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Il collega
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Il collega

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About this ebook

Rino e Calogero, amici fraterni, lavorano insieme da anni quando una mattina litigano pesantemente, costringendo la ditta a separarli. Da quel momento Rino cade in una crisi che lo porterà a sospettare che il suo ex amico perseguiti lui e la sua famiglia nei modi più bizzarri. Negli anni a seguire sprofonderà sempre di più in assurde manie di persecuzione ed improbabili paranoie.

Al suo fianco arriva un nuovo giovane collega che suo malgrado si troverà coinvolto in mille disavventure.

Predicatori, gang di teppisti, forze dell'ordine, avvocati, imprenditori, ragazzine in lacrime, saranno solo alcuni dei personaggi coinvolti in questa assurda caccia alle streghe che prenderà una piega veramente inaspettata...
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 7, 2019
ISBN9788831618700
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    Il collega - Lanonimo Operaio

    casuale.

    [...] quindi quel che ti dissi era vero, da un certo punto di vista! - Da un certo punto di vista? - Luke, scoprirai che molte delle verità che affermiamo dipendono spesso dal Nostro punto di vista!

    Il ritorno dello Jedi

    Prefazione

    Da diversi anni viviamo in un momento di crisi. Una crisi profonda. Una crisi sociale, culturale, politica ed economica. Ma soprattutto umana. La gente è sempre più oppressa da un modo di vivere caotico, incerto ed imprevedibile. Viviamo tutti nell’incertezza che si trasforma in ansia e stress quotidiani. In questo contesto va inquadrato il gravoso problema del lavoro o, meglio ancora, dell’assenza di lavoro. Anche chi ce l’ha non sta poi tanto meglio: qualcuno ha il contratto a tempo determinato, qualcuno viene pagato con i famosi voucher, qualcuno pensa bene di andare a lavorare all’estero e qualcuno lavora ma guadagnando il giusto e l’onesto. Ma esiste ancora una parte di popolazione che ha la fortuna di avere un lavoro dignitoso, a tempo indeterminato, con lo stipendio fisso e le ferie pagate.

    Però, per questi fortunati, esistono altri tipi di problemi e senz’altro, quelli più diffusi, riguardano i colleghi. Non ci vuole molto ad immaginare che tra queste persone molte abbiano avuto da ridire con almeno un collega. Immagino le classiche discussioni sul dovere delle proprie mansioni o sul chi naviga troppo su internet. Immagino le polemiche per uno stipendio troppo alto ed uno troppo basso. Immagino le malelingue che straparlano sui troppi giorni di ferie e di malattia degli altri. Immagino gli screzi per una frase detta male oppure una ripicca per un torto subito. Immagino che con qualcuno saranno anche volate parole grosse, seguite spesso da giornate di astioso silenzio. Immagino anche che tutti questi motivi avranno causato qualche pesante litigata o, al limite, una sana antipatia. Spesso reciproca e condita pure con qualche maldicenza sulla vita privata di questi colleghi. Dopodiché, forse, qualcuno sarà pure stato redarguito dal responsabile o dal principale di turno.

    Detto ciò, cerchiamo di essere onesti: purtroppo queste situazioni sono molto frequenti e molto diffuse. Ma se qualcuno crede che questo libro parli di cose come queste si sbaglia di grosso: infatti non troverete nemmeno l’ombra di storie banali, comuni, sentite e risentite in milioni di bar, di fabbriche o di uffici. Senz’altro a qualcuno potrà anche non piacere ma sono certo che nessuno, e sottolineo nessuno, potrà dire di aver mai sentito qualcosa di simile. In caso contrario, contattatemi pure: sarò ben lieto di offrirvi un aperitivo. Fidatevi, una volta che avrete finito di leggere questo libro andrete a lavoro con uno spirito diverso e guarderete i vostri colleghi in maniera più lungimirante. Diciamo pure che questo libro dovrebbe avere uno scopo... terapeutico. Ad esempio, a me ha insegnato che credere di possedere la verità in una tasca è una cosa molto stupida, perciò mi permetto di darvi un piccolo consiglio: leggendo, non state a chiedervi troppo a lungo se effettivamente tali situazioni siano davvero accadute, magari tanto tempo fa in una galassia lontana lontana... Perché, alla fin dei conti che cos’è la verità se non... un altro punto di vista?

