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Vacanze ad Arbatax
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Vacanze ad Arbatax

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About this ebook

Mirko Relli, un trentenne di Carbonia, viene ritrovato morto in una piscina di un resort di Arbatax, in Sardegna. Per caso si trovano lì in vacanza le inseparabili amiche Stella e Margherita con le loro famiglie. Se sarà Margherita a ritrovare il cadavere, le indagini saranno condotte dalla brillante psichiatra Stella Ferranti come sempre coadiuvata dal giovane e scaltro investigatore privato Riccardo Conte. Vent’anni prima, una strage coinvolse la famiglia Dell’Acqua a Carbonia e subito emerge un collegamento fra i due crimini. Quale legame c’è fra questi omicidi avvenuti così lontani nel tempo? Cosa aveva scoperto Mirko Relli di tanto grave da dover essere ucciso? In “Vacanze ad Arbatax”, Giuliana Carta disegna un giallo appassionante, senza la pesantezza scontata del noir. Invece accompagna le indagini a dialoghi brillanti, e una trama complicata a una scrittura leggera e piacevole, a un nugolo di personaggi vividi e ben caratterizzati. in copertina: Woman at poolside@ haveseen

Giuliana Carta è nata a Domusnovas nel 1977. È laureata in Medicina e Chirurgia e specialista in Psichiatria. Lavora presso il Dipartimento di Salute Mentale di Carbonia. È sposata con Fabrizio e ha due figli: Gloria Rita e Filippo. Nel 2017 ha pubblicato (tramite self publishing) il romanzo giallo “Il convegno degli orrori”, in cui per la prima volta compaiono i suoi due protagonisti, Riccardo Conte e Stella Ferranti. Nel 2018 ha pubblicato con AmicoLibro il secondo dei suoi romanzi gialli, “L’ultima Corsa”. Tra i suoi autori preferiti figurano Agatha Christie, Stephen King, Alessia Gazzola, Joel Dicker.
LanguageItaliano
PublisherAmico Libro
Release dateOct 15, 2023
ISBN9788892599697
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    Vacanze ad Arbatax - Giuliana Carta

    GIULIANA CARTA

    VACANZE AD ARBATAX

    AmicoLibro

    Giuliana Carta

    Vacanze ad Arbatax

    Proprietà letteraria riservata

    l’opera è frutto dell’ingegno dell’autore

    © 2019 AmicoLibro

    Vico II S. Barbara, 4

    09012 Capoterra (CA)

    www.amicolibro.eu

    info@amicolibro.eu

    Prima Edizione gennaio 2019

    Prefazione

    Capitolo I

    Capitolo II

    Capitolo III

    Capitolo IV

    Capitolo V

    Capitolo VI

    Capitolo VII

    Capitolo VIII

    Capitolo IX

    Capitolo X

    Capitolo XI

    Capitolo XIII

    Capitolo XIV

    Capitolo XV

    Capitolo XVI

    Capitolo XVII

    Epilogo

    Ai cari pazienti della

    Psichiatria di Carbonia

    "Ognuno di noi è una luna: ha un lato oscuro

    che non mostra mai a nessuno".

    Mark Twain

    Prefazione

    Mirko Relli, un trentenne di Carbonia, viene ritrovato morto in una piscina di un resort di Arbatax, in Sardegna.

    Per caso si trovano lì in vacanza le inseparabili amiche Stella e Margherita con le loro famiglie. Se sarà Margherita a ritrovare il cadavere, le indagini saranno condotte dalla brillante psichiatra Stella Ferranti come sempre coadiuvata dal giovane e scaltro investigatore privato Riccardo Conte.

    Vent’anni prima, una strage coinvolse la famiglia Dell’Acqua a Carbonia e subito emerge un collegamento fra i due crimini.

    Quale legame c’è fra questi omicidi avvenuti così lontani nel tempo? Cosa aveva scoperto Mirko Relli di tanto grave da dover essere ucciso?

    In Vacanze ad Arbatax, Giuliana Carta disegna un giallo appassionante, senza la pesantezza scontata del noir. Invece accompagna le indagini a dialoghi brillanti, e una trama complicata a una scrittura leggera e piacevole, a un nugolo di personaggi vividi e ben caratterizzati.

    L’abile scrittrice ci condurrà insieme a Stella e Riccardo a dipanare l’intricata matassa di silenzi, gelosie e tradimenti, con numerosi colpi di scena che terranno il lettore in bilico fino all’ultima riga.

    Roberto Sanna

    Capitolo I

    Vent’anni prima

    Mentre percorreva il marciapiede spazioso, delimitato dalle fioriere collocate sul bordo, colme di gerani dai colori tenui e delicati, Pietro Musa si domandava cosa stesse preparando per cena sua moglie Camelia.

