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L’apocalissi di Wildermoor: libro primo Accolito
L’apocalissi di Wildermoor: libro primo Accolito
L’apocalissi di Wildermoor: libro primo Accolito
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L’apocalissi di Wildermoor: libro primo Accolito

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About this ebook

Lo avevano creato per dar vita a un nuovo mondo. Poi però tornò per distruggerlo.

Nel 1684 la figlia di Franklin James, Evelyn, scompare di casa nel cuore della notte. Partiti alla sua ricerca, i soccorritori si spingono fino ai confini più segreti di Wildermoor, finendo direttamente nelle grinfie del Consiglio della Luce Eterna.

Centinaia di anni dopo l’ispettore Truman Darke tenta in ogni modo di incastrare Colin Dexler, sospettato di aver commesso un inspiegabile omicidio di inaudita brutalità. Un altro delitto capovolgerà però le vite di entrambi. Diventato ora il principale sospettato, Truman fugge in cerca di risposte, scoprendo così tratti misteriosi e impensabili del suo passato e trovandosi ad affrontare un male oscuro rimasto in agguato nelle tenebre per oltre trecento anni.

LanguageItaliano
PublisherCreativia
Release dateJan 16, 2019
ISBN9781547549009
L’apocalissi di Wildermoor: libro primo Accolito

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    L’apocalissi di Wildermoor - Chris Tetreault-Blay

    Accolito

    L’apocalissi di Wildermoor: libro primo

    Chris Tetreault-Blay

    Per Marie, Oscar e Lorelei.

    Il mio sole, la luna e le stelle splendenti in un mondo che è appena iniziato.

    Accolito

    [dal greco ἀκόλουϑος, compagno di viaggio] 1. Assistente del celebrante sull’altare o durante una processione. 2. Chi segue assiduamente o serve qualche personaggio.

    «Non vi mettete con gl’infedeli sotto un giogo che non è per voi; perché qual comunanza v’è egli fra la giustizia e l’iniquità? O qual comunione fra la luce e le tenebre?» 2 Corinzi 6:14

    Capitolo 1

    Agosto 2001

    La pioggia lo aveva costretto a entrare prima del previsto. Era rimasto a gironzolare fuori per quasi un’ora. Per non dare nell’occhio fingeva di interessarsi a tutto ciò che lo circondava: i fiori, gli avvisi in bacheca che annunciavano la riunione per il caffè mattutino dedicata ai solitari e agli amanti dei pettegolezzi, persino il manifesto del servizio Canti a lume di candela del dicembre precedente, che non sarebbe stato tolto prima di un altro paio di mesi. Semplicemente non riusciva a decidersi a entrare.

    Aveva paura. Quella volta la cosa era andata troppo oltre e non aveva idea di chi potesse aiutarlo, sempre che qualcuno ne avesse la possibilità. Ma doveva provarci. Padre Michaels gli aveva detto di andarlo a trovare se avesse avuto bisogno di una guida spirituale.

    Si fermò all’ingresso della chiesa cercando di calmare l’affanno. L’imponente struttura gli sembrava una fortezza stagliata contro nuvole sempre più scure. St. Jude si trovava nel cuore di Wildermoor da oltre cinquecento anni e nel corso di tutto quel tempo erano state eseguite solo piccole sistemazioni al tetto, oltre all’occasionale riparazione di una finestra quando una palla da cricket errante aveva centrato il luogo di culto durante un’appassionata partita della domenica pomeriggio. Gli abitanti del paese provavano un insolito senso di orgoglio per quell’edificio.

    Anche se Padre Michaels, e quelli prima di lui, avevano sempre predicato che la casa del Signore era sede di santità e sicurezza, Colin Dexler si sentiva già giudicato ancora prima di aver messo piede nel piccolo atrio oltre le pesanti porte d’ingresso.

    Quando la pioggia diventò più fitta, quasi fosse intenzionata a spingerlo all’interno, entrò fermandosi però davanti alle porte che conducevano nel corpo principale della chiesa. Non era lì il suo posto. Lo sapeva, era sbagliato.

