Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Gli intempestivi
Gli intempestivi
Gli intempestivi
Ebook215 pages3 hours

Gli intempestivi

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

“Quando siamo?” È questa la domanda che sembra aleggiare nella palazzina d’ingresso della piscina all’aperto di Milano in cui Mic e Sam si trovano in una calda mattina di luglio. Lo stabilimento, che risale agli anni Venti del Novecento, è imponente e molto frequentato, ma decadente: un po’ deprimente agli occhi di Sam, fascinosissimo per Mic, che proprio guardando la luce che filtra dalle vetrate comincia a chiedere: “Quando siamo?”. Ad attendere a bordo vasca c’è la signora Adriana, e con lei Ume, Mario, Egidio, Loriana, Marianna e i cugini damerini, conosciuti tra le mura di “Questo nostro mondominio”. La signora Adriana è costretta a passare l’estate in città, Loriana ha un concerto jazz da preparare, Mario non rinuncia alle sue consuete provocazioni, Marianna sostiene di aver preso una decisione, i cugini damerini annunciano una sorpresa. Ma altre sorprese spuntano all’improvviso: un relitto sommerso e un tesoro nascosto, strani fantasmi, gli intempestivi e il loro dirompente manifesto… Sono apparizioni reali e immaginarie con cui si annodano fili, discorsi e misteri rimasti in sospeso, in un serrato botta e risposta di voci e opinioni. Si intrecciano così i ricordi del passato, l’evidenza del presente e i propositi del futuro, nella consapevolezza che «gli intempestivi hanno la memoria lunga e lo sguardo sagace di chi si domanda sempre “Quando siamo?”». (“Gli intempestivi” fa parte del progetto letterario “La vertigine del caso”. Il primo movimento del progetto è composto da “L’eleganza matta”, il lato A, e “Vertigini e stravedimenti”, il lato B. “Questo nostro mondominio” è il lato A del secondo movimento, “Gli intempestivi” il lato B.)
LanguageItaliano
Release dateJan 27, 2019
ISBN9788832503029
Gli intempestivi

Read more from Vanessa Chizzini

Related to Gli intempestivi

Related ebooks

General Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for Gli intempestivi

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Gli intempestivi - Vanessa Chizzini

    http://write.streetlib.com

    Avvertenza

    In modo speculare a Questo nostro mondominio, Gli intempestivi si svolge nell’arco di poche ore (in questo caso una mattinata), come se avvenisse in diretta davanti agli occhi di chi legge, senza tagli, in una sorta di lungo piano sequenza. Per questa ragione non è suddiviso in parti né in capitoli. Ci sono solo alcuni stacchi di una riga, che però non rappresentano una cesura tra quello che c’è prima e quanto segue, ed equivalgono piuttosto a prendere un respiro profondo. Hanno lo scopo di rendere più agevole la lettura offrendo delle piccole pause e degli appigli. Suggeriscono, insomma, un momento per un’eventuale interruzione, nella consapevolezza che l’azione continua e che semplicemente riprenderà da dove ci si è fermati.

    Gli intempestivi

    «Be’, com’è che non dici niente?»

    Non appena mi fa questa domanda, mi giro verso Sam, di fianco a me, e poi mi guardo attorno. «Perché, cosa dovrei dire?»

    «Le persone davanti a noi in fila le vedi?»

    «Sì, le vedo.»

    «E allora?»

    «Allora ti ricordo che sei tu l’impaziente incapace di aspettare anche solo cinque minuti.»

    «E quelle che abbiamo alle spalle e che hai superato per raggiungermi qui, quelle le hai viste, Mic? Persone davanti e dietro di noi. Decisamente troppe per te, no?»

    «L’impaziente e l’asociale: chissà come ci attendono con ansia...» osservo rimettendomi a contare le monete.

    «Ecco, infatti, l’asociale: se ci sono tre persone, per te è già una folla insopportabile. E invece adesso? Non sospiri, non sbuffi, non scuoti la testa, non dici che c’è troppa gente, non mi proponi di andare altrove?»

