Guadagnola sul Nilo
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Guadagnola sul Nilo - Sergio Lucchetti
LO
PARTE PRIMA
1. In missione a Sorino
Pensai che dopo più di tre ore di guida sotto quel sole maledetto, un caffè freddo e una pastarella all’autogrill avrebbero migliorato un viaggio diventato sfiancante e forse placato il mio mal di testa; inoltre davo modo alla mia R4 di tirare un po’ il fiato. Mi fermai. Mentre il barista sfranto da troppe ore in piedi mi serviva in un bicchiere sporco di rossetto qualcosa di scuro che ricordava lontanamente quello che avevo ordinato, la mia fantasia incominciò frenetica a comporre e a scomporre immagini, a mischiare voci e suoni, a riproporre volti e luoghi. Era ormai diventato un passatempo. Mi venivano alla mente quei film dove giornalisti intrepidi e sprezzanti del pericolo viaggiavano con aerei da una parte all’altra del mondo sfiorando bombe e raffiche di mitra per raggiungere le zone di guerra e intervistare i capi guerriglia. Per me, che stavo bevendo quella schifezza in un desolato autogrill della Calabria, il rischio più grosso era rappresentato da una fastidiosissima colite.
- Per Sorino ci vuole ancora molto? - gli chiesi.
- La seconda uscita, 14 chilometri.
Bene, ero quasi arrivato. Il giornale mi aveva mandato in questo paesino nella provincia cosentina per conoscere e intervistare il mago Tony, al secolo Antonio Di Cuorno, che operava in loco da molti anni. I suoi pazienti, la gente che si rivolgeva a lui come a un asceta, non venivano soltanto dai paesi vicini, ma grazie alla sua fama di guaritore e a un sapiente lavoro di marketing il suo bacino d’utenza negli ultimi anni si era allargato a tutto il Sud. Guariva da malattie, risolveva problemi di cuore, di denaro e tutto con il solo fluido del palmo della mano e qualche polverina. Qualcuno, ingenuamente, rendendone ancora più efficace la spinta pubblicitaria, parlava dei ‘miracoli del mago Tony’. Si raccontava che ultimamente, per sbrigare più pratiche possibili, svolgesse il suo lavoro direttamente per via catodica dalle antenne di Tele Sorino, naturalmente di sua proprietà. Ma l’uomo, in una telefonata del giorno prima, mi era sembrato, a dispetto della ridondanza del suo curriculum, molto umile ed educato.
-…quindi questa settimana avremmo intenzione di inserire in pagina cultura la sua intervista dove, ecco, lei racconta delle sue… delle sue…
- Delle mie gesta?
- Sì. Sì delle sue… Se lei è d’accordo io arriverei per le dieci domani mattina, che cosa ne dice?
- Voi siete incontrastato sovrano della mia vita e io domani mattina sarò lieto di accogliervi in via Garibaldi 16 a braccia aperte con la mia fede e la mia devozione. - No, per carità, dovere. A domani, allora.
Da un lato ero molto incuriosito dall’incontro con questo personaggio e dal modo in cui avrebbe raccontato della sua carriera di mago, dall’altro ero avvilito per la qualità del reportage e per le responsabilità minime che il giornale mi assegnava. Il mio sogno era sempre stato quello d’intervistare le grandi figure della politica internazionale sulle cui spalle si reggevano le sorti del mondo o, al limite, i grandi sportivi che con le loro gesta avevano fatto sognare e divertire intere generazioni, o ancora, fare un grande scoop sul musicista del momento… Ma per ora bisognava accontentarsi del mago Tony.
Imboccai l’uscita e un cartello diceva ‘Sorino, 21 chilometri’. Sperai che non fossero tutti di curve: sapevo che il ridente paesino era situato un po’ in alto rispetto all’autostrada, perciò bisognava salire.
Non erano tutte curve; erano tutti tornanti!
Al quarto chilometro iniziai a innervosirmi. Al settimo lanciavo improperi al signor Di Cuorno e a chi lo definiva un santone. All’undicesimo maledicevo il mio lavoro e il mio giornale. Poi per fortuna, a cinque chilometri da Sorino, la macchina si fermò. Bene: non c’era niente che potesse andare peggio.
Aprii il cofano, ma solo perché sapevo che il motore era davanti, e tutto sembrava in ordine; fili e tubicini erano attaccati, la benzina c’era perché avevo fatto rifornimento dopo il delizioso caffè freddo, quindi non mi rimaneva che richiuderlo e mettermi in attesa di un passaggio fino al paese.
Per venti minuti non passò anima viva e il fatto che fosse sabato pomeriggio non incoraggiava. Presi la borsa e presi a incamminarmi. Cercavo, visto il caldo che faceva, di sfruttare le poche zone d’ombra che la boscaglia regalava, ma dopo i primi duemila metri potevo sembrare tutto tranne un giornalista in missione. Però mi guardavo intorno e la sensazione che davano le montagne circostanti era davvero piacevole. Lecci e castagni la facevano da padroni e non osavo immaginare quale spettacolo cromatico avrebbero offerto in autunno. Era strano pensare che a pochi metri da una grande arteria di scorrimento la natura si fosse conservata intatta. I boschi, in quel maggio del 1985, erano uguali a cent’anni prima e questo per me aveva un certo fascino. E poi il pensiero mi distraeva dalla faticosissima camminata. A un certo punto, proprio sulla punta dell’ennesimo tornante, vidi una cosa che m’incuriosì: sulla montagna di fronte, a circa cinque chilometri in linea d’aria, scorsi un piccolo gruppo di case con una sorta di torre, che poteva essere il campanile di una chiesa, e un grande capannone rosso. Certamente un paesino abbandonato, come ce ne sono a centinaia nel nostro paese, e quel coso rosso era stato sicuramente un grande ricovero per animali, pensai. Facevo ancora qualche considerazione quando sentii il rumore inconfondibile di un motorino.
