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Vivere la VITA
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Vivere la VITA
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Vivere la VITA

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About this ebook

Il racconto essenziale di una straordinaria storia di vita realmente accaduta.
In un modo molto semplice e che prende, accattivante, elettrizzante in alcuni tratti scoppiettante mai noioso ed a portata di tutti - indipendentemente dall'età, estrazione sociale, istruzione, oppure nazionalità -, l'autore racconta la vita per quello che è realmente.
“Un meraviglioso ed affascinante cammino trasversale in tempo e spazio!”
Cammino fatto di: piccole scoperte e grandi crescite, grosse fatiche e dolci momenti tranquilli, sconfitte e vittorie, dolori e gioie, forti terremoti ed interessanti viaggi, importanti rivoluzioni e profondi cambiamenti. Vissuto a viso scoperto con coraggio, determinazione e convinzione, viene raccontato con un linguaggio adatto in ogni suo momento lasciando sempre trasparire con chiarezza il grande amore ed il profondo rispetto per la vita.
Scritto in un continuo crescendo mai stancante, può essere letto in qualsiasi contesto e con qualsiasi disponibilità di tempo trovandosi al suo aggio sui mezzi di trasporto, durante le piccole e grandi pause della giornata oppure nella camera da letto prima di addormentarsi, è comodo in una baita d'avanti al camino ma anche in spiaggia sotto l'ombrellone.
È un libro che si può assorbire a piccoli sorsi oppure in un solo fiato e non finisce prima di donare al meno un qualcosa di importante al lettore.
LanguageItaliano
Publisherlionel cosma
Release dateOct 5, 2019
ISBN9788829583621
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    Book preview

    Vivere la VITA - Lionel Cosma

    http://write.streetlib.com

    Dove è cominciato tutto

    La vita è la cosa più meravigliosa che ci sia mai capitata, l'unica che non ha un prezzo perché impossibile quantificarla.

    Un tesoro inestimabile!

    Il minimo che possiamo fare con un tesoro così bello e prezioso è non disperderlo o peggio ancora rovinarlo, ma se la natura nel suo cammino dell’evoluzione avesse fatto il minimo chissà se la nostra specie fosse mai esistita. Perciò, se la natura è stata cosi clemente nei confronti dell’essere umano noi dovremo essere al meno altrettanto nei nostri confronti per non deturpare il suo grande dono.

    La natura, oltre a lasciarci il risultato meraviglioso del suo grande lavoro, ci ha lasciato anche tutti gli appunti del percorso che ha fatto per arrivare ad un tale risultato. Li ha ordinati con tanta cura e poi racchiusi molto attentamente in una specie di libretto delle istruzioni per il buon uso dell’essere umano.

    Sono istruzioni molto semplici che possono essere capite da chiunque abbia voglia di farlo!

    È un libretto sempre aperto per tutti dove si vede subito e senza troppo impegno che il primo gradino sulla scala dell’evoluzione è occupato dal verbo essere. Continuando la salita senza fermarsi mai, sì vede comparire all’improvviso dopo un po’ di gradini anche il verbo avere. La scala della propria evoluzione sale senza soste, ma da quel punto l’essere e l’avere -i due verbi al centro di tutto nella vita-, non l’abbandonano mai.

    Leggiamo tantissimi libretti delle istruzioni per le nostre proprietà materiali di qualsiasi tipo ed è la cosa più normale che può succedere quando vogliamo capire qualcosa. Impegniamo quasi tutta la nostra vita per produrle ed è giusto rispettarle, curarle e fare tutto quello che serve per avere il massimo dal loro buon funzionamento. Appena letto un libretto -scritto da chi sa tutto sul loro conto perché le ha concepite e create-, mettiamo in pratica quelle regole ma purtroppo non facciamo lo stesso per noi.

    Sommersi in un mare di rumori di qualsiasi tipo e presi dalla corsa frenetica di tutti i giorni, stiamo sempre meno con noi stessi e quasi mai in silenzio per ascoltarci, ancora meno per parlarci e riflettere sta diventando quasi un ricordo.

    Chissà se riusciamo ancora a conoscerci!

    Sembriamo sempre meno interessati a noi stessi ed al nostro più profondo e grazie a questa frenetica corsa fatta quasi in apnea, viviamo cose che sfiorano il paradosso altre che finiscono nel dolore e purtroppo, troppe volte anche nel dolore più assoluto.

    Viviamo il paradosso quando senza nemmeno conoscere le regole giuste, pretendiamo di funzionare bene e con dei buoni risultati. Il dolore è che non ci trattiamo mai con la stessa cura e con la stessa attenzione con quale trattiamo le nostre proprietà materiali.

    Si arriva al dolore assoluto quando dopo che la nostra corsa frenetica è stata fermata da qualche sconfitta nella vita, ci chiediamo mentre siamo ancora a terra -dopo essere caduti-, perché è capitato proprio a noi.

