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Venezia, il Portogallo e le spezie
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Nel Trecento e Quattrocento, in concomitanza con una crescita generalizzata degli scambi a livello europeo, la Repubblica di Venezia si impose come uno dei mercati di intermediazione più attrezzati fra l'Europa e le coste Mediterraneo. Nell'agosto del 1499 giunse a Rialto, il centro pulsante dell'economia veneziana, la notizia dell'arrivo di una flotta portoghese in India che rischiò di compromettere in modo significativo l'intensissimo flusso di merci tra la Serenissima e l'Oriente attraverso le "vie delle spezie", vie che collegavano l'Oriente, attraverso i punti di smistamento dell'India e dell'Arabia meridionale e consentivano che arrivassero nei territori europei i pregiati prodotti orientali.

La Signoria veneziana, attraverso abili azioni politiche e diplomatiche, riuscì ad imporre su queste vie il proprio predominio facendo del suo porto il perno dei traffici da e per l'Europa. Per l'economia veneziana si prospettò un futuro negativo; infatti, sotto lo stimolo di Enrico il Navigatore, infante del Portogallo, si aprì una nuova via per raggiungere le Indie Orientali attraverso la circumnavigazione dell'Africa attraverso sud, aggirando in tal modo la via di rifornimento "classica" attraverso il Mediterraneo e la penisola araba. In nessun'altra occasione Venezia vide il profilarsi di un grave ridimensionamento dei propri traffici. Il mescolarsi di eventi che si succedettero nel XV° e XVI° portarono la Serenissima vicino ad una crisi di proporzioni enormi per la sua fiorente economia; fattori politici, economici, diplomatici e militari sono importanti per valutare la rivalità insorta tra Venezia e il Portogallo, avendo quest'ultimo posto una seria minaccia sul consolidamento e sullo sviluppo commerciale veneziano.

L'urto iniziale dell'affacciarsi sulla scena internazionale del Portogallo fu per certi versi disorientante, ma non certo devastante. Le spedizioni portoghesi in un primo momento crebbero, ma non in modo da pregiudicare la forza commerciale veneziana sui mercati orientali e di conseguenza europei; infatti, verso la metà del Cinquecento, fu in grado di riconquistare buona parte del commercio delle spezie e, parallelamente, ci fu una diminuzione consistente nei viaggi portoghesi. I resoconti degli ambasciatori e dei diari di storici veneziani sono un utile strumento per esaminare come Venezia reagì politicamente, economicamente e militarmente, anche attraverso il confronto dei metodi di colonizzazione dei due Stati antagonisti e dell'intrecciarsi degli eventi politici nell'Europa del '500.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 16, 2019
ISBN9788831615952
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    Molto completo e ricco di spunti interessanti, essenziali per una valutazione oggettiva. Offre una visione del periodo storico poco sfruttata, ma essenziale per osservare quanto i meccanismi economico-commerciali ereditati dal Medioevo potessero resistere, adattarsi ed influenzare a loro volta lo sviluppo delle nuove rotte rinascimentali. Completa il tutto una piccola, ma pregevole bibliografia che invoglia l'appassionato ad ampliare lo studio di un periodo troppo velocemente etichettato dalla storiografia passata con imbarazzanti semplificazioni.

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Venezia, il Portogallo e le spezie - Mirko Zangirolami

633/1941.

PREFAZIONE

Il presente volume è tratto dalla Tesi di Laurea in Storia Economica, avente lo stesso titolo e autore, discussa presso la Facoltà di Economia e Commercio – Università di Bologna.

Esso è stato depurato della terminologia tecnica rendendo il testo di agevole lettura e di facile comprensione. Una menzione particolare vada al Prof. Salvatore Saccone di Modena.

Il ricavato della vendita sarà interamente devoluto alla FONDAZIONE CITTA' DELLA SPERANZA ONLUS – PADOVA che si occupa della cura, ricerca scientifica in ambito pediatrico e assistenza dei bambini con patologie oncoematologiche.

