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Gli Elementali 3: L'amore non si arrende
Gli Elementali 3: L'amore non si arrende
Gli Elementali 3: L'amore non si arrende
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Gli Elementali 3: L'amore non si arrende

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About this ebook

A distanza di tre mesi dalla scoperta della loro esistenza, gli Elementali fanno ormai parte della vita di Peter. È grazie a loro se ha smesso di sentirsi un ragazzo timido e insicuro; ora sta imparando a relazionarsi con gli altri e a comprendere meglio la sua famiglia. Al fianco della sua amata Lucy, resta un ultimo scalino da salire, un’ultima prova per lui: costruire il suo futuro. Per Angelica i problemi non sono ancora finiti: il risveglio in un letto d’ospedale, la scomparsa della piccola Nancy, le dispute con le driadi e quel segreto che le nascondono i suoi fidati amici elfi... di chi fidarsi? A chi credere? L’unica certezza che ha è l’amore che prova per Malphas: adesso, più che mai, deve capire se è abbastanza forte da superare ogni ostacolo. Mentre un passato sconosciuto irrompe all’improvviso nella vita di Clarissa, un luogo magico e celato ai più porta alla luce verità nascoste. Il bosco riserva ancora delle sorprese... Elfi, ninfe, demoni, silfi e tanti altri vi aspettano per condividere la loro nuova avventura!

Capitolo conclusivo della serie "Gli Elementali".

La trilogia è composta dai seguenti romanzi fantasy:
"Insieme verso la libertà"
"La spada degli elfi"
"L'amore non si arrende"
La trilogia è disponibile alla vendita in ebook e in cartaceo.
LanguageItaliano
Release dateMay 6, 2018
ISBN9788828319900
Gli Elementali 3: L'amore non si arrende

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    Gli Elementali 3 - Jessica Maccario

    JESSICA MACCARIO

    L’amore non si arrende

    Fantasy

    Terzo libro della saga

    Gli Elementali

    Copyright © ed. aprile 2018 by Jessica Maccario

    Sito: http://jessicamaccario.wix.com/jessicamaccariobooks

    © Copertina a cura di Elisabetta Baldan

    Sito: https://www.facebook.com/ElisabettaBaldanDigitalArt

    Tutti i diritti sono riservati, incluse la riproduzione e la traduzione di parti o dell’intero testo, in ogni forma.

    Questa è un’opera di fantasia. Tutti i personaggi e gli avvenimenti descritti in questo romanzo sono il frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio.

    A chi ha avuto la pazienza di seguirmi fino a qui

    arrivando al terzo e ultimo capitolo di una serie fantasy

    iniziata durante l’adolescenza e portata avanti in età adulta.

    Questi personaggi mi hanno accompagnata

    per più di dieci anni ed è giunta l’ora di salutarli.

    Grazie a tutti voi che mi siete rimasti accanto.

    PROLOGO

    18 agosto

    All’alba di un nuovo giorno, un timido sole spuntò davanti a lei in tutta la sua bellezza. Angelica rabbrividì, riscaldata appena da un abito che lasciava scoperte gran parte delle spalle e delle braccia. Era bellissimo, di un bianco splendente reso ancora più luminoso dai diamantini sul petto, e una gonna a pieghe ad accarezzarle le gambe. Un dono della mamma. Se solo fosse stata ancora viva, era sicura che l’avrebbe sostenuta dall’inizio alla fine regalandole uno dei suoi sorrisi radiosi, pieni d’amore e di dolcezza.

    Angelica prese un lungo respiro e si avviò tremante verso il luogo d’incontro. Il freddo era pungente, ma i primi raggi si posarono tiepidi su di lei, donandole calore. Ne avrebbe accumulati un po’ durante la giornata, in modo da non doversi preoccupare di restare senza energia nel pieno della serata. Quella notte sarebbe stata lunga e lei finalmente era pronta a essere una normale umana. Almeno per un giorno, l’elfa che era in lei si sarebbe assopita.

    Si mosse incerta sui tacchi per raggiungere la piazza centrale di Forest Glade, dove un gruppetto di persone attendeva trepidante: gli amici elfi in forma umana, Peter, Clarissa, Marta, Miranda, Nancy. Mancava solo Alexia. La incitarono ad avvicinarsi con esclamazioni gioiose proprio mentre le campane iniziavano a suonare.

    Era ora di entrare e sua sorella non era ancora arrivata.

    Me l’avevi promesso. Avevi giurato che saresti venuta, pensò triste.