    In quei momenti se abbiamo il coraggio e la maturità di riflettere, la lucidità di farlo nel modo giusto e con sangue freddo, ci rendiamo conto che forse sappiamo più cose sul conto delle nostre proprietà materiali che sul nostro conto. Forse riusciamo a comprendere che siamo a conoscenza di quasi ogni bisogno delle nostre proprietà materiali ma che purtroppo non possiamo dire la stessa cosa su noi stessi e sui nostri veri bisogni.

    Vogliamo forse più bene alle nostre proprietà materiali?

    ….....

    Tutto è cominciato in un posto non troppo lontano in questione di distanza, ma lontanissimo per i modi di vivere perché i modelli di vita di quel posto e di questo posto camminavano in due direzioni totalmente diverse. Erano due direzioni così diverse tra loro che sarebbe stato impossibile incontrarsi e per chi non è mai entrato in contatto diretto con una realtà di quel tipo è difficile poterla immaginare.

    Questo non perché la persona che provasse ad immaginare non avesse le capacità giuste per farlo e farlo bene, ma perché i due modelli di vita erano quasi diametralmente opposti.

    Quel modello di vita si trovava al di là della Cortina di Ferro ed il posto dove è cominciato tutto, veniva chiamato La Valle del Pianto nei tempi della grande crisi economica del millenovecento ventinove.

    È una vallata non molto lunga ed abbastanza stretta nella catena montuosa dei Carpazi Meridionali, il posto dove per centinaia di anni è passato il confine tra la Transilvania e di conseguenza l'Impero Austro Ungarico al nord e la Valacchia, un principato rumeno al sud.

    Il luogo dove sulle sue alture, il romanziere francese Jules Verne ha collocato Il Castello dei Carpazi, uno dei suoi tantissimi romanzi d’avventura.

    All’interno della vallata ci sono sette città di piccola media grandezza quasi attaccate tra loro ed il motivo per quale erano sorte, era il motore che faceva girare tutta la vita lì e cioè, il carbone. Scoperto ed estratto già nei tempi dell’Impero Austro Ungarico, il carbone non aveva mai smesso di essere il protagonista principale, essendo sempre al centro di tutto in quei posti.

    Quella vallata incastonata all’interno delle montagne potrebbe sembrare una cosa opprimente e che toglie il fiato -per chi è abituato ai grandi spazzi-, ma non è così. Le montagne non molto alte e coperte da una ricca vegetazione non schiacciano mai anche se sono così vicine da poterle quasi toccare.

    La prima impressione che si percepisce aprendo le finestre di ogni casa, è che un gigante tutto verde vuole condividere la casa degli esseri umani, ma dandosi il tempo giusto per conoscersi e capirsi, si vede come ognuno rispetta l’altro restando al posto suo e vivendo in sintonia montagna e uomo, uomo e montagna.

    Ogni mattina d’autunno, sì scopriva di avere d'avanti alle finestre un quadro di natura viva molto diverso di quello del giorno prima, un quadro con tutti i colori possibili ed immaginabili che il più bravo pittore sulla sua tela migliore non sarebbe mai riuscito a trovare e stendere così bene.

    C'era la possibilità o forse il privilegio di essere partecipi in ogni momento alla vita della natura che dalla tinta unita di verde intenso, passava attraverso questa combinazione unica e molto ricca di colori per arrivare al grigio povero e freddo delle piante spoglie prima che la neve stendesse il suo manto candido, soffice e compatto.

    Quando accadeva, sembrava che all'improvviso niente e nessuno si muovesse più e che tutto il mondo si fosse fermato per non disturbare e per lasciare i fiocchi di neve -all'inizio piccoli e sparsi ma poi sempre più grandi e fitti-, di scendere lentamente fino a terra e rivestire tutto con raffinata delicatezza. Il vestito era quasi sempre molto spesso e cosi luccicante, morbido e delicato che sembrava un vestito di velluto bianco della migliore qualità, creato dal migliore maestro sarto per rivestire tutto come se fosse una bella principessa siberiana venuta fuori da chissà quale favola.

    Quella bellezza raffinata non si riusciva a gustare quasi mai abbastanza perché andando subito per guardare lo splendido spettacolo nel mattino dopo la grande nevicata, l'occhio restava impigliato in un'opera ancora più meravigliosa. Il gelo confezionava ogni volta dei fiori di ghiaccio così fini e meravigliosamente belli -sulla parte esterna dei doppi vetri delle finestre-, che la miglior artigiana dell'uncinetto avrebbe fatto fatica anche soltanto immaginare.

    Nel giorno in quale la raffinata bellezza dei fiori di ghiaccio cominciava a lasciare spazio a qualche goccia di acqua, si sapeva che in poco tempo i primi pezzi di verde si facevano posto nel bianco assoluto. Le gocce di acqua diventavano sempre più numerose sui vetri delle finestre e quando scomparivano, il colore predominante era il verde con ancora qualche piccola macchia di bianco. Il verde umido e pesante si trasformava velocemente diventando in poco tempo molto fresco, intenso e portando con sé anche le vocine vivaci dei primi uccellini.

    Quando i canti erano più forti, numerosi e diversi tra loro, era il segnale di stare pronti ed attenti per non perdersi quello che sarebbe accaduto da lì a poco.

