Viaggio tra i destini paralleli della mia terra
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About this ebook
Antonio Cannone Giornalista professionista, scrittore e regista. Laureato in Scienze della comunicazione. Direttore di giornali on line, collabora con diverse testate web e tv. Esperto in Piani di comunicazione per Enti pubblici e privati.
Ha scritto
L’Anemone di Adone (Ellemme-Lucarini 1991); Interno mafia, Dio c'è (Ursini Editore 2000); Francesco di Paola (Sceneggiatura cinematografica 2002); Quelli che...Lamezia (Gigliotti Editore 2008); Gli Intrusi Fascino mortale (Città del Sole Editore 2014); Il Caso Aversa tra rivelazioni e misteri (Falco Editore 2017); Autore e regista del film-documentario La Calabria, tra etnie, religione, artigianato e turismo (Edi-Data 1999); Autore e regista di spot sociali per tv locali e nazionali su Servizio civile e Volontariato (2011-2012)
Premi
- Finalista Premio Piombino 1992
- Finalista Premio nazionale “Un libro amico per l’inverno” 2018
- Menzione Alto Merito Narrativo Premio Letterario internazionale Holmes Awards 2018
- Finalista Premio Letterario Fortuna 2018
- Menzione d’onore Premio di letteratura internazionale Montefiore 2018
- Finalista Premio letterario giornalistico Piersanti Mattarella 2018
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Book preview
Viaggio tra i destini paralleli della mia terra - Antonio Cannone
Pasolini
Introduzione al testo
Questo volume è una storia che sottende in continuazione una visione lirica sulla complessità dei rapporti, una sincera analisi delle motivazioni senza retorica. Un lavoro di rigida libertà
con un impianto narrativo intimo e di introspezione, mescolando il tutto con sentimenti universali che nascono e crescono in un crescendo di emozioni dove ogni personaggio ha il proprio palcoscenico. Gabbie virtuali che in realtà diventano prigioni e dove viene messa in mostra la difficoltà dell'uomo nell'agire quotidiano e nei rapporti con il suo simile.
Quando ascoltai queste storie ero ancora nel grembo di mia madre. O forse avevo raggiunto l’età matura. Chissà? Trenta, quaranta, cinquant’anni. Ma poi, dico: esiste un’età matura?
E se avessi avuto solo quindici anni? Già, l’età. Cos’è l’età? Difficile dirlo. Ognuno ha l’età che costruisce lungo il percorso della sua vita. Paradossale? Certo, ma è quello che le esperienze forse insegnano.
Insomma, facciamo un po’ come ci pare e a seconda di come si mette il destino. Le storie della vita sono tante. Miliardi. E tutte partono dalla consapevolezza di un’età e del tempo che trascorre. Ma anche dell’approccio alla vita da chi nemmeno immaginava di venire al mondo; ammettendo che potesse farlo. Cioè decidere se nascere, dove e come!
Le storie della vita sono la vita stessa. Questa vita che abbiamo, che tocchiamo con le mani. Appartengono alla natura e sono figlie di essa, del nostro vivere quotidiano, delle scelte che facciamo o che decidiamo di non fare. Dalle eterne domande su chi siamo e dove andiamo. Su cosa era meglio fare, sulle cose lasciate, su quelle aggrappate al volo. Sulle opportunità perse, su quelle arrivate per caso. Sui volti incrociati per caso e amati d’incanto. Sugli amori finti e veri; su chi ci ha creati, semmai qualcuno abbia avuto questa magnificenza e grandezza nel poter creare
l’uomo.
Le storie della vita sono diverse e tutte uguali, sono storie vere, inventate surreali, tragiche, disperate, belle e dannate. Povere, prive di significato, secondo alcune logiche dei benpensanti e arrivisti di moda. Delle mode che si perpetuano nel tempo e che non lasciano scampo e condannano i poveri e gli umili, gli afflitti. Senza pensare per un solo attimo che la miseria
si nasconde nell’intimo delle glorie effimere.
Tante storie, dunque, quanti sono gli abitanti del pianeta. Di questo pianeta dove viviamo, che conosciamo e sul quale siamo venuti al mondo senza chiederlo e senza fare domanda ad alcuno. Ognuna diversa ma tutte simili. Ci sono gli uomini ricchi e potenti, i poveri e disperati. Quelli che muoiono in mare cercando ancora e per sempre un terra promessa. Quelli che muoiono su un marciapiede, quelli assassinati dalla polizia perché hanno un colore di pelle diverso, quelli che si fanno esplodere in nome di un Dio, quelli che ci lasciano perché malati di cancro, quelli che se ne vanno così, all’improvviso. Ci sono quelli che…insomma, ci sono tutti. Corrotti, preti, artisti, ladri, puttane, impiegati, politici, venditori di fumo, tassisti, piloti, ingegneri, presuntuosi, spacconi, atleti, insegnanti, ‘ndranghetisti, colletti bianchi, broker, disoccupati, banchieri, ipocriti. Di tutto e di più. Vite parallele diverse; un’umanità che si intreccia e si dipana tra urla e silenzi, veri e virtuali. Raccontati o ascoltati. Di certo un mondo ormai soggiogato da tutte le forme di comunicazione e da un maledetto odio verso il prossimo; il diverso: dal colore al sesso, ai sessi vissuti diversamente. Non più l’ideologia che un tempo faceva la differenza, ora conta solo l’io
, l’egoismo, l’arrivismo, il consumismo ovvero il nulla rispetto all’umanità, al cosmo, alla vita e alla morte. Siamo diventati il nulla. Sul nulla ci aggrappiamo per uccidere l’altro, anche solo a parole. Domina sempre di più solo l’arroganza del potere economico e finanziario, detta le regole del gioco. Presiede i Governi che in nome della religione o del bene comune, della democrazia e finanche della pace, manipolano i cittadini.
