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KELENNA I vinti non hanno voce
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KELENNA I vinti non hanno voce

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La leggenda di una piccola città della Daunia che si schiera contro Roma nella guerra che questa combatte contro Pirro. Roma si vendica in maniera feroce sul nemico più debole decretandone una fine atroce riservata in genere ai grandi nemici sconfitti.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateAug 20, 2018
ISBN9788827840672
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    KELENNA I vinti non hanno voce - Carmine Lepore

    633/1941.

    PRESENTAZIONE

    L’uomo è un animale particolare. Pur essendo dotato di una memoria prodigiosa ed un cervello tanto grande da aver permesso l’enorme progresso scientifico che stiamo vivendo, ha una strana amnesia nei confronti della brama potere e delle sue conseguenze nefaste che la storia ci insegna.

    La storia ci ha insegnato che tutti i grandi imperi, da quelli di epoca biblica, a quelli recenti, sono andati o andranno incontro a distruzione per conquista da parte di altri imperi che stavano nascendo nel frattempo. Questi a loro volta, in un inevitabile ciclo, saranno successivamente distrutti come in un interminabile domino fatto solo di morte, sangue, sofferenza e distruzione.

    Ne abbiamo grandi esempi nell’eterno conflitto che dai tempi narrati dal libro più letto al mondo, la Bibbia, insanguina il medio oriente e rischia di infiammare tutto il mondo.

    Senza voler scomodare Giambattista Vico¹ certamente questo ciclico ripetersi di nascita, ascesa e caduta degli imperi deve farci riflettere. Per scatenare una guerra sono stati e sono utilizzate le più svariate motivazioni, definite secondo criteri etico-religioso-filosofici ma che nascondono sempre solo la voglia di conquista, ricchezza e sopraffazione di un popolo su altri popoli. O meglio, di poche persone di un popolo, che vogliono sottomettere il proprio popolo e, ancora peggio, altri popoli.

    Inoltre troppo spesso un dio è stato chiamato a giustificare azioni di guerra riprovevoli. Per tutti vale l’esempio del Gott mit uns (Dio con noi) che i nazisti scrivevano sull’ingresso di molte caserme riferendosi al Dio dei Cristiani.

    Spesso poi i desideri di potere di un solo uomo portano ad esiti che travalicano l’individuo ed hanno conseguenze su intere nazioni e civiltà. Basti pensare a Giulio Cesare che, a quanto dice la storia, ha conquistato la Gallia transalpina soprattutto per poter risanare le sue finanze notevolmente compromesse da pagamenti ingenti dovuti a corruzione da lui effettuati negli anni del consolato.²

    Quello che mi ha incuriosito e mi ha portato a scrivere questo romanzo è il fatto che a volte, inspiegabilmente, vendetta e sopraffazione si applicano, con poche motivazioni, a realtà storiche tanto piccole che il costo delle operazioni militari necessarie alla conquista e distruzione di queste realtà non viene compensato dal bottino che si ricaverà.

    Esisteva nella tradizione militare antica l’uso di spargere del sale sulle rovine di una città conquistata e distrutta. Il sale, materia molto costosa e difficile da reperire in grandi quantità all’epoca³, che era in grado però di sterilizzare il terreno. Era una pratica molto costosa ed era limitata alla dannazione della memoria dei grandi nemici sconfitti, per dimostrare agli stessi sconfitti che il vincitore voleva impedire anche il solo poter pensare alla ricostruzione della loro città.

    L’esempio più famoso è l’ordine che l’esercito romano ha avuto di praticare questa tecnica di distruzione sulle rovine di Cartagine dopo la conquista della città nella terza guerra punica.

    Amici di Celenza mi hanno parlato dei ruderi della Valva e della tradizione orale celenzana che narra della presenza di un luogo detto senato a Celenza. Mi è venuta voglia di cercare maggiori notizie sulla città e sono rimasto molto stupito dallo scoprire che, come dalle scarse fonti storiche, Celenza sarebbe stata trattata dai romani come un grande nemico sconfitto, utilizzando la distruzione della città e la sterilizzazione del terreno col sale. Non mi sembra, infatti, che Celenza all’epoca della guerra di Pirro, cioè all’epoca della sua distruzione, fosse un centro così importante da meritare una tale punizione per il suo tradimento a Roma.

    Tra poche notizie storiche a disposizione e molto gioco di fantasia ne è nata una costruzione narrativa che non vuole dare delle risposte storiche ma invitarci a riflettere sulla guerra, sulla sete di potere e sull’egoismo dell’uomo.

    Il testo è volutamente didascalico in quanto il target principale che è stato nella mia mente durante la sua elaborazione sono i ragazzi ed i giovani.

    PROLOGO

    La calma del tranquillo pomeriggio estivo sulla veranda della mia casa delle vacanze sulle colline della daunia, a Celenza Valfortore, come per un violento ed improvviso temporale, viene squarciata dalle urla di due ragazzi. Come un fulmine a ciel sereno scoppia la lite tra i fratelli.

