Assurdo! Credo che si tratti di una conclusione un po precipitosa. Trascuriamo i casi un po troppo difficili delle persone che per una ragione o per laltra non possono

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comunicare in nessun modo, nemmeno potenzialmente, e limitiamoci a considerare gli animali non umani, che sembra proprio che non abbiano un linguaggio. Non intendiamo negare del tutto che un cane, a cui manca solo la parola, abbia una mente e almeno alcuni pensieri, abbastanza semplici. Ma che cosa intendiamo dire veramente quando diciamo Guarda come si agita Cerbero: ha capito che voglio portarlo fuori? Se non vogliamo solo dire che ha un certo comportamento, n che se esaminassimo il suo cervello troveremmo un certo tipo di attivit nei suoi neuroni cose che basterebbero a un comportamentista per attribuirgli una mente paragonabile a quella umana probabilmente intendiamo dire questo: se fingessimo che Cerbero sia capace di parlare, allora sarebbe vero, nella finzione, che Cerbero ha la disposizione ad assentire alla nostra affermazione Sto per portarti fuori. Certo, una finzione non la stessa cosa della realt e solo per finta e non per davvero Cerbero ha quella disposizione. Per questa via non arriviamo ad attribuire veramente a Cerbero una mente: fingiamo soltanto che ne abbia una. Ma che male c? Non neghiamo con questo che nel suo cervello avvengano cose molto simili a quelle che avvengono nel nostro quando un amico ci propone una passeggiata: anzi, intendiamo proprio affermare la somiglianza. E prendiamo molto sul serio lespressione Gli manca solo la parola. Affermiamo anzi di sapere che cosa ci direbbe se la parola lavesse davvero. Vogliamo solo dire una cosa del tutto ovvia: che Cerbero la parola non ce lha ma come se lavesse.

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BREVE BIBLIOGRAFIA RAGIONATA Larticolo da cui ha avuto inizio tutta la ricerca sugli atteggiamenti preposizionali nellambito della filosofia analitica il famoso saggio di Gottlob Frege, Senso e significato, del 1892. Un altro suo testo sullo stesso tema pi articolato e successivo di parecchi anni Il pensiero, del 1918. Per quanto Frege sia uno scrittore generalmente chiaro, si consiglia di accompagnare la lettura di questi testi con quella delleccellente introduzione alla filosofia analitica del linguaggio di Paolo Casalegno [1997]. Ci si render conto cos della complessit del problema che a distanza di oltre cento anni dalla pubblicazione del primo articolo di Frege ancora aperto e della forma che il problema assume nellambito della teoria semantica. Michael Dummett il pi autorevole interprete di Frege e ha difeso con forza in Dummett [2001] la tesi per cui tutta la riflessione filosofica sul pensiero dovrebbe aver inizio da un esame del modo in cui il pensiero si esprime nel linguaggio. Il suo monumentale libro su Frege, Dummett [1973] parzialmente tradotto in italiano, molto di pi di unintroduzione al pensiero dello scopritore della logica moderna e iniziatore della filosofia analitica, ma troppo impegnativo per un lettore inesperto. Un classico in cui il problema degli atteggiamenti preposizionali prospettato con chiarezza, insieme a molti altri temi, Quine [1960]. La letteratura su questi argomenti ormai sterminata ed esistono molti testi introduttivi e molte antologie dei lavori pi significativi sullargomento in lingua inglese. Ma come sempre affrontarne la lettura da autodidatti comporta seri rischi. Il lettore italiano trover utili i testi (molto diversi tra loro) di Diego Marconi [1999], di Eva Picardi [1999], e di Carlo Penco [2004].

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Casalegno Paolo, Filosofia del Linguaggio. Unintroduzione, La Nuova Italia Scientifica, Firenze 1997

Dummett Michael, Frege. Philosophy of Language, Duckworth, London, 1973, trad. it. parziale Filosofia del linguaggio. Saggio su Frege, a cura di Carlo Penco, Marietti, Casale Monferrato, 1983

Dummett Michael, Le origini della filosofia analitica, Einaudi, Torino, 2001 Frege Gottlob, Il pensiero, in Frege G., Ricerche logiche, a cura di M. Di Francesco, trad. it. di R.Casati, Guerini, Milano 1988.

Frege Gottlob, Senso e significato, in Frege G., Senso, funzione e concetto, a cura di Carlo Penco ed Eva Picardi, Laterza, Bari 2001, e in Filosofia del Linguaggio, a cura di Andrea Icona e Elisa Paganini, Raffaello Cortina, Milano 2003.

Marconi Diego, La filosofia del linguaggio, UTET, Torino 1999 Picardi Eva, Le teorie del significato, Laterza, Bari, 1999. Penco Carlo, Introduzione alla filosofia del linguaggio, Laterza, Bari 2004 Quine Willard V.O., Word and Object, MIT Press, 1960, trad. it. di Fabrizio Mondadori, Parola e oggetto, Il Saggiatore, Milano 1970

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