A guidarlo era un omone sui novanta chili. Anche a tre tornanti di distanza si poteva percepire la disperazione del povero cinquantino che arrancava. Non appena fui raggiunto l’uomo si fermò e dalla domanda arguta che mi fece, in una lingua simile all’italiano, capii che doveva essere una specie di detective.
- È vostra la macchina ferma?
Accidenti che segugio, pensai.
- Indovinato! Devo arrivare a Sorino…
- Dovete arrivare a Sorino?
- Sì, devo arrivare a Sorino. Me lo può dare uno strappo?
- Lo volete un passaggio?
- Sì, appunto, grazie.
Aspettai il momento propizio per montare in sella e quando lui si posizionò più avanti gli chiesi:
- Posso salire?
- Volete salire?
- Sì… salgo.
E partimmo.
Dovetti pattinare per una cinquantina di metri per far prendere un po’ di velocità al povero due ruote, ma partimmo. Ero terrorizzato dal dover avviare una qualche conversazione e quindi aspettai che fosse lui a rompere il ghiaccio. Niente. Si sentivano solamente le urla del piccolo motore. Solo quando vidi il cartello che diceva Benvenuti a Sorino
lo sentii urlare qualcosa nella sua lingua; non capii nulla ma probabilmente mi stava comunicando che eravamo arrivati. Nella piazza mi fece scendere, lo ringraziai molto e m’infilai subito nel primo bar. Il ‘Caffè do Santos’.
Ancor prima di salutare ordinai birra e gazzosa. Il locale era semideserto. Solo due tipi a un tavolino giocavano a carte. Ero in condizioni penose e il barista, un uomo sui sessant’anni, lo sottolineò.
- Fa caldo, eh?
Io bevevo e risposi con un grugnito, poi precisai:
- Mi si è fermata la macchina. Lo troverò un meccanico?
- Sì. Lunedì.
- Ma io devo ripartire, come faccio?
Uno dei due giocatori precisò:
- Oggi trovate il medico e il prete, ma il meccanico ci sta lunedì.
Era un bel problema, soprattutto perché ero sulle spese e due pernottamenti non li avevo proprio previsti; se poi pensavo che l’origine della sciagura era l’intervista al mago Tony, mi fumava veramente di tutto!
- Mi sa dire dov’è via Garibaldi ? - domandai.
Il barista, fatto il giro del bancone si avvicinò alla porta.
- La seconda lì a destra, incontra una piazzetta, subito a sinistra, quella è via Garibaldi. State cercando qualcuno?
- Sì, devo fare un’intervista al mago Tony.
- E allora facete presto, chi sennò n’ce lo trovate - fu l’ammonimento che arrivò dal tavolino dei giocatori.
Io, non afferrando il sottile sarcasmo, alzai la mano come a ringraziare del consiglio. Finii l’ultimo sorso e pagai.
- Mi scusi, ho visto quel gruppo di case sul fianco dell’altra montagna, che cos’è, un paesino abbandonato? - domandai.
Il barista sciacquando un bicchiere rispose serio:
- No, quello non è niente.
Nessuno aggiunse altro. Allora uscii e mi avviai.
2. Il mago Tony
Mi ci vollero tre minuti per arrivare in via Garibaldi. Era questo il grande vantaggio che offrivano i piccoli centri della provincia italiana: in poco tempo si poteva attraversare anche a piedi l’intero paese. L’intervista mi avrebbe occupato al massimo un’oretta dandomi modo di poter dedicare parte del pomeriggio alla ricerca di un meccanico. Ma appena imboccata via Garibaldi ebbi un bruttissimo presentimento. Vidi due macchine dei Carabinieri ferme di fronte a un palazzo; sperai, avvicinandomi, che non si trattasse del numero 16…
Era il numero 16. Sulla soglia del portone era rimasto un carabiniere; forse l’hanno lasciato a guardia dei due mezzi, pensai. Mi stazionai sul marciapiede opposto e mi misi in attesa di scoprire che cosa stesse succedendo. Incominciai velocemente a fare il calcolo statistico per capire quante probabilità ci fossero che i carabinieri si trovassero lì per il mio mago, per qualcun altro o per motivi diversi. Viste le due macchine, l’operazione era da ritenersi di una certa importanza quindi i ‘motivi diversi’, che avevano il 20% di possibilità, erano da escludersi in partenza; rimaneva l’80% , ma da ripartire in egual misura tra maschi e femmine. Restava quindi il 40%, e un buon 35 se lo accaparravano gli uomini fino ai cinquant’anni per reati, vista