Raccontami una storia: Antologia del premio letterario
By Autori Vari
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Raccontami una storia - Autori Vari
Autori vari
Raccontami una storia
Antologia del premio letterario
Prato, Cooperativa sociale Eccoci
UUID: e089ae5e-73b2-11e8-a1c1-17532927e555
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice
Presentazione
Introduzione
La vincitrice del concorso
Almeno tu
Menzioni speciali della giuria
Se la notte fosse zucchero filato
Fuori copione
Missione ufficio
Nero come tutti i colori dell'arcobaleno
Racconti finalisti
Quel giorno che fu
Il topo
Coperte bagnate
Un grado di separazione
Don Vincenzino
Che ne sarà di me ora?
Andromaca e suo zio
Ritorno a casa
Da che parte stai?
Il primo maggio degli avatar
A conoscere gli umani e la terra
Angela
Nel buio c’è ancora colore
Verrà la morte (diario di un malato terminale)
Il fragore finale di una giornata inconcludente
Il mondo gira così
Un giorno alla volta
Il mimo che non aveva passato
Amare un profugo istriano
Solo un uomo
Il Natale negli anni Trenta
L'ultima carica
Il contagioso atto della follia
Vita da ristretta
Amicizia differenziata
Ringraziamenti
Presentazione
Daniele Panerati
Il volume raccoglie i 30 lavori selezionati dalla giuria della prima edizione del Premio letterario Raccontami una storia, promosso e organizzato da Eccoci cooperativa sociale. I testi sono pubblicati in ordine di classifica. Il primo è il vincitore ma dalla seconda alla quinta posizione si collocano racconti molto apprezzati dalla giuria con unanime e pressoché uguale consenso. I 25 racconti successivi sono stati selezionati in virtù di particolari qualità contenutistiche o di stile con cui sono state trattate problematiche sociali complesse. Tutti i testi sono pubblicati nella versione originale, salvo minime variazioni dovute ad esigenze di uniformità e di adeguamento alle norme redazionali. Questa scelta consente al lettore di misurarsi con opere genuine, portatrici del pathos e dell’impronta scrittoria di ogni singolo autore in un confronto aperto e paritario fra esordienti e no. Sono poco meno di 200 i racconti complessivamente pervenuti da tutta Italia, dalla Svizzera italiana e da italiani residenti all’estero. Quasi tutti hanno messo in luce temi sociali, condizioni di disagio e sofferenza ma anche di coraggio, impegno e resilienza. Molte le testimonianze di storie personali e collettive, dal matrimonio con un giovane profugo istriano al Natale negli anni Trenta, ai bombardamenti alleati. Tanti i giovani e i giovanissimi che hanno scelto la fantasia per esprimere timori e speranze rivolti al futuro, e tra questi anche migranti che hanno voluto cimentarsi con la nostra non facile lingua italiana. In tutti emerge la voglia di essere vivaci protagonisti della propria vita, di affidare alle parole le ansie e le speranze dei nostri tempi, in un tentativo comune di superare le barriere della solitudine, osteggiare il vittimismo e seminare nuove progettualità. Ringraziamo tutti per aver accolto con tanto zelo il nostro invito a scrivere e auguriamo ad ognuno di coltivare al meglio l’energia letteraria che li contraddistingue.
