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La grotta dell'origine
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La grotta dell'origine

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Quando erano piccoli, la mamma raccontava a Lisa e Axel la leggenda della Grotta dell’origine.
Mai avrebbero immaginato di dover combattere, un giorno, per difenderne la magia.

La vita a Borgostellato non è facile. Nonostante il grazioso villaggio si trovi incastonato tra i monti, sulle sponde di un pittoresco lago, gli abitanti non riescono a gioirne come potrebbero, poiché la regina Kiria vessa la popolazione, costringendo i suoi sudditi a versare onerosi tributi e a rimanere per lunghi periodi senza servizi essenziali.
Axel, Lisa e Diego sono tre studenti spinti dal desiderio di migliorare la situazione e per questo organizzano un’occupazione scolastica, sperando di riuscire a coinvolgere anche i Veterani, anziani rivoluzionari. Grazie alla sua rete di spie e collaboratori, però, la regina sventa facilmente i loro piani, e i ragazzi si ritrovano da un giorno all’altro a essere dei fuorilegge. Scampati per miracolo alla retata, Axel e Lisa si mettono sulle tracce di Diego, fuggito nel bosco. Questo è l’inizio di una grande avventura, nel corso della quale i tre amici incontreranno creature sconosciute e imprevisti alleati, grazie a cui si renderanno conto che il loro tentativo di migliorare le condizioni di vita per gli abitanti di Borgostellato era solo un sassolino in uno stagno. Prendere la decisione di fare di più non è semplice, ma ancora più difficile è seguire la serie di indizi e mezze verità che suggeriscono qualcosa di incredibile: uno dei luoghi di cui si narra nelle favole della buonanotte potrebbe essere reale! La scoperta di un popolo misterioso, custode della leggendaria “Grotta dell’Origine” li porterà a farsi nuove domande: perché la regina vuole appropriarsi dello Smeraldo della Tenacia, e perché manda il suo esercito a violare la Grotta dell’Origine? Decisi a combattere fino all’ultimo respiro pur di riuscire a sventare i piani della spietata sovrana, Axel, Lisa e Diego affiancheranno i Numi della Terra in una sanguinosa battaglia. Grazie al potere dello smeraldo e all’arco del Primo Arciere, Axel riesce a evitare il peggio, fino a quando insieme ai suoi amici si ritroverà all’interno della Grotta e i tre toccheranno con mano il potere in essa racchiuso.
LanguageItaliano
Release dateMar 1, 2019
ISBN9788833282350
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    La grotta dell'origine - Leo Todisco

    Cover

    Prologo

    Leggende per bambini

    La serata di quel giorno di fine settembre si prospettava fredda e umida. Le nuvole si addensavano minacciose nel cielo dorato, mentre il sole, ormai quasi del tutto tramontato, le tingeva di un rosso acceso e i suoi raggi lottavano per guadagnarsi qualche spiraglio.

    Borgostellato si estendeva lungo le rive di un vasto lago che, come accadeva ogni anno in quel periodo, la pioggia costante aveva ridotto a un mare di acqua e fango a causa dei detriti provenienti dai cunicoli delle montagne. Lungo la riva occidentale e sulle colline circostanti si ergevano piccole case di mattoni, spesso ammucchiate in minuscoli quartieri; il lato opposto del lago era costeggiato dai monti. Dalla superficie del lago svettavano qua e là alcune palafitte, quasi tutte abbandonate dopo che lo specchio d’acqua si era trasformato in una palude e i pescatori che le abitavano si erano dovuti trovare un’altra occupazione. I più esperti sapevano che il pesce viveva più in profondità, oltre lo strato di melma che ricopriva la superficie dell’acqua. Con gli strumenti rudimentali in loro possesso, però, era impossibile raggiungere il fondo del lago e allora si arrangiavano come potevano, visto che ormai era diventato un evento che ricorreva ogni anno.

    Nonostante ciò, la vita scorreva lenta e piacevole, tra il lavoro dei campi e la pesca.

    La pioggia rendeva il lago impraticabile, in compenso portava con sé una nota positiva: le vasche dell’acqua piovana si sarebbero riempite. Gli abitanti del villaggio avevano costruito enormi cisterne di cemento per raccogliere l’acqua in caso di siccità – alla cui triste eventualità erano ben più che abituati.

