viaggi a cavallo dei secolo - viaggio nei pirenei
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About this ebook
Cinque storie di viaggio raccontate con molto humour e ironia. Cinque racconti di un tempo in cui i viaggiatori non portavano una fotocamera digitale con memoria per migliaia di foto; né un telefono cellulare con un'infinità di funzioni in grado di risolvere qualsiasi evento imprevisto. Il lettore scoprirà un viaggio nella memoria, in paesaggi che sono pura avventura e ricorderà eventi storici che si sono verificati durante uno di questi viaggi. Tutti questi episodi sono ambientati nel periodo in cui abbiamo lasciato il ventesimo secolo alle spalle e abbiamo iniziato a vivere un cambiamento radicale verso un uso della tecnologia così estremo da modificare il modo di viaggiare. In quegli anni si viaggiava guardando una cartina, non si usava il GPS e si doveva cercare una cabina per telefonare a casa. Provate a rivivere tutte quelle sensazioni con questi racconti; dopo tutto, "viaggiare è il modo migliore per investire il proprio denaro", giusto?
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Book preview
viaggi a cavallo dei secolo - viaggio nei pirenei - Mario Garrido Espinosa
Dedica:
Ai miei genitori e a mio fratello.
Alle persone che hanno condiviso e condivideranno viaggi e avventure con me.
PREFAZIONE
Viaggiare è il modo migliore per investire il proprio denaro
. Questa massima è una delle grandi verità di questo mondo che non ammette repliche. Durante la mia vita, quando ho avuto occasione, ho investito i soldi
in questa attività e, per ora, posso vantarmi di essere stato in più di venti paesi: Portogallo, Francia, Andorra, Italia, Egitto, Austria, Germania, Regno Unito , Belgio, Svizzera, Russia, Canada, Messico, Costa Rica, Malta, Lituania, Lettonia, Estonia, Ungheria, Slovacchia ...
Mentre li ricordo tutti per elencarli, mi rendo conto della dimensione del vissuto; specialmente quando sono consapevole che l'elenco non è completo, che sto dimenticando un paese. Spero, in ogni caso, di poter raddoppiare o triplicare questo elenco fintanto che il corpo regge ... Ma, per ora, l'esperienza accumulata mi riempie di gioia ogni volta che ci penso: sono entrato nella camera funeraria della Piramide di Micerino in Egitto; ho attraversato il più grande lago d'Europa, il Ladoga, saltando le onde alte più di due metri in una barca sovietica; ho visto una città Maya inghiottita per metà dalla giungla messicana arrampicato in cima ad una piramide appena scoperta; ho camminato sulla lingua del ghiacciaio del Pasterze in mezzo alle Alpi; mi sono buttato con una teleferica per più di un chilometro sopra la foresta nebbiosa del Costa Rica; ho visto Mont Saint Michel nella nebbia, come se fosse un castello delle fiabe; ho attraversato i magici dintorni del Cervino in Svizzera; ho visto tutta Toronto
dai 446 metri di altezza della CN Tower ed ho provato le vertigini a camminare sul suo pavimento trasparente; ho visto la finestra blu
dell'isola di Gozo a Malta prima che scomparisse per sempre; ho attraversato l'Eurotunnel in un viaggio da Bruxelles a Londra; sono stato all’interno di un sottomarino della Seconda Guerra Mondiale in Estonia; sono salito fino all'ultimo piano della Torre Eiffel; ho fatto il bagno nella famosa piscina circondata da colonne del centro benessere Gellert di Budapest; nella parte settentrionale del Canada ho visto una balena affiorare in superficie e a soli cinque metri di distanza mi ha guardato per qualche secondo ...
Sono consapevole che ho ancora molto da fare, vedere e provare però, a volte, prima di iniziare nuovi progetti, bisognerebbe guardare alle origini ed è di questo che tratta esattamente questo libro: dei primi viaggi che hanno dato origine a tutti gli altri, che hanno posto le basi a questa instancabile vocazione, che mi hanno fatto desiderare di continuare a viaggiare. Mi riferisco ai viaggi sull'isola di Maiorca, in Portogallo, nei Pirenei, in Italia e, infine, nel posto più incredibile di tutti quelli che ho visitato: l'Egitto.
È vero che non sono Rustichello da Pisa, né questa è una copia dei Viaggi di Marco Polo
, ma sono sicuro che questo libro, con la sua umiltà, piacerà a tutti quelli a cui piace viaggiare o desidererebbero farlo; e chissà, forse alcuni saranno incoraggiati a mettere per iscritto le proprie esperienze di viaggio...
1 - IL REGALO DI ERICA RAQUEL
SABATO, 1 SETTEMBRE 2001
––––––––
I tre viaggiatori riuscirono a stipare tutti i bagagli nel baule della Volkswagen Passat alle 5:30 del mattino. L'auto iniziò il suo pellegrinaggio di quasi 4000 chilometri con la pigrizia tipica di quell’ora, aumentata ancora di più, se possibile, dal fatto che era sabato e che doveva trascinarsi la fatica del lavoro affrontato durante tutta la settimana. Forse l'auto, nella sua qualità di essere inanimato, non sentiva queste cose, ma i suoi occupanti sì, che erano l'anima di questa avventura. Tuttavia, l'emozione del viaggio placò ogni pensiero di pigrizia o sonnolenza.
Lentamente sorse l’alba mentre percorrevano la strada nazionale N-II. Pepe, sul sedile posteriore, parlava poco; tantomeno canticchiava le canzoni del CD del gruppo La Oreja di Van Gogh che avrebbero ascoltato infinite volte durante il viaggio, nonostante le conoscessero quasi a memoria. Rimaneva stranamente inerte. «Non stavo dormendo; ho solo chiuso un attimo gli occhi» disse, quando il primo raggio di sole aragonese lo sorprese teoricamente sveglio
e i suoi due compagni di viaggio, i fratelli Luisito e Mario, lo strapparono dalle braccia di Morfeo.
