Gocce di sangue
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Reviews for Gocce di sangue
1 rating1 review
- Rating: 5 out of 5 stars5/5Bellissima storia ambientata tra il Friuli e il Veneto, con finale a sorpresa. Consiglio la lettura.
Book preview
Gocce di sangue - Alessandro Carnier
Alessandro Carnier
GOCCE DI SANGUE
Elison Publishing
Proprietà letteraria riservata
© 2018 Elison Publishing
www.elisonpublishing.com
elisonpublishing@hotmail.com
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Elison Publishing
ISBN 9788869631689
Nel presente racconto, i personaggi, i fatti e gli avvenimenti narrati dall’autore pur riferiti a luoghi reali, sono da considerarsi pura opera di fantasia. L’eventuale identificazione, da parte del lettore, di persone attraverso i fatti ivi narrati, deve intendersi puramente casuale.
Premessa
La casa di Romano sorgeva su una pianura non ancora intaccata dall’urbanizzazione e dall’industrializzazione. Solo il tracciato dell’autostrada l’attraversava, come una sinuosa cicatrice che aveva ferito quella distesa di prati, alberi e campi. Le vie sterrate di ghiaia bianca erano ancora la maggioranza, una sola strada asfaltata e una vecchia ferrovia univano i pochi paesi. Questo era motivo d’orgoglio di Romano, per gli amici Roma, che era il diminutivo con cui tutti lo chiamavano in paese, per il fatto che aveva vissuto parecchi anni a Roma. Ora, in pensione aveva deciso di rientrare nel suo paese natio, e ristrutturare la vecchia fattoria dei genitori, ormai deceduti da tempo. Nella capitale era stimato come un grande artista. Li da giovane aveva fatto parte di un avanguardia pittorica. In quegli anni spensierati aveva rinnovato la pittura, insieme con alcuni suoi compagni d’accademia, tra i quali, ora, gli era rimasto solo qualche amico, che lo veniva a trovare durante il periodo estivo.
Roma aveva adattato la vecchia stalla a studio di pittura. Fece quindi realizzare un ampio lucernario sul tetto e delle grandi vetrate sulla parete esposta a sud, e su quella posta a nord. Lo studio era dotato di una potente illuminazione che gli permetteva di dipingere anche di notte, poteva però contare su un’ottima irradiazione naturale, durante il giorno. La casa vera e propria l’aveva voluta lasciare nello stile rustico originale. Vi si entrava come una volta direttamente dalla cucina, dove aveva lasciato intatti i vecchi mobili, il camino con le sue panche di legno e la cucina a legna che aveva utilizzato sua nonna Adelina. L’unica novità, era un comodo divano dove si coricava dopo pranzo per riposare. Al primo piano c’era ovviamente una camera, con un moderno letto a due piazze, dove dormiva anche la sua compagna quando veniva a trovarlo il fine settimana, e un’altra stanza più piccola per gli ospiti, servite ambedue da bagni separati. Uno piccolo per gli ospiti, con doccia, l’altro che serviva la camera padronale molto più ampio, dotato di doppi servizi e una bellissima vasca idromassaggio di marca.
Breve storia di Romano
Romano si era sposato due volte. La prima moglie americana l’aveva conosciuta a Roma, mentre ancora frequentava l’accademia di pittura. Allycia, di famiglia benestante, suo padre era infatti un noto chirurgo di New York, l’aveva introdotto nella ricca comunità del suo paese che soggiornava a Roma, e che acquistando le opere di Roma aveva notevolmente contribuito a dare una spinta alla sua notorietà, anche oltre oceano. Dopo dieci anni di convivenza si erano separati. Allycia aveva sorpreso a letto Roma con un suo amico, e lei, pur di larghe vedute in questioni di sesso, non poteva tollerare un marito bisessuale. Roma aveva fatto di tutto per salvare il matrimonio, ma ha nulla erano servite le promesse fatte. Allycia dopo aver venduto l’appartamento e fatto i bagagli, se n’era tornata precipitosamente negli Stati Uniti. Da allora, per un lungo periodo, Roma aveva dovuto arrangiarsi facendo i mestieri più svariati: muratore, cameriere, operaio ecc., dal momento che con l’ostracismo della comunità americana, le vendite delle sue pitture si erano praticamente ridotte a zero. Aveva inoltre dovuto forzatamente beneficiare dell’ospitalità dei pochi amici che gli erano rimasti, fino a che non conobbe Roberta, figlia unica di un generale dell’esercito