    Un’esplosione di vita avrebbe oscurato il verde fresco con un numero illimitato di colori belli, forti e vivi, donati con generosità dai fiori di ogni tipo che dal profondo dei prati e fino alle punte degli alberi festeggiavano il risveglio della natura.

    Il lungo letargo era finito e sì festeggiava senza sosta finché diventava tutto così bello e vivo che ogni mattina mentre si gustava con le finestre spalancate l’aria buona e frizzante che inondava i polmoni e la casa, veniva la voglia di invitare il gigante di granito delicatamente rivestito di seta verde ad entrare e diventare parte della propria famiglia.

    Era uno spettacolo meravigliosamente bello, unico, irripetibile e da quando al mattino il sole grosso e luminoso faceva la sua comparsa sopra una montagna e fino alla sera quando in silenzio e quasi di fretta scompariva dietro ad un'altra montagna, ci si rendeva conto del grande privilegio che si aveva nel poterlo vivere.

    Qualche volta -quando ancora molto piccolo cominciavo a farmi le prime domande-, mi chiedevo perché eravamo cosi fortunati di poter vivere tutte quelle meraviglie e di poter avere tutte quelle ricchezze, ma crescendo ed avendo le prime risposte dalla vita mi è sembrato di capire il Perché.

    Osservando la vita di tutti i giorni, sembrava quasi che la natura donasse gratuitamente tutto ciò per ammorbidire ed alleviare un po' la vita molto dura delle persone che popolavano quella vallata, la vita creata dall’essere umano in base alle sue ideologie che ha avuto come risultato l'indurimento di quelle persone. A prima vista e guardando con un po’ di superficialità tutte quelle persone dicevano poco e niente, ma osservate con più attenzione ed in profondità, erano l'esempio migliore di come la natura seguendo soltanto le sue regole perfette va avanti indisturbata nella creazione della sua opera.

    Gli uomini lavoravano quasi tutti nella miniera, facevano i minatori.

    Ogni giorno scendevano a oltre settecento metri all'interno della terra per poter portare a casa il pane per i loro cari. Facevano il lavoro più duro che possa esistere e diventava tutto ancora più duro perché quelle miniere erano le più pericolose in quella parte del mondo.

    Al lavoro finito, alla fine di un lavoro di quel tipo, qualsiasi essere umano scarica in qualche modo le tensioni accumulate ma non quei uomini. Non perché loro non avessero avuto bisogno oppure voluto farlo, ma perché il regime fedele al dittatore non lasciava loro tante possibilità. Inoltre, era impossibile parlare pubblicamente dei loro problemi oppure delle cose da migliorare ed agire in qualche modo era inimmaginabile.

    Erano tutti uomini con dei fisici statuari scolpiti dalla fatica e dal lavoro duro a tal punto ed in tal modo che ognuno di loro era degno di fare da modello al più grande artista per la sua opera migliore.

    Erano tutti dei giganti buoni!

    Era molto difficile per gli uomini vivere quella condizione di vita, ma era ancora più difficile per le donne che per natura sono creature molto più delicate e sensibili.

    Facevano quasi tutte le casalinghe.

    La loro vita si svolgeva dentro casa e fuori c’era soltanto il mercato la spesa ed altre poche cose da vivere nel loro tempo libero. Il progresso tecnico a disposizione non toglieva tanto dal loro lavoro manovale ed avevano un gran daffare tutti i giorni.

    Erano di costituzione fisica molto bella, ma si vedeva come quella vita aspra e dura lasciava molto di più il segno su delle creature delicate come loro, Colpiva molto forte però, vedendo come quelle condizioni estreme non erano riuscite ed intaccare la loro natura di donne.

    Si restava senza parole osservando il loro modo docile di compiere il proprio dovere di donne, ma soprattutto di mamme e come trasmettevano ai propri figli e figlie la loro dolcezza i loro insegnamenti e l’amore.

    Erano uomini e donne di fatica!

    La loro semplicità, naturalezza, genuinità, onestà, sensibilità, senso di solidarietà nei confronti del prossimo e soprattutto il senso del dovere, lasciavano sempre stupiti come le condizioni estreme create dall'essere umano abbiano influenzato soltanto la parte esterna di tutte quelle persone, soltanto la materia dei loro corpi.

    Si poteva vedere bene come la natura che segue soltanto le sue regole nel suo cammino costante, proteggeva la parte interna di tutte quelle persone -uomini e donne-, preservando il loro essere e rendendolo sensibile, sincero e molto forte. La grande opera si vedeva nel suo più profondo quando verso sera nei giorni luminosi e sereni di estate, tutti insieme -uomini e donne-, riempivano nel loro tempo libero le panche d'avanti agli ingressi dei condomini.

    Parlavano sempre tanto ma forse di nulla, perché mentre si parlava ognuno seguiva con la coda dell’occhio lo scenario che li circondava e soprattutto il sole che nel suo cammino offriva uno spettacolo unico mentre si stava nascondendo dietro la montagna. Si aveva la certezza di tutto ciò quando appena scomparso il sole, il primo che salutava tutti e poi scompariva dietro il portoncino per salire in casa, dava il via in silenzio agli altri nel fare la stessa cosa.