    I miei nipoti non hanno bisogno di una motivazione particolare per iniziare una violenta discussione che, grazie a Dio, si placa così rapidamente come rapidamente è nata.

    Come al solito intervengo per capire la motivazione della contesa e cercare di risolverla senza che i fratelli passino dalle urla alle mani.

    "Michele, Vincenzo vi sembra il modo di urlare. Mi volete dire per quale motivo dovete fare tutto questo bacca-no!"

    Il più grande dei due, Vincenzo, senza essere molto impressionato dalla mia faccia apparentemente corrucciata, mi spiega che il motivo della discussione è la fanfaronata di Michele che sosteneva che pure Celenza aveva un senato, come Roma antica.

    "Nonno io ho cercato di convincerlo che non è vero ma lui come al solito insiste e vuole per forza avere ragione."

    "Io l’ho sentito l’altro giorno dal quel tuo amico quando vi siete incontrati al bar- interviene Michele - e ti ha detto che aveva fatto una passeggiata tra i ruderi del senato. Vincenzo era troppo occupato con il suo gelato per sentire queste cose e siccome non le ha sentite lui ora pretende di avere per forza ragione dicendo che sono un bugiardo."

    "E’ vero – ammetto io – il mio amico ha parlato del cosiddetto senato di Celenza, ma non è come quello di Roma. Questa volta avete ragione tutti e due! Infatti si tratta di alcuni ruderi di una zona dove molto probabilmente si riuniva l’assemblea cittadina della antica Celenza quando dovevano prendere delle decisioni importanti. Ma sto parlando di Kelenna, cioè della vecchia Celenza greca che è stata distrutta dai romani dopo la guerra contro Taranto e contro Pirro."

    "Cosa c’entra Taranto con Celenza - interviene Vincenzo - mica siamo sul mare o siamo vicini a Taranto! E cosa c’entra Celenza con questo Pirro! Che poi chi è?"

    "Vedi nonno - ribatte Michele - quando decide che una cosa non gli piace, anche se non sa di cosa parla, non c’è verso di convincerlo ed inizia a fare l’antipatico."

    "Ora è tardi – riprendo io – ma domattina vi porto a vedere quelle vecchie pietre e vi parlo di Kelenna, così la smetterete di litigare inutilmente."

    "Va bene – dicono insieme- ma ci devi raccontare la storia di questo senato ed il perché i romani hanno voluto distruggerlo."

    "Ci toccherà portare panini e coca cola- ribatto- e trovare un albero sotto cui metterci al fresco e stare comodi. La storia sarà lunga ma se vi interesserà ve la racconterò tutta. Se poi vi annoierete me lo direte, smetterò subito e torneremo a casa. Ora basta a litigare e riprendete a giocare tranquilli."

    Pensavo di aver disinnescato il solito litigio senza ulteriori conseguenze per me.

    Come tutti i ragazzi, ne ero sicuro, l’indomani probabilmente avrebbero trovato qualcosa di meglio da fare che andare per vecchi sassi tra arbusti, spine e serpenti.

    Come mi sbagliavo!

    La mattina successiva alle otto sono già pronti e con fare trionfante mi si presentano zaino in spalla, pantaloni lunghi e scarponcini da trekking.

    "Nonno – dice Vincenzo- noi siamo pronti. Abbiamo fatto preparare i panini anche per te. La mamma ha messo nella borsa termica bibite ed acqua a sufficienza per tutti. La porto io visto che sono il più grande. Questa borsa pesa di più di quella con i panini che invece la porta Michele visto che lui è più piccolo. Dai è ora che ci avviamo."

    Preso decisamente in contropiede debbo chiedere dieci minuti per prepararmi, dieci minuti che a me sono sembrati volare mente i ragazzi fremevano come se dovessero andare ad una festa. Senza farmi la barba e senza aver fatto alcuna attenzione a quello che mettevo addosso mi sono preparato rapidamente, anche per evitare che i ragazzi divenissero troppo impazienti.

    Sarà una giornata dura. Da Celenza dovremo scendere a mezza strada tra il paese ed il ponte dei tredici archi⁴ sul Fortore. Di li, in mezzo a vegetazione in gran parte secca, inizieremo a salire lungo sentieri appena tracciati, scoscesi, a volte difficili, da scalare usando mani e piedi. Sicuramente i ragazzi ce la faranno meglio di me. Ormai gli anni si fanno sentire e non salgo più alla Valva da tanto tempo.

    Chissà che ne penseranno i miei muscoli di questa camminata. Vedremo stasera al ritorno!

    Spero che i sentieri siano stati migliorati e meglio definiti, ma visti i tempi amministrativi che corrono non mi faccio illusioni.

    Comunque quello che è promesso è promesso e, come ha insegnato ai miei nipoti, le promesse si mantengono sempre, anche se un secondo dopo averla pronunciata ti sei pentito amaramente di averla fatta.

    La splendida mattinata estiva con una lieve brezza che tende ad attenuare il calore del sole sembra invogliarci a procedere verso la nostra meta.

    Ci avviamo ed inizio a raccontare

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