Le storie che ascoltavo, pertanto, erano quelle della vita. Ciò che si osserva. Quanto di più semplice e complesso alberga in ognuno di noi. Erano storie che paradossalmente conoscevo perché conoscevo la mia terra, gli uomini e le vicende in cui essi sono coinvolti e di cui si nutrono. Sapevo che in un modo o nell’altro gli stessi uomini protagonisti un giorno avrebbero dovuto rispondere delle loro azioni davanti a un giudice. Terreno o divino. Chissà? Forse un giudice anarchico senza obblighi di Codici o morali, con regole fissate solo dalla natura umana, scevra da convinzioni religiose, e alle quali si sarebbe dovuto attenere. Mi riservavo pertanto di aspettare con pazienza l’esito di questo strano e annunciato giudizio
. E intanto mi tuffavo nel mare dell’apprendimento, dove ogni evento ci porta a scandagliare le nostre miserie in un palcoscenico variegato di contesti chiari e oscuri, di affetti, di paure e di speranze con le quali guardare il mondo e recitare la nostra presenza come un passaggio che alla fine scopriamo appartenere all’inutilità. Ma valeva la pena assistere al quotidiano confronto per illudersi di essere importanti per i propri simili. Lasciare un segno.
Lo ‘ndranghetista col colletto bianco
La prima delle numerose storia era da annoverare fra le più originali e anche concrete, di quelle che interessano i cittadini per i risvolti sociali che ne derivano. Era ambientata al Sud, in terra di mafia e di sole. Senza dubbio fra le tante rubate alla cronaca di tutti i giorni anche se celata fra l’assuefazione dei più e l’attenzione dei pochi. E sempre comunque come se già ascoltata, come se riguardasse la mia vita insieme a quella di tanti miei simili. Come se vista e rivista in ambienti a me conosciuti per il vissuto e per la prepotenza subdola con la quale si manifestava. Ci sono infatti diversi modi per esercitare una mascherata arroganza. Ci sono quelli diretti che, per chi li attua, hanno un prezzo alto e facilmente punibili, e quelli che si manifestano sotto traccia; senza dare troppo nell’occhio
, come si dice da queste parti. E quanto descritto da qui in avanti, concede spazio a questo modo di agire, non fosse altro perché da tempo ormai è il modus operandi più usato, soprattutto in certi ambienti. D’altronde, conoscendo bene luoghi e persone, fatti e circostanze, in me non vi era alcuno stupore nell’apprendere eventi al limite della decenza sociale e umana, ancorché morale e per certi versi anche spirituale. In una terra da sempre soggiogata, la regola predominante era colpire il prossimo; la sopraffazione, una sorta di istituto
infido con il quale scendere a compromessi. La storia racconta di un popolo sottomesso e povero, dove solo i ricchi, i signorotti del paese, i baroni, riuscivano a stare a galla
. E dove la giustizia in tanti casi altro non era che la faccia stessa del malaffare, perché collusa e in combutta con la massoneria per aggiustare
processi e poi fingere di rappresentare lo Stato. Dietro lo Stato ognuno si sentiva in grado di ergersi a paladino dell’antimafia, ad affermare di respingere l’attacco contro le istituzioni e a lottare per sconfiggere un fenomeno in realtà con cui convivere e accettare le sue regole. Una storia simbolo
di un Paese alla deriva e dove regnava nelle istituzioni e non solo, la legge
della corruzione e le regole dell’accomodamento.
Un tizio viveva in una regione del Sud. Una delle tante, dei tanti Sud del mondo e per i quali ci sarebbe forse da scrivere interi trattati di sociologia e antropologia. Se non altro per le condizioni in cui luoghi, persone, fatti e istituzioni, hanno contribuito oggettivamente e non solo, a rendere il vissuto di tante comunità insignificante o, nel migliore dei casi, sottomesse e per questo incapaci di alzare la testa e pretendere una vita degna. La spocchia e la violenza
delle classi dominanti continuava, da secoli, anche in piena modernità a manifestarsi con arroganza attraverso una classe dirigente collusa. Solo chi dimostrava servilismo e abnegazione verso il malaffare, riusciva a cavarsela e far parte di una cerchia di privilegiati che influenzava tutti gli apparati dello Stato su quel territorio.
