Dalla Sirte a casa mia
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About this ebook
"Venturi è il vero scrittore partigiano, eroico e corale insieme, emotivo eppure scarno, senza pudore della propria commossa tragicità [...]. È il narratore che racconta, spesso con popolaresca ingenuità, le emozioni collettive".
E doti di “ingenuità e lirismo” arricchite ancora anni dopo “dalla freschezza entusiasta del ‘45” riconoscerà in lui Elio Vittorini, che lo aveva scoperto ventenne e fatto esordire sulle pagine del suo prestigioso “Politecnico”.
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Dalla Sirte a casa mia - Marcello Venturi
COLOPHON
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2018 Gammarò edizioni
http://www.gammaro.eu
ISBN 9788899415471
Titolo originale dell’opera:
Dalla Sirte a casa mia
(Premio Viareggio opera prima 1952)
di Marcello Venturi
a cura di Francesco De Nicola
Collana * i Classici/ Letteratura e Storia *
diretta da
Vincenzo Gueglio
in copertina:
Il corpo di Abele trovato da Adamo ed Eva, dipinto di William Blake, inchiostro e tempera su tavola, cm. 32x43, 1826 circa, Londra, Tate Gallery
Marcello Venturi
Marcello Venturi (Seravezza, 21 aprile 1925 – Molare, 21 aprile 2008) è stato uno scrittore e giornalista italiano esponente del neorealismo.
Durante la Seconda Guerra Mondiale prese attivamente parte alla Resistenza italiana, che poi divenne uno dei temi fondamentali delle sue prime opere. Risulta prolifico autore di racconti.
Il suo esordio letterario avvenne nel 1945 sulla rivista settimanale Il Politecnico di Elio Vittorini, con il racconto Estate che mai dimenticheremo.
Nel 1946 vinse ex aequo con Italo Calvino un premio bandito dal quotidiano l’Unità di Genova che gli fu assegnato da Enrico Ardù. Il premio era riservato a racconti inediti di ambientazione resistenziale. I suoi racconti di quel periodo sono stati raccolti nel 1995 nel volume Cinque minuti di tempo (edito da Greco & Greco).
Venturi alternò per molti anni l’attività letteraria con quella giornalistica, lavorando presso l’Unità e presso la casa editrice Feltrinelli, dove diresse la collana dell’Universale Economica
.
Il suo romanzo più noto è sicuramente Bandiera bianca a Cefalonia, uno dei primi testi che - fra storia e letteratura - abbiano riportato all’attenzione generale il caso dell’eccidio di Cefalonia (pubblicato nel 1963, il romanzo è stato edito nuovamente nel 2004 da Mondadori).
Nel 1980 vinse il Premio Cento per Collefiorito
.
Con il libro Sconfitti sul Campo vinse il Premio Stresa di Narrativa nel 1982.
Parte dei suoi romanzi sono ambientati nell’Appennino tosco-ligure, un territorio che gli fu familiare fin dall’infanzia - come Il giorno e l’ora (De Agostini, 1987) -, mentre il romanzo Gorkij 8 interno 106 è dedicato a Julia Abramovna Dobrovol’skaja.
Uscì dal Partito Comunista, nel quale militava, dopo i Fatti d’Ungheria, così come lasciò la casa editrice Feltrinelli dopo la morte di Giangiacomo Feltrinelli, per dissapori con Nanni Balestrini.
Dal 1960 fu sposo di Camilla Salvago Raggi.
Collaboratore del Politecnico di Vittorini, esordì con Dalla Sirte a casa mia (1952), cui seguì Il treno degli Appennini (1956), libri composti ognuno da due narrazioni di varia lunghezza e dedicati ad esperienze di guerra. Dopo i racconti di Vacanza tedesca (1959) e il romanzo per ragazzi L’ultimo veliero (1962), è tornato ai temi bellici col romanzo Bandiera bianca a Cefalonia (1963). Tra i romanzi successivi, in cui la memoria sembra mescolare affetti privati e temi civili: Più lontane stazioni (1970); Terra di nessuno (1975); Il padrone dell’agricola (1979); Sconfitti sul campo (1982); Tempo supplementare. Storie del Novecento, un itinerario umano e civile (2000). Alcuni suoi racconti del dopoguerra sono raccolti in Cinque minuti di tempo (1995). Alla sua opera è dedicato Lo scrittore come cartografo. Saggio su Marcello Venturi (2007).