    Introduzione

    Paranoia: sindrome caratterizzata da un delirio lucido, strutturato e sistematizzato, a evoluzione cronica, in assenza di altri aspetti patologici come allucinazioni, dissociazione e deterioramento della personalità. La p. insorge sulla base di particolari tratti della personalità (diffidenza, insicurezza, orgoglio esagerato, fanatismo, erroneità di giudizio, ecc.) che possono rimanere tali o evolvere in delirio sistematizzato. Quest’ultimo si sviluppa lentamente, persiste con convinzione assoluta del soggetto e influenza ogni sua attività; origina da fattori interni all’individuo, a cui possono sovrapporsi conflitti o eventi esterni. La p. si manifesta solitamente in età media e il contenuto delirante è vario: delirio di gelosia, erotomaniaco, di persecuzione, di querela, di grandezza, di interpretazione. Il decorso della p. è cronico, non di rado alternante, con periodi di maggiore intensità e altri di attenuazione; in alcuni casi si possono osservare aspetti di tipo schizofrenico con allucinazioni, dissociazione del pensiero e deterioramento della personalità. Il trattamento prevede l’uso di neurolettici; utili possono essere inoltre la psicoterapia e interventi a livello socio-ambientale.

    Enciclopedia della medicina

    1# Flashback: come è nato questo libro

    Baruzzoli, aprile 2014. Ho appena compiuto trent’anni. Ho la fortuna di lavorare in un’azienda da ben undici anni, ma purtroppo siamo in cassa integrazione straordinaria da quasi un anno. In pratica lavoriamo dai due ai quattro giorni a settimana e sembra che tra pochi mesi mi licenzieranno, a causa di una crisi economica senza fine. Ma durante il giorno il mio pensiero va in un’altra direzione. Infatti solo qualche ora fa ho seriamente pensato di spaccare la testa alla persona che lavora con me e non è la prima volta che penso di farlo. Anzi, sono sicurissimo che prima o poi lo farò veramente. L’intenzione sarebbe quella di uccidere Il Mostro, come l’ho ribattezzato io, ma poi il buon senso e la voglia di non essere denunciato prendono il sopravvento. Dal canto suo, il mio collega, con cui lavoro tutti i giorni da otto anni, mi accusa di cose gravissime. E me le urla in faccia. Quindi è chiaro che mi capiti spesso di pensare a come siamo arrivati a questo punto. Io ho sicuramente fatto degli errori, ma non tali da poter giustificare una storia come questa. Tutto ciò mi ha spronato a fare una cosa che mi frullava in testa da diversi anni: scrivere un libro su quello che, mio malgrado, ha fatto parte della mia vita quotidiana per tutto questo tempo. Ed anche oltre.

    La disavventura che state per leggere è iniziata all’incirca nel 2003, quando trovai lavoro alla Coma, una ditta che gestiva impianti pubblicitari e di pubblica utilità. Questa ditta aveva diverse filiali sparse per l’Italia, ognuna indipendente dalle altre, ed una di quelle più grosse era situata proprio a Baruzzoli. Il principale della Coma era Lando, un uomo giovane, di bell’aspetto, sveglio ed intraprendente che aveva ottime idee ed una spiccata voglia di fare carriera. Lando gestiva la ditta insieme ai suoi due fratelli: in ordine gerarchico la prima era Gianna, la sorella maggiore della famiglia che era la responsabile degli operai. Gianna era molto diversa da lui: oltre ad essere l’unica donna della famiglia era anche l’unica che non era sposata. Non aveva la stessa cura maniacale per l’aspetto fisico che aveva Lando ed aveva un carattere più diretto e sanguigno, che la spingeva, tra l’altro, ad essere molto emotiva e a dire molte parolacce. Il terzo fratello era Vittorio, che non aveva un gran potere decisionale ma si limitava a svolgere la mansione di ragioniere ed amministratore. Anche lui era molto diverso dai suoi fratelli: teneva sempre un basso profilo, non alzava mai la voce, era sempre gentile e, a dispetto della sua giovanissima età, era una persona mite e paziente. Per Lando trovare gli operai adatti a quel tipo di lavoro non era stato facile: infatti, prima di trovare il quartetto perfetto passarono dalla Coma diverse persone, ma mai in pianta stabile.

