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Vedo Rumore
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Ebook153 pages1 hour

Vedo Rumore

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Una bussola per studenti, insegnanti e genitori che vogliono "tenere la prua sulla rotta della leggerezza"

Perché divertendosi si può studiare meglio ed è più facile apprendere? É come andare in bicicletta con entrambe le ruote ben gonfie: si arriva prima e si procede più velocemente.

Come conservare vivo il sogno di felicità e di bellezza che tutti abbiamo intravisto nella nostra giovinezza?

Professori che precorrono i tempi, metodi di studio molto efficaci, gli scherzi divertenti della goliardia.

Uno spaccato insieme scanzonato e profondo di quelli che sono stati forse i migliori anni della nostra vita, non solo dell'autore.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateFeb 20, 2019
ISBN9788831604864
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    Vedo Rumore - Andrea Gobbo

    cancellarli.

    ALL’UNIVERSITÀ

    SCARABOCCHI (DIVERTENTI)

    Nella grande aula a semicerchio dell’Università di Ferrara, simile a un teatro greco, eravamo tutti in attesa dell’insegnante di Analisi matematica, che nessuno di noi ancora conosceva. Era il primo giorno di università. La trepidazione era vivissima e cresceva per la presenza nervosa sulla porta di un giovane bidello, con un grembiule nero piuttosto lungo, che ci raccomandava continuamente che parlassimo sottovoce e che fossimo pronti ad alzarci in piedi all’arrivo del professore. Eccolo, arriva. È un signore alto, biondo, i capelli pettinati come Errol Flynn e un portamento elegante e distaccato da nobile veneziano. Con aria sicura butta sul tavolo la sua cartella, sibila un breve saluto e, dopo aver controllato che tutti si siano alzati in piedi, ci fa sedere con aria soddisfatta. Poi incomincia a scrivere sulla lavagna formule incomprensibili, simili a scarabocchi. Ma in quel momento, con nostra divertita sorpresa, entra il vero professore, Giuseppe Zwirner, che conoscendo già la scena che si ripeteva da qualche anno, invita con decisione l’anziano studente fuoricorso a uscire dall’aula insieme al finto bidello.

    Zwirner era vestito di nero con un papillon nero su una camicia bianchissima. Scopriremo in fretta che le sue non sarebbero state semplici lezioni, ma delle cerimonie sacre. A metà spiegazione allentava la tensione raccontandoci qualche episodio spassoso di quando era a militare o frequentava l’università. Spiegava cose difficili con una chiarezza impressionante. Resterà famosa una sua domanda: Ditemi un numero piccolo. Tutte le risposte furono vane. Allora ci interruppe: Immaginate di trasformare tutta l’acqua dei mari in inchiostro. Incominciate a scrivere, intingendovi la penna, 0,000… fino a consumare tutto l’inchiostro. Poi, arrivati all’ultima goccia, scrivete il numero uno. Bene, a questo punto avrete scritto un numero ancora enorme!.

    Era fondamentale presentarsi ai suoi esami con la cravatta. Ce la prestavamo tra di noi prima di entrare nell’aula. Chissà se Zwirner ne conosceva l’origine e la storia. Furono i soldati croati a usarla per primi. All’inizio era una stretta benda che si portavano in battaglia, tenendola avvolta al collo, per arrestare il sangue o un’emorragia nel caso di una ferita. Anche agli studenti che sopravvivevano ai suoi esami poteva servire, perché tutti alla fine grondavamo sangue.

    Suo assistente era don Bruno Busulini, mio insegnante di fisica e di matematica al liceo. Fu lui a consigliarmi di iscrivermi per il biennio d’Ingegneria a Ferrara.

    L’Università di Padova era più vicina a dove vivevo, ma molto più affollata. A Ferrara la gente era gioviale e schietta e c’erano tante ragazze disinibite. La città era piccola e bella, con strade squadrate e tanti palazzi rinascimentali dalle linee semplici come la pianura sconfinata che li circondava. Fu un buon suggerimento.

    Insieme a un mio compagno di collegio avevo trovato una camera presso il sacrestano del Duomo. È più prete di un prete ci diceva la moglie, una donna non più giovane che tutti i pomeriggi, vestita elegante e con il rossetto sulle labbra, senza malizia se ne andava a fare un giro per la città.

    Per me che arrivavo da Cicogna, una piccola frazione di seicento abitanti del Basso Vicentino, era il primo incontro con una città vera. Anche Este, dove avevo frequentato le medie e il liceo, non era che una cittadina di provincia. Guardavo con stupore e meraviglia le vetrine. Vicino al Duomo c’era un negozio di abbigliamento in cui lavorava una ragazza di nome Ketty, che ricordo bionda e bellissima e che spesso ammiravo mentre a piedi nudi addobbava con grazia la vetrina. C’eravamo un po’ tutti invaghiti di lei, come capita a vent’anni, ma oltre al nome e a qualche sorriso da dietro al vetro, non riuscimmo a ottenere di più. Candida e ingenua, Ketty somigliava a Marilyn Monroe quando era una ragazza sconosciuta di nome Norma Jeane Baker, come appare nelle foto scattate da André De Dienes a Los Angeles nel 1945, molto prima che il mondo di Hollywood la trasformasse in un mito.

    Norma Jeane Baker, prima di chiamarsi Marilyn Monroe.