    In pochi attimi le due grosse panche erano vuote!

    Il meraviglioso spettacolo della natura era appena finito ed era stato un grande privilegio aver potuto partecipare, averlo potuto vedere per ancora una volta in prima fila.

    I primi ricordi

    Quali sono i primi momenti di vita che ogni persona riesce a ricordare e conservare per sempre non saprei, ma posso dire che i miei ricordi cominciano molto, molto presto ed essendo ancora troppo piccolo succede tutto all'interno della casa dove viveva la mia famiglia: padre, madre e due figli.

    Era una casa non grande ma nemmeno piccola, fatta di: ingresso, cucina, ripostiglio, due camere ed un piccolo disimpegno prima dell'ingresso in bagno.

    La casa giusta per le necessità della nostra famiglia.

    Le camere avevano la pavimentazione in legno e questo creava un senso di accoglienza, calore ed intimità famigliare. Appena ci si alzavano gli occhi dal caldo pavimento, era impossibile non vedere la grandezza delle finestre e soprattutto l’invasione di luce che passava attraverso i loro vetri. Erano tutte orientate verso l'est, lì dove c'è il massiccio montuoso più imponente tra tutti quelli che si trovano sui quattro lati della vallata.

    Guardare lo spettacolo fuori dalle finestre era sempre una cosa bellissima, ma era unica al mattino quando il sole si innalzava da dietro la montagna e faceva sembrare tutto così vicino da poterlo quasi toccare con la mano. Il calore e la luce che entravano in casa, donavano una vitalità, forza e desiderio di vivere che ogni mattina facevano venire la voglia di alzare le braccia al cielo in segno di vittoria e gridare a squarcia gola con le finestre spalancate:

    Vita dove sei?... Perché ho tanta voglia di viverti in pieno anche quest'oggi!

    Alla sera quando da dietro la stessa montagna compariva la luna portava con sé una pace ed una tranquillità indescrivibili, facendo andare a dormire in assoluta serenità e ringraziando per ogni cosa avuta dalla vita in quel giorno.

    Il primo ricordo -come forse quello di ogni bambino- è un po’ birichino ed ogni volta che ci ripenso sorrido partendo dal mio più profondo e finendo con i muscoli facciali.

    Ricordo me e mia mamma seduti a tavola in cucina e dopo aver mangiato -quasi sempre da me ma anche imboccato ogni tanto da lei-, mi portava al letto per il riposino pomeridiano.

    Andare a dormire di pomeriggio era la cosa più spiacevole che mi potesse capitare ed avrei prolungato all’infinito quei momenti intorno al tavolo. Purtroppo, ogni volta finiva nello stesso modo e cioè, io sdraiato sul letto che dovevo dormire.

    Non piangevo e non ricordo di aver mai protestato ma agivo al modo mio.

    Appena al letto, restavo tranquillo e con gli occhi chiusi ma senza la minima intenzione di dormire. Quando mi sembrava di essere rimasto abbastanza tempo, scendevo ed andavo in silenzio dietro alla porta per capire dove fosse mia madre.

    Qualche volta la vedevo subito lavando per terra nell’ingresso o facendo altro e qualche altra volta dovevo uscire dalla camera prima di riuscire a vederla, ma ricordo sempre la stessa fine.

    Sfregandomi gli occhi -come uno che ha dormito per ore-, le dicevo che ho già dormito, mentre lei senza dirmi mai niente mi prendeva per mano e mi faceva fare dietro front.

    Al letto per la seconda volta, scattavano le sue misure di sorveglianza.

    Purtroppo, finiva sempre con me arreso ma in quei momenti è nata la mia prima grande domanda della mia vita, rimasta senza risposta per tanto tempo.

    Come poteva sapere se avessi dormito oppure no?

    Capitava tutto quando ero appena un po' più alto degli sgabelli intorno alla tavola nella cucina ed in casa era tutto molto grande per me . Sembrava tutto quasi gigantesco, cosi come mi sembrava anche mio padre. Molto grande e molto forte, quasi un gigante ma un gigante molto buono.

    Mi piaceva moltissimo quando mi prendeva tra le sue braccia oppure quando veniva a giocare con me. Mi chiudevo ogni tanto un po', perché le sue mani forti e ruvide mi grattavano sulla pelle. Questo però, non cambiava affatto quello che sentivo per mio papà e non aveva nessun effetto negativo su di me.

    Il mio desiderio di stare insieme non diminuiva mai!

    Era sempre più forte ogni volta perché mi sentivo sicuro, protetto, ma soprattutto con la certezza di avere vicino a me un aiuto. Un aiuto sempre pronto, come quando non riuscivo a salire sullo sgabello per sedermi a tavola e mi sembrava lo sforzo più grande del mondo. In quei momenti -quando meno me lo aspettavo-, la sua mano sul mio sederino mi dava una spinta così dolcemente forte che mi sembrava di volare.