INDICE
Autore
Marcello Venturi, la freschezza entusiasta del ‘45
- Prefazione di Francesco De Nicola
La strada del ritorno
Primo tempo: il nemico
Secondo tempo: uomini alle navi
Terzo tempo: aria di paese
I fratelli
Marcello Venturi,
la freschezza entusiasta del ‘45
di Francesco De Nicola
Come già era successo alla fine della Grande Guerra, quando gli italiani si scoprirono per la prima volta scrittori per raccontare in diari, racconti, poesie e qualche romanzo ciò che avevano vissuto o almeno visto nelle trincee e sui campi di battaglia, così anche dopo la Liberazione si moltiplicarono i libri che intendevano raccontare ciò che era rimasto sconosciuto, ma che gli autori sapevano per esserne stati protagonisti o testimoni. Per far fronte a questa inusitata ondata di carta stampata – dai 2.266 volumi pubblicati nel 1944 si passò a 4.546 nel 1945 e a 6.516 nel 1946¹ – , sorsero numerose nuove tipografie e case editrici: nella sola città di Cuneo – che era stata uno dei capisaldi della Resistenza – nel Dopoguerra aprirono ben sette tipografie e basti pensare che, in poco più di un anno e mezzo, uscirono ben tre libri che si proponevano di informare su ciò che era accaduto nelle Langhe durante la Resistenza: Banditi (1946), scritto dal professore partigiano Pietro Chiodi, La tortura di Alba e dell’Albese (1946) del Vescovo di Alba monsignor Luigi Maria Grassi e Con la libertà e per la libertà (1947) di Enrico Martini Mauri, comandante dei partigiani badogliani. La natura di questi scritti era prevalentemente documentaria, ma sin da subito si manifestò anche una diffusa rappresentazione delle vicende e dei protagonisti in chiave letteraria: addirittura in forma di poesia, tanto che il 25 aprile, sulla prima pagina dell’Unità
, edizione di Genova – diretta dal capo partigiano e scrittore Giovanni Serbandini² – , fu pubblicato un anonimo testo in versi intitolato Insorgete!, seguito il 27 aprile dalla lirica, anch’essa anonima, Canto, stesso titolo di un’altra poesia anonima uscita il I maggio su un altro giornale genovese, il Corriere alleato
; e l’8 maggio, ancora sulla prima pagina dell’ Unità
genovese³, sarà pubblicata la poesia ancora anonima, ma in realtà scritta da Alfonso Gatto, Ai compagni uccisi a piazzale Loreto a Milano, l’unica poesia letteraria largamente diffusa durante la lotta di Liberazione […] edita clandestinamente con cura amorosa, con la cura con cui si compone un mazzo di fiori sulla tomba dei propri cari, traboccante nei suoi versi dello stupefatto orrore suscitato dalla rappresaglia
⁴.
Quando, dopo qualche mese, alcuni quotidiani cominciarono ad uscire la domenica, e poi anche il giovedì, in quattro pagine, allora risorse la terza pagina che, con le notizie culturali più varie, cominciò a pubblicare anche racconti ispirati alle recenti vicende storiche e in particolare alla lotta di Liberazione; racconti che recavano alcune firme già note, ma per lo più erano opera di scrittori esordienti o quasi che erano stati spinti a diventare tali dal peso spesso drammatico delle esperienze vissute. E un’ulteriore spinta verso lo sviluppo di questa attività di scrittura tra documento e letteratura verrà data anche dalle riviste culturali che, nel ritrovato clima di libertà e di impegno, cominciavano a nascere. E tra queste un ruolo decisivo fu ricoperto dal Politecnico
, fondato da Elio Vittorini – allora l’intellettuale italiano più noto e prestigioso, fresco autore (giugno 1945) del primo romanzo sulla Resistenza italiana, Uomini e no seguito da un’assai controversa accoglienza (tanto che sull’ Unità
venne osannato e stroncato⁵ –, che nell’editoriale del primo numero (uscito il 29 settembre 1945) sotto il titolo Una nuova cultura aveva reclamato la necessità di una letteratura che combattesse le sofferenze e, raccontandole in modi reali, si adoperasse per eliminarle; e per raggiungere questo obiettivo nel successivo editoriale del numero 5 del Politecnico
(del 27 ottobre) aveva esortato i giovani non intaccati dai vizi della vecchia letteratura […] a far raccontare alla gente anche più umile la propria vita
.
