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George Weah: Run African Star
George Weah: Run African Star
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Ebook152 pages1 hour

George Weah: Run African Star

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Il saggio di Ravan non è semplicemente la biografia di un campione, è una piccola ed esemplare biografia di un Continente, anzi, di due Continenti che videro quel campione prima scalzo e poi con i tacchetti.
Con un linguaggio accessibile e vivace, Ravan ci racconta in parallelo la storia della Liberia e quella di Weah. Storie di povertà e violenza, ma anche di riscatto in cui i destini del campione si intrecciano a più riprese con quelle del proprio paese di cui oggi è diventato Presidente.

Dalla quarta di copertina: La storia di un campione passato dagli slums al Pallone d’oro, dal calcio alla politica. La storia di un Paese, la Liberia, lacerato da guerra e povertà, che oggi ha fame di riscatto.
LanguageItaliano
Release dateJun 27, 2019
ISBN9788834146682
George Weah: Run African Star

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    George Weah - Davide Ravan

    uno

    Dalle origini al 1900: nasce la Liberia

    Con la fine della schiavitù negli Stati Uniti, per i neri americani, deportati dall’Africa per più di due secoli verso il nuovo mondo, si aprono nuovi scenari. La quasi totalità di loro vive però negli Stati del Sud degli USA, Stati dove il settarismo e il razzismo non cessano certo grazie alla fine della schiavitù fortemente voluta dal presidente Lincoln. Anzi, i neri iniziano a essere visti come concorrenti dalle classi bianche meno abbienti, essendo le regioni del Sud fortemente votate all’agricoltura. È in questo periodo che nasce l’ideologia "White Power" fomentata dal Ku Klux Klan: di conseguenza l’essere neri incomincia a costituire un problema più grande rispetto agli anni della schiavitù.

    Con l’intenzione di salvaguardare la popolazione di colore (e di raffreddare gli animi dei suprematisti bianchi), a inizio ’800 nasce l’American Colonization Society. L’idea è quella di offrire agli schiavi liberati (i pochi fortunati resi liberi da padroni progressisti già una cinquantina di anni prima che la schiavitù diventasse illegale su territorio americano) una concreta possibilità di tornare in Africa. I soci fondatori John Randolph, Daniel Webster, John Marshall e Henry Clay si pongono come obiettivo l’acquisto di terreni nella parte occidentale dell’Africa subsahariana. Un primo risultato fu raggiunto nel 1821, anno nel quale l’ACS riesce ad acquistare alcune terre nella cosiddetta Costa del Pepe, regione a Sud dell’attuale Sierra Leone, e inizia a far partire subito le prime flotte di coloni-ex schiavi (la prima spedizione porta sulle coste africane 88 coloni).

    La mossa iniziale della Società nei terreni appena comprati è quella di costruire un centro atto sia allo smistamento dei coloni sia come punto di riferimento americano in Africa. Questo centro, che diventa la prima città della regione, prende il nome di Monrovia, in omaggio al presidente americano James Monroe. Da questo momento inizia un viavai continuo tra gli Stati Uniti e i nuovi territori, che nel frattempo hanno preso il nome di Liberia. Nel giro di cinquant’anni 13.000 ex schiavi americani torneranno nel loro continente di origine.

    L’insediamento di questi coloni però non viene preso bene dalla popolazione autoctona, ben consapevole delle esperienze nei territori limitrofi delle popolazioni soggette al dominio dei colonizzatori europei, che tanti danni e morti aveva già provocato nei secoli precedenti. I coloni riescono però a sfruttare a proprio vantaggio la divisione in tribù ed etnie della popolazione locale, mettendo uno contro l’altro i vari gruppi etnici e facendo abbassare in questo modo la tensione verso di sé garantendosi una vita tranquilla nei nuovi territori, specialmente nella capitale Monrovia.

    L’economia del nuovo Stato è però estremamente labile; l’unica fonte di sostentamento sono gli aiuti che l’ACS riesce ad offrire, sostegno però che si interrompe bruscamente nel 1840, quando l’American Colonization Society dichiara la bancarotta.

    Per fare fronte a questa situazione, l’anno successivo, il 1841, viene nominato il primo governatore della Liberia, Joseph Jenkins-Roberts, che si fa carico del compito di trovare fonti di sostentamento per il nuovo Stato africano. Con il fallimento dell’ACS gli USA impongono alla Liberia di dichiarare l’indipendenza, proponendo in cambio una protezione quasi fraterna (non per niente ancora oggi gli Stati Uniti vengono considerati i fratelli maggiori della popolazione liberiana, almeno dai discendenti dei coloni/ex-schiavi).

