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Dietro questo sipario
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Dietro questo sipario

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About this ebook

Patrizia Torrisi è testimone oculare di un omicidio, ma nessuno le crede, soprattutto la polizia. Qualcuno però sa che Patrizia è sincera: purtroppo per lei, è l'assassino. Il quale cerca più volte di ucciderla, simulando altrettanti incidenti. Costretta a improvvisarsi detective per trovare una prova che convinca la polizia della sua buona fede, la donna trova un alleato nell'ambiguo e affascinante Ricky Micheli, un giovane giornalista. Mentre l'assassino colpisce ancora, eliminando personaggi che non sembrano aver legami fra loro, Patrizia scoprirà a sue spese che il pericolo è molto più vicino e insospettabile di quanto appaia. Un giallo ispirato a personaggi, situazione e atmosfere del cinema thrilling di Dario Argento, dove la suspense cresce insieme all’ansia della protagonista, che diventa angoscia e paura prima di approdare al terrore, quando risolverà il mistero dopo una serie di colpi di scena.
LanguageItaliano
PublisherDamster
Release dateMar 12, 2018
ISBN9788868103514
Dietro questo sipario

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    Dietro questo sipario - Enrico Luceri

    Enrico Luceri

    DIETRO QUESTO SIPARIO

    Prima Edizione Ebook 2018 © Damster Edizioni, Modena

    ISBN: 9788868103514

    Copertina

    Progetto grafico

    Massimo Casarini e Fabio Mundadori

    Damster Edizioni è un marchio editoriale

    Edizioni del Loggione S.r.l.

    Via Paolo Ferrari 51/c - 41121 Modena

    http://www.damster.it  e-mail: damster@damster.it

    Enrico Luceri

    DIETRO QUESTO SIPARIO

    Romanzo

    INDICE

    PROLOGO

    DALLA SCENEGGIATURA DEL FILM

    SON GELOSA DI ME (1946)

    PERSONAGGI PRINCIPALI

    PRIMO TEMPO

    IL PRIMO GIORNO: LUNEDÌ

    IL SECONDO GIORNO: MARTEDÌ

    IL TERZO GIORNO: MERCOLEDÌ

    DALLA SCENEGGIATURA DEL FILM

    SON GELOSA DI ME (1946)

    IL QUARTO GIORNO: GIOVEDÌ

    FINE DEL PRIMO TEMPO

    INTERVALLO

    SECONDO TEMPO

    DALLA SCENEGGIATURA DEL FILM

    SON GELOSA DI ME (1946)

    LA NOTTE FRA IL QUARTO E IL QUINTO GIORNO

    DALLA SCENEGGIATURA DEL FILM

    SON GELOSA DI ME (1946)

    IL QUINTO GIORNO: VENERDÌ

    DALLA SCENEGGIATURA DEL FILM

    SON GELOSA DI ME (1946)

    IL SESTO E ULTIMO GIORNO: SABATO

    DALLA SCENEGGIATURA DEL FILM

    SON GELOSA DI ME (1946)

    FINE DEL SECONDO TEMPO

    EPILOGO

    DALLA SCENEGGIATURA DEL FILM

    SON GELOSA DI ME (1946)

    CREDITI

    NOTA DELL’AUTORE

    COLONNA SONORA

    L’autore

    Tu sei un dottor Jekyll, solo un po’ più cattivo!

    (Melvyn Douglas)

    (da: Non tradirmi con me, di George Cukor, 1941)

    PROLOGO

    Il proiettore troneggiava al centro di una stanza priva di finestre e spoglia di mobili, tranne un’antiquata sedia dallo schienale di pelle screpolata. Accanto a una parete era accatastata una pila di cilindri metallici ammaccati mentre decine di copioni ingialliti dal tempo giacevano alla rinfusa sul pavimento polveroso, insieme a rotoli di locandine che il tempo aveva reso sottili e fragili come carta velina. Lungo la parete opposta correva una pesante sbarra di metallo, assicurata al muro da due ganci ricurvi come uncini. Decine di vestiti appesi a stampelle di forma antiquata pendevano dalla sbarra e quando qualcuno aprì la porticina di quel locale angusto lo spostamento d’aria fece svolazzare l’orlo di un’elegante abito da sera.

