Liberi di lavorare. Liberi dal bisogno: Le libertà positive e quelle negative
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Liberi di lavorare. Liberi dal bisogno - Alberto Cavicchi
DIGITALI
Intro
In un’epoca nella quale l’umanità - per molti versi - crede di aver raggiunto il massimo di libertà socio-politiche ci si accorge invece che per un numero ampio di persone le libertà fondamentali: la libertà di intraprendere (lavorare e fare impresa) e quella che libera dal bisogno (povertà ed esclusione sociale), sono ancora negate dalla mancanza di una reale riforma dello stato sociale. Di fronte a questo dato di fatto c’è da chiedersi quanto sia sostenibile lo stato sociale nato nei paesi avanzati nei primi decenni del secondo conflitto mondiale e fino a quando i maggiori paesi saranno in grado di sostenerlo. E qui si apre un conflitto finora non sanato: i sacrifici e i benefici dello stato sociale da chi devono essere usufruiti, da chi devono essere pagati e come.
A mio nipote Tommaso
e a Federica,
affinché la vita permetta loro
di essere liberi
nel cuore e nella mente.
L’essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere,
come si vuole scegliere e perché così si vuole,
senza costrizioni o intimidazioni,
senza che un sistema immenso ci inghiotta;
e nel diritto di resistere, di essere impopolare,
di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue.
La vera libertà è questa,
e senza di essa non c’è mai libertà, di nessun genere,
e nemmeno l’illusione di averla.
(Isaiah Berlin, Freedom and Its Betrayal)
SINOSSI
In un’epoca nella quale l’umanità - per molti versi - crede di aver raggiunto il massimo di libertà socio-politiche ci si accorge invece che per un numero ampio di persone le libertà fondamentali: la libertà di intraprendere (lavorare e fare impresa) e quella che libera dal bisogno (povertà ed esclusione sociale), sono ancora negate dalla mancanza di una reale riforma dello stato sociale.
Di fronte a questo dato di fatto c’è da chiedersi quanto sia sostenibile lo stato sociale nato nei paesi avanzati nei primi decenni del secondo conflitto mondiale e fino a quando i maggiori paesi saranno in grado di sostenerlo. E qui si apre un conflitto finora non sanato: i sacrifici e i benefici dello stato sociale da chi devono essere usufruiti, da chi devono essere pagati e come.
Rifacendoci a questi interrogativi ne sorge immediatamente uno di primaria importanza: il nostro regime pensionistico e le nuove forme previdenziali sono ancora sostenibili? A questa interrogazione non potremmo mai essere in grado di rispondere se non analizzassimo con cura il carattere e la dimensione del nostro mercato del lavoro. Dovremmo dunque concludere che lo stato sociale potrà essere sostenibile a condizione che cresca la produttività del lavoro incentivata dal calo delle regole che strozzano la crescita.
Dobbiamo comunque tenere a mente che la povertà non è solo economica ma anche sociale. Basti pensare alla decrescente tutela della salute causata dalla proliferazione della spesa. Ecco perché uno stato sociale moderno necessità di una anagrafe dei bisogni che sia piattaforma della lotta alle povertà e ridia efficienza, efficacia ed equità alla propria azione pubblica utilizzando con intelligenza il settore no-profit.
INTRODUZIONE. La libertà di intraprendere e la libertà di vivere dignitosamente
Stato sociale e stato assistenziale
Lo stato sociale si fonda sul dovere sociale di intervenire per ovviare a situazioni che - per cause sociali o naturali - non consentono ai cittadini di raggiungere un livello di vita dignitoso. Quando, invece, lo stato sociale viene utilizzato dai partiti come voto di scambio (raccolta del consenso necessario al raggiungimento e al mantenimento del potere politico, attraverso l’utilizzo sfacciato di interventi a pioggia) che esula da qualsiasi criterio di equità e giustizia sociale allora esso si trasforma in stato assistenziale.
Lo scambio politico tra spesa pubblica indifferenziata e ricerca del consenso elettorale è il pilastro che regge l’impalcatura di uno stato paternalistico e autoritario. In quanto dietro la mascheratura dello stato sociale prolificano quei fenomeni degenerativi che, essendo antitetici ad esso. ne vanificano di fatto le finalità istituzionali.
Ne deriva che lo stato sociale trasformato in stato assistenziale ha gravi ripercussioni sul senso di responsabilità delle persone in quanto:
- indebolisce l’iniziativa personale e dei gruppi, ne mortifica la creatività e l’inventiva e li abitua a far conto esclusivamente sullo stato anziché impegnarsi direttamente;
- mortifica il senso di responsabilità delle persone, non ne valorizza l’impegno individuale e di gruppo e, di conseguenza, trattando tutti allo stesso modo, vanifica la volontà d’impegno, la costanza e l’attaccamento al lavoro delle persone;
- è fonte di spreco e di disfunzionalità. In quanto i servizi che fornisce sono, al contempo, troppo costosi e gravemente insufficienti;
- contraddice completamente il principio di sussidiarietà perché ha la vocazione a sostituirsi ai corpi intermedi della società;
- si presta alla manipolazione della partitocrazia, in quanto l’erogazione pubblica dei sussidi e dei servizi è utilizzata dai partiti come grimaldello per confermare e accrescere il consenso elettorale;
- interviene nella sua veste burocratica (basata su una logica di massificazione e standardizzazione), che sottrae la fornitura dei servizi al volontariato, alla famiglia, alla sfera amicale. Strutture queste che, in contrapposizione con l’assistenzialismo. offrono vicinanza affettiva e sostegno morale alle persone (si pensi ai servizi sanitari e assistenziali).