    Volevo stare sempre con lui in qualsiasi momento e non l’ho abbandonavo nemmeno nel bagno mentre si faceva la barba. Restavo in piedi immobile sul coperchio del water di fianco al lavandino, senza togliere mai gli occhi dal suo viso. Dalla prima pennellata di schiuma e fino all'ultimo passaggio della lametta, mi assorbivo tutto quasi senza respirare. Osservavo in un silenzio assoluto ogni movimento della sua mano, ogni gesto, ogni piccolissimo particolare.

    Eravamo soltanto noi due ed il mondo non esisteva più!

    Sarei rimasto sempre con mio padre e non riuscivo a capire perché ogni giorno ci lasciava ed andava via. Capivo ancora meno quando questo succedeva di sera ed appena uscito andavamo a dormire da soli. Mi chiedevo perché non restava a dormire con noi e non avevo idea su cosa stese succedendo ogni volta prima che uscisse di casa.

    Eravamo sempre tutti nell’ingresso d'avanti alla porta mentre si preparava e dopo essersi messo le scarpe, baciava prima di uscire me poi mio fratello ed alla fine mia mamma.

    Mi sembrava una cosa tutta strana, come se fosse un rito.

    Ogni volta mi dava quattro baci: in fronte, sulla bocca, su una guancia e poi sull'altra guancia ed in quei momenti mi sembrava meno gigante del solito.

    Soltanto crescendo ho capito che usciva per andare a lavorare ed ogni volta ci baciava facendo il segno della croce, come se quella fosse l’ultima volta in qui ci vedeva. Infatti, capitava molto spesso che mariti e padri uscivano di casa per andare a lavorare e non tornavano più, saldando il caro prezzo che la miniera si faceva pagare.

    Mi sono sempre sentito fortunato perché il mio papà e sempre ritornato a casa dal lavoro fino al giorno in qui non è più andato via. Era arrivato il primo giorno della pensione e soltanto da quel giorno ho cominciato a vivere in totale tranquillità la mia vita.

    Quella tranquillità che ho sempre respirato in casa quando giocavo con le mie macchinine sdraiato sui tappeti che coprivano il pavimento, passando indisturbato da una camera all'altra. Facevo dei grandissimi viaggi conosciuti soltanto a me e ricordo i grandi che per spostarsi passavano con tanta attenzione sopra me che in quel momento mi trovavo sul loro cammino.

    A viaggio finito portavo sempre le mie macchinine nel loro garage -ognuna al posto suo-, trattandole sempre con tanta cura ed attenzione. Erano poche, semplici ma molto belle, il giusto di qui avevo bisogno per stare bene e che non mi è mai mancato.

    Così come non è mai mancato il necessario nella famiglia e la nostra convivenza andava avanti in armonia e con naturalezza. Non si parlava tantissimo e si faceva in modo semplice ed abbastanza essenziale ogni volta. Erano più presenti e molto più importanti i gesti con qui ci si capiva molto bene in tutto ed i risultati si vedevano subito.

    Appena vissuto e capito qualche esempio fatto di gesti, mi sentivo ogni volta più grande, più ricco ma anche più responsabile nei confronti dei miei famigliari.

    Ognuno riusciva a trovare sempre il proprio posto, fare le cose senza disturbare nessuno e soprattutto rispettando gli altri, facendo crescere e fortificando quella convivenza molto equilibrata, tranquilla e pacifica.

    Quei gesti mi hanno aiutato tanto a non sentirmi fuori luogo, estraneo ed impacciato nel giorno in qui tenendo la mano di mia mamma sono uscito di casa la prima volta che ricordo.

    Appena fuori dal portoncino del nostro condominio, mi ha colpito subito e dolcemente forte sul viso un piacevole calore. Nelle orecchie ho sentito all’istante un boato molto forte ma bello, provocato dalle grida dei tantissimi bambini che giocavano.

    Mi sembrava tutto quasi gigantesco in casa, ma fuori era immenso.

    D’avanti all’ingresso sui due lati del marciapiede, c'erano -una di fronte all'altra- due panchine in legno ben curate e colorate con un verde molto fresco. Erano abbastanza lunghe, molto ampie e stavo vedendo che la gente seduta era molto comoda.

    Quasi piene di donne e uomini, mi chiedevo chi fossero tutte quelle persone ma il mio pensiero è stato interrotto proprio da loro. Ognuno mi stava chiedendo un qualcosa e non capivo più nulla, però mi chiedevo come facessero a conoscermi tutti.

    Sui due lati dietro le panchine -larghi quanto la lunghezza delle panchine e coprendo tutta la lunghezza del condominio-, c'erano dei giardini molto belli.

    La terra zappata e lavorata molto fine era di un bel colore marrone scuro e tutto intorno c’era una fascia non larga con erba tagliata bassa e di un verde molto intenso. Era tutto chiuso con una recinzione in ferro alta come me, fatta di tante forme diverse tra di loro e dipinta con dei colori pastello molto belli.