Un luogo ameno, dunque, baciato dalla natura ma dove dominava, soprattutto in certi ambienti, la cultura omertosa che contagiava e non poco il vivere civile. Un modo di vivere che pian piano si propagava in altre realtà. Mico, diminutivo di Domenico, era spregiudicato e con i suoi parenti e amici più stretti aveva da tempo conquistato una sicurezza sociale ed economica che lo proiettava anche al di là del luogo di origine. Uno di quei baldi
giovani che grazie al pezzo di carta
era entrato nella buona società
. Non aveva remore alcuna; si vantava delle sue amicizie
potenti e grazie a certi rapporti entrava in ogni dove, facendosi spazio senza dover sgomitare. Bastava poco per riuscire a raggiungere qualsiasi obiettivo con il placet degli amici
. Appalti, droga, investimenti e ingenti capitali spostati in posti sicuri o utilizzati per rafforzare il potere. Insomma, una vita da boss
, senza mai sporcarsi le mani, secondo i canoni della cultura criminale che non guarda in faccia nessuno e va a braccetto con la politica. Una vita comunque senza alcuna ombra giudiziaria personale. Un colletto bianco, per intenderci. Finanche laureato e stimato dalla borghesia cittadina.
Si serve di politici e con essi entra in affari. Già, la politica. Decide le sorti di un Paese ma a sua volta è controllata dalle lobby potenti del mondo che orientano il vissuto delle masse ormai assuefatte alle ragioni occidentali e alle imposizioni
del consumismo. Quella stessa politica che va a braccetto con tutti: con i prepotenti, con la criminalità, con la gente umile e credulona. Tanto lo scopo finale è stare al posto giusto per decidere il destino di un Paese e dei suoi abitanti. Mico era conosciuto da tutti nel luogo dove abitava. Conosciuto in tutti i sensi. Anche se si faceva beffa dei pericoli e delle trappole
legali. Manipolava gli amici e aveva ottime capacità nel restare sempre dietro le quinte nonostante la sua presenza in tutte le occasioni mondane. Era invischiato
in tanti affari ma riusciva sempre a tenersi lontano dal pericolo di farsi beccare dalle forze dell’ordine. Molti dei suoi amici di infanzia erano andati via, altri avevano trovato un lavoro onesto. Un po’ per necessità, un po’ perché ci si credeva davvero, c’era chi fra i suoi amici aveva deciso di indossare la divisa del poliziotto, scegliendo di rappresentare lo Stato e servire la legge
. Proprio uno di questi amici, Antonio, rispettoso del dovere, un giorno ebbe modo di fargli notare che una vita spesa al raggiungimento di fini edonistici e rischiosi, avrebbe prima o poi chiesto il conte e lui pagato dazio.
"Non ti viene mai il dubbio di compiere errori nella tua vita? Sai, in paese si parla tanto e ne senti di cotte e di crude. Non vorrei mai vederti in brutti giri e dover essere proprio io a bussare di notte a casa e portarti via con le manette ai polsi. (Sorridono) A parte gli scherzi, io so come te, come vanno le cose da queste parti. Sappiamo tutti chi siamo. Lo dico davvero. Non sempre le cose possono andare come desideriamo o come vorremmo che andassero. E magari ci fidiamo di gente importante che gioca con la pelle degli altri". Antonio conosceva bene certe dinamiche: quando era più giovane era fra gli amici più prudenti e si guardava bene quali compagnie frequentare e quali evitare.
Mico, nonostante quei consigli, non aveva nessuna intenzione di parlare seriamente, preferiva glissare
o minimizzare, se non del tutto banalizzare, forte di una sorta di immunità
che gli derivava dalle sue tante conoscenze.
"Ma dai, d’altronde senza reati e senza le attività della criminalità voi della polizia e delle forze dell’ordine cosa fareste? È come quella storiella del bene e del male. Dai (sorridendo) quando avrai prove provate potrai arrestarmi. Fino ad allora io e te sappiamo benissimo come va il mondo. E poi, francamente sapere che un amico vigila su di me, mi fa stare tranquillo. Ma il tema vero è che a tutti fa comodo che le cose vadano in un certo modo. Oggi non è come qualche anno fa. La nostra terra sta cambiando, quella cosa che non stiamo nominando sta cambiando. Vedi, quanta eleganza c’è! Ricordati che tutti ormai hanno una laurea e serve per mascherare la vecchia ignoranza che in certe occasioni arrecava danni all’immagine. Non so se hai compreso. E, credimi, non illuderti e non farti ammaliare come accade spesso nei convegni e nelle citazioni, dalle parole di quel giudice tanto osannato. Quello… quello che diceva la mafia ha un inizio e una fine
. Tutte chiacchiere. Sai perché? Perché la mafia non è la delinquenza, la mafia è mentalità. È un modo di essere dell’uomo. Qui, come a New York; qui come a Milano; qui come a Pechino. Dai retta a me, la mafia è insostituibile fin quando esisterà l’uomo che lega la sua vita agli affari e ai soldi. In poche parole, non potrà mai essere sconfitta perché i soldi piacciono