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Gli Innocenti
Gli Innocenti
Gli Innocenti
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Gli Innocenti

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About this ebook

L’FBI fatica a contenere l’esplosione del traffico di vite umane negli Stati Uniti.

I bambini sono le vittime più vulnerabili, perché sono molto richiesti. La maggior parte delle persone non si rende conto di quanto questo “business” sia di così vaste proporzioni e così dilagante.

Bambini in tutta la Nazione vengono attirati dai trafficanti, dalle loro case, nel centri commerciali o alle stazioni degli autobus o dei treni.

Una volta che sono nelle grinfie di questi trafficanti, molti sono perduti. Alcuni riescono a scappare e questo romanzo esplora tutte queste storie.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateMar 20, 2018
ISBN9781547520466
Gli Innocenti

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    Gli Innocenti - Peter C. Bradbury

    GLI INNOCENTI

    DI

    PETER C. BRADBURY

    Tutti i personaggi in questo romanzo sono completamente fittizi. Questo libro è opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e accadimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in maniera romanzata. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, eventi o luoghi sono coincidenze.

    Il traffico di persone, che è il nome moderno per la schiavitù, è un business enorme, che genera fino a 50 miliardi di Dollari all’anno in tutto il mondo. Negli Stati Uniti si stima che circa 18.000 persone siano oggetto di questo traffico verso la nazione, e la metà è rappresentata da bambini. Ci sono anche oltre 1.5 milioni di bambini che scappano di casa ogni anno, il 70% dei quali finisce nei traffici sessuali. Gli schiavi sono usati per manovalanza, servitù domestica e principalmente a scopi sessuali, in maniera particolare le bambine. L’età media di questi bambini è di 11 anni.

    QUESTO ROMANZO È DEDICATO AI BRAVISSIMI UOMINI E DONNE DELL’F.B.I., UNITÀ DEI DIRITTI CIVILI e SEZIONE CRIMINI VIOLENTI CONTRO I BAMBINI

    SOMMARIO

    1.

    2.

    3.

    4.

    5.

    6.

    7.

    8.

    9.

    10.

    11.

    12.

    13.

    14.

    15.

    16.

    17.

    18.

    19.

    20.

    21.

    22.

    23.

    24.

    25.

    26.

    27.

    28.

    29.

    30.

    31.

    32.

    33.

    34.

    35.

    36.

    37.

    38.

    39.

    1.

    Nessuno vide il furgone Ford che andava tranquillo, osservando le regole del codice della strada, lungo Brentwood Blvd., nella città che portava lo stesso nome.

    Non era la stessa Brentwood dei sobborghi losangelini che erano stati resi famosi da O.J. Simpson. Questa era una piccola città nella Baia Est di San Francisco, piena di fattorie con frutteti che invitavano le persone a raccogliere la propria frutta ogni estate, e con campi di mais per i quali la città organizzava un festival ogni anno.

    Non c’era nessuno in giro, mentre il furgone proseguiva per la sua strada. D’altro canto erano le 3,30 del mattino di un giorno infrasettimanale, e dunque non c’erano persone a piedi, solo un solitario autoarticolato che si dirigeva verso il porto di Oakland.

    Mentre il furgone superava il semaforo verde all’incrocio con Sand Creek Road, il portellone laterale fu aperto dell’interno e una donna fu gettata fuori, colpendo il manto stradale molto forte e rotolando per parecchi metri. Non appena la gettarono fuori, il portellone fu richiuso e il furgone continuò la sua corsa come se niente fosse successo.

    Passò ancora quasi un’ora prima che un camionista, che si era fermato al rosso, rimanesse perplesso nel vedere quel mucchio informe e immobile sul ciglio della strada e scese per andare a vedere cosa fosse. Attraversò l’incrocio, parcheggiò il suo camion e tornò lentamente indietro, non capendo cosa fosse finché non fu abbastanza vicino da vedere bene.

    «Oh cazzo!» esclamò, vedendo che si trattava di una donna con i capelli lunghi e castani, arrotolata su sé stessa, che non si muoveva e non emetteva alcun suono. «Oh cazzo!», ripeté, mentre si avvicinava ancora, non osando toccarla. Quel che riuscì a vedere non era un bello spettacolo. Era ricoperta di tagli e graffi, sangue e lividi. Il camionista non sapeva che era stata lanciata da un veicolo in movimento, ma sembrava che qualcuno l’avesse picchiata selvaggiamente. Controllò se dava segni di vita e chiamò il 911.