    Non che le sue pretese fossero eccessive, ma rientrando dal lavoro, verso le cinque come sempre, aveva notato la presenza, dentro il portavivande in legno, di un’abbondante quantità di melanzane che traboccavano da una busta di nylon azzurra. Così in cuor suo aveva alimentato la speranza che Camelia, sua moglie da oltre trent’anni, quella sera avrebbe cucinato il suo piatto preferito: le melanzane ripiene. Questi erano stati i pensieri del rientro in un afoso pomeriggio di luglio; in seguito Pietro, dopo aver fatto la doccia ed essersi pettinato davanti allo specchio del vestibolo, aveva accantonato quei pensieri per imboccare il portone principale di casa; infine aveva tenuto fede al quotidiano appuntamento con gli amici al bar La tazza d’oro, incontro che si svolgeva abitualmente attorno alle 19.

    Pietro Musa era un uomo riflessivo e abitudinario. Lavorava in miniera, aveva una moglie casalinga, si era sposato all’età di vent’anni e non aveva avuto figli. E, poteva concludere con un buon margine di sicurezza, era pienamente soddisfatto di ciascuna di queste quattro condizioni.

    Del fatto di lavorare in miniera, perché aveva uno stipendio certo e puntuale ogni mese, e, inoltre, il fatto di svolgere una mansione ritenuta logorante rendeva ormai prossima la pensione.

    Del fatto che Camelia facesse la casalinga si compiaceva, perché pensava che uno dei piaceri maggiori per un uomo fosse far rientro nella casa coniugale e trovare i mobili e i pavimenti puliti, la cena pronta servita sulla tavola imbandita e un delizioso profumo di lavanda che emanava dagli ambienti lustri e minuziosamente curati.

    Era soddisfatto di essersi sposato giovane, con una donna altrettanto giovane, e di non aver mai debordato dai recinti sentimentali della propria vita matrimoniale.

    No, le storielle extraconiugali, fatte di sesso, di passione e di chissà che altro, non facevano per lui. Le lasciava ai giovani, che spesso trascuravano completamente il fatto di essersi uniti nel sacro vincolo matrimoniale con una donna, e una sola. Era di quella risma anche il loro medico di base, il dottor Dell’Acqua, che a esser sinceri sua moglie Camelia adorava; ma la cosa non destava in Pietro la minima preoccupazione, perché si rendeva conto che il dottorino - così lo chiamavano entrambi - apparteneva a un mondo distante anni luce dal loro, sebbene fosse spesso presente nelle frasi pronunciate dalla moglie con sincera e ingenua ammirazione.

    Infine, Pietro era soddisfatto anche del fatto di non avere figli. Sì, poteva sembrare strano, ma era così. Dopo sposati, lui e Camelia per un po’ avevano inseguito il sogno di mettere al mondo un bambino. Poi, dopo mesi, avevano preso atto che la creatura non arrivava, senza per questo sollevare particolari perplessità. Erano passati anni, e il figlio non aveva mai fatto ingresso nella loro vita. Pietro stava bene con se stesso e con la moglie, ma si domandava se Camelia la pensasse allo stesso modo. Così, una sera, le aveva chiesto se voleva adottarne uno. L’idea di proporle qualcuna delle moderne tecniche per sopperire alla sterilità non l’aveva nemmeno sfiorato, perché Camelia era una donna semplice come un fiore di campo. E infatti, con la sua schietta genuinità la donna l’aveva guardato con gli occhi ridenti e puliti e gli aveva chiesto:

    Ma a te dispiace non avere figli?

    No, aveva risposto Pietro, innamorato più che mai. A me basti tu.

    E per me è la stessa cosa, aveva replicato Camelia.

    Così, l’argomento prole si era chiuso per sempre, fagocitato dall’affetto e dalla stima che i due coniugi nutrivano l’una per l’altro.

    E ora, a cinquantaquattro anni suonati, Pietro Musa poteva ritenersi un uomo felice senza alcuna riserva. Certo era che nella sua imperturbabile e serena quiete, l’uomo quasi pensionato non immaginava quali vicende si stessero consumando nella propria città, a Carbonia, in particolare nella villa le cui mura e le cui inferriate erano coperte di edera e rigogliose piante di glicine.

    Non immaginava quali segreti si celassero dietro le finestre serrate, ed entro le mura dipinte di rosa antico, della villa in cui dimorava la famiglia Dell’Acqua, che di lì a poco sarebbe stata sbattuta in prima pagina nei principali quotidiani locali.

    In breve, Pietro Musa non pensava affatto che all’interno della dimora elegante e sontuosa si sarebbe dipanato di lì a poco un crimine, che i giornalisti avrebbero definito senza troppi orpelli uno dei più crudeli ed efferati svoltisi nel ventesimo secolo…

    Stessa mattina, h 11.00.