    Nascosto dietro la finestra della cucina della sua umile casa, un uomo, poco più che ragazzo, alto, biondo e affaticato dal duro lavoro, osservava quel cielo carico di pioggia con un’espressione ruvida, che accentuava i lineamenti spigolosi del suo viso. Si chiamava Gregor Taytor e viveva in quella casa da quando era nato. L’aveva ereditata alla morte dei suoi genitori, dieci anni prima, e ora viveva là con sua moglie e i suoi due figli.

    «Non finirà mai», borbottò fra sé.

    «Come hai detto?» Eveline, sua moglie, era lì vicino, china sul lavello e intenta a lavare le stoviglie. Alzò lo sguardo con un sorriso e spostò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.

    «È in arrivo un altro temporale. Ancora pioggia…», sospirò. «Di questo passo il lago diventerà una palude perenne. Non avremo più pesci da scambiare o vendere.»

    «Vedi il lato positivo della cosa», fece la donna. «Almeno ci sarà acqua corrente per un bel po’ di settimane.»

    Gregor distolse lo sguardo dal cielo e si voltò, dando le spalle alla finestra. «Sempre se loro non la chiudono prima. Com’è abitudine, dopotutto.» Enfatizzò il loro con una nota di disprezzo.

    Eveline lo fissò per un attimo, poi abbandonò le stoviglie, si asciugò le mani e raggiunse il marito per abbracciarlo. Era di poco più bassa dell’uomo e dovette sollevare il viso verso di lui per baciarlo sulle labbra.

    «Ehi», sussurrò con dolcezza. «Non ci pensare, va bene? Volevo dire che le cisterne si riempiranno fino all’orlo, in questo modo. Potremo andare a prendere l’acqua da lì.»

    «Sì, ma…»

    Sentendo un rumore provenire dall’altra stanza si interruppe di colpo. Eveline chiuse gli occhi e sospirò, leggermente irritata.

    «Vado a mettere a letto i bambini. Aspettami», disse.

    Gregor annuì e lei si allontanò.

    «È stata lei!» esclamò un bambino dal bel viso paffuto appena la donna ebbe varcato la soglia della cameretta. Era in ginocchio sul letto e indicava la sorella, nascosta sotto le coperte del letto accanto, da cui spuntavano solo due grandi occhi azzurri.

    «Non è vero! È stato lui, io stavo dormendo. Lo giuro, mamma!» replicò la bimba bionda sull’orlo delle lacrime. Sua madre si avvicinò e raccolse da terra la lampada del comodino. Era quella ad aver causato il rumore. Eveline la rimise al suo posto, poi si mise i pugni sui fianchi e fissò i suoi figli.

    «Sempre a litigare, voi due, eh?» commentò severa. «Su, ora a letto. Domani dovrete alzarvi presto per aiutare vostro padre. Axel, sotto le coperte, dai», disse. Al suo comando il bambino si infilò nel letto.

    «Mamma?» sussurrò la bambina con voce dolce e leziosa.

    «Dimmi, Lisa.»

    «Mi racconti la storia della Grotta Perduta?»

    Axel alzò gli occhi al cielo e si portò le mani dietro la testa, sbuffando. Non era la prima volta che Lisa faceva quella richiesta.

    «Non è proprio una storia da leggere prima di andare a letto, ma... va bene», rispose la donna. Si avvicinò a un basso mobiletto all’altro lato della stanza, prese un libro incastrato tra altri volumi più spessi e andò a sedersi sul letto di Lisa, voltandosi in modo che anche Axel potesse ascoltare il racconto.

    Il libro non contava più di una decina di pagine. Era rilegato in cuoio verdastro molto consunto e sulla copertina riportava in caratteri dorati la scritta La Grotta Perduta sopra al disegno ad acquerello di una grotta dalle mille tonalità di azzurro e blu.

    A Eveline sfuggì un sorriso. «C’è una cosa che non vi ho mai detto su questo libro. È molto vecchio, apparteneva al nonno di mio padre. È una storia che si tramanda di generazione in generazione, molti dicono che ci sia un fondo di verità», spiegò, mentre accarezzava il dorso del libro con un dito. Infine lo aprì alla prima pagina, si schiarì la voce e cominciò a leggere.