    L'interno dei giardini era pieno di fiori ben curati ed ordinati da molto piccoli e bassi a più grossi ed abbastanza alti. Erano quasi tutti fioriti ed i colori erano così tanti e belli da non riuscire quasi a descriverli. Sembrava che quelli più alti avessero anche un buon profumo e camminano sul marciapiede lungo i giardini -tenendo per mano mia mamma-, l’ho sentito molto bene.

    All’improvviso però, non sapevo se fare più attenzione ai giardini sulla sinistra oppure a quello che vedevo da l'altra parte. Sulla destra, c'era una costruzione molto alta e con tantissime finestre che si è presa subito tutto me. Mi ha riportato nella realtà mia mamma, spiegandomi che quello era un condominio gemello al nostro.

    Sembrava vicino, ma era abbastanza lontano da poter lasciare lo spazio ad un campo su quale sommersi dalla polvere sollevata da loro stessi ed accompagnati da tantissime grida, dei ragazzi molto più grandi di me correvano dietro ad un pallone.

    Era il campo in terra rossa dove appena cresciuto avrei giocato e vinto -insieme ai miei amici del condominio-, tante finali della coppa del nostro mondo di calcio contro le squadre dei condomini vicini o lontani nella città.

    Mentre guardavo affascinato siamo arrivati alla fine del giardino e ho visto una cosa ancora più bella di tutte le altre appena viste. Tra il condominio ed un altro marciapiede, c’era un pezzo di terra abbastanza grosso e con l'erba più alta. Era di un verde fresco, profumata e sembrava molto morbida, ma la cosa più bella era che nell'erba c'erano tanti bambini della mia altezza.

    Appena dentro, mia mamma mi ha lasciato la mano spingendomi quasi delicatamente verso quei bambini. Erano radunati tutti insieme in un bel gruppo e sembrava che si conoscessero, mentre per me era la prima volta.

    Appena arrivato non mi hanno respinto e con tanti gesti e poche parole, mi hanno permesso di avvicinarmi e stare insieme a loro. Hanno subito cominciato anche a parlarmi, ma purtroppo lo facevano tutti insieme e non capivo niente. Erano mischiati maschietti e femminucce ed ognuno di loro aveva in mano un giocattolo.

    È stato tutto molto bello da subito e mi sono sentito accolto perché ognuno mi voleva far vedere quello che aveva in mano, facendomi stare così bene insieme a loro da non ricordare più la presenza di mia mamma.

    Le persone grandi erano vicine da poterci vedere bene, ma abbastanza lontane da non fare parte di quello che succedeva tra noi piccoli in quella erba verde e molto profumata che mi arrivava quasi al petto.

    Quando tenendo la mano di mia mamma siamo andati via per salire in casa, ero molto contento di tutte le cose appena vissute e non vedevo l'ora di ritornare con la mia macchinina preferita per farla vedere e toccare ai miei amici ed alle mie amiche.

    Era molto bello tutto quello che sentivo e dentro il mio petto c'era un qualcosa che si muoveva e saltellava in continuazione. Mi succedeva per la prima volta e non sapevo che cosa fosse, ma quella bella sensazione mi faceva stare ancora meglio.

    Stavo vedendo che mi capitava sempre più spesso ed un giorno è stata così forte da avere quasi paura che venisse fuori dal petto. È successo nel giorno in quale i miei genitori hanno detto che saremmo andati a trovare i nonni.

    Ero felicissimo, curioso ed impaziente!

    Sono andato subito a prepararmi ed ero quasi pronto per partire quando mi hanno fermato, quasi bloccato i miei genitori. Erano sorridenti e divertiti e non riuscivo a capire perché l’avevano fatto, però mi stavo già chiedendo se avessero cambiato idea.

    Nei giorni dopo, stavano succedendo delle cose mai viste prima ed i tavoli si stavano riempiendo con delle cose appena comprate. Alcuni vestiti che di solito stavano negli armadi, erano appoggiati sui divani e sulle poltrone e quando non c'era più spazio per appoggiare niente, mio papà ha cominciato a mettere tutto in dei grossi contenitori. Quando i tavoli, le poltrone ed i divani sono tornati puliti e liberi, mi è stato detto di prepararmi perché stavamo partendo.

    Scesi di casa ed appena fuori dal condominio, mio padre ha cominciato a camminare portando quei due grossi contenitori mentre mia madre teneva per mano me e mio fratello.

    Abbiamo camminato poco affiancando i giardini, il nostro pezzo di terra con l'erba alta e subito dopo abbiamo attraversato il corso. Ci siamo fermati sul marciapiede da l'altra parte insieme ad altre persone e mio padre ha posato i due grossi contenitori. Dopo un po' -come ad un segnale-, hanno cominciato tutti a fremere e all’improvviso si è fermata d’avanti a noi una macchina molto grande.

    Siamo saliti tutti e quella grossa macchina era piena di gente.

    C'era chi stava seduto e chi -come noi-, stava in piedi in mezzo a delle persone molto, molto più grandi di me. Quelle persone così grandi il rumore del motore e le vibrazioni che si sentivano, mi rendevano sempre più rigido.