    Io entrai a far parte della Coma nel 2003 con un contratto a tempo determinato che dopo un paio di anni si trasformò in un’assunzione definitiva. Il mio compito era installare gli stendardi: pezzi di stoffa lunghi all’incirca un metro che sicuramente qualcuno di voi avrà visto attaccati ai pali della luce sparsi per Baruzzoli e per buona parte della regione. Aziz, invece, era l’operaio che preparava i cartelli in magazzino: questa mansione era molto difficile poiché necessitava di particolare precisione e lui era l’unico in grado di poterla svolgere. Aziz era alto più di due metri, aveva origini africane ma viveva in Italia da più di trent’anni. Era una persona tranquilla e pacata che amava farsi gli affari suoi; insomma, quello che in gergo viene definito il classico gigante buono. Calogero, invece, quando sono entrato io, era lì da un paio di anni e guidava il camion con il quale la Coma svolgeva il grosso del lavoro. Calogero, che di cognome faceva Pallazzo, era un signore di una certa età e già all’epoca aspettava a gloria di andare in pensione. Aveva gli occhi da furbetto ed un ghigno perenne stampato in faccia. Ad essere sinceri, dopo pochi giorni mi fu impossibile non notare che questo signore aveva un modo di porsi, in particolar modo con la nostra responsabile, da autentico paraculo e verso di lui nutrii fin da subito una fastidiosa insofferenza. Tuttora non saprei spiegare perché... forse per quella sua vaga somiglianza con Gargamella, lo storico nemico dei Puffi. Comunque, dopo svariati cambi di operai, fu assunta la persona che avrebbe affiancato Calogero per i successivi tre anni: Gennaro, detto Gennarino, per gli amici, Rino. In sostanza la mansione di Rino era di fare da spalla al vecchio Calogero. Con il senno di poi, è incredibile pensare a come è iniziata questa telenovela. Infatti, a distanza di anni, mi sembra fantascienza pensare a Rino come il giovane apprendista del vecchio maestro. Mi fa anche ribrezzo ricordare il rapporto quasi morboso che avevano all’inizio, fatto di rispetto, complicità, stima ed amicizia. A causa di uno stupidissimo litigio queste cose si sono tramutate progressivamente in antipatia, odio e paranoia, sfociando in assurde manie di persecuzione ed allucinazioni varie che hanno forgiato quello che io ho definito Il Mostro. Ma facciamo un passo alla volta e vediamo come è cominciato tutto questo delirio.

    2# Due simpatici animaletti

    Il primo giorno che ho visto Rino naturalmente è stato in ditta: ci siamo presentati e Gianna, la mia responsabile, mi disse che era la persona che mi avrebbe sostituito. Io, infatti, dopo un primo periodo di apprendimento passato ad installare stendardi, ero stato spostato sul camion insieme a Calogero. Tutto questo perché l’operaio che installava gli stendardi, e col quale ero stato assunto contemporaneamente, aveva avuto dei problemi con la Coma e non gli fu rinnovato il contratto. Di conseguenza Lando decise di assumere un’altra persona da mettere al mio posto facendomi tornare a lavorare da solo. Quindi, il giorno seguente, quando rividi Rino, stavo parcheggiando la mia macchina nel parcheggio adiacente alla Coma. Vidi che mi seguì con lo sguardo e quando scesi dalla macchina mi squadrò da capo a piedi, poi mi venne incontro e mi chiese se quella macchina era veramente mia. Mi domandai subito il perché avrebbe dovuto pensare che fossi venuto a lavoro con una macchina non mia. Ad essere sinceri, pensai subito che potesse essere una persona un po’ fuori dagli schemi ma, né io né nessun altro, avremmo potuto capire, o anche solo intuire, quanto questo si sarebbe rivelato corretto. Lo avremmo imparato a nostre spese. Successivamente, pur vedendoci dieci minuti al giorno, iniziai a conoscerlo. Rino era un instancabile chiacchierone; passava continuamente da un argomento all’altro senza mai zittirsi e questo, unito al suo fluente accento campano, rendeva i suoi discorsi confusionari e al limite del comprensibile. A volte era un po’ troppo invadente per i miei gusti ma, tutto sommato, poteva anche essere definito come un uomo buffo e premuroso.

    Era arrivato a Baruzzoli perché aveva, come appoggio, un fratello, Caruso, titolare di un negozio casualmente situato molto vicino alla nostra ditta. Caruso aveva moglie ed una figlia che, loro malgrado, avrebbero recitato una parte fondamentale in questa vicenda. All’epoca vivevano vicino a viale della Grufola, particolare fondamentale per lo svolgimento di questa storia. Rino si era trasferito a Baruzzoli con Isotta, la sua fidanzata. Vivevano insieme, in affitto, nei pressi dell’ospedale. Quindi io, dopo il suo arrivo che avvenne solo un paio di mesi dopo il mio, tornai ad installare i miei amati stendardi. Ammetto che ne fui molto contento: innanzitutto era un lavoro meno faticoso, anche se forse più pericoloso. Inoltre, Calogero non mi stava molto simpatico e dopo qualche giornata passata insieme a lui, non potevo che confermare l’idea che mi ero fatto: mi sembrava un ruffiano ed un lavativo e faceva spesso qualche battutina di troppo. Inoltre avevo la sensazione che riuscisse a manipolare Gianna a seconda delle proprie esigenze. Nonostante questo all’epoca provavo nei suoi confronti solo un’antipatia come credo ce ne siano a milioni nei luoghi di lavoro.