INTRODUZIONE

Nel Trecento e Quattrocento, in concomitanza con una crescita generalizzata degli scambi a livello europeo, la Repubblica di Venezia si impose come uno dei mercati di intermediazione più attrezzati fra l’Europa e le coste Mediterraneo. Nell’agosto del 1499 giunse a Rialto, il centro pulsante dell’economia veneziana, la notizia dell’arrivo di una flotta portoghese in India che rischiò di compromettere in modo significativo l’intensissimo flusso di merci tra la Serenissima e l’Oriente attraverso le vie delle spezie, vie che collegavano l’Oriente, attraverso i punti di smistamento dell’India e dell’Arabia meridionale e consentivano che arrivassero nei territori europei i pregiati prodotti orientali.

La Signoria veneziana, attraverso abili azioni politiche e diplomatiche, riuscì ad imporre su queste vie il proprio predominio facendo del suo porto il perno dei traffici da e per l’Europa. Per l’economia veneziana si prospettò un futuro negativo; infatti, sotto lo stimolo di Enrico il Navigatore, infante del Portogallo, si aprì una nuova via per raggiungere le Indie Orientali attraverso la circumnavigazione dell’Africa attraverso sud, aggirando in tal modo la via di rifornimento classica attraverso il Mediterraneo e la penisola araba. In nessun’altra occasione Venezia vide il profilarsi di un grave ridimensionamento dei propri traffici. Il mescolarsi di eventi che si succedettero nel XV° e XVI° portarono la Serenissima vicino ad una crisi di proporzioni enormi per la sua fiorente economia; fattori politici, economici, diplomatici e militari sono importanti per valutare la rivalità insorta tra Venezia e il Portogallo, avendo quest’ultimo posto una seria minaccia sul consolidamento e sullo sviluppo commerciale veneziano.

L’urto iniziale dell’affacciarsi sulla scena internazionale del Portogallo fu per certi versi disorientante, ma non certo devastante. Le spedizioni portoghesi in un primo momento crebbero, ma non in modo da pregiudicare la forza commerciale veneziana sui mercati orientali e di conseguenza europei; infatti, verso la metà del Cinquecento, fu in grado di riconquistare buona parte del commercio delle spezie e, parallelamente, ci fu una diminuzione consistente nei viaggi portoghesi. I resoconti degli ambasciatori e dei diari di storici veneziani sono un utile strumento per esaminare come Venezia reagì politicamente, economicamente e militarmente, anche attraverso il confronto dei metodi di colonizzazione dei due Stati antagonisti e dell’intrecciarsi degli eventi politici nell’Europa del ‘500.

CAPITOLO I

VENEZIA E IL COMMERCIO DELLE SPEZIE

1.1 Le vie commerciali delle spezie prima delle grandi scoperte geografiche.

Per esaminare in che modo i traffici di Venezia risentirono degli effetti delle scoperte geografiche Portoghesi, è utile capire come essi si svilupparono fino al XV° secolo, in particolar modo in relazione alle spezie¹. La prima apparizione del pepe, una delle spezie di maggior pregio, in documenti storici veneziani, risale addirittura all’853 nel testamento del vescovo Orso di Olivolo², la cattedrale di Venezia; gli accenni alle merci che formano oggetto del commercio nel Levante sono rari e meno espliciti del richiamo alle località. Spesso infatti i documenti dichiaravano che lo scopo del contratto è l’esercizio del commercio con una determinata piazza. Fra le merci importate appariva con maggiore frequenza il pepe caricato in abbondanza a Alessandria: nell’ottobre 1174 un mercante veneziano, Pietro Ziani, anticipò ad un altro mercante di nome Romano Mairano, 1.000 lire veronesi che questi porta a Alessandria, impegnandosi a consegnarli 25 carichi (10.000 libbre veneziane) di pepe; ancora lo stesso Romano Mairano si impegnò nel dicembre 1185 a consegnare a Pietro Corner 24 centinaia di libbre di pepe e come pegno consegnò la metà della sua nave³.