Questo appello non cadde nel vuoto e tra i giovani che subito lo percepirono ci fu un ventenne toscano (era nato nel 1925 a Seravezza, ai piedi delle Alpi Apuane, ma viveva nel vicino paese di Querceta)⁶ che si chiamava Marcello Venturi. Era figlio di un capostazione, con tendenze intellettuali
⁷, come Vittorini, e come Vittorini amava gli scrittori nordamericani che aveva conosciuto anche grazie alla sua antologia Americana, uscita nel 1941 con pesanti interventi della censura⁸, che Venturi era riuscito a procurarsi negli ultimi anni di scuola quando, traferitosi nel 1936 a Pistoia con la famiglia, aveva studiato da maestro per diplomarsi nel 1943. Richiamato alle armi, era stato mandato per l’addestramento a Fornovo, vicino a Parma, e dopo l’ 8 settembre e dopo varie avventurose vicissitudine, si unì per qualche tempo ad una formazione partigiana attiva nei dintorni di Pistoia per tornare quindi a Querceta e di qui nel paese di Porcari (tra Lucca e Montecatini) dove, nell’estate del 1945, lavorava come commesso nel negozio di alimentari dei nonni materni. E fu qui che Venturi, già da qualche anno visitato dalla vocazione alla scrittura, tanto da aver pubblicato nel marzo del 1942 un racconto persino sul mensile degli indipendentisti corsi Rivendicazione
, lesse sul Politecnico
l’invito di Vittorini e fu qui che, guardandosi intorno tra i poveri abitanti di Porcari ancora frastornati dalla guerra, Venturi ne raccontò la difficile esistenza nel racconto Una notte che non avrò sonno che aderiva in pieno alla richieste di Vittorini al quale senza indugio lo spedì. E anche senza troppo indugio l’autore di Conversazione in Sicilia gli rispose il 25 novembre:
Il tuo racconto è buono: mi sembra che tu possa e debba continuare. Come vedi te lo dico sinceramente. Dovrai ancora migliorarti, trovare una forma più tua, un linguaggio più efficace: ma è già notevole il racconto che mi hai inviato. Lo pubblicheremo non appena sarà possibile. Inutile dirti che, se hai occasione di venire a Milano, puoi passare da me⁹.
Il seguito lo racconterà Venturi stesso nel 1991:
Il giorno successivo alla lettera di Vittorini, ero partito da Porcari su una specie di tradotta. […] In via Borghetto indugiai a lungo nel freddo. Ora che lo sapevo lì, Vittorini, oltre la soglia del portone, salire le scale mi metteva paura. Conversazione in Sicilia, Uomini e no, Fascisti i giovani? Un mito vagheggiato per anni – un sogno – era sul punto di trasformarsi in realtà, o di finire. […] Nello spiraglio dell’uscio apparve Vittorini in persona, così come tante volte l’avevo visto in fotografia. […] Mi guardò tra perplesso e interrogativo, e io: – Sono di passaggio – dissi, o balbettai. Lo sguardo gli si fece lontano, acceso, a cercare un nesso; e intanto che lo cercava – forse invano – un sorriso indulgente e insieme timido gli addolcì i tratti marcati del volto siculo-normanno¹⁰.
L’incontro incoraggiò Venturi a continuare a scrivere per Vittorini, al quale mandò altri due racconti, la cui lettura il 12 dicembre suscitò questa risposta da parte del destinatario:
Questi altri due racconti che mi invii sono buoni, ma vorrei sinceramente esprimerti la mia opinione. Ed è questa: insieme ad un umore simpatico di bohème
, essi rivelano un’eccessiva aderenza, nella forma e nella sintassi, a modelli italiani e stranieri di cui non starò a farti i nomi perché tu li saprai meglio di me. Mi sembra che tu abbia bisogno di non avere tanta fretta a esprimerti e di trovare piuttosto una tua forma genuina. Come consiglio ti direi che ti abbisognano delle letture tali da incitarti ad uscire dal generico ‘populismo’ di questi racconti. Scrivimi ancora, inviami altro materiale¹¹.
Evidentemente ormai Vittorini aveva preso a cuore il giovane aspirante scrittore toscano nel quale, col suo fiuto innegabile di scopritore di talenti, aveva trovato evidenti qualità che però intendeva migliorare e guidare, ben sapendo tuttavia che era necessario incoraggiarle; e infatti una settimana più tardi (il 19 dicembre)