    Comunque, all’incirca fino al 2005, la Coma sembrava un posto come tanti altri e alla fin dei conti non si stava male! Durante questi due anni, Calogero e Rino erano diventati molto, molto amici: sembrava quasi che vivessero in simbiosi, con l’unica differenza che Rino non stava mai zitto. Difatti, alla lunga, il suo continuo parlare aveva iniziato a scocciare un po’ tutti; non solo Aziz e me, ma anche chi lavorava in ufficio. E fu proprio qualcuno dell’ufficio a ribattezzarli Cip & Ciop. Il loro legame era talmente forte che una ragazza stampò addirittura sul loro cartellino questi soprannomi. A dire la verità, più che Cip & Ciop sembravano il gatto e la volpe; Calogero era la mente e Rino il braccio. Forti di questa loro amicizia non si facevano remore a fare battutine e scherzetti sia a me che ad Aziz: quando erano insieme erano veramente insopportabili e sembravano quasi i bulletti del quartiere. Ricordo una volta che stavo lavorando in via Segnini e mentre ero sulla scala vidi qualcuno entrare nel mio furgone, accenderlo e partire a tutto gas. Scesi di corsa, andandogli incontro; solo in quel momento vidi che era Rino che rideva a crepapelle. Dall’altra parte della strada c’era il suo caro Calogero che, a sua volta, rideva come un matto: Cip & Ciop mi avevano fatto uno scherzo. Che mattacchioni! Ricordo che gli dissi, tra il serio ed il faceto: «Certo che siete proprio una bella coppia, voi due! Una coppia di stronzi!»

    Comunque, i due scoiattolini staccavano alle 17, mentre noi alle 17.30. In quei pochi minuti che Rino stava lì con noi, riusciva a dare veramente sui nervi: faceva sempre le solite battute, era spesso invadente e voleva sapere quanti stendardi avessi messo e in quanto tempo. In pratica non si faceva mai i cazzi suoi, aveva sempre qualcosa di cui sparlare. Col tempo notai che, paradossalmente, l’unico modo per farlo stare zitto era fargli delle domande; nessuna in particolare, bastava fargliele ed andava in tilt. Cose del tipo: «Allora, in che zona eravate oggi? - Ma è stato difficile mettere quel cartello a Pistoia? - Ma quanto paghi di affitto? - Sai che ore sono? - Hai visto la partita ieri sera?» E così via. Ammetto che Aziz ed io, quando lo abbiamo scoperto, ci siamo fatti delle grasse risate! Facendogli una qualsiasi domanda lo mettevamo chiaramente in difficoltà e non era raro che, spiazzato da qualcosa che non si sarebbe aspettato, se ne andasse senza rispondere. E questo era l’unico modo per farlo stare zitto! Comunque, fu solo dopo il secondo anno che Rino iniziò, sempre più spesso, a lamentarsi del suo collega ed in effetti, la sensazione che Calogero facesse un po’ troppo il furbetto, soprattutto quando c’era da durare fatica, ce l’avevamo anche io, Aziz e Gianna.

    Ad esempio, una mattina vedemmo Rino che scaricava da solo dei grossi pali di ferro. Aziz ed io entrammo in magazzino e dentro c’era Calogero che ci disse che stava cercando dei perni. Al buio… Ci sembrò evidente che se ne stesse rintanato lì dentro per far durare fatica solo al suo apprendista. Insomma, scene come questa diventarono sempre più frequenti e Rino, dal canto suo, non mancava mai di lamentarsene sia con noi che con Gianna. Onestamente, tutti noi pensavamo che fosse anche fin troppo paziente: Calogero, che già agognava la pensione, non aveva certo voglia di arrivarci con la schiena rotta! Osservandoli, a volte, sembrava che Rino fosse diventato il galoppino di Calogero. Detto ciò, nonostante alcuni piccoli screzi del genere, i due scoiattolini erano diventati letteralmente inseparabili spingendosi ben oltre i loro doveri lavorativi: andavano a cena insieme con le rispettive compagne e ben presto Rino diventò il classico amico di famiglia, stringendo amicizia anche con Dylan e Brenda, rispettivamente figlio e cognata di Calogero. In seguito iniziò anche a frequentare, come amico, Elvira, sorella minore della moglie di Calogero che, addirittura, lo invitò al battesimo di un parente della famiglia Pallazzo. Oltretutto, Rino e Calogero si somigliavano anche fisicamente perché erano alti uguale, erano entrambi calvi (anche se all’epoca Calogero si ostinava a legarsi quei pochi capelli che aveva sopra le tempie in un’imbarazzante coda di cavallo), avevano entrambi l’accento del sud e si vestivano con gli stessi abiti da lavoro. Potevano tranquillamente essere scambiati per parenti, se non addirittura per cugini. Insomma, erano a tutti gli effetti una coppia di fatto!