L’importanza e il peso che aveva il traffico con il Levante per l’economia veneziana si rende evidente notando che più di nove decimi di essa si svolgeva in Levante, da Costantinopoli, che contava secondo stime non meno di diecimila veneziani, fino all’Egitto, da Giaffa alle coste del Mar Rosso⁴. La totalità non fu rappresentata dalle spezie, altresì si commerciavano una miriade di altri prodotti, ma la voce di maggior peso era rappresentata da esse, prodotti caratterizzati dal volume poco elevato e di alto valore. Le carovane arabe trasportavano dall’Oriente i preziosi carichi di pepe e di altre spezie che le galee veneziane imbarcavano a Giaffa e a Tana prima, ad Aleppo, a Damasco e ad Alessandria, poi. Come affermò Fernand Braudel⁵, alla fine del Quattrocento Venezia è il punto fondamentale, il centro dell’economia – mondo, dei commerci da e per il Levante, da e per la Valle del Reno. Lungo l’asse nord – sud essa riforniva i paesi del Nord Europa di spezie ed il vicino Oriente di legnami e prodotti manifatturieri⁶.

I veneziani con ostinazione e immutata tenacia coltivarono in Oriente il loro sogno egemonico; impadronitisi con la loro ricchezza e con le loro navi dei ricchi mercati del Levante, ampliata la propria autorità alle città di terra ferma, essi consolidarono il loro ruolo di mediatori fra il mondo cristiano e quello mussulmano. Grazie alle loro galee da mercato ed a una politica economica tutta tesa alla gelosa conservazione dei monopoli acquisiti, Venezia, alla fine del Quattrocento, domina il mercato europeo delle droghe con una quota pari al 45% delle spezie e al 60–70 % del pepe. In considerazione dell’efficacia del sistema messo in atto dai veneziani, Fernand Braudel (1981- 82) scrisse che è difficile dubitare del fatto che si tratti di una politica che Venezia pratica coscientemente, in quanto essa la impone a tutte le città che le sono più o meno sottomesse. Tutti i traffici che provengono dalla terra ferma o vi sfociano, tutte le esportazioni delle isole del Levante o delle città dell’Adriatico devono obbligatoriamente passare attraverso il porto veneziano. Dunque Venezia ha scientemente messo in trappola a proprio vantaggio, le economie soggette, compresa quella tedesca; e se ne è nutrita, impedendo ad esse di operare a loro modo e secondo la loro logica..

La conquista veneziana dei mercati orientali fu circoscritta nell’ambito economico costiero, non interessando alla Serenissima inoltrarsi nell’entroterra sprecando inutili risorse umane, economiche e militari; fu infatti di importanza vitale avere la propria presenza nei porti, nei punti di passaggio dove poter intrattenere le proprie relazioni economiche coi mercanti del Levante. I veneziani mirarono in primo luogo alla potenza marittima, non ai possedimenti territoriali da cui ricavare tributi. Le loro guerre ebbero lo scopo di giungere a soluzioni politiche svantaggiose per le potenze rivali, che rendessero sicuri i tradizionali commerci di Venezia nelle acque del Levante e di non occuparsi del possesso di territori all’interno della costa, ma di quello dei mari utili commercialmente.