    La chiesa era vuota, il che intensificò il suo senso di abbandono. Era rimasto senza genitori già da piccolo e faceva di tutto per fuggire la compagnia. Finalmente aveva trovato un posto con la giusta atmosfera che lo faceva sentire a suo agio e ben accolto. Era certo, comunque, che Padre Michaels fosse in chiesa. Erano le 11:00, aveva finito da poco di celebrare la messa mattutina e non sarebbe uscito prima di un’altra ora o giù di lì.

    Era giovedì e le donne delle pulizie erano venute presto quella mattina. Il posto puzzava di cera per pavimenti e finto profumo di fiori uscito da uno spray. Colin ebbe improvvisamente la nausea, ma sapeva che non aveva niente a che fare con l’odore.

    Corse al confessionale e tirò la tenda, sedendosi sulla piccola panca di legno riservata al penitente e cercando di calmarsi. Sentì piccoli, deboli passi risuonare sul pavimento in pietra lucida e trattenne il fiato. I passi si avvicinarono ancora, finché infine udì il fruscio della tenda del confessionale che veniva tirata. Sospirando lievemente per lo sforzo, Padre Michaels prese posto.

    «Benvenuto, figliolo» disse il prete. «Vorrei solo che il Signore ci avesse mandato un tempo migliore quest’estate.»

    «Perdonatemi Padre, perché ho peccato» disse in fretta Colin, prendendo Padre Michaels di sorpresa. Quell’uomo era disturbato, lo era sempre stato, ma anche per i suoi standard l’urgenza di parlargli gli sembrava strana.

    «Colin, mi fa piacere che tu sia venuto.»

    «Sono 35 giorni che non mi confesso» continuò Colin ignorando i convenevoli del sacerdote.

    Padre Micheals sospirò di nuovo. Sapeva che la relazione con Colin Dexler sarebbe rimasta formale, come lo era sempre stata. Colin veniva in chiesa solo nei momenti di bisogno e per il resto del tempo era una specie di recluso. Era palese che non avesse nessuna voglia di essere lì in quel momento.

    «Quali sono i tuoi peccati?» Inizialmente Colin non rispose, ma attraverso la grata si sentiva la sua respirazione travagliata.

    «Non lo so.»

    «Se non sai come hai peccato, come fai a sapere di averlo fatto?» Padre Michaels parlava con la massima delicatezza e comprensione, pur sapendo che stava solo sprecando il suo tempo.

    «Perché Lui è tornato, quindi devo aver peccato in qualche modo.»

    Padre Michaels sospirò di nuovo, questa volta per pura frustrazione. Le tre confessioni di quell’anno erano ruotate intorno a una figura misteriosa che, secondo Colin, lo stava perseguitando ed era responsabile di qualsiasi atto di malvagità compiesse. Un ragazzo perduto, che era cresciuto senza la guida dei genitori o del Signore, era la diagnosi professionale di Padre Michaels. Nel tentativo di tendergli una mano, il sacerdote aveva cercato di coinvolgerlo nelle attività ecclesiastiche, ma Colin aveva rifiutato l’invito a parteciparvi.

    «È solo nella tua mente, Colin. Ne abbiamo già parlato tante volte. Non hai niente di cui preoccuparti. Sei tu il responsabile delle tue azioni e puoi scegliere da solo cosa fare. Non ci sono altri che scelgono per te.»

    «Ma Lui vuole che faccia delle cose o dice che morirò.» La sua voce cominciò a incrinarsi e Padre Michaels lo sentì tirare su con il naso cercando di soffocare le lacrime.

    «Che tipo di cose?»

    «Cose terribili.»

    Così non andiamo da nessuna parte, pensò il sacerdote. A volte rimpiangeva il fatto di dover essere il pilastro di quella comunità, ma costringeva immediatamente quel pensiero ingiusto a tornare nelle profondità del suo subconscio. Doveva abbassarsi al livello di Colin per comunicare con lui.

    «Quando vuole che tu faccia queste cose, Colin?»

    «Stanotte.»