    Chi si affacciò sulla soglia spinse un interruttore e una lampadina che pendeva nuda dal soffitto illuminò a stento la stanza. Rimase per qualche istante a fissare quegli eleganti costumi femminili che testimoniavano il gusto di un’epoca trascorsa da decenni, si avvicinò al proiettore, controllò che la pellicola fosse a posto, e lo accese. Lo schermo di tela bianca sembrò vibrare quando la bobina cominciò a scorrere, frusciando.

    Occhi attenti attesero che comparissero i titoli di testa del film. Quelle lettere sottili avvolte in ghirigori e spirali parevano scritte da un pennino. La colonna sonora era un motivetto allegro, ma il ritornello parve triste al solitario spettatore, che si avvicinò alla porta, spinse l’interruttore della luce e la stanza tornò buia. Stringeva in mano una rivista dalle pagine consumate dagli anni, e i caratteri del titolo componevano una frase impronunciabile: A filmcsillag arcképja. Si lasciò cadere sulla sedia, si rilassò e cominciò a seguire con attenzione le prime sequenze del film.

    DALLA SCENEGGIATURA DEL FILM

    SON GELOSA DI ME (1946)

    SCENA 3

    INTERNO – GIORNO – SALOTTO DI SUSETTA

    Una giovane donna e un uomo sulla trentina

    siedono sul divano di un salotto modestamente

    arredato: un tavolino, un paio di quadretti alle

    pareti, una vetrina piena di libri e due poltrone.

    L’unico mobile di un certo pregio è la consolle

    accanto al muro, proprio sotto una specchiera

    con la cornice di legno intagliato.

    Lei parla con voce sognante:

          SUSETTA

       Sono sicura che quel giorno il tempo

       sarà bellissimo!

    Lui si guarda attorno e sembra pensare ad altro,

    mentre risponde distrattamente.

                VITTORIO

    Quale giorno?

    SUSETTA

       Ma come quale giorno?

       Quello del nostro matrimonio, no?

    VITTORIO

    Certo, cara.

     SUSETTA

       Che c’è? È quasi un’ora che ti  parlo e hai

         detto solo quattro parole.

    VITTORIO

    Perché va tutto bene, hai organizzato la

    cerimonia a meraviglia.

    Lei incrocia le braccia sul petto e mette il broncio.

    Lui sospira e alza gli occhi al soffitto,

    con aria rassegnata.

                 SUSETTA

       C’è qualcosa che non va, ti sento così

       distante! Dimmi la verità! Non vuoi più sposarmi?

    Ti sei innamorato di un’altra?

    VITTORIO

    C’è che la prospettiva di quell’impiego

    al ministero non mi garba per nulla! 

    Penso che al mio carattere allegro e disinvolto si addica ben altro tipo di

    attività che spulciare carte polverose tutto il santo giorno!

    Ambisco a ruoli brillanti nel cinema o nella rivista.

    SUSETTA

       Che idee ti sei messo in testa?

    VITTORIO

    Non capisci che lo faccio anche per te,

    sciocchina? Potrei diventare un divo

    famoso, e tu saresti ricca, ammirata

    e anche invidiata.

      SUSETTA

       Oh Vittorio, io di queste cose non so che

       farmene, a me piace la semplicità e mi

       basta quello che guadagno con il mio

       lavoro di commessa.

    E dopo il matrimonio,

        una volta che avremo anche il tuo

       stipendio, potremo permetterci di affittare

        un appartamentino.

    Lui si alza con un gesto elastico

    e comincia a passeggiare per il salotto.

    VITTORIO

    Non ti biasimo, ma mi duole terribilmente

    che tu non riesca a vedere in me che un

    semplice impiegato di quart’ordine. Io mi

    sento portato per l’arte della recitazione e

    proprio stamattina ho saputo che c’è in

    città una compagnia di rivista che

    seleziona attori esordienti in grado

    d’intrattenere il pubblico fra un numero

    e l’altro.

    SUSETTA

       È un ambiente estraneo,di gente abituata a

         vivere così diversamente da noi...

    Lui si volta verso di lei

    e ribatte sorridendo.

    VITTORIO

    Adesso capisco: sei gelosa delle attrici della

    compagnia. Non devi  temere, mia cara.