    Katiuscia Dell’Acqua giunse a casa a bordo della propria Fiesta nuova fiammante color blu scuro, e parcheggiò l’auto sotto il gazebo giallo, nutrendo nel contempo seri dubbi attorno a quale fosse la distanza giusta da calcolare rispetto alla Volvo del marito Piernicola. La titubanza tradiva un atteggiamento che la opprimeva ogni volta che per qualche motivo doveva rapportarsi al marito, brillante medico di base che forniva la propria assistenza a un ampio numero di pazienti nella cittadina di Carbonia.

    Katiuscia scese dalla vettura, aprì la portiera posteriore e trascinò dalla superficie del sedile una busta piena di verdure, frutta e pane. Non mancò di domandarsi se Piernicola avrebbe avuto da ribattere su quanto aveva riempito una singola busta, sulla qualità della frutta e della verdura, e, infine, sulla tipologia del pane scelto.

    Katiuscia Dell’Acqua era una donna pallida e minuta, dai lunghi capelli castani che quel giorno aveva deciso di raccogliere in una morbida treccia, e gli occhi di un colore a metà tra il verde e il nocciola. Era carina, ma i dubbi che costantemente la insidiavano come spine infilate nei gracili fianchi le conferivano un’espressione piuttosto sofferente, che ne sminuiva la giovane bellezza. Katy - come tutti la chiamavano - era perfettamente cosciente di ciò; ma purtroppo non aveva abbastanza armi da adoperare contro un’esistenza che la vedeva piccola e sparuta al cospetto di suo marito, un uomo simpatico, seduttivo e bello.

    Certo, era stata lei a scegliere quella strada; era stata felice di sposare un medico, e ancora più felice di dare alla luce due bambini; ma malgrado ciò, e nonostante gli agi che la condizione economica di Piernicola le consentiva di sostenere, col tempo aveva dovuto rassegnarsi al fatto che la posizione in cui si trovava non era poi così vantaggiosa.

    La donna era, in fondo, una casalinga e una mamma; due lavori che colmavano di gioia e di soddisfazione la vita di tantissime donne. Eppure Katy, raffrontando se stessa al marito, che lavorava circa nove ore al giorno, andava spesso a convegni e a corsi di aggiornamento, anche all’estero, e soprattutto riceveva quotidianamente migliaia di riconoscimenti in forma di sorrisi carichi di rispetto e di ammirazione, non riusciva a fare a meno di sentirsi una nullità.

    Proprio così; Katiuscia Dell’Acqua si sentiva, almeno una volta al giorno, una nullità.

    Così, col tempo, aveva iniziato a detestare la propria vita; ma lo faceva in silenzio, in modo che Luca e Andrea - i suoi bambini - non se ne accorgessero. Per salvare almeno loro dal profondo dolore che covava nell’animo.

    Con la chiave color giallo oro, la donna aprì la porta a vetri dagli infissi bianchi lucenti che dava sul retro, ed entrò in cucina. Posò la busta della spesa assieme alla borsetta a secchiello marrone sulla penisola di marmo, accanto alla biscottiera bianca a fiori rossi, e si voltò, richiamata dal rumore prodotto da qualcuno che bussava, con tocco leggero, sui vetri della porta socchiusa. Aprì, e si trovò di fronte una donna mai vista prima di allora. Alta, chiara di carnagione, capelli rossi e volto cosparso di lentiggini, la donna la fissava con aria risoluta, e pareva non volerne sapere di staccare gli occhi di dosso a Katy, neppure per un secondo.

    Buongiorno, la salutò Katy dopo un istante di esitazione, posso sapere chi è lei?

    La signora lentigginosa, che pareva sua coetanea, dunque doveva avere circa trentacinque anni, continuò a guardarla con insistenza. Poi ignorò il saluto e si presentò.

    Mi chiamo Loredana Siotto.

    Il nome appena pronunciato schioccò nelle orecchie di Katy come un colpo di frusta. La donna sentì che stava arrossendo, e per un attimo pensò di essere in procinto di svenire.

    Oh, stia tranquilla, le disse Loredana Siotto, non ho intenzioni bellicose. Piuttosto, gradirei, se me lo permette, non parlare qua fuori. Posso entrare?

    Katy impiegò qualche secondo per riaversi. Poi, raccolte le proprie nozioni di buona educazione, invitò la sconosciuta a entrare.

    Entri, prego.

    Di malavoglia le offrì uno degli sgabelli collocati sotto la penisola, ma la Siotto rifiutò con un cenno del capo.

    Non ho intenzione di passare qui molto tempo. Come avrà capito, o come già saprà, sono la moglie di Cesare.

    Cesare Siotto era il giardiniere assunto dai Dell’Acqua da circa un anno. Katy annuì in maniera quasi impercettibile.