    Il sacerdote rimase in silenzio per qualche istante, riflettendo sul modo migliore per gestire un altro degli episodi di paranoia di Colin Dexler. Ma quella volta era diversa per Padre Michaels. Ogni volta che Colin era venuto a trovarlo, prima di quel giorno, era convinto che fosse solo un uomo tormentato alla ricerca di qualcuno da biasimare per le sue azioni immorali. Innumerevoli altre persone simili a lui erano passate attraverso le porte della sua chiesa negli anni in cui aveva amministrato la parrocchia di Wildermoor. Fra loro alcuni si erano rimessi in carreggiata ed erano ora membri attivi della congregazione, altri volevano semplicemente sentirgli pronunciare la parola perdono in modo da poter continuare a condurre un’esistenza peccaminosa, ma senza che il peso della colpa incombesse sulle loro teste. Colin Dexler, invece, era la pecora nera della famiglia.

    «Vai a casa, Colin. Vedrai che non c’è nulla di cui aver paura. È casa tua, la conosci bene e ci sono tutte le tue cose. Niente e nessuno ti farà del male lì.»

    Di nuovo lo sentì tirare su con il naso cercando di riconquistare una parvenza di compostezza.

    «Voi non capite, Padre, c’è qualcuno in casa mia. E io non lo voglio.» Ora la sua voce tremava di più e Padre Michaels lo sentiva rabbrividire.

    «Digli di andarsene» gli consigliò. «Hai tutto il diritto di farlo. È casa tua e non ci dovrebbe entrare nessun altro, se tu non lo vuoi.» Padre Michaels si sentiva come un padre che dice al figlio che non ci sono mostri nell’armadio o sotto il letto. Colin Dexler era un uomo adulto, ma la sua mente non era maturata nel corso degli anni. Aveva ancora le stesse paure infantili che si era portato dietro per tutta la vita.

    «Non posso. Se esce da casa mia, morirò.»

    Questo è senza speranza, pensò il sacerdote. Non ne caverò nulla. Padre Michaels si era aspettato la visita del pover’uomo, ma aveva avuto timore di comunicargli la cattiva notizia che aveva da dargli.

    «Colin, sono contento che tu sia venuto oggi, perché ho qualcosa da dirti.» Colin non rispose, ma Padre Michaels vide che lo stava fissando con aria interrogativa.

    «Sto andando via per un po’.» Non aveva ancora finito di parlare che Colin iniziò a supplicarlo disperatamente.

    «No, no...» Scuoteva la testa freneticamente e le lacrime gli scivolavano lungo le guance, perché ormai non riusciva più a trattenersi.

    «Verrà un altro sacerdote dalla città per sostituirmi» cercava di consolarlo Padre Michaels, «potrai parlare con lui.»

    «No!» urlò Colin con aria di sfida. «Lui non capirà! Non come voi. Per favore, Padre, ho bisogno del vostro aiuto.»

    «Starai bene, Colin, davvero. Tu puoi vivere anche senza di me. Non sto dicendo che non tornerò mai più, un giorno lo farò. Solo che non so quando.» Il sacerdote continuava a tentare di calmarlo, sapendo che non era permesso interrompere la confessione prima che fosse finita. Voleva scuoterlo e spronarlo a riprendere in mano la sua vita.

    Sentire le grida di Colin scatenò in Padre Michaels una crescente sensazione di paura, apprensione e sventura. Stava facendo la cosa giusta andandosene. Nelle ultime settimane non si era sentito a suo agio. C’era qualcosa che stava montando, dentro di lui e in tutto il paese, una morsa che stava per scattare. In quel momento si rese conto che la causa della sua tensione era Colin Dexler. Qualcosa in quell’uomo gli faceva paura e stava diventando più forte a ogni momento.

    «Per favore, Padre, restate qui. Farò tutto ciò che volete. Io non posso parlare con nessuno di... Lui... Non come con voi.»