    Io amo solo te!

    E nel dire queste ultime parole,

    le accarezza una guancia.

    Lei lo guarda preoccupata,

    dall’espressione del suo viso

    si deve intuire che non crede

    alle parole del fidanzato.

    Dissolvenza.

    PERSONAGGI PRINCIPALI

    PATRIZIA TORRISI

    titolare di un’agenzia immobiliare

    LUCIO BALDAZZI

    giornalista

    RICKY MICHELI

    collega di Baldazzi

    VERA DI SANTAFOSCA

    diva cinematografica degli anni ‘30

    JOLANDA COLETTI

    sorella di Vera

    RUGGERO VALENTINI

    attore, partner di Vera in molti film

    TERESA SACCO

    compagna di Baldazzi

    GIORGIO LEONCINI

    ex-compagno di Patrizia

    FULVIO BONATELLI

    commissario della Polizia di Stato

    RENATA MANTOVANI

    segretaria dell’agenzia immobiliare Torrisi

    TIFFANY

    tempestiva gatta di Patrizia

    VITTORIO

    archivista del quotidiano Il Corriere della Regione

    Una città dell’Umbria, novembre 1987

    PRIMO TEMPO

    Com’è successo che io non l’abbia vista?

    (Constance Bennett)

    Io ero invisibile, lei era visibile

    (Greta Garbo)

    (da: Non tradirmi con me, di George Cukor, 1941)

    IL PRIMO GIORNO: LUNEDÌ

    1.

    – La verità è che sei un’egoista, per te conta solo questa maledetta agenzia! – gridò l’uomo e con un ampio gesto del braccio indicò le pareti del locale.

    Stavolta la donna seduta dietro la scrivania non riuscì a trattenersi e si alzò di scatto, battendo un pugno sul piano di legno:

    – Questa maledetta agenzia mi è costata anni di sacrifici e non ti permetto d’insultarla. Mentre tu giocavi a biliardo con i tuoi amici, o scommettevi con loro sulla macchina più veloce, io sgobbavo tutti i santi giorni, compresi i fine settimana, per creare questo! – Anche lei abbracciò la stanza con un movimento circolare della mano.

    – Finalmente hai sputato fuori il rospo, Patrizia! – L’uomo si passò le dita fra i folti capelli castani, che andavano diradandosi sulle tempie, e fece un passo verso di lei. – A te questa cosa non è mai andata giù: non è colpa mia se sono il figlio di chi ha fondato la maggiore impresa edile della provincia, e che l’ha diretta fino al suo ultimo giorno di vita.

    – E non ti sei mai chiesto perché? – chiese prontamente Patrizia. – Già, era troppo comodo correre in auto, tirare tardi giocando a carte o saltare da una festa all’altra fino alle ore piccole, piuttosto che domandarsi perché tuo padre non ti lasciava fare nemmeno una fotocopia!

    – Per lavorare c’è sempre tempo, cazzo! Infatti...

    – Infatti da quando è morto tuo padre non sai dove mettere le mani e la ditta perde colpi.

    – Non è colpa mia se la giunta comunale ha bloccato il piano regolatore del nuovo quartiere, avevo puntato tutto sulla città giardino e...

    – E hai perso il piatto, proprio come al poker.

    – Lo sai che sei proprio una stronza?

    Patrizia tacque e scrollò il capo. Girò attorno alla scrivania e si avvicinò a uno specchio appeso alla parete, accanto a un poster incorniciato che riproduceva un quadro di De Chirico. Sospirò e fissò la propria immagine riflessa: vide una donna di quarant’anni che ne dimostrava tranquillamente cinque di meno, con i lunghi capelli biondi, un viso regolare e forse un po’ anonimo, ma nel complesso di aspetto gradevole.

    Indossava un paio di pantaloni grezzi e una giacca di tweed sopra una camicetta color avorio. Si chiese se avrebbe avuto la costanza di continuare la dieta che si era imposta per perdere i chili di troppo. Alzò le spalle e si voltò verso il suo interlocutore, che nel frattempo aveva infilato una sigaretta fra le labbra e la guardava con aria di sfida.

    – Forse lo sono davvero, Giorgio, se ho creduto che la nostra storia potesse funzionare – ammise a bassa voce.