Con puntualità spartana sull’orario previsto — le 8:30— , entrarono nella capitale dell'Ebro, anche se non da una strada conosciuta.
—Siamo nella zona industriale di Saragozza ... — ci informò Mario.
—Da che parte devo andare? — chiese l’autista.
—A destra ... No, guarda lì i pinnacoli
— disse Pepe, usando questo sinonimo di stalagmiti per riferirsi alle torri della Basilica del Pilar.
Infatti, sulla destra si vedevano le parti più alte del Pilar, o forse quelle della cattedrale della Seo. Con questo riferimento inconfondibile, l'auto attraversò un ponte sopra il possente fiume.
—Ma ... Questo ponte sembra pedonale — disse Mario arrabbiato, dopo aver visto le occhiate irritate che alcuni passanti mattinieri lanciavano al loro passaggio.
—Non importa, siamo già in mezzo e dobbiamo continuare — disse Luisito. E l'unica cosa che li guidava erano i pinnacoli
e per arrivarci non importava se le strade fossero pedonali o no, né se la direzione fosse proibita o meno. Tale era l'audacia dei nostri tre viaggiatori ai loro inizi a Saragozza.
Nel giro di un attimo, dopo aver imboccato il ponte, arrivarono senza ulteriori grossi errori all'ingresso del parcheggio che si trova sotto la Plaza del Pilar.
Pepe aprì la portiera dell'auto e trovò a terra un piccolo portafoglio dalle dimensioni di un portatessere. Dentro c’era la carta di identità di una simpatica ragazza di nome Erica Raquel e quattro banconote da duemila pesetas molto ben piegate. La gioia fu immensa e i viaggiatori manifestarono grandi lodi dedicate alla loro benefattrice improvvisata. Mario, come amministratore e tesoriere ufficiale della spedizione, fagocitò la somma per il bene comune.
—Vuoi del succo d'arancia? Oggi possiamo permettercelo? — disse Luisito quando ordinò la colazione, cercando così di far fuori il capitale caduto dal cielo. E, quel che è peggio, riuscendoci.
Ad un tavolino della caffetteria Santiago, con vista sulla Basilica del Pilar, gli esploratori fecero colazione con tre succhi d’arancia, con alcuni churros e abbondante caffè, ma senza solennità. Erica Raquel glieli aveva offerti con quella sana amabilità delle ragazze di Saragozza, senza voler apparire; sempre così umili.
Nonostante il loro scarso comportamento civico, gli spuntini del mattino avevano dato loro una sana beatitudine. Con la pancia piena entrarono nella basilica. Faceva abbastanza fresco. Come sempre —non era la prima volta per nessuno dei tre—, si godevano il mastodontico edificio cercando di capire, tra tutto quel guazzabuglio di stili, a quale corrente architettonica facesse parte il tempio.
—E' barocco aragonese — affermò senza ombra di dubbio Mario con una voce da esperto d’arte.
—E da cosa si capisce? — volle sapere Luisito.
—Beh, non ne ho idea ... E' che c’è scritto su un cartello all'ingresso, accanto agli obici della Guerra Civile — riconobbe suo fratello, rompendo l'incantesimo.
Pepe, nel frattempo, curiosava un foglietto di preghiere. Alcuni bambini —poveretti, di sabato e a quell’ora— davanti all'immagine della Madonna del Pilar, cantavano in falsetto cantici appartenenti a secoli più bui, ma che in questo giorno dei primi anni del ventunesimo secolo avevano ancora il loro pubblico.
—I bambini si stanno facendo il culo — disse Pepe vedendo l'atteggiamento dei bambini vestiti da chierichetti.
—È che nel 2001, tutto ciò fa ridere — disse Mario, sempre critico, inflessibile e stufo dei medievalismi della Santa Madre Chiesa.
––––––––
—o—
––––––––
Pepe imbucò la carta d'identità di Erica Raquel in una buca delle lettere vicina all'ingresso del parcheggio, lasciando al postino la responsabilità della consegna del documento alla proprietaria. Prima lo tirò fuori dalla borsa con estrema cura e poi lo pulì meticolosamente con un fazzoletto.
—In caso di impronte digitali ... — disse prudente.
Dopo questo atto civico verso l'unica benefattrice che si ricorda della spedizione, i tre avventurieri si diressero verso La Seo, passando davanti all'imponente edificio della sede dell’Ibercaja, vicino al municipio.
—Forse un altro anno la vedremo ... — sentenziò Luisito quando scoprirono che non avrebbe aperto le sue porte fino alle dieci del mattino.
Girarono intorno all'edificio fino a quando non trovarono un'altra porta, ma neanche qui fu possibile entrare.
Alle 9:30 lasciarono Saragozza per dirigersi verso il selvaggio Nord.
––––––––
—o—
––––––––
—In realtà Huesca è una schifezza — disse Pepe, in un tono che non ammetteva dubbi, nonostante la sua poca eleganza.
I tre avventurieri fecero alcuni chilometri intorno alla capitale. Da quella parte la città di Huesca, forse ingiustamente, mostrava una certa bruttezza e semplicità. Perfino la parola città
sembrava molto grande per i pochi edifici che si vedevano.
—C'è solamente una grande chiesa e un serbatoio d'acqua — concluse, cercando di giustificare la riflessione precedente.
—E nel bel mezzo di un deserto — aggiunse Mario, rendendo la questione ancora più drammatica.
La Volkswagen Passat, lasciandosi alle spalle l'altopiano a poco a poco, continuò ad avanzare attraverso quella terra desolata sulla strada per Barbastro.
—Guardate — disse