La figlia di Iorio
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Gabriele D'Annunzio
Gabriele D’Annunzio (1863-1938) was an Italian poet, playwright, soldier, and political figure. Born in Pescara, Abruzzo, D’Annunzio was the son of the mayor, a wealthy landowner. He published his first book of poems at sixteen, launching his career as a leading Italian artist of his time. In 1891, he published his first novel, A Child of Pleasure, followed by Giovanni Episcopo (1891) and L’innocente (1892), which earned him a reputation among leading European critics as a member of the Italian avant-garde. By the end of the nineteenth century, he turned his efforts to writing for the stage with such tragedies as La Gioconda (1899) and Francesca da Rimini (1902). Radicalized during the First World War, D’Annunzio used his experience as a decorated fighter pilot to spread his increasingly nationalist ideology. In 1919, he spearheaded the takeover of the city of Fiume, which had been ceded at the Paris Peace Conference. As the leader of the Italian Regency of Carnaro, he sought to establish an independent authoritarian state and to support other separatist movements around the globe, but was forced to surrender to Italy in December 1920. Despite his failure, D’Annunzio inspired Mussolini’s National Fascist Party, which built on the violent tactics and corporatist system advocated by the poet and his allies. Toward the end of his life, D’Annunzio was named Prince of Montenevoso by King Victor Emmanuel III and served as the president of the Royal Academy of Italy.
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La figlia di Iorio - Gabriele D'Annunzio
Gabriele D'Annunzio
La Figlia Di Iorio: Tragedia Pastorale
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Indice dei contenuti
GABRIELE D'ANNUNZIO
La figlia di Iorio
tragedia pastorale di tre atti (1904)
ALLA TERRA D'ABRUZZI
ALLA MIA MADRE ALLE MIE SORELLE
AL MIO FRATELLO ESULE AL MIO PADRE SEPOLTO
A TUTTI I MIEI MORTI A TUTTA LA MIA GENTE
FRA LA MONTAGNA E IL MARE
QUESTO CANTO
DELL'ANTICO SANGUE
CONSACRO
Le persone della tragedia
Lazaro di Roio
Candia della Leonessa
Aligi
Splendore - Favetta - Ornella
Maria di Giave - Vienda
Teòdula di Cinzio
La Cinerella - Mònica della Cogna
Anna di Bova - Felàvia Sèsara
La Catalana delle Tre Bisacce
Maria Cora
Mila di Codra
Femo di Nerfa
Ienne dell'Eta
Iona di Midia
La vecchia dell'erbe
Il cavatesori
Il santo dei monti
L'indemoniato
Un pastore - un altro pastore
Un mietitore - un altro mietitore
La turba
Il coro delle parenti
Il coro dei mietitori
Il coro delle lamentatrici
Nella terra d'Abruzzi, or è molt'anni.
ATTO PRIMO
Si vedrà una stanza di terreno in una casa rustica. La porta grande sarà aperta su l'aia assolata; e vi sarà tesa una banda di lana scarlatta per traverso, a impedimento del passo, e alla banda saranno poggiati un bidente e una conocchia; e presso un degli stipiti penderà una croce di cera, contro i malefizii. Un uscio chiuso, con l'architrave adornato di mortella, sarà nella parete a man dritta; e lungh'essa la parete saranno tre arche di legname. A manca, nella grossezza del muro, sarà un camino con la sua cappa molto prominente; e, poco più in là, un usciuolo; e, quivi presso, un telaio. E vi saranno nella stanza varii utensili e suppellettili, ai loro luoghi, come stipi, scancìe, trespoli, aspi, fusi, matasse di canapa e di lana appese a una cordella tirata fra due chiodi, mortai, boccali, scodelle, alberelli e fiasche fatti di zucche votate e secche. E vi sarà una madia vecchissima che porterà scolpita l'imagine di Nostra Donna; e vi sarà l'orcio dell'acqua, e il desco. Al soffitto sarà sospesa con funi una lunga tavola carica di caci. Due finestrette inferriate, alte dal terreno quattro o cinque braccia, faranno lume ai lati della porta grande; e ciascuna avrà la sua spiga di meliga rossa, contro i malefizii.
Scena prima
Splendore, Favetta e Ornella, le tre sorelle, saranno in ginocchio davanti alle tre arche del corredo nuziale, chine a scegliere le vestimenta per la sposa. La loro fresca parlatura sarà quasi gara di canzoni a mattutino.
SPLENDORE: Che vuoi tu, Vienda nostra?
FAVETTA: Che vuoi tu, cognata cara?
SPLENDORE: Vuoi la veste tua di lana?
o vuoi tu quella di seta
a fioretti rossi e gialli?