    L’operatrice del 911 gli fece controllare se sentiva il battito del cuore della donna, dopo essersi fatta dare il suo nome e il luogo dove si trovava. Gli tremava la mano mentre le prendeva il polso destro. Era inerte, ma gli sembrò di sentire un battito molto debole. Sperava che fosse così, non gli andava di essere quello che aveva trovato una donna morta.

    Sentì quasi subito le sirene. Il camionista non sapeva che c’era una stazione di soccorso paramedico molto vicino a dove si trovava. Stavano arrivando anche la polizia e un mezzo dei pompieri. L’operatrice aveva mandato tutti.

    I paramedici si mossero in fretta, facendo domande alle quali il camionista non era in grado di rispondere, e somministrando ossigeno alla donna, mentre la controllavano. Poi arrivò la polizia, due macchine di pattuglia, e anche i poliziotti cominciarono a fare domande, mentre i paramedici immobilizzavano la donna con tutori protettivi e le attaccavano una flebo.

    Quando uno dei poliziotti chiese ai paramedici come stesse la vittima, gli risposero che era messa molto male, poi la caricarono sull’ambulanza e partirono alla massima velocità.

    Mentre i poliziotti facevano altre domande al camionista, un paio di loro colleghi cominciò a esaminare la strada, illuminandola con le torce e, quando uno dei due sembrò avere trovato qualcosa, chiamò il suo collega per vedere e poi misero in sicurezza la scena del crimine con il nastro giallo.

    Arrivò anche un altro poliziotto, sulla scena, e controllò la cabina del camion con la torcia, mentre il poliziotto che stava interrogando il camionista gli chiese la patente e la portò con sé nella macchina di pattuglia per controllarla.

    Al camionista non venne concesso il permesso di andarsene fino a che non arrivarono gli specialisti delle scene del crimine, che cominciarono a mettere dei marcatori numerici sulla strada. Il camionista vide i flash delle macchine fotografiche e gli specialisti nel suo specchietto retrovisore mentre cominciava ad allontanarsi, felice che la donna fosse ancora viva.

    Nonostante gli sforzi di mezza dozzina di personale medico, la vittima non uscì viva dal pronto soccorso.

    Una volta completata l’autopsia, fu determinato che era morta per un colpo violento alla testa dopo essere stata lanciata, o forse caduta, da un veicolo in movimento. Il coroner determinò anche che era intorno ai 25 anni di età, aveva brutte lacerazioni sulla maggior parte del corpo, ma non fatali, aveva cocaina nel sistema e segni di aghi, ossa rotte dalla caduta, danni al volto e lividi più vecchi. Sulla faccia e sul corpo. Nonostante avesse fosse giovane, aveva le caratteristiche di una persona molto più anziana, per via degli abusi subiti.

    La donna non aveva con sé documenti d’identità, e le sue impronte non erano registrate, e non avevano trovato su di lei nulla che potesse portare a un’identificazione. Nemmeno un tatuaggio. Se non fossero riusciti a scoprire chi fosse, sarebbe stata classificata come cadavere non identificato.

    La sconosciuta aveva la sifilide. Non era stata curata e ne stava morendo lentamente, ma non era stata la causa di morte. I passaggi vaginale e anale erano stati abusati per molto tempo, da quando era piccola, forse persino undicenne. La sua vagina era stata devastata per così tanto tempo che non sarebbe mai stata in grado di avere figli, e il suo ano era estremamente danneggiato e dilatato.

    L’opinione del coroner era che fosse stata violentata ripetutamente da quando era molto piccola, e probabilmente aveva lavorato come prostituta negli anni più recenti. Dopo avere contratto la malattia venerea, avrebbe dovuto essere curata oppure scartata. Poiché non aveva ricevuto nessuna cura, da quanto aveva potuto constatare, era stato scelto di scartarla.

    La sconosciuta era probabilmente una schiava sessuale, e quando il suo scopo si era esaurito, era stata buttata via come la spazzatura.

    2.

    Come molte altre dodicenni, Ashley pensava di essere già un’adulta e voleva che la sua famiglia la trattasse come tale. Lei e le sue amiche si lamentavano sempre dei loro stupidi genitori che mettevano blocchi sui loro computer e sulle televisioni, per fare in modo che non vedessero i siti e i programmi più interessanti. Non era giusto.

    E poi i loro genitori continuavano a rompere sui voti a scuola, sui compiti, quando dovevano farli, come vestire, che i ragazzi volevano una cosa sola, di essere più buone con quei viziati dei loro fratellini, di mangiare bene, di mettere giù il telefono, di fare i lavori in casa e di tenere la camera in ordine. Era una lista infinita di cose da fare e cose da non fare, e Ashley e le sue amiche su Facebook e Twitter ne avevano le scatole piene.