Daniele Panerati
Presidente Eccoci cooperativa sociale
Introduzione
Innanzitutto mi preme ringraziare la cooperativa Eccoci e il blog Paese sera Toscana per aver ideato questo premio. Le cooperative sociali, che sono una ricchezza di questo Paese e della nostra regione svolgono quotidianamente un lavoro egregio a fianco dei più deboli. Il mondo della cooperazione, da sempre ma tanto più oggi, rappresenta il braccio destro delle politiche sociali pubbliche, nella cura quotidiana e nell’offerta di quei servizi che fanno crescere una comunità e la società. Ecco perché sia il comune di Prato che la Regione Toscana hanno voluto riconoscere il valore di questo premio letterario concedendo il patrocinio a un’iniziativa davvero meritevole. Devo dire che mi aspettavo una discreta risposta ma non così ampia, in termini di quantità di racconti arrivati da tutta Italia, e non così buona in termini di qualità. La fotografia che otteniamo rappresenta lo spaccato di una società contemporanea con tutte le sue fragilità. I racconti toccano tutti i temi, dall’immigrazione alla violenza, dalla solitudine al dolore, fino a quei semplici ricordi che scaldano il cuore. Queste storie ci parlano di persone. Persone che hanno sofferto, persone che sono state felici, che hanno osservato e vissuto ingiustizie; ci parlano di bambini, lavoro, adolescenti e anziani. Persone di cui anche le istituzioni, assieme alle cooperative sociali, si devono prendere cura. Persone che guardano e vivono questo tempo con tutti i limiti di chi a volte gli strumenti di riscatto non li ha trovati ma che per fortuna sanno trovare quella straordinaria forza della natura umana che è la voglia di combattere. Ed è proprio il tema del riscatto, della speranza, dell’attenzione e del saper leggere gli altri al di là delle apparenze a vincere questo premio che ci traghetta nel mondo delle donne. Uno degli anelli più fragili della società che ci richiama alla responsabilità di educare culturalmente e sentimentalmente le nuove generazioni.
La storia parte in sordina per sorprenderci nella seconda parte e muovere il lettore a una profonda empatia verso gli altri, in questo caso verso chi patisce violenza in silenzio e vorrebbe ‘mascherare’ il proprio dolore. Il racconto ci esorta a non rimanere inerti e ad osservare, provare a capire e tendere una mano. Chiara lo fa in modo da stupirci con delicatezza e con grande dolcezza. Una storia che merita di essere letta. Un premio letterario che merita una seconda edizione!
Ilaria Bugetti
Presidente della giuria e vicepresidente della commissione Cultura del Consiglio regionale della Toscana
La voglia di far sentire la propria voce e le proprie parole. Quelle vere, autentiche, ponderate e misurate che albergano dentro ognuno di noi. E con questo forse la voglia di andare oltre la velocità e l’ambiguità con le quali i social network divorano in un battibaleno le nostre parole e i nostri pensieri. È un po’ tutto questo che mi è venuto in mente leggendo i racconti – tantissimi e arrivati da ogni parte d’Italia – che sono piovuti sul tavolo della giuria del concorso Raccontami una storia
, che questo volume antologico raccoglie solo in piccola parte.
Sono felice che l’Amministrazione comunale abbia sposato la causa di questo concorso, che voleva sollecitare le persone a raccontare se stesse, la propria visione del mondo e dei fenomeni sociali che lo stanno attraversando e, in qualche caso, mettendo alla prova. Ascoltare la voce delle persone è uno dei compiti più importanti di un’istituzione. Soprattutto quando gli argomenti sono quelli che segnano, anche in modo doloroso, la nostra quotidianità: l’immigrazione, il razzismo, la violenza di genere, il femminicidio. Visto il successo di risposte ottenuto, la cooperativa Eccoci, che si occupa di gestire attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, ha raggiunto pienamente l’obiettivo di ascolto. Le cooperative, del resto, rappresentano un pilastro sociale ed economico della nostra società. E in una città che vive varie difficoltà legate alle tematiche sollecitate dal concorso, Raccontami una storia
ha rappresentato un prezioso momento di riflessione sui conflitti in essere. Ha colto pienamente l’obiettivo di valorizzare le tematiche sociali, raccontandole sotto una nuova prospettiva. È un’avventura positiva che si amalgama alla perfezione con l’altro Premio letterario da noi patrocinato, Prato città aperta
, dedicato alla diversità. Sono il segno, questa antologia e questo concorso, che le persone non si limitano a guardare distrattamente il mondo che le circonda ma sono capaci di osservarne le sfumature, catturarle e trasmetterle, rendendole vive e cariche di emozioni, a chi abbia voglia di ascoltare. Buona lettura.