    Non so se davvero ci sia troppa gente, so però per certo che in questo nostro scambio di battute non c’è niente di nuovo. Funziona così, io e Sam andiamo d’accordo senza essere quasi mai d’accordo. Interpretiamo le cose in modi diversi, e scherziamo, ci prendiamo in giro, battibecchiamo. Nella maggioranza dei casi sorridiamo, anche quando esternamente non si vede, o quando ci lanciamo battutine che potrebbero sembrare acide. Ma continuiamo a divertirci e a sorprenderci di tutte le nostre differenze, come se non fossimo capaci di rassegnarci, e forse è anche per questo che siamo ancora qua.

    «E dove altro dovremmo andare?» ribatto io. «La signora Adriana è già dentro, nel caso un’improvvisa amnesia te l’avesse fatto dimenticare.»

    La signora Adriana è il nostro jolly, conosce alla perfezione queste dinamiche, e fa da spalla a volte a me, a volte a Sam. Assomiglia molto di più a Sam, in realtà, loro due hanno la stessa indole sociale, la medesima e terribile propensione alla chiacchiera a prescindere, il piacere a me incomprensibile di rompere il silenzio non appena se ne presenta l’occasione, e l’occasione si presenta sempre perché sono in grado di crearsela in tutte le circostanze. Mentre loro si danno alla pazza gioia delle parole a vanvera, io potrei almeno starmene in pace nel mio angolino, se non fosse che alla signora Adriana piace coinvolgermi. Per qualche misteriosissima ragione, il mio carattere le ricorda un po’ quello del marito, dice sempre che io e suo marito apparteniamo alla nobile stirpe dei mattacchioni, anche se lui non c’è più da tanti anni, ormai. Due decenni, non so se ci rendiamo conto ripete ogni tanto. Credo sia per questa arcana somiglianza, e per il desiderio di assecondare un atteggiamento ai suoi occhi meno convenzionale, che ogni tanto mi dà man forte contro Sam.

    «Sì, Mic, ma oggi non ti lamenti nemmeno. È una situazione paradossale, ne converrai...»

    «Sei tu che esageri o sono io che non capisco qual è il punto? Cos’è, un trabocchetto? Sì, mi sa di sì, è un trabocchetto. Okay, mi arrendo. Dov’è che vuoi arrivare?»

    «Mi fai impressione, non sembri tu.»

    «Sarò asociale, Sam, ma trovo comunque del tutto normale che ci sia qualcuno in attesa di fare i biglietti. Magari un po’ seccante ma normale. Abbiamo anche gli alberi che ci fanno ombra, non vedo dove stia il problema.»

    «Il problema non è il caldo, il problema è la folla. Per te, non per me.»

    «Ci fosse una coda che arriva fino all’angolo della strada e prosegue lungo il marciapiede accanto, d’accordo... Invece abbiamo al massimo una quindicina di persone davanti con due casse aperte. E comunque hai letto il messaggio, no? La signora Adriana ha scritto che loro si sono sistemati e che noi possiamo fare con calma. Potrebbe esserci il doppio o il triplo di gente e non cambierebbe nulla.»

    «Non è che non sembri tu, non sei chiaramente tu.»

    «Vedi? Loro per esempio sono un unico gruppo» faccio notare indicando quattro bambini e tre adulti che si stanno allontanando dallo sportello dopo aver pagato l’ingresso. «Un paio di minuti e tocca a noi.»

    «Però è giusto, Mic, sei coerente, hai scelto tu il posto e adesso non puoi certo stare qui a brontolare.»

    «Cosa vai blaterando? Io non ho scelto un bel niente.»

    «Eh?»

    L’ho detto, no? Io e Sam interpretiamo le cose in modo diverso, e poi ci impuntiamo, quasi a volerci sfidare. Chi l’avrà vinta oggi? Su quanti alleati potremo contare? Con chi si schiererà la signora Adriana? E gli altri, la sarta, l’ex custode, il calzolaio, la cantante tassista, l’artista, gli editori? Sì, lo so, la signora Adriana più che schierarsi volteggia, ci stringe il braccio nella sua presa salda, ridacchia con la sua risatina che sa di rincorsa, sospetto si limiti a spalleggiare chi di noi due in quel momento trova più divertente.