    Lui sbuffò, sfilò la sigaretta spenta dalla bocca e la cacciò in tasca, scuotendo rabbiosamente la testa.

    – Fra alti e bassi sono quasi sei anni che stiamo insieme. Abbiamo perso anche troppo tempo.

    – Non ripartire con la filastrocca dei figli, perché sarebbe fiato sprecato! – sbottò Giorgio. – Negli ultimi dieci anni, e non sei, perché è da tanto che ci conosciamo, hai trascorso più tempo qui che a casa tua. Questa è casa tua – ribadì, pestando un piede sul pavimento. – Vorresti far nascere, allattare e svezzare dei figli in un’agenzia immobiliare? – concluse sarcastico.

    – Tu ce l’hai con il mio lavoro perché io mi sono realizzata e...

    – E io non facevo nemmeno le fotocopie a mio padre... Sì, l’hai già detto.

    – Giorgio, questa discussione sta diventando sempre più antipatica. E abbassa la voce, non siamo in un cantiere!

    – Hai paura che le tue impiegate mi sentano? – Indicò con il pollice la porta chiusa. – Ma io voglio che mi sentano! E che sappiano chi è davvero la titolare dell’agenzia – gridò Giorgio, alzando ancora di più il tono della voce.

    – O abbassi la voce o...

    – O mi fai sbattere fuori dalle tue impiegate? – Mentre litigavano, accalorandosi sempre più, si erano avvicinati l’uno all’altra, senza rendersene conto.

    Adesso la coppia era quasi a contatto, tanto da potersi guardare negli occhi. Patrizia abbassò lo sguardo e disse con voce triste:

    – Ti ricordi quando i nostri amici dicevano di noi che gli estremi si attraggono? E io che ci ho creduto, anzi ci ho voluto credere, anche quando le cose hanno cominciato a peggiorare.

    Giorgio allungò esitante una mano verso Patrizia ma subito dopo abbassò le spalle e si allontanò di un passo.

    – Che stupida, credevo che tutto si sarebbe aggiustato, un giorno. In fondo a letto funzionavamo benissimo, no? – Lui alzò la testa e la guardò ma si limitò ad annuire in silenzio.

    – Tu sei prudente, determinata, ostinata e... insomma, hai un carattere forte – disse Giorgio, dopo qualche istante. – Io invece sono impulsivo, disordinato e inaffidabile... insomma, sono il contrario di te.

    – Già – mugolò Patrizia. – Le abbiamo provate tutte: prima a convivere, poi ognuno a casa sua, e dopo ci siamo lasciati e rimessi insieme. Abbiamo litigato e siamo stati mesi senza parlarci. Abbiamo passato intere notti a discutere e a cercare di capire cosa fare per salvare la nostra storia. In una parola: le abbiamo provate tutte.

    – Inutilmente – sussurrò Giorgio. – Stavamo solo rimandando il momento in cui capire che era finita per sempre.

    – Eravamo in buona fede tutti e due – mormorò lei, e per la prima volta l’uomo percepì nella sua voce qualcosa di simile alla dolcezza. – In fondo cercavamo di salvare un legame che fra alti e bassi andava avanti da sei anni.

    – Quasi dieci – corresse lui, rassegnato.

    La donna sospirò e si voltò verso la scrivania, fingendo di cercare qualcosa fra le carte sparpagliate sul ripiano. Allora Giorgio si avvicinò alle sue spalle e le parlò a bassa voce:

    – Vogliamo piantarla di litigare come due bambini e discutere con calma?

    – Come hai fatto fino a ora? – Patrizia si girò verso di lui, e furono ancora una volta molto vicini.

    – Domani a pranzo, dopo averci dormito sopra?

    – Ognuno a casa sua.

    – Certo – approvò lui, dopo qualche istante.

    – Vediamo se indovino: in quel ristorante fuori città, dove andavamo quando eravamo in crisi e tu cercavi di farti perdonare, e mi facevi trovare un regalo sul tavolo e… – insinuò lei, ironicamente.

    – Se vuoi, oppure da un’altra parte.