    Doveva entrare insieme a lei, tenendola per mano fino all’altare. Invece la cerimonia sarebbe cominciata nel peggiore dei modi, da sola dinanzi a tutta la gente. Il terrore le bloccò lo stomaco e le gambe avanzarono fino alla soglia quasi avessero vita propria. Provò a rilassarsi pensando a chi l’aspettava dall’altra parte. Malphas. L’emozione la costrinse a fermarsi, a chiudere gli occhi per riacquistare il controllo.

    Poi li riaprì e scoprì che la scena era cambiata radicalmente. Rimase senza fiato vedendo la chiesa piena di gente. Molti anziani del paese la fissavano con disappunto, persone che non avrebbe mai invitato al suo matrimonio. Un trambusto la fece sussultare, dall’esterno qualcuno si scagliò contro la porta chiusa, che gli elfi corsero a sbarrare. Angelica si riprese dallo sbalordimento e avanzò lungo la navata. Mentre passava di fianco ai banchi ornati di fiori bianchi, i vecchi si alzarono in piedi e presero ad afferrarla, qualcuno le strattonò il vestito con forza. Allora sollevò la gonna con mani tremanti e si preparò a correre, verso la fine della navata che sembrava non arrivare mai, verso il suo futuro. Mancavano pochi metri quando inciampò. Cadde, sporcando l’abito perfetto, si aggrappò alla panca e sollevò lo sguardo da terra. Alexia era comparsa al suo fianco, con un ghigno malefico sul volto.

    L’organo suonò le prime, deprimenti note, che tutto ricordavano tranne che una marcia nuziale. Urlò, tappandosi le orecchie per non sentire e all’improvviso quel suono finì. Allora si riscosse e si voltò verso il portone, ora aperto: non c’era più nessuno fuori. La gente che aveva invitato si alzò in piedi e attese paziente il suo passaggio, dei sorrisi cordiali erano ora apparsi sui loro visi. Si era immaginata tutto.

    Prese un altro lungo respiro per calmarsi e camminò piano verso l’altare. Era tutto a posto, i suoi amici erano lì per sostenerla e il futuro sposo l’aspettava a pochi metri. Era solo l’ansia. Alzò gli occhi verso di lui, per cercare conforto, e per la sorpresa rischiò di cadere ancora. Perché vicino all’altare c’era Galanìr.

    Indietreggiò incredula, sfuggendo al proprio destino.

    Il sorriso dell’elfo si spense.

    CAPITOLO 1

    Angie, sveglia!

    Angelica si destò di soprassalto. La testa era confusa ma la prima cosa che pensò è che era stato un incubo. Solo uno stupido incubo. Non c’era stato alcun matrimonio, Alexia non ce l’aveva con lei e Galanìr... meglio non pensare a quello che avrebbe desiderato essere. Per lei era soltanto un amico.

    Era notte fonda e non vedeva a un palmo dal naso. Una flebile luce rischiarò lo spazio quanto bastava per farle capire di essere nella capanna. Era tutto ciò che riusciva a fare con quel corpo indebolito. Tentò di mettersi a sedere e delle fitte lancinanti alle scapole le tolsero il fiato. Due mani le massaggiarono dolcemente la schiena, aiutandola a sciogliere parte dell’ansia accumulata. Eccola, la sua sorellastra, che aveva imparato ad apprezzare e amare come una vera sorella. Non l’aveva abbandonata. Angelica premette le dita gelide sulla fronte, con la speranza di far passare in quel modo il mal di testa che la stava uccidendo. Poi afferrò la mano di Alexia e la strinse con forza, ricordando a se stessa che il loro legame stava diventando ogni giorno più forte. La creatura maligna di un tempo non esisteva più.

    Alexia riempì un bicchiere d’acqua e glielo porse. Su, bevi – la esortò preoccupata, toccandole la fronte con una mano – merda, sei caldissima. La temperatura è aumentata.

    La costrinse a stendersi di nuovo e le rimboccò la coperta. Non c’era un vero e proprio letto all’interno della capanna, soltanto un materassino e una coperta. Angelica si rannicchiò al calduccio e la sorella le sistemò un panno sulla fronte, dopo averlo inzuppato nell’acqua che controllava con abilità senza far cadere neanche una goccia. La lunga chioma scura ondeggiò sulla schiena nel tentativo di accendere il fuoco con due legnetti per tenerla al caldo. Se ci fosse stato Malphas, quello sarebbe stato un problema secondario, sarebbe bastato il suo corpo a riscaldarla. La sua mancanza procurò ad Angelica una dolorosa fitta allo stomaco. Desiderò averlo vicino, più di qualsiasi cosa al mondo.

    Come sempre Alexia era determinata e sicura di sé, anche se il tremito alle mani tradiva le sue emozioni. A un certo punto lasciò cadere il legnetto, nervosa, e si sporse fuori per chiamare Stella.