    «Non ho scelto niente, Sam, lo sai benissimo. Smettila di dire sciocchezze. Dai che tocca a noi. Hai visto? È stato un attimo.»

    «L’hai scelto tu, eccome» ribadisce Sam un secondo prima di sorridere alla cassiera dietro il vetro del gabbiotto semicircolare che ospita la reception e si protende sul marciapiede. «Due biglietti, grazie» le dice. Poi si rivolge a me. «Dobbiamo prendere qualcosa? Dei lettini? Qualcos’altro? Come funziona qui? C’è della sabbia, un prato?»

    «No, niente sabbia» risponde la cassiera. «C’è dell’erba sintetica vicino alla vasca e c’è... sì, be’, un po’ di prato con degli alberi, ma io non lo chiamerei prato se poi lei si aspetta vera e propria erba.»

    Sam si gira verso di me con espressione interrogativa.

    «Due lettini» dico io alla cassiera.

    «E la signora Adriana?» mi chiede Sam.

    «Allora il messaggio non l’hai letto...»

    «Sapete già come funziona?» ci domanda la cassiera.

    «Sì, grazie» rispondo mentre metto le monete sul banco e Sam paga la sua quota con una banconota.

    «Questo datelo ai bagnini per i lettini» ci ricorda comunque lei. «All’uscita, quando li riconsegnate, ve lo fate timbrare e qui in cassa vi restituiamo la cauzione.»

    Io prendo lo scontrino che ci sta indicando e i due braccialetti verdi di carta, Sam il suo resto, e insieme ci avviamo verso l’entrata, pochi passi alla nostra sinistra.

    «E adesso vediamo un po’ dove ci hai portato» commenta Sam mettendo via il portafoglio.

    «Ricevi troppi messaggi, che poi equivale a non riceverne nessuno» replico io riallacciandomi a un discorso già fatto altre volte. «Li leggi alla velocità della luce ed è come non averli letti.»

    Il ragazzo davanti all’ingresso dice: «Braccialetti, grazie», io glieli passo, lui ne allaccia uno al polso di Sam e uno al mio, mentre ancora mi ostino a riaffermare la verità: «E comunque non ho scelto io questo posto. La signora Adriana viene sempre qui con Ume, noi ci stiamo semplicemente unendo a loro, lo sai».

    Oltrepassiamo il piccolo atrio rettangolare che immette all’interno. Sam si ferma, guarda a destra e a sinistra, si porta una mano al petto e fa ripetutamente segno di no con la testa.

    «Mic, ritiro quello che ho detto circa il fatto che oggi non sembri tu. Non c’è nessun dubbio invece, sei tu al cento per cento. Oh, sì, eccome, un posto così lo puoi scegliere solo tu.»

    Quanta pazienza ci vuole? Del resto, le sfide richiedono nervi saldi e ostinazione. «Adesso fammi il favore di dirmi dove vanno quasi tutti i giorni da due settimane Ume e la signora Adriana. Dai, sentiamo.»

    «Qui, lo so» risponde Sam che ha mosso appena qualche passo, e continua a voltarsi in tutte le direzioni, come se fosse di fronte a qualcosa d’incredibile. «Ma loro due ci vengono perché Ume abita a dieci minuti da qui e perché per la signora Adriana è comodo da raggiungere. Loro ci vengono per questo. Tu no, tu ci vieni perché questi sono esattamente i posti che piacciono a te. Non puoi negarlo.»

    Taccio, perciò non nego.

    «Dove siamo, Mic? È irreale, assurdo.»

    « Quando, più di dove. È il quando il punto cruciale. Lo so che non suona bene, ma Quando siamo? è la domanda fondamentale. Non ti sembra di essere in un luogo fuori dal tempo? Quando siamo?»

    Sam non smette di guardarsi freneticamente intorno.