    La serenità con quale ho sempre vissuto tutte le cose e la gioia perché andavamo dai nonni erano scomparse all'improvviso. Quello che sentivo era una cosa nuova mai vissuta prima, una cosa che non mi piaceva e che mi faceva chiudere sempre più.

    Ho scoperto -quando mio papà mi ha preso in braccio-, che quella grossa macchina aveva finestre dappertutto intorno e che riuscivo a vedere fuori. Le case, i prati, le macchine e tutte le altre cose -che andavano via mentre le guardavo-, mi facevano già stare meglio. Il mio respiro molto corto e veloce è ritornato ad essere quello di sempre, tranquillo da non ricordarmi nemmeno che respiravo.

    Quando la grossa macchina si è fermata ed è scesa tutta la gente, siamo scesi anche noi.

    Mio padre ha preso di nuovo i due grossi contenitori e cominciato a camminare, mentre mia madre lo seguiva dopo aver preso per mano mio fratello e me.

    Pochi passi e ci siamo trovati su un marciapiede molto stretto e con delle recinzioni molto alte sui due lati. Sembrava diviso a metta da una linea e da una parte c'erano le persone che andavano, mentre da l'altra parte c'erano le persone che ci venivano incontro. Erano tutte molto ordinate anche se di corsa, ma quel continuo movimento mi faceva sentire quasi come prima.

    All’improvviso ho visto che il marciapiede dove stavamo camminando era molto alto e sotto passavano delle macchine ancora più grosse, molto rumorose e facevano tremare il marciapiede ogni volta che passavano.

    Il movimento continuo e tutti quei rumori, mi hanno fatto venire di nuovo quel respiro molto corto e molto veloce. In quei momenti però, ho cominciato a sentire un'altra cosa che non avevo mai sentito prima. Era un qualcosa che colpiva il mio petto di dentro con tanta forza e lo faceva in un modo ancora più veloce del mio respiro.

    Erano come delle botte molto veloci una dietro l'altra che non finivano mai, abbastanza forti per poterle sentire ma che non mi facevano nessun male.

    Pochi attimi e ho cominciato a sentire le stesse cose anche nella testa e ad ogni colpo mi sembrava di sentire un rumore forte che veniva di dentro. Mentre quei colpi diventavano tantissimi e sempre più forti, l'unica cosa desiderata era quella di trovare di nuovo la mia pace.

    Stavamo camminando già da un po' quando il marciapiede si è trasformato in una scala e dopo che siamo scesi ci siamo fermati su uno dei tanti marciapiedi messi molto ordinati uno di fronte all’altro.

    Non ho fatto in tempo a capire dove sono e cosa stesse succedendo, perché mentre faceva tremare tutta la terra sotto i piedi ed un rumore da non poter più sentire niente, è comparsa e poi si è fermata d’avanti a noi una macchina immensa.

    Aveva le ruote di ferro e la scala che mi sono trovato quasi d'avanti al naso, era così alta che mio padre ha dovuto prendermi in braccio per farmi salire.

    Dentro era molto più grande dell’altra macchina e c'era uno spazio molto ampio con tanti divanetti per due persone. Due lunghe fila di divanetti messi in coppia vicino alle finestre ed in mezzo uno spazio dove la gente poteva camminare.

    Abbiamo trovato libera una coppia di quei divanetti morbidi, molto comodi e su uno stava già seduto mio fratello vicino alla finestra di fronte a me e di fianco a lui mia mamma. Mi sentivo molto protetto sull'altro vicino al mio papà e non mi infastidiva più il movimento che c’era ancora intorno.

    Il movimento intorno è scomparso quando tutte le persone hanno trovato un posto sui divanetti e subito dopo sono andate via anche quel qualcosa che mi stava saltellando nel petto ed il respiro molto veloce.

    Quando sono ritornato a sentirmi come di solito, mio papà ha cominciato a parlarmi dicendomi che quella grossa macchina era il treno. Viaggiava su una strada di ferro e l'unica cosa che ricordo ancora è un silenzio assoluto ed il buio totale.

    Ho aperto gli occhi sentendo la voce di mia mamma ed è ricomparsa la luce quando ho visto di fronte a me la sua faccia mentre provava a darmi un qualcosa che aveva in mano perché era arrivata l'ora di mangiare.

    Ho guardato subito fuori dal grande finestrone e ho scoperto con curiosità e stupore che le montagne erano scomparse. Era tutto piatto e guardando in lontananza vedevo soltanto il sole molto grande che stava quasi toccando la terra. Molto bello da vedere, ma non riuscivo a capire perché era più lontano di come era a casa nostra e perché era tutto così piatto.

    Mentre quei grandi pensieri giravano liberamente nella mia testa, sommerso da tante domande senza risposte e mentre stavo ancora masticando, sono ritornato nel posto silenzioso e di pace assoluta dove ero appena stato prima di mangiare.

    Quando per via di rumori e movimenti che sentivo intorno è ritornata di nuovo la luce, ho visto tutti i già in piedi perché appena il treno si fosse fermato saremmo scesi anche noi. Ero molto felice di farlo anche se non sono stato male e non vedevo l'ora di scendere perché lì nella carrozza non mi sentivo libero. Inoltre, pensando che finalmente potevo vedere per la prima volta i nonni non vedevo l'ora di farlo subito.