italiano. Con le conoscenze dei genitori di Roberta, che lo introdussero nell’alta borghesia romana, risali lentamente la china. Le manovre del generale Achille, padre di Roberta, gli consentirono di ottenere l’appoggio di critici d’arte altolocati che gli permisero di esporre in gallerie rinomate. Roma questa volta però si affrettò a consolidare il suo legame con Roberta, mettendola incinta. In questo modo, nonostante l’iniziale antipatia di Achille, che naturalmente avrebbe preferito per la sua unica figlia un uomo con una posizione sociale più prestigiosa, riuscì a migliorare i rapporti famigliari con la nascita del figlio Alfonso, che diventò presto il cocco dei nonni. È inutile aggiungere che la nascita di Alfonso procurò alla coppia un bell’appartamento in via Margutta, con annesso studio, e un aiuto finanziario da parte dei nonni ogniqualvolta Roma si trovava in difficoltà con le vendite dei quadri. Dopo pochi anni di matrimonio la naturale propensione di Roma per le relazioni bisessuali prese di nuovo il sopravvento. All’epoca seppur non più giovane, si stava, infatti, avvicinando alla quarantina d’anni, e nonostante non praticasse alcun attività sportiva, poteva ancora contare su un fisico asciutto e tonico che attraeva le donne e anche i maschi. Era affettuoso con la moglie, e probabilmente le voleva ancora bene, ma detestava la sua indole borghese e bigotta, e soprattutto il dover dipendere economicamente dai suoceri. Questa sua condizione lo portava a passare molto tempo con gli amici, anche se le frequenti relazioni con donne e uomini lo facevano sentire in colpa verso la moglie e il figlio, che nulla sospettavano. Per questo stato di colpa verso la famiglia iniziò a bere alcolici la mattina presto nello studio, dove nascondeva bottiglie di gin, whisky, brandy. Durante i pasti in famiglia, e con gli amici, faceva un enorme sforzo per limitarsi a qualche bicchiere di vino, mentre quando s’intratteneva con i suoi amanti dava sfogo al suo vizio. Questa condizione iniziale lo portò ben presto all’alcolismo. Il tremore alle mani spesso non gli consentiva di dipingere, e naturalmente la sua produzione artistica né risentì. Era uno studente d’accademia, dove ora Roma insegnava, divenuto il suo amante, che realizzava materialmente la maggior parte delle opere, seguendo sommarie indicazioni del maestro. In cambio Roma lo utilizzava come assistente in aula, e ogni tanto lo compensava con denaro, abiti, calzature di lusso, e la promessa di farlo diventare presto un professore ordinario, tramite le sue amicizie in campo politico e accademico. Nell’ambiente artistico da molto tempo, giravano voci sull’argomento.
Abele Amato, amante di Roma, era naturalmente odiato dagli studenti del corso della cattedra di pittura. L’ex compagno di Abele, Erbana, così soprannominato, lo apostrofava davanti a tutti in aula, badando a non farsi sentire da Roma: Sei bravo a leccare il culo e il cazzo. Lui ti tiene solo per quello, ma quando si sarà stufato, sceglierà un giovane del primo anno… preparati a dare un addio alla tua cattedra!
Abele sorrideva caustico, e con un tono volutamente gentile e impassibile ribatteva sarcastico: Ti manca la mia banana Erbana… puoi dire ciò che vuoi, ma mai più la rivedrai, addio…
Roma di queste battute se né fotteva, gli era capitato di ascoltarle qualche volta, e pensava che in fondo Erbana non sbagliava. Roma intimamente disprezzava quelli come Abele ed Erbana, con quei modi femminei, quel parlare sempre ostentatamente solo di sesso. Se avesse potuto li avrebbe stuprati e poi gettati in un fosso, come avrebbe potuto fare nella sua immaginazione Caligola, l’imperatore romano. Ma del corpo di Abele per il momento non né poteva stare senza. Finita la lezione in aula Roma accompagnava Abele in taxi nel suo piccolo appartamento, nel quartiere Appio Claudio. L’affitto lo pagava Roma naturalmente. L’edificio dove era situato distava una mezz’ora dall’accademia. Roma non amava la periferia romana, ma voleva evitare sguardi indiscreti. La palazzina era di proprietà di un suo collega. Gli inquilini apparentemente si limitavano a salutare cordialmente. Roma non vedeva l’ora di fare le scale fino al primo piano, entrare in quell’ambiente povero, e dopo aver fatto una veloce