Simone Faggi
Membro della giuria e vicesindaco di Prato
La vincitrice del concorso
Imma Di Nardo, nata a Napoli, vive dai primi anni ‘80 a Milano, occupandosi, dopo la laurea in Sociologia, di lavoro, orientamento e formazione. Almeno tu nasce dalla sua attuale esperienza di responsabile dello Sportello Lavoro per conto di un centro antiviolenza di Milano. Si dedica alla scrittura nelle sue varie forme, dalla saggistica sul mondo del lavoro agli articoli di economia. Lavora per giornali e riviste e per il web. Nel 2010, il suo romanzo d’esordio Stregato dalle steppe compare nella rosa dei 6 finalisti del Premio John Fante- sez. Arturo Bandini opera prima. I racconti di Imma Di Nardo sono presenti in antologie legate ai premi letterari, tra i quali il Premio La Quara e Penna Nera - vinti nel 2016 - Raccontinellarete 2009, Premio Fabrizio De Andrè. Semifinalista al Premio Arturo Loria 2011 e nel 2017 tra i selezionati per l’e-book edito da ERI nell’ambito della trasmissione, dedicata ai racconti brevissimi, Radio 1 Plot Machine.
Almeno tu
Imma Di Nardo
Ancora una volta si è addormentata con la testa affondata tra la pila di temi da correggere, sulla scrivania del suo studio. Il kimono giallo le scivola dalle spalle, ed è l’aria fresca del tramonto, entrando dalla finestra spalancata, a risvegliarla. Si strofina gli occhi, rabbrividisce, sistema strettamente la vestaglia intorno al corpo e corre a chiudere le persiane. Accende la luce della lampada verde sulla scrivania. Osserva con aria desolata i ventiquattro temi che le restituiscono uno sguardo impassibile e, con un sospiro, riprende in mano, come una maestrina d’altri tempi, la matita rossa e blu.
È ancora giovane Giulia, trentasei anni e, certe mattine brumose, la sua figura slanciata e quel fare esitante e dolce non la rendono tanto diversa dai suoi liceali. Quest’anno poi che le è capitata la quinta!
L’ultimo tema dell’anno . Non può fare a meno di compiacersi. È certa che, con l’argomento scelto, la classe abbia avuto più libertà d’espressione e lei stessa proverà meno patimenti nell’interpretare, tollerare e, in qualche miracoloso caso, essere colpita dalle parole che si dispiegano sotto i suoi occhi.
Come sua abitudine, Giulia ripone la prima tornata di elaborati corretti sul terzo scaffale della libreria. Per arrivarci deve sollevarsi sulle punte ed estendere il braccio destro. Il gesto le provoca una smorfia di dolore. Si ferma, massaggiandosi tra la spalla e la clavicola, dove un esteso alone bluastro, vecchio di giorni, fa mostra di sé, spiccando come un fiore maligno sul giallo del kimono.
Ora i suoi occhi sono specchi vuoti, i pensieri piombo fuso nella mente. Con uno sforzo di volontà torna alla scrivania. Viene ricompensata dalla scoperta che il prossimo compito è di Chiara. Chiara!
Una brava insegnante non deve avere preferiti, è una massima da non dimenticare mai. Finora c’era sempre riuscita, poi era entrata in aula quello scricciolo di ragazza, gli occhi che le mangiavano la faccia pallida e la frangia, scura e spessa, che tentava senza successo di nasconderli. Di lei si sapeva che viveva con la sorella della madre, dalla morte di quest’ultima. Del padre, della sua stessa esistenza, quasi nulla. Aveva forse abbandonato moglie e bambina molti anni prima? La morte della compagna l’aveva a tal punto piegato da faticare a riprendere il normale corso della vita? I padri, si sa, difficilmente riescono a gestire da soli i turbamenti delle adolescenti. E Chiara, poi!