    Vieni qui sussurrò Angelica a fatica.

    Alexia s’inginocchiò al suo fianco. Sei bollente, dobbiamo portarti da un medico, subito. Vado ad avvertire Marta, ti lascio nelle fidate mani di Stella che sa prendersi cura delle persone meglio di me. Torno al più presto.

    Angelica si sentiva stanchissima. Non fece nulla per trattenerla, sapeva che la naiade s’innervosiva quando non riusciva a tenere sotto controllo la situazione. Le voci di Lucy e Stella si sovrapposero, qualcuno la prese in braccio e l’aria fresca le sferzò il viso gelandola. Il caldo e il freddo si alternarono più volte: un momento prima stava tremando, quello successivo voleva soltanto liberarsi del plaid.

    Passarono le ore e il sole iniziò a sorgere. Le sembrava di aver ingoiato dei carboni ardenti. La mente era un guazzabuglio di ricordi, incubi, tormenti. Le voci intanto erano diventate più numerose attorno a lei. Immagini confuse le impedivano di riposare e la febbre infiammava sempre più il suo corpo. Quel fuoco era violento, voleva distruggerla, non era protettivo come quello del demone. Il pensiero continuava a tornare là, da lui. Voleva sapere dove fosse e se c’era qualcosa che potesse fare per sistemare le cose. A quel desiderio si sovrapposero l’espressione delusa di Galanìr e le parole di nonna Miranda che le avevano lacerato l’anima: Dovrai scordarti di quel demone.

    Non era più in grado di distinguere cosa fosse reale da ciò che la sua mente creava per torturarla. In un attimo riemersero tutte le sue paure, i sensi di colpa, i sogni infranti. Quando finalmente il calore si attenuò un pochino, Angelica chiuse gli occhi e si abbandonò a un sonno tormentato.

    Si svegliò più volte nel corso della giornata. La sete la divorava, ma era talmente debole da non riuscire a tenere gli occhi aperti per più di qualche secondo. Vide dei tubicini attaccati al braccio. Fuori, da una porta socchiusa, si udivano delle voci, impegnate in una discussione che pareva non avere mai fine. Cercò di associarci un volto. Quella alta e decisa era di nonna Marta, quella bassa e preoccupata di Galanìr. E quella leggermente stridula ed eccitata? Forse si trattava di Eliana. Corrugò la fronte. Ce n’era una più profonda e seducente che le ricordava... lui. Durante il loro ultimo incontro, il suo sguardo penetrante si era posato su di lei soltanto per un secondo, prima che le voltasse le spalle fingendo indifferenza. Malphas era lì, più vicino di quanto credesse. Si sollevò di scatto e la stanza ruotò come una trottola. La vista le si annebbiò e l’oscurità la avvolse di nuovo.

    La luce penetrò attraverso le palpebre, ridestandola. Le sembrava di essere svenuta appena da qualche minuto, eppure quando cercò di mettere a fuoco la capanna non la riconobbe più. Poi si ricordò di aver visto dei tubi collegati al braccio e una porta socchiusa. Spalancò gli occhi, sorpresa. Era in una stanza con delle pareti bianche immacolate, in un letto comodo e profumato e... arricciò il naso quando l’odore di disinfettante giunse alle narici. Decisamente non era più nel bosco. Indossava un pigiama a pois rosa reso umido dal sudore e, tastandosi i capelli, capì di aver bisogno di una spazzola. Il mal di testa era passato e la temperatura sembrava scesa, anche se non poteva dire di essere in forma. Si tirò su con il sedere e stropicciò il cuscino per appoggiarvisi contro.

    Ale? C’è nessuno? mormorò guardandosi attorno.

    Finalmente sei sveglia. Una figura uscì dalla porta del bagno e la raggiunse, in mano un asciugamano sporco. Indossava una gonna nera sotto al ginocchio e un maglione grigio, i capelli erano raccolti in una crocchia alta disordinata e l’affetto misto ad apprensione traboccava da tutti i pori.

    Nonna?

    Marta le indirizzò un grande sorriso, senza poter nascondere gli occhi arrossati. Sono contenta che tu stia meglio, tesoro.

    Cosa... dove sono? chiese confusa.

    Sei in ospedale, cara. Non preoccuparti, ti porterò presto a casa.

    Sono... malata?

    Non ottenne risposta. La nonna si stava affaccendando attorno al letto, prendendo dei vestiti sporchi e riponendoli dentro un borsone.

    Cambiati il pigiama, su, quello è bagnato le disse premurosa.

    Angelica si liberò dell’indumento, le porse la maglia e bloccò la sua mano. Quanto dovrò rimanere qui?