L’avamposto più importante fu Costantinopoli dove ai veneziani furono assegnati i 3/8 della città fra cui la zona dell’Arsenale e delle banchine portuali; qui la colonia veneziana fu numerosa a testimonianza del peso relativo che ebbe questa città nel commercio con l’Oriente. Anche l’isola di Creta fu notevolmente importante, situata nel punto di sbocco della rotta diretta dallo Ionio all’Egitto e alla Siria⁸. Nelle altre più importanti piazze mercantili orientali, dove vi fu il transito delle spezie, Venezia possedette quasi sempre un proprio quartiere con la propria chiesa, il loro bagno, il loro forno. Addirittura Venezia ottenne dai Crociati in ogni città del regno e dei vassalli un quartiere con chiesa, mulino, frantoio, forno, servizio di pesi e misure, esenzione di dazi e imposte di soggiorno e il privilegio di giurisdizione, il che significò che i tribunali veneziani sarebbero stati i soli competenti nelle cause in cui un veneziano fosse stato convenuto ⁹. Altre fonti rivelano la presenza nelle colonie veneziane di Siria e Palestina di banchine esclusive dove fossero possibili le operazioni di carico e scarico delle merci ¹⁰.

Ad Alessandria, principale sbocco occidentale dall’imbuto del Mar Rosso, i Veneziani si trovarono in una posizione predominante fra i compratori occidentali di spezie e si dotarono di due grandi palazzi – magazzini, considerati anche all’epoca fra i più belli edifici della città; grazie agli ottimi rapporti di natura commerciale, Venezia fu la prima nazione alla quale venne concesso tenere un fondaco¹¹, insediare nella città un proprio console nel quadro generale di una politica pacifica tra i due stati. Vi fu inoltre un complesso di edifici cinti da mura intorno ad un cortile centrale usato per l‘imballaggio e il carico delle merci e circondati da piacevoli giardini. All’interno i mercanti possedettero depositi e botteghe al pian terreno, le abitazioni al piano superiore ed un forno proprio. All’interno del cortile si trovavano degli animali, fra cui un maiale, che, a detta di un pellegrino turista, i Veneziani tenevano per scandalizzare i mussulmani. Come gli altri cristiani, ai Veneziani era fatto divieto di uscire dal loro recinto durante le ore di preghiera del venerdì¹².

Al comando della comunità Venezia inviava funzionari che presero nomi diversi a seconda dei luoghi di residenza; ad Alessandria e Beirut vi fu il console, a Costantinopoli il console, che faceva anche le funzioni di ambasciatore, che prese il nome di bailo, termine che significava protettore, tutore. I compiti principali furono quelli di tenere i rapporti politico - diplomatici con lo stato ospitante; contrasti politici, interessi economici divergenti, stile di vita, mentalità e religione differente provocarono gravi contrapposizioni ed in conseguenza di ciò spettò al console o al bailo mantenere questo fragile equilibrio ¹³.

L’abilità militare, commerciale e diplomatica permise loro di acquisire privilegi di non poco conto per l’esercizio delle proprie attività. Anche con gli infedeli Venezia seppe stringere accordi di difficile attuazione in particolar modo col Sultano d’Egitto, colui che ebbe il controllo dei porti di maggior transito dall’Oriente per le piazze di Alessandria e di Tiro. Ogni grande famiglia di mercanti, di capitani di nave o armatori aveva qui la propria filiale e si riconoscono tra essi nomi storici o destinati a diventarlo: Morosini, Orseolo, Badoer, Foscari, Contarini¹⁴. Dai ricchi mercati dell’India una quantità rilevante di quei prodotti fu destinata ai paesi mediterranei ed in generale all’Europa. Le correnti principali di quel traffico furono essenzialmente due: la prima, la più importante, più marittima che terrestre, ebbe per meta il Mediterraneo; l’altra esclusivamente terrestre, raggiunse il Caspio e l’Europa Orientale. Il trasporto dall’India al Mediterraneo era sotto il controllo esclusivo degli Arabi, che lo effettuavano parte per mare e parte per terra. Le due vie usate furono quelle del Golfo Persico e del Mar Rosso; dal Golfo Persico le carovane risalivano l’Eufrate fino a Bagdad e attraverso il deserto raggiungevano i grandi mercati di Damasco e di Aleppo, spingendosi talvolta, ma più raramente, fino ai porti di Beirut e Giaffa; oppure risalito tutto il corso dell’Eufrate, attraverso l’Armenia raggiungevano Trebisonda o altri porti meridionali del Mar Nero.