    «Molto tempo fa, in un villaggio di casette di legno e fango, vivevano cinque famiglie, ognuna composta da quattro persone. I capifamiglia erano minatori e lavoravano nella piccola cava poco distante dal villaggio, alla costante ricerca di pietre preziose da vendere al miglior acquirente. Andavano fieri di quella grotta, scovata per caso mentre raccoglievano funghi in un giorno d’autunno. Da quel momento era diventata la loro più grande fonte di sostentamento. Quella mattina, come era consuetudine, i cinque uomini si incontrarono all’ombra dell’antico albero dall’alto fusto che si innalzava al centro del villaggio e si avviarono verso la cava, ognuno con un piccone in spalla e un sacchetto di stoffa col pranzo preparato dalla moglie. La miniera non era affatto semplice da raggiungere. Per arrivarci era necessario arrampicarsi lungo un ripido sentiero sul fianco della montagna, nascosto da cespugli selvatici e folti alberi secolari. Per gli uomini era ormai diventata un’abitudine e ogni giorno superavano quelle difficoltà senza particolari problemi, spinti dal desiderio di portare a casa il guadagno giornaliero. Al lavoro si dividevano i compiti: i tre uomini più giovani e più forzuti scavavano, scalfendo la roccia con i loro picconi, mentre i due più anziani, data la loro esperienza, raccoglievano il materiale e lo esaminavano alla ricerca di pietre preziose, poi portavano all’esterno le rocce da scartare servendosi di una carriola cigolante. Quel giorno nessuno di loro poteva immaginare ciò che sarebbe accaduto. Uno degli uomini più giovani stava picconando una parete di roccia quando, dopo un colpo, fu abbagliato da un potente lampo di luce. Cacciò un urlo e cadde per terra. Mentre correvano a soccorrerlo, i suoi compagni rimasero affascinati da quel fascio accecante che sbucava dalla parete di roccia. Incuriositi e al tempo stesso circospetti, i minatori decisero di allargare la fessura fino ad aprire un varco, che poi, uno per volta, attraversarono. Si ritrovarono in una grotta talmente grande da poter contenere per tre volte le loro casette. Al suo interno soffiava una leggera brezza, sebbene non si scorgesse nessun’altra apertura verso l’esterno; al di là di un campo di candidi fiori, un anello d’acqua circondava una collinetta rocciosa, sulla cui cima si apriva un cratere

    «Che cos’è un cratere?» chiese Lisa, curiosa.

    «Shhh!» sibilò Axel.

    Sua madre lo rimproverò con lo sguardo e rispose alla figlia. «È un’apertura come la bocca di un vulcano, ma in questo caso è diverso.»

    La bambina annuì ed Eveline continuò il racconto.

    «Alzarono lo sguardo e rimasero a bocca aperta, sbalorditi. Proprio al centro della caverna, incastonato sulla punta di una stalattite accesa dall’ardore di un fuoco interiore, un enorme, lucente e meraviglioso fiore di cristallo girava su se stesso, lento e silenzioso, diffondendo una luce iridescente che illuminava ogni angolo della grotta. Gli uomini rimasero ammaliati da tanta bellezza. A piccoli passi avanzarono e guadarono l’anello d’acqua, per poi scalare la collinetta. Giunto in cima per primo, l’uomo più giovane esaminò da vicino il cratere, all’interno del quale si librava un fiore identico a quello sospeso sopra le loro teste, ma più piccolo e del tutto immobile. Non girava, né brillava. Tutti guardarono in alto, attratti dalla tenue luce che il fiore gigante irradiava dappertutto. La cosa che li attrasse più di tutte, lasciandoli senza parole, fu che sui suoi petali si susseguivano le immagini offuscate di vulcani attivi, uragani e maremoti che colpivano ogni angolo della terra, seguiti da animali giganteschi, uomini, creature e piante di ogni tipo, e poi ancora uomini, sempre più gente che combatteva, si scontrava, correva e non si fermava mai. Infine pace: un paesaggio di nuovo sereno, sovrastato da nuvole perlacee oltre le quali le cime degli alberi si innalzavano verso il cielo. Il ciclo di immagini continuava, come per raccontare una storia che si ripeteva in eterno. Uno degli uomini più anziani tornò a rivolgere lo sguardo al fiore nel cratere. È assurdo, disse, che questo fiore possa rimanere a mezz’aria senza un gambo che lo sorregga. Incuriosito, allungò adagio la mano e lo toccò. La ritrasse immediatamente, perché il fiore di cristallo aveva iniziato a fluttuare e a brillare di luce propria. Si librava in aria sempre più veloce e allo stesso modo il suo gemello prese a roteare su se stesso. Intimoriti, gli uomini discesero la collina, ma quando raggiunsero l’anello d’acqua si fermarono, poiché i due fiori avevano smesso di vorticare. Al centro dell’isolotto roccioso era comparsa un’enorme sfera di luce e i due fiori fungevano da poli di quella meraviglia luminosa.»