    «Colin, ti prego, vedrai che starai bene.» Padre Michaels stava facendo di tutto per mantenersi calmo. Voleva dire a Colin di comportarsi da uomo, ma soprattutto voleva allontanarsi il più possibile da lui. Ora anche le sue mani cominciarono a tremare in maniera incontrollata.

    Improvvisamente sentì un fragore dall’altro lato del confessionale: era Colin che si precipitava fuori, gettando rumorosamente di lato la tenda e inciampando su uno scaffale con i libri dei canti. Quando Padre Michaels riuscì a uscire dal suo lato, Colin aveva già superato la prima serie di porte e attraversato il piccolo atrio.

    «Colin! Aspetta! Calmati, parliamone!» Alla rissa delle emozioni che si agitavano dentro Padre Michaels si unì ora anche il senso di colpa e tutto il suo corpo cominciò a tremare. La sagoma oscura indugiò nell’atrio, i tratti di Colin erano offuscati dal debole bagliore che traspariva attraverso le porte. Il rimbombo delle parole che gridò riecheggiò contro le pareti vuote della chiesa e rimase impresso nella mente del sacerdote per molte settimane a venire.

    «Non prendetevela con me! Io ho chiesto il vostro aiuto, Padre. Ricordatelo!»

    Prima che Padre Michaels potesse fare un altro passo, Colin era sparito.

    Colin trascinò il suo corpo leggermente sovrappeso fino a casa, correndo sgraziatamente nell’unico modo per lui possibile. Padre Michaels rimase fermo ancora per qualche istante, ritornando con la mente alla conversazione che aveva appena avuto luogo.

    Doveva partire e doveva farlo subito.

    Si precipitò in sacrestia, si tolse le vesti e le mise in fretta nel piccolo armadio di legno dietro la porta. Alzò la cornetta del telefono sulla scrivania e compose un numero. Aspettò che qualcuno rispondesse battendo nervosamente il piede sul pavimento. Alla fine una voce rispose con un saluto austero.

    «Mi dispiace. So che non è nel protocollo, ma dobbiamo incontrarci... No, venga lei a prendermi, faremo più in fretta... Ho le mie cose con me... No, nessuno sospetta niente. Li ho già avvisati che avrei preso un anno sabbatico.»

    Guardò l’orologio in risposta alle indicazioni fornitegli dalla voce. «Molto bene, faccia in fretta, la prego... Sì, chiami gli altri... Credo che il tempo sia vicino.»

    Trenta minuti più tardi Padre Michaels aspettava ansiosamente accanto alla porta sul retro della chiesa, che comunicava con la sacrestia. Aveva in mano una valigia. Tutti i suoi effetti personali entravano in quell’unico bagaglio. Dopo aver perso, tre anni prima, tutto ciò che aveva di più caro al mondo, sua moglie morta all’età di quarantasei anni, viaggiava leggero.

    Uscì appena vide la Mercedes nera fermarsi davanti al cancello laterale in fondo al cimitero. Con le mani che ancora tremavano, chiuse la porta e mise la chiave sotto un vaso di fiori sulla terza lapide a sinistra del vialetto che attraversava il cimitero. Si portò le dita alla bocca e le baciò, poi toccò con la mano la lapide in segno di saluto.

    «Ti prego, perdonami» disse rivolto alla pietra tombale, su cui era inciso Anthea Michaels 1935-1999.

    Con la testa china si allontanò ed entrò in macchina. Non si guardò indietro mentre l’auto partiva accelerando, prima ancora che potesse mettersi la cintura di sicurezza.

    Capitolo 2

    Febbraio 1684

    Quella notte faceva un freddo aspro, pungente. Franklin James sentiva il gelo lambirgli la nuca come un migliaio di spilli ghiacciati. Quando il vento che si infilava tra le fessure sfiorava il suo corpo sudato, rabbrividiva. Ma Franklin non si trovava all’esterno. Sedeva su una poltrona consumata tanto quanto i muri di pietra del suo cottage e lui stesso. Persino le braci del fuoco tremolante, che volavano in aria sfiorandolo con baci di calore, non erano in grado di calmare i brividi.