    Ashley era una ragazzina molto carina, con i capelli biondi lisci lunghi fino a metà schiena, con la riga in mezzo. Le sue fattezze attiravano l’attenzione di molti ragazzini, che lei non scoraggiava, ma voleva che le crescesse il seno per attirare i ragazzi più grandi. A scuola giocava a calcio, era il suo sport preferito insieme al nuoto e al softball, e la faceva rimanere magra. Aveva appena attraversato la pubertà che era stata troppo imbarazzante, per lei, e le prese in giro dei suoi due fratelli non l’avevano aiutata per niente.

    Suo fratello più grande, Greg, di solito era ok, ma non le piaceva che le sue amiche cercassero di amoreggiare con lui quando venivano a casa loro. Non che lui fosse interessato a nessuna di loro, ma gli piaceva l’attenzione. Suo fratello più piccolo, Will, era una rottura. Faceva sempre la spia con mamma e papà, fingeva de essere stato picchiato da lei. La spiava sempre e stava a sentire quando parlava con le sue amiche.

    Ashley pensava che prima o poi lo avrebbe ammazzato.

    Come faceva di solito, dopo la cena in famiglia, se ne andava in camera sua appena poteva. A mamma e papà piaceva cenare tutti insieme per parlare di come avessero trascorso la giornata. Per Ashley era una pena, e Will che raccontava bugie e storie per metterla nei guai non migliorava certo la cosa.

    Aveva fatto i compiti prima di cena e aveva acceso la televisione per vedere American Idol, criticando i cantanti con le sue amiche al computer e al telefono, con le dita che parevano volare mentre digitava i messaggi. Era già in pigiama, dei pantaloni con una stampa di animali e una maglietta blu.

    La camera di Ashley, il suo rifugio, era abbastanza tipica, per una ragazzina della sua età. Non era ordinata e c’era roba sparsa ovunque. Sua mamma la sgridava sempre per questo e Will andava e incasinava camera sua quando lei non c’era. Lo negava, ma lei sapeva che lo faceva. Il colore preferito di Ashley era il viola, quindi quasi tutto nella sua camera era in una variante di quel colore, tranne il tappeto, che era giallo pallido e il soffitto, che era bianco. Quando Ashley era obbligata a pulirla, era una camera molto carina, il letto ricoperto di cuscini, bei mobili, tende a fiori fino al pavimento e fotografie di scene marine intervallate con i suoi poster di giocatrici di calcio.

    Ashley era sdraiata di traverso sul suo letto mentre scriveva e guardava la tv, e si sentì sollevata quando la sua migliore amica finalmente le mandò un messaggio, dopo i tanti che lei le aveva inviato chiedendo cosa stesse facendo.

    «ehi, dov’eri» chiese Ashley

    «con cugini sono fighi esci che li conosci»

    «sono in pigiama» rispose Ashley.

    «1 sec solo, metti il cappotto»

    «ok arrivo.»

    La migliore amica di Ashley era Sandy, un’altra biondina con gli occhi blu, ma con i capelli molto più corti, che si spingeva sempre dietro le orecchie.

    Anche se non era carina come la sua amica, Sandy aveva dei tratti più marcati, specialmente gli zigomi, che sicuramente sarebbero stati meravigliosi quando fosse cresciuta.

    Era anche leggermente più alta e più magra di Ashley.

    Sandy non se n’era accorta, ma era stata seguita dal giorno precedente quando era uscita da scuola con Ashley. Quando si erano separate, Sandy era stata pedinata fino a casa e gli occupanti del furgone avevano cercato un punto adatto, che fosse tranquillo e dove nessuno li avrebbe notati.

    Entrambe le ragazze vivevano nei sobborghi a nord di Sacramento, in buoni vicinati, dove raramente si vedevano macchine della polizia. I loro fine settimana consistevano in giri al centro commerciale, un film, stare in compagnia degli amici e andare a nuotare nella piscina di uno o dell’altro.

    Ashley si infilò le pantofole e scese al piano di sotto, tenendo in mano il suo cellulare, e oltrepassò il soggiorno per andare alla porta principale. Il volume della tv era alto e nessuno la sentì dire che andava sulla porta a salutare Sandy. Si infilò il soprabito che era appeso all’attaccapanni nell’ingresso.

    Aprendo la porta si sorprese vedendo Sandy in piedi a fianco a un grande furgone scuro parcheggiato a fianco al marciapiede. Era con una donna e un uomo, ad Ashley sembravano un paio di ventenni. Sandy indossava ancora i vestiti di scuola, una gonna corta nera e un top rosso sotto il lungo cardigan bianco.