    La donna distolse lo sguardo e fissò pensierosa un quadro appeso alla parete. Sembrava incerta sul da farsi, sospesa fra il timore di veder svanire l’ennesima illusione e quello di chiudere per sempre una storia durata sei anni. O erano davvero quasi dieci? Giorgio intuì che Patrizia era sul punto di accettare e rimase immobile e silenzioso.

    La segretaria si alzò dalla sedia e si avvicinò alla porta chiusa. Tese l’orecchio ma non udì nulla. Le urla e gli insulti erano cessati all’improvviso, come erano cominciati.

    Alzò le spalle e tornò a sedersi dietro la sua scrivania.

    – Secondo te che stanno facendo? – chiese la collega, senza distogliere il viso dal monitor del computer. Le sue dita agili sembrano solo sfiorare la tastiera.

    – Boh! – La segretaria alzò gli occhi verso il soffitto, esasperata.

    – Forse hanno fatto pace. – La donna strizzò gli occhi e avvicinò il viso al computer. Sospirò soddisfatta, e guardò l’orologio.

    – È tardissimo, e devo ancora fare la spesa. – Spinse un tasto e il monitor divenne buio. Si alzò, afferrò la borsetta che aveva posato accanto alla scrivania e mimò un bacio alla segretaria.

    – Ciao, Renata.

    L’altra donna le rispose con un cenno distratto della mano e rimase qualche istante a fissare la porta a vetri che dondolava. Lo squillo improvviso del telefono la fece sobbalzare. Quando allungò una mano verso il ricevitore, Renata si accorse con disappunto che tremava leggermente.

    – Agenzia immobiliare Torrisi. Ah, buonasera, signora. Sì, è ancora in agenzia, ma al momento è impegnata in una… – Cercò la parola adatta, mordendosi un labbro – …riunione. Attenda in linea, passo la comunicazione al più presto.

    Renata si alzò e si avvicinò alla porta dell’ufficio di Patrizia. Ancora silenzio. Senza esitare, bussò un paio di volte e quando udì un mormorio abbassò la maniglia e si sporse sulla soglia.

    Patrizia era in piedi accanto alla scrivania e leggeva assorta dei fogli spillati, mentre Giorgio fumava una sigaretta sfogliando distrattamente una rivista di arredamento. A Renata sembrò che la coppia le avesse rivolto un’occhiata ostile.

    – Patrizia, c’è la signora Giuliani a telefono. Dice che ti vuole parlare subito, che stamattina c’è stato un equivoco e…

    – Insomma ci ha ripensato?

    La segretaria si strinse nelle spalle e piegò le labbra in una smorfia perplessa.

    – Va bene. – Patrizia indicò il telefono con un cenno del mento.

    Giorgio aveva assistito al dialogo con aria assente, perso dietro le volute di fumo. Appoggiò la schiena al muro, la sigaretta appesa a un angolo della bocca e le braccia incrociate sul petto.

    Renata afferrò il ricevitore, premette un pulsante e avvisò la cliente che le passava la titolare. Quando sentì la voce di Patrizia, spinse un altro tasto dell’apparecchio e riagganciò. Aveva lasciato la porta socchiusa e da quella prospettiva distingueva il profilo contrariato di Giorgio.

    – Sì, signora. – Patrizia cercò di assumere un tono conciliante. – Ho capito che secondo lei si è trattato di un equivoco, ma poteva farsi venire gli scrupoli prima di arrivare al giorno del compromesso. No, vede… – Tacque quando la sua interlocutrice la interruppe con un fiume di parole concitate. – Se temeva che l’immobile fosse gravato da qualche ipoteca poteva chiederci di verificarlo, e noi lo avremmo fatto per tempo.

    – Sì, mi ha già spiegato che l’appartamento le interessa e non vuole perdere l’occasione, ma il proprietario si è stancato di questi tira e molla e mi ha detto di… – Fu interrotta ancora una volta e posò la nuca indolenzita sulla poltrona, soffocando un’imprecazione. – Certo, posso provare a fargli cambiare idea. Gli spiegherò che lei conferma la disponibilità all’acquisto, vincolata all’assenza di vincoli ipotecari. La mia agenzia si farà carico di questo controllo e…

    Giorgio schiacciò l’ennesima sigaretta nel posacenere, si sgranchì inarcando la schiena con un gemito di sollievo e sbirciò l’orologio con impazienza.