    Ero molto curioso di vedere se mio nonno assomigliava al nonno di Heidi, ma appena si è fermato il treno nel mio petto saltellava di nuovo tutto ed in più era come se una grossa mano mi stringesse anche con tanta forza, perché mio nonno non c'era.

    Appena giù dal treno abbiamo cominciato a camminare e dopo aver fatto un pezzo di strada abbastanza corto, siamo arrivati in un posto dove c'era ancora più movimento e disordine di quelle della partenza.

    C'erano tanti autobus uno di fianco all’altro quasi attaccati e tanta gente che camminava oppure che correva da tutte le parti. Il punto di arrivo per tutti erano gli autobus e dopo un po' di tempo ci siamo avvicinati anche noi ad uno. Facendo la fila per salire, non smettevo di guardare le persone intorno perché erano totalmente diverse da quelle che vedevo di solito.

    Gli uomini mi sembravano meno giganti, erano vestiti tutti in un modo che non avevo mai visto prima ed avevano il capo coperto con dei capelli molto belli. Le donne avevano tutte delle gonne lunghe quasi fino a terra e nella parte sopra dei vestiti con maniche lunghe. Faceva molto caldo, ma avevano tutte il capo coperto con dei fazzoletti molto colorati che lasciavano vedere soltanto il viso.

    Sembravano tutti anziani!

    Sentendoli parlare li capivo benissimo, però mi è subito scappato da ridere perché il loro modo era totalmente diverso del nostro e mi sembrava molto buffo.

    Appena seduti l'autobus è partito e dopo aver fatto un pezzo nella città tra palazzi e macchine, ci siamo trovati quasi all'improvviso che da una parte e dall'altra della strada c'erano soltanto delle colline.

    Non erano molto alte ed avevano delle forme molto belle, cosi rotonde e morbide che sembravano costruite da chi sapeva fare con arte quel lavoro. Erano di un verde molto bello, così forte e così intenso che nei punti dove erano vicinissime alla strada faceva quasi male agli occhi se guardate intensamente.

    Mentre l'autobus continuava a viaggiare sono comparse sulle colline, prima ogni tanto poi molte di più, delle costruzioni più piccole più basse ma molto più belle del nostro condominio. Così tante e tutte insieme non ne avevo mai viste e totalmente assorbito da quello che stavo vedendo ero presente soltanto fisicamente sul sedile. Sono tornato alla realtà soltanto perché ho sentito nell’orecchio la voce del mio papà dicendomi che erano le abitazioni dei contadini.

    Quando le case sono diventate molte di più e sempre più attaccate una all'altra, l'autobus si è fermato e dopo qualche attimo -in quale un po' di gente è scesa ed un altro po' è salita-, siamo ripartiti.

    Le case sono diventate di nuovo sempre più lontane una dall'altra finché sono scomparse e le colline che vedevo erano ancora più belle. Si vedevano dei pezzi neri che luccicavano sotto il sole molto luminoso ed intorno altri pezzi colorati con tanti tipi di verde uno più diverso e vivo dell'altro. Il verde è finito abbastanza in fretta e mi stavo gustando la cosa più bella mai vista e da perdersi dentro mentre si guardava. Erano colline intere colorate di un giallo molto luminoso e molto fresco che scendeva fino alla strada.

    Assomigliavano ai miei capelli.

    Era come l'erba dove andavo a giocare insieme ai miei amichetti ma molto più alta e si muoveva senza fermarsi mai. Il giallo cambiava quasi in ogni movimento e sembrava che il sole fosse sceso sulla terra e non aveva ancora deciso dove andare. Avanti oppure indietro su oppure giù e nella sua indecisione permetteva a me di vedere la cosa più bella in assoluto.

    Quello spettacolo unico e meravigliosamente bello mi faceva sentire tranquillo e sereno, riposato ed in pace, sfamato e dissetato.

    Sarei rimasto così per sempre, ma purtroppo il giallo è finito ed al suo posto sono comparse altre case. Quando le case sono diventate sempre di più e sempre più vicine, l'autobus si è fermato e siamo scesi anche noi.

    Appena ho toccato la terra mi è sembrato di essere arrivato in un altro mondo e dopo che l'autobus con il suo rumore è andato via ho sentito il silenzio. Era tutto pieno di case intorno ed eravamo sulla strada, ma sentivo soltanto il silenzio come mai prima nella vita.

    Un grande silenzio che mi rimbombava nelle orecchie!

    Mi colpiva con tanta piacevole forza quel bel silenzio ed ero molto impegnato ad ascoltarlo, ma è stato interrotto abbastanza in fretta dalla voce di un uomo che diceva: Fattemi vedere il mio nipote più piccolo!.

    Era mio nonno ed il suono della sua voce rimbombava ancora molto forte in quel grande silenzio mentre si è abbassato per baciarmi ed abbracciarmi. Ho visto subito che non assomigliava al nonno di Heidi e che

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