    Marta abbassò lo sguardo e raccolse una pila di riviste, doveva essere stata al suo capezzale per lunghe ore. Solo un paio di giorni, tesoro, abbi pazienza.

    Angelica era sempre più confusa, aveva mille interrogativi in testa. Cos’hai detto agli altri? s’informò a bassa voce.

    I compagni di scuola ti mandano i loro saluti. Ho detto che era solo una brutta influenza.

    Angelica corrugò la fronte. Da mesi non vedeva i suoi vecchi amici di scuola, da quando aveva deciso di restare al villaggio per risolvere i problemi insorti. Era chiaro che con la sua domanda si riferisse agli elfi, quella che era ormai a tutti gli effetti una famiglia.

    No, intendevo...

    In quel momento la porta si aprì e fece capolino Peter. Le rughette d’ansia attorno agli occhi scomparvero all’istante vedendola sveglia e il suo sorriso si distese allegro mentre avanzava a braccia aperte. Quel gesto riscaldò il cuore agitato di Angelica.

    Finalmente! Cominciavo a pensare che non volessi più saperne di noi. L’amico di qualche mese prima sarebbe stato impacciato, quello di adesso si sporse per stamparle un bacio delicato sulla fronte. Guardandolo, lei si domandò se si fosse accorto di quanto era cambiato in quei mesi.

    Pete...

    Ho portato il libro di matematica. Ora sei abbastanza lucida per aiutarmi, vero? L’anno scolastico sta per iniziare e io sono rimasto indietro disse estraendo un tomo dallo zaino.

    Angelica lo guardò perplessa. Era agosto, avevano ancora almeno tre settimane per concentrarsi sui compiti e lei era in ospedale. Insomma, era più interessata a sapere cosa stava succedendo nella radura, se le salamandre erano tornate alle loro rocce senza creare altri problemi, se Miranda stava adempiendo al suo compito di allenare gli elfi...

    Pete, come stanno gli altri?

    È passata a salutarti mia madre, è in pensiero per te, sai?

    Elenie la conosceva da circa dieci anni, da quando era arrivata a Forest Glade con la famiglia, era normale che fosse preoccupata. Tuttavia, Angelica aveva l’impressione che l’amico avesse evitato apposta di menzionare gli altri. Esattamente come la nonna.

    Ringraziala sussurrò lasciandosi ricadere contro i cuscini.

    Mentre Peter sfogliava il libro, notò un particolare a cui non aveva prestato attenzione: nella stanza c’erano oggetti che non usava da mesi. Come il televisore, acceso su un programma mai visto e con il volume silenziato; sul tavolino qualcuno aveva posato una vecchia radiolina e c’era persino un lettore mp3. Si sporse per prenderlo dal comodino e se lo rigirò tra le dita. Era suo, l’aveva ricevuto come regalo anni prima e aveva smesso di ascoltarlo più o meno dalla sera in cui aveva deciso di prendere parte ai canti degli elfi. Maria l’aveva introdotta in quel mondo sapendo che l’avrebbe amato moltissimo e infatti, dopo la sua morte, si era dedicata anima e corpo a loro.

    La voce dell’amico interruppe di botto i suoi pensieri.

    Ti ricordi ancora come si fanno le funzioni?

    Il sorriso dovuto al dolce ricordo della madre si fece incerto.

    Funzioni?

    Peter si schiarì la voce. Beh sì, sei sempre stata molto brava in matematica, al contrario di me.

    Adesso non aveva alcuna voglia di pensare alla scuola. Come sta Lucy? E Miranda? Nicolai è rimasto qui? Mi sembra di dormire da settimane!

    Peter distolse lo sguardo, tormentando i fogli con le mani. Stai male da quattro giorni, hai delirato tutto il tempo.

    Angelica fissò il suo migliore amico con gli occhi spalancati. Non ricordava nulla, solo quello stupido sogno.

    Dov’è Alexia? Perché non è qui?

    Peter scosse la testa, a disagio.

    Tu e la nonna siete strani, cosa mi state nascondendo?

    Marta riemerse dal bagno con espressione preoccupata. Tesoro, perché non riposi ancora un po’?

    Nonna, ho bisogno di saperlo. È successo qualcosa al villaggio?

    Intercettò l’occhiata imbarazzata che Peter scambiò con la donna e la paura la paralizzò. Marta le prese una mano e la guardò con occhi supplicanti. Non so di cosa tu stia parlando, cara – mormorò triste – non conosco nessuna di quelle persone.