    Nel frattempo Renata aveva infilato il cappotto e si era affacciata sulla soglia dell’ufficio. Cercò senza successo d’intercettare lo sguardo di Patrizia per rivolgerle un cenno di saluto.

    – Vuole parlarne direttamente con il proprietario? D’accordo, lo chiamerò e fisserò un appuntamento per domani mattina, qui in agenzia. Come dice? – Patrizia si passò una mano fra i lunghi capelli biondi e corrugò la fronte. – Se crede che parlarne al ristorante possa contribuire a smorzare i toni, per me va bene – concluse in tono poco convinto. – Il proprietario stasera non è in casa, lo avviserò domani mattina, ma penso che accetterà senz’altro. Anche lui vuole concludere la compravendita. Allora ci vediamo domani a pranzo alla Taverna dell’Angelo. – Annuì un paio di volte e infine posò il ricevitore sulla forcella come se quel gesto le costasse uno sforzo. – Finalmente!

    Renata fece un passo verso la soglia ma si fermò quando si accorse che Giorgio si era avvicinato alla scrivania e fissava Patrizia in silenzio. Era impallidito e aveva posato le mani strette a pugno sul ripiano, sporgendosi verso la donna.

    – Così domani sei a pranzo fuori, eh? – sibilò con la voce strozzata di chi trattiene a stento la rabbia.

    Lei ricambiò il suo sguardo e ribatté:

    – Non c’è niente di drammatico: devo andare assolutamente a pranzo con quella stronza e il padrone di casa, altrimenti mi salta la compravendita. Con te posso andarci in qualsiasi altro momento, tanto... – S’interruppe mordendosi un labbro e distolse il viso, come si fosse resa conto che stava per dire una parola di troppo.

    – Tanto il lavoro è più importante di me, vero? – Giorgio batté una mano sul tavolo e si allontanò di qualche passo. Adesso sembrava insolitamente calmo, e Patrizia si sentì improvvisamente triste e stremata. Non seppe cosa replicare e si limitò a scuotere il capo, in silenzio.

    – Come vuoi. – L’uomo raccolse il pacchetto di sigarette che aveva posato sul bracciolo di una sedia. Quando si accorse che ce n’era rimasta una sola, se la infilò in bocca e accartocciò il pacchetto, gettandolo con un gesto elastico del polso nel cestino. Accese la sigaretta e cominciò a fumare.

    Renata aveva assistito alla scena senza decidersi a interrompere quella sgradevole discussione. Infine oltrepassò la soglia e fece un gesto con la mano:

    – A domani, Patrizia.

    – Sì, va bene – rispose l’altra donna senza guardarla. Sembrava assorta nei suoi pensieri e raccoglieva con gesti nervosi le carte sparse in disordine sulla scrivania.

    – Arrivederci, Giorgio – mormorò la segretaria rivolgendosi all’uomo che fumava in silenzio. Lui non se ne accorse e rimase immobile a fissare la parete dell’ufficio.

    Renata si strinse nelle spalle e uscì dall’agenzia, chiudendosi alle spalle la porta a vetri. Il tintinnio della campanella appesa allo stipite ebbe il potere di scuotere la coppia, che un tempo si amava molto più di quanto ognuno di loro avrebbe ammesso.

    Giorgio spense l’ultima sigaretta e se andò in fretta. Patrizia rimase a fissare la sua schiena che scompariva nella stanza a fianco senza riuscire a dire nulla. Quando udì lo scampanellio della porta dell’agenzia, nascose il viso fra le mani e cominciò a piangere.

    Piangeva piano, sussultando per i singhiozzi, e le lacrime scivolavano sui fogli con la pianta dell’immobile che la signora Giuliani esitava ad acquistare, perché temeva potesse essere gravato da qualche ipoteca, nascosta fra le pieghe di un prezzo insolitamente buono. Patrizia afferrò i fogli, li stracciò con rabbia e li gettò sul pavimento. Caddero lentamente, quasi planando, e lei rimase a fissarli affascinata. Poi si alzò, asciugò le guance con il dorso delle mani e cominciò a raccogliere chiavi, penne e appunti che gettò alla rinfusa nella borsetta.

    Si chiese se avrebbe dovuto correre dietro a Giorgio: decise che era meglio di no. Se avesse

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