Vite
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Come esseri umani abbiamo dei limiti e delle possibilità, e viviamo per dei motivi che qualcun altro ci ha prefisso. Coloro che muovono i fili della nostra esistenza, per alcuni Dio, fissano le costanti. Tuttavia, se il nostro sguardo si volge non tanto sulle costanti, ma sulle variabili, su di noi cioè, ecco che noi possiamo variare il nostro destino perché ogni singola scelta che compiamo ci apre a molteplici risoluzioni.
È esattamente ciò che accade ai tre protagonisti di questa silloge: Chiomadoro, prosperosa e solare ragazza inglese che ama danzare e provocare; Ludovico Ariosto, alle prese con la stesura del Furioso e intento all’ascolto dei suoi personaggi; Elisabetta i, la Regina vergine, che intravede una vita forse più appagante di quella che conduce nel suo palazzo.
Paola Gianoli Caregnato si conferma maestra nella scrittura che esplora oltre le apparenze, che si pone la fatidica domanda e se…
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Book preview
Vite - Paola Gianoli Caregnato
corsaro
Chiomadoro
La ragazzotta aveva culatta grassa, fianchi larghi, discreta altezza, presentava tutti i segni di un giudizioso ingrassamento, ma gambe leggere e dritte e massa con molta proprietà; cianciatora di prima categoria, decisa e aspra, a volte beveva, eccome, con un orribile gorgogliamento e la sua scipitaggine era famosa, però attenti alla sempliciotta, non difettava infatti di buon senso e di acuto spirito di osservazione. Il suo corpo sembrava sempre pronto all’amore, sempre arrendevole, (si era fatta oltremodo notare per la completa mancanza di fastidiose vergogne), benché si moderasse traspariva voluttà e ne era entusiasta a ogni esperienza, ma solo con chi decideva lei! Aveva polmoni freschi, tant’è che cantava a squarciagola, collo senza una piega che sembrava fatto al tornio, ma il fegato le marciva, sembrava che un ventre da gigante cominciasse a uscire da lei.
Vi era comunque in quella ragazza qualcosa di magnetico, una bellezza inesplicabile, oggetto di stupore in quanti la osservassero, aveva occhi che abbruciano, come qualcosa che vetrificava chi la guardasse, ella compiva ogni suo atto con giocondità, con una apparente noncuranza… aveva una convulsa interiorità e quella carnalità grassa e un po’ stanca che era come un sangue caldo che dava alla testa degli uomini che la guardavano e a volte anche delle donne, mascoline e malintenzionate, infelici sconosciute piene di greca libidine ma con cervello d’oca: in tutte queste cose si riconosce un mistero.
Lei era piena di questo mistero, era complicata e composta, nel suo casalingo profumo di bontà, nella sua sensibilità spontanea, sapeva tesaurizzare la cloaca e a furia di saper mischiare tutto si semplificava in quelle combinazioni, giungeva a essere trasparente.
E vederla danzare poi! Era strana ma ben reale, si muoveva come un pendolo, il suo corpo era come una tromba, avanti e indietro, se le stavi vicino si sentiva l’aria, a volte puzza di vinaccio o d’acquavite, le mani dei maschi si stendevano per afferrarla ma la sua natura li costringeva a rispettarla, un po’ incivilmente, è vero, ma pur la lasciavano stare infine. Non l’afferravano che gli sguardi. Avrebbero voluto tutti fruire in pieno delle sue, diciamo, tenere cure quegli uomini di buonevoglie nei loro erramenti fantasiosi. A momenti sembrava avesse la febbre, come una febbre intermittente, si alzava le gonne per sventolarsele in faccia e tutti vedevano che era senza le culottes, allora cominciava a urlare, nello scalpiccio della danza: Questa è strada per nessuno, nessuno vi passa, nessuno si può arrischiare,
e nel contorcersi dei movimenti danzanti rideva