    Angelica rimase senza parole. Non era possibile, doveva essere uno scherzo. Riprese a tremare, sentendo il gelo farsi sempre più consistente. Peter con una scusa fuggì prima che avesse il tempo di scuoterlo per conoscere la verità e la nonna si tenne occupata facendo altro. Restò sola con i propri pensieri, chiedendosi perché le stessero mentendo; era impossibile che gli elfi non esistessero... no? Avevano fatto parte di lei per tanti anni, Maria stessa era un’elfa...

    Stava impazzendo per cercare una scusa plausibile, per giustificare la bugia. Se fosse stato vero... tutta la sua vita sarebbe crollata. Non poteva vivere senza di loro, senza quella parte di mezza elfa che la madre le aveva donato.

    Nel corso della giornata ricevette diverse visite, di amiche di Marta fin troppo curiose e di compagni contenti di vederla sveglia. Tutti le chiesero se sarebbe tornata a scuola e le riportarono i saluti di altri, invitandola a unirsi a loro per un’uscita appena fosse tornata a casa. Acconsentì con piacere, perché le mancavano quegli incontri. Ciò non le impedì di continuare a pensare agli elfi. Quando li nominava, sul viso della nonna compariva un sorriso di compassione. Lei non voleva pietà, la faceva sentire come se fosse sola al mondo. E adesso lo era, visto che la trattavano come una pazza.

    Un pomeriggio entrò un giovane trentenne.

    Sono uno psicologo, Angelica, vorrei scambiare quattro chiacchiere con te. Si presentò e lei dimenticò all’istante il suo nome. Non sopportava lo sguardo di condiscendenza che le aveva lanciato né le mille domande che le rivolse. Sapendo che non le avrebbe mai creduto, accennò ad Alexia come alla sorellastra, senza nominare il fatto che fosse una naiade. Marta smentì la sua esistenza e lui stabilì che la presunta sorella acquisita fosse in realtà un’amica immaginaria. La testa le girava quando finalmente se ne andò. Non riuscì neanche a guardare la nonna negli occhi.

    Trascorse i due giorni successivi tormentata dagli incubi. La porta si apriva e la sua speranza si frantumava, perché mai nessun elfo mise piede in quella camera. Provò a percepire i loro sentimenti, com’era riuscita a fare in passato: c’era angoscia, tristezza... ma erano i loro o i suoi? A un certo punto pensò che l’unico modo per dimostrare alla nonna la sua sanità mentale fosse di mostrarle i poteri da elfa. Aveva tutto il tempo per provare prima che arrivasse: si concentrò e attirò a sé la terra del giardinetto che vedeva dalla finestra, immaginando di creare una palla di fango e di alzarla trionfante. Appena iniziò a evocare il suo elemento, fu presa dalle vertigini e dalla nausea. Quando la nonna entrò con il vassoio e un grande contenitore di cibo sopra, Angelica aveva ormai rinunciato. Era troppo debole. O forse, non era davvero più capace.

    Il mattino successivo fu dimessa dall’ospedale e Marta la riportò a casa, nella sua vecchia stanza. All’improvviso le sembrò troppo grande rispetto alla capanna e, anche questa, piena di oggetti inutili. Presa da un’improvvisa frenesia, raccolse tutti quelli di cui non aveva bisogno e li accumulò in uno scatolone. A cosa le servivano due lampade? Ne bastava una. Anzi, vista la sua capacità di accumulare energia e produrre luce, non gliene serviva nessuna. Album mai usati, centinaia di cd che non sentiva da anni, per non parlare dei dvd il cui numero sarebbe bastato per aprire un negozio. Un tempo aveva amato guardare film dell’orrore e di fantascienza, ora pensava soltanto al suo bosco, non vedeva l’ora di correre spensierata in mezzo agli alberi. Finì di riempire lo scatolone e lo lasciò vicino alla porta affinché la nonna potesse portarlo via, poi diede un’occhiata attorno e si accorse che la stanza era quasi del tutto spoglia. C’erano solo due cose dalle quali non si sarebbe mai separata: la statuetta dell’elfo ricevuta in regalo dal papà – o almeno, la parte che le restava visto che una metà l’aveva regalata a Peter – e la scatola dei ricordi dove aveva nascosto il diario della mamma. Tastò sotto il letto per prenderla e sentì soltanto il vuoto. S’inginocchiò per guardare meglio: niente, non c’era. S’immobilizzò, rigida come una statua. Il diario, dove erano racchiusi tutti i suoi pensieri...