    «Ti ricordi l’installazione alla Biennale, quella che tu e la signora Adriana mi avete spedito a vedere durante il nostro weekend a Venezia? Al centro dell’installazione c’era la cabina spalma-crema, che però non era più un dispositivo simile a un autolavaggio per l’applicazione della crema solare, com’è sulle spiagge. Era piuttosto una camera delle meraviglie piena di oggetti, alla fine della quale si procedeva tra le spazzole in una sorta di rito di passaggio. E poi c’era un’invisibile goccia che cadendo sembrava ritmare il tempo della vita, c’era una clessidra in cui la sabbia era tutta depositata sul fondo, c’erano i video che ci trasportavano in riva al mare, uno nitido prima dell’entrata nella cabina e l’altro subito dopo con le immagini sbiadite, forse appartenenti a un’altra epoca, e all’uscita dell’installazione compariva la scritta Che stagione è questa?. Ecco, quando siamo, che stagione è questa?»

    Io parlo mentre Sam continua a guardarsi intorno.

    Non capisco cosa catturi la sua attenzione, se riesca a cogliere l’insieme o se stia cercando di distinguere i particolari, se veda la grandiosità di quest’ambiente con il soffitto voltato a botte e ampie vetrate opache, se abbia notato la zona centrale cintata da un muretto verdolino sovrastato da una grata alta due metri. Proprio davanti all’ingresso c’è l’uscita che porta all’esterno, ma per raggiungerla bisogna girare tutt’intorno a questo rettangolo off limits. Cosa racchiuda non saprei dirlo, anche se mi fermo sempre a scrutare oltre la recinzione. Ci sono degli oggetti, tutti uguali, simili a tanti attaccapanni in fila, di quelli che si trovano nelle strutture sportive, ma senza panche. Ognuno di loro ha una decina di grucce sulla sbarra metallica superiore e una decina sulla sbarra al centro, e sopra ogni gruccia c’è una targhetta con un numero o una sigla. Ignoro se siano davvero degli attaccapanni, forse no, anche se non so immaginare cos’altro potrebbero essere. La verità è che li vedo e mi interrogo, ma quello su cui mi soffermo di più fuori e dentro il recinto è la luce che scende dalle vetrate in alto.

    Potrei approfittare della presenza di Sam che di architettura, design, arredamento e simili ne sa infinitamente più di me, già, potrei approfittarne per cercare di mettere meglio a fuoco la porzione di spazio di fronte a noi, ma proprio ora Sam borbotta qualcosa sul fatto che questo posto cade a pezzi e che essere fuori dal tempo, come ho detto prima io, è una cosa ben diversa.

    «Ti sbagli» replico. «Guarda la luce. E smettila di girare come una trottola. Fermati un momento, entra in sintonia con il luogo. Guarda com’è immobile la luce. Come se stesse galleggiando...»

    «Quella che vedi galleggiare non è luce ma polvere.»

    «Perché è una luce pulviscolare, vedi che l’hai capito anche tu?»

    «Non tentare di coinvolgermi nei tuoi stravedimenti.»

    «Una luce stanca, ovattata, che arriva da chissà quando, traslata da altri anni, da un’altra stagione, come di novembre in questa giornata di luglio. Una luce che ha perso impeto e trattiene in sé una carezza di compassione. Come se ogni cosa fosse passata ma la luce fosse restata qui ad aspettare.»

    Continuano a entrare persone dietro di noi, Sam si distrae, si volta verso di loro, le segue con gli occhi.

    «Sai che luce è questa, Sam? Questa è la luce dei posti in cui da un istante all’altro la vita si è interrotta. I posti inspiegabilmente e improvvisamente abbandonati. Non quei luoghi in cui l’attività cessa e che vengono svuotati o addirittura smantellati per fare spazio a qualcos’altro, no, quei posti dove tutto è rimasto com’era un secondo prima, quando l’ultima persona è uscita convinta di rientrare cinque minuti dopo o il giorno seguente, tant’è vero che ha lasciato una tavoletta di cioccolato aperta, le parole crociate con la penna in mezzo a tenere il segno, la fotografia di un paesaggio, un cappello sull’appendiabiti, il vaso con i fiori freschi... Ed è come se invece all’improvviso tutti se ne fossero dimenticati, nessuno è tornato a chiudere la finestra che era stata spalancata per cambiare un po’ l’aria, a prendere il computer acquistato appena da qualche settimana, come se quel posto fosse precipitato in un’altra dimensione.»