Per la via del Mar Rosso, che diventa nel secolo XV° la via preferita, le navi arabe, toccato Aden, approdavano ad Aidab sulla costa egiziana, da dove le carovane portavano poi le merci sul Nilo, e discendevano ad Alessandria; seguivano in alternativa la costa dell’Arabia fino a Gedda e poi per via terra raggiungevano la Mecca e la Palestina¹⁵. Nel commercio delle spezie, i Veneziani avevano un ruolo di prim’ordine, riuscendo a far diventare il loro porto il principale punto di passaggio delle merci fra Oriente e Occidente. Essi si limitavano a frequentare i porti dell’Egitto, della Siria, del Mar Nero e tutt’al più si spingevano fino ai mercati interni più vicini alla costa, e di là trasportavano i prodotti del Levante, dell’Oceano Indiano e dell’Estremo Oriente fino alla loro città, per la quale quei prodotti costituivano il più efficace mezzo per attirare i mercanti delle regioni interne d’Europa e assicurare ad esse in modo particolare, fra il XII° e il XV° secolo, la posizione di massimo mercato europeo¹⁶. Organizzare un dominio assoluto nell’intero Mediterraneo, ossia negare l’uso delle sue acque ai nemici giurati come Genova e renderne la navigazione sicura per le proprie navi era un’impresa impraticabile; né Venezia, né alcuno dei suoi rivali era in grado di cacciare i propri nemici dal mare, mancando innanzitutto i mezzi tecnici per istituire blocchi efficienti e contrastare in modo determinante le rispettive zone d’influenza. In tali condizioni il dominio da mar, a cui i veneziani potevano aspirare, consisteva essenzialmente nella capacità di proteggere i propri convogli mercantili e di inviare aiuti alle colonie. Dato che a Venezia premeva il controllo delle proprie basi navali dove poter organizzare i convogli, il dominio da mar si restringeva a caratteristiche di tipo commerciale¹⁷. I transiti commerciali del porto veneziano crescevano e diventavano sempre più importanti per lo scambio biunivoco tra l’Occidente e il Levante. Questo traffico fra Oriente e Occidente si sviluppò enormemente in concomitanza con la crescita economica dell’Europa occidentale; infatti, l’Occidente esercitava una forte domanda di spezie, mentre il Levante domandava prodotti di vario tipo come tessuti, legname, metalli e questo permetteva di effettuare scambi anche in situazioni di scarsa liquidità, di merce contro merce. I viaggi marittimi veneziani erano organizzati stagionalmente e coloro che partivano nello stesso periodo facevano il viaggio uniti in convogli che venivano detti carovane. Nel Duecento queste carovane consistevano in 10 - 20 navi piuttosto piccole che partivano in primavera e tornavano in autunno; altre partivano in agosto, svernavano Oltremare e tornavano in primavera. Le date del viaggio erano regolate per legge; le mude¹⁸ dovevano essere fuori in mare per il 15 di agosto e non tornare fino a Pasqua seguente o anche a maggio, non perché il viaggio richiedesse tanto tempo, ma perché si volevano evitare le tempeste invernali e perché i mercanti avevano bisogno di una lunga sosta all’arrivo per vendere le merci e trovare carichi per il ritorno¹⁹. Uno dei punti di arrivo della flotta era Costantinopoli dove si raccoglievano le spezie, e le altre merci, provenienti dal Mar Nero e dall’Oriente. Un’altra corrente di traffico era quella con la zona della Palestina; anche per questo viaggio c’erano carovane di primavera ed autunno. Le rotte dirette in Romania e la zona dell’Oltremare divergevano soltanto dopo che esse avevano doppiato le punte più meridionali della penisola greca, zone difficili da superare a causa dei venti contrari. Quindi la carovana diretta Oltremare proseguiva per Candia, la capitale cretese. Creta dunque era un altro punto d’appoggio, come base intermedia per Venezia, trovandosi in mezzo alla zona di transito delle navi veneziane da e per il Levante; proseguendo quindi verso oriente, le flotte mercantili sostavano a Rodi e a Cipro, ma il punto d’arrivo era Acri, zona di conquista crociata. In effetti Acri fu il porto crociato che ebbe uno sviluppo commerciale più rigoglioso; era