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Il viaggio di Emilia
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Ebook71 pages1 hour

Il viaggio di Emilia

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About this ebook

Il viaggio di Emilia è un romanzo delicato e struggente, in cui la protagonista attraversa tren'anni di storia della sua famiglia, dal 1948 al 1978, nel tentativo di sciogliere un nodo segreto. Ripercorre emozioni ancora vive, personaggi scolpiti nella sua memoria, eventi che l'hanno trasformata, il tutto con un intreccio narrativo avvolgente e gustoso. Una Napoli fine e tormentata fa da sfondo al viaggio che Emilia fa nei propri ricordi, una Napoli intima, come intimo è lo stile che Anna Maria Balzano regala in questo prezioso romanzo.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateNov 27, 2018
ISBN9788827848593
Il viaggio di Emilia

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    Il viaggio di Emilia - Anna Maria Balzano

    Self-Publishing

    Indice

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    XXI

    XXII

    XXIII

    XXIV

    XXV

    XXVI

    XXVII

    XXVIII

    XXIX

    A mia madre

    E il cuore quando d'un ultimo battito

    Avrà fatto cadere il muro d'ombra,

    Per condurmi, Madre, sino al Signore,

    Come una volta mi darai la mano.

    (G. Ungaretti) La madre 1930

    I

    Napoli maggio 1978

    Emilia fu svegliata dal rumore d’un mezzo pesante che passava a velocità troppo elevata sui dossi artificiali che attraversavano la strada di casa sua.

    Quel rumore con contraccolpo le provocò una fitta ancor più dolorosa alla tempia destra, accentuando l’emicrania che la tormentava.

    Anche quella notte era capitato di nuovo. Quell’immagine, quell’orribile immagine era apparsa come un lampo, per lasciarle un senso di angoscia e di dolore che sarebbe durato fino alle prime luci dell’alba. Non riusciva a liberare la sua mente dalla visione di quel corpo di giovane donna, raggomitolato su se stesso, sanguinante e inerme, umiliato dalle percosse ricevute.

    Si girò lentamente e ancor più lentamente si mise a sedere sul bordo del letto. Con gli occhi chiusi, chinò la testa tra le mani e premette i polpastrelli contro la tempia che le pulsava con ritmi lunghi e regolari.

    Qualche secondo dopo si raddrizzò e riaprì gli occhi, girando lo sguardo intorno per riprendere contatto con la realtà. Vide il letto disfatto dietro di sé e il senso di solitudine che la pervadeva si acuì: da troppo tempo ormai dormiva da sola in quel letto. Allungò le gambe in cerca delle ciabatte sullo scendiletto. Le trovò e se le infilò. Stese il braccio per toccare il marmo del cassettone poco distante da lei; si appoggiò e, con un leggero sforzo si alzò.

    Lo sguardo le cadde sulle foto incorniciate che lei stessa aveva disposto lì in bella mostra.

    Una, in particolare attrasse la sua attenzione: la prese e l’osservò da vicino. L’aveva già fatto migliaia di volte, ma quella mattina, in quello stato d’animo, quel gesto fece riaffiorare più prepotentemente i ricordi del passato. La foto ritraeva un bel palazzetto a due piani dei primi del novecento, i suoi balconcini con le balaustre di marmo, le persiane di legno a battente verniciate di verde, il portoncino centrale rialzato su due ampi gradini di pietra, che si apriva su un vasto atrio che si intravedeva appena. Quella era stata la casa dei suoi nonni. Con gesti calmi e lenti, Emilia si mise una vestaglia sulle spalle, si sedette di nuovo e smontò la cornice. Passò la mano sulla foto per eliminare un leggero strato di polvere che la rendeva più opaca e con i polpastrelli percorse i contorni e i piani del palazzetto, come se quel contatto fisico avesse il potere di rianimarlo e restituirgli quella vita che gli era appartenuta.

    II

    Napoli aprile 1948

    Non aveva più di sette anni, Emilia, quando entrava saltellando nel grande atrio della palazzina dei nonni, dove abitava con la mamma Anna e il papà Salvatore Cusimano.

    Per lei era una festa stare nella grande casa dei nonni.

    Quel giorno, un giorno di primavera del 1948, ritornava dopo essere stata con la mamma a visitare la zia Pina, una vecchia sorella del nonno, molto ammalata; indossava l’abitino di flanella rosa a quadrettini che le piaceva tanto, la cui gonnellina cadeva fino sopra al ginocchio in cannoncini perfettamente stirati e il cui corpetto era tutto ricamato a punto smock; le maniche lunghe aderivano al polso e venivano fermate da un bottoncino di madreperla, come quelli che chiudevano il vestitino sulla schiena. Un collettino di piquet bianco metteva in risalto il suo incarnato rosa; le scarpe, nere lucide, alla bebè come si diceva allora, erano fermate da un cinturino alla caviglia e i calzini bianchi erano girati due volte in modo che non fossero troppo lunghi.

    Anche quel giorno, come sempre, la mamma l’aveva accuratamente pettinata. Una scriminatura, perfettamente tracciata sul lato sinistro, dava luogo a due treccine asimmetriche: quella del lato destro era il risultato di una treccia più sottile che partiva dalla cima dei capelli e si innestava in un’altra

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