    , rispose cercando di non rimanere imbambolata più di quanto già non fosse, L’avevo intuito.

    Loredana Siotto stava in piedi di fronte a lei, con gli occhi chiari investiti dalla luce del giorno che brillavano di qualcosa di più, qualcosa come l’amarezza, o forse il risentimento. La donna indossava una canottiera bianca rallegrata da spruzzi di strass, un paio di jeans chiari e calzava delle espadrillas con le zeppe, quel modello da legare attorno alle caviglie. Indossava sempre - di mattina, di pomeriggio e di notte - scarpe col tacco o con la zeppa, perché aveva il complesso delle caviglie grosse e le avevano sempre detto che una scarpa rialzata slancia e assottiglia.

    Suppongo che le dovrei mostrare deferenza, giusto? domandò ironica la Siotto. Lei è una dei datori di lavoro di mio marito.

    Katy si sentì piccola come una formichina in un prato.

    O che addirittura la dovrei ringraziare, proseguì Loredana. Giusto?

    Colpita come da una stilettata, Katiuscia si guardò attorno ed ebbe la forza di pensare che si trovavano in casa sua. E questo era senza ombra di dubbio l’unico punto a suo favore nella disputa che fino ad allora aveva assunto le sembianze di un monologo.

    Signora Siotto… c’è qualcosa che vuole dirmi? domandò cercando di imprimere alla sua voce una cadenza quanto più possibile ferma.

    Loredana scosse la testa, senza cessare di guardare Katy. Le parve di intravedere un velo di lacrime stendersi negli occhi dell’interlocutrice.

    Sa che io e Cesare siamo sposati da undici anni? domandò la Siotto.

    Katy non si sbagliava. Anche il tono sapeva di pianto.

    , replicò abbassando lo sguardo, lo so.

    E che abbiamo un figlio di dieci anni? domandò ancora la signora Siotto.

    So anche questo.

    L’atmosfera era densa di tensione. Loredana, che inizialmente era parsa a Katiuscia una donna controllata nell’espressione delle emozioni, pareva ora un cumulo di polvere da sparo, pronta ad esplodere da un momento all’altro.

    E nonostante questo non si fa problemi a scopare con mio marito. Giusto? domandò ironica.

    Aveva… aveva detto, rispose impaurita Katy, di non avere intenzioni bellicose

    Loredana si sorprese, pur senza darlo a vedere, dell’atteggiamento della signora Dell’Acqua. Aveva calcolato tutto - ma proprio tutto - come possibile reazione. Che Katy si mostrasse impassibile e spavalda, che urlasse, che piangesse invocando l’ineluttabilità dell’amore sincero, persino che la mandasse fuori in malo modo. Ma non aveva calcolato che la rivale avrebbe ostentato una paura così evidente.

    Infatti non ne ho, stia tranquilla, disse a Katy.

    E… e allora che cosa vuole da me? domandò Katiuscia; e non ottenne subito risposta.

    Non ci crederà, ma non voglio grandi cose, ribatté Loredana. Sono venuta qui con un caos di pensieri nella testa e nemmeno un po’ di ordine, e ora mi accorgo che volevo solo una cosa.

    Katy deglutì.

    E… cosa? domandò.

    Guardarla negli occhi, replicò la Siotto, chiederle se sapeva che Cesare è un padre e un marito prima ancora che un amante. E vedere cosa si legge nel suo volto.

    E cosa si legge?

    Una grande paura, replicò. Ma anche una grande confusione. Non mi aspettavo che lei fosse così.

    Se non mi avesse inflitto il colpo più doloroso della mia vita, proseguì la Siotto, quasi avrei compassione per lei.

    Il tono assunto era vagamente conclusivo. E infatti la ragazza con le lentiggini si voltò e afferrò lentamente la maniglia della porta a vetri.

    Credeva che non avessi sentimenti?

    Katy aveva quasi gridato, questa volta. Senza voltarsi e senza lasciare la maniglia di ottone Loredana replicò:

    Non ho detto questo.

    No! esclamò in lacrime Katy. Lei è venuta solo… per farmi del male.

    Loredana si voltò di scatto e rivolse alla padrona di casa un’occhiata intrisa di odio.

    Io le ho fatto del male? domandò astiosa.

    Si fissarono per un minuto intero. E di colpo, ognuna di loro si accorse di essere solo lo specchio dell’altra, lo specchio del dolore profondo e struggente che le attanagliava entrambe.

    E per un istante, furono solo due donne che piangevano.

    Dentro una piccola cucina, comprese nei confini di un tempo che poteva durare un secondo, un’ora, o forse un per sempre, due donne singhiozzavano colpite dallo stesso dolore.

    Stesso giorno, ore 14.00.

    Katy aveva appena riordinato

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