il punto di raccolta dei convogli e il punto di incontro delle rotte commerciali che attingevano le ricchezze dell’Asia e delle isole delle spezie²⁰. Alcuni dei prodotti richiesti in Occidente provenivano dal Levante, altri dall’Estremo Oriente; droghe e spezie venivano portate da mercanti indiani fino al Mar Rosso, attraverso il quale era possibile raggiungere il Mediterraneo dall’Oceano Indiano quasi direttamente per via acqua. Ma per mercanzie che avevano un valore cosi alto per peso, la scelta del percorso era determinata meno dai noli che dai dazi e meno dai costi di trasporto che dai costi di protezione. Infatti c’erano buoni motivi affinché le spezie che giungevano nel Mar Rosso e dall’India sostassero a Gedda, il porto della Mecca; da qui la via delle spezie si biforcava; parte della merce proseguiva dalla Mecca a dorso di cammello e a bordo di queste carovane procedeva via Medina lungo la vecchia strada carovaniera che, diretta a nord, portava a Damasco, a oriente del Giordano, attraverso il deserto. Da Damasco poi bastavano tre o quattro giorni per raggiungere uno dei vari porti mediterranei, fra i quali il più importante, era Acri. Un’altra via delle spezie raggiungeva Acri dalla parte opposta, cioè dall’Egitto. Qui i percorsi erano due; quello più agevole risaliva il Mar Rosso, da Gedda fino a Suez, e di qui lungo il Nilo arrivava al Cairo; l’altro, più usato perché controllato più saldamente dal Sultano egiziano, prendeva terra, raggiungeva il Nilo e discendeva lungo il fiume da un punto subito a valle della prima cateratta. In tutti e due i casi, queste rotte egiziane passavano per il Cairo proseguendo per i porti del delta del Nilo, il cui principale era Alessandria²¹. Alessandria era certamente un porto dall’importanza economica enorme, ma aveva alcuni svantaggi; durante l’estate i venti soffiavano da nord – ovest, sicché erano favorevoli a chi giungeva ad Alessandria da tale direzione; ma per ripartire verso ovest era impossibile per le navi tonde munite di sole vele e difficile anche per le navi dotate di remi²². Inoltre esisteva il rischio di tempeste e le nubi rendevano più pericolosa la navigazione. I mercantili che lasciavano Alessandria diretti ad ovest cominciavano col far rotta verso nord – est o nord – nord – est; facevano quindi scalo a Cipro o in Siria prima di trovare venti che li portassero a ovest. Date le condizioni della marineria del tempo, un mercantile veneziano che da Alessandria fosse diretto a Venezia non andava dunque realmente fuori tragitto se raggiungeva Acri per unirsi a un convoglio. Anche ad Acri i veneziani avevano un loro quartiere, una loro comunità; c’era la chiesa, il consolato o centro amministrativo, il fondaco, un loro forno, lo stabilimento per i bagni. Inoltre c’erano palazzi o case private grandi abbastanza per ospitare non solo una famiglia di mercanti, ma anche per dare alloggio a nativi della Palestina o della Siria; ancora i veneziani erano in possesso di molte proprietà terriere avute in seguito all’aiuto, concesso ai Crociati per la presa della città, dal doge Domenico Michiel. La maggior parte dei traffici grazie ai quali si aveva ad Acri questo concentramento di merci erano in mano dei levantini, dato che pochi veneziani si inoltravano nell’entroterra fino a Damasco ²³. Nella ricerca di merci orientali con cui soddisfare i loro clienti dell’Europa occidentale Venezia trovava opportunità particolarmente favorevoli sulle rive del Mar Nero. L’importanza commerciale si sviluppava sulla via terrestre che attraverso la Persia e la zona a nord dell’India. Lo sbocco sull’estremità orientale del Mar Nero che rivestiva maggior importanza era Trebisonda. Qui le spezie tanto ricercate trovavano in essa la possibilità alternativa di raggiungere il Mediterraneo quando le vie che passavano per il Mar Rosso erano chiuse. Aggirare il territorio musulmano diventò cruciale quando i rapporti tra i Veneziani e il Sultano non erano idilliaci, oppure in occasione dei molteplici divieti fatti dal Papa di intrattenere commerci con le zone islamiche ²⁴.