    Il giorno in cui Maria le aveva mostrato il villaggio, si erano imbattute in una driade e con entusiasmo lei le aveva detto: Questa, bambina mia, è soltanto una delle tante creature che d’ora in avanti conoscerai e imparerai ad amare. Non avere paura, ci sarò io al tuo fianco. Quella frase si era scolpita nella mente e nel cuore. Era grazie al modo in cui l’aveva sempre spronata, se era arrivata fino a lì senza arrendersi ponendo fine a una guerra e convincendo Miranda a modificare i propri piani. Non aveva bisogno delle pagine che riportavano la storia della sua famiglia per convincersi che fosse vero, doveva soltanto tenersi stretta i ricordi che la madre le aveva lasciato. Si sedette sul letto, scossa, sobbalzando quando la porta si aprì con forza.

    Ciao! Posso entrare? Ti ho portato un disegno fatto con Andrea, è preoccupato per te. Clarissa avanzò spavalda verso il letto e si bloccò guardandola in faccia. Stai bene? Sei molto pallida.

    Angelica scosse la testa. Io... non ne sono sicura.

    Tutto si aspettava tranne che di vedere nella sua stanza la ragazza con cui era stato Malphas durante la sua assenza. Deglutì, a disagio. Durante quel silenzio imbarazzato, osservò la sua rivale, che fino a quel momento aveva visto perlopiù dal portale. Sapeva che aveva quattordici anni, quattro in meno di lei. Era alta e slanciata, con lunghi capelli ramati, occhi marroni costellati da qualche pagliuzza dorata e indossava dei pantaloncini e una maglia sportivi. Una ragazza molto bella, non si stupì che al demone fosse piaciuta.

    Forse dovresti rimetterti a letto le consigliò l’altra, cauta.

    Annuì piano e Clarissa l’aiutò a distendersi, posando il disegno del fratello di Peter sul comodino. Era diventata molto amica con lui e stava dalla sua famiglia per le vacanze estive. Angelica non aveva idea di come avesse conosciuto Peter e immaginò che avesse acconsentito a passare da lei soltanto per fargli un favore. Chissà cosa le aveva raccontato Malphas del loro rapporto. Di certo ricordare che appena qualche settimana prima le labbra della giovane si erano posate su quelle del demone che amava con tutta se stessa, non l’aiutava a stare meglio. Il solo pensiero bastava a far emergere tutte le sue insicurezze. Cercò affannata una scusa per mandarla via nello stesso istante in cui Clarissa avvicinandosi le prese una mano, con delicatezza. Angelica sussultò, incredula per quel gesto sincero, gli occhi le si riempirono di lacrime e contro la sua volontà si aggrappò a lei come fosse l’unico salvagente a disposizione per la sua salvezza. Almeno per quella mentale.

    Clarissa la guardò stupita. Vuoi che chiami tua nonna? Oppure...

    Dove sono gli altri? Come stanno? Nessuno mi dice nulla, volete farmi credere che sono pazza? – balbettò angosciata – ho bisogno di saperlo, ti prego la supplicò.

    La ragazza fece un passo indietro e si morse il labbro. Devi riposare.

    Angelica si lasciò ricadere sul letto. Perché? Pensi che il sonno cancellerebbe il dolore? Pensi che potrei davvero dimenticare le creature del bosco, scacciarle dalla mia vita come insetti? Tu hai baciato Malphas – disse con enfasi e la vide trasalire – e io so perché si è buttato tra le tue braccia. Voleva vendicarsi, non è così? Il silenziò le bastò come conferma. È riuscito a ferirmi più di quanto immaginasse perché io ho sbagliato ma mai, neanche per un istante, ho pensato di tradirlo. Adesso dovrei dimenticarlo, spazzare via ogni momento di gioia. E invece non ci riesco perché lui mi rendeva felice. Bastava un piccolo gesto e la mia giornata era migliore. Ha questo potere di...

    Lo so – la interruppe Clarissa con gli occhi lucidi – lo so.

    Angelica si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Con te l’ha fatto? Ti ha resa felice?

    Clarissa aprì la bocca e la richiuse subito. Sembrava tormentata, indecisa se dirle la verità o no. A modo suo sì – rispose esitante – ma non era lo stesso che ha amato te. Il demone che ho conosciuto io era furioso, geloso, arrogante e molto vulnerabile. Ci siamo usati a vicenda spiegò colpevole.

    Quella confessione la spiazzò. In che senso?

    Io non...

    "Hai appena ammesso che esiste. Malphas esiste, non me lo sono sognata. L’hai chiamato demone, ciò dimostra che sono gli altri a mentire a me" dichiarò sollevata come non mai per quella parola che era uscita senza volerlo dalla bocca dell’umana.

    Clarissa strabuzzò gli occhi, troppo tardi comprese l’errore. Fece un lungo respiro e sbottò: D’accordo, te lo dico. Peter se la prenderà con me, ma è così stupido fingere che tutto questo non esista!