Liberi di lavorare per essere liberi dal bisogno
Individuare nella libertà di lavorare la prima forma di emancipazione dal bisogno e dalla povertà significa che lo stato sociale, soprattutto nei confronti dei giovani, delle donne e di chi ha perso il lavoro, deve svolgere attività di inclusione, permettendo a tutti di decidere cosa intenda intraprendere e favorendo il raggiungimento di questo obiettivo,
Per essere effettivamente libere di lavorare, le persone hanno bisogno di accedere a un mercato del lavoro nel quale possano manifestare tutto il loro potere contrattuale (non legato solo all’appartenenza ad associazioni e sindacati) manifestato dalle loro reali professionalità, le quali siano in grado di trasformare la domanda di lavoro in offerta di lavoro. Passaggio fondamentale per far sì che il lavoratore esca dalla logica di contrapposizione al mercato per acquisire la veste di suo dell’utilizzatore.
A tal fine occorre che il lavoratore (imprenditore o dipendente) sia formato, tenendo conto delle rapidissime e continue evoluzioni dei processi produttivi e informato - tramite l’ausilio di strumenti rapidi e ficcanti che assomigliano in nulla a quelli del collocamento pubblico, nel quale regnano sovrani le lungaggini e le inefficienze sistemiche. È, invece, necessario che lo scambio tra domanda e offerta di lavoro sia reso più flessibile (ma non più precario) ed economicamente vantaggioso per imprese e lavoratori, abbassando - in primo luogo - il peso, sempre meno sostenibile, dei contributi sociali e burocratici.
Inoltre è opportuno ricordare che un ampliamento della libertà di intraprendere produce una conseguente estensione della base dei contribuenti alla quale lo stato deve attingere per procurarsi le risorse necessarie a finanziare le politiche sociali. In altri termini, quando la spesa sociale è in contrasto con il debito pubblico e non vi sono i margini per aumentare ulteriormente la pressione fiscale lo stato può adottare una delle seguenti tre soluzioni:
- effettuare tagli radicali sulla spesa pubblica di parte corrente, senza correre il rischio di creare problemi di giustizia ed equità che indeboliscano la tenuta sociale;
- alimentare l’indebitamento (spesa in deficit spending) che spinge in alto il costo degli interessi sul debito;
- ampliamento della base contributiva (aumento del reddito attraverso l’incremento delle nuove attività produttive).
Stato sociale, libertà di intraprendere e libertà dal bisogno
Una questione delicata riguarda l’equilibrio che lo stato deve trovare nella sua opera tesa a garantire tanto la libertà d’intraprendere quanto la libertà dal bisogno. Soprattutto, per interventi di solidarietà sociale, lo Stato deve saper coniugare la garanzia di stampo economico, che è espressione della libertà di intraprendere e di lavorare, con la garanzia della libertà dal bisogno, che richiede un’azione positiva dello stato, capace di ridurre, attraverso interventi finanziari e non, quelle situazioni di bisogno materiale che impedisce ai cittadini di raggiungere livelli di vita dignitosi.
Oltre a un punto di equilibrio che dia forma e sostanza alla giustizia sociale, esiste anche un principio di sostenibilità economica del sistema delle libertà che è altrettanto importante e strettamente collegato al precedente. Gli interventi atti a garantire ai cittadini la libertà dal bisogno hanno un costo elevato che si scarica sulle finanze dello stato il quale, se non ne è in possesso, non può far altro che accrescere l’indebitamento pubblico, il quale si scarica sulle generazioni future, chiamate a pagare i debiti dei genitori.
Tuttavia, è sempre presente il rischio che se quanto richiesto allo stato, in termini di finanziamento degli interventi sociali (a favore della libertà dal bisogno) comprometta la possibilità di intraprendere iniziative economiche (la libertà d’intraprendere e lavorare), in quanto scarica su di esse i costi, attraverso un prelievo fiscale sempre più gravoso. A questo punto, l’equilibrio equilibrio salta e la libertà dal bisogno viene finanziata attraverso il debito pubblico, accentuando il disequilibrio generazionale.
La sussidiarietà e l’organizzazione dello stato sociale
Il principio fondamentale di sussidiarietà applicato allo stato sociale rileva che la risposta al bisogno è tanto più efficace e controllabile quanto è più prossima al nascere stesso del bisogno. Questo principio è coniugabile in tre diverse manifestazioni:
- sussidiarietà verticale;
- sussidiarietà orizzontale;
- sussidiarietà di libera scelta.
Vediamole