    «Ash, vieni a salutare» la salutò Sandy, e ad Ashley sembrò un po’ strana.

    «Non sono vestita, Sandy» rispose Ashley a mezza voce, chiudendosi la porta dietro, «vieni tu alla porta.»

    «Non importa, Ash, stai bene, vieni qua a salutare e poi ce ne andiamo.»

    «Ok, ma non posso andare da nessuna parte o stare fuori tanto, altrimenti mi metto di nuovo nei guai.»

    Ashley andò verso di loro, curiosa di sapere perché Sandy non si era ancora cambiata e di vedere come fossero i suoi cugini. Sembravano gente a posto, sorridevano, erano ai lati di Sandy, che certamente non era nella sua forma migliore.

    «Stai bene, Sandy? Non mi sembra che tu stia bene.» Ashley era preoccupata per la sua amica mentre si avvicinava, e le tendeva la mano.

    «Mi dispiace, Ash,» si scusò la sua amica, «mi hanno detto che avrebbero ucciso tutta la mia famiglia se non fossi riuscita a farti uscire, mi dispiace così tanto.» Sandy stava piangendo mentre afferrava la mano tesa di Ashley, e tremava.

    «Che succede, Sandy?» chiese Ashley, che adesso aveva paura.

    «Salite sul furgone, ragazze, adesso.» ordinò l’uomo dai capelli scuri e mostrò la pistola che aveva nascosto dietro la schiena di Sandy. «Adesso, salite.»

    Ashley non se n’era accorta, ma i tre erano davanti al portellone laterale del furgone, che era aperto. Guardò verso casa sua, pregando che suo papà fosse sulla porta, pronto a farle casino perché era uscita in pigiama. Non c’era nessuno. E non c’era un’anima viva in giro. La strada era silenziosa e deserta.

    «Entrate nel cazzo di furgone!» disse a denti stretti l’uomo, «Adesso!»

    La donna con i capelli color topo aveva smesso di sorridere e si mise a spingere le ragazze dentro al furgone, e disse «sparerà a tutte e due se non salite. Adesso muovetevi.»

    Inciamparono e caddero dentro al furgone, e l’uomo salì insieme a loro, mentre la donna chiudeva il portellone e si avviava con calma al posto di guida, guardandosi intorno per vedere se c’era qualcuno o se vedeva movimenti alle finestre delle case. Niente. Salì al posto di guida, avviò il motore e cominciò a muoversi lentamente lungo la strada.

    Nel retro del furgone le due ragazze erano abbracciate in un angolo, l’uomo era seduto su una specie di sedia. L’unica luce veniva da una lampadina sul lato della parete del furgone, che aveva i vetri oscurati. Perlomeno era abbastanza comodo, perché il retro del furgone era completamente imbottito, ma c’erano delle cinghie sui lati e sul pavimento.

    «Chi sono questi due?» sussurrò Ashley.

    «Non lo so. Mi hanno preso mentre andavo a casa tornando da scuola e mi hanno detto che avrebbero sparato a mamma, papà e Kayla se non avessi fatto quello che mi ordinavano. Mi dispiace tanto, Ash, non sapevo cosa fare.» disse Sandy singhiozzando.

    «Basta chiacchiere» disse l’uomo, avvicinandosi a Sandy, trascinandola verso le cinghie.

    «Non resistere, ragazzina, o sarà peggio.» le ordinò.

    Sandy non gli diede retta e cercò di allontanarsi da lui e si fermò solo quando lui le diede un pugno fortissimo sulla pancia.

    «Te l’avevo detto di non farlo, ragazzina,» disse, e rivolgendosi ad Ashley, continuò «se resisti ti succede lo stesso.»

    Legò Sandy, che ansimava, con le braccia e le gambe spalancate e fece lo stesso con Ashley.

    «Dove ci stai portando?» chiese Ashley mentre lui la legava, «la mia famiglia non è ricca, non possono pagare un riscatto.»

    «Non vogliamo i soldi della tua famiglia, ragazzina. Vogliamo te e la tua amica. Ora stai zitta, basta domande e basta pianti.»

    Passò circa un’ora prima che il furgone si fermasse e la donna aprisse il portellone laterale.

    «Bene, sono legate. Adesso dai loro la roba e poi puoi guidare tu per un po’.»

    Non si chiamarono per nome. Fuori era buio e silenzioso.

    La donna diede all’uomo una scatolina nera.

    Ashley e Sandy erano pietrificate, vedendo l’uomo che apriva la scatola, dove c’erano delle siringhe e tutte e due lo pregarono di lasciarle stare, che sarebbero state zitte e non avrebbero cercato di slegarsi e scappare.