    Nemmeno la porta d’ingresso era abbastanza in buono stato da arrestare il freddo. Per anni era stata martoriata dalla pioggia dell’inverno e dal vento della brughiera e non era riuscita a difendersi dagli inevitabili attacchi dei tarli. Ora si aggrappava ai cardini come un ubriaco fradicio, quasi invitando i passanti a entrare in casa e favorire. Non che Franklin avesse nulla di valore... Almeno non più. Quando la resa delle sue colture di patate, per le quali era conosciuto in tutta Wildermoor, si era improvvisamente esaurita senza motivo, gli sembrava quasi che gli ultimi anni gli fossero stati mandati per schernirlo. Era rimasto a guardare i suoi clienti, come anche i suoi mezzi di sostentamento, allontanarsi per sempre. Aveva perso la moglie per l’epidemia di colera che aveva tenuto in una morsa i villaggi due Natali prima, lasciandolo ad appassire. Lei era stata la sua vita e tutto il suo amore e gli aveva dato il suo bene più prezioso, la figlia Evelyn.

    Ma ora se ne era andata anche lei.

    Franklin maledisse se stesso per quella che, quella sera, doveva essere la centesima volta. La porta scricchiolava sferzata dal vento implacabile che sembrava intenzionato a sfondarla. Il cigolio non faceva altro che fomentare il suo senso di colpa. Quando la sua attività si era prosciugata, aveva gettato tutto ciò che era rimasto dei suoi averi nell’alcol. Non c’erano più soldi per rimettere in sesto quella che era stata la casa padronale della famiglia James.

    Erano diciotto mesi che voleva riparare la porta d’ingresso, ma aveva sempre trovato un motivo per non farlo. Accusò la porta. Avrebbe dovuto essere abbastanza robusta da proteggerli, soprattutto al calar della notte, quando erano più vulnerabili.

    Poi accusò se stesso. Di nuovo.

    Era diventato più debole nel corso del tempo, si era lasciato andare senza reagire ai danni causati dagli anni di faticoso lavoro nei campi. L’artrite gli tormentava le mani e le articolazioni, il dolore e l’alcol gli avevano indebolito il cuore. E ora non era stato in grado di proteggere sua figlia quando ne aveva più bisogno. Quella notte anche le sue gambe avevano ceduto. Era stato svegliato dalle urla della ragazza, che aveva sentito provenire chiare e acute dalla sua stanza sul retro della casa. Tra le due camere da letto c’era solo il soggiorno aperto, senza muri che attutissero le grida. In quei momenti per Franklin Evelyn era tornata bambina: inerme, spaventata, vulnerabile. Quelle grida gli erano rimaste impresse nella mente, non faceva che pensarci, così come pensava al tempo che purtroppo gli era occorso per alzarsi dal letto e, barcollando, correre da lei percorrendo il breve corridoio che univa le due ali della casa.

    Si era reso conto che era ormai troppo tardi nel momento stesso in cui aveva raggiunto il soggiorno. Le sue urla non si sentivano più. Per pochi fugaci secondi pensò che fosse un sogno da cui si era finalmente svegliato. Poi, mentre si avvicinava all’ombra scura della porta d’ingresso, trovandola aperta e sentendo sulla pelle il freddo pungente del vento che fischiava, anche il suo sangue si gelò. Sentiva ancora le deboli grida di Evelyn che si allontanavano fra i campi diventando sempre più deboli mentre lui cercava disperatamente di localizzarla nel buio. Una o due volte pensò di sentirsi chiamare, come diciotto anni prima, quando, da bambina, era sdraiata sul tappeto di pelle di pecora che era ancora lì davanti al fuoco tremolante.

    Ma Evelyn non c’era più. Lo sapeva bene, proprio come si rendeva conto che il fuoco non emanava calore. Percepiva addirittura i fiocchi di neve che stavano iniziando a cadere e il vento che li soffiava tra le fessure fino a farli posare sul pavimento di pietra fredda.

    Stava seduto a fissare le fiamme che gli proiettavano intorno le ombre di quella notte, ormai quattro

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