    Si giunge così al 1847, anno della dichiarazione d’indipendenza e dell’emanazione della prima Costituzione della Liberia. E qui vengono fuori le prime stranezze del nuovo Stato: da un Paese fondato da ex-schiavi e dai loro discendenti ci si aspetterebbe una certa sensibilità verso le tematiche sociali (tematiche così marcate ed evidenti in un continente come quello africano). Invece, da Costituzione, il voto è concesso solo agli americo-liberiani e l’unico partito ammesso alle elezioni è il True Whig Party, partito del governatore (e poi presidente) Jenkins-Roberts. Con questo quadro è chiaro che si giunge in fretta a una nuova forma di settarismo: la vittima, l’ex-schiavo statunitense, diventa il carnefice e coloro che fino al 1820 facevano parte di un popolo libero diventano delle vittime. Si dà il via così a decenni di schiavitù legalizzata: i nativi liberiani vengono sfruttati nelle piantagioni di caucciù, di cocco, di caffè e nelle estrazioni di diamanti, ricevendo paghe inadeguate al sostentamento delle loro famiglie e con orari di lavoro estesissimi.

    Per di più questo sistema di sfruttamento dei lavoratori non porta ai risultati sperati, tanto che nel 1909 lo Stato dichiara bancarotta.

    Capitolo due

    Le multinazionali e il loro peso

    Per far fronte a questa terribile crisi economico-finanziaria la presidenza liberiana decide di cedere, a prezzi stracciati, grandi appezzamenti di terreno a multinazionali americane. Tra queste spicca la Firestone, vero colosso mondiale della gomma che crea subito in Liberia la più grande piantagione di caucciù a livello planetario. Queste concessioni altro non fanno che legare ancora di più la Liberia alla politica statunitense, ritrasformando l’antica Costa del Pepe in un vero e proprio avamposto a stelle e strisce in Africa.

    Occorre sottolineare come gli Stati Uniti d’America siano tanto interessati agli appezzamenti di terreno liberiani per le proprie multinazionali quanto disinteressati alle condizioni di lavoro alla quale è sottoposta la popolazione liberiana assunta dai colossi mondiali. Con buona pace dei lavoratori, che essendo ormai nel 1900 inoltrato non vengono chiamati schiavi per pudore.

    L’influenza americana è così forte da spingere lo Stato liberiano ad entrare nel primo conflitto mondiale nel 1917, anno d’ingresso degli USA nella Grande guerra, naturalmente a supporto di quella che inizialmente era riconosciuta come Triplice Intesa (Gran Bretagna-Francia-Russia).

    Chi a un certo punto sembra accorgersi delle condizioni di lavoro alla quale è soggetta la popolazione liberiana è la Lega della Nazioni, anche se bisogna aspettare il 1930 perché ciò accada. L’accusa che la Lega muove verso lo Stato africano è quella di sfruttare un sistema di lavoro forzato indistinguibile dalla schiavitù.

    Il presidente liberiano Charles King decide di aprire un tavolo d’inchiesta interno al Paese, e in seguito alla scontata conferma di quanto affermato dalla Lega delle Nazioni lui e il suo vice si dimettono, trascinando così lo Stato verso un nuovo collasso economico e politico.

    Per scongiurare una nuova bancarotta il neopresidente Edwin Barclay inaugura un periodo di austerity condito da politiche repressive atte a far cessare i vari focolai di rivolta che nascono giorno dopo giorno in tutta la Liberia.

    In un momento storico complicato a livello mondiale, con l’instaurazione del fascismo in Italia, del nazismo in Germania, la guerra civile e il conseguente falangismo in Spagna e il forte vento che spira verso un conflitto planetario, la Liberia passa quasi un intero decennio di apparente tranquillità. Le politiche repressive soffocano sul nascere ogni tentativo di ribellione, e una stampa sempre più controllata dal Governo diffonde nel Paese notizie non vere che servono a far apparire l’operato di Barclay nettamente migliore di quanto sia in realtà.

    Capitolo tre

    William Tubman e la Liberia moderna

    Dopo Pearl Harbor, attacco che provoca l’ingresso formale degli USA nel secondo conflitto mondiale, la Liberia torna a essere un partner fondamentale per i nordamericani. Il Paese africano diventa il secondo fornitore di gomma dopo Ceylon (l’attuale Sri Lanka) degli Stati Uniti.

    Inizialmente riesce a tenersi fuori dalla guerra. La sua neutralità cessa, però, nel 1944 quando viene eletto presidente William Tubman. La Liberia dichiara guerra alla Germania e al Giappone, entrando nella Seconda guerra mondiale a cose quasi risolte.

    Thubman rimarrà in carica fino alla sua morte, avvenuta nel 1971. Si fa garante della stabilità del Paese (o almeno ci riesce fino a un paio di anni prima di spirare), porta la Liberia a sedersi agli importanti tavoli che

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