    «In che senso, fungevano da poli?» domandò Axel incuriosito.

    «Beh... come posso spiegartelo? Immagina di prendere una palla con le mani in modo da schiacciarla. Così avrai le mani sui poli della palla. Capito?» Axel annuì, anche se era visibilmente perplesso. Sua madre continuò il racconto.

    «I minatori non riuscivano a credere ai propri occhi. Era qualcosa di inspiegabile, di sovrannaturale, e loro ne erano gli unici testimoni. La sfera emanava allo stesso tempo luce, calore e un senso di sicurezza e serenità che non avevano mai provato prima. Era giunto il momento di verificare, di toccare con mano. Mentre il più giovane del gruppo rimase indietro, guardingo, gli altri si avvicinarono, affascinati da tanta bellezza. Entrarono all’interno della sfera di luce e, all’improvviso, senza alcun rumore, scomparvero in un bagliore intermittente, come dissolti nell’aria. La luce si spense, la sfera evanescente scomparve, il fiore più grande riprese a ruotare lentamente e quello sotto di lui tornò immobile all’interno del cratere. Il volto del giovane che era rimasto indietro, fino a quel momento pervaso da gioia e serenità, si contorse dalla paura. Con gli occhi sbarrati osservò il punto dove fino a un attimo prima erano i suoi compagni. Indietreggiò e rovinò in acqua, si rialzò e scappò verso l’uscita. Correva alla cieca, confuso, ma riuscì a uscire dalla miniera, poi si lanciò giù per il pendio in mezzo alla foresta e quando arrivò a casa raccontò quanto era accaduto, cercando le parole più convincenti possibili. Nuove spedizioni vennero effettuate nella miniera, ma né i suoi compagni, né, tanto meno, la grotta furono mai ritrovati. Le mogli degli uomini scomparsi non riuscirono mai ad accettare la versione dell’unico superstite e lo credettero pazzo. La cava della disgrazia, come venne definita in seguito, venne chiusa per sempre e mai più nessuno poté entrare nei suoi meandri per cercare di scoprire la verità. Il tempo passò e la gente se ne dimenticò, ma se oggi sono qui a raccontarvi questa storia, vuol dire che qualcuno non ha dimenticato e che ancora spera che un domani realtà e fantasia possano coesistere per il bene di tutti.»

    Eveline tacque e chiuse il libro, appoggiandolo sulle gambe.

    «Mamma, tu credi che sia successo davvero? Voglio dire, credi che quegli uomini siano davvero scomparsi nel nulla?» chiese Axel, all’improvviso interessato.

    «Non te lo so dire, Axel, è solo una leggenda. Io e tuo padre abbiamo fatto tante supposizioni. Il ragazzo sopravvissuto fu considerato pazzo: potrebbe aver inventato tutto per attirare l’attenzione sul suo villaggio e vendere più facilmente le pietre preziose. Degli altri uomini, non so cosa pensare.»

    «Ma dove sono andati a finire?» chiese Lisa con voce sottile.

    «Può averli uccisi», intervenne suo fratello di slancio, come se avesse trovato la soluzione a un enigma complesso. «Voleva arricchirsi, no? Allora non c’era niente di meglio che uccidere i suoi compagni, inventarsi una storiella convincente e aspettare che qualcuno lo pagasse per raccontarla.»