    L’uomo le ignorò e tirò fuori una delle siringhe, fece uscire l’aria e si avvicinò al braccio sinistro di Ashley e la donna lo illuminava mentre lui le dava dei colpetti per fare venire fuori la vena.

    «Ti prego, no!» lo scongiurò Ashley.

    Lui inserì l’ago e iniettò.

    Dopo avere fatto lo stesso con Sandy che piangeva, l’uomo e la donna stettero a guardare mentre l’eroina entrava in circolo.

    «La prima volta è sempre la più bella,» disse lui, mentre le ragazze si calmavano ed entravano in uno stato di euforia.

    «Dai, vai e guida per un po’.» disse la donna, «Rimango io con loro. Ci diamo il cambio quando ti fermi per fare benzina. Che ne hai fatto dei loro cellulari?»

    «Li ho smontati, ora li butto.»

    L’uomo smontò dal retro del furgone senza dire altro e chiuse il portellone. La donna si mise a sedere e guardò le ragazze, che adesso avevano espressioni felici sul volto, con la droga che faceva il suo effetto. Controllò la sua pistola prima di mettersi a fare un pisolino. Sarebbe stato un viaggio lungo.

    3.

    Quando qualcuno si rese conto che Ashley e Sandy erano sparite, non solo erano fuori zona, ormai erano in un altro stato.

    Le due famiglie si scambiarono telefonate terrorizzate e poi chiamarono la polizia e nessuno aveva idea di dove potessero essere.

    Avevano ordinato a Sandy di chiamare sua madre per dirle che si sarebbe fermata da Ashley, che non era una cosa strana, nemmeno in un giorno infrasettimanale, così la mamma di Sandy non era per niente preoccupata quando ricevette la chiamata della mamma di Ashley che le chiedeva se sapeva dove fosse sua figlia.

    Poi si scatenò l’inferno.

    C’erano macchine della polizia in tutto il vicinato e i poliziotti bussavano alle porte, chiedendo se qualcuno avesse visto le due ragazze o persone sospette in giro. Nessuno aveva visto niente.

    La famiglia di Ashley era disperata. Si erano messi a guardare la tv tutti insieme, sapendo che Ashley era nella sua camera, a guardare American Idol. Fu solo a causa della sua tv ancora accesa che i suoi genitori entrarono in camera sua per spegnerla e si erano resi conto che lei non c’era.

    Dopo essere stati interrogati da investigatori molto comprensivi, si accorsero che mancava il soprabito di Ashley, ma che indossava il pigiama, e che quando aveva fatto il giro di controllo della casa prima di andare a letto, il padre di Ashley aveva trovato la porta principale non chiusa a chiave.

    Non trovarono i cellulari delle due ragazze, ma dopo avere controllato il computer di Ashley che era ancora acceso, videro che aveva scritto su Facebook che doveva uscire un attimo a salutare Sandy e i suoi cugini che erano in visita.

    Sandy non avevano idea di chi parlasse perché non avevano parenti in visita e che Sandy non era nemmeno tornata a casa, dopo la scuola.

    La polizia era preoccupata e fu chiamata l’FBI, dicendo ai genitori che sembrava un possibile rapimento e che gli uomini dell’FBI erano specializzati in questi crimini e avrebbero messo sotto controllo i loro telefoni per possibili richieste di riscatto.

    Nessuno riusciva a crederci. Come era potuta sparire Ashley da casa, dalla sua camera, in pigiama e con i suoi genitori e i fratelli a pochi metri?

    Quando l’FBI arrivo nelle loro case, installando le apparecchiature e facendo altre domande, dissero ai genitori che molto probabilmente era un rapimento e che senza dubbio sarebbe stato chiesto un riscatto. Se fosse successo, i genitori avrebbero dovuto chiedere di parlare con le figlie, avrebbero dovuto dire di si a tutto e dovevano cercare di stare al telefono il più possibile per aiutare gli investigatori.

    Quello che gli agenti dell’FBI non dissero era che sospettavano che le ragazze fossero state rapite per il traffico umano, e che entro pochissimo tempo le loro giovani vite sarebbero state rovinate. Nessuna delle due famiglie era ricca, e una coppia di ragazze rapite insieme non rientrava nel profilo di un pedofilo singolo ed era molto raro che ne prendessero due per volta, o che lavorassero in coppia.

    Ashley e Sandy non se ne resero conto, ma rimasero nel retro del furgone per nove ore, e che avevano fatto loro un’altra iniezione, stavolta fra le dita

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