    PASSATEMPI BOCCACCESCHI

    Alcune università americane presentano al primo anno un corso di studi che si chiama Incerto. Lo studente che non sa ancora quale facoltà scegliere si iscrive a questo corso: al secondo anno deve decidersi, ma l’università gli convalida gli esami superati nel frattempo. Sarebbe stato utile anche a noi che arrivavamo dal collegio ed eravamo passati da un tipo di vita scandita da rigidi e precisi ritmi giornalieri, alla più assoluta libertà. Seguivamo itinerari che inventavamo giorno per giorno, secondo l’impulso del momento. Facile smarrirsi o andare fuori strada, anche perché dopo le rette del collegio, da pagare, scoprivamo finalmente le curve. Quelle delle ragazze. A Ferrara ce n’erano di tutti i tipi e con diversi raggi di curvatura.

    Nel volume Osa pensare il sociologo neozelandese James Flynn sostiene la curiosa tesi che ci sia un legame tra il QI (quoziente d’intelligenza), l’attrazione tra i due sessi e la distanza tra il ginocchio e l’anca. Più che le curve per lui contano le rette!

    Andavamo in giro, anche in paesi della provincia, a fare scherzi goliardici. Una notte, complice l’oscurità, abbiamo cementato un vecchio bidet davanti alla porta di casa di un universitario spavaldo e abbiamo chiuso i cancelli del municipio di Este con grosse catene da buoi fermate da un lucchetto. Per trovare la chiave avevamo preparato una specie di caccia al tesoro con bigliettini che rimandavano da una cassetta della posta a un’altra. Alla fine i Vigili del Fuoco riuscirono ad aprire i cancelli con la fiamma ossidrica mentre gli impiegati del Comune rimasero fuori sulla piazza fino alle 11.00, in pieno inverno. Il pretore si arrabbiò moltissimo. Chiamò il comandante dei Carabinieri, visto che suo figlio era uno dei chierici vaganti, come venivano chiamati gli universitari vagabondi, minacciando di denunciare tutti.

    Finì su tutti i giornali locali uno scherzo fatto a Montagnana, una cittadina medioevale in provincia di Padova, racchiusa da mura che non si notano da lontano, ma balzano addosso all’improvviso quando ci si avvicina in auto. Il Duomo, cinquecentesco, è obliquo rispetto all’asse della piazza Vittorio Emanuele II, una delle più belle d’Italia. In questo modo in un solo colpo d’occhio se ne possono ammirare sia la facciata che il fianco. Circondate da un largo fossato, le mura si aprono all’esterno con quattro robuste porte. Una notte i miei amici universitari chiusero tre porte, tra l’altro molto pesanti, lasciando un cartello indicante l’unica porta rimasta aperta. Al mattino la sorpresa degli abitanti fu grande: un misto di divertimento e di seccatura per dover fare un giro più lungo per uscire dalle mura.

    Alla sera quando le osterie si riempivano, inscenavamo alcune tenzoni boccaccesche in qualche piazzetta di paese con indosso i nostri mantelli. Intonavamo i Canti delle Osterie o le Istorie di Roma. Ci disponevamo uno di fianco all’altro in due gruppi contrapposti, distanti tra loro una decina di metri. Un gruppo stava fermo, mentre l’altro avanzava unito tenendosi sottobraccio e declamando una strofa del ritornello, poi ritornava al punto di partenza, indietreggiando, mentre l’altro gruppo iniziava un’altra strofa.

    Ci narrano le istorie che Romolo Quirino

    dopo aver fondato Roma ci aprisse un bel casino,

    poiché le bolognesi non erano vicine

    dovette accontentarsi di vergini sabine

    Il prode Muzio Scevola lanciando il suo pugnale

    trafisse nelle chiappe per sbaglio un generale…

    Gli stornelli andavano avanti a lungo, fino a quando uno dei due gruppi cedeva le armi perché non aveva più fantasia per inventarne uno nuovo o perché ripeteva una strofa già recitata.

    Dal tardo pomeriggio fino a sera ci trovavamo in centro città a percorrere i marciapiedi del Corso, avanti e indietro da piazza Trento e Trieste, a fianco della Cattedrale, a piazza della Repubblica, a lato del Castello Estense. Qualche figlio di papà aveva l’automobile, anche bella, ma non la ostentava. Alcuni si vestivano con eleganza, quasi non mangiavano per comprarsi un bel vestito. Erano i primi richiami della moda. La passeggiata su e giù per il Corso era un susseguirsi d’incontri.

    Sul primo marciapiede: negozi, insegne e… ragazze.

    Giusy, splendidi occhi neri che fermavano un tram, scarpe da tennis.

    Gianna, una testa di riccioli biondi, come il Narciso del Tintoretto.

    Vasenol, cipria per il corpo.

    Angelica piccola, Luisa altissima: vicine, formavano l’articolo il.

    A lezione di fisica, sempre insieme nel primo banco, due futuri premi Nobel.

    Cantine Carità, un vino perbacco!

    … ritorno sull’altro marciapiede: vetrine, cartelli e… ragazze.

    Laura, due occhi neri che ti artigliavano, un po’ svampita.

    Franceschini, negozio di calze vaporose, evanescenti, senza peso, quasi impalpabili.

    Antonia, iscritta a Medicina, già esperta di anatomia. Valeria. La sua amica carina, con le gambe storte.

    Si cercano abili sarte per maniche e collo.

    Andavamo a cena in trattorie situate in vie anguste, poco lontano dal prodigio marmoreo della Cattedrale. La lista delle vivande era molto corta. Cercavamo di accomodarci vicino a un cliente un po’ anziano e solitario ma dal volto aperto e desideroso di compagnia. Con finta indifferenza iniziavamo una discussione politica prima con toni tranquilli, poi sempre più accesi. Due di noi, a caso, recitavano la parte a favore di Fanfani, allora Presidente del Consiglio, e due contro. Dopo un po’ coinvolgevamo con gli sguardi il nostro vicino, che incominciava a interessarsi alla discussione e assentiva con la testa alle tesi che

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