    Di quel periodo ci furono solo un paio di episodi degni di nota: un giorno rientrando in ditta, mentre Rino parcheggiava il camion, arrivò una persona che li avvisò di aver urtato, poche centinaia di metri prima dell’incrocio, una vecchietta in bicicletta. A quel punto tornarono indietro e constatarono che c’era questa donnina per terra con una ferita sulla gamba. In seguito, sia loro che Gianna mi raccontarono che questa vecchietta era cascata da sola e in pratica stava cercando solo di estorcergli qualche soldo. Passarono pochi giorni, poi nessuno parlò più di quella vicenda. Poi, su per giù in quelle settimane, venni a conoscenza di un’altra storia, apparentemente irrilevante: Rino ed Isotta si erano lasciati, e pure in modo molto brusco. Calogero si arrabbiò parecchio con Rino, sia perché venne a sapere che l’aveva sbattuta fuori casa alle due di notte, sia perché nelle loro uscite a quattro, Isotta e Giuditta, la moglie di Calogero, erano diventate molto amiche. A quanto pareva questo fu motivo di molteplici discussioni fra di loro. E così, senza una data precisa e senza averne una chiara consapevolezza, tutti noi fummo inconsciamente testimoni della nascita del Mostro.

    3# Una dolorosa separazione

    Arrivammo così ad una fatidica mattina del luglio 2006: mentre io stavo preparando gli stendardi da installare quel giorno, sentii Calogero inveire contro Rino: «Cazzo che palle che fai alle 8 di mattina, e che coglioni! Accidenti a te, rompipalle!». Rino gli rispose qualcosa da dentro il camion; Calogero continuò ad offenderlo per qualche minuto prima di salire sul camion a sua volta. Li vidi andare via che stavano ancora discutendo. Non ci prestai particolarmente attenzione, ma un paio d’ore dopo, mentre ero a lavorare nella zona di Scopeti, mi chiamò Gianna sul cellulare: «Torna subito in ditta, oggi esci con Rino!» Quando rientrai mi spiegò che Cip & Ciop avevano litigato e che Calogero aveva piantato tutto e se ne era andato a casa, esasperato. Lavorai con Rino tutto il giorno e fu abbastanza imbarazzante per me, visto che da quanto rompeva i coglioni lo evitavo da settimane ed avevo quasi smesso di parlargli. Ma quel giorno Rino aveva di ché sfogarsi e si confidò con le lacrime agli occhi: «Calogero non ha più voglia di lavorare, lo vedete anche voi quello che mi fa passare! E poi su ogni errore va a parlare male di me da Gianna anche se è colpa sua! Sa che sto passando un brutto momento ma rompe il cazzo su ogni cosa! Non lo sopporto più! Piuttosto che tornare insieme a lui mi faccio licenziare! Gianna sa che ho ragione, ha capito che tipo è, quel lecca culo!» Raccontò le stesse cose anche a lei che si schierò immediatamente dalla sua parte: «Rino, lo so che Calogero è un paraculo e che non ha voglia di lavorare! Credi che anche Lando non se ne sia accorto?!» Ma Rino non la smetteva più: «Gianna, non sai che mi ha fatto passare! Ti prego, non mi rimettere con lui!» Lei cercava di tranquillizzarlo: «Rino, stai calmo! Intanto per qualche giorno non esci con lui e poi io e Lando guarderemo che provvedimenti prendere. Anche perché non va mica bene che uno vada via da lavoro in questo modo».

    Non appena salii sul camion Rino iniziò a raccontarmi tutta una serie di episodi riguardanti Calogero. Lo avrebbe fatto per i successivi dieci anni. Dopo quella mattinata Gianna decise di far calmare gli animi per un po’ e mi disse che io sarei rimasto con Rino fino alle ferie, che sarebbero iniziate un paio di settimane dopo. L’ultimo giorno di lavoro mi comunicò che momentaneamente sarei rimasto con Rino per un altro po’ di tempo. Lo avrei fatto per i successivi dodici anni. Infatti, di ritorno dalle ferie mi disse che pensavano di

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