Introversa, caparbia, scontrosa ma dotata di momenti di sorprendente sensibilità. Durante l’anno aveva stretto alcune amicizie a scuola con gli studenti meno superficiali, quelli che si ponevano più domande. Pochi. Nessuno degli altri, però, aveva mai provato a metterla all’angolo, usando il gruppo come arma psicologica. Una sorta di aura proteggeva quella singolare ragazza e faceva sì che i compagni, senza arrivare a comprenderla o amarla, pure provassero verso di lei una qualche forma di rispetto. Lo stesso accadeva con i professori. Chiara riusciva, senza apparenti difficoltà, in quasi tutte le materie, ma non solo per questo si parlava di lei con una considerazione che si riservava a pochi.
Giulia, nonostante il riserbo, la timidezza quasi, che a volte arriva a velarle la voce e mutilarle le parole, era molto amata dalle sue classi. Come cuccioli di animali guidati dall’istinto, i suoi giovanissimi ascoltatori riuscivano a coglierne la disponibilità, l’interesse reale per le loro vite in divenire. Lei, a squarci, a frammenti, percorrendo strade non battute, era arrivata a toccare le corde più sensibili dei suoi alunni, aveva scoperto territori inesplorati che non chiedevano che di essere conquistati.
Quando poi si lasciava andare all’entusiasmo per un autore, una corrente letteraria, perdendosi a spiegare con mille rimandi e citazioni, i ragazzi le venivano dietro, come l’esercito di topi al pifferaio di Hamelin. Si guardavano tra loro, ostentando certi sorrisetti saputi, ammiccavano, ma poi finivano tutti con il concordare. «Forte, però, la prof quando si smolla».
Intanto, nei mesi, si era creato un legame sempre più forte tra lei e l’ultima arrivata. Un legame cresciuto giorno dopo giorno, commentando un testo, apprezzando gli stessi autori, ritrovando, alzando gli occhi dopo aver letto un brano, la stessa emozione. Si erano riconosciute tacitamente sorelle, guardando nella stessa direzione, entrambe senza pelle, senza barriere tra loro e il mondo.
Giulia sperava con tutta sé stessa che la ragazza scontrosa, che si apprestava a diventar donna, percorresse un sentiero in discesa, che la sua salita l’avesse ormai fatta. Quel poco che lei poteva fare, certo l’avrebbe fatto, concludeva stendendo le labbra in un amaro sorriso.
Almeno lei, Chiara, ce la doveva fare.
***
Tema: Immagina di scrivere una lettera, come una volta. Una lettera a qualcuno che ti è caro, per cui vorresti fare qualcosa, con cui vuoi felicitarti per un successo o condividere una sua pena.
«Liberi di scegliere la persona cui è destinata e il motivo. Sbizzarrite la vostra fantasia, assecondate le vostre inclinazioni».
Così ci hai detto stamani prof, spiegandoci l’ultimo tema dell’anno. E io ti prendo in parola e comincio a scrivere come si faceva una volta, carta, penna e ragionandoci sopra.
Cara Giulia, questa lettera vede come destinatario proprio te. In questo momento ti ho davanti agli occhi, come ti ho sorpresa mercoledì scorso. Ero rientrata in classe per riprendermi il sacchetto di caramelle all’anice che mi porto sempre dietro. E tu eri ancora là. Ma non seduta alla cattedra, intenta a radunare le ultime cose prima di uscire. Eri con la fronte appoggiata al vetro della finestra alta, gelida e polverosa. Dal lato opposto del cortile ti rispecchiavi in un giovane acero già minato alle radici, la sorte segnata, e senza sapere perché, cacciavi indietro a fatica un singhiozzo.
Adesso so che alzerai quelle tue sopracciglia, così sottili da non vedersi quasi, pensando: Me? ma…ma non è corretto! Cosa significa?