    Angelica sorrise. Finalmente aveva un’alleata. Ironico che fosse proprio lei a soccorrerla da quel tunnel di bugie.

    Clarissa si coprì il volto con le mani prima di confessare: "Avevo bisogno di trovare il fuoco dentro di me e gli ho chiesto di aiutarmi. Fare l’amore con lui mi ha permesso di sentire il mio elemento, di sentirlo davvero. Mi ha regalato delle emozioni che forse non proverò più e sarebbe stato tutto magnifico se... se non fosse stato innamorato di te" confessò distogliendo lo sguardo. Angelica era scioccata da quella rivelazione. Sapere che Malphas si era spinto così in là era molto più di quello che potesse sopportare. Eppure se l’era cercata, aveva chiesto a Clarissa di essere sincera e ora non poteva prendersela perché l’aveva accontentata. La verità fa male e ora sei costretta ad accettarla. Tu sei scappata senza una spiegazione e lui ti ha tradita. Ha fatto... l’amore o quello che era con un’altra.

    Mi dispiace aggiunse la ragazza a bruciapelo.

    No. Non sei tu a doverti dispiacere mormorò.

    Scivolò sotto le coperte e Clarissa tossì, a disagio. Adesso vado.

    Grazie per essere stata sincera. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e dimenticare tutta la conversazione. Invece si convinse a far uscire la voce, a chiedere quello che una parte di lei desiderava più di qualsiasi altra cosa. Mi sta ancora aspettando?

    Clarissa si fermò. La mano destra tremò posandosi sulla maniglia, l’altra lungo il fianco si strinse a pugno. Abbassò il capo e le regalò quell’ultimo desiderio. Sì.

    Angelica la guardò correre via, scappare da lei. Quella risposta doveva bastarle per non affogare nel dolore.

    Aveva sete e lo stomaco brontolava da un pezzo. Angelica era rimasta a lungo distesa sul letto, dovevano essere trascorse ore dato che la luce aveva lasciato spazio alle tenebre ormai da un po’. Si guardò la pelle e una piccola scintilla di speranza si accese vedendo il braccio illuminarsi fiocamente. La luce si spense in un soffio, facendole intuire di essere ancora troppo debole. Doveva affrontare la nonna adesso che aveva la certezza di non essere pazza.

    Rimase a osservare pensierosa i raggi della luna che filtravano dalla finestra, finché all’improvviso vennero oscurati da un’ombra, come se qualcuno si fosse posato sul davanzale. Il timore lasciò spazio alla curiosità, dandole la forza per alzarsi. Si mise seduta e si prese la testa tra le mani per calmare la fitta martellante. Tastò alla ricerca delle pantofole e con passo incerto si avvicinò alla finestra, priva della spessa tenda che prima la abbelliva. Non c’era nessuno appostato fuori. L’aprì con un cigolio e lasciò che il venticello fresco le accarezzasse le guance. Abbassò lo sguardo verso l’inizio del bosco e individuò con difficoltà un’ombra nera nascosta a metà da un albero. Il cuore perse un battito quando la figura si trasformò, imprecando piano. Ebbe soltanto una manciata di secondi per ammirarne l’aspetto umano – quel corpo slanciato contro cui si era assopita spesso, quelle braccia che l’avevano protetta in ogni occasione, quei capelli neri così soffici da accarezzare! – prima che il demone si teletrasportasse altrove. Malphas era stato lì, vicinissimo a lei.

    Era ancora appoggiata con i gomiti al davanzale in una muta preghiera di rivederlo quando la porta si aprì, talmente piano che impiegò qualche secondo a spalancarsi del tutto. La nonna entrò in punta di piedi, forse credendo di vederla coricata.

    Angelica? sussultò sorpresa.

    Lei si voltò nella sua direzione con una calma gelida. Da chi mi stai proteggendo, nonna?

    La donna sobbalzò colpevole e si appoggiò allo stipite per non crollare. Aveva indovinato, allora. Tutta quella messinscena era per proteggerla da qualcuno.

    Forse è meglio se ci sediamo quasi la supplicò Marta.

    Andiamo in cucina, ho una fame da lupi disse inespressiva.

    Era vero, le sembrava di non mangiare da giorni, ma lo propose soprattutto per lasciarle il tempo di riprendersi. La nonna accennò un sorriso facendole capire che era sempre stata dalla sua parte e lei la seguì in cucina, attendendo che mettesse l’acqua nella casseruola prima di parlare.

    Ho visto Malphas poco fa. Da quante notti mi osserva?