    Sua madre lo guardò con occhi sgranati, sbalordita dalla perspicacia del figlio. Il piccolo se ne accorse, arrossì e, per evitare un’altra sgridata, si rigirò sotto le coperte e fece finta di dormire.

    Eveline non era arrabbiata. Le parole di suo figlio l’avevano colpita. Non aveva mai considerato l’uomo del racconto un omicida senza scrupoli, pronto a uccidere i suoi amici pur di vivere nel lusso. Fin da piccola, lei aveva sempre creduto in quella storia, tanto inverosimile quanto affascinante, e nell’esistenza della grotta luminosa con un’enorme sfera di luce al suo interno. Le fantasie di una bambina, certo, ma si era sempre detta che a credere nelle storie e nelle leggende non si faceva male a nessuno. Tutti l’abbiamo fatto in un certo momento della nostra vita, no? Era una cosa che la faceva stare bene e voleva che i suoi figli non fossero da meno.

    Tornò in sé e guardò il cielo buio oltre la finestra.

    «Su, è ora di dormire.» Si alzò, prendendo con sé il libro, diede un bacio ai suoi figli e spense la luce del comodino. «Buona notte.»

    «Buona notte, mamma», risposero in coro i bambini.

    Uscì dalla stanza e si fermò a guardare fuori, attraverso i vetri accanto alla porta d’ingresso. La pioggia aveva iniziato a cadere, picchiettando sulla languida e fangosa superficie del lago. Qualcosa si era acceso nel cuore di Eveline, una sensazione familiare sopita da lungo tempo e che ora si faceva strada per uscire. Che cos’era? Cosa aveva provato molto tempo prima? Pensò a suo padre, a tutte le storie e ai momenti da lui vissuti nel corso della vita, che ogni sera le raccontava prima di andare a letto, proprio come aveva fatto lei un attimo prima con i suoi figli.

    Poi capì. Strinse il libro al petto e lo sentì. Quel senso di libertà, di gioia e di speranza, quei momenti passati con gli amici a pensare in grande. Erano riemersi di botto, come l’eruzione di un geyser. Era nel suo cuore e ora la sentiva: la frizzante sensazione di avventura.

    Capitolo 1

    Piani azzardati

    Axel

    Alzarmi presto la mattina per me non è certo una consuetudine. Di solito finisco per ingurgitare la colazione in un attimo perché sono in ritardo per la scuola, data la mia abitudine ad alzarmi dal letto pochi minuti prima di uscire. Questa volta però è stato diverso. Ho aperto gli occhi col desiderio di cambiare.

    Ho dato una rapida sistemata ai capelli, quelle stupide ciocche biondo cenere sempre sparate da tutte le parti, guardandomi nello specchio del bagno. Ho fatto meno rumore possibile per non svegliare il resto della mia famiglia. Un’occhiata all’orologio in cucina cercando di indovinare l’ora nella penombra – le sei e un quarto, accidenti – ho indossato la divisa della scuola e sono uscito di casa.

    Ora sono appoggiato al parapetto che costeggia il lago. Guardo il sole fare capolino tra i monti illuminando la superficie d’acqua limpida e pacifica, e le barche dei pescatori che si avvicinano silenziose a riva, di ritorno dalla battuta di pesca notturna.

    Socchiudo gli occhi, forse per via del sonno o per il sole che diventa sempre più abbagliante, e mi godo la piacevole brezza che mi accarezza il viso invogliandomi a navigare col pensiero. Viaggiare con la mente è l’unico modo che ho per fuggire dalla realtà e rifugiarmi dove niente e nessuno mi possa disturbare, e niente è meglio di un luogo immerso nella natura per lasciarsi andare a queste fantasticherie.

    Sono nato diciotto anni fa qui, a Borgostellato, un piccolo villaggio povero e trasandato, con pittoresche abitazioni sulla cima dei colli e lungo la riva del lago. È delimitato da un fitto bosco di lussureggianti conifere da un lato, mentre dall’altro le montagne dalle cime frastagliate si innalzano ripide. Il nostro lago è piccolo, limpido e pieno di vita durante la maggior parte dell’anno, ma sporco e fangoso in autunno a causa delle piogge insistenti che creano rivi impetuosi che trasportano detriti dalle montagne.

