Volevo essere Bogart
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Un terribile incidente sul set gli ha sfigurato il volto e da quel giorno è costretto a combattere contro demoni interiori che non gli concedono un attimo di tregua. Inquietanti visioni lo perseguitano. Mentre è vittima di questo calvario psicologico, si prepara ad interpretare il ruolo che fu di Humphrey Bogart nel remake del film IN A LONELY PLACE (1950), uno dei capolavori del regista Nicholas Ray. William studia la sua parte con una dedizione maniacale che lo porterà a vivere il confronto con il mitico attore del passato come una vera e propria ossessione...
Una storia nella storia, densa di suspense, romanticismo e poesia, che omaggia la stagione d’oro del Noir e un’icona indimenticabile del cinema americano come appunto “Bogie”. Nel suo romanzo d’esordio, Diego Mondella si misura con un genere classico come quello della Hollywood novel, offrendone però una rivisitazione assolutamente personale.
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Book preview
Volevo essere Bogart - Diego Mondella
DIEGO MONDELLA
VOLEVO ESSERE BOGART
Proprietà letteraria riservata
© by Pellegrini Editore – Cosenza – Italy
Stampato in Italia nel mese di aprile 2019 per conto di Pellegrini Editore
Via Camposano, 41 (ex via De Rada) – 87100 Cosenza
Tel. (0984) 795065 – Fax (0984) 792672
Sito internet: www.pellegrinieditore.it
E-mail: info@pellegrinieditore.it
I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
A mio Padre.
È stato un onore, un privilegio
e un immenso dono del Cielo
poter vivere sulle spalle di un gigante.
Grazie Papà.
Chi non è rimasto per sempre prigioniero?
Chi non è per sempre solo e straniero?
T. Wolfe
...mentre andai
venne sera
veli di nubi
avvolsero la luce
poi il nulla gettò ombra
su Tutto.
P. Klee
Colui che Iddio vuole distruggere,
dapprima rende folle.
Euripide
E con la testa appesantita,
Accecati da un solo raggio,
Di nuovo ricadiamo non nella pace
Ma in sogni tormentosi.
F. Tjutčev
Il film è una donna
Solo che un bel giorno se n’è andata.
N. Ray
NOTA PER IL LETTORE
I nomi dei personaggi e dei titoli delle opere cinematografiche o televisive ad essi collegati sono di pura fantasia, fatta eccezione per il film In a Lonely Place di Nicholas Ray.
Che fine ha fatto William Profeta?
«Quello che non ti uccide ti rende più stronzo. Quello che non ti uccide, ma che uccide una parte importante di te, ti rende un mostro». Con queste parole, incise in rosso sul cuscino, William Profeta si dilegua nel nulla dopo 18 mesi passati in una camera d’ospedale. Qualcuno dice che era diventato uno schizzato come Brian Wilson dei Beach Boys, il geniaccio del pop affetto da disturbi mentali che trascorse quasi tre anni della sua vita a letto in stato catatonico. Qualcun altro, secondo un’interpretazione più mistica, dice che è stato portato via da Dio in modo da non vedere la morte. Proprio come Enoch, che un bel giorno non lo si trovo più. Rapito dal cielo... Se fosse vissuto ai tempi del suo amico
Bogie avrebbero potuto insinuare che a prelevarlo dalla sua stanza fossero stati gli alieni. Nessuno dei medici del Caliban Hospital può credere che il paziente della 102 se ne sia potuto andare di sua spontanea volontà e soprattutto con le proprie gambe. È come se fosse evaporato attraverso i muri.
Il dottor Escobedo, che ha avuto in cura Will per l’intero periodo di degenza, è stato il primo a lanciare l’allarme della sua scomparsa, alle 8.51 di venerdì 23 luglio. Eppure, qualcun altro prima di lui si era accorto che il letto di Will era vuoto. Sua madre. L’ultima ad averlo visto, la sera prima. Si ricorda ancora che suo figlio le aveva chiesto di mettersi il rossetto cremisi proprio davanti a lui, e lei si era meravigliata di quella richiesta così insolita, tanto più che le rispose: «Ma Will, cosa mi fai fare? Ricordati che siamo in un ospedale, mica all’anteprima di un tuo film!». E poi lunghissimi ed interminabili minuti fermo ad osservarla, a fissarla negli occhi, come se avesse voluto immortalare per sempre la sua immagine. Uno scatto da portare via con sé. Dopo aver salutato Will e aver lasciato come ogni sera l’ospedale alle 21 (orario dell’ultima sessione di visite riservato ai parenti dei ricoverati), la madre era tornata indietro per recuperare la sua borsa, distrattamente dimenticata nella stanza. Erano bastati pochi minuti però e Will aveva già preso il volo. Proprio come qualcuno di quei suoi dannati angeli che lo tormentavano. Forse l’angelo burattinaio. Il sadico manipolatore degli altrui destini.