    La nonna si passò una mano sul volto stanco e sospirò. Dalla prima notte in cui sei stata male. Gli ho chiesto di lasciarti stare e ovviamente non mi ha ascoltata. Ogni giorno si appostava fuori, ovunque tu fossi. Al villaggio, all’ospedale, qui... non voleva che fossi sola, anche quando c’ero io a tenerti compagnia.

    Era preoccupato per me? chiese con un filo di voce.

    Oh cara, non ha mai smesso di esserlo. Forse non è bravo a dimostrarlo ma tiene davvero a te.

    Lo so... sono io ad aver sbagliato tutto – Angelica non riuscì a trattenere le lacrime – perché nessun elfo è venuto a trovarmi? È per questo che hai mentito, non volevano vedermi?

    Marta scosse rapida la testa. Tesoro, il giorno dopo essere tornata dall’isola ti sei ammalata. Avevi la febbre alta, tremavi, dicevi cose senza senso, ti svegliavi madida di sudore e in lacrime. Stare nella capanna non era più pensabile, ti ho portata direttamente all’ospedale con la scusa che tornando da un viaggio dovevi esserti presa qualcosa.

    Non mi ricordo nulla, se non la febbre alta. Davvero ho delirato?

    La nonna buttò la pasta nell’acqua bollente e sospirò. Eccome. Ti sei svegliata più volte nel corso delle prime due notti. Una volta hai urlato qualcosa, io ti ho chiesto come stavi e tu mi hai risposto di essere stanca di tutto. Eri stanca perché sei troppo giovane per avere così tante responsabilità. Non so cosa stessi sognando, se fosse frutto di un incubo o delle tue paure, ma quelle parole mi hanno fatto capire che la morte dei tuoi genitori ti ha privato di un’adolescenza serena. Ed è anche colpa mia: non ti ho mai detto nulla e ho scoperto troppo tardi del tuo ruolo da padrona. Sono venuta meno ai miei obblighi nei tuoi confronti.

    Angelica posò una mano su quella rugosa della nonna. Non saresti mai riuscita a farmi cambiare idea, ero troppo turbata dalla morte di mamma e papà per darti ascolto. Ero convinta che portare avanti il ruolo della mamma fosse il mio compito primario, anche per rispetto verso di lei ho creato la Legge e ho messo il dovere sempre al primo posto.

    Perché? Maria non avrebbe voluto questo. Desiderava per te un’adolescenza spensierata.

    Non volevo deluderla, pensavo si aspettasse questo da me disse piano. E invece forse, senza volerlo, l’aveva davvero delusa.

    Maria non ti avrebbe mai chiesto un sacrificio simile.

    Aveva ragione, non l’avrebbe fatto. Soltanto ora le era chiaro.

    Cara, ascoltami. Tu sei una ragazza forte e coraggiosa, sono sicura che sarebbe fiera di te.

    Angelica annuì.

    La nonna rimase qualche minuto in silenzio, pallida in viso.

    Ho chiesto agli elfi di lasciarti in pace – confessò turbata – li ho accusati di averti spinta a prendere le redini del villaggio quando eri poco più di una bambina e in particolare ce l’avevo con Miranda, che continuava a vantarsi di essere sulla buona strada per trasformarti in una padrona migliore, sottovalutando le tue condizioni fisiche. Non ci ho visto più dalla rabbia. Le ho detto che è soltanto una vecchia arrogante che non merita l’affetto di nessuno, le ho intimato di sparire dalla tua vita e ho aggiunto che non avresti più rimesso piede al villaggio concluse accorata.

    Nonna! – esclamò Angelica sconcertata – come hai potuto dire delle cose simili?

    In quel momento ero così arrabbiata con lei! Quell’elfa prepotente che ha trattato male tutti era l’ultima persona che avrei voluto vedere al tuo fianco. Sentendo i tuoi deliri, ho deciso di tenerti lontana da lei e dal villaggio. Ho chiesto ai medici di non farli passare e volevo... volevo averti di nuovo un po’ con me. Sono stata egoista anch’io. Le strinse le dita supplicandola di perdonarla, gli occhi velati dalle lacrime. Mi dispiace tanto, tesoro.

    Angelica sentì sciogliersi il nodo che le aveva bloccato lo stomaco per l’angoscia. Come pensavi di fare per il resto dell’anno? Sono in classe con Serena e Nancy è una driade. Questa farsa non poteva durare a lungo.

    Volevo soltanto concederti qualche settimana di riposo senza che ti preoccupassi di loro rispose la nonna con un filo di voce.

    Angelica respirò a fondo, conscia di averla già perdonata. "Nonna, gli elfi sono parte della nostra vita, anche della tua. Non è colpa loro se i miei genitori sono morti e io ho deciso di assumermi delle responsabilità. E nemmeno di Miranda,

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