    Un luogo da sogno, certo, ma io non sopporto più di rimanere qui: d’estate passo la maggior parte della giornata all’ombra di un grande albero in mezzo alla boscaglia, lontano da strade e persone. Durante il periodo della scuola, beh, ci vado lo stesso. Spesso salto le lezioni per andare a sedermi nel bosco e ascoltare il vento tra le foglie, invece di stare a sentire le lagne dei professori. Questo naturalmente influisce sulla mia preparazione, ma giustifico le mie assenze dicendo di avere una strana forma di allergia. Non so se a qualcuno del corpo docenti sia mai venuto in mente di chiedere chiarimenti ai miei genitori, ma francamente è l’ultima cosa di cui mi preoccupo.

    Mia sorella rappresenta l’unico inconveniente alle mie fughe nella natura. Ogni mattina percorriamo insieme la strada per raggiungere la scuola, quindi devo riuscire a liberarmi di lei e raggiungere il bosco, poi tornare indietro alla fine delle lezioni per non farla insospettire. Sì, lo ammetto, questa abitudine alla fine non è poi così rilassante, ma non ne posso fare a meno. Mi sono sempre chiesto se Lisa si sia mai accorta di qualcosa. Magari sono solo stupido e non capisco che lei sa tutto.

    In ogni modo, me ne sto qui a pensare. Immagino di vivere un’esperienza diversa, di allontanarmi dal paese e trascorrere un bel po’ di tempo nei boschi, lontano dalla solita vita ripetitiva e noiosa. Poi però penso ai miei genitori, a quello che hanno fatto e ancora fanno per me, a come si sentirebbero se scomparissi. E via così, considerando per un attimo un’avventura per la quale mi sento pronto e capace, ma rinunciando il secondo successivo. So che ne sarei in grado e non sopporto l’idea che qualcuno mi dica di no. Perfino se si tratta di me stesso.

    Posso definirmi coraggioso, o forse solo un sognatore.

    Un raggio di sole mi colpisce dritto in viso e distolgo lo sguardo. D’istinto alzo gli occhi verso la zona ancora in ombra, tra la riva nord del lago e gli alberi. Vedo una persona avviarsi a passo spedito verso la boscaglia, lungo la scorciatoia che porta a scuola. Appoggio una mano sulla fronte per riparare gli occhi dal sole e aguzzo lo sguardo. La figura si infila tra gli alberi e scompare. Torno ad ammirare la riva del lago, dove i pescatori hanno ormai ormeggiato le barche e stanno scaricando sul molo le reti. Sento echeggiare il mio nome. Qualcuno mi sta chiamando.

    «Axel. Vieni, la colazione è pronta.»

    È Lisa. La parola colazione mi tira fuori dal dormiveglia e mi accorgo di essere affamato. Faccio un breve cenno di assenso con la testa, ma continuo a osservare il lago. Anche se con una leggera riluttanza, finalmente do le spalle ai monti e mi dirigo verso casa.

    La pallida luce del sole illumina le palazzine di mattoni in cima alle colline e le casette con il tetto spiovente affacciate sulla riva del lago. La mia è una di queste, con il suo piccolo sentiero di ciottoli collegato alla strada selciata che costeggia l’intero perimetro del lago. Ho piantato io stesso, anni fa, l’albero di pesco che fiorisce nel nostro giardino, dove crescono anche piccoli cespugli di cui le amorevoli mani di mia madre si prendono cura ogni settimana.

    Lisa ha avuto l’accortezza di lasciare la porta socchiusa; entro e la chiudo alle mie spalle. Un profumo di biscotti appena sfornati pervade l’aria. Sono già tutti in cucina: mia madre, Eveline, sta disponendo i biscotti su un vassoio da portare in tavola. Mio padre, Gregor, e Lisa stanno già facendo colazione. Quando mia mamma posa il vassoio sul tavolo, mio padre le sorride dolcemente e le sussurra: «Grazie.»

    I miei si sono conosciuti due anni prima della mia nascita e da allora non si sono mai separati. Il classico colpo di fulmine, credo. È ovvio che mia madre, ai tempi, abbia visto mio padre, il classico bel ragazzo biondo con gli occhi azzurri, e se ne sia subito innamorata.