ORNELLA ( cantando) : Tutta di verde mi voglio vestire,
tutta di verde per Santo Giovanni,
ché in mezzo al verde mi venne a fedire...
Oilì, oilì, oilà!
SPLENDORE: Ecco il busto dei belli ricami
con la sua pettorina d'argento,
la gonnella di dodici téli,
la collana di cento coralli
che ti diede la madre tua nova.
ORNELLA ( cantando) : Tutta di verde la camera e i panni.
Oilì, oilì, oilà!
FAVETTA: Che vuoi tu, Vienda nostra?
SPLENDORE: Che vuoi tu, cognata cara?
ORNELLA: I pendenti e la collana
e il nastrino chermisì.
Ora suona la campana,
la campana di mezzodì.
SPLENDORE: Ora viene il parentado
a portarti le canestre,
le canestre di grano trimestre;
e tu, ecco, non sei pronta!
ORNELLA: Tonta e pitonta,
la pecora pel monte
il lupo per la piana
va cercando l'avellana,
l'avellana pistacchina:
questa sposa è mattutina,
mattutina come la talpa
che si leva all'alba all'alba,
come il ghiro e il tasso cane.
Senti senti la campana!
( Ella dirà la cantilena rapidamente; poi romperà in un gran riso e le altre rideranno con lei).
LE TRE SORELLE: Oh Aligi, Aligi, e tu?
SPLENDORE: Di velluto ti vestirai?
FAVETTA: Vuoi dormir settecent'anni
con la bella sonnacchiosa?
SPLENDORE: Il tuo padre è a mietitura,
fratel caro; e la stella diana
s'è mirata nella falce,
nella falce che non riposa.
FAVETTA: E la tua madre ha messo la sapa
nel vino, e l'ànace nell'acqua,
e il garofalo nella carne,
e nel cacio il timo trito.
SPLENDORE: E una pecora abbiamo uccisa,
una pecora grassa d'un anno
che avea capo pezzato di nero,
per la moglie e pel marito.
FAVETTA: E la scapola mancina
per Ustorgio l'abbiamo serbata,
per il vecchio della Fara
che ci fa la profezia.
ORNELLA: E domani è San Giovanni,
fratel caro; è San Giovanni.
Su la Plaia me ne vo' gire,
per vedere il capo mozzo
dentro il sole, all'apparire,
per veder nel piatto d'oro
tutto il sangue ribollire.
FAVETTA: Su, Vienda! Su, capo d'oro!
Guardatura di vinca pervinca!
Or si falcia alla campagna
quella spiga che ti somiglia.
SPLENDORE: La madre ci disse: Andate.
Tre olive avevo con meco.
Or m'ho anche una susina.
Ho tre figlie ed una figlia.
ORNELLA: Su, Vienda, chiara susina!
Che t'indugi? Scrivi al sole
una lettera turchina
perché oggi non si colchi?
( Riderà, e le sue sorelle con lei rideranno).
Scena seconda
Dall'usciuolo entrerà la madre loro, Candia della Leonessa.
CANDIA DELLA LEONESSA: Ah cicale, mie cicale,
una a furia di cantare
è scoppiata in cima al pioppo.
Or non cantano più i galli
a destar chi dorme troppo.
Ora cantan le cicale,
tre cicale di mezzogiorno,
che m'han preso un uscio chiuso
per un albero di fronda!
Ma la nuora non ascolta.
Oh Aligi, Aligi figlio!
( L'uscio si aprirà. E apparirà lo sposo imberbe; che darà il suo saluto con voce grave ed occhi fissi, religiosamente).
ALIGI: Laudato Gesù e Maria!
E voi, madre che mi déste
questa carne battezzata,
benedetta siate, madre.
Benedette voi, sorelle,
fiore del sangue mio.
Per voi, per me, la croce mi faccio
in mezzo al viso dove non passi
il falso nemico né morto né vivo,
né fuoco né fiamma,
né veleno né fattura;
né malo sudore lo bagni né pianto.
Padre, Figliuolo e Spirito Santo!
( Le sorelle si segneranno e passeranno la soglia recando le vestimenta. Aligi si appresserà alla madre, come trasognato).
CANDIA: Carne mia viva, ti tocco la fronte
con questo pane di pura farina
intriso nella madia che ha cent'anni
nata prima di te, prima di me
spianato sopra l'asse che ha cent'anni
da queste mani che t'hanno tenuto.
Io ti tocco la fronte che sia chiara,
ti tocco il petto che sia senz'affanni,
e questa spalla ti tocco e quest'altra
che ti reggan le braccia alla fatica
e la tua donna