    «Senti, non dirmi che questi sono gli spogliatoi. Ma li vedi i muri?» mi chiede Sam che ha ripreso la sua esplorazione. «Perché la luce sarà anche stanca, però illumina abbastanza da mettere bene in evidenza tutti gli aloni sulle pareti. Ma cos’è, un muro a macchie di dalmata? È La carica dei 101

    «Staresti bene nei panni di Crudelia De Mon... Per l’acconciatura puoi sempre chiedere consiglio alla signora Adriana, anche se lei è una Crudelia De Mon con la divisione tra capelli bianchi e neri in orizzontale e non in verticale.»

    Sto allo scherzo, ma penso che Sam non stia cogliendo il nocciolo della questione e mi dispiace.

    «Ci saresti solo tu, Mic, a voler salvare i poveri muri dalmata dall’assalto dell’impresa di ristrutturazione De Mon...»

    «A parte tutto, non trovi che quest’edificio sia bellissimo, Sam? Guarda com’è imponente con il soffitto così alto, le tre volte a botte, le vetrate nell’arcata superiore.»

    «A parte tutto?»

    «Di una bellezza struggente?»

    «A parte tutto, non rimane niente, Mic.»

    «Non dire sciocchezze.»

    «Questi sarebbero davvero gli spogliatoi?» mi domanda di nuovo indicandoli e fissandosi su piccoli dettagli insignificanti. «Questi bugigattoli con i muri dalmata, e dentro uno sgabellino di plastica bianca che mette in evidenza come il bianco delle pareti sia ormai di tutt’altro colore, di tanti altri colori, per la precisione, perché ce ne fosse solo uno...»

    «Ogni volta che entro qui dentro ho la sensazione di essere chissà dove all’inizio del Novecento, forse in un sanatorio. Non fa anche a te quest’effetto?»

    «Per fortuna no. Non so che idea abbia tu dei sanatori, Mic, ma viste le pessime condizioni igieniche qua non avremmo alcuna chance né di risanarci né tantomeno di sopravvivere.»

    «Oh, insomma, smettila di indicare le pareti! Non impuntarti sulle inezie. Quando siamo secondo te?»

    «Quando siamo, vuoi sapere? Be’, almeno trent’anni fa... Quasi mi stupisco che non ci siano vetrate rotte. Hanno dei graffiti, certo, ma almeno non sono rotte. Molto meglio di questi muri che non vengono ridipinti e sistemati da decenni.»

    «No, dai, Sam, parlo sul serio, non farti condizionare dalle carenze della gestione, dall’incapacità di conservare un patrimonio, dall’assenza d’immaginazione e lungimiranza dell’amministrazione. Gli inetti rovinano i luoghi, ma non devono limitare la nostra fantasia, perché quando l’avranno limitata, ecco, non ci saranno più sbocchi, esisterà solo il presente e dovremo fare con il poco o con il tanto che ci daranno e il poco e il tanto dispensato dal potere o dalla politica, per poco o tanto che siano, non sono mai sufficienti. Quindi adesso fammi la cortesia di guardare oltre il tuo naso.»

    «Sono d’accordo, Mic.»

    «Un’eccezione alla regola...»

    «Quindi smetti una buona volta di tenere quella mano davanti a frenare il futuro, perché se non può esistere solo il presente non te ne puoi nemmeno stare sempre a rimirare il passato. Dimmi qual è il senso di venire qui, di vedere in quest’edificio cadente un sanatorio di un secolo fa...»

    «Te lo ricordi? Noi siamo un treno del passato che viaggia nel presente.»

    «Tu sei un treno del passato che viaggia non so bene

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1