1.1.1 I convogli, la loro protezione e il calendario della navigazione

Il commercio con l’Oriente fu possibile e, soprattutto aumentò di volume, anche grazie all’innovazione tecnica nautica e in generale della navigazione. Gli istituti marittimi e commerciali veneziani subirono grossi cambiamenti nel corso del XIV°, XV° e XVI° secolo, sia nell’arte nautica sia nei metodi d’affari. La bussola fu uno degli strumenti di navigazione della nuova arte di trovare i porti inventata intorno alla metà del Duecento, un’arte detta stima della posizione. Man mano che le informazioni diventarono più precise e furono sempre più richieste, si avviarono alla compilazione dei libri portuali, che elencarono porto per porto le distanze da un punto di riferimento successivo. In seguito vennero raccolte tutte le informazioni relative a distanze e percorsi; confrontando le varie distanze e i tempi percorsi si disegnò la prima carta nautica; questo ulteriore strumento di navigazione consentì di progettare i percorsi indicati nei libri portuali. Dato che derivò dai libri portuali, le fu dato il nome di portolano o carta portolana²⁵.

I nuovi metodi di navigazione permisero di navigare nel Mediterraneo anche durante la stagione invernale. In precedenza a Venezia le navi furono ormeggiate alla banchina da ottobre fino ad aprile e in ogni caso alla fine di ogni viaggio le navi furono accuratamente controllate; all’inizio del Quattrocento i mari in inverno erano ancora preclusi e le navi rimanevano ferme per timore non tanto dei venti invernali quanto della pioggia, della nebbia e del cielo comunque coperto, condizioni in cui i naviganti veneziani, nell’impossibilità di vedere il sole o le stelle, potevano perdere il senso dell’orientamento. L’uso della bussola cambiò in modo radicale i tempi e i metodi di navigazione; invece di annunciare l’apertura del porto verso la fine di marzo, come di consueto, il Maggior Consiglio veneziano lo dichiarò aperto in febbraio o addirittura in gennaio. La possibilità di navigare anche nei mesi invernali mutò il ritmo dei viaggi diretti in Romania e nel Levante. Un convoglio primaverile poteva partire nel tardo inverno e tornare a maggio o nella prima estate. Un secondo convoglio autunnale poteva partire a metà estate o tornare in autunno o al principio dell’inverno, invece di svernare oltremare. L’utilizzazione dei mesi invernali rendeva quindi possibili due viaggi di andata e ritorno all’anno cosa che fa pensare ad un notevole incremento delle merci trasportate. L’incremento e la celerità dei viaggi marittimi non va attribuito unicamente alla bussola. Importanza capitale ebbe anche lo sviluppo della domanda di un numero maggiore di viaggi e di mercati bene organizzati che permettessero alle navi di trovare carichi pronti all’arrivo e ripartire al più presto dai porti levantini. Il cambiamento che polarizzò l’attenzione del governo veneziano fu l’accresciuto impiego delle galee per carichi commerciali.

Le navi triremi

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