    «Ah, eccoti. Buongiorno. Ti sei già vestito? Come mai ti sei alzato così presto stamattina?» mi chiede dopo avermi controllato dalla testa ai piedi con un rapido sguardo.

    «Non riuscivo più a dormire e mi sono alzato», mento.

    Iniziare la mattinata con una serie di domande a raffica è davvero sfiancante. Mi siedo al mio posto, di fronte a Lisa.

    «Miracolo», fa lei, «di solito ci vogliono le cannonate per buttarti giù dal letto.»

    Una delle tipiche frasi a effetto di mia sorella, che mi fanno saltare i nervi. Quello che non dice mia madre, lo butta fuori lei, aggiungendo una nota di sarcasmo. Tra l’altro si somigliano tantissimo: stessi capelli biondi luminosi e viso asciutto, ma Lisa, ora sedicenne, ha ereditato da mio padre gli occhi azzurri, al contrario di me, che li ho scuri e anonimi. Inutile dire che sono invidioso dei suoi.

    «Taci!» le ordino.

    Mi guarda con la coda dell’occhio, poi in modo del tutto indifferente abbassa il capo e riprende a girare il cucchiaino nella tazza.

    Mia madre si siede al posto vuoto accanto a me.

    «Vedo che la giornata inizia benissimo», dice ironica. «Cosa farete oggi a scuola?»

    Ci risiamo, penso. Sbuffo e increspo le labbra in una smorfia di disgusto.

    «Ho detto qualcosa di sbagliato?» mi chiede.

    «No, niente...»

    «Oggi il professore di Natura ci porterà nel bosco vicino a scuola per vedere i nidi di rondine dal becco blu», interviene Lisa, agitandosi sulla sedia.

    Sgrano gli occhi. «Nel bosco?» chiedo, allarmato.

    «Sì, perché?» Mi guarda stranita mentre la fisso dritto negli occhi.

    No, dannazione, no! Non oggi! Non dico niente, ma dentro di me si alternano rabbia e delusione. Era una di quelle giornate perfette per rilassarsi tra gli alberi e ora vengo a sapere che un’intera classe, per giunta quella di mia sorella, si inoltretà nel bosco. So che i professori non portano i ragazzi molto lontano dal limitare, ma nemmeno io ho il coraggio di addentrarmi molto di più. Scelgo sempre un posto da cui sia facile raggiungere il paese, per non mancare l’appuntamento con Lisa al termine delle lezioni. Non posso certo correre il rischio di essere visto da qualcuno, soprattutto non da lei. Sfogo la mia collera addentando con forza un biscotto, consapevole che il mio progetto è appena andato in fumo.

    «Si dice che quelle rondini siano molto intelligenti.» Sobbalzo, udendo la voce di mio padre. Mi ero dimenticato di averlo accanto. «In passato venivano allevate e portate nei boschi dai raccoglitori di funghi per farsi guidare nel caso si fossero persi, poiché si dirigono sempre verso gli spazi aperti e le radure. Al giorno d’oggi purtroppo se ne vedono davvero poche in giro, ma erano molto utili.»

    Lisa lo ascolta e pende dalle sue labbra, invece io sono sempre più irritato e annoiato. È lei quella a cui piace studiare. Quando mio padre finisce di parlare, sghignazzo e prendo un altro biscotto dal vassoio. Lisa se ne accorge.

    «Ora che ti prende?» chiede indispettita, come se l’avessi ridestata da un sogno a occhi aperti.

    Tutti mi fissano silenziosi e allora mi dico: ora o mai più.

    Abbandono il biscotto vicino alla tazza, incrocio le braccia sul petto e mi lascio andare contro lo schienale della sedia. Assumo un’espressione dura.

    «A scuola non fanno che parlarne. Gli altri della mia classe stanno organizzando uno sciopero per domani e intendono occupare la scuola.»

    Vedo mio padre fare di no con la testa. Reazione troppo banale.

    «Papà, ti prego, ascoltami!»

    «Ti sto ascoltando, Axel! Ne abbiamo già parlato.»

    «Sì, certo, ma non hai mai preso la cosa seriamente. Sono tutti stanchi di vivere in questa situazione. A un

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