Rassicurati: il destinatario non sei solo tu. Ecco, penso che sia più giusto dirla così.
Tu sei la persona reale cui mi rivolgo perché voglio condividere una tua pena, fare qualcosa per te. E perché ti voglio bene. Ma, anche, tu hai qualcosa che ti accomuna alle moltitudini di donne di cui continuamente leggiamo e ascoltiamo le raccapriccianti cronache in tv. Quelle donne che disperatamente vorrebbero scomparire nei muri, in larghi maglioni sformati anche in estate e grandi occhiali da sole negli inverni più grigi. Scivolano come ombre, cadono
continuamente in casa, sbattono
negli spigoli, si ustionano
calando l’acqua fumante della pasta nel lavello.
A volte un aguzzino più astuto le libera dal bisogno di nascondere quei segni esteriori, che loro vivono come una colpa. Quanto può essere adatto allo scopo il tappeto in salotto? Comprende tutta la gamma del rosso ed è tanto grande da farci entrar dentro un uomo, immagina una donna. Così, colpi e pugni e calci in libertà e, come per miracolo, la donna viene fuori quasi senza un segno.
Che delicatezza da parte loro non metterle in imbarazzo davanti alla gente, che guarda senza vedere.
Io, invece, no, Giulia. Io le vedo tutte queste donne. Sempre. Non mi sfuggono mai. Le identifico con una sola occhiata, come se mi chiamassero, neanche avessi un radar in mezzo agli occhi. E non sono gli occhiali da sole, i lividi intravisti sotto un pullover sformato, la smorfia di dolore nello stendere un braccio, la vergogna sempre presente su quei volti. Io decifro le loro mezze parole, lo sguardo che sfugge, l’ansia che non le lascia mai, la paura compagna dei loro giorni e persecutrice delle loro notti.
Io conosco tutta la storia infinita che parte dall’incredulità, arriva alla fedeltà oltre ogni limite al carceriere, e finisce nell’avvilimento e nel disprezzo del loro valore. Nella perdita della loro identità come donne e come esseri umani. Alcune hanno infine compreso, rialzato la testa e provato a lottare. Qualcuna in tempo, altre no.
Mi chiederai qual è lo scopo di questa lettera. Io voglio, e con una forza di cui son certa non mi credi capace, che questa lettera sia lo strumento che ti conduca alla speranza. E alla ribellione. Non sei tu che devi provare vergogna, Giulia.
Ora tu sai che io ho capito. Subito, dal primo momento in cui ti ho vista in classe, leggendo il tuo sguardo e non i segni sul tuo viso, tu distratta
studiosa che sbatti dappertutto. Che immagine accattivante hai voluto darci di te!
Ora non ti sarà più possibile far finta di niente, tornare indietro. Ora che la trama dei tuoi segreti, della tua vergogna è stata squarciata. So che ti senti più esposta. E forse più fragile.
Quello che voglio dirti è che non devi sentirti più sola, Giulia. Lotta! Per te, per l’universo dolente e senza nome che rappresenti. In ultimo, ti chiedo di farlo anche per me. E per mia madre, che non sono riuscita a salvare.
Almeno tu, Giulia, ce la devi fare.
Menzioni speciali della giuria
Nelle pagine che seguono figurano i racconti che si sono classificati dal secondo al quinto posto.
Queste opere hanno avuto una menzione speciale da parte della giuria, che ne ha apprezzato l’originalità e il particolare ritmo stilistico.
Se la notte fosse zucchero filato
Tiziana Marfisi
«Toni?».
«Che c’è?».
«Ci credi ai fantasmi?».
«Sì».
«Anche a quelli dei vivi?».
«I vivi non ce li hanno i fantasmi. Solo i morti».
«Non capisci niente. Ci sono i fantasmi dei morti, i fantasmi di quelli che non sono né vivi né morti e i fantasmi dei vivi».
«…»
«Toni?».