Nella stanza, avvolta nella penombra da un surreale silenzio, risuonavano soltanto le note della radio, rimasta accesa come ogni notte per fare compagnia a Will. Forse, mentre se ne andava alla deriva, stava ascoltando proprio la sua canzone preferita. Dopo i primi mesi passati ininterrottamente sui social per tranquillizzare i suoi fans e, soprattutto, per mettere a tacere le malevole insinuazioni sul futuro della sua carriera, aveva abbandonato il suo laptop e riscoperto il fascino della buona e vecchia musica d’atmosfera. Niente sapeva calmare le sue crisi quotidiane come le voci dei grandi crooner americani. Sua madre, che aveva assecondato questo suo desiderio, così come quello di avere nella stanza d’ospedale una vera e propria videoteca di film noir (rigorosamente anni ’40), si accorse di essere arrivata troppo tardi.
Ora capiva il perché di quel rossetto, lo stesso con cui Will aveva firmato il suo straziante addio
al mondo. Ora capiva quei lunghi attimi in cui faceva fatica a sostenere lo sguardo impietrito di suo figlio, e ne era quasi soggiogata. E non era la scena di un film, in quel momento Will non stava recitando. Quella faccia, o almeno ciò che ne rimaneva dopo i numerosi interventi chirurgici subìti a seguito dell’incidente sul set, malgrado fosse ridotta ad una maschera, era pur sempre la faccia di suo figlio. E lei, che meglio di chiunque altra ne aveva saputo sempre interpretare gli umori e le pulsioni, con istintiva sollecitudine, quella sera aveva fallito.
Non avvisò né i medici del turno di notte, né la sicurezza. Qualcuno disse addirittura che aveva coperto volontariamente la fuga del figlio, forse per mettere fine definitivamente alle sue sofferenze («Uno zombie sopravvissuto a se stesso» - titolò il giorno dopo un quotidiano locale). E che rifiutò di denunciare la scomparsa alla polizia al fine di evitare uno scandalo. Oppure l’esatto contrario, per il puro gusto del parossismo: una macabra trovata di marketing? Finge di essere morto per vendere di più, come il personaggio del pittore in L’amico americano di Wim Wenders. Ha simulato il più splendido suicidio che si possa immaginare? O perché no, un falso rapimento, una di quelle belle montature pubblicitarie per riabilitare carriere in declino. Che cosa non farebbero gli attori per attirare l’attenzione... C’è addirittura chi ha usato
la tragica morte del proprio figlioletto investito da un auto per farsi commiserare e sperare così in un nuovo ingaggio... «Poche cose sono più tristi di quelle davvero mostruose» – diceva giustamente Nathanael West.
Sta di fatto che tabloid ed haters della rete non vedevano l’ora di crocifiggere il Wonder Boy di Hollywood, William Profeta. E finanche la madre era già sul banco degli imputati. In un immaginario processo mediatico dove il passatempo preferito è rimestare nelle acque torbide del pettegolezzo. E la maldicenza si fa autorità equivoca e spregevole. Veniva messa in discussione la sua dignità. Ma in realtà questa era salva. La donna non si era nemmeno lontanamente sognata di distruggere il messaggio d’addio di Will, come invece aveva fatto la madre dello scrittore John Kennedy Toole dopo il suicidio del figlio trentunenne.
La signora Profeta rimase sdraiata sul letto di Will con le orecchie tappate ed il viso segnato da una silente disperazione. Qualcosa le rimbombava dentro la testa, un sibilo terebrante le squarciava il cervello. Le sembrava di risentire quel grido incessante di Will appena dopo l’incidente: «Rivoglio la mia faccia!!!». Intanto, in sottofondo scorrevano le note di Five minutes more di Frank Sinatra. Che cosa avrebbe fatto per averlo ancora cinque minuti tutto per sé... Se fosse ritornata soltanto cinque minuti prima a riprendere la borsa...
«Give me five minutes more, only five minutes more/
Let me stay, let me stay in your arms/
Here am I, begging for only five minutes more/
Only five minutes more of your charms/
All week long I dreamed about our Saturday date/
Don’t you know that Sunday morning you can sleep late?/
Give me five minutes more, only five minutes more/
Let me stay, let me stay in your arms».
L’idolo delle folle(wers)
«He looked interesting. I like his face» – dice Gloria Grahame al capitano